Resoconto stenografico
SEDE LEGISLATIVA
1. Anche al fine di contribuire alla conservazione della memoria della figura di Giacomo Matteotti, al comune di Fratta Polesine è assegnato un contributo pari a 700.000 euro per l'anno 2004 per interventi di restauro e manutenzione straordinaria della casa natale di Giacomo Matteotti e del parco annesso.
2. Il comune di Fratta Polesine assicura il coordinamento degli interventi di cui al comma 1 con quelli eventualmente adottati, anche in collaborazione con istituzioni culturali e altri soggetti pubblici e privati, dai proprietari dell'immobile, dal comune stesso e dagli altri enti territoriali competenti ai fini della valorizzazione del bene e della promozione di attività culturali connesse alla figura di Giacomo Matteotti e al suo rapporto con la comunità locale, anche tramite la realizzazione di una apposita «casa-museo».
3. La competente soprintendenza autorizza, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, gli interventi di cui ai commi 1 e 2.
4. All'onere derivante dall'attuazione del comma 1, pari a 700.000 euro per l'anno 2004, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali.
5. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
1. Per la commemorazione dell'ottantesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti è autorizzata la concessione di un contributo di 50.000 euro per l'anno 2004 agli enti Fondazione Nenni e Fondazione Matteotti per il finanziamento delle seguenti manifestazioni e iniziative culturali:
a) allestimento di una mostra che illustra l'opera di Giacomo Matteotti come sindacalista, amministratore locale e parlamentare assiduamente impegnato in difesa dei valori della libertà, della democrazia, della pace e della giustizia sociale;
b) raccolta, conservazione, manutenzione e restauro dei documenti fruibili mediante la lettura, l'ascolto e la visione relativi all'attività di Giacomo Matteotti e al contesto sociale e politico in cui ha vissuto e ha svolto la propria opera, da destinare sia all'allestimento di mostre e alla consultazione da parte dei soggetti interessati, sia alla produzione di un filmato da proiettare nelle scuole del secondo ciclo di istruzione e nelle università.
2. Le manifestazioni e le iniziative culturali di cui al comma 1 sono autorizzate ed attuate in conformità con le disposizioni dettate in materia dal Codice dei
beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
3. È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il premio intitolato a Giacomo Matteotti. Per le finalità di cui al presente comma è autorizzata la spesa di 50.000 euro a decorrere dall'anno 2005.
4. Il premio di cui al comma 3 è assegnato, a decorrere dall'anno 2005, con modalità e criteri definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ad opere che illustrano gli ideali di fratellanza tra i popoli, di libertà e di giustizia sociale che hanno ispirato la vita di Giacomo Matteotti ed è suddiviso nelle seguenti sezioni:
a) saggistica;
b) opere letterarie e teatrali;
c) tesi di laurea.
5. All'onere derivante dall'attuazione dei commi 1 e 3, pari rispettivamente a 50.000 euro per l'anno 2004 e a 50.000 euro a decorrere dall'anno 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2004-2006, nell'ambito dell'unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2004, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali.
6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
«Uccidete me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai... La mia idea non muore... I miei bambini si glorieranno del loro padre... I lavoratori benediranno il mio cadavere... Viva il Socialismo!». Sono le ultime parole di Giacomo Matteotti, riferite da uno dei sicari e ricordate durante la riunione delle opposizioni parlamentari nella commemorazione funebre di Filippo Turati del 27 giugno 1924 in ricordo dell'amico assassinato. Oggi il ricorrere dell'ottantesimo anniversario della sua morte impone a noi che lo abbiamo seguito su questi banchi una riflessione ed un necessario omaggio al contributo che egli ha dato alla libertà del nostro Paese, in termini di denuncia. Questa proposta che abbiamo in discussione prevede la ristrutturazione della casa-natale di Giacomo Matteotti, una palazzina di origine settecentesca, che ha subito nel corso del secolo scorso alcune modifiche strutturali rispetto all'impianto originario e che oggi necessita di interventi straordinari di restauro e manutenzione di cui lo Stato è giusto si faccia carico per contribuire al ricordo e alla memoria di quello che non è né sbagliato, né eccessivo definire come uno dei padri della nostra Repubblica e dello Stato italiano libero.
Accogliamo con soddisfazione anche lo stanziamento previsto per la commemorazione dell'ottantesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti di un contributo di 50.000 euro per l'anno 2004 agli enti Fondazione Nenni e Fondazione Matteotti per il finanziamento per l'allestimento di una mostra che illustra l'opera di Giacomo Matteotti come sindacalista, amministratore locale e parlamentare assiduamente impegnato in difesa dei valori della libertà, della democrazia, della pace e della giustizia sociale e la raccolta, conservazione, manutenzione e restauro dei documenti fruibili mediante la lettura, l'ascolto e la visione relativi all'attività di Giacomo Matteotti e al contesto sociale e politico in cui ha vissuto e ha svolto la propria opera, da destinare sia all'allestimento di mostre e alla consultazione da parte dei soggetti interessati, sia alla produzione di un filmato da proiettare nelle scuole del secondo ciclo di istruzione e nelle università.
