Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 87 del 28/1/2002
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INTERVENTI DEI DEPUTATI ALBERTO MICHELINI, DORINA BIANCHI E CESARE ERCOLE IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI LA LOTTA ALLA TOSSICODIPENDENZA

ALBERTO MICHELINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, soltanto dopo cinque anni il nostro Parlamento affronta di nuovo il problema della droga con una serie di mozioni presentate dai partiti di maggioranza e di opposizione. Troppo tempo rispetto alla portata e alla complessità del fenomeno che ha assunto ormai da anni proporzioni globali.
Il problema della produzione, del traffico e del consumo di droghe viene infatti oggi giustamente ed unanimemente riconosciuto in tutto il mondo come una delle tragedie del nostro tempo, che colpisce milioni di persone ed in particolare i giovani.
Il rapporto mondiale sulle droghe del 2000 (il rapporto dell'Ufficio per il controllo della droga e la prevenzione del crimine delle Nazioni unite) stima che nel mondo siano più di 180 milioni le persone che consumano droga.
Un problema, dunque, che coinvolge nazioni intere, che ha mobilitato organizzazioni internazionali (a partire dall'ONU), governi, chiese, sociologi, esperti. Un problema tragico, ma che frutta sul piano commerciale oltre 500 miliardi di dollari, cioè oltre il 3 per cento del prodotto


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mondiale. Una massa enorme di denaro che la criminalità organizzata riesce ad insinuare nella rete di comunicazione e nei centri nevralgici dei flussi finanziari, autoalimentandosi con un riciclaggio che viene spesso destinato a sostenere corruzione e terrorismo se non a destabilizzare fragili democrazie. E tutto questo grazie anche al segreto bancario, ai paradisi fiscali e alle banche off-shore.
Una realtà economico-finanziaria gigantesca e sempre più sofisticata, quella del narcotraffico, che si nutre delle debolezze e delle miserie di milioni di esseri umani, spesso adolescenti, che per di più cercano nella droga una fuga dalla realtà. Ma con una conseguenza difficilmente recuperabile: che la droga, qualsiasi essa sia, provoca o meno la morte, stronca comunque alla radice l'essere. Dietro a questa tragedia e alle fredde statistiche riecheggiate dalle cronache dei giornali si celano realtà drammatiche di migliaia di famiglie lasciate sole ad affrontare problemi spesso irrisolvibili.
Affrontare dunque in un dibattito parlamentare una tale tematica richiede, da parte di tutti, a qualsiasi partito appartengano, molta serietà e molta pacatezza per trovare, laddove è possibile, soluzioni comuni ad un problema che esiste, che coinvolge il comportamento delle persone - e quindi la sfera morale - e che soprattutto riguarda il futuro di molti giovani e quindi, in qualche modo, il futuro del nostro paese e dell'Europa intera. Da come riusciremo ad affrontarlo ed a risolverlo, al di là delle diversità di posizioni, si misurerà il grado di maturazione e di civiltà della classe politica di un intero continente.
Il rapporto geopolitico mondiale sulle droghe del 1998-1999 dell'ODG (Osservatorio geopolitico delle droghe) rivela che nel corso di questo ultimi anni «lo spazio Schengen è diventato il più importante mercato di droghe del pianeta», in particolare di anfetamine ed ecstasy. È diminuito il consumo di eroina, e il numero delle vittime per eroina, in Italia, Spagna, Germania, Regno Unito. Continua anche ad essere meno diffuso il consumo di cocaina rispetto ad anfetamine ad ecstasy, ma il suo consumo in termini assoluti è in aumento e si sta allargando ad una fascia di popolazione sempre più ampia fino a raggiungere il 4 per cento tra i ragazzi di 15-16 anni che hanno provato la cocaina almeno una volta.
Il problema del consumo di droga è prima di tutto un problema sociale, umano, personale, antropologico, più che sanitario. E va affrontato a partire dalla prevenzione, intervenendo a monte per individuare le ragioni che inducono i giovani a drogarsi, dato che il vero problema non è nella droga ma nel disagio, nella mancanza di senso che conduce alla droga. Se le droghe vengono consumate ciò dipende, sì, dalla loro disponibilità, ma soprattutto dalla presenza di consumatori e di una certa cultura che ne rende desiderabile il consumo. È sul versante della domanda, e quindi delle prevenzioni, che va condotta con maggiore impegno la lotta alla droga. Se ne è accorta l'amministrazione americana che, dopo aver speso miliardi di dollari nella lotta al narcotraffico e nella repressione del fenomeno, si è orientata nella maggiore attenzione all'aspetto della formazione, al sostegno alle famiglie e ad un'educazione che aiuta i giovani in particolare a non vedere nella droga una soluzione ai propri problemi, ma un problema in più.
La formazione delle coscienze, l'educazione dei giovani e l'aiuto alle famiglie sono, dunque, in particolare, i presupposti indispensabili per rendere efficace ogni altra pur doverosa misura.
