Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 57 del 7/11/2001
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(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
È iscritto a parlare l'onorevole Naro. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE NARO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, signor ministro della difesa, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi chiedo di defluire con civiltà.

GIUSEPPE NARO. ...in questo difficile momento gli eventi ci pongono di fronte a precise responsabilità e ci impongono scelte categoriche: o dalla parte della democrazia e delle libertà o dalla parte dei diritti fondamentali negati.
Quando sono stato eletto deputato, mai avrei immaginato di dover esprimere approvazione verso una azione di polizia internazionale di tale portata; invece, mi accingo a farlo in piena coscienza e avverto una forte emozione per la solennità della decisione.
Di salvaguardia del diritto alla vita si tratta: penso all'omicidio delle migliaia di innocenti cancellati per sempre insieme alle torri gemelle; penso alla sicurezza perduta e alla conquista di civiltà in pericolo.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non voglio chiacchiericci al banco del Governo. Cerchiamo di comprendere il momento: qui non si deve creare una sorta di mercato dove tutti arrivano, parlano, distraggono. Vi sono interventi che vanno ascoltati! Chi non vuole farlo è pregato di uscire dall'aula (Applausi).
Prego, onorevole Naro.

GIUSEPPE NARO. I talibani, protettori di Osama Bin Laden, hanno abbattuto con le cannonate anche le testimonianze di millenarie civiltà, dichiarando ad esse una guerra assurda la cui natura si definisce da sé. Una guerra che non ha riscontro in alcuna epoca della storia; eppure, nessuno li ha potuti fermare.
Penso all'economia dello sviluppo in crisi e all'economia del terrore in auge, con le ipocrisie, i sotterfugi e i poteri destabilizzanti.
Mi inquietano e ci inquietano le parole deliranti di Osama Bin Laden che annunciano un mondo diviso fra credenti ed infedeli, come a voler ergersi a interprete e protettore del mondo islamico. Per fortuna, i musulmani sparsi in ogni parte del mondo sono, nella stragrande maggioranza, dei moderati che si sono integrati nelle società multietniche. Ciò è dimostrato dal fatto che l'appello alla jihad lanciato da Bin Laden non sembra sia stato raccolto, se non da sparuti gruppi. Vi sono state dimostrazioni di insofferenza che non fanno pensare però a scontri di civiltà.
L'attacco terroristico agli Stati Uniti d'America è un attacco al mondo occidentale, ma anche alla moltitudine di musulmani moderati, come tali, essi stessi oggetti della furia di Bin Laden. La dimostrazione di questa distanza dagli estremismi è data dall'ampio schieramento di paesi islamici a fianco degli Stati Uniti d'America, naturalmente con una diversa modulazione.
Il terrorismo opprime l'umanità intera per il suo modo sempre nuovo di manifestarsi. La situazione diventa di giorno in giorno più pesante: l'antrace si espande a macchia d'olio, supera i confini americani e diviene uno dei principali motivi di inquietudine.
L'umanità non ha più certezze e cerca di reagire come può; tuttavia, essa trova difficoltà ad organizzarsi perché non conosce


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l'avversario, non sa dove e quando colpisce. È un avversario dalla minaccia facile: le inquietudini aumentano.
Intanto, il presidente Bush fa sapere che la rete terroristica legata a Bin Laden, Al Qaeda, è impegnata alla ricerca di armi chimiche, biologiche e nucleari. Egli dice che i nemici possono essere una minaccia per tutti i paesi e per la stessa civiltà; nessuno può restare indifferente di fronte a tanto pericolo e tutti devono fare di più.
Per quanto ci riguarda, le accuse di Bin Laden da qualche giorno contro l'Italia confermano che il nostro paese è nel mirino del terrorismo internazionale. A questo proposito penso a quanti in Italia sono preposti a salvaguardare la nostra sicurezza e a quanti si sono prodigati e continuano a farlo per allontanare da noi ogni possibile minaccia. Per il loro sacrificio esprimiamo il nostro affetto e li ringraziamo di cuore.
Dobbiamo quindi reagire con rinnovato impegno per contrastare la terribile minaccia. Il Governo ha svolto la sua parte, certamente rilevante, con una rete di relazioni diplomatiche mirate ed incisive, come abbiamo appreso dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, dal ministro degli esteri Ruggiero e dal ministro della difesa Martino che, secondo gli impegni presi, ma soprattutto per la sensibilità con cui hanno condotto e conducono la loro azione politica, sono venuti a riferire costantemente in Parlamento.
Tra le strategie che vengono privilegiate nel progetto di contrasto al terrorismo, certamente essenziale diventa l'urgenza di ridurre le differenze tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, perché le povertà sono le condizioni ideali per alimentare il terrorismo e consentire possibilità di movimento a chi lo programma e lo pratica.
L'Italia ha fatto la sua parte in posizione di preminenza, anche perché ne aveva la Presidenza, nel contesto del G8. In quella sede, aveva percepito l'importanza del problema e ha favorito l'allargamento della partecipazione al Segretario generale dell'ONU Kofi Annan ed ai rappresentanti di alcuni paesi in via di sviluppo, perché potessero presentare le loro emergenze. Sono scaturiti così i primi provvedimenti concreti che, certamente, non sono il toccasana della vastità del problema, ma sono certamente l'avvio per una politica realistica di sviluppo dei paesi in ritardo, ai quali, però, è stato chiesto lo sforzo di eliminare il gap di democrazia.
Dopo l'attacco alle torri gemelle ed al Pentagono, l'Italia si è ritagliata un ruolo da protagonista. Il Presidente del Consiglio ed il ministro degli esteri hanno intessuto una rete di iniziative diplomatiche, che si sono dimostrate incisive sul versante del miglioramento dei rapporti di comprensione, di stemperamento e di collaborazione. Tra i principali interventi, di particolare considerazione erano stati l'allentamento del clima di tensione a Durban e l'avvicinamento del colonnello Gheddafi agli Stati Uniti e all'Europa. Rilevante è stato il rapporto con Peres e Arafat, nella consapevolezza di togliere opportunità di manovra e limitare spazi al terrorismo fondamentalista. E nella prospettiva, spero prossima, della nascita dello Stato palestinese, nella sicurezza di Israele, il Presidente Berlusconi ha lanciato l'idea di un piano Marshall per la Palestina. Dopo l'11 settembre, il Governo ha adottato con tempestività dei provvedimenti nel campo della lotta al terrorismo e del controllo dei circuiti finanziari che lo alimentano.
Ora all'Italia spetta il compito più importante: aderire alla richiesta di rinforzi militari avanzata dagli Stati Uniti. Si tratta di un dovere al quale l'Italia non può sottrarsi per i consolidati rapporti di amicizia con la nazione americana perché memore del sacrificio di vite umane di giovani americani battutisi per la nostra libertà, in momenti difficili della nostra storia; perché paese membro dell'alleanza atlantica; perché l'intervento degli Stati Uniti è stato autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, vale a dire dalla rappresentanza di tutti i paesi del mondo; per motivi di sicurezza nazionale, perché nessuna nazione al mondo è più esente da attacchi terroristici, che possono verificarsi in qualsiasi paese senza che si possa conoscere la maniera, il luogo e il momento in cui si verificheranno; per


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acquisire quel potere contrattuale che nei rapporti diplomatici ha rilevanza non trascurabile.
Questo è il momento di fare emergere quell'Italia ideale, seria, dignitosa e coraggiosa a cui ciascuno di noi anela. Ma perché ciò accada, è necessario che gli sforzi di tutti noi si presentino coesi, come auspica il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, quando chiede alle forze politiche di essere compatte in un momento difficile per la storia del mondo. Gli schieramenti politici fanno tutto il possibile per raccogliere l'invito del nostro Presidente, anche se non è stato sufficiente. E se è vero che si voterà su più risoluzioni, è anche vero che non credo svanisca lo spirito bipartisan solo per questo. La determinazione coerente, anche se sofferta e forse lacerante, con cui l'Ulivo ha deciso di esprimersi a favore della partecipazione alla missione Enduring Freedom dà al paese la consapevolezza di un Parlamento sostanzialmente unito, conferendo particolare autorevolezza all'azione che il Governo dovrà sviluppare, e farà sentire ai nostri soldati e alle loro famiglie tutta la nazione compatta, stretta attorno a loro. Dobbiamo essere orgogliosi di loro, perché essi, uomini e donne, si avviano a sottoporsi a enormi sacrifici e mettono a repentaglio la loro vita per servire la nostra patria, difenderne i valori e contribuire a garantire la libertà e la sicurezza di tutti i popoli. E loro, d'altro canto, devono essere orgogliosi in quanto le truppe che essi costituiscono ci vengono richieste perché - a dirla con il Presidente Ciampi - la comunità internazionale riconosce all'Italia una particolare capacità di operare in situazioni difficili dove è necessario ricreare condizioni di pace.
Credo, tuttavia, che in questo momento sia doveroso rivolgere il nostro pensiero anche al popolo afgano che paga un prezzo straordinariamente alto per colpe che non sono proprie ma dei talebani, fondamentalisti fino all'esasperazione che hanno ridotto una comunità alla fame, privandola dei diritti umani e civili fondamentali; un'accolita di uomini che hanno instaurato un regime del terrore, ridotto le donne ad una condizione subnormale, degradante ed avvilente, senza dignità di persona, senza titolarità di diritti; una classe dirigente che ha annullato ogni principio di democrazia, che basa la sua economia sulla coltivazione e vendita di droga, sull'addestramento di terroristi, successivamente disseminati per il mondo; una dinastia di religiosi fondamentalisti che impone ai fedeli gli oboli come tasse, che condanna a morte chi contrasta la sua fede e, soprattutto, un manipolo di esaltati che protegge Bin Laden, l'uomo che ha lanciato al mondo una sfida di morte.
Per la condivisione dei principi cui si è informata l'azione del Governo nella conduzione della crisi generata dall'attacco terroristico dell'11 settembre e, specificatamente, perché si ritiene un atto dovuto alla coscienza di tutti i cittadini del mondo, esprimo il sostegno convinto all'azione che il ministro Martino ha illustrato, in questa sede, a nome del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU Biancofiore, di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ramponi. Ne ha facoltà.

LUIGI RAMPONI Signor Presidente, ringrazio il Governo per la chiara e puntuale esposizione della situazione. Nello sviluppo degli avvenimenti dal nefasto 11 settembre ad oggi, nella scena politica internazionale l'Italia ha tenuto un comportamento esemplare per correttezza, senso dell'onore e rispetto degli impegni assunti. Ha confermato, sin dal primo momento, l'assoluto rispetto dei vincoli derivanti dall'appartenenza alla NATO e ha soddisfatto tutte le richieste. Ha espresso completo sostegno alla coalizione guidata dagli USA e partecipata disponibilità alla lotta contro il terrorismo. Ha fatto seguire alle parole i fatti e, pur pesantemente impegnata più di qualsiasi altro paese nelle operazioni di pace rispetto al suo non indifferente peso economico e politico nel mondo, ha formulato la sua offerta che è, senz'altro, generosa - come ha ricordato il ministro - e che


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l'alleato americano ha accettato. Oggi, i nostri soldati sono pronti a partire.
La guerra, in qualsiasi forma sia condotta, è un autentico monumento alla cecità, all'egoismo, alla meschinità, alle qualità negative e peggiori del genere umano. Sono sempre queste le cause dirette o indirette degli scontri bellici. Noi lo sappiamo, ma non riusciamo, in casi estremi, a non esserne coinvolti perché, a volte, per difendere la propria società, anche la parte più seria, più pacifica, meno aggressiva è costretta alla lotta per evitare il trionfo del male.
Questo momento è quello della verità; è un momento che non lascia spazio ai «se» e ai «ma», ai quali siamo adusi. È il momento del sì o del no. È qui che si misura la vera tenuta, la coesione, la compattezza di una nazione e di un partito.
In questo momento, che è quello della verità, una nazione fa naturalmente assegnamento sui propri soldati, sui cittadini che si sono offerti di dedicare la loro opera, il loro lavoro e, direi forse meglio, la loro missione, alla difesa ed alla sicurezza della società.
Il ministro ha tenuto a precisare che verranno impiegati soldati professionisti, i quali meritano il massimo del nostro rispetto. Oggi la società è minacciata dal terrorismo ed i nostri soldati professionisti sono pronti a lottare contro di esso, contro chi lo alimenta e contro chi lo sostiene. Quei soldati non lotteranno per gli Stati Uniti, non lotteranno per la coalizione, ma per l'Italia: per la difesa della pace e del progresso dei cittadini italiani minacciati dal terrorismo. E, in un momento come questo, una risposta compatta del Parlamento, dei rappresentanti del popolo italiano, costituisce una fonte di grande sostegno per la nazione, per coloro che, al Governo, debbono assumere decisioni delicate e difficili, ma soprattutto per le nostre Forze armate.
Cari colleghi, nel nostro impegno quotidiano, per realizzare la nostra linea politica, a volte mettiamo in gioco la nostra reputazione; questo è il massimo che noi facciamo. Le donne e gli uomini dell'esercito, della marina, dell'aeronautica e, in questo caso, anche dei carabinieri, mettono in gioco non la reputazione, ma la loro stessa vita! Loro sono pronti: professionalmente e coscientemente sono pronti a fare quello che noi definiamo «il loro dovere», che è ben più pesante nel nostro; e che possano sentire il sostegno, il rispetto, la gratitudine dell'intera nazione costituisce motivo di grande, essenziale conforto per loro e, soprattutto, per le loro famiglie.
Allorquando si confronteranno con rischi, pericoli e paure - il ministro ha spiegato che si tratta di una missione delicata, pesante e rischiosa - non saranno certo confortati dai dubbi di chi, stando a casa, non li ha nemmeno sostenuti. Per questo motivo, vi esorto tutti ad una compatta assunzione di responsabilità in un momento così delicato ed importante nella lotta contro il terrorismo. A parole, tutti hanno dichiarato di volerla; ora è bene che quelle dichiarazioni vengano confermate da decisioni coerenti (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e del CCD-CDU Biancofiore).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi deputati, sono un militante non violento, un antimilitarista, un obiettore di coscienza da più di vent'anni e, pertanto, desidero premettere in quest'aula che continuerò ad esserlo anche se le decisioni che con il mio voto contribuirò ad assumere saranno difficili. D'altro canto, altrettanto difficili sono state quelle che abbiamo assunto qualche settimana fa; anzi, si può dire che il voto di oggi sia, in qualche modo, consequenziale rispetto a quello che abbiamo espresso in quell'occasione.
Ho rispetto di tutti coloro che, in questo dibattito ed in questa situazione, all'interno di tutti i gruppi - sicuramente all'interno dei gruppi dell'opposizione, ma, ne sono certo, anche all'interno dei gruppi


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della maggioranza - proveranno e manifesteranno insicurezze e dubbi sull'atteggiamento da tenere: si tratta, infatti, di decisioni di fronte alle quali si macerano le coscienze di ciascuno di noi, così come quelle dei cittadini che qui rappresentiamo. Ma ci sono dei momenti, signor Presidente, in cui alle ragioni della coscienza debbono prevalere le ragioni della politica, le ragioni della sicurezza internazionale, le ragioni della sicurezza di ogni singolo cittadino.
Io credo, signor Presidente, che noi oggi abbiamo la responsabilità di mantenere un atteggiamento coerente, come se avessimo noi la rappresentanza dei cittadini e la gestione del governo del nostro paese. Stando all'opposizione, credo che dobbiamo mantenere, in materia di politica estera (in particolare in questo momento), quel senso di responsabilità che abbiamo dimostrato in altre occasioni. Credo, signor Presidente, che questa sia sicuramente una conseguenza politica e logica del voto di qualche settimana fa. Io credo che non vi siano dubbi; purtroppo la situazione internazionale nella quale ci troviamo, signor Presidente, non consente una terza via: o si sta da una parte o si sta dall'altra. Personalmente sono convinto che dobbiamo stare dalla parte di chi agisce per stroncare definitivamente il terrorismo internazionale.
Ma il nostro voto non sarà una delega in bianco a questo Governo, signor Presidente; non è infatti ancora ben chiara quella che sarà l'azione del Governo su altri temi, che pure sono connessi alla vicenda che stiamo affrontando. Noi vigileremo, incalzeremo il Governo, signor Presidente, per sapere quali saranno le iniziative politiche e di cooperazione con i paesi arabi e con i paesi islamici, al fine di evitare forme di conflitto di civiltà e di religione. Vorremmo sapere dal Governo che cosa farà in questo senso. Vorremmo sapere, signor Presidente, quale sarà l'iniziativa concreta che il Governo intraprenderà, come il Presidente del Consiglio ha già assicurato quando è venuto alla Camera, per definire il ruolo dell'Italia nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Siamo interessati a sapere quali saranno le iniziative del Governo, anche in sede internazionale, in sede ONU, riguardo ai programmi di cooperazione e di aiuto alla popolazione dell'Afghanistan, così duramente provata da questo mese di conflitto. Mi lascia molto perplesso la totale assenza di riferimento all'Europa, signor Presidente (ahimè la relazione del ministro Martino non si fa chiarezza su questo punto). Non vorremmo, signor Vicepresidente del Consiglio, che tra le vittime dell'11 settembre vi sia anche l'Europa. Vorremmo sapere quali iniziative il Governo italiano intenda assumere affinché l'Europa torni ad avere, nello scenario internazionale, quel ruolo e quell'importanza che ha sempre avuto e che deve mantenere nelle prossime settimane. Vorremmo sapere dal Governo quale sarà la sua azione anche su altre materie di politica internazionale, non così lontane dalle cose di cui ci occupiamo oggi. Segnalo che a Marrakech in queste ore...

