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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Volontè ed altri n. 1-00042, Michelini ed altri n. 1-00044, Valpiana ed altri n. 1-00045, concernenti la lotta alla tossicodipendenza (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Cè ed altri n. 1-00049, Maura Cossutta ed altri n. 1-00050, Turco ed altri n. 1-00051 e Fioroni ed altri n. 1-00052 che, vertendo sullo stesso argomento delle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente.
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione della relazione è pubblicata in calce al calendario dei lavori (vedi resoconto stenografico della seduta del 14 gennaio).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni all'ordine del giorno.
È iscritto a parlare l'onorevole Michelini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00044. Ne ha facoltà.
ALBERTO MICHELINI. Signor Presidente, data l'ora chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente.
È iscritta a parlare l'onorevole Dorina Bianchi, che illustrerà anche la mozione Volontè ed altri n. 1-00042, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
DORINA BIANCHI. Signor Presidente, anch'io chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente.
È iscritto a parlare l'onorevole Ercole, che illustrerà anche la mozione Cè ed altri n. 1-00049, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
CESARE ERCOLE. Signor Presidente, anch'io mi associo ai colleghi e chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo del mio intervento.
PRESIDENTE. Sta bene. La Presidenza lo consente.
È iscritto a parlare l'onorevole Burtone, che illustrerà anche la mozione Fioroni ed altri n. 1-00052, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, noi consideriamo importanti le mozioni che sono state presentate e vogliamo subito dire in premessa che riteniamo che questo dibattito non debba essere rituale; proprio per questo non vogliamo nascondere qualche preoccupazione. La preoccupazione deriva dalla confusione che il Governo ha manifestato in alcune dichiarazioni, per esempio quella del Vicepresidente del Consiglio che ha parlato in maniera molto confusa di un dipartimento nazionale antidroga, ha riproposto la questione della repressione, ha considerato fallimentari la strategia della riduzione del danno e, complessivamente, le strutture pubbliche che operano nel campo della tossicodipendenza. Inoltre, consideriamo estremamente preoccupanti le dichiarazioni del ministro della sanità che, in un'intervista al Corriere della Sera del 28 dicembre 2001, ha definito testualmente interessante il centro sperimentale svizzero. Credo, allora, che noi dobbiamo sostenere l'impegno a non essere ondivaghi, cioè a non manifestare interesse con facilità e poi far calare il silenzio. Si deve invece portare avanti un impegno costante che veda impegnate le istituzioni, nonché i partiti e tutta la società.
Vogliamo dire subito che la nostra posizione non è quella dei portatori di verità; non vogliamo la spettacolarizzazione e consideriamo estremamente grave la criminalizzazione della tossicodipendenza. Abbiamo sempre pensato e sostenuto che, attorno a tale problema, al dramma di tanti giovani, occorre alimentare la cultura del dialogo e ragionare sulle analisi, sui risultati, ponendo in essere sperimentazioni che abbiano, però, ben chiari gli obiettivi da cogliere e le possibili conseguenze. Tra l'altro siamo convinti che la tossicodipendenza sia una questione complessa che tocca la vita degli uomini.
In ordine a tale problematica, non vi sono una motivazione o una causa: vi sono le motivazioni e le cause, le tante motivazioni e le tante cause; è in continua evoluzione per l'età e per le fasce dei consumatori, così come continuano a manifestarsi novità importanti nel consumo di alcune sostanze stupefacenti.
Sappiamo che è diventata drammatica anche la presenza di droghe sintetiche, venute alla ribalta negli ultimi anni: sono molto pericolose e, soprattutto, sono state nel passato sottovalutate.
In ordine al problema della tossicodipendenza vogliamo adottare alcune scelte di campo: non guardiamo, in primo luogo, all'oggetto droga ma al soggetto persona. Non ci sentiamo sconfitti né rassegnati e riteniamo che la battaglia contro la droga si possa vincere; lo dimostrano i tanti giovani che ritornano alla vita, dopo essere entrati nel tunnel della droga. L'altra scelta di campo è che pensiamo ad un'idea guida: la strategia globale, la necessità di portare avanti, con sinergia, un impegno
per la prevenzione, anche per la cura, la riabilitazione ed il reinserimento, una forte iniziativa politica per la repressione dello spaccio e del traffico.
Quando parliamo di prevenzione, pensiamo alla necessità di intervenire sulla domanda e di incidere, quindi, nel contesto del più generale disagio giovanile. Sappiamo, tuttavia, che non sono sufficienti i messaggi informativi sul fenomeno, anche se nel recente passato il Governo di centrosinistra si è impegnato ad offrire ai giovani argomenti precisi e non terroristici attorno alla problematica in discussione. Sappiamo che quando parliamo di prevenzione, dobbiamo andare più in profondità ed affrontare questioni complesse che appartengono al mondo contemporaneo, non facilmente semplificabili: le incomprensioni, le impotenze dei giovani di fronte al mondo globale, la percezione di vuoto e di violenza del consumismo esasperato, la mancanza di valori di riferimento, di messaggi educativi, di diritti e di doveri di cittadinanza. Sono tutte questioni che ci vengono poste e che interessano le nostre famiglie, la comunità e le istituzioni. Pur sapendo, quindi, che il cuore del problema rimane aperto e che deve essere affrontato alle radici, non è semplicistico dire che, con realismo, dobbiamo prendere atto di dati drammatici che si riscontrano nella tossicodipendenza.
Inoltre, pur avendo portato avanti, con impegno in tanti paesi europei, e non soltanto, politiche di prevenzione, tanti giovani si drogano. Pertanto, l'impegno che deve essere assunto con le nostre mozioni è quello di portare avanti una strategia che sappia farsi carico della cura, della riabilitazione e del reinserimento dei tossicodipendenti.
Per la cura, riteniamo sia necessario mettere in campo tutte le azioni possibili, senza pregiudiziali e senza preclusioni: ogni strategia terapeutica capace di combattere il flagello della droga deve essere sostenuta, sia essa pubblica o privata.
Sappiamo che, attorno a questa problematica, vi sono state divisioni e che molti hanno criticato i servizi pubblici territoriali (mi riferisco ad un'intervista del Vicepresidente del Consiglio). Riteniamo che la critica diventi distruttiva se non pone alternative e se il suo unico scopo è quello di mettere in discussione le strutture pubbliche presenti nel nostro sistema sanitario. Riteniamo che i servizi territoriali debbano essere riorganizzati perché, pur con alcuni limiti, essi hanno già dimostrato efficacia ai fini della soluzione di problemi complessi relativi alla tossicodipendenza.
