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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare Democratici di Sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Palma.
NITTO FRANCESCO PALMA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che gli impegni della Camera mi consentano di fare rinvio alla relazione scritta. Questo non deve essere considerato un segno di sottovalutazione dell'oggetto della Commissione di inchiesta, ma una concreta esemplificazione di quell'accordo generale, che pervade tutte le forze politiche, circa la necessità di rivolgere l'attenzione al fenomeno della criminalità organizzata mafiosa e similare. Un accordo generale che ha trovato concretezza già nella discussione in Commissione, attraverso la sostanziale approvazione del testo unificato da me redatto su incarico del comitato ristretto.
Si tratta di un testo unificato che ha cercato, nei limiti del possibile, di fare proprie le proposte tra loro non incompatibili, che traevano origine dalle diverse proposte di legge presentate. Un accordo su questo testo unificato che mi pare
essere confermato anche dalla natura degli emendamenti che sono stati presentati per l'esame in aula.
Signor Presidente, molto sinteticamente, il testo unificato differisce dalla legge istitutiva della Commissione antimafia nella precedente legislatura solo per due punti.
Il primo aspetto riguarda una maggiore puntualizzazione dei compiti della Commissione antimafia, una puntualizzazione che a mio avviso si muove come sollecito alla Commissione antimafia ad indirizzare l'inchiesta verso determinati settori a preferenza di altri; il secondo aspetto è relativo alla nomina del Presidente, nel senso che viene confermata la tesi della sua eleggibilità, nonostante una teoria contraria, pur avanzata in Commissione.
Nel corso della discussione in Commissione, sono state presentate diverse proposte emendative, delle quali alcune di natura esclusivamente formale - penso alla modifica della rubrica dell'articolo 1 oppure ad una diversa composizione del primo comma del medesimo articolo -, altre, invece, di natura sostanziale: segnatamente, una di esse riguarda un accertamento circa l'idoneità della legislazione recente in tema di collaboratori di giustizia ed una seconda fa riferimento alla trasmissione di atti alla Commissione da parte dell'autorità giudiziaria.
Mi pare di poter dire che la prima modifica, quella, cioè, che riguarda i collaboratori di giustizia, sia stata sostanzialmente accettata dalle varie forze politiche, non rinvenendo io emendamenti soppressivi o sostitutivi al riguardo; la seconda, invece, è ancora oggetto di controversie.
Signor Presidente, nella consapevolezza del valore dei simboli nel contrasto alla criminalità organizzata mafiosa - una consapevolezza che, evidentemente, mi deriva dal lavoro speso in tale forma di contrasto -, auspico che la successiva riflessione possa portare, anche sui contenuti, all'unanimità, che è sicuramente del Parlamento nell'intento di istituire la Commissione antimafia.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi pare che la proposta di legge della quale oggi discutiamo registri un'esigenza diffusa, avvertita e puntualmente rappresentata nel corso dei lavori in Commissione: contribuire a far luce su un fenomeno perverso che da sempre affligge il nostro paese.
Le innovazioni rispetto alla legge che ha regolato nel passato l'attività della Commissione non mi appaiono di poco momento, anzi sono particolarmente significative. Ricordo, in particolare, l'obbligo che, in buona sostanza, viene imposto all'autorità giudiziaria di consegnare ogni documento di cui la Commissione debba avere necessità. Mi soffermo su questo aspetto perché, proprio nel passato, questa mancanza di interlocuzione con l'ordine giudiziario - interlocuzione che sarebbe stata auspicabile - ha creato momenti di perplessità. Le indicazioni puntuali contenute dalla norma impongono una collaborazione che è auspicabile, perché attraverso l'acquisizione di atti e di documenti, in maniera acconcia e puntuale, si può dare un contributo alla ricostruzione di questo fenomeno perverso e delle incidenze deteriori sul tessuto connettivo della società.
Quindi, l'auspicio del Governo è che, in questi termini, si voti a favore della proposta di legge della quale discutiamo.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Sgobio, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, la Lega Nord Padania è favorevole all'istituzione della Commissione di inchiesta antimafia; si tratta di un atto dovuto, nella speranza che essa possa produrre un lavoro significativo sul versante della lotta alla criminalità organizzata. Come gruppo Lega nord Padania, siamo soddisfatti perché,
tra i punti qualificanti che la Commissione dovrà perseguire, sono stati evidenziati due nostri suggerimenti. Innanzitutto esaminare i fenomeni della criminalità organizzata che ormai stringono d'assedio le regioni ad alta concentrazione industriale, quindi, le regioni del nord. In secondo luogo, cercare di comprendere i fenomeni del radicamento della criminalità extracomunitaria nel paese, soprattutto nelle regioni del nord dove, comunque, questo tipo di criminalità non rischia di scontrarsi con la criminalità locale e, quindi, ha terreno particolarmente libero.
A tal proposito, voglio ricordare come il Governo dell'Ulivo abbia voluto, non per incapacità, ma per precise scelte politiche, non contrastare il fenomeno dell'invasione - se vogliamo definirla così - rappresentata dall'immigrazione irregolare, senza controllare i confini di Stato, in particolare i confini italo-sloveni, che hanno creato grossissimi problemi, dai quali, quotidianamente, entrano centinaia di irregolari provenienti da paesi ad altissimo rischio: per tutti, basta citare l'Albania e la Romania. Si pensi che tali infiltrazioni hanno provocato un aumento dei provvedimenti di carcerazione di extracomunitari, che sono cresciuti nel 1999, rispetto all'anno precedente, del 76 per cento in Friuli, del 30 per cento nel Veneto e del 20 per cento in Lombardia, numeri che la dicono lunga sulle responsabilità esistenti. Nella mia provincia di Treviso, pochi giorni fa, in una riunione in prefettura, si discuteva su come arginare le azioni di una banda di albanesi, duecento, che, dopo aver terrorizzato la Brianza e il bergamasco, si stanno ora spostando verso il vicentino e il padovano e sono pronti - ma sono già arrivati - a sconfinare nella provincia del trevigiano. La loro specialità è quella di compiere assalti notturni in abitazioni private, con relativi sequestri di persone e stupri, che non vengono neanche denunciati per pudore delle vittime. Queste sono infamie commesse da bastardi sanguinari - perché non riesco a definirli in modo diverso -, che sfruttano scelte politiche devastanti e agiscono, purtroppo, indisturbati. Allora, noi ci chiediamo: non è forse mafia anche questa, forse anche della peggiore? È per questo che ci gratifica che si proponga che si vada ad indagare anche su questi aspetti. Ci sono persone che forniscono 50 generalità diverse, sfruttando per 50 volte i benefici di legge e le relative attenuanti e, quindi, in galera non ci finiscono mai; persone che si rifiutano di dare le proprie generalità e, passati 30 giorni, vengono rimesse in libertà, anziché finire in galera o essere espulse. Quindi, occorre esaminare anche questi esempi di responsabilità politiche.