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, la invito a concludere.

ROBERTO GIACHETTI. Arrivo alla conclusione, signor Presidente...
Come dicevo, a Marrakech in queste ore è in corso un'assemblea importante sugli accordi di Kyoto per la riduzione dei gas e dell'effetto serra. Ecco, questo è un momento in cui l'Italia sicuramente può giocare un ruolo importante e vorremmo sapere quale sarà l'azione del Governo.
Concludo, signor Presidente; rubo pochi secondi soltanto parlando a titolo personale. Credo di poter rappresentare non soltanto la posizione del mio gruppo, ma anche quella di alcuni gruppi della maggioranza. Signor Presidente, alcuni anni fa il sottoscritto ha manifestato davanti all'ambasciata sovietica quando ci fu l'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica. Non era ieri, non era un anno fa, non era tre anni fa; ho manifestato insieme ad alcuni militanti non violenti, anti militaristi, radicali, alcuni dei quali, oggi, sono costretti, da 13


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giorni, dentro le carceri del Laos per aver manifestato per i diritti umani, per aver manifestato per i diritti civili. Anche su questo so che il Governo si è interessato ma credo che sarebbe utile che una iniziativa più diretta e più immediata ci desse la possibilità di avere più notizie certe su quanto sta accadendo a questi militanti non violenti (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Minniti. Ne ha facoltà.

MARCO MINNITI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la scelta di oggi è una scelta di grande rilievo che si colloca, tuttavia, dentro la cornice, insieme di legittimità e normativa, definita con le mozioni approvate in Parlamento il 9 ottobre scorso. Ricordo che, in quella circostanza, il Parlamento, attraverso suoi atti importanti, attivò l'articolo 5 del trattato NATO. Un articolo mai applicato in più di cinquant'anni di storia della NATO e l'applicazione inedita di quell'articolo ci dava il segno di una straordinaria situazione.
Abbiamo sostenuto, convintamente, l'attivazione dell'articolo 5 per tre ragioni: la prima è che si trattava di un atto forte di solidarietà con gli Stati Uniti che erano stati colpiti con quello che non esito a definire un crimine contro l'umanità e che quindi da lì bisognava rilanciare una lotta senza quartiere al terrorismo; la seconda è che dopo l'11 settembre l'intreccio tra sicurezza interna e sicurezza estera è sempre più stretto, le connessioni sono sempre più evidenti e lo avvertiamo anche noi, oggi, nel momento in cui l'Italia è fatta oggetto delle minacce dirette di Bin Laden; la terza è che non c'è vera pace senza la sconfitta del terrorismo. Si tratta di tre convincimenti che ci hanno portato ad impegnarci, insieme, in una straordinaria iniziativa su scala planetaria di cui sappiamo, con certezza, gli obiettivi e di cui non conosciamo, dobbiamo dircelo con grande chiarezza, né la durata né l'intensità dell'intervento.
Tuttavia, sappiamo che la lotta contro il terrorismo, se vogliamo vincerla, deve saper tenere insieme una iniziativa militare, una capacità di politica diplomatica e una iniziativa umanitaria. Tre momenti della stessa ed unica strategia. Mi consentirete di tornare spesso su questi tre punti perché sarebbe sbagliato se in ogni passaggio che facciamo, facessimo venire meno il rilievo dell'uno sull'altro, perché le cose si tengono strettamente insieme, perché non c'è strategia vincente senza questo intreccio.
Oggi siamo chiamati a discutere, in maniera impegnativa, su una partecipazione diretta del nostro paese, con un impegno di forze armate italiane. È una scelta molto impegnativa. Per questo ritengo doveroso un voto del Parlamento anche se, naturalmente, si poteva anche dire che «forse non ce n'era bisogno» ma, nel momento in cui abbiamo di fronte una scelta così solenne, è giusto che il Parlamento si assuma, fino in fondo, le proprie responsabilità, il rapporto con il paese e il rapporto diretto, anche, con le nostre Forze armate.
Si tratta di una scelta molto impegnativa perché, come emerge, chiaramente, dall'elenco delle forze impegnate che ci ha fatto il ministro Martino, la nostra non sarà una partecipazione simbolica. Il nostro paese parteciperà attivamente in un quadro difficile e delicato, e non esito anch'io a definire questa missione come molto rischiosa. Sappiamo cosa ci attende e, tuttavia, abbiamo deciso di partecipare direttamente.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 10,12)

MARCO MINNITI. Si tratta di un'assunzione diretta di responsabilità, di un'assunzione diretta e chiara che in questa sede, con il mio intervento, voglio fare.
Tuttavia, mi sia consentito di svolgere alcune osservazioni (il ministro della difesa non è presente in aula, ma i rappresentanti del Governo potranno riferire). Il ministro ci ha informato della catena di


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comando che sarà attivata per quanto riguarda le nostre forze armate. Sappiamo bene che la situazione si presenta in una maniera - tra virgolette - «un po' delicata», perché abbiamo l'attivazione dell'articolo 5 del trattato NATO e tuttavia le missioni non sono missioni NATO: si tratta infatti di missioni multilaterali o bilaterali (in questo momento si configurano come multilaterali perché, naturalmente, accanto a Stati Uniti e Regno Unito si prefigura la partecipazione di altri grandi paesi europei).
Il ministro ha giustamente richiamato il TOA, il transfer of authority. Il TOA funziona a livello NATO con una compensazione, un quadro di comando che è individuabile nel Consiglio atlantico. Chiedo al Governo di attivarsi affinché, insieme al TOA, vi sia un luogo di concertazione tra i Governi che partecipano alla missione, in maniera tale che vi sia la possibilità, per il Governo italiano insieme con gli altri governi europei e con quello degli Stati Uniti, di individuare - lo ripeto - un luogo che possa assumere quella funzione - allo stesso tempo di compensazione e di indirizzo - che nelle missioni NATO viene dato dal Consiglio atlantico.
Il ministro ha poi detto che non sono note, né per il nostro paese né per gli altri paesi, le regole di ingaggio. Ritengo tale questione di grandissima importanza, per cui non appaia una posizione petulante dell'opposizione, ma con la stessa nettezza con la quale diciamo «sì» oggi alla messa a disposizione delle forze, ci permettiamo di dire che il Governo deve ritornare in Parlamento per chiarire le regole di ingaggio delle nostre forze armate. Lo diciamo per un rapporto di responsabilità serio con il nostro paese e con i nostri ragazzi che mandiamo ad operare in altri scenari.
Per quanto riguarda i tempi, penso che con il decreto di finanziamento questi saranno più chiari, in quanto quando tale decreto sarà proposto sarà anche chiaro l'arco temporale dell'impegno delle nostre forze armate.
Un'ulteriore considerazione riguarda la politica diplomatica: non è vero che non è cambiato nulla dopo l'11 settembre; vi è stata infatti un'accelerazione straordinaria: come succede spesso, atti drammatici provocano un'accelerazione della storia. Basta pensare all'incontro di Shanghai, a quanto esso ha cambiato nella diplomazia mondiale. Penso tuttavia che, in riferimento a ciò, vi sia bisogno di tre sottolineature. La prima: vi è bisogno di avere un ruolo attivo e di recuperare ancora di più il ruolo delle Nazioni Unite. Il ministro della difesa non ne ha parlato, ma ritengo che questo debba essere un impegno fondamentale che per il nostro paese. Un'iniziativa di lotta contro il terrorismo che abbia quelle caratteristiche di cui parlavo prima non può non vedere un ruolo di primo piano delle Nazioni Unite.
Secondo aspetto: c'è bisogno di più Europa (mi consentano i nostri rappresentanti di Governo). C'è bisogno di più Europa non solo come Stati nazione, ma di più Europa senza direttori, di un'Europa che sia capace di svolgere un'iniziativa, un'iniziativa che la qualifichi come un fatto politico e diplomatico unitario. Ritengo questa sia una necessità impellente, ed è per questo che non bisogna abbandonare in alcun modo la scelta di una politica di sicurezza e di difesa comune dell'Europa.
Penso, ad esempio, che oggi stiamo parlando di contingenti nazionali da inviare, ma dal 2003, nel momento in cui - mi auguro - sarà realizzato il colpo di reazione rapida dell'Unione europea, avremo la possibilità di ragionare intorno a questi temi non più come Stati-nazione, ma come Europa. Ritengo che questa sia una novità straordinaria.
Infine, vorrei dire con grande chiarezza - ed il ministro, da questo punto di vista, è stato un po' vago - che, nel momento in cui si richiama un'attività politica-diplomatica, sono nettamente perplesso...

PRESIDENTE. Onorevole Minniti, dovrebbe concludere.

MARCO MINNITI. Chiedo scusa, signor Presidente, sto per concludere. Sono nettamente perplesso in merito ad un allargamento dei fronti di guerra.


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La comunità internazionale è impegnata in un'azione in Afghanistan e penso che da questo Parlamento debba venire, insieme con un coerente impegno in quella sede, una altro richiamo, alto e forte, affinché non si aprano altri fronti di guerra, perché il rischio di un domino incontrollato è altissimo e molto grande.
Infine - e concludo - per quanto riguarda l'iniziativa umanitaria, ritengo non vi sia un prima e un dopo nell'iniziativa umanitaria, ma che vi sia un «anche». Per quanto mi riguarda, penso che la connessione tra iniziativa militare ed iniziativa umanitaria debba essere strettissima e mi riferisco ad un ruolo dell'Unione europea e delle Nazioni Unite e ad un ruolo diretto del nostro paese anche in campo umanitario secondo due linee di indirizzo.
La prima è l'aiuto ai profughi che stazionano lungo i confini pakistano ed iraniano.
La seconda linea di indirizzo è quella di lavorare seriamente in sede di Nazioni Unite per aprire corridoi umanitari che consentano di assistere le popolazioni all'interno dell'Afghanistan.
Ho concluso, signor Presidente e chiedo scusa per avere abusato della sua pazienza. Il ministro Martino ed altri intervenuti hanno rivolto un appello ed un richiamo unitario di cui comprendo il senso e il significato.
Per amore di verità, devo dire che non sempre questo richiamo unitario ha avuto un largo consenso in Parlamento. Ricordo, per esempio, che in momenti importanti, con riferimento alle vicende della Bosnia, dell'Albania e del Kosovo, vi sono state forze politiche...

PRESIDENTE. Onorevole Minniti, la prego di concludere.

MARCO MINNITI. Ho concluso, signor Presidente. Vi sono stati esponenti politici che, anche all'interno della Casa delle libertà, scelsero posizioni autonome e di netto contrasto. Oggi ci assumiamo fino in fondo tutte le nostre responsabilità. Il Parlamento oggi dà un segno di assunzione unitaria di responsabilità e dà un messaggio al paese, un messaggio che conta.
Se mi è consentito - ed ho concluso davvero - vi è un contrasto fra questo messaggio del Parlamento e l'indetta manifestazione del 10 novembre. Quella è una manifestazione di parte. In essa vi è uno spirito di divisione e di fazione.

FAUSTO BERTINOTTI. Andate alla guerra non alla manifestazione!

MARCO MINNITI. Quando si parla di divisione e di fazione - ed ho concluso - c'è il rischio di una strumentalizzazione.

CESARE RIZZI. Presidente, ma questo deve concludere!

MARCO MINNITI. Ho finito. Il paese ha bisogno di tutto, tranne che di divisioni e di strumentalizzazioni (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Selva. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, onorevoli ministri, voglio dire subito all'onorevole Minniti che mi trovo perfettamente d'accordo con lui su un punto (Commenti dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)...

GRAZIELLA MASCIA. Bene!

GUSTAVO SELVA. ...e in totale disaccordo su un altro. Il punto sul quale mi trovo d'accordo è che c'è bisogno di più Europa e per questo stiamo lavorando. Il Presidente del Consiglio, il ministro Ruggiero, il ministro Martino lavorano per tale obiettivo.
Ieri mi trovavo in una riunione a Bruxelles e si parlava proprio dei problemi della difesa e della sicurezza in quanto Europa. L'insegnamento che dobbiamo trarre dalle vicende drammatiche dell'abbattimento delle Twin Towers e dell'attacco


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al Pentagono è proprio la necessità di rafforzare il potenziale di sicurezza e di difesa dell'Europa.
Il secondo punto sul quale mi trovo in totale disaccordo è di qualificare la manifestazione che si svolgerà sabato prossimo come un atto di partito, come un atto settario. Essa è stata lanciata da un quotidiano - che non è un quotidiano di partito - ed ha ricevuto il riconoscimento delle forze che si identificavano in quella manifestazione. Non vedo perché la sinistra non avrebbe potuto, se davvero dobbiamo dimostrare solidarietà agli Stati Uniti d'America, parteciparvi.
Venendo al tema del quale ci ha parlato il ministro della difesa questa mattina, vorrei, anzitutto, osservare che non vi può essere alcun dubbio sulla legittimità politica, umana e perfino morale dell'azione militare intrapresa dagli Stati Uniti d'America dopo il massacro compiuto dai terroristi con il crollo delle Twin Towers di New York e l'attacco al Pentagono di Washington. Nessuna contorsione logica o dietrologica o psicologica può cambiare il fatto, riconosciuto anche dalle Nazioni Unite, che gli aggrediti, gli americani, hanno il diritto ed il dovere di legittima difesa. Ma da questi diritti discende il nostro dovere come italiani: non lasciare sola l'America a subire un avversario che colpisce per distruggere il nostro modo di vivere, quella way of life che significa, anche per cristiani e per musulmani, il diritto di vivere da cittadini che scelgono l'ordine personale e mondiale, nel quale operano secondo giustizia.
La parola guerra, onorevoli colleghi, suscita angoscia e panico. Li suscita soprattutto nel caso di questa guerra contro il terrorismo, che non è segnata da eserciti schierati in campo e ben individuati, ma che perciò è ancora più pericolosa, perché è condotta negli uffici postali, negli aeroporti, nei porti di casa nostra. Ha ragione il ministro Martino nel dire che da questi atti di guerra stiamo già subendo conseguenze negative. Se ancora peggio dovessero andare le cose, noi dobbiamo, fin da questo momento, cercare di evitare che ciò avvenga.
Vi è una rete invisibile, ormai accertata, di collaboratori sconosciuti che si muove anche in Europa. È per questo che era nostro dovere morale impegnarci a fianco degli Stati Uniti, non per una semplice ragione di contare, cioè di prestigio e di dignità, ma per la difesa e l'affermazione del mondo e di quei valori, in primo luogo la pace, la libertà, il progresso sociale, che guidano la nostra azione.
È bene dire con chiarezza agli italiani, come ha scritto ieri Angelo Panebianco, che la prova a cui siamo chiamati non ha nulla a che fare con le tanti missioni di peacekeeping o di peace enforcing, di guardiani della pace, a cui abbiamo partecipato in Libano, in Somalia e in Bosnia. Questo è un momento per tutti noi di parole non equivoche o polivalenti. Questo è un momento di responsabilità, momento di parole anche dure. Perché ci sia Enduring freedom, pace durevole, oggi bisogna isolare e sconfiggere anzitutto il terrorismo, che ha trovato anche in Europa ed in Italia connivenze o, quanto meno, sottovalutazioni.
Lo sappiamo tutti, onorevoli colleghi, che i bombardamenti non possono discriminare tra buoni e cattivi e che colpiscono donne, bambini, vecchi. Sappiamo che sarebbe più facile per me dire a D'Alema «sospendiamo i bombardamenti» ed a Bertinotti «la guerra non serve». Ma io questo non posso dirlo, non mi sento di dirlo. Oggi il nostro dovere di italiani, di democratici, di europei è dire che il cancro del nostro tempo è il terrorismo, quel misto di fondamentalismo politico, ma anche, se volete, di utopia generosa nelle intenzioni ma inadatta quando il nemico usa strumenti di guerra che colpiscono soltanto innocenti, per cui non si può che ricorrere all'uso definitivo della forza. Prima di fare questo gli stessi americani hanno fatto ciò che il ministro Martino con puntualità ha detto questa mattina. Aggiungerei che perfino con i talebani prima di ricorrere alla forza si è cercato e si è indirettamente trattato. Consegnateci Bin Laden - gli abbiamo detto - e scopriremo così la rete di Al Qaeda per