Accogliamo con favore anche l'istituzione di un premio ispirato ai principi ed ideali che animarono l'azione politica di Giacomo Matteotti, ovvero la fratellanza tra i popoli, la libertà, la giustizia sociale, per i quali l'esponente socialista dette la vita. Sottolineiamo semmai, come democratici di sinistra, l'opportunità di accrescere lo stanziamento previsto di 50.000 euro per creare un premio che dal prossimo anno sappia affermarsi secondo l'importanza che Giacomo Matteotti ha avuto per la storia democratica del nostro Paese. Giacomo Matteotti, infatti, durante il buio dell'oscuramento dei diritti e delle libertà da parte del fascismo, tenne accesa la fiaccola della speranza e questo suo impegno pagò con la vita. Il suo impegno venne raccolto da altri negli anni successivi: Gramsci, i fratelli Rosselli, che pagarono sulla propria pelle i soprusi del fascismo.
Questa proposta non è un museo di raccolta delle sue carte, anche perché gran parte del patrimonio dei documenti che riguardano la sua persona si trova presso l'Associazione di studi storici Filippo Turati di Firenze, dove esiste un fondo sulla storia del socialismo e che oggi lavora in collaborazione con l'Associazione culturale nazionale Sandro Pertini, costituita il 20 giugno 1995 a Firenze e ha sede in Palazzo
Coppi. Il Fondo delle carte di Giacomo Matteotti è stato donato a partire dal 1983, dai figli Giancarlo, Isabella e Matteo. Il nipote Titta Ruffo junior, inoltre, ha donato una raccolta curata negli anni di testi relativi alla figura e all'opera di Matteotti. Il Fondo ha ottenuto la notifica di notevole interesse storico dalla Sovrintendenza archivistica per la Toscana, con provvedimento n. 684 del 28 gennaio 1997.
Il Fondo Giacomo Matteotti si configura come un vero e proprio archivio familiare e consiste nell'insieme delle carte rimaste a Fratta Polesine, sopravvissute alle devastazioni fasciste ed a Roma. La documentazione del deputato socialista è stata poi curata ed arricchita di materiali vari, prima dalla moglie Velia, nonché dai figli Giancarlo, Isabella e Matteo: si spiega in tal senso la presenza dei numerosi cimeli, dei materiali delle commemorazioni e dell'ampia ed attenta rassegna stampa matteottiana che, dal giorno del delitto, arriva ai giorni nostri. Alle carte di Matteotti, alle sue lettere alla moglie Velia, ad alcuni scritti e materiali fotografici, si affianca la documentazione familiare che contestualizza e sviluppa tematicamente le carte del deputato socialista: il prezioso archivio della moglie Velia, che comprende, fra l'altro, le lettere inviate dal marito e una serie di messaggi di cordoglio inviatele da ogni parte d'Italia e dall'estero, raccolti in 10 volumi, nonché da altri 4 indirizzati alla Direzione del PSU e da essa conservati; le carte della famiglia di origine e la documentazione che i figli hanno essi stessi prodotto o raccolto negli anni. Come archivi aggregati si pongono, poi, le carte Bellussi e Del Giudice relative al processo matteottiano del 1926. Sono inoltre conservati documenti personali, come certificati scolastici; certificato del foglio matricolare rilasciato dal Comando del Distretto militare di Rovigo; tessera di trasporto gratuito per le Ferrovie dello Stato per i deputati; ricevute commerciali. Viene conservata varia corrispondenza che comprende le 214 lettere della fidanzata e poi moglie Velia a Giacomo; le cartoline indirizzate a Matteotti durante il suo esilio per dichiarato antimilitarismo a Campoinglese in provincia di Messina; ed un nucleo di lettere e telegrammi di taglio politico. Vi è inoltre la documentazione politica con note dattiloscritte relative a proposte di riforma elettorale e testi di editti regi, oltre ad una copia di un discorso parlamentare di Matteotti, materiali a stampa, volantini, ritagli di stampa e quotidiani arrivati a Giacomo Matteotti, fra cui vari numeri dell'Avanti!. Infine, cimeli, raccolta di nastri e fiocchi funerari di vario formato in seta, tulle, moire di cotone di colore rosso o nero con scritte in lettere dorate del partito socialista e di altre formazioni politiche, di gruppi operai, di sindacati autonomi di operai esiliati in Francia e in Belgio e di associazioni combattentistiche.