Che dire, poi, della mafia nigeriana nel Veneto, capitanata da tale Mballa Aime - e già il nome tutto un programma -, un personaggio che, a verifiche effettuate, è titolare di centinaia e centinaia di immobili in Canada, il quale aveva ed ha ancora al suo servizio 600 delinquenti che ogni giorno «timbrano il cartellino» per commettere atti criminosi nel nostro territorio. Ebbene, organizzazioni come questa hanno sfruttato le leggi sui ricongiungimenti familiari, sui corsi professionali (tra l'altro, attivati e finanziati dagli stessi), facendo entrare nel nostro paese centinaia di immigrati da avviare alla prostituzione, al furto, alle rapine, agli assalti agli istituti di credito e via dicendo. Anche questi aspetti devono essere chiariti per poter agire con nuovi provvedimenti legislativi volti a contrastare con efficacia tali fenomeni. Al riguardo la Commissione dovrà lavorare ed esprimersi.
C'è un altro aspetto che non è da sottovalutare e che ho già evidenziato nella scorsa legislatura, riguardante la mafia nostrana, come ad esempio la mafia del Brenta; decine di omicidi, sequestri di persona, assalti alle banche. L'operazione «Rialto», condotta egregiamente dagli agenti di polizia, portò 250 affiliati sotto processo che furono processati e condannati in primo grado, ma poi tutti liberati per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Tutto questo avveniva mentre il tribunale di Venezia perdeva settimane di lavoro per processare 30 contadini che avevano manifestato per vedersi garantito il primo diritto previsto dalla Costituzione, quello al lavoro. Quei contadini manifestavano
pacificamente contro l'abbattimento delle loro mucche da latte. Altrettanto è accaduto in Lombardia, solo che in quel caso non si trattava di 30 agricoltori ma di 350. Anche questi errori debbono essere valutati perché altrimenti non ci si accorge che ben l'80 per cento dei cittadini ha perso fiducia nella magistratura.
Un altro esempio ci è dato da Verona. La malavita organizzata ha trasformato la città nel baricentro del traffico europeo della droga, mentre tale Papalia ha paralizzato il tribunale per processare decine di militanti pacifici iscritti al nostro movimento, rei di possedere qualche stemmino - come quello che porto io sulla giacca - o qualche fazzolettino verde. Questi fatti gettano fango sull'operato dei veri giudici, che sacrificano la vita, la famiglia e tutto quello che hanno per combattere la mafia ma il loro operato viene vanificato poiché la gente ha altri parametri di riferimento. Anche e soprattutto per difendere l'operato di questi giudici sarà opportuno accertare perché in altri tribunali si perdano anni di sacrifici e rischi patiti dalle forze di polizia per perseguire reati di nessun conto.
La Commissione dovrà agire su più fronti - analizzare gli errori politici dell'Ulivo, parte degli errori che vengono commessi da una magistratura inefficiente - al fine di formulare quelle proposte atte a risolvere definitivamente il problema della sicurezza, ciò che sta più a cuore ai nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caldarola. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CALDAROLA. Signor Presidente, colleghi - anche se pochi -, la discussione che si è svolta sulla proposta di legge di istituzione della nuova Commissione antimafia è stata intensa e seria ed ha portato, per larga parte, alla condivisione di questioni che io ritengo fondamentali. La prima questione - può sembrare banale, però è importante - riguarda la necessità di istituire anche in questa legislatura una Commissione d'inchiesta sul fenomeno della mafia; bisogna farlo con urgenza. Si sono affrontati due punti che secondo me sono abbastanza interessanti. Il primo riguarda l'oggetto dell'attività della Commissione; non si deve trattare di una Commissione che si occupi della criminalità, ma che faccia centro su un fenomeno specifico, quello dell'associazione mafiosa, allargando anche il raggio d'interesse a fenomeni criminali definiti similari. Ciò deve essere indicato anche nel titolo della legge medesima. La Commissione Affari costituzionali ha anche ritenuto di creare una normativa, ben sintetizzata dal relatore, onorevole Nitto Francesco Palma, riguardante anche i nuovi fenomeni di criminalità, come la finanziarizzazione dei fenomeni mafiosi o quant'altro.
Per consentire a tutti quanti di avvicinarsi rapidamente all'appuntamento che si terrà qui alla Camera dei deputati tra qualche tempo, vorrei tagliare questa parte del ragionamento - che do per acquisito - dicendo che l'impostazione mi pare faccia riferimento al testo di due autori che l'onorevole Nitto Francesco Palma conosce bene, vale a dire il prefetto Panza ed il professor Masciandaro. Quel testo definisce bene sia la questione che riguarda la finanziarizzazione di alcuni fenomeni criminali sia la necessità di intervento su quei fenomeni criminali di matrice straniera, insediati anche nel nostro territorio e che si manifestano anche sul terreno della finanza.
Vorrei, viceversa, occupare qualche minuto per intervenire in merito a due questioni dolenti (in verità una più dolente dell'altra); noi, in Commissione, abbiamo espresso un voto contrario. Si tratta di una novità che temo possa riprodursi anche in Assemblea, ma spero che ciò non accada perché abbiamo sempre approvato la proposta di legge di istituzione della Commissione antimafia con il voto - credo - unanime del Parlamento. Mi auguro che possiamo farlo ancora una volta ma pregherei i colleghi, e so che lo faranno, di ascoltare i rilievi che farò in merito a due questioni.
La prima riguarda le modalità di elezione del Presidente della Commissione antimafia.
La maggioranza ha scelto legittimamente - e lo ribadisco - di riproporre la formula in vigore nella scorsa legislatura: il presidente viene eletto dalla Commissione. Il nostro dissenso quindi non è di principio, perché affrontiamo un tema diversamente risolto in altra legislatura. Veniamo da tale esperienza, ma preferiamo, tuttavia, un'altra soluzione già adottata in passato e formulata anche nel testo della proposta di legge di istituzione della Commissione di inchiesta sull'affare Telekom-Serbia di cui abbiamo testè parlato. Si tratta cioè della designazione di un Presidente scelto di comune accordo dai Presidenti delle Camere fra i componenti della stessa Commissione. Non vi sto chiedendo di far nominare un presidente parlamentare dell'opposizione. Non accadde nella scorsa legislatura, pertanto non vi chiedo che ciò accada adesso; sarebbe un gesto gentile ma non ve lo chiedo. Però stiamo sollevando una questione di aspetto istituzionale su cui è bene che tutti quanti riflettano. La guida della Commissione dovrebbe arricchirsi di prestigio istituzionale - penso e credo che lo pensiate anche voi - per dare il senso di un organo il più possibile super partes. La nomina da parte dei Presidenti delle Camere può dare questa caratura. Segnaleremmo direttamente all'opinione pubblica la responsabilità, nel senso dell'autorevolezza, delle Camere, attraverso un coinvolgimento delle due Presidenze.
Si tratta di una questione che abbiamo sollevato e che è stata oggetto di un emendamento su cui abbiamo votato, mentre la maggioranza ha scelto di approvare un altro emendamento.
Vengo adesso al punto più dolente; mi riferisco al comma 3 dell'articolo 4, relativo al rapporto fra Commissione e autorità giudiziaria.
La maggioranza di centrodestra che sorregge il Governo, malgrado il parere contrario del relatore, onorevole Nitto Palma, ha approvato l'emendamento presentato dall'onorevole Mancuso.
Io rispetto l'onorevole Mancuso (egli lo sa) e l'ho fatto anche in tempi più infuocati di questi. Né tanto meno, nel criticare - come vedrete anche con una certa vis polemica l'impostazione dell'onorevole Mancuso, voglio fare processi alle intenzioni. Vorrei rimanere nel merito.