C'è da constatare purtroppo che l'aspetto della prevenzione è stato disatteso, come deve anche essere registrato un sostanziale fallimento nell'azione di contenimento, di rimedio e di repressione del fenomeno, nonostante importanti segni di inversione di tendenza sono l'aumento di sequestri di partite di droga e arresti di piccoli e medi spacciatori. Un terzo della popolazione carceraria italiana ha a che fare con delitti connessi al consumo e allo spaccio di droga. E si tratta in gran parte di esponenti di nuove organizzazioni straniere, di «nuove mafie» e anche di esponenti


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delle «baby gang», una microcriminalità dai connotati più violenti. La quota di denunciati per traffico di stupefacenti è aumentata da 28 mila a 34 mila dal 1988 al 1999. Una percentuale che aumenta vertiginosamente in alcune città del centro-nord: a Bologna, per esempio, il 76 per cento dei denunciati per droga è straniero; a Torino e a Milano il 71,6 per cento.
Sappiamo che il carcere non solo non riabilita ma esaspera i problemi del drogato. La legge Jervolino-Vassalli con l'inserimento del concetto di «modica quantità» per uso personale aveva in pratica depenalizzato l'uso di sostanze stupefacenti, pur considerandolo un illecito, e anche chi era stato condannato per spaccio - si tratta quasi sempre di drogati - aveva potuto scontare la pena in una casa-famiglia riuscendo ad uscire dal tunnel della droga. È un bene orientarsi verso una più ampia depenalizzazione ma facendo bene attenzione a punire con il carcere quei reati che implicano un danno grave per gli altri e per la società. Non è tollerabile che, solo perché connesso all'uso e allo spaccio di droga, si possa valutare con pesi e misure diverse uno scippo, un furto o una rapina con conseguenze a volte gravi se non fatali per i cittadini. La repressione non serve, il carcere non risolve il problema, ma chi - pur disperato - fa uso di sostanze stupefacenti non può ritenere di avere impunemente una sorta di lasciapassare e nello stesso tempo ha il dovere di aiutare il giovane tossicodipendente dalla sua condizione disperata.
Quali i rimedi? La droga libera? La liberalizzazione di quella leggera e la somministrazione sempre più vasta del metadone che finisce per diventare vera e propria «droga di Stato»?
L'emergenza deve pur essere affrontata ma questi rimedi non sembrano adeguati a risolvere il problema. Quanto allo «spinello libero», nel quale vanno incluse numerosissime cosiddette «droghe leggere» comprese quelle sintetiche, basta guardare al fallimento delle esperienze di Zurigo o alla esasperazione del libero mercato di Amsterdam che inviterei i colleghi parlamentari a visitare per verificarne le ambiguità e le ipocrisie. Le stesse autorità olandesi, peraltro, hanno dovuto ammettere l'infiltrazione della criminalità organizzata in quel «paradiso» dell'hashish che contribuisce a smentire la tesi secondo cui la liberalizzazione ridimensionerebbe il narcotraffico.
Tutte le esperienze internazionali infatti dimostrano che ormai sul fenomeno incidono pochissimo sia le politiche permissive sia quelle remissive. Allo stesso modo è dimostrato che liberalizzare le droghe leggere, per creare i due mercati e sottrarre i giovani al mercato criminale delle droghe pesanti, non incide granché sulla soluzione del problema. La distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere regge assai poco. La nuova domanda infatti ha messo in luce una figura di consumatore che passa dall'alcool all'hashish, all'eroina, all'anfetamina e all'ecstasy con indifferenza. E se vogliamo approfondire le cause di questo consumo, dobbiamo riconoscere che i motivi che inducono alle droghe leggere sono gli stessi che inducono i giovani alle droghe pesanti.
Per non parlare dei danni che producono più o meno le droghe cosiddette leggere. A una sensazione di euforia e di stordimento corrisponde una diminuzione dei processi cognitivi: memoria, apprendimento, riflessi. Si tratta, oltretutto, di un benessere artificiale che per essere mantenuto ha bisogno di dosi sempre più elevate. Gli effetti negativi del tetraidrocannabinalo, per parlare dell'hashish e della marijuana, sono ormai noti. Come lo sono quelli dell'ecstasy e di altre micidiali droghe sintetiche. È vero che non c'è un legame diretto causa-effetto nel passaggio dalle droghe leggere a quelle pesanti, ma è altrettanto vero che chi è arrivato all'eroina, come l'esperienza insegna, è passato inevitabilmente per lo spinello. Invito chiunque parli con leggerezza dello spinello libero a frequentare per qualche giorno una qualsiasi comunità terapeutica e a parlare con i giovani che cercano di uscire da quel tunnel e che maledicono il giorno in cui hanno accettato di provare quella innocente e innocua cicca.


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Del resto «attraverso la legalizzazione della droga non è il prodotto che si ritroverebbe, da questo fatto, liberalizzato, ma sono le ragioni che inducono a consumare tale prodotto che si trovano convalidate».