Allo stesso modo vogliamo, ancora una volta, ribadire l'importanza della strategia della riduzione del danno. Certamente, parlare di riduzione del danno può far pensare alla rinuncia, alla rassegnazione, al rischio che la tossicodipendenza venga «sanitarizzata»; ma la fotografia oggettiva della tossicodipendenza mostra l'esistenza di una «terra di nessuno», di tanti giovani che, in una fase della loro vita, non sono ancora in grado di uscire dal tunnel della droga (e sono quelli che rischiano di più). Questi giovani hanno bisogno di interventi, presenti nella strategia della riduzione del danno, a bassa soglia, degli operatori di strada, e questo è un approccio di aiuto che non dobbiamo far mancare, neanche a coloro che ancora non sono disposti ad uscire dal tunnel della droga. Vediamo, quindi, l'importanza della strategia della riduzione del danno come mezzo e non come fine.
Infine, pensiamo sia necessario dare più forza alle comunità terapeutiche, quelle che hanno ottenuto i migliori e più significativi risultati. Sono risultati dimostrati dai tanti giovani che sono usciti, che si sono riabilitati e che hanno trovato un inserimento sociale. Per loro, per le comunità terapeutiche, bisogna prevedere nuovi sostegni, al fine di migliorare le loro strutture ricettive. È necessario affidare loro anche attività di prevenzione, direttamente promosse e gestite, ma, soprattutto, bisogna andare oltre i risultati ottenuti. In altre parole, i problemi molto spesso insorgono quando il giovane curato deve essere reinserito nella società, quando ritrova città invivibili, non trova centri di accoglienza e, soprattutto al sud, non trova il diritto di piena cittadinanza:
il lavoro, che potrebbe avere uno scopo anche pedagogico e formativo e di reinserimento a pieno titolo. L'impegno, quindi, non è finalizzato a fare dei giovani ex tossicodipendenti una categoria protetta, ma ad offrire strumenti alle comunità, perché dopo la disintossicazione e la riabilitazione possano preparare il pieno reinserimento del giovane nella società.
La strategia globale non può fare a meno, come dicevamo, della repressione. La nostra posizione è chiara: non vogliamo criminalizzare il tossicodipendente, ma sappiamo che bisogna ulteriormente rafforzare le politiche che colpiscono gli spacciatori e, soprattutto, rinnovare un forte impegno contro il narcotraffico. La lotta alla droga deve essere soprattutto lotta al cartello della droga e a tutte le mafie che, attorno ad essa, fanno i loro sporchi affari. Una svolta è possibile ed è quella di incidere sul riciclaggio: sappiamo che flussi di danaro sporco giungono nel mercato legale attraverso società e banche che sono presenti nei paradisi fiscali. Un impegno serio può essere quello di mettere fine al segreto bancario ed è una delle proposte a cui è pervenuta anche l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, riunitasi nel 1998, con la partecipazione di 35 Capi di Stato, a New York.
In quella sede, fu avanzata tale proposta, al fine di sollecitare una riflessione. Fu ribadito che la droga è un problema planetario che necessita l'adozione di una posizione comune e l'impegno di tutti gli Stati ad evitare che vi sia l'offerta e la domanda, con iniziative che passano attraverso una politica finanziaria chiara e netta, che blocchi chi fa affari sulla tossicodipendenza.
Signor Presidente, vorrei fare un'ultima considerazione, nata a seguito della presentazione di alcune mozioni che non affrontano, in termini definitivi, il problema. Esso rimane aperto. A tal riguardo, vogliamo esprimere la nostra opinione come esponenti del gruppo della Margherita. Molto spesso, quando si parla di tossicodipendenza, si affronta il tema del proibizionismo e dell'antiproibizionismo. Quando tale questione diventa veramente dialettica, ci si ferma, si arriva all'immobilismo. Il dibattito, in tal caso, non è utile perché porta a non agire contro la droga. Nel frattempo, emergono schemi manichei e furori ideologici, quasi a voler mettere uno spartiacque tra conservatori e progressisti, tutti convinti di possedere la verità. Noi pensiamo, invece, che occorra dialogare e sviluppare una capacità di ascolto.
Entriamo nel merito delle questioni anche in questo dibattito. La prima riguarda l'opportunità di un'iniziativa autonoma di un paese nella scelta di legalizzare qualsiasi droga, sia essa leggera o pesante. Ho parlato dell'Assemblea generale dell'ONU e ho riferito che, in tale sede, è stata ribadita, con una risoluzione, l'illegalità della droga. Va anche ricordato che il Parlamento europeo ha più volte detto «no» alla legalizzazione di qualsiasi droga. Ciò rappresenterebbe, dunque, un atto di grave rottura internazionale delle convenzioni, più volte votate. Il nostro paese, unito nella solidarietà europea, non può non tener conto delle politiche più volte approvate in quella sede. Deve esserci dunque l'impegno a non discostarsi dalle posizioni condivise e soprattutto di evitare che il nostro paese diventi, così com'è accaduto altrove, meta di turismo della droga.
La seconda considerazione ha un riferimento scientifico. Qualcuno sostiene che le droghe cosiddette leggere non provochino danni alla salute. Questa sera vogliamo affermare che anche su questi temi è necessario un ulteriore approfondimento. Le droghe cosiddette leggere possono comunque causare gravi danni alla sfera psicoemotiva di un adolescente che deve educare le proprie emozioni. Le droghe leggere alterano il rapporto con la realtà e disinnescano i freni inibitori. Tra l'altro, quando si parla delle droghe leggere, non si tiene conto di quelle cosiddette sintetiche che, è vero, non provocano assuefazione, ma causano gravi danni fisici al sistema nervoso centrale.
Quindi, riteniamo sbagliato pensare alla legalizzazione. Si è di fronte ad una sottovalutazione del fenomeno, mentre è
necessario intervenire con tempestività e profondità ed occorre capire cosa induca all'uso della droga: è proprio nel momento in cui il disagio nasce che bisogna saper percepire il messaggio di protesta, di denuncia e di dolore lanciato dal giovane che comincia a fare uso di stupefacenti.
La terza considerazione è economico-finanziaria. Si asserisce che legalizzare le droghe leggere possa servire a separare il loro mercato da quello delle droghe pesanti, ad evitare una contiguità, a sottrarre alle organizzazioni mafiose una larga fascia di consumatori; inoltre, la legalizzazione farebbe venire meno il cosiddetto proibizionismo e determinerebbe, conseguentemente, una caduta del consumo di droga.