Questa iniziativa che andiamo ad adottare copre un vuoto, ovvero il recupero della casa natale di Giacomo Matteotti e l'istituzione di un premio che ne ricorda la figura, ma soprattutto gli ideali che dopo la sua morte hanno continuato a vivere e sono stati il fondamento di una speranza di riscatto dell'Italia dal fascismo.
Tracciare una fredda biografia non sarebbe utile a ricordare l'esempio e il simbolo che è divenuto negli anni Giacomo Matteotti. È comunque importante per capire come un uomo si è elevato a simbolo dell'opposizione al fascismo che era divenuto attraverso la violenza regime. Giacomo Matteotti nacque a Fratta Polesine (Rovigo) il 22 maggio 1885 da una famiglia originaria della Val di Sole. Fu Matteo, primogenito di casa Matteotti, ad avviare Giacomo, appena tredicenne, al socialismo, mentre frequentava il liceo «Celio» di Rovigo. Nel 1904, dopo alcuni anni di militanza nella gioventù socialista, prese la tessera della sezione adulti, in un momento in cui la struttura del partito era ancora piuttosto debole, anche se si era sviluppata una fitta rete di leghe, di cooperative agricole e di consumo, nelle quali operò attivamente. Dopo la laurea in Giurisprudenza conseguita a Bologna nel 1907 sotto la guida di Alessandro Stoppato, nel 1910 fu candidato dalla sezione di Occhiobello alle elezioni del Consiglio provinciale di Rovigo. Risultato vincitore, abbandonò
gli studi giuridici per dedicarsi interamente alla politica, nell'ambito della corrente riformista. Nel 1912 entrò a far parte della redazione del foglio polesano «Lotta proletaria», che poi riprese il titolo originario, «La Lotta». Fu sindaco di Villamarzana nel 1912 e di Boara Polesine dal 1914, oltre che consigliere in una decina di comuni, si trovò a guidare l'opposizione socialista nel Consiglio provinciale di Rovigo. Per tale sua vasta esperienza di politico si segnalò ai vertici del partito in occasione del congresso dei comuni socialisti tenutosi a Bologna nel 1916 e, nello stesso anno, fu eletto segretario. Per il suo impegno antibellicista, venne condannato a trenta giorni di reclusione. Chiamato alle armi nel luglio 1916 e congedato nel marzo 1919, riprese l'opera di amministratore ed organizzatore, impegnandosi nelle lotte bracciantili del Polesine. Nello stesso anno fu eletto deputato per la circoscrizione di Ferrara-Rovigo, carica confermata nel 1921 e 1924 per la circoscrizione di Padova-Rovigo. Particolarmente competente in materia finanziaria e amministrativa, fece parte della Giunta del bilancio e della Commissione finanza e tesoro della Camera. Critico intransigente fino dal suo nascere del fenomeno fascista, fu duramente perseguitato e costretto a lasciare la sua regione già dal 1921. Nell'ottobre 1922, dopo la scissione tra massimalisti e riformisti, divenne segretario del nuovo PSU, impostandone la linea politica come lotta ad oltranza contro il fascismo. Pur privato del passaporto, espatriò clandestinamente per assistere al congresso del Partito operaio belga, per incontrarsi con alcuni dirigenti del Labour party e delle Trade unions e per ridimensionare, attraverso tali colloqui, il mito mussoliniano, sottolineando la pericolosità potenziale del regime fascista anche per le altre nazioni. Un mito e un'idea, quella del fascismo, che si diffuse in tutta Europa sull'onda dei crescenti nazionalismi e delle miserie create dalla prima guerra mondiale.
Giacomo Matteotti non è stato un antifascista qualsiasi: è stato il primo che con vigore, tenacia e puntualità dai banchi del Parlamento ha denunciato la nascita del regime e la violenza fascista che aveva condizionato l'andamento delle elezioni. Giacomo Matteotti e la sua figura sono oggi più che mai attuali: ricordarlo e diffondere soprattutto tra i giovani il ricordo degli ideali e principi di legalità, libertà, lotta alla sopraffazione, significa oggi diffondere un messaggio di democrazia e di speranza di pace. Una figura straordinaria che ancora oggi è doveroso ricordare per l'impegno profuso fino al sacrificio della propria persona per combattere la dittatura fascista e per affermare i principi di libertà, di democrazia e di legalità. Questi valori, la cui difesa gli costò la vita, sono riferimenti permanenti in un paese democratico come quello che grazie anche al suo sacrificio è stato possibile costruire. Principi che debbono essere sempre alimentati anche attraverso il ricordo, perché mai sono acquisiti in via definitiva. Ecco perché la figura di Giacomo Matteotti mantiene oggi la sua attualità e la sua forza di esempio nella lotta alle ingiustizie, alle sopraffazioni delle dittature e per la capacità che ebbe di interagire con la realtà sociale ed economica della sua terra e della nazione e non solo. Fu autentico interprete delle istanze popolari nelle istituzioni locali nelle quali svolse le funzioni di sindaco, consigliere comunale e provinciale, ponendosi sempre in una prospettiva di impegno generale per la nazione e in una visione internazionale ed europea nella sua evoluzione del pensiero. Fu promotore e legato al sistema delle cooperative e della rete del mutuo soccorso. Denunciò il fascismo in Italia e i suoi viaggi all'estero e i suoi rapporti con i socialisti europei gli servirono per denunciare alle comunità degli italiani all'estero la natura dittatoriale e devastante del fascismo.