Vi dico subito, tuttavia, che se non si torna ad una formulazione originaria o vicino ad essa, per esempio adottando lo stesso dispositivo che è stato testè discusso con riferimento alla proposta di legge di istituzione della Commissione sull'affare Telekom-Serbia (e su cui c'è stato, ancorché con l'astensione dell'opposizione, un parere comune), si commette un errore. Ci si mette quindi nelle condizioni di dare una valutazione diversa sulla possibilità di approvare la legge che istituisce la Commissione antimafia.
Noi siamo contrari, onorevole Mancuso, alla formulazione, da lei proposta e accolta dalla maggioranza, del comma 3 dell'articolo 4 perché - glielo dico con garbo - a noi sembra essere al di fuori della Costituzione.
Ci sono due rotture costituzionali: la prima riguarda la messa in soggezione della magistratura da parte di un organismo parlamentare, con la violazione dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Nella tradizione e nel rispetto del dettato costituzionale, la Commissione ha gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, non può averne di più.
Io non sono un giurista se non per antichi percorsi universitari, ma credo di ricordare che vi sia un articolo del codice di procedura penale secondo il quale, anche per quanto riguarda i rapporti interni alla magistratura, un pubblico ministero può rifiutarsi di trasmettere gli atti ad un altro pubblico ministero che glieli chiede.
Nell'indagine di mafia - i colleghi lo sanno e lo sa anche il collega Mancuso - il termine perentorio di sei mesi per la consegna degli atti costituisce una interferenza assai più grave, essendo previsto un termine più lungo per l'attività di
istruttoria e di indagine sul fenomeno che riguarda la mafia e le organizzazioni criminali similari.
Vi è poi il punto delicatissimo della novità che in tal modo si introduce. Si tratta a mio parere della codificazione della normalità del conflitto di interesse, non quello di cui si parla giornalisticamente, bensì in senso diverso. Un indagato eccellente o il suo difensore verrebbero, ben prima di quanto previsto dalla legge, ad essere informati sull'attività dell'autorità giudiziaria.
Vi è poi, nei discorsi dei colleghi del centrodestra, quello che io, sapendo che in questo termine vi è un rischio di supponenza, definirei un errore. Si tratta di definire la supremazia dell'eletto su qualunque altra istituzione dello Stato. Lo schema non è quello secondo cui, avendo io ottenuto i voti, posso partecipare all'attività politica, di governo o di opposizione, e all'attività legislativa, in equilibrio con altri poteri costituzionali. Lo schema è differente ed è quello secondo cui, avendo ottenuto voti, posso affermare la supremazia nello Stato e sullo Stato. Si tratta di un'idea fuori da ogni concezione di democrazia occidentale.
Nel nostro, ma anche in altri ordinamenti, l'eletto dal popolo concorre con altre istituzioni, anche non elettive o elettive di secondo grado, a determinare l'equilibrio di una moderna e democratica macchina istituzionale. Badate, vi sono molti uomini che hanno combattuto l'organizzazione criminale mafiosa in prima linea e fra questi vorrei ricordare il prefetto Gianni De Gennaro.
Vorrei inoltre ricordare, senza retorica alcuna, che, in una lezione tenuta il 12 maggio 1990 nella facoltà di economia e commercio di Catania, Giovanni Falcone, spesso inascoltato dagli stessi colleghi nelle riflessioni sul ruolo della magistratura, affermò: «Chi mi conosce sa che condivido le critiche nei confronti di certi arroccamenti corporativi, di certi richiami formalistici incuranti delle esigenze della società, di certi collateralismi per cui taluni magistrati e determinati gruppi politici si consultano. Tuttavia, tali censurabili atteggiamenti culturali non rappresentano una buona ragione per tentare di portare avanti un progetto di delegittimazione della magistratura e di progressivo affievolimento delle garanzie di legalità complessive del sistema».
Vorrei dire, con molta nettezza, che nella formula attuale noi facciamo fare all'ordinamento un clamoroso passo indietro, peraltro, a mio giudizio, costituzionalmente non proponibile. Vede, onorevole Mancuso, lei è un uomo colto e si ricorderà che, nel 1856, de Tocqueville dette alle stampe un classico della storiografia dedicato all'antico regime e alla rivoluzione. Vorrei che lei riflettesse - glielo chiedo affettuosamente - su due passaggi presenti in quel volume.
Nel primo si dice che la confusione dei poteri, nel rapporto fra Governo e giustizia, è pericolosa, perché l'intervento della giustizia nella amministrazione pubblica nuoce agli affari, mentre l'intervento dell'amministrazione pubblica - e potremmo dire, ai tempi di oggi, anche del legislativo nelle forme di cui stiamo discutendo - nella giustizia corrompe gli uomini, tende a renderli servili e rivoluzionari ad un tempo. Successivamente, lo stesso autore afferma che, quando i tribunali ordinari dell'antico regime volevano citare in giudizio qualche rappresentante del potere centrale, interveniva di solito un decreto del Consiglio che sottraeva l'accusato al giudice.
Pertanto, in epoca postrivoluzionaria, il tema centrale era quello dell'autonomia dei poteri. Oggi occorre insistere sui meccanismi di garanzia per i cittadini, ma non possiamo portare la nostra concezione dentro quelle idee di ancien régime criticate da de Tocqueville dal 1856.
La nostra critica è dunque, come vedete, netta e ferma. Tocca ora alla maggioranza decidere se vuole, come io auspico e vi chiedo, approvare una normativa che consenta a tutti di dire al paese che è in atto il tentativo di dare vita assieme ad una legge che fornisca alla Commissione antimafia i poteri dei quali
abbiamo discusso. Spero che su questo argomento non si debba registrare una divisione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cristaldi. Ne ha facoltà.
NICOLÒ CRISTALDI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, accetto anch'io l'invito rivolto dal presidente della Commissione ad essere sintetici in questo dibattito anche per consentire l'andamento dei lavori secondo un programma modificato e in tal senso richiesto dalle forze politiche.
Vorremmo che fosse giunto il momento di non parlare più di Commissione antimafia nel nostro paese. Questa Commissione, nata nel 1962, suscitò grande speranza in Italia e soprattutto nella mia terra, la Sicilia.
Vi sono stati quarant'anni di approfondimenti e di tentativi da parte dello Stato, attraverso questa Commissione, di studiare il fenomeno della criminalità organizzata e di trovare le ragioni di alcuni processi legislativi, tentando di fornire allo Stato strumenti per combattere la mafia.
Certamente vi sono stati momenti esemplari. Da osservatore esterno della politica ricordo l'attività delle Commissioni - in particolare, quelle presiedute da Gerardo Chiaromonte e da Luciano Violante -, ma ricordo anche gli interventi e la passione di quegli interventi di un uomo culturalmente vicino al mio ambiente umano e politico, Beppe Niccolai, che seppe guardare al fenomeno della mafia con grande senso storico e con una grande capacità di equilibrio.