A tali argomentazioni abbiamo da opporre alcune semplici considerazioni. Pensiamo che non si possa ridurre un fenomeno così complesso a questioni economico-finanziarie; in ogni caso, dovendo comunque stabilire alcune regole (ad esempio, il limite di età degli acquirenti), lo Stato-distributore sarebbe nuovamente scavalcato da mercati illeciti che si rivolgerebbero a nuovi consumatori ed a nuove sostanze.
Ma poi, siamo veramente certi che la legalizzazione faccia passare di moda lo spinello e che l'assenza di trasgressione possa far diminuire il consumo di stupefacenti? Anche in questo caso possiamo controbattere in maniera molto semplice: la legalizzazione non darebbe alcuna motivazione per smettere e, forse, ne offrirebbe tante per cominciare; non si avrebbe una diminuzione del consumo, ma anzi un aumento, senz'altro utile alle mafie del narcotraffico, le quali appronterebbero altre strategie per adescare nuovi consumatori.
Non bisogna guardare alle scorciatoie; occorre privilegiare l'impegno serio e quella strategia globale cui abbiamo fatto riferimento (e quando parliamo di strategia globale alludiamo anche alla necessità di non gettare la spugna). A tale proposito, alcune considerazioni riferite alla cosiddetta esperienza svizzera trovano la nostra ferma opposizione. Più specificamente, avendo riguardo proprio al predetto esperimento svizzero, il ministro della salute del Governo Berlusconi, professor Sirchia, in un'intervista concessa al Corriere della sera, ha ritenuto di poter considerare interessante l'utilizzo legale dell'eroina.
Vogliamo dire al ministro che consideriamo tale strategia estremamente negativa: somministrare eroina significa mettere a rischio l'equilibrio psicofisico del giovane, distruggerne l'intelligenza, l'amore per la vita e l'esistenza stessa. Nel famoso parco di Zurigo, i giovani non vengono curati, ma isolati, accontentati e nessuno si preoccupa del loro futuro: è una scelta, quella, comunque egoistica. Non pensiamo a quella svizzera come ad una esperienza di tolleranza: essa ha come obiettivo di rimuovere il problema della tossicodipendenza.
Sono queste le motivazioni poste alla base della nostra mozione. Dopo averle illustrate, da un lato, riteniamo di dover ribadire il nostro impegno per la cura, la riabilitazione ed il reinserimento dei giovani e, dall'altro, vogliamo dire di no alla legalizzazione di qualsiasi droga.
Dire «no» non significa criminalizzare il tossicodipendente, non significa avere esaurito il problema, dire «no» significa che vogliamo fare una scelta probabilmente più difficile: aiutare i giovani ad uscire dal tunnel ed a scegliere la vita. Tanti giovani lo hanno dimostrato con la loro esperienza: la droga è un male che si può vincere, ma è una sfida che coinvolge tutti, nessuno escluso (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Maura Cossutta, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00050. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, ritengo che sulla questione delle droghe occorra molta più serietà. Molto, certo, è stato fatto, molto si è discusso, ma ancora tanto c'è da fare e tanto c'è da discutere. Troppo spesso prevalgono, invece, atteggiamenti
pregiudiziali che non aiutano all'ascolto, al confronto, e quindi anche alle scelte. Invece, occorre innanzitutto un atteggiamento culturale di non autoreferenzialità e una scelta condivisa di sincera e coerente laicità. Sì, parlo di laicità, perché credo che questo sia un punto dirimente. La laicità non è un pensiero debole, un minimalismo culturale pragmatico, non significa relativismo etico né tanto meno anticlericalismo. È l'orizzonte alto che i nostri padri costituenti tutti hanno scelto per scrivere il patto costituente. La laicità non è un contenitore vuoto di valori e di principi, bensì il percorso consapevole che ha costruito la cultura dell'universalismo dei diritti e la cultura democratica. Lo dico perché questa cultura ha affidato alla politica, all'istituzione, il compito della ricerca del bene comune e della costruzione della polis. Al di fuori di questo, io credo che la politica si riduca a ben poca cosa: tattica, rincorsa della convenienza. Così essa entra in una crisi profonda di autorevolezza. Oggi, tutta la politica è in crisi, e non è un caso che oggi parlino le uniche autorità storicamente riconosciute: la Chiesa e la scienza. Ma questo non è un bene. Nell'affrontare allora il tema delle politiche sulle droghe occorre tenere conto di questo e contrastare tutti insieme ideologie a priori, presunzioni di verità, illusioni di sicurezze identitarie, e anche - io dico - percorsi legislativi che abbandonano la strada maestra della laicità. Il mio atteggiamento, quindi, vuole essere aperto, chiaramente e dichiaratamente aperto, e, con questa ricerca vera di confronto, tenta di essere rigoroso.
Dobbiamo ragionare sulle tante esperienze, sui risultati, sulle conseguenze di alcune scelte fatte, sui contesti storici, sociali, culturali, da cui quelle scelte sono partite: in Italia, in Europa e nel mondo. La mia opinione è che alcuni modelli - li chiamo modelli perché sono diventati dei modelli -, purtroppo, non abbiano funzionato. Non ha funzionato il modello che, per chiarezza, per semplificazione, abbiamo tutti chiamato proibizionista; si è dimostrata un'illusione l'equazione vietare uguale a impedire. Nella mozione che ho presentato a nome di tutti i deputati del gruppo dei Comunisti italiani (con la firma anche di altri deputati, di altri gruppi) sono citati dati, statistiche. Si è proclamata la guerra alla droga, ma si è lasciata fare purtroppo la guerra ai drogati. Il proibizionismo, le politiche punitive, non sono riuscite né a vedere né a contenere soprattutto le conseguenze di questa criminalizzazione. Penso all'aumento vertiginoso del numero dei detenuti ed anche all'estensione del fenomeno criminale del traffico delle droghe, grande business mondiale (ai primissimi posti). Ritengo, però - e questo è il secondo punto - che anche il modello cosiddetto della legalizzazione abbia seri limiti - e mi rivolgo ai colleghi popolari - , perché, se è vero che può eliminare il mercato illecito, esso è condizionato solo dagli aspetti legali, senza considerare il rischio dell'allargamento del consumo. Ragioniamo, io sono pronta a ragionare e a confrontarmi.
