Allegato B
Seduta n. 87 del 28/1/2002


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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO

Interrogazione a risposta orale:

SPINA DIANA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
nei trascorsi mesi sulla intera costa del Gargano, per una lunghezza di almeno cinquanta chilometri, si è intensificato il problema della erosione con preoccupanti restringimenti delle spiagge, pericolose frane sui siti rocciosi e intense fratture calcaree nelle grotte;
in particolare l'aggressione del mare ha cancellato totalmente l'intero litorale di Mattinata, demolendo ogni argine a protezione degli insediamenti ricettivi turistici; ha ridimensionato alcuni tratti di spiagge fra le più belle d'Italia, come quelle di Rodi Garganico, Peschici, Vico del Gargano e Vieste; sta seriamente compromettendo l'economia turistica e ambientale di un comprensorio inserito, peraltro in un Parco Nazionale;
invero, il fenomeno che investe già da lungo tempo molti tratti costieri della Puglia è stato oggetto di incarico di studio da parte della Regione, con risultanze, tuttavia, non compiutamente raggiunte o, comunque, non conosciute dalle comunità locali -:
se il Ministro interrogato, accertati i fatti, ritenga opportuno predisporre un monitoraggio del complesso fenomeno di erosione per tutta la costa del Gargano, onde prevenire rischi notevoli e, comunque, consentire la redazione di una dettagliata mappa;
se il Ministro non ritenga, nel frattempo, indispensabile l'adozione di provvedimenti d'urgenza per contrastare i fenomeni erosivi più allarmanti, quale per esempio quello del litorale di Mattinata, anche mediante l'integrazione dei provvedimenti tecnici e finanziari già da altre Amministrazioni eventualmente intrapresi.
(3-00608)

Interrogazione a risposta in Commissione:

BRUSCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
nella fase acuta dell'emergenza rifiuti, prodottasi in Campania fra il dicembre 2000 e il febbraio 2001, gli organi competenti rilevarono la loro necessità di individuare aree all'avvio - in tempo rapido - di impianti di vagliatura dei rifiuti solido-urbani:
con decreto del prefetto della Provincia di Salerno n 1222 15.5\/Gab\/EMER. In data 1o marzo 2001, veniva disposta l'occupazione temporanea di urgenza dell'area prescelta per l'ubicazione di un impianto di triturazione e vagliatura dei rifiuti solido-urbani in territorio del Comune di Palomonte, impianto di natura temporanea, di cui funzionamento veniva previsto per il periodo strettamente occorrente per l'attivazione, nella provincia di Salerno dell'impianto di produzione di Combustibile Derivato da Rifiuti (CDR);
con provvedimento prefettizio n.1224.15.5\/Gab\/EME:R: emanato nella stessa data, veniva autorizzata la realizzazione della 1a fase di posizionamento di una linea di tritovagliatura sita nell'area industriale di Palomonte;
a partire dal gennaio-febbraio 2001 fino alla odierna venivano realizzati nella regione Campania sette impianti di vagliatura (oltre a numerosi impianti di tritoimballaggio), mentre l'impianto ubicato a Palomonte non avviava alcuna attività, a causa dei ritardi nel collaudo il cui certificato è stato emesso solo in data 3.12.2001;
a distanza di dieci mesi dal sopravvenire dell'emergenza rifiuti, il Prefetto con provvedimento n. 2001 5.5\/Gab\/EME:R: del 16 gennaio 2002 disponeva l'esercizio dell'impianto;