Le ragioni che inducono a consumare la droga sono ragioni umane, etiche, esistenziali. Un problema che non si può ignorare, pena l'ulteriore fallimento delle politiche sulla tossicodipendenza. Prima viene la vita, poi viene la norma. E il legislatore, pur dovendo affrontare l'emergenza con misure concrete, non può non tener conto della complessità del problema e dei suoi risvolti esistenziali, sociali, famigliari: la solitudine, l'emarginazione, lo scoraggiamento, la mancanza di progetti di lavoro, e quindi di futuro. Lo Stato non può non farsene carico, pena la propria medesima sconfitta. Proprio per questo è necessario puntare sulla prevenzione e affrontare l'aspetto repressivo e di contenimento del danno con molta oculatezza. È necessario a tale scopo, verificare i risultati della cosiddetta strategia della «riduzione del danno» prima di avviare nuove sperimentazioni. Nessuno può negare che spesso i Sert, i servizi pubblici, a volte sguarniti di personale, si sono limitati a somministrare metadone senza dare quel sostegno di carattere psicologico di cui il tossicodipendente ha un bisogno indispensabile. Limitarsi a ridurre o a contenere il danno significa ammettere la propria sconfitta. Il «meglio di niente» quando ci sono in gioco vite umane e comunque il futuro di migliaia di giovani, non è ammissibile, è una politica perdente.
È necessario, per evitare un ideologico e inutile conflitto tra servizi pubblici e comunità terapeutiche, il coordinamento degli interventi tra queste due realtà con una fattiva collaborazione che faccia superare un antagonismo spesso esasperante.
Come è necessario che i controlli pubblici non soffochino il sistema di volontariato anche a causa di ritardi di anni nell'erogazione dei fondi, come ha denunciato negli ultimi anni la stessa Corte dei conti.
La prevenzione - come ho già detto - passa per la famiglia e per la scuola. Il 90 per cento dei casi di droga passa attraverso una famiglia sfasciata o carente ed è poi la famiglia stessa - o un suo surrogato come la comunità - a doversi fare carico del problema. Vanno previsti aiuti, sgravi e incentivi fiscali alle famiglie, alle associazioni o agli enti che si occupano dell'assistenza, del recupero e del reinserimento dei tossicodipendenti. La scuola in sinergia con la famiglia deve da parte sua farsi carico dell'informazione, la più completa possibile, dei rischi e delle conseguenze dell'uso delle droghe.
Come deve farsi carico dell'informazione soprattutto la televisione, coinvolgendo star dello spettacolo, della musica e dello sport, quali testimonial positivi nella diffusione del messaggio di rifiuto della droga.
Quanto alla repressione dobbiamo partire dalla comune constatazione che si tratta di un fenomeno globale, planetario e che è possibile combatterlo solo con un effettivo coordinamento tra gli Stati, a partire da quelli europei, puntando soprattutto al sistema finanziario di cui il narcotraffico è diventato parte integrante.
L'aumento dei sequestri di partite di droga (che ha coinvolto ben 170 paesi nel 1998 rispetto ai 120 coinvolti nel 1981) dimostra che i governi cominciano a dimostrare una seria volontà di reagire di fronte a questa piaga. Una volontà sollecitata dall'intensa attività della comunità internazionale: dalla «Strategia anti-droga mondiale» adottata a Montevideo nel dicembre del 1996 al «Meccanismo della valutazione multilaterale» (MEM) realizzato a Santiago del Cile nell'aprile del 1998, sempre nell'ambito della Commissione intra-americana per il controllo e l'abuso delle droghe (il CICAD). Per non parlare dell'ONU, che ha dedicato al problema droga un'agenzia, dedicando nel giugno del 1998 l'intera XX sessione straordinaria alla lotta comune contro la droga. Tema poi ripreso nel vertice del millennio, nel settembre 2000 a New York, dove è stato deciso di raddoppiare gli sforzi per riuscire a raggiungere l'obiettivo


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ambizioso di ridurre del 50 per cento entro il 2008 il consumo delle droghe.
Anche l'Unione europea, che è diventata il più importante mercato di stupefacenti del mondo, si è mossa con determinazione riunendo a Rio nel giugno del 1999 i suoi Capi di Stato e di Governo con quelli dell'America Latina e dei Caraibi e attivando il «Piano di azione di Panama», che prevede una serie di misure antidroga per lo sviluppo della cooperazione, il controllo del riciclaggio del denaro, il rafforzamento delle azioni di informazione e formazione, il sostegno tecnico ed economico dei progetti di sviluppo alternativi.
È necessario infatti promuovere strategie alternative per diminuire l'offerta dei paesi dell'America Latina e dell'Oriente rendendo efficace la produzione di colture di sostituzione della coca (come, per esempio, il caffè biologico in Perù). I contadini delle Ande e della Colombia sono infatti le prime vittime della loro povertà o della violenza dei narcotrafficanti.