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sconfiggerla nei suoi gangli operativi a livello mondiale. Non c'è stato nemmeno risposto.
Con un'azione politica e diplomatica durata un mese, si è formata quella coalizione mondiale di alleati dell'America ma anche - ancora una volta l'ha ricordato bene il ministro Martino - di persone, di paesi che, durante la guerra fredda, stavano dall'altra parte ed ora sono schierati con noi (perfino la Cina, come ha ricordato prima l'ex sottosegretario Minniti).
Capisco il dramma della sinistra, che è combattuta fra l'utopia di una pace universale - che, ahimè, temo non entri nelle possibilità umane -, e la presa d'atto della realtà che solo con una grande coalizione di popoli liberi si può sconfiggere il nemico dell'umanità, cioè il terrorismo.
Esso come suo bersaglio ha il mondo occidentale, i suoi valori, ma a New York ha le sue vittime nella gente pacifica di circa ottanta nazioni che lavoravano nelle Twin Towers ed anche, diciamolo con chiarezza, il popolo afghano, sottomesso alle più brutali condizioni di vita e di sfruttamento per scopi di potere. Tale sfruttamento è anche riferito agli altri paesi e ai popoli diseredati - i cosiddetti dannati del mondo - per il mantenimento di un obiettivo, cioè la guerra di Bin Laden, da lui definita, con parola blasfema, santa ma che, invece, distrugge i punti cardine della nostra civiltà, fondata sulla libertà e sulla lotta contro la barbarie.
Noi siamo in guerra contro il terrorismo, per estirparlo senza venire meno - e qui mi collego alle parole dell'onorevole ministro Martino - all'etica della libertà e della responsabilità. I nostri figli che, in questo momento, hanno scelto volontariamente l'arduo compito di andare a combattere contro il terrorismo, devono sentire dietro di loro il caldo abbraccio e, soprattutto, il sostegno morale e politico della nazione unita e di una classe politica che, senza causidici distinguo, sa di battersi per la libertà ed il benessere morale e materiale della nostra nazione, dell'Europa, dei popoli liberi, condizioni che sono, poi, quelle di rafforzare realmente la pace nella giustizia e renderla aperta a tutti i possibili eventi (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e CCD-CDU Biancofiore).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzi. Ne ha facoltà.

CESARE RIZZI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, signor ministro, onorevoli colleghi, per la prima volta il Parlamento viene coinvolto - più precisamente viene chiesto il suo consenso - per una missione delle nostre Forze armate, diversamente da come era consuetudine fare nella passata legislatura: tutto ciò significa vera democrazia.
In apertura del mio intervento, annuncio l'appoggio politico della Lega nord Padania all'intendimento del Governo di inviare personale militare in Afghanistan. In questo momento, non credo si possa essere neutrali, poiché la minaccia del terrorismo non risparmia potenzialmente alcun popolo e Governo. Si tratta di un appoggio militare inteso quale strumento atto ad individuare in Afghanistan - che, attualmente, ricordo essere uno Stato governato da un esecutivo non riconosciuto dalla comunità internazionale - le basi di addestramento e finanziamento di alcuni gruppi terroristici, che hanno causato distruzione e perdite di vite umane e civili, le cui cellule operative si trovano anche nei paesi dell'Unione europea, Italia inclusa.
Conseguentemente, diventa sempre maggiore l'urgenza di sollecitare la comunità internazionale, anche in considerazione dell'esistenza di accordi o convenzioni internazionali contro il terrorismo e la criminalità transnazionale, di adottare all'interno dei propri confini una tolleranza zero verso i gruppi criminali e di sviluppare all'interno una più efficace collaborazione intergovernativa, a livello di forze dell'ordine e di intelligence, di provvedimenti di natura legislativa nazionale o internazionale.
In questo senso, la magistratura deve vigilare, includendo coloro i quali sostengono e giustificano pubblicamente, direttamente


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o indirettamente, atti di violenza originati da attentati terroristici.
L'azione del Governo di contrasto al terrorismo - perché di ciò stiamo parlando in questo momento - intende svilupparsi attraverso tre canali: primo, rafforzamento della sicurezza interna; secondo, presenza militare dei paesi di origine presunta degli attentati terroristici; infine, dialogo con tutti i paesi delle comunità internazionali, per sostenere un fronte unico verso il terrorismo, specialmente con quei paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo.
Preciso, perché la situazione lo impone, che, questa volta, non vuole essere un'azione condotta contro una Stato legittimo e la sua popolazione, verso la quale sono già da tempo attivate forme di aiuto per limitare al massimo gli inevitabili disagi, ma contro il leader di un gruppo integralista islamico, che si presume sia ancora presente in Afghanistan e contro coloro che lo proteggono.
L'intervento armato è l'unica risorsa messa in campo per raggiungere l'obiettivo di trovare e, ci auguriamo, consegnare ad una Corte internazionale colui che viene individuato come il mandante o, quanto meno, come l'ispiratore degli atti terroristici dell'11 settembre scorso.
Il supporto del Governo italiano all'azione militare, ora congiunta con gli Stati Uniti, difficilmente si potrà concludere in un periodo di tempo ragionevolmente contenuto e, probabilmente, se a breve non accadranno fatti nuovi, dobbiamo essere consapevoli che questo sarà il primo di altri provvedimenti, che il Governo e il Parlamento dovranno esaminare ed approvare, volti ad assicurare la presenza di nostri contingenti.
Tuttavia, l'impegno militare non può essere l'unica o, quanto meno, la più convincente risposta risolutiva alla gravissima crisi internazionale che si è verificata a seguito dei fatti dell'11 settembre.
L'azione diplomatica, infatti, non deve esaurirsi e contenersi, anzi deve trovare nuovo impulso per prevenire l'allargamento dei conflitti, per limitare al massimo un'eventuale perdita di vite umane e per ristabilire quanto prima relazioni amichevoli e pacifiche tra gli Stati.
Si deve, insomma, pensare anche a un dopo conflitto e a modalità con le quali ricucire eventuali strappi a livello internazionale.
È necessario che l'Italia svolga un ruolo diplomatico di rilievo nel contrasto al terrorismo, utilizzando al meglio la propria posizione geografica, la sua apprezzata politica verso il Medio Oriente, il mai venuto meno sostegno alla politica di consolidamento dei rapporti euromediterranei.
È, inoltre, auspicabile che l'Italia prosegua nella sua politica estera volta a dare impulso agli impegni già ribaditi anche in occasione degli incontri intergovernativi, ad occuparsi favorevolmente dei paesi ad economia debole, ad appoggiare il rafforzamento dei loro processi democratici.
Ci troviamo, infatti, ad affrontare un conflitto su vasta scala, giocato da singoli individui o da piccoli gruppi e, dunque, più insidioso, che deve essere arginato non solamente attraverso l'intervento armato e la collaborazione continua di servizi di intelligence, ma anche intensificando gli incontri diplomatici multilaterali e bilaterali di varia natura, in quanto gli interessi e i rapporti politici ed economici, in entrata ed uscita dall'Afghanistan, sono numerosi e complessi.
È stato necessario il disastro di settembre per dare impulso ad una concertazione internazionale fattiva, volta ad affrontare con urgenza problemi irrisolti da tempo e noti ai governanti, cellule terroristiche presenti e tollerate nei singoli Stati, operazioni finanziarie sospette, società e organizzazioni di facciata.
L'azione militare e diplomatica servirà anche a definire assetti geopolitici ed a proporre soluzioni a piccole o grandi questioni, note o meno note, sparse nel globo.
È vitale non dimenticare gli aspetti economici insiti in questo nuovo conflitto. Dopo un decennio di indipendenza, a partire dal crollo dell'Unione Sovietica, molti Stati che erano parte di quell'impero o che, comunque, gravitavano attorno ad


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esso, in quanto punto di riferimento politico ed economico, si trovano ora in situazioni di grave crisi interna con rischi di guerra civile. I governi di quest'area non sono riusciti, infatti, a realizzare riforme economiche e sociali significative e la repressione è diventata spesso lo strumento per mantenere o giustificare il potere. In molti stati dell'Africa e dell'Asia centrale, tra questi anche gli Stati dove la popolazione è a maggioranza musulmana, oltre il 60 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà e la corruzione blocca o rallenta i processi di riforma economica e sociale. Le dure reazioni dei governi e dei movimenti islamici hanno prodotto soltanto il loro rafforzamento; ricordo che, oggi, sono proprio i giovani e gli studenti delle università ad offrire il maggiore sostegno alle spinte integraliste. Inoltre, i leader dei paesi musulmani, invece di consolidare i rapporti di collaborazione interstatuale, li hanno spesso inaspriti, determinando un terreno fertile per le divisioni e le inimicizie causate dagli estremisti. Si tratta, quindi, di un terrorismo che può virtualmente contare sull'appoggio e sulle simpatie delle comunità musulmane presenti in tutto il mondo. Rammento che gli immigrati musulmani presenti in Europa sono circa 25 milioni.

PRESIDENTE. Onorevole Rizzi, la invito a concludere.

CESARE RIZZI. Concludo, signor Presidente.
Colgo, infine, l'occasione per segnalare alcune questioni di cui Governo e Parlamento dovranno necessariamente tener conto per affrontare in modo efficiente e responsabile la lotta al terrorismo. Auspico che il sostegno del Governo e del Parlamento ai nostri contingenti rimanga sempre alto: le forze armate impegnate in tali missioni non devono sentirsi abbandonate a se stesse, né inviate unicamente per sostenere esigenze di carattere squisitamente politico.
In conclusione, signor Presidente, sono soddisfatto che il Governo, per la prima volta - lo ripeto -, sia venuto a chiedere il parere del Parlamento circa un eventuale nostro impegno: in questo caso, si tratta di un invio di forze armate italiane per una missione non di pace ma di guerra, perché questa volta c'è bisogno di guerra. Nella passata legislatura, invece, non è stato detto assolutamente nulla! Ho ascoltato prima il collega Minniti vantarsi dell'operato della sua parte politica: noi ci siamo trovati di fronte a forze armate italiane impegnate in guerra, nei Balcani, senza che il Parlamento fosse stato avvertito (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia)!
Signor Presidente, le chiedo l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna di alcune considerazioni integrative dell'intervento che ho appena svolto.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente.
È iscritto a parlare l'onorevole Lavagnini. Ne ha facoltà.

ROBERTO LAVAGNINI. Signor Presidente, onorevole ministro Martino, onorevoli colleghi, penso che oggi l'opposizione debba unirsi alla maggioranza nel ringraziare questo Governo per le informazioni precise e puntuali che ha voluto fornire, tempestivamente, al Parlamento, sia in aula sia in Commissione, prima per l'intervento in Macedonia ed oggi per la nostra partecipazione in Afghanistan. Si tratta di un comportamento che i vostri governi, nella precedente legislatura, non hanno mai potuto tenere, poiché nella politica estera e della difesa non avete mai avuto una maggioranza. Se non ci fosse stata un'opposizione responsabile che vi avesse offerto il proprio voto a sostegno della politica estera europea ed extraeuropea, che vi avesse offerto il proprio voto ed appoggio per l'acquisizione di armamenti in modo da condividere progetti europei che collocassero le nostre forze armate alla pari degli altri paesi occidentali, voi non avreste mai avuto una maggioranza. Devo ricordarvi che l'invio di mezzi ed uomini in Eritrea fu comunicato dal ministro della difesa del Governo


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Amato alla Commissione difesa due giorni dopo che la spedizione aveva avuto inizio.
A conferma di ciò, l'allora capogruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo in Commissione difesa sentì la necessità di presentare una risoluzione, approvata all'unanimità, che invitasse il Governo ad informare il Parlamento prima di adottare qualsiasi decisione che comportasse la nostra partecipazione in missioni di pace. Nonostante il fatto di avere una maggioranza certa, convinta e compatta, il Governo attuale ha voluto che l'opposizione fosse sempre informata, perché in un momento tragico e delicato l'adesione del nostro paese a missioni all'estero e di guerra fosse condivisa da tutte le forze politiche presenti in Parlamento: lo ha ribadito e richiesto, ancora questa mattina, il ministro della difesa nel suo intervento.
Ma ancora una volta vi presentate divisi ed i vostri voti dimostreranno che non avete una politica estera e della difesa comune. Dimostrerete che a una parte della vostra coalizione non importa nulla di come e quanto il nostro paese venga considerato a livello internazionale e siete anche divisi al vostro interno sull'opportunità di partecipare alla manifestazione di sabato 10 novembre. Cercate di non polemizzare e di non creare un'immagine distorta di questo Governo nei confronti dell'Europa e degli Stati Uniti! Cercate piuttosto di far tacere quelle parti politiche della vostra coalizione che forniscono degli alibi al terrorismo: non ci sono alibi che giustifichino migliaia di vittime innocenti; non ci sono alibi che giustificano il 75 per cento della produzione mondiale di oppio per finanziare il terrorismo; non ci sono alibi per chi calpesta i diritti umani di donne e bambini.
Abbiamo deciso di mettere le nostre Forze armate a disposizione degli americani per combattere il terrorismo e l'onorevole Martino può essere sicuro che la Casa della libertà questa mattina voterà a favore di questa decisione convinta e compatta. Non dobbiamo scusarci di essere filoamericani; al limite, si dovrebbero scusare coloro che sono stati filosovietici. In questo momento, siamo vicini alle Forze armate e ai nostri militari che negli ultimi 15 anni di missioni di pace nel mondo hanno dimostrato la loro capacità, la loro lealtà, la loro generosità, riscuotendo apprezzamenti, sia da parte di tutte le organizzazioni internazionali, che da parte delle popolazioni con le quali sono venute a contatto, cercando di portare nel mondo quei valori in cui crediamo e che condividiamo: libertà, giustizia e pace (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carra. Ne ha facoltà.