Ho vissuto in una terra, la Sicilia, dove per le piccole e le grandi cose il più delle volte la gente si rivolgeva non tanto al maresciallo dei carabinieri quanto al capomafia. Andare dal maresciallo dei carabinieri avrebbe significato, infatti, sporgere denuncia, perdere tempo, avviare l'istruttoria, non risolvere la questione. Andare dal capomafia significava risolverla in quattro e quattr'otto. Non era, quindi, soltanto un fatto tecnico, ma tutto questo diventava anche un fatto culturale. Si nasceva con ciò che Leonardo Sciascia - al di là delle polemiche avute poi con certa parte della magistratura italiana - definiva il DNA di alcune parti del popolo italiano e, specificamente, del popolo siciliano.
Ho avuto anche la possibilità di assistere in prima persona, in un dibattito organizzato dalla destra siciliana, all'intervento di Paolo Borsellino a Siracusa. Ricordo - non senza una punta di emozione - una parte centrale del suo intervento, quando ebbe ad affermare «lo Stato non si è arreso nella lotta alla mafia perché non si può arrendere chi non ha mai combattuto». Certamente Paolo Borsellino affermava ciò mentre viveva, anche emotivamente, la morte di Giovanni Falcone avvenuta qualche settimana prima e non si può dire che quella fosse una frase pensata e ragionata fino in fondo. Tuttavia, essa testimoniava come si respirasse, in certi ambienti della magistratura e della società italiana, una sorta di difficoltà ad interpretare il ruolo dello Stato all'interno di quello che si verificava.
Mentre per la lotta al terrorismo lo Stato ha potuto immediatamente avvalersi del sostegno dell'opinione pubblica, per la lotta alla mafia, e più vastamente per la lotta criminalità organizzata, questo sostegno è tardato ad arrivare. Forse perché nella lotta al terrorismo lo Stato è apparso credibile, mentre per un fenomeno più complesso la sua credibilità è stata lieve. Per troppo tempo il silenzio è stato sostegno alla mafia, quasi una forma di legittimazione strisciante.
Ricordo le parole di Giovanni Conso, emerito presidente della Corte costituzionale, quando ebbe a dichiarare: «Fortunatamente questo silenzio si sta rompendo e cominciamo a vederne i frutti. Osserviamo i cambiamenti in atto nell'opinione pubblica e ne ricaviamo maggiori stimoli a combattere più efficacemente la mafia». Ecco la vera questione: combattere più efficacemente la mafia. Non ho dubbi che le cose stiano andando nel senso giusto, non ho dubbi che la politica stia lavorando nel tentativo di dare strumenti maggiori alla lotta alla mafia, ma credo che sia
necessario anche dare alla nuova Commissione che nasce una passione nuova, una ragione nuova.
Dobbiamo augurarci che su materie come queste non ci si divida, a cominciare dal voto su questa proposta di legge. Certe battaglie non possono essere combattute solo da una parte. Chi pensa di poterlo fare commette un grave errore e rischia di entrare nella sfera dell'assurdo, così come è capitato a Pino Arlacchi, che recentemente, a Palermo, in occasione del convegno sulla criminalità internazionale organizzato dall'ONU, preso da un eccesso di euforia, è giunto ad affermare che la mafia era stata sconfitta, suscitando da una parte il sorriso e dall'altra la rabbia dei siciliani che, invece, vivono sulla loro pelle la tragedia dell'esistenza del perverso fenomeno. Lascio ad altro momento la parte, che pure avevo approfondito, riguardo al ruolo della Commissione, ma in questa sede mi permetto di soffermarmi soltanto su un emendamento che fu presentato in Commissione dall'onorevole Mancuso - e che non trovò il consenso della maggioranza - circa la possibilità di dare alla Commissione anche un ruolo internazionale e quella, nel rispetto degli ordinamenti degli altri Stati, di muoversi per indagare, per acquisire documentazione e per poter lavorare al fine di combattere un fenomeno così complesso che non può essere combattuto da un singolo paese.
Se la Commissione antimafia non avrà la possibilità di muoversi in collaborazione con gli altri Stati, noi, probabilmente, torneremo, anche nella prossima legislatura, con la stessa atmosfera e con risultati al quanto lievi (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi della Commissione affari costituzionali e dell'Assemblea, in questa legislatura ho presentato, come primo atto, una proposta di legge per la ricostituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso e sulle altre associazioni criminali similari. Tale proposta di legge è stata sottoscritta anche da tutti i presidenti delle componenti del gruppo misto - che presiedo - appartenenti al centrosinistra: il collega Rizzo per i Comunisti italiani, il collega Intini per i Socialisti democratici italiani, il collega Pecoraro Scanio per i Verdi-l'Ulivo ed il collega Brugger, il quale rappresenta la componente delle minoranze linguistiche.
Abbiamo inteso assumere, tempestivamente, questa iniziativa perché riteniamo - come, del resto, tutti i colleghi, sia di maggioranza sia d'opposizione, che stanno intervenendo in quest'aula, a partire dal relatore - che anche questa XIV legislatura debba opportunamente dotarsi di questo importante strumento.
Sappiamo bene che una Commissione parlamentare d'inchiesta ha compiti diversi da quelli dell'autorità giudiziaria - mi riferisco alla magistratura giudicante, chiamata, non a lottare contro la mafia, ma a giudicare nei processi di mafia - e degli apparati di polizia o di sicurezza dello Stato, i quali sono impegnati a contrastare il fenomeno mafioso.
Sappiamo altrettanto bene che c'è anche una responsabilità, molto importante, del potere politico - in questo caso del potere legislativo, qual è il Parlamento - che deve svolgere adeguatamente il proprio ruolo essendo la mafia un fenomeno complesso, assai articolato e diramato, un fenomeno micidiale - sia nelle sue caratteristiche storiche sia nelle nuove articolazioni interne ed internazionali - che va conosciuto, prima di tutto, e affrontato non solo con gli strumenti giudiziari di polizia, che sono necessari, ma anche con quelli politici ed istituzionali.
Da questo punto di vista, è importante che la Commissione, nel ricostituirsi, abbia la possibilità di confermare i compiti e gli obiettivi che avevano le precedenti commissioni ma che possa anche allargare lo spettro della propria indagine, della propria inchiesta. In particolare, credo opportuno che sia stata inserita la nuova
lettera b) del comma 1, dell'articolo 1, riguardante le istituzioni ed i compiti della Commissione. La lettera b) si riferisce all'analisi dell'attuazione delle disposizioni legislative e amministrative riguardanti le persone che collaborano con la giustizia e le persone che prestano testimonianza nel quadro di questi processi.
Vi sono altri aspetti innovativi, invece, nel testo che stiamo discutendo, rispetto alla legge approvata nella scorsa legislatura, che, in qualche caso, suscitano perplessità.
Mi riferisco ad un argomento che finora non mi sembra essere stato toccato, nel dibattito: si tratta dell'alinea del comma 1 dell'articolo 1, in cui viene stabilito che la Commissione d'inchiesta debba indagare anche «su altre associazioni criminali, anche di matrice straniera, che siano comunque di estremo pericolo per il sistema sociale, economico e istituzionale». Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho presentato un emendamento per modificare il testo appena riportato perché, francamente, non ritengo che in una proposta di legge (che poi diventerà legge) volta all'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare possa essere utilizzata la terminologia «altre associazioni criminali» senza specificare che queste debbono essere «di tipo mafioso».