Al vertice di Rio è seguito quello di Lisbona, del maggio 2000, dove è stato deciso di instaurare un meccanismo di cooperazione e di coordinamento (è MCC) antidroga, con la creazione di una commissione tecnica che avrà il compito di coordinare l'attivazione delle misure preventive nel contesto del piano di azione.
Per concludere: i problemi legati alla droga nonostante la complessità e la loro natura globale non sono né irrimediabili né irreversibili. È fondamentale la cooperazione internazionale tra governi in sinergia con le istituzioni multilaterali, per dare un forte sostegno a tutte le iniziative volte a ridurre la domanda nei paesi europei e a diminuire l'offerta dei paesi produttori.
Come è necessario tener conto che la tossicodipendenza non è un problema esclusivamente sanitario, terapeutico e giuridico ma rappresenta soprattutto un fenomeno sociale, educativo e antropologico. Come è ormai largamente condiviso il fatto che il consumo di sostanze stupefacenti non è mai un atto di libertà né espressione dell'autodeterminazione della persona.
Per questi motivi, signor Presidente, con la nostra mozione chiediamo al Governo di impegnarsi sul piano internazionale e nazionale per un effettivo salto di qualità nella lotta alla droga e per una prevenzione attenta, prima di tutto, alla dignità della persona.

DORINA BIANCHI. Onorevoli colleghi, nonostante tutti gli sforzi compiuti sinora, l'uso illegale di droga, in Italia ed in Europa, è tuttora in crescita, come evidenziato dal piano di azione dell'Unione europea di lotta contro la droga, che ha ribadito la necessità di una risposta globale, multidisciplinare ed integrata per combattere la tossicodipendenza.
Questo tipo di approccio è reso tanto più necessario ed urgente dalla continua evoluzione del mercato delle droghe illegali.
Oggi l'Unione è la principale regione di produzione e di consumo di cannabis, anfetamine ed ecstasy, e preoccupante è la crescita del numero di minorenni, a volte in età preadolescenziale, che ne fanno uso e che sono coinvolti nello smercio nella veste di consumatori-spacciatori.
Accanto a queste droghe si conferma la tendenza di una continua ascesa dell'uso di cocaina, anche se la sua diffusione resta limitata, mentre al tradizionale consumo di eroina per via endovenosa si sta affiancando l'uso da parte delle nuove generazioni di eroina fumata. Il quadro è completato dall'aumento dell'uso, da parte degli adulti, di benzodiazepine in combinazione con l'alcool.
Questa è dunque la situazione attuale che, unitamente a condizioni di precarietà sociale e di diffusa micro-macrocriminalità, indica la necessità di agire in modo sinergico sia dal lato della domanda che dell'offerta.
Nel tentativo di mediare tra posizioni proibizioniste ed antiproibizioniste negli anni '70 nacque la strategia della riduzione del danno, la cui idea di fondo era di limitare il più possibile i danni recati dalla droga intervenendo direttamente sul soggetto attraverso la somministrazione di metadone, la distribuzione di siringhe e di


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profilattici, nonché la somministrazione controllata di eroina.
Questo approccio, dal lato della domanda, ha avuto un positivo impatto iniziale, quanto a evitare infezioni da HIV o da epatite, le morti da overdose o ridurre la microcriminalità legata alle droghe, ma deve trattarsi di una strategia a breve termine e non di una situazione di paranormalità.
Non è un caso che nella recente comunicazione della Comunità europea relativa al piano d'azione in materia di lotta alla droga si afferma che «non esiste evidenza alcuna dell'incidenza di queste strategie sulla trasmissione dell'epatite C o sulla modifica delle abitudini sessuali dei tossicodipendenti per quanto attiene alla trasmissione dell'infezione da HIV e che l'infezione da tubercolosi tra i tossicodipendenti è causa di altrettante preoccupazioni».
Sempre con riguardo agli strumenti propri della strategia della riduzione del danno, gli effetti positivi del metadone, utilizzato principalmente per la disassuefazione nella dipendenza da eroina, sono riconosciuti, in termini di integrazione sanitaria e sociale, ma il metadone non agisce sull'aspetto psicologico della dipendenza, se non in piccola parte, mantenendo inalterato quindi il desiderio di «farsi». È indubbio che presenti evidenti vantaggi perché permette di recuperare una minima dose di lucidità e di mantenere tutti quei comportamenti socialmente utili ed accettabili, ma non può essere condivisa questa stretta logica di riduzione del danno che condanna il tossicodipendente ad accettare il suo stato come necessario, calpestandone la dignità e la speranza di uscire dal circuito della droga.