ENZO CARRA. Signor Presidente, signori del Governo, onorevoli colleghi, l'opposizione alla quale mi onoro di appartenere voterà a favore del dispositivo che verrà messo in votazione al termine di questa seduta. In altre parole, approveremo le comunicazioni del Governo e le iniziative che da esse esplicitamente conseguono per il ripristino della legalità internazionale. Impegneremo il Governo a riferire al Parlamento sugli sviluppi, nonché a sottoporre ad esso eventuali nuove decisioni che si rendessero necessarie nel prosieguo del conflitto. Tuttavia, non consideriamo questo un episodio da definire bipartisan: lo riteniamo l'unico, sofferto, responsabile modo di rendere un servizio al nostro paese e alla comunità internazionale di cui facciamo parte. Dunque, non capiamo le polemiche astiose, qualche volta anche tra di noi, su scelte che ci sembrano a dir poco obbligate, così come ci sembrano obbligati dei comportamenti da parte del Governo che fin qui invece non ci sono stati. Non vogliamo vedere in televisione, come diceva ieri sera il ministro Urbani, le bandierine che segnalano il dispiegamento delle truppe o delle posizioni da colpire: d'altra parte, alla visualizzazione in televisione degli obiettivi mancati dal Governo ci ha già pensato, tempo fa, il ministro Tremonti.
Invece noi chiediamo ben altro: innanzitutto che da questo momento, grave e solenne, cambi davvero il rapporto tra Governo ed opposizione. L'opposizione ha


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il diritto di essere informata e consultata, di essere rispettata. C'è bisogno di una confidenza democratica che, sola in questo paese, ha saputo sconfiggere il terrorismo. Su questo - fin qui - non avete fatto niente, non ve ne è importato nulla, ne avete fatto a meno, ma da questo momento non credo sarà più possibile per voi comportarvi in questo modo.
Avete anche fatto dell'ironia, vi siete scandalizzati per le nostre divisioni, le nostre discussioni; certo, tra di noi non ci sono anime morte, in tutti noi - nelle nostre anime - c'è la medesima sofferenza e la stessa preoccupazione che nessuna Realpolitik può far svanire.
Noi faremo il nostro dovere, accetteremo la responsabilità che il paese si attende da noi; non abbiamo fatto dello spirito a buon mercato per quella specie di processione notturna dei «re magi» a Londra domenica sera. Anzi, abbiamo considerato che, comunque, quella processione dei «re magi» - ammesso che fossero tali - ha consentito di far riprendere all'Europa - mi auguro anche alla NATO - un ruolo in questa vicenda, un ruolo che non aveva.
Vi è stato chiesto di sospendere la marcia del 10 novembre; d'altra parte il discorso del ministro Martino ci ha fatto intravedere ben altra sfilata: una sfilata militare, densa di pericoli, piena di problemi, legata alla delega al comando concessa agli americani, alla mancanza di notizie sulle regole di ingaggio. Questo è serio, preoccupante! Voi dite però di voler sfilare comunque, volete una parata per dame struccate con la bandierina a stelle e strisce tra le mani ed il cockerino al guinzaglio. In questo modo non farete molta strada, continuerete a scambiare Cecil B. De Mille con Karl von Clausewitz, i teatri di posa con i teatri di guerra!
Con la stessa serietà della quale noi siamo interpreti vi sollecitiamo ad essere finalmente più seri; comunque dopo questo voto sappiate che la nostra opposizione non vi lascerà soli, questo per il bene di una causa troppo importante per lasciarla in pasto ai propagandisti e agli spacciatori di slogan (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 10,50)

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, vi accingete a compiere una scelta che è insieme grottesca e tragica. Tragica perché è storicamente tragico quello che sta avvenendo in Afghanistan - nell'intera regione - e perché in questo modo il nostro paese si assume in forma diretta la responsabilità di una guerra unilaterale che ha conseguenze devastanti sul piano umanitario e che sempre più ne avrà su quello geopolitico e delle relazioni internazionali.
Il voto di guerra che vi accingete a esprimere - come fate a non vedere ciò - avviene proprio nel momento in cui il conflitto ha dato prova lampante di non riuscire a risparmiare la vita dei civili - le parti più indifese delle popolazioni -, donne e bambini, nel momento in cui i cosiddetti danni collaterali sono sotto gli occhi di tutti, anche dei vostri, suppongo.
I nostri ragazzi, come dice la retorica guerrafondaia di tutti i tempi, e le nostre ragazze, come impone questa modernizzazione barbarica che uccide l'aspirazione femminile alla libertà e all'autodeterminazione, imprigionandola nello scimmiottamento di tutto quello che di peggio ha prodotto la cultura maschile, i nostri ragazzi e le nostre ragazze - ripeto - andranno ad esercitare la loro vocazione militare contro un paese poverissimo, già torturato da 20 anni di guerra contro villaggi, quartieri civili, agenzie di sminamento, ospedali civili e militari.
C'è un documento - vi suggerisco di leggerlo - che non è stato scritto dal gruppo di Rifondazione comunista ma da Pax Christi. Si intitola «Clamore dei popoli per la giustizia, la solidarietà e la


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pace» e vi è scritto che l'operazione militare che gli USA stanno conducendo in Afghanistan non è altro che un'altra forma di terrorismo - questo è anche il nostro giudizio! - un terrorismo che alimenta, in maniera esponenziale, il terrorismo dei gruppi politici del fondamentalismo islamista, che non bonifica ma moltiplica quelli che l'onorevole D'Alema ama chiamare i giacimenti dell'odio. I fiumi di dollari che si stanno spendendo nell'attuale campagna contro l'Afghanistan sarebbero sufficienti da soli a bonificare subito uno di quei giacimenti, eliminando, se indirizzati ad una strategia di convivenze e pace tra i popoli, la fame e la miseria dell'intera zona.
Partecipare alla guerra è una scelta tragica - dicevo prima - ma insieme grottesca perché nulla e nessuno imponeva al nostro paese di passare dalla già disastrosa scelta di appoggio politico all'operazione «Libertà duratura» a quella del coinvolgimento diretto in azioni di guerra.
Non vi è stata nessuna richiesta americana, ma soltanto l'insistenza grottesca fino al ridicolo, se non si trattasse di guerra, dell'offerta italiana, del pietire del Governo e anche di esponenti del centrosinistra di partecipare, in forma diretta, alle azioni militari in Afghanistan, di far sventolare la bandiera italiana tra le macerie di quel paese.
Dietro al ridicolo delle forme c'è però l'idea, l'illusione, la volontà di far parte attiva, ancorché in posizione di attori di seconda o terza fila, di quel gruppo di paesi che, con la guerra, sta disegnando le nuove coordinate del potere economico, politico e militare nel mondo, di sedersi insomma al tavolo dei vincitori, semmai vi saranno, con Bush e Blair per poter dire: c'ero anch'io! Un déjà-vu che fa parte di una storia del nostro paese che noi proprio non amiamo e che ha portato più volte l'Italia ad avventure belliche disastrose, tanto più disastrose in questa occasione perché le dinamiche che si sono aperte con l'operazione «Libertà duratura» sono tutt'altro che chiare e definibili, al di là del martellamento militare continuo, dei bombardamenti metro per metro, della propaganda bellica.
Abbiamo detto più volte - e oggi lo ribadiamo - che «Libertà duratura» non è una operazione contro il terrorismo, che il terrorismo non si combatte in questa maniera, che in questa maniera si alimentano e si estendono soltanto l'area e la legittimazione del terrorismo.
L'operazione «Libertà duratura» è un'occasione colta dagli Stati Uniti e dalla NATO per intervenire in armi a ridefinire, attraverso la guerra, il protettorato, la presenza diretta in quelle zone, i rapporti di forza in un'area del mondo che - basta leggere la stampa degli Stati Uniti e di tutti gli osservatori attenti alle questioni geopolitiche - è strategica da tutti i punti di vista.
Ma se le ragioni strategiche sono chiare e definite - in merito a ciò dovrebbe essere aperta la discussione in Parlamento, non sugli aspetti tecnici militari di cui ci ha informato il ministro Martino - non sono affatto chiare le sorti di questa guerra.
Il Parlamento dovrebbe essere messo nelle condizioni di discutere dell'andamento della guerra. Il voto è a occhi chiusi. Come può non interessarci sapere che, dopo mesi di bombardamento incessante, non vi è nessun segno di successo, né politico né militare, nella dichiarata offensiva contro il regime dei taliban? Che Bin Laden, lungi dall'essere stato catturato o dall'essere in procinto di essere catturato, diventa ogni giorno di più il punto di riferimento di vaste aree dei paesi arabi e che rischia di essere l'eroe di un'intera generazione di giovani maschi musulmani, sempre più schiacciati dagli avvenimenti di questo periodo su un'identità islamista che annienta tutte le differenze culturali, che pure sono grandissime tra quei paesi, e tutte le differenze sociali?
Come ignorare che la destabilizzazione dell'area, a cominciare dal Pakistan, così duramente investito nelle responsabilità militari dell'azione « Libertà duratura » comporta rischi di una gravità inaudita per tutto il mondo, considerato che la


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guerra avviene in un contesto circondato da paesi cosiddetti emergenti e dotati dell'arma atomica?
Votiamo la guerra, assumiamo il ruolo di reggicoda degli Stati Uniti d'America, mentre potremmo fare grande il nostro paese, mettendo all'opera la grande vocazione di pace che esso manifesta e che si è evidenziata nella straordinaria partecipazione popolare alla marcia Perugia-Assisi, vocazione di pace che torna, in tutti i sondaggi investigativi, nella volontà della nostra gente di partecipare o meno alla guerra.
Potremmo fare grande il nostro paese elaborando e proponendo adeguate strategie internazionali contro il terrorismo, con un'azione pressante per risolvere i punti di crisi che lo alimentano, a partire dalla questione palestinese che continua ad essere nel fuoco di una situazione drammatica che appare irrisolvibile; potremmo adoperarci per promuovere un'azione autonoma dell'Europa e un suo ruolo quale mediatrice dei conflitti per rilanciare, ripensare e riqualificare il ruolo delle Nazioni Unite che oggi sono ridotte a paravento subalterno delle decisioni della NATO.
Il Presidente della Repubblica Ciampi ha augurato che un tricolore sia presente in ogni famiglia. Ci dispiace che il Presidente della Repubblica abbia usato questa espressione tipica del patriottismo bellico. Ne siamo distanti anni luce e faremo di tutto perché il minor numero di tricolori di guerra sventoli tra di noi. Se il tricolore, come deve essere, rappresenta il nostro paese, deve rappresentare l'Italia repubblicana, democratica e fondata su una Costituzione che ha nel suo DNA costitutivo il ripudio della guerra e la ricerca della pace.
Il voto di oggi fa piazza pulita di quel fondamento, distrugge le basi della convivenza internazionale, favorisce l'instaurazione della legge del più forte, eliminando ogni garanzia del diritto. Vi accingete a scrivere un'altra pagina nera della nostra storia. Per quello che è nelle nostre mani, faremo di tutto per sollevare contro la vostra decisione clamori di popolo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente, signori ministri degli esteri Ruggiero, della difesa Martino, per gli italiani nel mondo Tremaglia, onorevoli colleghi, non è a cuor leggero che oggi ci assumiamo questa responsabilità; del resto, lo stesso ministro Martino non ha nascosto i rischi della missione.
Credo quindi che si debba avere estrema consapevolezza del momento ed anche la capacità di essere estremamente sobri e in grado di guardare, in particolare, alla tutela dei nostri soldati, delle popolazioni civili, nonché a condurre questa operazione in modo serio e responsabile.
Assumiamo tuttavia questa responsabilità perché avvertiamo la necessità di una solidarietà piena ed inequivocabile nella lotta contro il terrorismo che ha attaccato gli Stati Uniti d'America. Non c'è via di mezzo: non si può stare fuori.
E noi, che rappresentiamo i Democratici di sinistra, siamo, dal punto di vista nazionale, solidali con il nostro paese, dal punto di vista politico, ci collochiamo in quell'arco di forze che va dai democratici americani ai laburisti inglesi, ai socialdemocratici tedeschi, ai socialisti francesi. Con questi siamo, con questi vogliamo rimanere e, in questo senso, siamo impiegati.
Quindi, chi parte, chi è impegnato in queste operazioni, questi militari sono soldati d'Italia, non sono né della Casa delle libertà, né dell'Ulivo, ma devono sapere di aver dietro di loro tutto il paese. Tuttavia - mi rivolgo a lei, in particolare, onorevole ministro Martino -, vorrei formulare alcune richieste. La prima, già espressa dall'onorevole Minniti, è di tornare in Parlamento quando si conosceranno le regole di ingaggio, poiché sono il punto fondamentale per quanto riguarda la capacità, da parte nostra, di regolare la


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nostra partecipazione e, quindi, di evitare di essere trascinati in un allargamento del conflitto.
In secondo luogo, è indispensabile che sia definito un responsabile militare nazionale in teatro. Mi sono consultato anche con l'amico onorevole Angioni: la delega di poteri da parte del capo di stato maggiore della difesa italiano al comandante delle operazioni a Tampa, deve essere accompagnata dall'individuazione di un responsabile militare nazionale in teatro, per garantire, attraverso la catena gerarchica, che sul campo non vi siano deviazioni, interpretazioni non sicuramente aderenti all'impiego delle forze approvato dal Parlamento. Credo che questo sia un punto importante, come lo è anche la richiesta, da parte del consiglio delle rappresentanze militari, di vedere considerato positivamente il loro status: non siamo in una situazione di guerra, né in missione di pace; giustamente, questi militari chiedono di essere tutelati da un adeguato regime giuridico.
Le operazioni militari, certamente, sono importanti, ma sono solo un tassello di un'azione contro il terrorismo che deve essere di vasto raggio politico, finanziario ed anche umanitario. Mi sono recato a New York la scorsa settimana ed ho avuto colloqui politici al Congresso degli Stati Uniti (credo di essere stato il primo parlamentare italiano ad entrare nel Congresso dopo la vicenda dell'antrace). Mi sono recato poi alle Nazioni Unite ed ho parlato con il segretario generale aggiunto Desaj, ho parlato con la vice responsabile degli aiuti di emergenza Carolyne Mc Askie. Le Nazioni Unite, ancor prima dell'intervento, già sfamavano quasi quattro milioni di profughi, e questo numero è destinato ad aumentare drammaticamente. Occorre una chiara presa di coscienza e di consapevolezza del fatto che bisogna aumentare questo aiuto in modo deciso, bisogna farlo subito e occorre chiederlo alla comunità internazionale - come chiede, del resto, la nostra risoluzione -; occorre avere, inoltre, la possibilità di fare arrivare questo aiuto e, quindi, operazioni belliche che siano compatibili con la continuazione di quella che è una vera e propria nutrizione di larghe masse di popolo afgano che, altrimenti, rischierebbero non un livello di vita, ma la stessa sopravvivenza.
C'è poi l'aspetto di carattere politico della nostra condizione, e riguardo a questo devo dire, francamente, che dobbiamo vedere sviluppare, in questo nuovo concerto mondiale, qualcosa di più e qualcosa di nuovo. Abbiamo ascoltato poc'anzi, da parte del Presidente del Consiglio, delle dichiarazioni piuttosto leggere, rispetto alla necessità di costituire una grande coalizione che comprendesse anche il mondo arabo. Inoltre, c'è sembrato di vedere una sorta di furbesco allentamento dei legami con l'Europa, sperando magari di diventare alleati privilegiati degli Stati Uniti, con la conseguenza che si è vista l'Italia in difficoltà nel recuperare un rapporto europeo, senza peraltro poter vincere la competizione (impossibile) con Gran Bretagna e Germania nel rapporto con gli Stati Uniti. Credo che dal recupero in extremis della famosa «cena del lunedì» si debba partire per una politica europea vera e propria, perché la forza dell'Italia non sta nel competere isolatamente con gli altri paesi europei, ma in una politica multilaterale, europea.
Io sono stato molto soddisfatto - o quantomeno incoraggiato - quando ho visto che il Presidente di turno belga riusciva a riunire ieri Peres e Arafat, in un colloquio che certo è stato difficile, ma che è il primo dopo molto tempo. C'è un obiettivo che ci dobbiamo porre. Non so se ci sarà una nuova Camp David o un altro luogo per un negoziato tra israeliani e palestinesi; so che dobbiamo avere un obiettivo: che a questo negoziato non ci sia solo il Presidente degli Stati Uniti d'America, ma anche il rappresentante dell'Unione europea. L'Unione europea deve sapersi prendere carico fino in fondo di questo problema e di questa responsabilità politica che portiamo avanti (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
Ecco, allora, perché, nell'ambito di un dispositivo di autorizzazione per le nostre