Ancora: il modello, diciamo, medico, cioè l'approccio al problema fondamentalmente da un punto di vista medico, pone, credo, serie questioni. Sanitarizzare e medicalizzare questo problema complesso significa rimuovere l'obiettivo di intercettazione del disagio sociale non solo dei giovani, cioè rimuovere quegli aspetti psicologici, sociali e culturali del fenomeno e, invece di assumere l'obiettivo della tutela della salute del tossicodipendente, soprattutto dalla piaga delle infezioni da HIV - questo, ad esempio, è stato un elemento che ha contribuito a correggere le politiche di tanti Stati europei negli anni passati - e della salute pubblica, propone strategie esclusivamente sanitarie e mediche che considerano sempre il tossicodipendente come un malato non in grado di badare a se stesso e tale da poter essere addirittura considerato incapace di intendere e di volere, con la conseguenza, inevitabile, di un'unica risposta terapeutica obbligatoria e persino coatta. Lo dico perché è di questo che si sta parlando: anche di ipotesi di strategie terapeutiche obbligatorie e
coatte con la conseguenza, ancora più grave, che questo malato non sia più titolare della pienezza dei diritti.
Le comunità in cui si pratica esclusivamente la scelta dell'astinenza, anche prevedendo il ricovero coatto, sono, oggi, sempre più corteggiate ma sono sempre più simili, purtroppo, alle istituzioni segreganti dei vecchi e nuovi manicomi proposti da disegni di legge della destra che vogliono modificare anche la legge n.180. Sono domande serie, sono dubbi che, insieme, dobbiamo porci: è questo davvero il modello che si vuole perseguire? Si ha coscienza, per davvero, di dove può portare questa brusca, violenta inversione di rotta? Sta avvenendo una torsione profonda, io credo, di una cultura di riferimento che, badate, non è solo una cultura della sinistra, è una cultura di riferimento più generale che è stata capace di costruire, nei decenni, diritti e conquiste per tutti, emancipazione sociale, promozione delle libertà e responsabilità individuali insieme: libertà e responsabilità individuali insieme anche alla responsabilità collettiva.
Si dice che lo Stato ha il diritto e il dovere di intervenire sostituendosi al soggetto fragile e/o patologico e/o deviante e lo si dice in termini etici, non solo, quindi, per la sicurezza della collettività ma anche per la salvezza di questi soggetti. Questo è un punto delicato, forse anche di divisione, ma credo che dobbiamo confrontarci perché ritengo sia in discussione una cultura di riferimento. Si dice che questa è la vera solidarietà. Io penso che stia dilagando una visione etica della legislazione sull'onda, purtroppo, di emozioni e di paure che si cavalcano senza governarle.
La tolleranza zero non assume più alcun connotato autoritario ma solo salvifico. Questa solidarietà, in realtà, a mio avviso - è questo un motivo di discussione su cui intendo confrontarmi con tutti i colleghi - è subalterna al divieto penale ed è preoccupante che questi segnali non siano visti e non siano compresi come segnali preoccupanti. Mi rivolgo a chi non è di sinistra ma è un democratico, un laico e mi rivolgo anche ai cattolici che sono o dovrebbero essere, tutti, laici; mi rivolgo a chi è e si sente liberale: la normalizzazione sociale autoritaria, questa intolleranza salvifica, il dilagante impulso ad una legislazione fortemente etica non sono segno di modernità ma di restaurazione; è in atto un'operazione politica e culturale che poco ha a che fare, purtroppo, con l'efficacia delle politiche sulle droghe.
Si riservano attenzione ed interventi per i tossicodipendenti che scelgono la strada terapeutica, per coloro che si vogliono salvare, ma solo per quelli, e abbandono, purtroppo - mi rivolgo al collega del gruppo dei popolari -, di quell'altra utenza che non si intercetta o che subisce, nelle comunità, un fallimento terapeutico. Sulle droghe, certamente, devono cambiare i comportamenti dei tossicodipendenti ma anche l'atteggiamento della società verso di loro. Non sarà sufficiente nessuna politica se questo punto non sarà acquisito e se non si costruiscono, contemporaneamente alle politiche specifiche sulle droghe, anche le condizioni culturali per un pieno inserimento dei tossicodipendenti nella società.
Certo, serve allora l'informazione, tanta. Ma quanti tabù, quanti preconcetti, quando si fa informazione seria, corretta, tra gli adolescenti nelle scuole. Serve informazione, con tutti gli strumenti per intercettare i giovani, per far arrivare l'informazione, affinché diventi strumento attivo di consapevolezza. Serve quindi l'informazione, la prevenzione, tanta. Intervenire, certamente, sul disagio, là dove si intuiscono i segnali di un futuro problema. Serve una rete forte di servizi socio-sanitari, non solo pubblici, ma in integrazione - questa è l'esperienza positiva di questi anni - con il volontariato ed il privato sociale, con risorse certe ed aumentate (serve più welfare, non meno spesa sociale). Servono, inoltre - questo è il punto che ci differenzia da altri colleghi - misure capaci di depenalizzare: per ridurre il numero dei detenuti è necessario aumentare le pene alternative al carcere; serve, credo, una politica di riforma per mutare le norme culturali sulle droghe e portare verso una sempre maggiore integrazione
ed inclusione sociale dei tossicodipendenti. Se invece si pongono l'accento e l'enfasi, come purtroppo si sta facendo da più parti, soprattutto dalle destre (vedendo la mozione presentata dagli esponenti della Lega sono inorridita), sul divieto di consumo e sulla punibilità, anche le sperimentazioni dei servizi e le sperimentazioni terapeutiche si conformeranno sola alla logica coattiva, persino con una sovrapposizione tra sistema terapeutico e carcerario. A tal proposito la proposta di affidare alla comunità di Muccioli le pene alternative al carcere la dice lunga; lo ripeto, la dice lunga.
In conclusione, la mia mozione vuole dire semplicemente questo: costruiamo un'attenzione vera, seria, critica; sulle scelte finora fatte apriamo un confronto rigoroso, come è avvenuto durante la scorsa legislatura, con un'indagine conoscitiva alla Commissione sanità del Senato, anche in riferimento alle esperienze di altri paesi europei - che certo sono differenti da noi e a cui noi non vogliamo per tanti aspetti assomigliare -; esperienze che, purtroppo, non hanno in Italia la legittimità di essere discusse. La politica di riduzione del danno, è a ciò che mi voglio riferire, va nominata fino in fondo senza tentennamenti e va praticata con coerenza. Si tratta di una strategia complessa per un problema che si presenta complesso, una strategia che interviene su più piani: su quello dell'informazione e della prevenzione certamente; su quello dell'estensione dei servizi e delle politiche sociali, altrettanto. Interviene, però, anche su quello della depenalizzazione, aprendo alla sperimentazione. In tanti comuni questo è già stato fatto con molti operatori serissimi. Molto è già stato fatto. Parlo di una sperimentazione ovviamente controllata, attentamente valutata - ed intendo dire valutata rispetto anche ai risultati nelle comunità basate sulla scelta dell'astinenza (tutto questo l'abbiamo scritto nella nostra mozione) - cercando sempre il coinvolgimento, il più consapevole possibile, dei consumatori di droga. Parlo anche di una sperimentazione per fasce di popolazione a rischio, collega dei popolari, e non per tutti, della somministrazione controllata di eroina.