Appare allora necessario intensificare l'informazione per prevenire la tossicodipendenza e ridurre i fattori di rischio. Informare i giovani e le loro famiglie diventa una questione vitale per affrontare il problema, in quanto sembrerebbe che vi sia una errata percezione dei rischi associati all'uso di droghe da parte delle nuove generazioni. Non è un caso che si sia posto sempre più l'accento sull'avvio di programmi educativi in giovane età quale mezzo atto ad instaurare fattori di protezione contro un futuro uso di droghe. La valutazione dei risultati ottenuti in Europa testimonia come i migliori rapporti interpersonali, l'autonomia e la capacità di resistere alla pressione dei coetanei costituiscano importanti fattori protettivi. Inoltre, siamo certi che l'impiego di campagne dei mezzi di comunicazione di massa e la diffusione di informazioni via Internet possano stimolare la presa di coscienza del problema, unitamente a programmi di formazioni professionale per gli insegnanti e per i responsabili dei giovani.
In questa azione di riduzione della domanda non dobbiamo sottovalutare l'apporto delle forze di polizia che, oltre al loro tradizionale ruolo nel campo della riduzione dell'offerta, possono essere positivamente coinvolti nel settore dell'educazione.
Se guardiamo ancora all'Europa vedremo che sono state percorse, fino ad oggi, vie diverse per affrontare il problema della droga: quella della tolleranza controllata, il guanto di velluto olandese; quella intransigente, il pugno di ferro svedese, fortemente determinata al recupero dei tossicodipendenti; le esperienze estreme, al limite della ghettizzazione dei drogati come Christiana, la «stupefacente» città danese della droga libera o come Spitz Platz che, prima che fosse chiusa, ospitava 7 mila «buchi» quotidiani fino a raggiungere i 12 mila nei giorni di festa.
Certo, il nuovo quadro normativo del trattato dell'Unione considera la cooperazione fra gli Stati membri nella lotta contro il narcotraffico un obbligo istituzionale, ma probabilmente, anche per la presenza di differenze sociali, culturali, economiche, filosofiche e religiose non si arriverà ad una risposta unica generalizzata; quello che si può ottenere sicuramente è un ravvicinamento delle normative in materia penale, anche per evitare la diffusione di un «turismo per droga».
In Italia si assiste ad uno scontro tra i fautori delle diverse opzioni; il nostro punto di vista è che non basti più la medicalizzazione ad oltranza; non si esce


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dal tunnel quando si smette di usare droga, ma soltanto quando si ritrova un motivo per vivere. Il reinserimento gioca quindi un ruolo fondamentale. La riduzione del danno non è un processo riabilitativo. Per invertire la rotta occorre rimettere al centro la persona con il suo disagio, ma anche con le sue potenzialità e le sue risorse.
Infine, e chiudo il mio intervento, vorrei chiarire un punto sulla liberalizzazione: ebbene, quella della liberalizzazione delle droghe è un'idea che potrebbe anche funzionare, ma solo se attuata a livello mondiale; al contrario è solo una bugia diffusa da chi considera ancora il drogarsi come una scelta individuale.

CESARE ERCOLE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlare di tossicodipendenza oggi significa tracciare un bilancio di quanto accaduto nel nostro paese alla luce di una serie di normative che periodicamente, a partire dalla legge n. 162 del 1990 che prevedeva un programma terapeutico e riabilitativo per i tossicodipendenti per proseguire con la legge n. 226 del 1993 e la n. 2756 di sanatoria dei decreti-legge precedenti, ripropongono il problema senza però mai raggiungere l'obiettivo di affrontarlo e di risolverlo in concreto.
Una considerazione diventa quindi inevitabile: le leggi finora preposte allo scopo di lottare contro la diffusione dell'uso delle droghe, siano esse leggere o pesanti, e con l'indubbia intenzione di sanare questa piaga sociale con il recupero alla normalità di chi vi si trovi coinvolto, hanno mostrato tutta la loro inefficienza ed inefficacia.
I risultati raggiunti infatti sono davvero deludenti e a provare questa affermazione giungono in sostegno i numeri delle rilevazioni condotte sul territorio che dimostrano ad esempio, come marijuana, cocaina ed ecstasy siano le droghe preferite dai giovani che iniziano a farne uso ad un'età sempre più bassa e che nonostante tutto non si sentono affatto «tossicodipendenti». Un frutto maturo dunque di quella politica di disinformazione condotta fin qui con campagne di comunicazione del tutto fuorvianti da associazioni guidate da sedicenti esperti, in realtà politici «mascherati», a causa dei quali si è diffuso in modo subdolo il concetto che solo chi si buca è davvero pericoloso per sé e per gli altri, mentre chi si fuma uno spinello o ingoia pasticche di ecstasy, sia abitualmente che occasionalmente, non rientra anch'esso nella categoria dei tossicodipendenti. Una forma di anestesia mentale collettiva, quindi, verso un problema che invece sta dimostrando, dati alla mano, una gravità soprattutto fra i più giovani, superiore alle aspettative.