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con nota n. 38220\/CD del 14.12.2001 la struttura del Commissario per l'emergenza rifiuti, bonifiche e tutela delle acque nella regione Campania esprimeva un parere estremamente critico sull'ipotesi di apertura dell'impianto di Palomonte, specificando che il parere favorevole a suo tempo reso, «si inquadrava in una fase acuta dell'emergenza», mentre con l'avvio dei sette impianti di vagliatura e di tre nuovi impianti di CDR l'emergenza rifiuti, per quanto ancora presente, è entrata in una fase di gestione che ne permette un maggior controllo;
nella stessa nota si riferisce testualmente che «si può affermare che l'aspetto più preoccupante dell'attuale fase di emergenza è proprio rappresentato dalle circa 60.000 ton. ancora stoccate e comunque prodotte nell'ultima decade di agosto; rifiuti che, ovviamente, non possono essere vagliati e che furono stoccati proprio in conseguenza dei ritardi con cui si sono avviati gli impianti di vagliatura nella provincia di Salerno, mentre «i rifiuti quotidiani prodotti, vengono regolarmente smaltiti»;
infine, la nota citata espone una serie di rilievi sulle diseconomie che deriverebbero dall'avvio del suddetto impianto, sulle alternative in grado di garantire un maggior livello di efficienza, sulla opportunità di considerare che - venute meno le condizioni di emergenza - assurge ad assoluta rilevanza il fatto che anche una o poche famiglie subiscono un indiscutibile danno nel vivere a qualche decina di metri da un impianto destinato comunque a trattare rifiuti» -:
quali iniziative intenda avviare per chiarire le motivazioni di un provvedimento che, a dieci mesi dal decreto di occupazione di urgenza, in una situazione completamente mutata ed in presenza di un opposto e documento avviso da parte della struttura del Commissario di Governo per l'emergenza rifiuti, rischia di consentire l'avvio di un'attività ormai inutile ai fini dell'emergenza rifiuti in Campania, dannosa per l'ambiente e per la salute degli abitanti di Palomonte, poco efficiente sul piano della gestione dei rifiuti e non collegata a nessuna reazione, assolutamente antieconomica;
per garantire, che, nel territorio di Palomonte, i valori, della tutela ambientale vengano efficacemente tutelati;
per impedire iniziative in palese contrasto con un'efficace pianificazione regionale della gestione dei rifiuti, nello spirito della effettiva attuazione delle finalità della legislazione vigente;
se la scelta del gestore dell'impianto è avvenuta nel rispetto dei principi di trasparenza e di imparzialità che devono presiedere all'azione della pubblica amministrazione;
se i comuni, nell'affidare i servizi relativi hanno rispettato, a salvaguardia dei cittadini contribuenti, il criterio dell'economicità e della convenienza;
per impedire, con interventi urgenti ed efficaci, che si portino a consumazione atti che pregiudicano la pubblica e privata incolumità dei cittadini e l'economia locale, producendo, peraltro, spreco di denaro pubblico.
(5-00578)

Interrogazioni a risposta scritta:

BOCCHINO, COLA, MUSSOLINI, PEZZELLA e TAGLIALATELA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
l'amministrazione provinciale di Napoli ha presentato di recente il primo rapporto sullo stato dell'ambiente in provincia di Napoli;
il suddetto rapporto contiene valutazioni del tutto preoccupanti sul sovraffollamento, sullo smog, sulla qualità delle acque marine, sull'abusivismo edilizio, sulle discariche illegali, sull'inquinamento acustico e via dicendo;
lo stesso rapporto evidenzia la esistenza nella provincia di Napoli di ben 33 stabilimenti industriali ad alto rischio, nei


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seguenti comuni: Acerra 1; Bacoli 1, Boscotrecase 1; Caivano 1, Casalnuovo 2; Casavatore 1; Castello di Cisterna 2; Giugliano 1; Napoli 13; Nola 1; Ottaviano 1; Palma Campania 1; Poggiomarino 1; Pomigliano d'Arco 1; Pompei 1; Procida 1; Qualiano 2; Terzigno 1;
non risultano peraltro esplicitati quali siano questi stabilimenti industriali e se e quali misure siano state o debbano essere adottate per prevenire i rischi per le popolazioni circostanti -:
quali iniziative il Governo, accertate eventuali responsabilità istituzionali, voglia assumere perché il territorio della provincia di Napoli possa essere adeguatamente e rapidamente tutelato da interventi di ripristino della indispensabile qualità ambientale;
quali siano i 33 stabilimenti industriali ad alto rischio e per quali motivi e se ciascuno di essi abbia adottato le misure idonee a prevenire pericoli evidenziati dal rapporto della amministrazione provinciale.
(4-01918)