In altre parole, credo che non possa essere istituita una «Commissione omnibus», ma una Commissione che affronti - e avrebbe già abbastanza lavoro! - la criminalità organizzata di stampo mafioso, sia pure sotto tutte le diverse denominazioni locali, nazionali ed internazionali con le quali quest'ultima - ahimè! - di volta in volta si presenta; credo, inoltre, che non si possa usare un concetto atecnico, qual è quello di «estremo pericolo per il sistema sociale, economico e istituzionale»: chi decide che cosa sia di estremo pericolo e, in concreto, quale sia la gamma dei fenomeni riconducibili a tale espressione? Ritengo inopportuno introdurre la locuzione in parola in un testo legislativo - anche perché mi pare che non esistano precedenti - e credo che dovremmo riformularla: ho proposto un emendamento che affronta la questione dei compiti della Commissione delimitandoli, in modo più esplicito, alle associazioni criminali, anche di matrice straniera, di stampo mafioso, senza fare riferimento a questa terminologia che, sul piano giuridico, appare francamente un po' discutibile.
Ma ho presentato anche altri emendamenti - diciamo così - di aggiustamento tecnico. Sottopongo all'attenzione anche del relatore, ad esempio, sul comma 1 dell'articolo 5 che riproduce il comma 1 dell'articolo 5 delle precedenti proposte di legge. A rileggerlo, pare scritto in un pessimo italiano: comincia con un plurale, poi fa riferimento ad «ogni altra persona» ed infine ritorna al plurale. Quindi, si tratta di proposte di aggiustamento puramente terminologico che, tuttavia, ci possono permettere di affinare il testo della proposta di legge.
C'è una questione, invece, che solleva qualche perplessità e che, pertanto, vorrei fosse chiarita, anche qui, se possibile, di comune accordo, perché mi auguro che, così facendo, potremmo approvare il testo all'unanimità e daremmo un segnale politico al paese: la lettera c), sempre del comma 1 dell'articolo 1, fa riferimento - innovando rispetto al testo dell'ultima legislatura, ma probabilmente riprendendo una terminologia già adoperata in passato (ma non nell'ultimo testo), nel corso della XIII legislatura - al compito di «accertare la congruità della normativa vigente e della conseguente azione dei pubblici poteri». È un'espressione, quest'ultima, che a me pare ambivalente ed ambigua. Non ho nulla in contrario ad affrontare anche questa tematica, purché abbiamo chiaro che questa terminologia non può alludere ad una interferenza indebita della Commissione di inchiesta rispetto alle responsabilità della magistratura in senso stretto. Infatti, se si tratta di verificare la conseguente azione dei pubblici poteri intesi come polizia, carabinieri, Guardia di finanza, servizi di sicurezza, non ho nulla in contrario, trattandosi di corpi dello
Stato che dipendono dall'esecutivo i cui compiti sono definiti dalla legge; perciò, è giusto che si verifichi, che si accerti, in questi casi, la congruità della normativa e della conseguente azione dei pubblici poteri.
Ma se per pubblici poteri intendiamo anche la magistratura - come il collega Anedda ha espressamente dichiarato nel corso della discussione in Commissione -, allora credo che dobbiamo riformulare questa espressione oppure che dobbiamo inserire - ho proposto anche in questo caso un emendamento ed un articolo aggiuntivo - un inciso che affermi che tutto questo avviene nel pieno rispetto dei principi costituzionali di autonomia e di indipendenza della magistratura.
Stessa questione si pone anche per quanto riguarda l'articolo 4 (richiesta di atti e documenti). Il collega Caldarola ha già affrontato con molta pacatezza e con molto equilibrio il problema ed anche in questo caso io credo che dobbiamo assicurare un principio che è affermato nella giurisprudenza costituzionale: il principio di leale collaborazione, di leale cooperazione tra i vari poteri ed ordini dello Stato; credo sia giusto affermare la collaborazione ed una cooperazione fra la Commissione parlamentare di inchiesta cosiddetta antimafia e la magistratura (e in particolare la magistratura inquirente).
Ritengo, però, che dobbiamo essere pienamente rispettosi - come vogliamo esserlo, l'ho detto mille volte - delle nostre prerogative, e non accettiamo che ci siano interferenze da parte di altri poteri o ordini rispetto ad esse. Personalmente, le sempre denunciate con fermezza, anche diventando a volte impopolare nel mio stesso ambito politico (ma l'ho fatto, perché ritengo fondamentale rivendicare le prerogative del potere legislativo). Tuttavia dobbiamo essere molto attenti a non prevaricare i poteri e le responsabilità dell'ordine giudiziario. Per cui, anche per quanto riguarda l'articolo 4, sarà opportuno che in sede di Comitato dei nove si possa individuare una formulazione più corretta, che risponda al principio, che è stato prospettato, di un rapporto di reale collaborazione tra potere legislativo - in questo caso in funzione di Commissione di inchiesta - e ordine giudiziario, senza evidenziare in alcun modo una prevaricazione dell'uno sull'altro.
Signor Presidente, credo che...
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Boato.
MARCO BOATO. Concludo rapidamente, signor Presidente. Faremo un atto importante - e mi auguro che lo possiamo fare unanimemente, altrimenti non avrei presentato per prima questa proposta di legge -, nel ricostituire questa Commissione di inchiesta, se essa avrà la capacità non di elaborare - starei per dire - teoremi di carattere ideologico politici sulla mafia, ma se saprà svolgere la responsabilità ed i compiti che vengono affidati al Parlamento quando viene istituita una Commissione di inchiesta: compiti di controllo, di verifica, di accertamento, di suggerimento, anche di adeguamenti normativi al Parlamento, di proposte anche di adeguamenti amministrativi al potere esecutivo e ai vari apparati dello Stato. Se usciremo dallo scontro di carattere ideologico e politico nell'affrontare la questione della mafia e rimarremo, invece, sul terreno del contrasto della criminalità organizzata di tipo mafioso in tutte le sue articolazioni locali, nazionali ed internazionali, credo che daremo un contributo importante al nostro paese.
FILIPPO MANCUSO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, naturalmente mi riservo, in sede di discussione di merito, di valutare le osservazioni che mi sono state mosse, quasi a titolo personale, in ordine al merito della mia proposta relativa ai raccordi tra i poteri delle Commissioni e i poteri dell'autorità giudiziaria. Adesso mi limito a contestare, anticipando sviluppi dialettici più compiuti in avanti, che questa proposta, anche nell'interpretazione
giornalistica che ne è stata data, possa minacciare i principi della separazione dei poteri nel nome di de Tocqueville, del nome del nostro legislatore costituzionale, nel nome della nostra cultura giuridica. Non li minaccia per nulla, anzi, se l'esperienza che si è fatta nella Commissione anteriore mi può fornire il materiale di esperienza, io parlerei piuttosto degli arbìtri, degli esclusivismi della magistratura che più volte hanno impedito, bloccato e reso vano il lavoro della Commissione, negando quella collaborazione che è presente anche nei voti delle decisioni della Corte costituzionale e nel senso complessivo del nostro ordinamento.
Dico questo anticipando quello che svilupperò dopo, soffermandomi però anche che su un altro aspetto, sul quale veramente varrà la pena di invocare, di sollecitare quella collaborazione fra gruppi, che da altri è stata qui avanzata: la formazione dell'ufficio di presidenza. Abbiamo avuto, nell'ultima esperienza della Commissione, una presidenza due volte eletta con il sistema della votazione interna alla Commissione. Adesso che la faccenda si è messa diversamente, si invocano i principi di una supposta superiorità del sistema delle indicazioni presidenziali.