Ma veniamo ai dati. L 'indagine condotta dall'Eurispes aveva proprio come scopo di evidenziare il grado e il livello di indifferenza e di istituzionalizzazione della droga tra la popolazione ed è giunta a risultati sconcertanti. In Italia i soli consumatori di sostanze pesanti come l'eroina superano le 300 mila unità. E non basta, visto che nel 2000 risulta essere aumentato il numero di chi si è rivolto ai Sert con 145.897 casi, pari ad una media di 287 tossicodipendenti per ciascun servizio.
Scendendo nel dettaglio delle cifre, la statistica traccia un identikit aggiornato dell'utilizzatore di droghe: l'86 per cento è di sesso maschile, il 51,1 per cento ha un'età compresa fra i 25 e i 34 anni; 1'82,8 per cento dichiara che tra le sostanze in commercio, la preferita resta l'eroina, seguita a grande distanza dalla cannabis con il 7,9 per cento delle preferenze e dalla cocaina con il 4 per cento delle scelte. E inoltre mentre risulta stazionario il numero di eroinomani, appare in crescita quello dei cocainomani e stazionario quello di chi fa uso di cannabinoidi.
Sempre dall'Eurispes risulta poi che il trattamento preferito resta ancora il metadone utilizzato regolarmente da oltre la metà dei casi seguiti dai Sert dove aumenta il numero dei trattamenti di lunga durata che passano così dal 27,1 per cento del 1999 al 29,4 per cento del 2000, mentre scendono in percentuale i trattamenti di breve durata, dal 10,2 al 9,9 per cento nello stesso periodo 1999-2000. E contemporaneamente risultano in calo gli


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ingressi nelle comunità terapeutiche, che tendono a svuotarsi, mentre sono in aumento gli accessi agli ambulatori distributori di metadone.
Un dato preoccupante e pericoloso, quest'ultimo che conferma ciò che altri hanno già definito «droga di Stato». In effetti, ancora una volta i numeri che abbiamo ricordato offrono la prova incontrovertibile che realmente 1'utilizzo del metadone non determina un allontanamento graduale dalla droga fino all'abbandono di tali sostanze, bensì una garanzia di dose continua e per di più gratuita per il tossicodipendente che viene così tacitamente e subdolamente sostenuto e protetto, quasi accompagnato in questo suo cammino. Sembra di interpretare questo comportamento dello Stato quasi come un tacito accordo con il tossicodipendente: se non commetti reati, se non ti procuri da solo la dose quotidiana danneggiando gli altri cittadini o mettendo a rischio la loro esistenza, io Stato ti garantisco quel metadone con cui potrai ugualmente continuare a drogarti, ma in totale tranquillità e silenzio, senza interferire nella vita della collettività. Insomma, un'equazione secondo cui, se nessun danno materiale viene inferto alla società, il problema droga è sotto controllo, praticamente non esiste.
Nulla di più sbagliato! Un concetto ancora più pericoloso, infatti, se si pensa quali ricadute sociali comporti 1'impiego delle sostanze stupefacenti, quali coinvolgimenti diretti e indiretti si verifichino nell'ambito famigliare, parentale, lavorativo e dei rapporti interpersonali.
È come se si volesse veicolare il principio secondo cui la droga è, tutto sommato, come una moda, una semplice abitudine che per essere tale però non deve provocare danni a chi vive accanto al tossicodipendente; un modo per dire che il tossicodipendente che si droga non interessa affatto da un punto di vista umano e morale, ma solo materiale.
Una simile affermazione ci trova assolutamente contrari anzitutto perché rappresenterebbe la totale sconfitta dello Stato, una bandiera bianca alzata dall'intera società davanti al problema droga e un abbandono delle persone tossicodipendenti al loro infelice destino. E ancor più grave alla luce di quel principio sancito dalla stessa Costituzione che all'articolo 32 stabilisce il diritto di ogni cittadino alla «tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo» oltre che nell'interesse della collettività. Principio che trova un ulteriore riscontro e sostegno nel Trattato di Amsterdam, che all'articolo 152 delinea una sanità partecipe delle azioni di prevenzione delle tossicodipendenze Altrettanto elevato è l'allarme nell'affrontare il problema della diffusione di droghe quali l'ecstasy che è in crescita passando dal 18,5 al 25,8 per cento in un anno e con una popolazione giovanile che ne fa un uso che si attesta nella fascia compresa fra i 15 e i 20 anni. Una tendenza che si ripropone in modo analogo per le droghe cosiddette leggere, una distinzione più di nome che di fatto, dal momento che alle droghe pesanti si arriva nella quasi totalità dei casi passando prima da quelle leggere in un'escalation difficile da interrompere.