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Forze armate che le rende forti e che sarà unico, certamente manteniamo, dal punto di vista politico, la nostra diversità, la nostra caratteristica e la nostra iniziativa politica.
Mi si lasci aggiungere una considerazione relativa alla manifestazione del 10 novembre sulla quale già l'onorevole Minniti ha speso parole. Questa mattina i giornali e la radio riportano una notizia che forse potrebbe farvi riflettere: alcuni esponenti della Lega nord Padania intendono partecipare a questa manifestazione portando la bandiera padana! Non so se, adesso, volete portare anche la bandiera della Confederazione degli Stati Uniti del sud! Vorrei ribadire quest'aspetto.
Al momento della presa di coscienza per il Kosovo, abbiamo assistito ad una dissociazione nettissima dell'allora Lega nord, e al viaggio di Bossi finalizzato ad incontrare Milosevic. E voi, adesso, vorreste fare una manifestazione di parte addirittura con la partecipazione di chi sventolerà la bandiera padana e non il Tricolore! Vi chiedo, francamente, di ripensarci. Ve lo chiedo con l'atteggiamento di chi, nella scorsa legislatura, come presidente della Commissione difesa - i colleghi potranno darne atto - ha sempre cercato di portare avanti una politica bipartisan. Quella del 10 novembre non è una manifestazione per il Stati Uniti: temo proprio che sia una manifestazione che il Presidente del Consiglio fa per sé stesso. Questo non aiuta! Non è positivo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
Siamo, invece, del tutto disponibili ed impegnati su un fronte politico e diplomatico sul quale possiamo fornire - e forniamo - un ampio ed importante contributo. Certo, è importante mantenere l'ampiezza di questa grande coalizione; è l'elemento di forza che ci può consentire di isolare il terrorismo e di batterlo. In questo senso - come è stato opportunamente ribadito - ci impegniamo attraverso questo scambio di note, attraverso questa nostra finalizzazione per quanto riguarda i Balcani e l'Afghanistan. Ciò non può, certamente, significare alcuna adesione alla cieca dell'Italia ad altre iniziative, operazioni o attacchi ed altri paesi. Siamo estremamente chiari: su ciò non possiamo dare l'autorizzazione.
Tuttavia, siamo di fronte ad un mondo che, sotto la scorta della necessità, ha dovuto prendere coscienza di una serie di elementi che erano stati, in qualche modo, tralasciati. Cosa è successo, in fondo, in Afghanistan? Dopo aver eliminato i sovietici, ci si è disinteressati di cosa accadeva in quel paese, salvo, poi, svegliarsi di fronte ad un regime che ospitava il terrorismo e che ha caratteristiche di antidemocraticità e di intolleranza: il regime dei talebani.
Oggi, non ci si può più disinteressare. Ci troviamo di fronte a scadenze importanti della vita internazionale: stiamo per avere una conferenza dell'Onu sulla «globalizzazione», ossia sui temi dello squilibrio generale di carattere mondiale, sui temi finanziari e su quelli della crescita, dello sviluppo e del sottosviluppo. Le Nazioni Unite stanno per fare una conferenza di questo genere a Monterey. Credo che anche questo faccia parte del nostro impegno; addirittura, suggerirei, al di là delle divaricazione politiche, che sia presente il Presidente del Consiglio, che l'Italia si impegni al massimo su questo tema e che si possa, effettivamente, constatare che il nostro paese non gioca con leggerezza in questa situazione ma è capace veramente di portare avanti una politica che vada alla radice di tali problemi.
Signor Presidente, signori ministri, onorevoli colleghi, certamente questo non è momento semplice né facile per il nostro paese. Sappiamo che il terrorismo non si combatte solo in Afghanistan, ma anche smantellando una rete di complicità finanziarie ed economiche, attraverso un'azione di intelligence. Ecco perché vi invitiamo a ratificare velocemente questa convenzione europea perché potrà rimediare a quei guasti creati dalla legge sulle rogatorie, a quei guasti creati dalla legge sul falso in bilancio, a quei guasti creati sulla legge del riciclaggio! Se noi, come è nostro dovere, ratificheremo prontamente questi documenti internazionali, credo, porremo fine


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a quella che è stata veramente una vergogna per il Parlamento italiano: mentre con una mano prendevamo degli impegni a livello internazionale, con l'altra approvavamo in Italia dei provvedimenti che non consentivano e non aiutavano la lotta contro il terrorismo e la cooperazione contro la criminalità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)! È un altro invito che le rivolgo.
Signor Presidente, signori ministri, onorevoli colleghi, credo che, in questo senso, sia chiaro il nostro atteggiamento. Un atteggiamento, come sempre, responsabile, di assunzione delle nostre responsabilità ma di una coerente linea politica che fa del centrosinistra, dell'Ulivo e del nostro partito dei Democratici di sinistra, quell'alternativa democratica di Governo di cui il nostro paese ha profondamente bisogno (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.

GERARDO BIANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ringraziamo il signor ministro per la sua dettagliata relazione. Abbiamo apprezzato, signor ministro, la cura con la quale ella ha offerto al Parlamento elementi utili per valutare l'impegno dell'Italia nella lotta comune al terrorismo: si tratta di una battaglia che va inquadrata - forse è opportuno sottolinearlo - nell'ambito delle Nazioni Unite.
Noi condividiamo l'impegno che il Governo sta per assumere a nome dell'Italia e lo sosteniamo. Ma forse, onorevoli colleghi, non è inutile ricordare che le nostre scelte partono da lontano. Esse furono a fondamento della nostra storia repubblicana: scegliemmo, oltre cinquant'anni addietro, la solidarietà europea ed occidentale, politica e militare, con l'obiettivo di difendere la democrazia e la pace nel mondo. A quella linea, in passaggi difficili, siamo rimasti sempre fedeli, facendo scelte coraggiose e forti ed assumendoci dure responsabilità, anche quando il paese era diviso.
Noi siamo qui, ora, dalla stessa parte, perché riteniamo di essere ancora dalla parte giusta; perché è giusto essere accanto, con l'Europa, al nostro grande alleato, l'America, che ha combattuto per la nostra libertà e per la sconfitta del fascismo; perché è giusto combattere, senza tentennamenti, un terrorismo sanguinario e cieco che minaccia la convivenza dei popoli del mondo. Noi dobbiamo avere la lucida consapevolezza che l'attacco alle torri di New York non rappresenta una sfida soltanto all'America, ma riguarda l'intera umanità e, dunque, tutte le civiltà: non solo l'occidente, ma la stessa civiltà musulmana è messa sotto scacco. Combattendo il terrorismo difendiamo non solo la sicurezza dei nostri popoli, ma anche di quelli dell'islam e di altre fedi religiose; di questi ultimi, peraltro, ben conosciamo la ricchezza di civiltà, di cultura e di arte, anche per avervi spesso attinto nel corso dei secoli.
È nostro compito, dunque, focalizzare con energia e con prudenza la nostra azione, consci che l'intervento militare non può surrogare l'iniziativa politica, quanto mai necessaria per sconfiggere il terrorismo. È illusorio, signor ministro, anche pensare di poter giocare un ruolo positivo in modo solitario, bilaterale o quadrangolare. Il nostro compito primario è quello di contribuire a fare emergere una coesa politica europea, che concorra, con quella degli USA e degli altri paesi dell'alleanza antiterroristica, ad annientare i demoni della distruzione, ad impostare politiche di ampio respiro che diano speranza e fiducia ai popoli derelitti ed emarginati, nel rispetto delle loro culture e delle loro tradizioni.
Si sostiene oggi, giustamente, che l'attacco terroristico sta cambiando la geopolitica e che diverse nuove intese sono emerse in modo inaspettato ed inedito: riappare sulla scena internazionale, in primo piano, una grande nazione europea, la Russia e, con essa, vaste realtà del mondo asiatico. La conquista della solidarietà di quei paesi - e di quelli arabi e musulmani - alla lotta contro il terrorismo apre scenari di collaborazione e di


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soluzione dei conflitti che possono realmente preludere ad un'era di pace. Il ruolo dell'ONU, dunque, diventa cruciale: per creare un giusto ordine mondiale, esso dovrebbe essere la stella polare dei nostri orientamenti; non a caso le Nazioni Unite sono diventate bersaglio dell'attacco terroristico, che mira a scardinare quei pilastri che possono regolare la convivenza tra i popoli.
Noi saremo davvero lungimiranti se, come Europa, senza avere frustrazioni di potenza e tanto meno suggestioni nazionalistiche, sapremo irrobustire l'azione degli organismi europei ed internazionali e sapremo operare nelle aree di crisi in modo fermo ed equo, a cominciare dalla soluzione, nell'area mediorientale, del conflitto israeliano-palestinese.
La sconfitta del terrorismo e la pace possono cominciare proprio da quella tormentata terra, dove si incontrano grandi religioni e dove non può esserci un Dio che armi mani sanguinarie. È nostro dovere esercitare ogni pressione, ricorrere ad ogni strumento, ad ogni aiuto, con i partner europei, con gli USA e con la Russia, per il raggiungimento di un accordo che assicuri la sicurezza reciproca di quei paesi e il riconoscimento di Stati sovrani ed in pace. L'Italia, per i suoi antichi rapporti con i paesi arabi, che ci rendono giustizia dopo le deliranti accuse lanciate dal capo dei terroristi, può svolgere un ruolo prezioso, senza pretese di prestigio e di supremazia, ma al servizio di un disegno euromediterraneo di sviluppo e di solidarietà. Non è con l'orgoglio nazionale che si costruisce una buona politica, ma con la dignità di un paese che sia saldo nei propri valori di libertà e di giustizia. Non conta essere ammessi o meno al banchetto dei grandi o presunti tali, ma conta indicare le decisioni ed adoperarsi per realizzarle. La bussola - ripeto - per l'Italia non può che essere l'Europa, al fine di costruire una politica che sappia riprendere il dialogo nord-sud, che non sia avara e chiusa nel suo dorato egoismo, che non si affidi al darwinismo della soluzione economica, per l'affermazione di una politica internazionale che ritorni alla sua funzione redistributrice delle ricchezze e creatrice di giustizia tra i popoli. La nostra adesione ad un'azione militare di sradicamento del terrorismo nasce da questa ispirazione, poiché fin quando ci sarà questo male assoluto, nessuna costruzione di civiltà potrà essere proseguita, quale che sia la sua cultura fondante o la fede religiosa originaria.
La parola guerra, certo, suscita in tutti noi profonde inquietudini; le immagini di civili innocenti, donne, bambini colpiti scuotono la coscienza e turbano i nostri sonni. Ma rimane un interrogativo. Quando la parola è annichilita, quando il dialogo è cancellato, può esserci una politica di dialogo per sradicare il terrorismo? Non possiamo quindi non porci questa fondamentale domanda. Lo dico ad alcuni colleghi della sinistra: ci sono alternative per distruggere aree blindate, che diventano covo del terrorismo, come l'Afghanistan? Come potrebbero essere espugnate senza l'uso legittimo di una forza (peraltro garantita dall'ONU)? Se dovesse vincere il terrorismo - questa è la domanda fondamentale - non si incendierebbe la gran parte dei paesi musulmani? Non ci sarebbe il rischio di uno scontro enorme, infinito, senza regole e senza quartiere? Ma ci sarà pure una ragione! Perché non vi interrogate sul motivo per il quale la stragrande maggioranza dei paesi islamici si è schierata con l'alleanza contro il terrorismo?
Il nostro consenso all'intervento anche militare è un consenso italiano, perché l'Italia fa parte della grande famiglia europea ed occidentale che vuole costruire un mondo sicuro (obiettivo impossibile da raggiungere se prevalesse il terrorismo). Questo ruolo dell'Italia noi abbiamo contribuito a costituirlo per mezzo secolo; oggi è diventato un patrimonio comune. Non possiamo quindi accettare nessuna lezione. È insensata l'accusa di antipatriottismo! Mentre vi è un ampio consenso sulle scelte da compiere, è paradossale che da parte della maggioranza, da una parte, si cerchi l'unità degli intenti, dall'altra, si facciano polemiche sul passato, sul sovietismo, e si dicano altre banalità di questo


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genere che sono ampiamente superate. Mi sembra che non ci sia molta saggezza in certi atteggiamenti della maggioranza. Ma non è questo il tempo delle polemiche. La nostra determinazione nasce, non da una concessione, ma da una autonoma e responsabile valutazione della situazione mondiale. I nostri soldati presto potranno partire ed essere impiegati in azioni rischiose. Essi sono stati soldati di pace in ogni angolo del mondo, guadagnando onore e dando dignità al nostro paese; combattendo contro il terrorismo continuano quell'opera di pace. Essi devono sapere che tutti noi, tutta l'Italia sarà al loro fianco (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, di Forza Italia e di Alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bulgarelli. Ne ha facoltà.

MAURO BULGARELLI. Signor Presidente, colleghi, colleghe, in quanto antimilitarista ed ecologista non posso che essere voce fuori dal coro.
Ritengo doveroso, su un piano strategico oltre che etico, sottrarmi alla logica dello scontro che, essendo scontro di guerra, non posso che ritenere scontro tra inciviltà. Rifiuto la logica degli schieramenti contrapposti, la logica della forza contro la forza che minaccia, di nuovo, l'umanità. Per questo la non violenza, il pacifismo, l'obiezione di coscienza, la disobbedienza civile sono tratti distintivi della nostra anima politica. Il concetto di libertà al quale vi appellate a giustificazione della guerra, dell'orrore, se spogliato degli artifizi dialettici ottiene un unico risultato: piegare il termine e il senso della parola libertà ad una logica che non ci appartiene. Attraverso questa presunta libertà si tenta di non pensare alla responsabilità, collettiva ed individuale, anche perché, in caso di guerra, bisogna uscire dalla logica dei partiti, degli schieramenti, e chiedere anche alla propria sfera intima, al proprio io profondo, quali siano il significato e il perché di questa scelta. Si tenta di non sentirsi gravati dal peso delle conseguenze, si tenta di frammentare il tempo della propria vita in episodi che non producono esiti durevoli, come se non esistesse la storia, come se non esistessero le relazioni tra Stati, gruppi, individui. Spesso, nella storia e nella guerra, il nemico di oggi corrisponde all'alleato di ieri.
Noi crediamo possibile che ci siano altre vie contro il terrore, in tempo di pace, così come in tempo di guerra. Questo è problema reale. Ancora una volta il nostro «sogno» di democrazia globale, di equa distribuzione delle risorse, di battaglia culturale contro gli integralismi è messo, un'altra volta - perché questa è l'altra via - in crisi, all'angolo, senza nessuna possibilità di dipanarsi.
Anche questa è una guerra economica che tende all'apertura di nuovi mercati ridisegnando il quadro delle alleanze attraverso una spettacolare resa dei conti planetaria che giustificherà attacchi e stermini in diverse aree del pianeta, mascherando, sotto le bandiere della guerra santa, il fine del controllo economico e territoriale.
Disobbedirò ad ogni opzione possibile che vada in direzione contraria al «no alla guerra», così come continuerò, ostinatamente, a votare contro qualsiasi provvedimento che riguardi, direttamente o indirettamente, armamenti, invio di truppe o quant'altro (Applausi dell'onorevole Cima).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, signori ministri, a nome del gruppo della Lega nord Padania svolgerò alcune considerazioni in attesa delle dichiarazioni di voto che daranno compiutezza politica alle posizioni espresse dai diversi gruppi parlamentari. È stato richiamato, prima, il problema del collegamento tra sicurezza interna e sicurezza esterna. Penso che questo sia un passaggio che debba essere sottolineato da tutti. La sicurezza esterna nella lotta al terrorismo internazionale deve avere una sua rispondenza