Mi pare che si mettano le mani avanti, ma su questo punto, indipendentemente da possibili dialettici dissidi che vi siano fra persone componenti la Commissione, noi siamo assolutamente risoluti a portare avanti il progetto attuato allora e spero che questo voto, che viene espresso tanto calorosamente e nella collaborazione, possa dare al paese una legge unanimemente votata.
Ritengo che alcuni dettagli di quella mia proposta circa la collaborazione potranno anche essere rivisti, ma sulla formazione dell'ufficio di presidenza è inutile sollecitarci a consensi che non potremo dare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lumia. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, la costituzione della Commissione parlamentare antimafia, sicuramente, non è mai un fatto burocratico: è un momento importante per la vita delle nostre istituzioni, un momento in cui il Parlamento compie una scelta forte e qualificata. Dobbiamo fare di tutto perché questa scelta sia condivisa. In Commissione affari costituzionali si è fatto un buon lavoro ma ancora non si sono create tutte le condizioni perché si possa arrivare, insieme, ad un voto unanime. Ora, in Assemblea, ogni gruppo parlamentare deve dare il meglio di sé per costruire una Commissione che agisca contro le mafie, che sappia cogliere la loro trasformazione, la pericolosità che ancora oggi esse esprimono e il loro carattere territoriale, nazionale e internazionale con cui, sempre più, dobbiamo fare i conti.
Nella nostra storia abbiamo avuto sei Commissioni parlamentari che avvalendosi dei poteri di volta in volta definiti nelle rispettive leggi istitutive, hanno posto al centro delle proprie indagini e delle proprie iniziative il fenomeno della mafia, ne hanno colto le diverse espressioni, si sono confrontate con le collusioni e con la vita sociale e politica. Nel corso degli anni, mentre ciascuna delle sei Commissioni operava in adempimento dei propri compiti, il fenomeno mafioso ha subito numerose e radicali modificazioni. Oggi abbiamo una mafia che modifica i suoi rapporti con la società, con la politica e con le istituzioni. Il volume degli affari gestiti o controllati dalle principali organizzazioni criminali è notevolmente cresciuto al punto che il riciclaggio del denaro accumulato in modo illecito, illegale o criminale è diventata una delle principali attività mafiose. L'azione repressiva dello Stato e le guerre intestine hanno prodotto un significativo mutamento nei gruppi dirigenti delle singole famiglie mafiose. L'attacco alla legalità è stato duro ed insidioso assumendo un carattere eversivo a volte in modo manifesto, altre volte in forme più subdolo perché nascosto e mascherato da azioni sotterranee ed invisibili.
Oltre alle notevoli mutazioni, di cui ho già parlato, è importante sottolineare la presenza delle organizzazioni mafiose straniere perché a quelle già tradizionalmente presenti nel nostro paese, negli ultimi anni, se ne sono aggiunte altre, più agguerrite: le nuove mafie che si sono caratterizzate, tra l'altro, per aver determinato da un lato la riemersione, in forma nuova, del contrabbando delle sigarette (fenomeno per lungo tempo sottovalutato o addirittura considerato con una certa malcelata benevolenza sebbene nel corso dell'ultima legislatura sia stato affrontato sul piano repressivo e legislativo con più severità ed efficacia), e dall'altro lato per aver costretto in schiavitù bambine, donne e ragazze trasportate, in crescente numero, con l'inganno in Italia da organizzazioni criminali, anche straniere, costrette al lavoro nero e a prostituirsi. Insomma, le mafie, per stare al tema di queste ore, si sono globalizzate al punto che tutti i paesi debbono fare i conti con l'emergere della criminalità organizzata, come è stato evidenziato dalla recentissima conferenza mondiale dell'ONU svoltasi in Italia, a Palermo, nel dicembre del 2000. Le mafie rimangono un nodo da affrontare. Rimangono una sfida.
Nella scorsa legislatura la relazione finale della Commissione parlamentare antimafia ha messo in luce i risultati ottenuti e i problemi ancora insoluti.
Tra i problemi rimasti insoluti, due in particolare meritano considerazione: il primo è costituito dall'esigenza crescente di acquisire una conoscenza più approfondita, dal di dentro, delle strutture più intime e segrete delle mafie, conoscenza che si è affievolita dopo la conclusione del ciclo dei collaboratori di giustizia che, comunque li si voglia giudicare, hanno dato un contributo importante per aumentare il bagaglio di informazioni intorno ai meccanismi interni e di funzionamento di cosa nostra, della 'ndrangheta, della camorra e delle organizzazioni mafiose pugliesi.
Il secondo punto attiene al nuovo rapporto tra le diverse organizzazioni mafiose, il sistema economico e la rappresentanza politica, tenuto conto delle ingenti risorse che si investono nel mezzogiorno, dei meccanismi di riciclaggio nell'economia globalizzata e del mutato quadro elettorale locale, regionale e nazionale, causato dal sistema maggioritario che ha superato il vecchio sistema delle preferenze multiple (meccanismo che aveva visto in passato un pesante inserimento delle preferenze mafiose).
Tutto ciò reclama una nuova strategia, a livello nazionale ed internazionale, tra più livelli di iniziativa, quello legislativo, economico, culturale, sociale, giudiziario e repressivo. Presentando all'inizio della XIV legislatura questo disegno di legge, ci siamo adoperati subito per la sua sollecita approvazione, allo scopo di evitare ogni interruzione nell'impegno antimafia del Parlamento italiano sia sul terreno delle conoscenze sia su quello delle proposte e dei controlli. Si tratta di un lavoro che occorre proseguire con sistematicità e continuità, approfondendo le conoscenze, aggiornando l'analisi e, soprattutto, verificando la funzionalità degli strumenti istituzionali da impiegare nell'azione di contrasto contro le mafie, nella prevenzione delle attività criminali e dell'illegalità. Vi sono naturalmente delle sfide con cui la Commissione antimafia si dovrà confrontare. Per quanto riguarda il rapporto mafia e politica, è importante che essa indaghi sui mandanti delle stragi Falcone e Borsellino, nonché degli attentati di Roma, Firenze e Milano. La nostra democrazia non può sopportare ombre su tali tragici eventi, non può ancora ritardare la capacità di far luce su tali devastanti avvenimenti. La Commissione dovrà lavorare sui motivi che hanno impedito fino ad oggi la fine della lunga latitanza di Provenzano; inoltre, è necessario fare emergere i collegamenti e le protezioni di cui godono importanti famiglie mafiose, dai Provenzano ai Matteo Messina Denaro, dai Lo Piccolo ai Giuffrè in Sicilia, dai Morabito ai Mancuso in Calabria, ai Casalesi in Campania ed ai Prudentino in Puglia.
Cari colleghi, la Commissione antimafia dovrà inoltre «scavare» sull'accumulazione economica delle realtà organizzate,
delle vecchie e delle nuove mafie. Oggi il punto cruciale è quello di dare un colpo mortale proprio alle ricchezze. Bisogna ridimensionare gli interessi economici e finanziari operando su tre livelli: il primo consiste nell'impedire che la mafia possa concludere nuovi affari approfittando degli investimenti che arriveranno al sud; il secondo è concentrare uomini e tecnologie nell'individuazione dei patrimoni di cui si sono impossessati i mafiosi e procedere alla confisca delle ricchezze e degli immobili; il terzo è assicurare che questi patrimoni e tutti gli immobili possano essere gestiti dalla società civile, o trasformati in servizi sociali, quali scuole e presidi delle forze dell'ordine. Tutto ciò è importante e decisivo.