Non dobbiamo poi trascurare un altro importante elemento di considerazione: la diffusione del narcotraffico non solo a livello nazionale e internazionale, favorita appunto da una situazione congiunturale favorevole, ma anche 1'impennata di episodi di microcriminalità collegati al mondo della droga. La situazione meriterebbe un diverso atteggiamento e un più attento approccio perché il traffico di droga dovrebbe essere sanzionato con maggiore severità. D'altronde finora è passato il principio della sinistra secondo cui il tossicodipendente è un soggetto psicolabile e scarsamente responsabile per cui su di lui risulta inutile qualsiasi forma detentiva; in effetti questo principio ha condotto chi fa uso di droghe ad una sensazione di parziale immunità e impunità in caso di furti o reati non gravi e di piccolo spaccio.
E così si è arrivati alla diffusione incontrollata, perfino fra i giovanissimi, delle nuove sostanze psicoattive, droghe tra cui rientrano le ormai note pasticche di ecstasy, il cui uso è in crescita in quanto


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assolutamente non percepite dai più giovani come una forma nuova di droga.
È dunque chiara la necessità che lo spaccio e così pure gli altri reati vadano perseguiti penalmente o amministrativamente con maggiore severità, senza indulgenze che vanno a discapito degli stessi tossicodipendenti oltre che della collettività ma soprattutto per proporre un modello di Stato presente anche tra la popolazione più giovane; in questa fascia d' età risulta infatti in crescita un altro aspetto inquietante e da affrontare con decisione e severità. Mi riferisco alla sempre maggiore diffusione di «baby gang» a causa delle quali si è prodotto un fatturato annuo legato alla droga, di circa 40 mila miliardi di lire, mentre risulta che solo il 30 per cento dei detenuti lo sono per reati legati al traffico, spaccio e uso di stupefacenti.
E non va trascurato nemmeno l'aspetto della sicurezza sociale, per la quale non si può non prendere in esame il principio della giusta punibilità di chi commette reati collegati al mondo della droga. La Lega nord non sostiene certo idee di prevaricazione o di limitazione delle libertà individuali, ma al contrario di rispetto umano, sociale e morale ed è in questo senso che secondo noi va ricordato che la libertà individuale termina laddove si confronti con la libertà di una intera società.
Si tratta di principi che la Lega ha anche ribadito in seno all'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa dove i senatori Francesco Tirelli e Fiorello Provera hanno bloccato un atto di politica volto alla liberalizzazione della droga presentato dall'inglese Paul Flyn che chiedeva di fare riferimento all'Olanda e alla Svizzera dove vige un regime di liberalizzazione e di non penalizzazione dell'uso delle cosiddette droghe leggere. Ancora una volta solo 1'intervento e la decisione della Lega, che ha poi ottenuto il consenso del Cdl e del Ppe, ha fermato in tempo una proposta della sinistra europea.
Tra le tante argomentazioni discusse in questi anni di dibattito parlamentare sul tema delle tossicodipendenze era emerso, fra l'altro, l'argomento della riduzione del danno. Ma quale riduzione del danno può esserci laddove si parla di dosi scalari di eroina fornita sotto controllo medico ai tossicodipendenti più gravi? Quale riduzione del danno laddove lo Stato latita abbandonando il tossicodipendente al proprio destino e limitandosi a fornirgli la dose di metadone? Quale riduzione del danno si può avere quando lo Stato ammette la possibilità di tenere droga in dose per uso personale, senza però definire la soglia entro la quale si può parlare di dose personale lasciando il tutto alla discrezionalità del giudice? Quale riduzione del danno, infine, si può avere quando vi è una netta contraddizione all'interno delle norme, quando da un lato lo Stato sancisce il diritto costituzionale alla salute e dall'altro con la giustificazione della tutela della libertà personale permette all'individuo di procacciarsi la dose di droga per uso personale o ancora peggio di accedere all'uso del metadone come droga di Stato?
Ancora una volta non saremo certo noi della Lega nord a negare alcun diritto di libertà personale, ma la semplice logica dimostra da sola che non esiste più alcuna libertà personale quando si utilizzano sostanze che mettono a rischio la propria incolumità e quella della collettività.
Nel contempo, però occorre lavorare sul fronte del recupero con il potenziamento, il sostegno e 1'ampliamento di tutte quelle strutture del sociale privato che operano nel settore del recupero dei tossicodipendenti e che finora sono state oggetto di uno scarso interesse e sostegno dello Stato da parte del quale si è preferito erogare fondi in particolare a quei progetti che sono stati definiti «unità di strada» ma che hanno portato a risultati praticamente nulli.
Va anche ricordato che alla droga, come espressione di profondo disagio morale, personale e sociale, che si esprime non solo con 1'utilizzo di droghe iniettabili in vena ma anche, come si è tentato di far credere, con il fumo e 1'ingestione di sostanze psicoattive, va aggiunto poi un altro aspetto, altrettanto importante e grave: quello sanitario per la diffusione


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sempre maggiore dell'Aids che ha raggiunto proporzioni del tutto imprevedibili, solo pochi anni fa.