RAISI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in data 12 dicembre 2001 alcuni consiglieri comunali della città di Granarolo (Bologna), interpellavano il sindaco di Granarolo (Bologna) al fine di conoscere se sia il caso che l'impianto di incenerimento di Granarolo di via del Frullo (considerata la vicinanza con il centro abitato non è più all'altezza delle attuali avanzate politiche ambientali in campo europeo ed internazionale) venga delocalizzato al più presto;
con la stessa interpellanza i consiglieri comunali, richiedevano certificazione e un adeguato riscontro tecnico se:
1)l'impianto porta all'inquinamento atmosferico al suolo per quanto attiene l'estensione dell'ombrello termico della città di Bologna e l'aumento della concentrazione di O3 troposferico.
2)l'elettrodotto di servizio che è fonte di emissione elettromagnetiche che determinano situazioni potenzialmente a rischio nei confronti di complessi abitativi situati in adiacenza;
3)l'analisi delle emissioni dell'impianto di incenerimento;
4)nel territorio circostante all'impianto siano state individuate apposite parcelle di monitoraggio periodico dell'inquinamento al suolo;
5)sono stati realizzati i pozzi di monitoraggio per verificare eventuali inquinamenti delle falde connessi ad apporti derivati da emissioni dell'impianto di incenerimento;
6)è stato effettuato un monitoraggio delle popolazioni al fine di conoscere se sono presenti indici difformi di patologie;
7)si chiedono informazioni dettagliate su modalità di trattamento e sconfinamento dei residui di combustione dell'impianto di incenerimento;
il sindaco di Granarolo (Bologna), rispondeva all'interpellanza ut supra sostenendo che «nell'elaborazione dell'Aggiornamento del Piano infraregionale Rifiuti è stata condotta un'attenta valutazione che, tenendo conto di fattori ambientali ed economici, ha portato alla convinzione di ritenere valida la scelta di confermare, migliorandone la qualità, la localizzazione dell'attuale impianto di termovalorizzazione»;
nella stessa risposta del Sindaco all'interpellanza si dimostra inequivocabilmente che l'inceneritore di Granarolo è fonte di preoccupazione, posto che nella zona dell'inceneritore è stata appurata la presenza di diossina anche se l'ARPA ed il Comune di Granarolo non sono in grado di dire se l'impianto ha effetto o meno sull'aumento dei livelli di ozono al suolo;
difatti, la stessa ARPA con propria comunicazione (protocollo n. 2111/2000) riguardante il monitoraggio chimico-biologico del Termovalorizzatore a Granarolo,


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evidenziava che, per quanto riguarda il monitoraggio dei terreni circostanti la centrali è emerso testualmente «i risultati ottenuti analizzando i campioni di terreno hanno evidenziato valori del fattore di tossicità nell'ordine di grandezza individuati in decreto»;
nella stessa risposta del Sindaco di Granarolo dichiarava inoltre che «nei primi anni di gestione dell'impianto, fino all'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 915/82, i residui di combustione (scorie e polveri non separate) venivano conferite ad AGES Strade di Castenaso (BO)», che farebbe supporre l'utilizzo di tali scorie per i sottofondi stradali;
da una relazione dell'AUSL di Bologna Nord si ipotizza che «le sostanze emesse da un inceneritore, soprattutto cadmio, mercurio e piombo possono avere effetto carcinogenetico per l'uomo» e che da uno studio della stessa AUSL emerge che due comuni del medesimo contesto geografico: Granarolo e Castenaso, il primo ha un tasso di mortalità per tumori superiori al secondo -:
se sia a conoscenza della situazione ambientale dell'inceneritore di Granarolo (Bologna), e quali iniziative intenda intraprendere al fine di verificare se lo stesso sia o meno pericoloso per la salute dei cittadini;
se non sia opportuno inviare una commissione di tecnici del ministero al fine di campionare il terreno e svolgere ogni ricerca e/o monitoraggio sull'inceneritore.
(4-01919)