Naturalmente bisognerà trovare le necessarie convergenze qui in Assemblea, nell'esame degli emendamenti e nel lavoro che domani e dopodomani dovremo svolgere. In particolare penso anch'io che sia necessario valutare meglio, confrontandoci, quell'emendamento approvato in Commissione che mette in condizione la Commissione parlamentare antimafia di acquisire documenti della magistratura anche quando sono in corso delle indagini. Ovviamente la Commissione parlamentare antimafia deve essere forte, autorevole, in grado di far compiere un salto di qualità alle nostre istituzioni nella prevenzione e nel contrasto alle mafie. L'acquisizione delle informazioni anche attraverso il lavoro importante dell'autorità giudiziaria è fondamentale, decisivo; questo tema va affrontato e sviluppato stando attenti a non creare conflitti istituzionali. L'onorevole Mancuso ha sollevato tale questione, e penso che avremo occasione, in sede di esame degli emendamenti, di definire meglio l'argomento. Ritengo che lo stesso onorevole Mancuso dovrà approfondire il suo punto di vista, mettendo la sua proposta nelle condizioni di non trasformare la Commissione antimafia in un luogo dove poter acquisire conoscenze, ad esempio, su indagini che riguardano politici od altri potenti e compromettere le indagini oppure creare conflitti istituzionali, nonché provocare un vulnus all'interno della separazione dei poteri e sull'autonomia e la libertà della magistratura.
È un tema aperto e lo vogliamo affrontare e discutere. Per come è stato formulato il testo all'interno della Commissione Affari costituzionali da parte del centrodestra, ci sembra un fatto grave; pertanto - come è stato detto anche dall'onorevole Caldarola - non esistono le condizioni per dare il nostro consenso.
Per quanto riguarda il secondo aspetto - anch'esso di grande rilevanza - che si riferisce alla modalità di scelta del presidente, ritengo che, se vogliamo affrontare in Commissione il rapporto mafia e politica, mafia ed economia, abbiamo bisogno di una Commissione guidata con un forte piglio istituzionale e di un presidente svincolato da dinamiche inevitabilmente conflittuali tra maggioranza ed opposizione. Dopo la fase delle stragi ci si è impegnati con una forte azione contro la mafia militare, adesso dobbiamo colpire al cuore quella politica e quella economica. Per fare ciò ci vogliono molto coraggio, molta libertà, poca strumentalizzazione e molta capacità di scavo. Ecco perché è importante valutare la possibilità di un presidente che sia svincolato da logiche di maggioranza e che metta la politica e le istituzioni nella condizione di fare un grande salto di qualità che le renda autorevoli, forti e capaci, per andare finalmente alla radice del fenomeno mafioso.
Mi auguro che il relatore sappia trovare la giusta soluzione e proporre una modifica del testo approvato in Commissione affari costituzionali, per metterci nelle condizioni di votare e convergere, tutti insieme, intorno ad esso. Valuteremo ciò nell'ambito della discussione e ci auguriamo di poter raggiungere un punto forte e qualificato di unità. Sino ad adesso non ci siamo; sino ad adesso la nostra contrarietà è chiara ed esplicita (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Dovrebbe ora intervenire l'onorevole Sinisi. Tuttavia data l'ora, siamo di fronte ad un problema. Credo
però che il dibattito al Senato sia ancora in corso - stiamo assumendo informazioni al riguardo - e pertanto, proporrei di far parlare l'onorevole Sinisi e di procedere nei lavori in modo da chiudere questo dibattito. Eventualmente, se si renderà necessario, pregheremo l'onorevole Sinisi di proseguire il suo intervento dopo il dibattito, alla presenza del ministro dell'interno.
Onorevole Sinisi, ha facoltà di parlare.
GIANNICOLA SINISI. Grazie signor Presidente. Le debbo restituire una cortesia e, quindi, mi attengo senz'altro alle sue indicazioni.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, ho già avuto occasione di trattare la questione concernente le funzioni ed i limiti della Commissione di inchiesta (anche se mi rendo conto di derogare ad una prassi parlamentare) nella discussione che si è svolta in merito alla Commissione di inchiesta sull'affare Telekom-Serbia. Credo, tuttavia, di dovere indugiare un attimo sulle questioni che riguardano l'oggetto di questa nuova Commissione d'inchiesta sul fenomeno mafioso, di cui stiamo trattando e la cui istituzione ci accingiamo nei prossimi giorni a votare in questo ramo del Parlamento.
Ritengo che abbiamo un primo dovere: dire con chiarezza che, se siamo qui oggi a parlare di una Commissione di inchiesta sul fenomeno mafioso, lo facciamo non perché vi sia una prassi parlamentare ultraventennale, bensì perché nel nostro paese vi è ancora un problema da risolvere. C'è bisogno di chiarezza intorno ai metodi ed ai modi con cui queste organizzazioni criminali ancora oggi pervadono il nostro sistema sociale, economico ed istituzionale. Ci occupiamo della mafia e non di altri fenomeni criminali proprio per le caratteristiche di quest'ultima che non costituisce un fenomeno criminale tout court, ma ha la capacità di incidere pervasivamente nel tessuto della nostra società, minandone fino in fondo le radici. Si è detto più volte che la mafia si atteggia nei confronti dello Stato come una forma di Stato antagonista, che ne mutua in qualche modo le regole e le caratteristiche, fino a spingersi ad atti di solidarietà sociale (così almeno vengono definiti) per trovare nuove complicità e solidarietà.
Credo valga la pena riflettere su questo e sul fatto che troppo frettolosamente, in passato, si è voluto liquidare questo fenomeno invece ancora così presente. Certo, non possiamo discutere di mafia così come ne discutevamo molti anni fa. Parlarne oggi significa fare uno sforzo di modernità nel definirne gli obiettivi. Bisogna comprendere fino in fondo gli atteggiamenti diversi e la capacità camaleontica che ha questo fenomeno di insinuarsi nel profondo delle pieghe del nostro sistema.
Signor Presidente, ho proposto - insieme ad altri colleghi - alcuni emendamenti al riguardo e non mi soffermo su questo punto per una voglia petulante di sottolineare lo sforzo culturale che è stato compiuto nel definire l'oggetto di questa nuova Commissione di inchiesta. A mio avviso, però, se trascurassimo di comprendere fino in fondo che, oltre alla lotta armata, esistono altre forme attraverso le quali la mafia oggi si esprime, faremmo torto a noi stessi.
Signor Presidente - e forse parlando di questo potrò ravvivare l'attenzione dei colleghi - quando proponiamo di svolgere un'attività di inchiesta sulle modalità con le quali oggi la mafia opera nel settore finanziario e mobiliare, quando diciamo che è capace di modificare gli assetti societari (acquisendo il diretto dominio dopo averlo sottratto ai legittimi proprietari), poniamo una questione collegata alla discussione che oggi si sta svolgendo in un'altra Commissione sul falso in bilancio. Credo che anche questa sia la sede per comprendere che la chiarezza e la precisione dei bilanci e la trasparenza degli assetti societari non sono soltanto un interesse della proprietà, ma anche un interesse sociale che dobbiamo difendere. Non si tratta soltanto di una questione di mercato (né di mercati europei, ai quali pure dobbiamo rispondere) ma di una questione nazionale che si intreccia strettamente
con le misure di contrasto della criminalità organizzata di cui stiamo discutendo.