Si tratta di una strategia difficile, questa sì, molto difficile, proprio perché non è mai scelta di indifferenza, rassegnazione, che rimuove il dramma umano e sociale della droga. Si tratta, invece, di una politica che chiama il massimo della responsabilizzazione nel controllo sociale, di quella solidarietà fattiva che tutti proclamano ma che, per essere tale, prima di pretendere di salvare si deve imporre di aiutare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battaglia, che illustrerà anche la mozione Turco ed altri n. 1-00051, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, non è la prima volta che in Assemblea si affronta l'argomento della tossicodipendenza. Lo abbiamo già fatto anni fa con la legge n. 309 e più recentemente con la legge n. 145. Il tema è sempre stato oggetto di confronti appassionati, al di là delle posizioni di ciascuno di noi, perché tutti, credo, abbiamo a cuore l'esigenza di individuare la strada giusta per realizzare le condizioni per prevenire, arginare, sconfiggere, l'abuso di sostanze che portano dipendenza e le implicazioni che l'abuso di droghe porta nella vita delle persone, negli equilibri di tante famiglie, nella società intera. Non è quindi la prima volta, ma non siamo neanche all'anno zero.
Vi è oggi, a differenza che nel passato, un'importante rete di servizi: mi riferisco ai servizi pubblici e privati e ai SERT. Le comunità, i comuni e le ASL si sono impegnati e vi è una presenza nel territorio per affrontare questo problema. Anzi, vogliamo sottolineare il grande lavoro svolto nel corso della XIII legislatura, che non ha visto soltanto l'approvazione della legge n. 45 del 1999, ma anche, e soprattutto, una costante azione di Governo. Si è operato con efficacia per rafforzare i servizi, a partire dalla riqualificazione e dal rafforzamento della presenza pubblica, delle ASL e dei comuni,
ma si è lavorato anche per riorganizzare e migliorare quella miriade di realtà del privato sociale, fatto spesso di esperienze ispirate ad una forte solidarietà, molto motivate, con una forte componente di volontariato, esperienze, in alcune realtà di frontiera, anche eroiche. Mi riferisco a tante iniziative che si sono realizzate nella storia di questo settore, dal gruppo Abele, alle tante comunità e realtà di accoglienza, al CEIS al CNCA, a San Patrignano e alla fondazione Exodus.
Su questo fronte vi è stato un grande impegno e lo dimostrano il lavoro di questi anni ed i tanti atti del Governo di centrosinistra. Si è portato il fondo per l'intervento della lotta alla droga a 800 miliardi di lire ed è stato siglato l'atto di intesa tra Stato e regioni che ha consentito di costruire e di rafforzare una rete significativa, per offrire un ventaglio di possibilità di intervento: terapie multidisciplinari, trattamenti farmacologici, servizi di comunità residenziale e semiresidenziale, riduzione del danno (questione tanto discussa) e reinserimento lavorativo. Proprio questa gamma di possibilità è importante, perché il tossicodipendente - lo ripetiamo spesso - è un individuo con il suo disagio, con le sue nevrosi, con le sue povertà, ma anche con le sue risorse. Solo la capacità di capire quel male oscuro e i suoi problemi mette l'operatore ed il servizio in grado di realizzare un progetto individuale per quella persona.
Ecco il motivo per cui - anche in alcune mozioni presentate dalla maggioranza vi è traccia di questo atteggiamento - trovo sempre inutile e superficiale la difesa di questo o quel modello, l'alzare i vessilli di questa metodologia o di quella comunità, per dire che solo una è la soluzione e che l'altra non serve. Non è così. Ce lo dice l'esperienza di questi anni e, soprattutto, l'esperienza di chi ha lavorato con i giovani e meno giovani alle prese con questo dramma. Gli operatori ce lo hanno detto con molta chiarezza negli anni scorsi, ad esempio, nella prima conferenza sulla droga a Napoli e in quella successiva di Genova. Gli operatori, con il loro lavoro e la loro esperienza, ci hanno aiutato a capire che bisogna, e si può, prevenire la tossicodipendenza, ma tale obiettivo non si raggiunge soltanto con minacciose sanzioni e proibizioni; si previene il fenomeno, se si mettono tanti giovani in condizione di ragionare e di riflettere, se si forniscono loro le informazioni corrette, ad esempio, nella scuola, quando attraversano un età spesso difficile, o anche nei loro spazi, nelle discoteche, in quei luoghi di divertimento dove, però, spesso il gruppo e l'eccitazione rendono più facile l'aggancio dello spacciatore.
Gli operatori ci hanno insegnato che la tossicodipendenza si può vincere individuando di volta in volta il percorso giusto, che talora può essere la terapia psicologica e altre volte la somministrazione di un farmaco sostitutivo che consenta di attenuare la dipendenza e di avviare un processo di recupero o un intervento educativo, anche attraverso la sperimentazione, in molti casi, di una nuova vita nelle comunità.
Tuttavia, essi ci dicono che, se vogliamo affrontare il problema per quello che è, e non per quello che noi immaginiamo, dobbiamo sapere che non tutti i tossicodipendenti sono in condizione o sono disposti o hanno la forza di rivolgersi al servizio. Se il tossicodipendente non ha questa forza è il servizio che deve andare da lui. Mi riferisco a servizi a bassa soglia, riduzione del danno, quell'aggancio che ancora, magari, non ci consente di curare e di recuperare, ma apre un dialogo, difficile e debole in alcuni casi, e stabilisce un contatto. Magari ti dà la siringa per non contrarre l'AIDS o l'epatite, ma migliora la qualità della tua vita, ti aiuta a non morire. Questo, scusatemi, come leggo in alcune mozioni, non è accettazione, incoraggiamento, tolleranza alla droga, assuefazione, è tutt'altro: è una possibilità in più per agganciare persone che altrimenti rimarrebbero abbandonate a se stesse.