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anche nelle politiche di sicurezza interna, dunque, ovviamente, in un'azione di intelligence che deve essere adeguata e capace di capire quanto sta avvenendo nel mondo e, soprattutto, in un controllo capace, efficace, puntuale e preciso dei fenomeni di immigrazione, spesso e talvolta clandestini. L'immigrazione clandestina, ma non solo; il mare all'interno del quale nuotano tutte le forme di terrorismo internazionale. Gli Stati, la comunità internazionale, l'Europa devono essere capaci di regolare, in maniera, ovviamente, democratica e rispettosa dei diritti civili dei singoli individui, questi fenomeni di immigrazione.
Il controllo delle frontiere esterne dell'Unione europea, soprattutto quelle di tipo marittimo, non può essere lasciato solamente a singoli Stati nazionali, ma deve diventare patrimonio e problema comune di tutta l'Unione europea. Penso che questo sia un punto sul quale si potrebbe e si dovrebbe trovare l'unanimità dei consensi.
Intendo poi svolgere una riflessione proiettata nel medio e lungo periodo sulla quantità e sulla qualità delle risorse finanziarie ed economiche che il nostro paese vuole dedicare alla politica di difesa, una riflessione che rifugga dalle strumentalizzazioni quotidiane e da posizioni politiche di comodo. Su tale questione deve essere avviato un dibattito molto serio, in quanto dobbiamo capire quanto si intende spendere per il nostro esercito e come questo dovrà essere strutturato e, soprattutto, perché è necessario dare contenuto alla riforma avviata nella scorsa legislatura, che ha visto optare per un esercito di tipo professionistico.
Per quanto riguarda l'Europa, vi è la richiesta, comune, di una politica estera e di difesa comune. Su ciò non possiamo che essere d'accordo. Anche in tal caso occorre però chiarezza, in quanto non si possono assumere posizioni strumentali. La polemica sollevata da alcuni esponenti dell'opposizione, sia per quanto riguarda la questione del direttorio europeo a tre sia per quanto riguarda la questione dell'aereo militare da trasporto, non va in questa direzione. La risposta del Governo italiano è stata molto chiara: al direttorio a tre non si è risposto chiedendo di poter partecipare per dar vita ad un direttorio a quattro, ma si è risposto dicendo che il direttorio deve essere a livello europeo. Questa è la più grande dimostrazione di come il Governo abbia posizioni europee ed europeiste nel campo della difesa e della sicurezza comune.
Per quanto riguarda la questione umanitaria, sicuramente un accenno dev'essere fatto: dobbiamo mettere in atto anche operazioni di tipo umanitario a favore di quelle popolazioni che saranno, purtroppo, duramente colpite dagli interventi militari. Anche in tal caso, non può e non deve esserci strumentalizzazione: la questione degli aiuti umanitari non può essere lo schermo dietro il quale l'opposizione si nasconde per mascherare le differenti posizioni - talvolta anche molto profonde - sul tema dell'intervento militare.
È stato sollevato da alcuni colleghi la questione relativa alla posizione di alcune forze politiche sull'intervento, due anni fa, in Kosovo. Ebbene, intendo rispondere a queste osservazioni. Innanzitutto, la presa di posizione tenuta dal gruppo della Lega nord Padania sulla questione non era frutto di un pacifismo ideologico e politicamente indirizzato, ma dava alcune risposte, sottolineava alcuni dubbi sulla natura di quello specifico intervento. Ciò che è accaduto nei due o tre anni successivi ci ha dato chiaramente regione, perché la presenza in Bosnia, in Albania, in Kosovo (abbiamo visto anche ciò che recentemente è accaduto in Macedonia) ha chiaramente dimostrato che una rete militare, terroristica, fondamentalista islamica si era radicata in quelle zone ed in quelle situazioni. Probabilmente, quell'intervento poteva quindi essere modulato in maniera differente.
Alle considerazioni svolte dal collega Spini sulla presenza della bandiera padana alla manifestazione che si terrà il 10 novembre, possiamo quindi rispondere con molta serenità e chiarezza: la bandiera padana in quel contesto, un contesto di civiltà occidentale, di civiltà europea, di


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civiltà che si vuole contrapporre a tutta una serie di situazioni radicali, fondamentaliste ed estremiste, sicuramente ha piena dignità di esistenza.
Probabilmente, anzi sicuramente, in quella manifestazione non ha posto quella bandiera con la falce e il martello che è ancora il simbolo politico di molti suoi colleghi, caro onorevole Spini.
In conclusione, dunque, a nome del gruppo della Lega nord Padania, voglio esprimere il più sincero sentimento di vicinanza ai nostri militari impegnati in questa difficile missione e alle loro famiglie (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Paoletti Tangheroni. Ne ha facoltà.

PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, onorevole ministro, colleghe e colleghi, nessuno può votare a cuor leggero e senza riflettere la partecipazione dei soldati del proprio paese ad una guerra, perché di guerra certamente si tratta, anche se di tipo nuovo e del tutto particolare. Tanto meno, a cuor leggero si può intervenire in Parlamento a sostegno di una simile decisione.
Vi assicuro che non parlo a cuor leggero e senza riflessione, ma proprio una riflessione attenta mi porta ad una piena convinzione dell'opportunità e della necessità di un voto favorevole, nella consapevolezza che tutti dobbiamo - dovremmo - essere all'altezza della situazione storica in cui ci troviamo. Guerra è una parola terribile, specie quando ci tocca direttamente.
Tuttavia, signor Presidente, colleghi, non è giocando con le parole, ricercando sfumature, facendoci paralizzare dal politically correct, fingendo di non vedere, di non capire e di non prevedere che potremmo rimuovere la realtà.
Osservare la realtà, saperla interpretare e sapere ad essa rispondere è specificamente il compito della politica e, quindi, anche e soprattutto il nostro come rappresentanti del popolo italiano.
Come tutti, sono particolarmente sensibile alle immagini di donne e bambini coinvolti dalla guerra. Conosco bene la guerra nei suoi tragici risvolti e nella mia ventennale esperienza di lavoro in Africa l'ho vissuta da vicino. Come donna, anche se ho solo tre figlie femmine, mi sento particolarmente vicina a tutte le madri, le mogli e le fidanzate che avranno paura per i loro cari, cioè per i nostri soldati, i nostri marinai e i nostri aviatori.
Tuttavia, devo anche pensare al mondo futuro sul quale graverebbe, ancor più dell'11 settembre e ancor più di oggi, l'ombra nera e implacabile del terrorismo. Esso va fermato e va fermato nei fatti e non con le parole, con i sonni, con utopistici progetti o con irrealistiche alternative ispirate, per di più, al di là della buona o cattiva fede di chi le esprime, al rifiuto dei valori della nostra civiltà e della loro portata essenzialmente universale. Questo rifiuto è alla base di un pacifismo unilaterale di lunga tradizione, un pacifismo che si caratterizza come antiamericano, come è apparso chiaro fin dal giorno successivo all'11 settembre, quando per alcuni la colpa di quanto accaduto era comunque dell'America.
Solo l'odio, un odio radicale e una pesante eredità potevano ispirare tali convincimenti; solo il tenace persistere di questo odio e di questa eredità possono - spero di poter dire potrebbero - giustificare oggi il dissociarsi dal necessario sostegno morale e politico alla scelta dell'Italia e all'impegno dei suoi uomini.
Siamo attaccati tutti; tutti, nei limiti delle nostre possibilità, siamo chiamati alla legittima difesa, quella legittima difesa che - voglio aggiungere come cattolica - è prevista anche dal catechismo universale della Chiesa che, del resto, trovo su questo punto perfettamente corrispondente al diritto delle genti e al sentire comune.
Dobbiamo sicuramente interrogarci per valutare le condizioni di legittimità morale della legittima difesa con la forza militare su questioni preliminari. È il danno, causato dall'aggressore alle comunità delle nazioni, durevole, grave e certo? Mi pare indiscutibile.


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Gli altri mezzi al di là della guerra sono inefficaci? Mi pare certo. Vi sono fondate condizioni di successo? Non solo lo voglio credere, ma ne sono convinta. Il male da eliminare è più grave dei danni che la legittima difesa comporta? Ove si pensi alla mostruosità dell'attacco terroristico e alle prospettive future, è di ieri la notizia fornita dal Presidente Bush in persona, che i talebani stanno ricercando armi batteriologiche, chimiche e nucleari.
Quindi, pensando alle prospettive future, questo male appare così enorme da far rispondere positivamente anche a questa domanda. Allora, i pubblici poteri hanno il diritto ed il dovere di imporre al cittadino gli obblighi necessari alla difesa della nazione.
La proibizione dell'omicidio non può abrogare il diritto di togliere ad un ingiusto aggressore la possibilità di nuocere. La legittima difesa è un dovere grave per chi ha la responsabilità della vita altrui e del bene comune, tuttavia un dovere. Certamente non il solo dovere. Esiste la proposta avanzata dal nostro Governo ai partner europei di un piano Marshall per il Medio Oriente. Esiste l'impegno preso nel corso del G8 da parte del nostro Governo di sostenere lo sviluppo economico, sociale e tecnologico nei paesi meno avanzati. Esiste, certamente, l'impegno, già in atto da parte del nostro Governo, degli aiuti umanitari nelle zone di guerra e nei campi profughi.
Sempre richiamandomi alla mia esperienza di lavoro in Africa ed al mio impegno contro le spirali del sottosviluppo, lasciatemi pure dire che non ammetto che ci si nasconda dietro le generalissime ed astratte considerazioni sulla povertà del cosiddetto sud del mondo. Questo terrorismo, che pretende di agire in nome dell'islam, non ha il diritto di richiamarsi al sud del mondo né di parlare in nome di esso. I suoi fini sono l'umiliazione e l'annientamento dell'occidente e l'assunzione della guida politica del mondo islamico, non certo lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni più povere, sviluppo che viene, anzi, da esso nei fatti ostacolato.
Se anime candide non senza sospetti di ipocrisia - permettetemi - mostrano di credere che vi è un nesso tra la povertà del terzo-quarto mondo, ed il cinico e brutale dispiegarsi dell'attacco terrorista, già peraltro annunciato dalla barbara distruzione delle statue di Budda di Bamiyan nel febbraio scorso, ebbene tale anime si ingannano volendo ingannarsi. Non lasciatevi, colleghe e colleghi, coinvolgere da questo inganno. Meditiamo insieme sul richiamo all'unità del ministro della difesa. Non so se la mancanza di un voto unanime o quasi a sostegno della decisione ragionevole e meditata oggi proposta alla nostra approvazione possa, come pure è stato detto, minare la credibilità internazionale dell'Italia. Certamente essa risulterebbe come l'assenza di un appoggio pieno e forte di fronte all'opinione pubblica e, fatto ancor più grave, di fronte ai nostri soldati, ai nostri marinai, ai nostri aviatori ed alle loro famiglie. Per questo mi appello a tutti i colleghi presenti, perché nella loro responsabilità politica e morale trovino le ragioni di una scelta da compiere tutti insieme, quella stessa responsabilità cui io non ho voluto sfuggire e per la quale sono intervenuta (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e del CCD-CDU Biancofiore - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzo. Ne ha facoltà.

MARCO RIZZO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, voglio ringraziare il Governo, nella figura del ministro della difesa Martino, per il mantenimento dei rapporti con il Parlamento e per la puntualità con cui ha mantenuto gli impegni di comunicazione e di informazione nei confronti del Parlamento, sia in aula sia in Commissione.
Passando, però, al merito politico di questa vicenda che vede l'Italia, di fatto, entrare in guerra, devo dire che questa vicenda non ci convince per vari motivi.
I Comunisti italiani hanno immediatamente espresso solidarietà agli Stati Uniti ed al Governo degli Stati Uniti e si sono


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immediatamente schierati contro il terrorismo. Siamo convinti che il terrorismo sia un nemico da battere e siamo convinti che in quest'aula le forze politiche siano tutte contro il terrorismo. Tuttavia, siamo altresì convinti, anche a fronte del fatto che i paesi più importanti dell'Europa si stanno schierando in questa vicenda di guerra al terrorismo, che bisogna lasciare aperta una porta per la politica, bisogna lasciare aperto uno spiraglio per la pace. Siamo convinti - e lo diciamo non per furore pacifista - che questi bombardamenti, in primo luogo sulle popolazioni civili, e questa entrata in guerra, non solo della coalizione, ma anche dell'Italia, possano addirittura avere un effetto controproducente nella stessa battaglia nei confronti del terrorismo.
Uno degli obiettivi del terrorismo è quello di incendiare l'arena mondiale e, in primo luogo, di spostare le giovani masse arabe verso le ipotesi del fondamentalismo islamico. Siamo convinti - e lo sappiamo - che battere il terrorismo non è facile e qualcuno potrà domandarsi come si possano catturare Bin Laden e i terroristi: certamente, non con i vigili urbani e con dei messi giudiziari che vadano a consegnare l'atto di cattura.
Dopo l'11 settembre vanno puntualizzate alcune questioni, come la necessità di una maggiore azione di intelligence e di un'azione armata mirata, la possibilità e la necessità di restrizioni sulla catena economica e finanziaria che sorregge il terrorismo ed, inoltre, la politica. Vorrei chiedere al ministro Martino e al Governo: se, dopo l'11 settembre, il Governo italiano e la coalizione internazionale avessero premuto fortemente per arrivare, in termini fattivi, ad una costituzione dello Stato palestinese, nella piena sicurezza di Israele, se la coalizione internazionale avesse posto fine all'embargo economico - sottolineo il termine economico - nei confronti dell'Iraq e non all'embargo militare, questi non sarebbero stati dei colpi durissimi nei confronti del terrorismo e della sua capacità anche di autoalimentarsi e di riuscire ad interferire tra le masse arabe?
Queste sono le motivazioni che ci vedono perplessi e contrari all'entrata in guerra del nostro paese, anche perché in alcuni riferimenti dello stesso discorso del ministro della difesa Martino abbiamo avuto conferma che non ci troviamo di fronte ad un automatismo, cioè al famoso articolo 5 del trattato, ma ad un accordo bilaterale con gli Stati Uniti: credo che si tratti di questo, di una sorta di cambiale in bianco.
Noi intendiamo aiutare gli Stati Uniti, sottoponendoli anche ad una critica - ed ho già spiegato i motivi della nostra critica rispetto ai bombardamenti - ma vorrei anche porre un'altra questione: una coalizione antiterroristica internazionale può fondarsi solo su un comune orientamento verso il problema del terrorismo ed allora le relative azioni dovrebbero essere dirette contro tutti i paesi che ospitano e sostengono tale fenomeno. Mi par di capire che sia un compito facile se questi sono avversari degli Stati Uniti, ma molto più difficile quando si tratta di alleati, per esempio, come la Turchia, l'Arabia Saudita, che sono certamente fedeli agli Stati Uniti ma ostili, ad esempio, alla Russia ed oggettivamente correlati, se non sostenitori, di terroristi in Cecenia e nel Caucaso settentrionale.
Gli Stati Uniti sono disposti a riconsiderare i loro interessi geopolitici in nome dei comuni valori della lotta contro il terrorismo ? Questo è uno degli elementi da discutere, non solamente in questa vicenda, perché se pensiamo di battere il terrorismo con la politica dei due pesi e delle due misure, difficilmente ci potrà essere unanimità.
Vorrei dire - non tanto al ministro Martino quanto al Presidente del Consiglio dei ministri, ora non presente in aula - che, in politica estera, è difficile invocare la necessità di una politica bipartisan ed unitaria quando, poi, in Parlamento si avanzano tali proposte, ma, in piazza e nel paese, si esercita una forza - faccio riferimento alla manifestazione di sabato 10 novembre - volutamente di parte.
Ripercorrendo la nostra storia, ho l'impressione che l'Italia sia entrata in guerra


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più volte e con varie motivazioni. Se pensiamo a Cavour quando ha inviato i bersaglieri in Crimea o a Mussolini quando è voluto entrare in guerra per far pesare la presenza dell'Italia al tavolo delle cosiddette trattative di pace, ritengo ci sia un continuum: a Cavour è andata bene, a Mussolini è andata male.
In questo caso la motivazione è forte perché l'Italia entra in una guerra di cui non conosce gli esiti finali e, obiettivamente, non sa neanche riconoscere quali siano gli avversari futuri, con evidenti possibilità di escalation del conflitto.
Quindi, il voto dei Comunisti italiani sarà contrario all'entrata dell'Italia in guerra, sarà contrario alle risoluzioni con le quali si chiederà l'entrata dell'Italia in guerra, proprio per mantenere aperto uno spiraglio alla politica, uno spiraglio per la pace (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.