In Commissione abbiamo compiuto molti sforzi affinché l'oggetto fosse strettamente attinente alla mafia. Faccio riferimento a quanto diceva l'onorevole Boato e ringrazio il relatore per gli sforzi compiuti in questa direzione, ma trovo anch'io poco convincente che si parli di criminalità organizzata tout court e si dica che l'oggetto della Commissione d'inchiesta debba essere di estremo pericolo per le istituzioni, per la società e per l'economia. A questo punto, infatti, l'oggetto potrebbe essere il terrorismo politico, che si manifesta anche come terrorismo alimentare, che abbiamo visto in Giappone e che diventerebbe oggetto della nostra Commissione parlamentare d'inchiesta. Credo che nessuno di noi abbia intenzione di trasformare la Commissione di inchiesta sulla mafia in una Commissione d'inchiesta su qualsiasi forma di criminalità organizzata. In questo senso erano diretti i primi sforzi che abbiamo compiuto e credo che il relatore si farà cura, anche tenendo conto degli emendamenti del collega Boato, di queste indicazioni.
Sulla questione, poi, della verifica delle disposizioni relative ai collaboratori di giustizia...
Signor Presidente, faccio un po' di fatica ad intervenire con questo sottofondo.
PRESIDENTE. Vorrei pregare i colleghi di seguire l'intervento dell'onorevole Sinisi.
GIANNICOLA SINISI. Non chiedo di seguire il mio intervento, ma almeno di non impedirlo.
La questione relativa all'introduzione della verifica della legislazione e delle misure amministrative relative ai collaboratori di giustizia ci persuade fino in fondo se, però, la mettiamo in chiave positiva. Mi riferisco ad una chiave che sia rivolta a rafforzare l'efficacia di questi strumenti e non già ad introdurre anche qui uno strumento di verifica puro e semplice. Infatti, mai come nell'azione antimafia - e mi perdoni un po' di supponenza chi mi ascolta - c'è bisogno non solo di pur lodevoli censure, ma anche di tanta forza propositiva per andare avanti.
Credo che in tale senso possa essere orientata la discussione. Anche le considerazioni svolte dall'onorevole Boato a proposito dell'azione conseguente dei pubblici poteri vanno nella stessa direzione. Il centro della nostra attenzione è la lotta alla mafia: da lì bisogna misurarsi con tutte le situazioni nelle quali possiamo trovarci. Anche nella legislazione previgente era chiarissima la possibilità di svolgere un'azione propulsiva in questa direzione, ma mai nessuno la interpretò nel senso di porre sotto controllo l'azione degli altri pubblici poteri.
È auspicabile, se non addirittura doverosa, una forma di collaborazione istituzionale: i pubblici poteri vanno tutti coinvolti.
Il nostro limite non è certo quello di fermarci davanti ad infiltrazioni mafiose nei pubblici poteri, ma certamente un nostro limite è fare in modo che una Commissione d'inchiesta non diventi un organo di controllo tout court sui pubblici poteri, perché questo sarebbe sbagliato, ma sono certo che questo non era nelle intenzioni dei proponenti.
Sulla questione della composizione, signor Presidente, mi rendo conto che nel 1994 la legge prevedeva che il presidente fosse designato dai Presidenti di Camera e Senato e che nella legislatura successiva si modificò tale legge, nel senso di affidare alla prerogativa della maggioranza la capacità di scegliere il proprio presidente.
Credo si sia trattato di uno sbaglio, ma non voglio oggi correggerlo con una argomentazione, bensì utilizzarne una storica, perché se si approvò quella legge nel 1996, ci si arrivò perché nel 1994 uno strumento di controllo come la Commissione parlamentare di inchiesta - perché così l'hanno voluta i nostri costituenti - fu affidata ad un esponente della maggioranza.
Ritengo che noi, oggi, abbiamo un'occasione per rimettere ordine in questa vicenda, abbiamo la possibilità di fornire
spessore istituzionale all'azione antimafia nel nostro paese, affidando nuovamente la presidenza ad un organo imparziale e di garanzia. In questo senso credo che valga la pena, oggi, di aprire una discussione - anche per quello che ha sostenuto nel suo intervento l'onorevole Caldarola e che condivido sino in fondo - e sarebbe davvero singolare se, nella stessa settimana, varassimo due Commissioni di inchiesta, una il cui presidente è designato dai Presidenti di Camera e Senato, e l'altra il cui presidente è eletto a maggioranza dei componenti.
Credo si debba coltivare anche un profilo di coerenza parlamentare e non voglio evocare anche qui quanto ho riferito oggi in Commissione - ho sempre un po' di pudore nel farlo, ma credo che valga la pena - come Giovanni Falcone ricordava non ci sia vittoria possibile sulla mafia, fino a quando la stessa rimarrà terreno di scontro politico.
Noi abbiamo la possibilità di dare un segno al rafforzamento istituzionale di questa Commissione e parteciperemo a questo sforzo.
Da ultimo, signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei riferirmi ai rapporti con l'autorità giudiziaria: è assolutamente certo, indiscutibile e previsto dalla nostra Costituzione che la Commissione d'inchiesta abbia i poteri dell'autorità giudiziaria. Non vorrei che in alcun modo la Commissione d'inchiesta, anche solo per equivoco, avesse poteri sull'autorità giudiziaria.
Abbiamo la possibilità di svolgere gli stessi accertamenti, acquisire le stesse testimonianze, acquisire i documenti con le stesse prerogative dell'autorità giudiziaria. Ritengo giusta la proposta del relatore di non consentire la trasmissione degli atti soltanto nel periodo in cui, motivatamente, sussistano ragioni di riserbo istruttorio.
Tuttavia, introdurre una sorta di ghigliottina oltre alla quale scatterebbe un'ipotesi, probabilmente, addirittura di reato, di omissione di atti d'ufficio da parte del magistrato titolare dell'inchiesta - laddove non trasmettesse senza indugio gli atti e i documenti - aprirebbe un'ipotesi di conflitto istituzionale che, senza voler citare de Tocqueville, dovrebbe essere una questione di prudenza da parte nostra evitare.
In questo senso ritengo che siamo tutti impegnati a trovare le forme più utili affinché l'indipendenza e l'autonomia della Commissione parlamentare di inchiesta non vengano in nessun modo vulnerate dall'iniziativa dell'autorità giudiziaria, ma, allo stesso modo, evitare che le stesse prerogative di autonomia e di indipendenza dell'autorità giudiziaria possano essere, in qualche modo, vulnerate dalla nostra azione.
Credo che questo sforzo sia stato già annunciato e noi saremo attenti a fornire il nostro contributo positivo, affinché, anche nella XIV legislatura, la scelta di combattere, contrastare e ricercare gli strumenti per lottare la mafia moderna possano essere trovati tutti insieme, così come è doveroso quando si vuole davvero svolgere la propria funzione sino in fondo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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