Alla luce di questi dati che fotografano una realtà amara e dolorosa, la prevenzione diventa dunque la vera parola d'ordine, la sola strada perseguibile che più volte è comparsa nella normativa del passato rimanendo però lettera morta. Una prova del fallimento di tutte le normative prodotte finora e di cui i governi precedenti, in particolare quelli di sinistra, si erano fatti promotori. Un fallimento morale, prima ancora che materiale, per aver perso di vista il significato etico della lotta alla droga e del recupero dei tossicodipendenti abbandonati e soli nella loro schiavitù.
Nella mozione che abbiamo presentato come Lega nord, abbiamo tenuto in considerazione tutti questi elementi e abbiamo raccolto alcuni elementi sui quali riteniamo che il Governo dovrebbe impegnarsi.
Anzitutto è prioritario potenziare l'opera di prevenzione avviando una serie di progetti e interventi didattici già nelle scuole elementari e superiori sostenuti da una comunicazione corretta ma capillare sui mezzi di informazione. Ciò che riteniamo particolarmente importante per non ripetere errori precedenti è la scelta del personale incaricato di realizzare questi interventi, che non deve essere scelto per l'appartenenza politica ma per la reale esperienza e preparazione; possibilmente dovrebbe provenire o dall'ambito medico o dalle strutture di recupero che operano direttamente sul territorio e si relazionano quotidianamente con la realtà della tossicodipendenza. Una scelta che si accompagna a quella di incoraggiare qualsiasi forma utile di prevenzione tramite l'attività di ricerca e di studio a fini divulgativi e informativi svolti da associazioni e/o strutture operative sul territorio, oltre al sostegno e alla predisposizione di una formazione stabile di operatori del settore che preveda aggiornamenti costanti.
Riteniamo poi indispensabile rivedere interamente la strategia della riduzione del danno per evitare situazioni di sostegno e di cronicizzazione, anzi che di lotta alla droga e di completo recupero, fisico e psichico del tossicodipendente. A questo si accompagna il principio di una reale valorizzazione delle strutture del volontariato, del privato sociale e delle comunità terapeutiche di recupero, che si realizza anche tramite un sostegno economico a fronte però di un accreditamento che passi da controlli accurati sulle reali attività svolte e condotte dagli organi istituzionalmente preposti. Da non trascurare poi, un sostegno altrettanto valido che crediamo utile predisporre per le famiglie concepite come piccole comunità terapeutiche domestiche.
È importante inoltre che ogni percorso pubblico o privato che dimostri di dare risultati debba essere preso in considerazione, ma nel frattempo prevedere anche nuove forme di interventi e di strutture sul territorio in grado di fornire sostegno e strumenti per consentire di raggiunge l'obiettivo dell'abbandono dell'uso della droga da parte dei tossicodipendenti, ma comunque nel rispetto del dettato costituzionale e della legge che sancisce l' obbligo della tutela della salute di ogni cittadino, in primis dei tossicodipendenti.
E per finire, riteniamo si debba porre attenzione e impegno alla ricerca di accordi in sede europea per coordinare sia gli interventi di prevenzione che quelli di repressione, partendo da una maggiore e più consolidata cooperazione con i paesi europei al fine di mettere in atto una concreta lotta al narcotraffico che parta dal territorio, da quelle amministrazioni comunali che lavorano al primo livello della scala della prevenzione, cioè con le scuole, le famiglie, le organizzazioni sanitarie e le forze dell'ordine dislocate sul territorio. Coinvolgendo queste realtà è possibile avere il polso della situazione e tracciare altresì un quadro costantemente aggiornato e così utile alla lotta non solo contro i grandi trafficanti di droga ma anche contro il piccolo spaccio e la microdelinquenza. Rimuovendo le cause sociali che rappresentano terreno fertile per


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la diffusione dell'uso della droga, sarà possibile togliere le basi ai più alti livelli del mercato della droga.
Per concludere il mio intervento vorrei però sottolineare un'ultima considerazione; nonostante le numerose intenzioni di dare una risposta al problema droga, nel nostro paese si è verificato quello che sembrava purtroppo facilmente prevedibile con le normative finora approvate: uno scollamento tra la riflessione teorica, l'enunciazione di principio e la prassi operativa nel campo della prevenzione, il che ha prodotto seri danni fisici e morali all'individuo e alla famiglia, come primo nucleo sociale, nonché alla collettività tutta. Quello che si ricava dall'esame della situazione attuale è una facile arrendevolezza dello Stato che non è in grado di opporsi alle spinte disgreganti provenienti dal mondo della droga. Pare di leggere quindi una volontà di assistenzialismo volto solo a tacitare il problema: nessun rumore, nessun problema con il risultato però da parte dello Stato di perdere il controllo della vita politica e sociale e di essere incapace inoltre di tutelare i cittadini più onesti e responsabili.
La prevenzione, dunque, perché sia efficace, si deve coniugare inevitabilmente anche con l'amore per il prossimo, con il senso della responsabilità civile, morale e sociale, con il diritto alla libertà, nel contemporaneo rispetto del diritto alla salute fisica e psichica.

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