LAURA CIMA. Signor Presidente, ministri, colleghi, da oggi siamo davvero in guerra se, come probabile, il Parlamento ratificherà la decisione del Governo.
Non si parlerà più di operazioni di polizia internazionale e, quindi, si toglieranno anche alibi; i nostri soldati rischieranno la loro vita e uccideranno, così avremo scelto che l'Italia agirà, all'interno dell'alleanza internazionale per la lotta al terrorismo, in un ruolo gregario.
Credo che le differenti posizioni che si fronteggiano in quest'aula, al di là della compattezza del voto, saranno più chiare a seguito delle due manifestazioni previste per il 10 novembre, che paleseranno chi parteciperà e con quali bandiere (padane, americane), chi si schiererà dall'altra parte e chi starà a casa di fronte alla televisione.
Noi Verdi abbiamo manifestato a Perugia con la bandiera americana e la bandiera dell'islam legate insieme. Ci sono ragioni etiche, che il collega Bulgarelli ha già citato, ma ci sono anche ragioni tattiche che giustificano il nostro «no» di oggi. La guerra non ferma ma alimenta il terrorismo; di ciò siamo assolutamente convinti. Non siamo sicuri, iniziando questa avventura, se si apriranno altri fronti o no, perché non dipenderà da noi la decisione di aprire altri fronti.
Abbiamo fallito quello che doveva essere il nostro compito fondamentale, vale a dire quello di lavorare coerentemente con l'alleanza contro il terrorismo per operazioni di intelligence serie, visto il fallimento, fino ad ora, dell'intelligence da questo punto di vista e quello di lavorare, anche in Europa, per spostare l'asse ad un livello euromediterraneo, dove si sa cosa sono gli arabi, si sa dialogare con loro e si ha il rispetto tradizionale dell'Italia per la politica estera nei loro confronti.
La democrazia è a rischio e lo sono anche i diritti umani. La guerra sicuramente non garantisce un nuovo ordine mondiale, nel quale democrazia e diritti umani siano più avanzati. Le torture ai prigionieri, la CIA con licenza di uccidere e tutti gli interessi economici, in primo luogo il petrolio, che stanno dietro questa attività, saranno discussi anche all'ONU, sono discussi al WTO, sono discussi per Kyoto. La globalizzazione e i sui guasti hanno portato a questa situazione e noi italiani avremmo dovuto avere un ruolo molto più forte nell'Alleanza, al fine di riequilibrarla e per fornire indicazioni precise.
Dunque, le priorità sono: un rafforzamento dell'Europa, soprattutto per l'area mediterranea, in cui l'Italia può avere un ruolo fondamentale; la risoluzione del conflitto israeliano-palestinese; la capacità, attraverso la diplomazia, di affrontare nei paesi arabi il problema reale della democrazia e smettere di appoggiare anche i mujaheddin del nord. Spiegatemi quali garanzie ci danno rispetto alle donne afgane, le cui esigenze sono ora evidenziate, in conferenza stampa, dalle nostre parlamentari che rientrano dal Pakistan. Spiegatemi come potremo aiutare sette milioni di profughi sotto i bombardamenti (Applausi dei deputati del gruppo misto-Verdi-l'Ulivo).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sterpa. Ne ha facoltà.

EGIDIO STERPA. Signor Presidente, onorevoli ministri, onorevoli colleghi, questo dibattito è un'occasione importante per misurare la serietà e il senso di responsabilità con cui sapremo tutti, maggioranza e opposizione, affrontare un evento tutt'altro che ordinario, gravido - direi - di conseguenze per l'immediato e soprattutto per il futuro.
Nessuno, soprattutto in questo Parlamento, può sfuggire a questa realistica e serissima constatazione. Finora, nella politica italiana, c'è stata una guerra di parole con argomentazioni ispirate a meri interessi di parte e di fazione; non lo dico io, lo ha detto un uomo della sinistra che mi piace citare: roba da strapaese, questa polemica di questi mesi. Sono parole di Massimo Cacciari, un politico ed un filosofo che sta dall'altra parte della barricata rispetto a noi ed a chi vi parla, ma che merita rispetto ed attenzione.
Con le parole si sono costruiti, fin qui, fantasmi ed accuse: si è alimentata una campagna elettorale continua; è stata cavalcata, per esempio, la presunta emarginazione dell'Italia nel contesto internazionale. Si è volutamente drammatizzato il caso del cosiddetto triumvirato, insediatosi a Gand, con Francia, Germania ed Inghilterra; si è voluto vedere, a tutti i costi, in quell'episodio il discredito della maggioranza attuale e del suo leader, quando, invece, in realtà a Gand sono semplicemente emersi rancori e malanimo più da retrobottega che da degne cancellerie politiche: diciamolo con franchezza, forse anche con brutalità. Si è voluta anche montare, a tutti i costi, un'ipotetica diffidenza americana verso l'Italia e, soprattutto, contro l'attuale Presidente del Consiglio.
Non sarà da questa sponda liberale che verrà messo in dubbio il diritto e, direi, anche il dovere dell'opposizione a fare il proprio mestiere. La concezione che abbiamo della democrazia è basata, tra l'altro, sull'importanza dell'esistenza di un'opposizione forte e motivata che sappia mettere in campo il dubbio, la critica, la contestazione; tuttavia, non è illecito chiedere all'opposizione anche una certa serietà ed una certa aderenza alla realtà. Può darsi che in qualche cancelleria e, magari, anche in quella americana vi siano stati sospetti nei confronti dell'Italia. Siamo seri, però. Quali sarebbero mai i motivi per cui questi sospetti dovrebbero riguardare l'attuale Governo ed il suo Presidente? Ma, credete davvero che risultino decisivi i motivi di carattere interno, le «polemichette» che animano da tempo la nostra dialettica politica? Colleghi dell'opposizione, vi parlo con franchezza ed anche con cordialità: non siete mai stati sfiorati dal dubbio che, oltre a certi dati storici, lontanissimi ormai nel tempo, pesi, nella considerazione internazionale dell'Italia, una certa ambiguità della politica italiana, di tutta la politica italiana e, in particolare, la vostra, soprattutto in questi mesi, in quest'ultimo anno. Nel caso dell'America, per esempio, non c'è dubbio che siamo apparsi, come è stato detto, un paese che con una mano offre solidarietà agli americani e con l'altra ne brucia la bandiera, come è avvenuto, come sta avvenendo.
La credibilità, cari colleghi, non la si conquista con le parole, con certe polemiche, a volte, anche di basso livello, ma con la coerenza, con i fatti. Ebbene, a questa parte politica non si può certo addebitare la mancanza di coerenza, perché quando voi eravate al Governo, nel caso del Kosovo, questa parte politica, i partiti di questa coalizione, hanno votato a favore delle vostre decisioni.
Ma lasciamo stare la polemica di parte. Questo è il momento di guardare - direi - alla storia. Stiamo vivendo una pagina di storia senza precedenti. Quella che stiamo attraversando non è una crisi ordinaria, ma una crisi che minaccia di sconvolgere il mondo e, forse, lo sta già sconvolgendo! Il novecento è appena dietro l'angolo e sembra già lontano di un evo. Nel giro di poche settimane sono mutati tutti i parametri storici; stanno cambiando gli equilibri politici interni e internazionali: basta osservare quanto è


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già avvenuto tra est e ovest (è stato citato l'incontro di Shangai nonché gli incontri a Mosca del nostro Presidente del Consiglio). Sta cambiando tutta la geografia politica ma si stanno rimescolando anche le categorie di valori, purtroppo. È in gioco - non è retorica né allarmismo - il futuro della civiltà, non di questa o di quella civiltà, quella cattolica, quella laica o quella islamica, ma della civiltà per antonomasia, quella che riguarda tutti, nella quale c'è, appunto, la storia di tutti: ci sono valori universali, tutte le culture, tutti i credo religiosi, - ma sì - nella quale ci sono - mi sia permessa questa ripetizione - tutte le civiltà!
Chiedo ai colleghi che dicono «no» alla solidarietà concreta all'America, che dicono «no» alla partecipazione italiana alla lotta al terrorismo: come si farebbe a giustificare un eventuale neutralismo, come pare si chieda e come pare sia anche nel cuore di coloro che oggi, a denti stretti, in qualche modo, ammettono la necessità della partecipazione italiana? Si tratta di un neutralismo che è fatto di negazione dei valori propri della pace e della convivenza civile. Cito ancora una coscienza che considero della sinistra, rispettabile, Massimo Cacciari, il quale in una intervista ha detto che è un problema di etica politica, ed è questo, infatti, il problema che noi poniamo alle coscienze della sinistra! Cito anche il nostro Capo dello Stato che, proprio ieri, con la straordinaria e nobilissima sensibilità che sta dimostrando, ha dichiarato che la pace va difesa: appunto. La pace non è cosa che si realizza con le parole, ma con i fatti e difendendola concretamente, come stiamo cercando di fare insieme con l'America, con l'Inghilterra e gli altri paesi della NATO. Si può sfuggire a questa realtà accampando pretesti storici o ideologici? Abbiamo a che fare con un terrorismo bestiale, belluino, paranoico per giunta, barbaro in una parola sola, al quale si cerca di dare, oltre tutto, un significato religioso, addirittura storico, nelle parole dell'ultimo messaggio di Bin Laden (dove si fa cenno alla storia del novecento) e si vorrebbe anche far passare la storia come giustificazione di questo terrorismo bestiale. Come si può stare fuori da una lotta così inevitabile in difesa della civiltà di tutti?
Sì, cari colleghi dell'opposizione e della maggioranza - mi rivolgo anche a voi -, fin qui ci siamo confrontati con le parole, con le polemiche, con una scarsa - direi anche di basso livello - dialettica politica; ora vengono i fatti. I nostri soldati, le nostre navi, i nostri aerei - per pochi che siano - vanno ad una guerra vera, una guerra al terrorismo che è forse più difficile, più carica di rischi di ogni altro precedente conflitto; se non altro perché il nemico è invisibile, si nasconde - direi - in ogni angolo del mondo. I nostri soldati vanno ad una guerra dove non è in gioco il destino dell'America, dove non si deve gridare: viva Bush, ma dove è in gioco il destino del consorzio umano e dove bisogna gridare: viva la libertà, viva la pace!
Insomma, non si può essere estranei alle nostre considerazioni perchè questa potrebbe essere anche la partita estrema per la civiltà senza aggettivi o appartenenze. Non ci sono terze vie in questa terribile vicenda in cui siamo coinvolti; ho apprezzato molto l'intervento dell'onorevole D'Alema nel dibattito in aula tenutosi l'8 ottobre scorso, così come oggi ho apprezzato l'intervento dell'amico - sottolineo amico - Gerardo Bianco. Non ho invece apprezzato certe ironie da «strapaese» che anche stamani si sono levate dai banchi dell'opposizione.
Guardo con interesse e rispetto alla dialettica in corso nella sinistra italiana, per esempio tra i Democratici di sinistra. Particolarmente guardo con interesse al ruolo che sta per assumere - e mi auguro che lo assuma - l'onorevole Fassino; mi auguro che questa che stiamo affrontando oggi non sia un'ennesima occasione perduta - come quella verificatasi un mese fa ed anche altre volte - per una sinistra che vuol apparire - o dice di voler apparire ed essere - riformista e diversa dal passato. Questo lo dico da liberale che crede nella democrazia dell'alternanza e che spera che finalmente nella sinistra italiana prevalgano la ragione, il senso dello Stato,


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delle istituzioni, la civiltà anche nei rapporti politici perchè a volte, in quest'aula non vi sono neppure civili rapporti umani. Spero anche che la sinistra non sfugga alla convivenza e si collochi finalmente all'interno del capitolo liberale del sistema democratico dell'alternanza. Lo dico da avversario della sinistra, senza infingimenti, senza ipocrisie. Culturalmente non sono un uomo di sinistra, ho tenuto sempre a dirlo. Quindi non c'è ipocrisia in quello che dico perché sono convinto che la nostra democrazia non sarà compiuta finché non vi sarà una sinistra approdata definitivamente e senza doppiezze al riformismo e che avrà il diritto di far parte di un sistema politico davvero liberale.
Voglio fare due considerazioni finali; una riguarda il Governo...

PRESIDENTE. Onorevole Sterpa, lei ha utilizzato anche il «bonus» lasciato dal suo collega.

EGIDIO STERPA. ...signor Presidente, ho finito, rinuncio ad una considerazione finale e ne faccio un'altra.
Per cinquantasei anni, dopo la fine della seconda guerra mondiale, la politica italiana ha potuto agire e muoversi in tempo di pace. È un dato storico, anche questo, senza precedenti nei due secoli che hanno visto realizzarsi l'unità prima e la modernizzazione dell'Italia dopo.
Improvvisamente è venuta la guerra ed è finita l'ordinarietà. Al centrodestra, arrivato al potere, tocca indubbiamente una parte assai difficile.
È una sfida straordinariamente grande nella quale si misureranno gli uomini, la loro cultura politica, il loro senso della storia e la loro capacità di guida. Sono impegni che non sono toccati ad altri finora, in quest'ultimo mezzo secolo; ma anche all'opposizione toccano impegni di grande rilievo e di grande responsabilità.
Concludo, signor Presidente, invitando tutti, maggioranza ed opposizione, a considerare questa eccezionale, difficile ed anche perigliosa pagina che ci tocca vivere con la dovuta attenzione. Dobbiamo esserne consapevoli perché la storia non avrà riguardi per nessuno; essa sarà inesorabile con gli incapaci (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bandoli. Ne ha facoltà.