In questi casi di frontiera difficili e duri, come si fa a dire che metadone o riduzione del danno cronicizzano le situazioni? Certo, possono anche sortire questo effetto, possono farlo se gli interventi non
sono ben attuati. Al contrario, se bene effettuati, consentono di aprire un varco ad un possibile intervento di recupero: questo dice l'esperienza. L'intervento buono o cattivo non ha nulla a che vedere con il tipo di intervento - dobbiamo superare questo equivoco - ma ha a che vedere con la professionalità dell'operatore.
Vorrei dire ai colleghi Volontè e Michelini che il problema non è verificare i risultati della strategia della riduzione del danno, ma effettuare una costante verifica della qualità su tutti i servizi erogati. Infatti, si può sbagliare negli interventi sulla riduzione del danno, si può essere inefficaci nelle comunità e si può essere inefficaci nel lavoro dei SERT. Allora, dobbiamo lavorare alla qualità dei SERT, verificare gli effetti delle terapie farmacologiche, verificare i risultati del lavoro delle comunità e dei servizi a bassa soglia. Per tutti occorre conoscere quanti e quali utenti entrano nel servizio, quelli che escono e come ne escono, e quanti sono, poi, quelli che a distanza ricadono nella tossicodipendenza.
Abbiamo bisogno di verità in questo settore, non di slogan, di propaganda, di modelli che dicano «noi siamo i più bravi di tutti» e ti facciano vedere quello che quel giorno ti vogliono far vedere. Abbiamo la responsabilità di andare a fondo delle cose e chiediamo che si vada a fondo sull'insieme dei servizi per valutare quello che vale e quello che non vale, per incoraggiare e sviluppare quello che dà risultati e per scartare quello che, invece, risultati non dà. Solo questo ci aiuterà a mettere a punto nuove strategie sempre più efficaci ed anche a selezionare i servizi migliori, quelli che danno risultati. Non c'è dubbio che una messa a punto serva, ma non perché in questi anni, come leggo nelle vostre mozioni, si è privilegiato un tipo di servizi, quelli a bassa soglia, rispetto ad altri, o si sono rafforzati i SERT penalizzando le comunità. Sapete che ciò non è assolutamente vero perché in questi anni abbiamo avuto uno sviluppo dell'insieme dei servizi. Dobbiamo mettere a punto la strategia perché il fenomeno droga è in continua trasformazione. Cambiano i tempi, le persone, le abitudini, le mode, le sostanze e quello che valeva ieri non sempre vale anche oggi. Questo ci dicono i dati dell'osservatorio, i dati dell'Istituto superiore di sanità ed anche i dati comunicatici recentemente dal ministro Maroni.
Non credo che questo allarmismo serva a risolvere i problemi. Non vedo in Italia quell'onda crescente e devastante che descrive l'onorevole Michelini, la tragedia collettiva che non risparmia più nessuno. Se fossimo a questo punto, signori, dovremmo veramente ricominciare da capo. Le cose non stanno così. Naturalmente, lungi da me sottovalutare la gravità e la drammaticità del fenomeno, grave anche se ci fosse una sola famiglia a vivere questa tragedia. Non voglio, dunque, sottovalutare niente, però i dati non dicono quanto è scritto in quella mozione, tutt'altro.
Se vogliamo fare cose utili dobbiamo partire dalla realtà, non dalla descrizione di una realtà che non esiste o che non ha quelle caratteristiche. I dati ci dicono che il fenomeno della tossicodipendenza in Italia è statico, non c'è una crescita prorompente. Diminuisce l'uso di eroina, cresce, ma di poco, l'abuso di altre sostanze. È stabile il numero dei decessi e anche quello dei detenuti tossicodipendenti. Naturalmente, non ci possiamo accontentare di questo, però è tutt'altro rispetto a quello che leggo nelle mozioni.
Ci sono nuovi fenomeni preoccupanti, le nuove droghe: l'ecstasy, la ketamina, una crescita dell'abuso di cocaina. Si tratta di fenomeni gravi, non soltanto perché sono sostanze nuove e pericolose come le altre, ma perché spesso esse sono sottovalutate, non sono vissute da chi le assume come droghe, mentre, invece, provocano disastri anche loro.
In questi anni, all'interno di questo mondo che cambia, che si trasforma, qualcosa è successo; partendo anche da ciò che abbiamo realizzato (non lo dico per valorizzare il lavoro del Governo di centrosinistra ma perché si tratta di un lavoro collettivo), la società italiana si è attrezzata
ed ha risposto. Per esempio, gli ultimi dati forniti dal Ministero ci parlano di un fatto positivo, cioè che si è verificato un aumento del ricorso ai servizi da parte dei tossicodipendenti. Il vero problema è come agganciare il tossicodipendente e questo ventaglio di servizi che abbiamo costruito ha fornito la possibilità a più persone - che prima rimanevano fuori e non avevano contatto con i servizi - di rivolgersi agli operatori: tutto ciò è molto importante e ha rotto quel muro che separa il tossico, così come viene definito, dalla comunità.
I dati ci dicono che diminuiscono le infezioni di Hiv, l'Aids, e tutto ciò è molto importante perché migliora la qualità della vita di quelle persone, che non sono più lasciate a se stesse, ma hanno degli interlocutori, qualcuno che li aiuta anche a vivere meglio questa situazione drammatica dalla quale non riescono a liberarsi.
I dati ci dicono che anche i risultati dei servizi in termini di recupero sono buoni, perché tanti giovani - grazie ai SERT, alle comunità, ai servizi a bassa soglia e a quelli educativi e formativi - trovano in loro stessi e nei servizi la forza di cogliere l'opportunità di liberarsi dalla schiavitù della droga, per ridiventare uomini e donne libere.
Non so se abbiamo intrapreso la strada giusta perché dobbiamo sempre mantenere il dubbio (che ci fa andare avanti, guai cullarsi sugli allori), ma tutto ciò ci dice che abbiamo lavorato, che siamo andati avanti, che ci sono dei risultati positivi.
Credo che dobbiamo partire da questa realtà e anche le risoluzioni presentate oggi in questo Parlamento per essere utili devono farlo, per vedere come possiamo migliorare ed andare avanti. Da questo punto di vista, chiediamo al Governo degli impegni, in primo luogo quello delle risorse. Infatti, sono necessarie le risorse per rafforzare e migliorare la rete, per potenziare i servizi pubblici nella sanità (i SERT, le piante organiche, le assunzioni) - perché tale lavoro richiede risorse e personale - per rafforzare i servizi dei comuni per le comunità, e per sviluppare i servizi più difficili, quelli di riduzione del danno.