BELLILLO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
da alcuni mesi a questa parte il territorio del comune di Alviano (provincia di Terni) è interessato da fastidiose esalazioni maleodoranti provenienti da una ditta ubicata all'interno della locale area industriale specializzata in lavorazioni di prodotti riciclati la ditta I.C.I. srl con sede in Montepulciano (Siena);
i cittadini di Alviano (Terni), costretti a sopportare queste esalazioni maleodoranti ed inascoltati dalle istituzioni locali, comune compreso, si sono organizzati in un Comitato per la tutela della salute pubblica ed hanno chiesto di verificare la ditta I.C.I. srl sia in possesso di tutte le autorizzazioni necessarie per svolgere l'attività che svolge;
è stato già richiesto, dai cittadini stessi, l'intervento di provincia e Regione affinché siano verificate tutte le autorizzazioni in possesso della Ditta I.C.I. srl;
da una nota inviata dalla prefettura di Terni al comune di Alviano (Terni) in data 9 gennaio 2002 si evince che la Ditta I.C.I. srl non è in possesso dell'autorizzazione regionale per il riutilizzo di rifiuti nel ciclo produttivo ai sensi dell'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 203/88 e si invita l'Amministrazione comunale a vietare alla stessa Ditta I.C.I. srl il prosieguo dell'attività -:
se ritengano opportuno intervenire al fine di verificare la regolarità delle attività svolte dalla Ditta I.C.I. srl nell'impianto ubicato all'interno della zona artigianale di Alviano (Terni);
se ritengano di dover verificare che l'amministrazione comunale abbia adottato tutti i provvedimenti necessari alla tutela della salute pubblica dei cittadini.
(4-01923)

REALACCI, ABBONDANZIERI, CALZOLAIO e GIACHETTI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del


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Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;
nel dossier «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale» di Legambiente, quale a proposito dell'inquinamento prodotto dal polo industriale di Ascoli Piceno, in particolare dalla fabbrica Elettrocarbonium (oggi SLG carbon) che si trova a ridosso del centro cittadino e per la quale Legambiente chiede da anni la delocalizzazione, si legge: «nel 1993 la Magistratura, in base ai dati della USL, decide il sequestro dei forni 4 e 5 dello stabilimento, successivamente dissequestrati, nel 1997 scoppia il caso del sequestro del carico di grafite radioattiva al valico di Gorizia....... successivamente si arriva al ritrovamento e al sequestro di un carico di grafite radioattiva all'interno dello stabilimento SLG carbon che porta la Legambiente a presentare un dossier dal titolo «L'affaire della grafite radioattiva». Sempre dal rapporto presentato da Legambiente si apprende che «i risultati di uno studio condotto dall'Università di Perugia evidenzia concentrazioni altissime di sostanze inquinanti in alcuni reparti. L'indagine è stata condotta su 150 lavoratori della SLG Carbon, divisi in base al reparto di appartenenza, misurando le concentrazioni nell'organismo dei seguenti Idrocarburi Policiclici Aromatici, sostanze altamente cancerogene: Antracene, Benzoantracene, Benzofluorantene, Benzoapirene, Fluorantene, Fluorene ecc... In base ai risultati delle analisi in due reparti gli operai risultano particolarmente esposti. Si dimostra infatti che presso lo stabilimento numerosi lavoratori sono esposti a concentrazioni di IPA pericolosamente elevate»;
considerando anche la dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambientale dell'area di Ancona, Falconara e bassa valle dell'Esino, sulla base dell'articolo 74 del decreto legislativo n. 112 del 1998, visti l'aggravarsi delle condizioni di inquinamento atmosferico dell'area, la compresenza in una ristrettissima area territoriale di 4 industrie a rischio di incidente rilevante (tra cui la raffineria dell'Api), le emissioni dell'impianto di Camerata Picena nei momenti di punta, l'attivazione della centrale a turbogas di Jesi, la serie numerosa di diversi interventi già programmati che in generale tenderanno ad incrementare la pressione ambientale sulla stessa area, la compresenza di numerose infrastrutture nell'area (aeroporto, autostrada, ferrovia e il futuro interporto), anche alla luce del consistente inquinamento dei suoli, riscontrato dall'Arpa Marche in particolare nell'area dell'Api, per il quale sono state già avviate la procedure previste dal decreto ministeriale n. 471 del 1999;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti


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inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità che scadenzi gli interventi di risanamento delle aree a rischio e per la riconversione di quelli che provocano comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate;
se non si ritenga opportuno estendere l'oggetto della ricerca commissionata all'OMS dal ministero dell'ambiente all'area del polo industriale di Ascoli Piceno e di Ancona, Falconara e bassa valle dell'Esino, che si trovano nell'area urbana ad alta popolosità e avendo emissioni elevate di alcuni inquinanti atmosferici, può presentare problemi di tutela della salute pubblica e dell'ambiente.
(4-01924)

REALACCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;


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in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
l'area di Gela, in particolare, secondo lo studio dell'OMS mostra «eccessi per entrambi i sessi per mortalità totale, che crescono sensibilmente se correlati ai fattori socio-economici. Nel solo comune di Gela si registrano eccessi significativi per il tumore allo stomaco e per il tumore al colon, inoltre si registra, nell'intera area un aumento di rischio di contrarre un tumore polmonare tra gli uomini per le generazioni più giovani e tale tendenza, presente anche in altre cause tumorali è in contrasto con la mortalità generale in diminuzione e suggerisce l'accumularsi di effetti sulla salute legati ad esposizioni professionali nei decenni passati, che non vanno sottovalutati -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un fund trust, ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area di Gela, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
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REALACCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della


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Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
nell'area a rischio di Portoscuso, in particolare, secondo lo studio OMS, «i risultati delle analisi indicano un quadro di mortalità caratterizzato da diversi eccessi di rischio, soprattutto per gli uomini, per cause tumorali e non tumorali a carico dell'apparato respiratorio. L'area è stata oggetto di numerose indagini ambientali ed epidemiologiche in particolare si segnalano lavori che hanno dimostrato elevati livelli di piombemia nei bambini imputabili a deposizione di materiale aerodisperso, altri lavori hanno preso in considerazione tra le altre leucemie infantili e mortalità per cause diverse. Questi ultimi hanno indicato eccessi di rischio per alcune cause tumorali soprattutto legate ad esposizioni di tipo professionale» -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;


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se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area di Portoscuso, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
(4-01926)

REALACCI, RAFFAELLA MARIANI, VIANELLO e VIGNI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, è stato presentato a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, lo studio: «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale». L'indagine, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano riscontrabili anche in anni seguenti;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono insufficienti, se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, ma comunque consistenti e soprattutto molto onerosi per le casse dello Stato poiché la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
l'area di Massa Carrara, in particolare, secondo l'OMS, presenta «negli uomini eccessi di circa il 20 per cento sull'atteso sia per la mortalità generale che per tutti i tumori. Tra le cause non tumorali si registrano numerosi eccessi. Risultano superiori all'atteso le malattie del sistema circolatorio, le malattie dell'apparato respiratorio e le malattie dell'apparato digerente. Alcuni degli eccessi di mortalità sembrano essere probabilmente ascrivibili alle esposizioni professionali; si tratta, infatti, di rischi rilevati per gli uomini e non per le donne e la maggior parte degli occupati nei settori più a rischio è di sesso maschile.... Il tumore al polmone è in eccesso significativo del 28 per cento rispetto all'atteso regionale negli uomini» -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente,


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di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un fund trust, ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile riconoscere un proprietario responsabile), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area di Manfredonia, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
(4-01927)

REALACCI, LOIERO e PAPPATERRA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli


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cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
l'area di Crotone, in particolare, secondo quanto afferma lo studio dell'OMS è caratterizzata «per gli uomini da diversi eccessi significativi di mortalità. Sono superiori all'atteso sia la mortalità generale che la mortalità per tutti i tumori. Parte dell'eccesso di mortalità tumorale è spiegato dal tumore polmonare, alla prostata e al fegato. Tra le cause di morte non tumorali si registrano eccessi statisticamente significativi per le malattie dell'apparato digerente e per la cirrosi epatica. Si osservano valori superiori all'atteso regionale anche per il diabete e per le cause maldefinite» -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area di Crotone, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
(4-01928)

REALACCI, VENDOLA e CARBONELLA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;


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in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
l'area di Brindisi, in particolare, secondo l'OMS è caratterizzata da «un quadro di mortalità abbastanza preoccupante, soprattutto per gli uomini. Numerose cause, tumorali in particolare, ma anche non tumorali, sono in significativo eccesso. I rischi elevati per tumore polmonare, pleurico e del sistema linfoematopoietico sono compatibili con le attività industriali dell'area. Il legame è stato oggetto di indagini epidemiologiche, tra le quali si segnala uno studio di coorte nel periodo 1969-1984 sugli addetti alla produzione e polimerizzazione del cloruro di vinile del petrolchimico di Brindisi, che ha evidenziato eccessi di mortalità per i tumori al sistema linfoematopoietico, per il morbo di Hodgkin e per le leucemie» -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area di Brindisi, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o della riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
(4-01929)