FULVIA BANDOLI. Signor Presidente, pare proprio, leggendo i giornali ed ascoltando anche questo dibattito, che non si possa condannare il terrorismo stragista che ha colpito gli Stati Uniti, l'umanità intera ed essere al contempo contro la guerra. Poco importa se la pensano così centinaia di migliaia di persone, poco importa se nessuno ad Assisi si è caratterizzato per accenti antiamericani. Solo il fatto di esserci stati ci ha qualificati pacifisti, quasi fosse una parolaccia!
Non si tratta, a mio avviso, di sapere se siamo tutti americani o tutti italiani o tutti africani malati di AIDS; si tratta di capire se vogliamo essere cittadini del mondo o se vogliamo che questo mondo abbia un Governo democratico, riconosciuto e giusto, cosa che oggi non è.
Invece, in queste settimane spesso il giudizio politico si è semplificato all'osso fino all'aberrante equazione che porta a dire: se non stai in un campo, stai nell'altro, se non sei con Bush, sei inevitabilmente con Bin Laden!
Anche in questo disperante manicheismo muore la politica.
Non propongo di stare con le mani in mano o che altri combattano al nostro posto. Dopo l'11 settembre era chiaro anche per me che tutto sarebbe cambiato, che le vecchie alleanze non avevano più senso, che si apriva una pagina diversa ed inedita della storia mondiale, che l'Europa doveva svolgere un ruolo finora mai svolto, che per battere il terrorismo serviva una ampia alleanza, forte soprattutto nel coinvolgere il mondo arabo nel suo insieme.
Ma la storia non comincia, non possiamo farla cominciare dall'ultimo atto. Si prepara nel corso del tempo con sviluppi spesso lenti o con rapide accelerazioni, quasi sempre determinate da atti concreti, con cambiamenti dei rapporti di forza in


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vaste aree geografiche lasciando spesso irrisolti i nodi che si incancreniscono fino a diventare veri e propri giacimenti di odio. Ecco, la politica, gli Stati, le sedi internazionali sono efficaci quando sanno prevenire e bonificare quegli odi e sanno sconfiggerli con politiche estere, sociali ed economiche lungimiranti.
Ho condiviso i quattro punti di fondo che erano stati presentati, subito dopo l'11 settembre, da tutto il Parlamento come centrali: tagliare la rete delle organizzazioni terroristiche nei varie paesi, mettere in campo subito proposte concrete per risolvere alcune delle più brucianti situazioni (quella israeliano-palestinese, quella che si riferisce all'embargo dell'Iraq, la questione curda), dotarsi di strumenti coordinati di intellegence per individuare con più certezza gli obiettivi veri (i campi di addestramento, i nuclei organizzati nei vari paesi del mondo) ed, infine, intervenire con operazioni di polizia internazionale, ma con un uso proporzionato della forza su obiettivi certi, mirati e circoscritti in modo da non colpire, neppure per sbaglio, le popolazioni civili.
Ma voi sapete bene invece che i bombardamenti indiscriminati di queste cinque settimane sull'intero paese sono una guerra, e con armi micidiali. Dunque non è vero che non vi fosse una terza strada: vi era, vi sarebbe, ma non la si è voluta percorrere.
La verità è che di queste quattro politiche nessuna è stata messa in moto efficacemente: l'uso della forza, da mirato che doveva essere, si è trasformato in una guerra lunga, senza obiettivi precisi, contro un intero popolo, o forse più popoli. Alcuni infatti già parlano di un allargamento del conflitto; già contiamo vittime civili e militari e conteremo migliaia di profughi che moriranno non per la guerra bensì perché non soccorsi, dal momento che non si vogliono sospendere i bombardamenti neppure per portar loro gli aiuti che l'ONU sarebbe in grado di fornire se potesse riprendere il suo piano di aiuto.
Anche il terrorismo non si è minimamente indebolito. Tutti parlano di rischi crescenti e, a fianco di Bin Laden, oggi vi sono più adepti di quanti ve ne fossero prima del conflitto. La larga alleanza con i paesi arabi non ha dato inoltre luogo ad un loro impegno; anzi, è di ieri la richiesta avanzata da tutti i ministri degli esteri arabi per un cessate il fuoco immediato. Dopo mesi di bombardamento non si ha ancora il coraggio di affermare che l'obiettivo di indebolire il terrorismo non è stato raggiunto.
È in questo quadro che oggi il Governo ci propone la piena entrata dell'Italia in questa guerra, sotto il comando degli Stati Uniti d'America, senza sapere in quali scopi e in quali azioni militari saremo impegnati, senza mettere limiti ad un'escalation che potrebbe essere imminente e senza alcun giudizio critico sull'andamento della guerra.
Vede, ministro Martino, ho ascoltato con attenzione la sua relazione. Ho anche apprezzato che lei non abbia accentuato più di tanto i toni. Ma sinceramente, come può pensare che i mezzi militari che lei ha indicato questa mattina, anche diffondendosi sui particolari, possano essere usati - ad esempio, i Tornado - a scopi umanitari? Cerchiamo di essere più seri!
Come ha scritto ieri Pietro Ingrao, Bin Laden ha usato tutti i mezzi della modernità: armi, tecnologie, intelligence. Lui ed i suoi rappresentano un intreccio pauroso di modernità ed arretratezza: rifiutare la guerra per combatterlo richiede non solo un livello di convinzioni pacifiste, difficilissimo da reggere, ma anche una volontà di tentare il tema arduo di una risposta non violenta, un'alta consapevolezza sul punto a cui sono arrivate le armi, la scienza dell'uccidere e dello sterminio.
Queste è anche la mia cultura politica e non da oggi.

PRESIDENTE. Onorevole Bandoli...

FULVIA BANDOLI. ...e, in coscienza, ma con piena consapevolezza politica, non credo che la guerra possa risolvere alcun conflitto nell'epoca moderna e neppure battere un nemico tanto pericoloso come il terrorismo.
Non ci divide quindi la condanna verso Bin Laden e tutti i terrorismi...


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PRESIDENTE. Onorevole Bandoli...

FULVIA BANDOLI. ...neppure la solidarietà verso gli Stati Uniti d'America e verso le vittime delle Torri gemelle. Ciò che ci divide è il ricorso alla guerra, l'arrendersi alla guerra come unica e prevalente risposta. Per questa ragione non potrò votare nessun dispositivo che prevede l'invio di truppe italiane in Afghanistan. (Applausi di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista e del Misto-Verdi-l'Ulivo)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.

UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, nei momenti difficili occorre usare non il linguaggio del politichese, bensì quello della chiarezza. Qualunque uomo della strada ci aiuta con una semplice domanda: il Polo e l'Ulivo sono entrambi d'accordo ad appoggiare i loro alleati con un intervento militare? Sì. Vogliono maggioranza ed opposizione sostanzialmente la stessa cosa? Sì. Allora, votino la stessa cosa. Si fa in tal modo un servizio alla chiarezza, all'Italia, alle nostre Forze armate e anche all'Ulivo.
Infatti, nel centrosinistra è preferibile la divisione nella chiarezza piuttosto che l'unità nell'ambiguità. Lo dico con rispetto per i Verdi e i Comunisti italiani; in tutte le coalizioni di sinistra al Governo, vengono espresse infatti posizioni come le loro.
Vengono espresse in tutti i partiti socialdemocratici europei e contengono alcuni aspetti condivisibili. Vengono tuttavia espresse da esigue minoranze, in partiti nati e cresciuti socialdemocratici, in partiti che hanno alle spalle decenni di Governo.
Loro, quelle sinistre e quei partiti socialdemocratici, possono permetterselo; noi no.
Questo voto è più facile di quello sulle altre guerre recenti, perché adesso - e solo adesso - si risponde ad una strage che neppure negli incubi peggiori si sarebbe immaginata. Contro l'Iraq non era al nostro fianco l'OLP di Arafat, adesso sì; contro la Serbia non era al nostro fianco la Cina, adesso sì. Sabato non andremo alla manifestazione del Polo sotto la bandiera americana, perché essa rappresenta un errore e provoca un danno grave: dà nel mondo l'immagine di un'Italia divisa a metà tra filoamericani e antiamericani, un'immagine che è catastrofica per il nostro paese, per il nostro interesse nazionale e che non corrisponde affatto alla realtà, come dimostra la larghissima maggioranza per l'intervento accanto agli americani che questo Parlamento si prepara ad esprimere. D'altronde, mai si è visto un Governo organizzare una manifestazione di parte nell'esatto momento in cui chiama non una parte, ma tutto il popolo, a sostenere le proprie forze armate. Noi socialisti sabato andremo, invece, ad una manifestazione del nostro partito, lo SDI. I nostri manifesti hanno uno slogan: «Stati Uniti del mondo: contro il terrorismo, il coraggio dei riformisti». Non è solo uno slogan, è una linea di politica estera.
«Stati Uniti del mondo» significa che gli Stati Uniti sono un valore per tutto il mondo e che tutto il mondo si stringe, pertanto, intorno agli Stati Uniti, ma non soltanto. «Stati Uniti del mondo» significa anche che occorre un nuovo ordine mondiale, una politica capace di governare un mondo che è diventato troppo piccolo, nel quale tutto è globale, dal terrorismo all'economia, tranne la politica. Le guerre, le tragedie fanno diventare «dei tanti» gli obiettivi che erano «dei pochi», fanno diventare realtà quelli che sembravano sogni. Gli Stati Uniti del mondo sono un obiettivo distante, ma ormai maturo, verso il quale saranno impegnati i nostri figli. A noi, nel frattempo, spetta, a maggior ragione, di ultimare un compito avviato all'indomani della seconda guerra mondiale dai nostri padri politici, da altri sognatori, rappresentanti dell'umanesimo cristiano e di quello socialista: la costruzione degli Stati Uniti d'Europa.
Il 1o gennaio avremo in tasca l'euro, ma la guerra, il ritorno della politica con la «p» maiuscola, ci ricorda anche ciò che


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avrebbe dovuto essere sempre evidente: mai si è vista nella storia una moneta appesa al nulla, senza una politica estera, senza una politica di difesa comune, senza un'entità politica comune, senza valori comuni. Il coraggio dei riformisti è quello di dimostrarsi sinistra, ma sinistra credibile come forza di Governo, capace di assumersi sino in fondo le proprie responsabilità; di combattere, quando c'è da combattere; di far seguire alle parole i fatti; come tutte le sinistre europee, di stare di qua o di là. E stare di qua non vuol dire accettare sempre a scatola chiusa la strategia dell'occidente e dell'America. Combattere e remare sulla stessa barca, nel momento del pericolo, è il primo dovere. Poi, quando si sta svolgendo il proprio dovere con lealtà e solidarietà, quando si rema, si ha il diritto di criticare, di consigliare una diversa lotta o un diverso ritmo di remata.
Ma combattere da riformisti significa qualcosa di più: significa sapere che non basta vincere la guerra «vera», militare, contro il terrorismo, ma occorre anche vincere la guerra contro la povertà per estirpare le radici del terrorismo. Occorre ascoltare quel «papa laico», che è diventato il Segretario generale delle Nazioni Unite, quando dice che se si è disposti ad investire il denaro necessario allo sviluppo economico, il terrorismo potrà essere contenuto. Occorre sapere che con la guerra finisce il dominio incontrastato dell'individualismo e del liberismo, e ritorna l'esigenza della solidarietà e della socialità, all'interno delle nazioni e tra le nazioni. La guerra e la minaccia di recessione richiedono pianificazione politica e spesa pubblica: se ne va in soffitta Friedman e ritorna Keynes, se ne vanno lo Stato minimo e la politica minima, ritornano lo Stato e la politica protagonisti. Per vincere davvero e definitivamente questa guerra, è il momento di un grande piano di aiuto dell'occidente verso il terzo mondo, di una nuova Bretton Woods, una nuova politica di sviluppo mondiale, di cooperazione e di solidarietà. L'Europa è stata salvata contro Stalin non dai carri armati della NATO, ma dal piano Marshall, che ne ha rilanciato lo sviluppo.
L'occidente ha battuto il comunismo non perché ha prodotto più missili, ma perché ha prodotto più ricchezza, anche grazie a nuove istituzioni monetarie internazionali che hanno assicurato decenni di ordinato progresso.
Queste parole non rappresentano una fuga in avanti suggerita dalla retorica socialista; non servono per dare una piccola soddisfazione ai tormenti della sinistra pacifista. Non un socialista, ma il finanziere Georges Soros ha scritto questa settimana: «La guerra alla povertà è divenuta sempre più urgente dopo l'11 settembre. Noi dobbiamo fare tutto ciò che è possibile per sradicare il terrorismo, ma se faremo soltanto questo noi consentiremo al terrorismo di decidere la nostra agenda. Vale la pena di ricordare che la conferenza di Bretton Woods, che ha aperto la strada alla prosperità del dopoguerra, si è svolta nel giugno del 1944, più di nove mesi prima della vittoria. Anche nel calore della battaglia, i leader delle potenze alleate hanno riconosciuto che la vittoria militare non sarebbe bastata ad assicurare una duratura pace successiva. Io auspico che i leader della guerra contro il terrorismo oggi abbiano la stessa coraggiosa e lucida visione».
Con questo spirito, signor Presidente, con la richiesta di avviare due guerre parallele, una militare ed una contro la povertà, i deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani appoggiano la doverosa azione militare dell'Italia accanto ai suoi alleati (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, della Margherita, DL-l'Ulivo e di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, onorevoli ministri, intervengo con pochissime battute a conclusione di questo dibattito, anche perché, mai come in quest'occasione,


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meno parole si dicono meglio è. Nessuno di noi - lo sostenevo il mese scorso - è contento per le decisioni che si vanno doverosamente a prendere, ma ognuno di noi si rende conto dell'importanza delle decisioni di oggi. Non vorrei fare, in questa sede, grandi considerazioni di carattere politico - le hanno già svolte altri colleghi, ma - ma rivolgendomi, particolarmente al ministro della difesa - vorrei semplicemente sottolineare la necessità di considerare le persone che noi, oggi, dichiariamo di impegnare in futuro in azioni anche di guerra: queste persone sono non soltanto i nostri concittadini, i nostri connazionali, ma anche i nostri fratelli, i nostri ragazzi e per qualcuno i propri figli.
Ministro Martino, mi conceda una digressione personale. Il primo gennaio del 2000, mentre si celebrava il nuovo millennio, il sottoscritto era a Timor Est. L'Assemblea, come oggi, aveva votato un intervento armato ma nessuno si era ricordato, dopo quattro mesi, che 680 ragazzi italiani stavano a Timor Est in missione di pace ed erano letteralmente abbandonati e dimenticati da tutti: quattro mesi per avere le calzature adatte alla giungla, giunte quasi al termine della missione; un parco automezzi della Folgore, che è stato trasportato da San Giusto ma che forse conveniva lasciare là, considerate le sue condizioni logistiche e di arretratezza anche dal punto di vista meccanico. Ebbene, penso che la cosa più importante che possiamo fare, oggi, oltre ad esprimere un voto convinto e doveroso anche se certo non entusiasta - perché nessuno è entusiasta di assumere queste decisioni - sia di impegnarci a stare vicino alle 2.850 persone che oggi, potenzialmente, destiniamo a quest'azione militare. Occorre essere loro vicino offrendo l'appoggio della nazione e facendo capire che a casa qualcuno si ricorda di loro, li aiuta, li sospinge, anche dal punto di vista dell'amicizia personale. Per le persone in missione è importante sapere che rappresentano l'orgoglio di una nazione chiamata a dare un contributo, forse numericamente ridotto rispetto ad altre nazioni consorelle, ma importante, soprattutto, dal punto di vista morale.
Nessuno di noi è contento di questa situazione, ma tutti noi ci rendiamo conto che l'Italia, se deve dimostrare la propria unità nazionale, la propria credibilità internazionale, deve offrire il proprio contributo. Non si sta in un condominio senza pagare le spese condominiali. Queste, purtroppo, sono le spese condominiali e noi, come parlamentari, abbiamo il compito, oggi, non soltanto di esprimere un voto, ma soprattutto una solidarietà attiva nei confronti di queste persone che inviamo, non dimenticandole, non abbandonandole, ma, signor ministro, stando loro vicino in tante piccole cose, quali la possibilità di telefonare a casa, di difendersi con armi adeguate e di stare a fronte alta insieme ai colleghi del resto del mondo.
Questo è il mio appello, queste erano le poche parole che volevo pronunciare come segnale, come un invito rivolto a tutti i colleghi. Ritengo che, oggi, noi prendiamo una decisione dolorosa ma necessaria.
Ci rendiamo anche conto, come diceva il collega che mi ha preceduto, che non è soltanto questa la guerra da fare: debbono essere combattute anche quelle contro la povertà e le ingiustizie, in tutto il mondo; ma ciò potrà essere fatto soltanto se si consolideranno, in Italia, una solidarietà nei confronti delle nostre Forze armate e, nel mondo, la convinzione che il terrorismo va combattuto, che sull'odio non si costruisce alcunché e che, quindi, qualche volta è necessario prendere decisioni importanti, anche se difficili - quale quella che oggi ci apprestiamo a prendere - perché il bene della libertà è realmente prezioso per tutti.
Grazie, perciò, ai ragazzi ed alle ragazze che andranno a svolgere questo compito rappresentando tutti noi; a loro va ogni nostro augurio. Siamo orgogliosi di loro; che possano esserlo anche loro di noi (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia)!

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la


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discussione sulle comunicazioni del Governo.
Sospenderei brevemente la seduta, anche al fine di consentire l'attivazione dei collegamenti televisivi.

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