Da questo punto di vista, la finanziaria non ha dato risposte perché ha bloccato il fondo per le politiche sociali a quello dell'anno scorso; anzi, abbiamo dovuto presentare un emendamento perché avevate tolto circa mezzo miliardo, non so per quale vostro emendamento. Sulla sanità sappiamo quali siano le difficoltà, ne abbiamo parlato in quest'Assemblea poco fa.
Inoltre, è necessario anche attuare le cose che sono già state decise. Per esempio, l'atto di intesa Stato-regioni del 5 agosto 1999 va attuato in tutte le regioni: alcune lo hanno fatto, altre sono indietro. Dobbiamo, quindi, lavorare in questo senso, fissare gli standard per i servizi, istituire gli albi per le diverse specifiche aree, attuare la verifica della permanenza degli standard dei servizi finanziati.
In tutte le ASL bisogna realizzare i dipartimenti delle dipendenze, proprio per fornire un'evoluzione ai servizi dei SERT e per renderli più funzionali ed efficaci. Anche noi abbiamo a cuore la qualità del lavoro dei SERT e del servizio pubblico, non liquidiamo - come ha fatto l'onorevole Fini - l'attività di centinaia e migliaia di lavoratori che affrontano la parte più difficile, perché, a differenza di altri servizi, i SERT hanno l'utenza del territorio, quella più difficile, non quella selezionata con dietro la famiglia e via dicendo.
I SERT svolgono il lavoro più duro ed esso va rispettato: troppo comodo giudicare dal di fuori ed affermare che serve a poco o a niente. Invece, dobbiamo rafforzarli, creare i dipartimenti e fissare gli standard di funzionamento anche del servizio pubblico.
Inoltre, non dobbiamo attuare l'atto di intesa in tutte le sue parti, in quanto dobbiamo offrire quella che abbiamo definito la rete dei servizi, quella che ci consente di realizzare programmi individualizzati. Dunque, bisogna insistere sulla prevenzione, che significa: sostegno alla famiglia nelle sue responsabilità educative; potenziamento delle campagne di informazione, sia verso le scuole sia verso
discoteche e i giovani; attivazione di percorsi riabilitativi e sviluppo di quegli interventi di riduzione del danno che hanno dato risultati importanti. Tutto ciò, naturalmente, verificando quanto successo e il funzionamento dei servizi. Dobbiamo realizzare tutto questo anche guardando l'Europa, avvalendoci delle esperienze degli altri paesi.
Non credo che qui, per l'ennesima volta, si debba svolgere la solita discussione, in cui ci si accusa a vicenda di essere proibizionisti o antiproibizionisti, di voler vendere la droga dal tabaccaio o di voler mettere in carcere chiunque si fumi uno spinello. Si tratta di una polemica passata ed inutile che divide l'Assemblea e non risolve nulla, perché il mondo gira ugualmente e le vicende si realizzano lo stesso.
Sarebbe invece più serio guardarsi intorno, anche oltre i confini del nostro paese, valutando seriamente le esperienze anche degli altri paesi; ad esempio, quanto si è realizzato in Svizzera, in Spagna e in Olanda. Tra circa due mesi uscirà la relazione relativa al lavoro svolto in Olanda e, ritengo, che la questione seria da affrontare sia quella di misurarci con i risultati scientifici e non con quanto abbiamo sentito dire o abbiamo letto sul giornale. Occorre affrontare tutto ciò con un taglio rigoroso, scientifico e scoprire se altre soluzioni, magari sperimentate in altri paesi utilizzando determinati farmaci e sostanze, riescano a farci fare passi avanti.
Se, dunque, notiamo che anche da quelle esperienze - discutibili quanto vogliamo e discusse, tra l'altro, anche in questa sede - emergono cose positive, è nostro dovere misurarci con tali risultati. Quindi, anche forme di somministrazione controllata; verifichiamo quanto successo in quei paesi prima di scartare ogni soluzione.
Occorre svolgere tale verifica con rigore e coraggio, perché in gioco vi sono vite umane, che dipendono anche dalle nostre scelte. Soprattutto, dobbiamo guardare all'interno dei servizi che hanno vissuto una fase spontanea, sperimentale, con operatori che, spesso, soprattutto nei primi anni, si sono formati sul campo, non avendo un'adeguata professionalità ma che, nella realtà, hanno poi dimostrato di riuscire a conseguire dei risultati.
Ora, se vogliamo migliorare, dobbiamo passare ad una fase nuova, che richiede il superamento di aree di incertezza e di ambiguità. Vanno, quindi, definiti i profili degli operatori e di chi può essere responsabile di un servizio sociale o di un servizio sanitario; dobbiamo definire la formazione necessaria per svolgere quelle funzioni e, per coloro che già lavorano, dobbiamo definire l'equipollenza dei titoli, la formazione permanente nel pubblico e nel privato.
Se faremo tale operazione riusciremo a realizzare, a rafforzare, una gamma di servizi articolata, con operatori professionali, con modelli definiti nel pubblico e nel privato e, in quest'ultimo settore, anche con tariffe certe. Infatti, anche il privato ha bisogno di certezze; va bene la solidarietà, va bene il volontariato, va bene la passione che ci si mette, ma un servizio per funzionare ha comunque bisogno di risorse e di certezze nel finanziamento. Il pubblico non deve finanziare attraverso contributi, occorre disporre di strumenti più efficaci.
Occorre anche rivedere la situazione delle carceri; vi sono troppi detenuti tossicodipendenti. Anche tali soggetti hanno diritto alla tutela della salute e, nei limiti del possibile, se il reato è stato la conseguenza di una patologia, qual è la tossicodipendenza, allora è questa che dobbiamo curare e superare.
Quindi, sviluppiamo forme di custodia alternative al carcere. Non creiamo il carcere dei tossicodipendenti; non mettiamoli tutti da una parte, come sembra qualcuno voglia fare!
Facciamo un discorso serio: fissiamo gli standard, facciamo un albo presso il Ministero della giustizia, adottiamo tutte le soluzioni idonee a consentire alle persone di scontare la pena in una condizione che possa aiutarle a superare la dipendenza.
Ho concluso, signor Presidente. In ultimo, la nostra mozione sollecita maggior
impegno nella lotta al traffico ed allo spaccio delle droghe. È lì che si deve operare con fermezza e con rigore, usando i mezzi più sofisticati, mobilitando le forze dell'ordine, colpendo i capitali che si accrescono con il commercio della droga e il traffico internazionale. L'Unione europea ci invita e ci sollecita a collaborare nei procedimenti contro il traffico della droga: credo che la legge sulle rogatorie non aiuti a farlo.