REALACCI e OSTILLIO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a


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Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale, nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
nell'area a rischio di Taranto, secondo lo studio OMS, «i fattori di rischio ambientale presenti nell'area sono riconducibili alla presenza di un'acciaieria a ciclo integrale, di una raffineria petrolchimica, di un cementificio di importanza nazionale e di due centrali termoelettriche. Per quanto riguarda gli uomini la mortalità generale supera del 10,6 per cento il valore regionale, tale valore sale all'11,6 per cento se ci si riferisce alle sole cause di morte tumorali; anche per quanto riguarda le donne, la mortalità generale e tutte le cause tumorali sono entrambe in eccesso significativo. I numerosi eccessi significativi di mortalità nelle malattie professionali, maggiori di quelli registrati per l'intera area a rischio, che si trovano anche nel solo comune di Taranto, sembrano confermare l'importanza del sito industriale. È pertanto da segnalare un possibile ruolo di numerosi inquinanti atmosferici, gassosi e particolato quale fattore di rischio per numerosi eccessi di mortalità, per cause respiratorie, cardiovascolari e polmonari. È infine da segnalare l'aumentata mortalità per tumore mammario tra le donne» -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di


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stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area di Taranto, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
(4-01930)

REALACCI, FRIGATO, STRADIOTTO, ZANELLA e VIANELLO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
nell'area del Po e Polesine, compresa nelle province di Rovigo, Venezia e Verona, secondo lo studio OMS, «negli uomini sia la mortalità generale che tutte la


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cause tumorali sono in eccesso significativo rispetto ai valori dell'atteso regionale. Tra le cause non tumorali si registrano eccessi di mortalità significativi per le malattie del sistema circolatorio, per le malattie cerebrovascolari, per le malattie maldefinite e per i traumatismi e gli avvelenamenti. Tra le cause tumorali si osservano eccessi per il tumore al colon, al polmone, e per il morbo di Hodgkin. Nelle donne la mortalità è superiore all'atteso regionale. Si registrano eccessi, come negli uomini, per le malattie del sistema circolatorio, per le malattie cerebrovascolari e per le malattie maldefinite, in eccesso anche il diabete» -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area del Po e Polesine, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
(4-01931)

REALACCI e FOLENA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari,


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dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
l'area di Manfredonia, in particolare, secondo l'OMS è «caratterizzata da eccessi di mortalità per malattie urogenitali del 53,8 per cento in più rispetto all'atteso provinciale. Gli eccessi riscontrati anche per altre patologie possono essere indicativi di effetti all'esposizione ad arsenico, ed in particolare all'emergere dei primi effetti a lunga latenza che potrebbero aggravarsi nel corso degli anni successivi, per cui è possibile che si stia assistendo all'insorgere di rilevanti effetti a lungo termine sulla salute» -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area di Manfredonia, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
(4-01932)

REALACCI, ENZO BIANCO e PISCITELLO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata


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dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
l'area di Augusta-Priolo, in particolare, secondo l'OMS è «caratterizzata da numerosi eccessi di mortalità, sia negli uomini che nelle donne, (significativi statisticamente gli eccessi di mortalità per il tumore polmonare, per il tumore della pleura per quello della prostata e per il melanoma) che suggeriscono un quadro di sanità pubblica non privo di anomalie. Oltre un terzo delle cause di morte considerate per gli uomini è in eccesso, oltre un quarto per uomini e donne combinati. Resta grave, e in peggioramento, l'epidemia di tumore maligno della pleura riconducibile all'attività dello stabilimento Eternit di Siracusa»;
contestualmente la Legambiente ha presentato il dossier «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale» nel quale riguardo all'area del polo chimico di Augusta-Priolo, vengono riportati i dati del Centro di monitoraggio dell'Ospedale civile di Augusta, da cui si evidenzia un eccesso di nati malformati ad Augusta rispetto alla media nazionale e in aumento in questi ultimi anni. Dal 1980 al 1989 la percentuale rispetto al totale dei nati è stata dell'1,9 per cento (contro una media nazionale dell'1,54 per cento, che aumenta nel decennio 1990-2000 a 3,18 per cento, confermata dal dato dell'anno 2000, pari a 3,8 per cento -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare dì analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo


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all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente l'area di Augusta-Priolo, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
(4-01933)

REALACCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 9 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, sono stati presentati a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente alla presenza del Ministro dell'ambiente, gli studi «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale» e «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale». L'indagine Oms, commissionata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»; anche la ricerca di Legambiente evidenzia una stretta connessione tra produzioni altamente inquinanti e salute;
in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano stabili non solo nel periodo preso in considerazione ma anche negli anni successivi;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati;
nel dossier «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale» della Legambiente, riguardo all'area del polo chimico di Mantova, citando le conclusioni di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'ISS, dell'ASL di Mantova e dell'università «La Sapienza» di Roma, si legge: «per la popolazione residente entro due chilometri dall'inceneritore dei rifiuti


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industriali del polo chimico di Mantova lo studio caso controllo mostra un significativo incremento del rischio di tutti i sarcomi dei tessuti molli», infatti la possibilità di contrarre questo rarissimo tumore è risultata 25 volte superiore rispetto agli altri mantovani. Altre ricerche, sempre citate da Legambiente, dimostrerebbero che «tra gli operai del reparto servizi generali e distribuzione liquidi dello stabilimento EniChem-Montedison dove maggiormente vengono maneggiati benzene e stirene, la situazione sanitaria risultava addirittura peggiore di quella riscontrata tra gli addetti del reparto CVM di Marghera. Si riscontrava infatti una probabilità di contrarre il linfoma di Hodgkin molto superiore rispetto alla media» -:
se non reputino i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund» consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate;
se non si ritenga opportuno estendere l'oggetto della ricerca commissionata all'OMS dal Ministero dell'ambiente all'area del polo chimico di Mantova che, come si è visto, presenta notevolissimi problemi di tutela della salute pubblica e dell'ambiente.
(4-01934)

REALACCI e FRANCESCHINI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
il giorno 8 gennaio 2002, durante una conferenza stampa, è stato presentato a Roma, dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - Centro Europeo Ambiente e Salute e dalla Legambiente, alla presenza del Ministro dell'ambiente, lo studio: «Ambiente e stato di salute nella popolazione delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale». L'indagine, commissionata dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, ha preso in esame la situazione in 15 aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel periodo 1990-1994, ma ha completato un'analisi condotta e già pubblicata, effettuata a partire dal 1981. Le conclusioni dello studio possono essere sintetizzate nella seguente affermazione: «tra le popolazioni residenti nelle aree a rischio, è stato rilevato che la mortalità generale nel quinquennio è superiore alla media regionale nella misura di almeno 4167 decessi rispetto all'atteso (2639 maschi e 1527 femmine), pari al 2,64 per cento dei decessi totali, valore corrispondente ad oltre 800 morti in eccesso l'anno»;


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in considerazione della durata del periodo di incubazione nell'organismo umano delle malattie causa dei decessi aggiuntivi (malattie circolatorie, cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, cirrosi epatica e tumori) e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze inquinanti, è ragionevole concludere che le cifre relative agli eccessi di mortalità nelle aree a rischio siano riscontrabili anche in anni seguenti;
nel dossier «Dalla chimica dei veleni al risanamento ambientale» della Legambiente, a proposito delle aree a rischio di Ravenna e Ferrara, importanti poli chimici, si ricordano i gravissimi incidenti verificatisi negli ultimi anni, in particolare nel 2000, come quello all'impianto EVC che si ritiene abbia causato l'emissione in atmosfera di 4 tonnellate di Cloruro di Vinile Monomero (CVM) o quelli all'impianto Butadiene e all'impianto di depurazione di Ambiente Spa, siti compresi nel polo petrolchimico di Ravenna. Quanto al polo di Ferrara il dossier citato ricorda come nella primavera scorsa sia stato presentato un esposto, lamentando danni gravissimi alla salute, da 35 lavoratori della Solvay e del petrolchimico. Sempre il dossier di Legambiente cita uno studio dell'Istituto Superiore di Sanità, pubblicato nel 2000, sui lavoratori esposti a CVM in quattro importanti siti. Per quanto riguarda il sito di Ferrara, lo studio evidenzia che «la coorte di Ferrara è composta da 418 lavoratori della Solvay e sono 104 i decessi osservati, tra cui 45 per tumore - rispetto ai 30 attesi - suddivisi tra angiosarcomi, tumori apatocellulari e carcinomi epatici e dell'apparato respiratorio. In particolare è stato riscontrato un aumento per i tumori al fegato, alla laringe ed al polmone. «Lo studio - scrivono gli autori - conferma l'azione cancerogena del CVM sul fegato, anche a concentrazioni più basse di quelle finora ritenute in grado di indurre tumori epatici, nonché un'azione epatotossica che comporta un incremento della mortalità per cirrosi in alcuni sottogruppi ad alta esposizione. Lo studio suggerisce inoltre un incremento del rischio di cancro polmonare in lavoratori esposti a polveri di PVC»;
i dati dello studio dell'OMS sulla mortalità della popolazione residente nell'area del Po di Volano, costituita da 28 comuni della provincia di Ferrara, incluso il capoluogo, Modena e Bologna, rivelano oltre ad un eccesso di mortalità rispetto al resto della regione nell'intera area (del 9,1 per cento per gli uomini e del 10,6 per cento per le donne), una situazione di maggiore rischio nella città di Ferrara;
lo studio dell'OMS, dal quale si evince che «i trend dei tassi standardizzati a riferimento nazionale mostrano, nel complesso, un aumento dei valori per quasi tutte le cause di morte tumorali» conferma sostanzialmente le valutazioni dell'ISS;
gli stanziamenti previsti dall'ultima legge finanziaria per la bonifica dei siti inquinati sono consistenti ma comunque insufficienti se si pensa all'entità del problema nel nostro paese, e soprattutto sono troppo onerosi per le casse dello Stato visto che la responsabilità del danno e quindi l'onere del ripristino dovrebbe ricadere sulle aziende. L'attuazione del principio del «chi inquina paga», insomma, dovrebbe diventare, anche in Italia, uno dei vincoli cui far riferimento per avviare finalmente il piano delle bonifiche che, secondo stime della Legambiente, dovrebbe interessare ben 15.000 siti potenzialmente inquinati con l'impiego stabile di 5.000 nuovi addetti altamente qualificati -:
se non reputino, i Ministri interrogati, opportuno l'inserimento nel nostro ordinamento, come suggerisce la Legambiente, di una normativa analoga a quella vigente negli Stati Uniti ispirata al «Superfund», consistente nei seguenti tre livelli d'intervento: il primo, un «fund trust», ossia un fondo di sicurezza finanziato dalla tassazione principalmente di prodotti chimici e petroliferi ma anche di altre sostanze inquinanti, vincolato alla bonifica dei cosiddetti siti orfani (per i quali non è più possibile risalire al responsabile


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della contaminazione), il secondo consistente in un'attività capillare di analisi sui siti inquinati che consenta di stabilire la loro pericolosità e l'urgenza della bonifica, con la definizione di una lista nazionale di priorità, l'ultimo relativo all'obbligo inderogabile per le aziende che gestiscono impianti ancora in attività, una volta accertata l'eventuale pericolosità della produzione o delle scorie prodotte sia per l'ambiente che per la salute della popolazione, di disporre immediati interventi di bonifica;
se non si ritenga indispensabile definire una lista di priorità, in cui sia presente le aree di Ravenna e Ferrara, che fissi i tempi degli interventi di risanamento delle aree a rischio e valuti l'opportunità o dell'immediata chiusura degli impianti per i quali è ormai accertata la pericolosità sanitaria, o della delocalizzazione o riconversione di quelli che hanno comunque un elevato grado di inquinamento e un pesante impatto ambientale;
se non si ritenga di favorire la creazione di nuove figure professionali, che offra anche una opportunità di riqualificazione per gli addetti del settore impiegandoli nei lavori di messa in sicurezza e di risanamento delle aree contaminate.
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