Allo stesso modo, non ci rende ottimisti quello che sta succedendo al Ministero del lavoro e degli affari sociali del ministro Maroni: ho l'impressione che gli affari sociali, per questo Governo, quasi non esistano, non soltanto nel settore della tossicodipendenza, ma anche in altri settori. Ora mi si deve spiegare perché, per un anno, non si è convocata la consulta sulla tossicodipendenza, perché si è indebolito l'osservatorio, bloccando le convenzioni con il gruppo Abele e con il CNR. Posso capire l'atteggiamento nei confronti del gruppo Abele. O meglio, non lo capisco; comunque, il gruppo Abele non può essere simpatico a tutti, ma il CNR è un'istituzione pubblica. L'osservatorio è stato messo nelle condizioni di non funzionare e questo è grave sia sul fronte interno sia sul fronte dei collegamenti con l'osservatorio europeo di Lisbona: si tratta di strumenti importanti. Inoltre, non si capisce il motivo del rallentamento di una serie di provvedimenti amministrativi, né la mancanza di impegno sull'attuazione dell'atto di intesa con le regioni.
Ho l'impressione che ci sia quasi una fobia distruttrice di ciò che ha fatto il centrosinistra. Va bene. È passato quasi un anno: almeno, fateci vedere qualcosa di nuovo riguardo a quello che vuol fare il centrodestra nel settore sociale. Non vorrei che questo vuoto di iniziative il centrodestra lo colmasse non con la concretezza dell'agire quotidiano, ma sollevando polveroni contro servizi ed operatori che con impegno e sacrifici si adoperano per salvare tanti giovani dalla più drammatica emarginazione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
Onorevole Zanella, le ricordo che ha a disposizione otto minuti. Per l'economia del suo discorso, le devo dire che se lei dovesse utilizzare tutto il suo tempo oggi, non ne avrebbe poi per la dichiarazione di voto. Glielo dico perché si regoli.
LUANA ZANELLA. Grazie, signor Presidente.
La mozione Volontè ed altri n. 1-00042, come altre presentate dalla maggioranza, sin dal suo incipit, propone un approccio alla problematica delle politiche sulle droghe confuso e riduzionistico, non consentendo un confronto sobrio ed onesto con la complessità della questione; né, d'altronde, è possibile misurarsi serenamente con la ricchezza di analisi, di esperienze e di progetti che da anni, a livello nazionale ed internazionale, sono oggetto di studio, di riflessione, di dibattito politico, culturale ed istituzionale. Soprattutto, tale approccio impedisce di vedere le persone che fanno uso di sostanze stupefacenti. Di conseguenza, non si fanno le dovute ed imprescindibili differenze tra droghe e droghe, tra uso, abuso ed uso saltuario delle medesime. Si mette tutto nello stesso calderone: cannabis e suoi derivati, eroina, cocaina, ecstasy, crack, alcol; non si fa netta distinzione tra narcotrafficanti e consumatori di sostanze illecite né si avvia alcun ragionamento sulla depenalizzazione e decriminalizzazione. Si rimuove la scomoda realtà degli stili di vita che attraversano classi sociali, età, sessi e che comportano anche l'avvicinamento alle sostanze: rispetto ad essi, ovviamente, ha senso porsi non in termini repressivi e moralistici, ma con piani d'azione aperti ai contesti culturali e sociali, all'ascolto, al dialogo, all'informazione e alla promozione del benessere.
In premessa, si arriva a mistificare e, in alcuni passaggi, a falsificare lo stato attuale delle strategie adottate in Italia e all'estero, i dati reali e gli obiettivi raggiunti. Nel dispositivo si propone, di fatto, la liquidazione della riduzione del danno, dandone un'accezione mortificante e riduttiva;
si attaccano i SERT, che pur si dice di voler valorizzare, prevedendo addirittura un'unica tipologia di protocollo terapeutico a scalare che i SERT già applicano per oltre il 70 per cento dei casi; si tace, per esempio, sul mantenimento metadonico che consente vita e lavoro a persone che hanno reiteratamente fallito altre vie di terapia e recupero.
L'enfasi e la fiducia sono tutte riposte nella comunità terapeutica, considerata il vero snodo per la politica sulla droga a scapito dei servizi territoriali. Non viene preso in considerazione il fatto che la comunità migliore riesce a recuperare al massimo il 25 per cento di tossicodipendenti: basterebbe questo per porsi il problema del ventaglio di interventi e servizi che sono invece necessari per affrontare razionalmente il problema. D'altronde, le linee guida nazionali e regionali, i piani di zona delle realtà più avanzate, mai si pongono in alternativa ai vari tipi di intervento del pubblico e del privato sociale, perché è solo attraverso l'integrazione di una pluralità di soggetti e di strumenti che si riesce a governare e continuamente ricalibrare la strategia complessiva della politica sulle droghe. Eppure, atti a disposizione ne abbiamo in abbondanza per leggere luci ed ombre dell'attuale sistema di interventi e servizi creato per dare risposte, all'interno del quadro normativo, adatte a domande e bisogni vecchi e conosciuti e a quelli più recenti, meno conosciuti e più difficilmente aggredibili. E vi sono ancora problemi drammaticamente aperti: basti pensare allo scandalo dei 18 mila tossicodipendenti in carcere. Lì vi si possono rintracciare percorsi e scelte che creano orientamento e possibilità di progredire dal punto di vista umano, prima ancora che politico e giuridico.
Quello a cui assistiamo oggi, con le mozioni Michelini ed altri n. 1-00044 e Volontè ed altri n. 1-00042, non ha solo a che fare con la svolta reazionaria, autoritaria, controriformistica di questa maggioranza sul tema delle droghe, come quella che abbiamo visto sulla salute mentale; ha a che fare anche con una cultura forte e radicata, che si esprime chiaramente nello stesso impianto legislativo vigente che, nonostante il referendum del 1993, rimane compresso nell'ambito del diritto penale e contribuisce non poco alla costruzione del senso comune e allo stigma sulle persone tossicodipendenti come potenzialmente pericolose, persone da cui la società deve salvaguardarsi, segregandole in carcere o in apposite comunità terapeutiche. Si tratta di figure scomode, da sottrarre perfino allo sguardo, esattamente come le prostitute e altri soggetti che fanno parte del paesaggio urbano, cui non si riconoscono gli elementari diritti di cittadinanza e che rappresentano il negativo per eccellenza, perché testimoniano con immediatezza e indecenza le contraddizioni più laceranti del paese. Dunque, la battaglia è non solo sul piano politico e istituzionale - e per questo rimando alle mozioni da noi presentate - ma prima di tutto sul piano culturale e simbolico.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
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