Così scrive Mauro Canali nel suo «Il delitto Matteotti»: «Prima che Mussolini gli ritirasse il passaporto, Matteotti poté recarsi ancora un paio di volte all'estero, dove non perse mai l'occasione di denunciare con fermezza, anche ai più distratti osservatori europei, la natura reazionaria del fascismo, i suoi sviluppi autoritari,
infastidendo molto il regime, impegnato in quel periodo ad affermare all'estero un'immagine di forza nazionale e normalizzatrice. Per questo i giornali governativi e fiancheggiatori, giocando su una malintesa identità di patria e di fascismo, iniziarono presto ad accusarlo di attività contraria agli interessi del proprio paese, mentre il regime avviava sulla sua attività all'estero una attenta vigilanza, come prova il telegramma che il 19 gennaio 1924 Mussolini spediva all'ambasciata italiana a Londra con il quale si chiedeva di indagare se l'onorevole deputato socialista si trovasse a Londra».
Era evidente che il regime ed in primis Mussolini temeva in particolar modo Matteotti non solo in quanto esponente italiano di primo piano del socialismo nazionale, ma per gli importanti collegamenti che era solito intrattenere con il socialismo europeo. In particolare Mussolini aveva capito prima di altri la pericolosità per il regime dell'esponente socialista per la sua preparazione culturale e politica, capace di cogliere e rivelare il vero volto reazionario e sanguinario del fascismo. «Nel febbraio del 1923», cito ancora dall'opera di Canali, «Matteotti si era recato a Lille a rappresentare il suo partito al congresso dei socialisti francesi. Il mese successivo era stato a Parigi per una riunione interparlamentare, e dalla capitale francese per incarico della commissione che si occupava della questione della riparazione dei crimini di guerra, aveva raggiunto Berlino per incontrare alcuni esponenti della socialdemocrazia tedesca. Dopo quel viaggio egli non poté più allontanarsi dall'Italia perché il governo Mussolini gli ritirò il passaporto». Lo stesso Mussolini si prese l'impegno a ritirargli il passaporto, con un «No» autografo sulla lettera scritta da Matteotti in carta intestata della Camera dei Deputati con cui chiedeva di poter uscire dai confini nazionali. Incurante dei divieti impostigli da Mussolini in persona, decise di andare all'estero e partecipò agli appuntamenti dei congressi socialisti di Strasburgo, Bruxelles, ed infine in Inghilterra dove nel 1924 era in carica il Governo laburista guidato da Ramsay MacDonald. Questa presenza in forma riservata di Matteotti è collegata ad un aspetto meno noto dell'attività di Giacomo Matteotti. Il governo fascista aveva assunto impegni con la compagnia petrolifera americana Sinclair Oil in Italia contro la presenza sul mercato italiano della compagnia petrolifera inglese APOC, che era una compagnia nazionalizzata e che quindi rispondeva direttamente al governo inglese e che da anni operava sul mercato nazionale. Nei giornali americani, dopo la morte di Giacomo Matteotti si ipotizzava che una delle spiegazioni dell'efferato delitto del deputato socialista era da ricercare nei timori da parte del regime fascista di una denuncia in Parlamento della paventata corruzione che avrebbe accompagnato la stipula della convenzione tra Governo italiano e la compagnia americana Sinclair.
Ad ogni buon conto, anche se da parte degli storici non si è giunti ad una risposta definitiva ai «numerosi interrogativi che la visita clandestina a Londra di Matteotti» suscita circa l'assunzione di informazioni sugli interessi petroliferi delle diverse compagnie in Italia e possibili corruzioni, è legittimo non escludere l'interesse da parte di Matteotti su questa materia. «Anche se le preoccupazioni di Matteotti nel maggio del 1924 vertevano fortemente sulle diffuse illegalità, brogli elettorali e violente devastazioni esercitate dal regime fascista e delle sue milizie e della sua prospettiva di consolidamento, tuttavia la presenza corruttrice del regime sull'emanazione dei due decreti-legge sulle bische e sui petroli continuerà ad essere presente nel suo pensiero e nelle sue riflessioni fino agli ultimi due suoi giorni». Alle elezioni del 6 aprile 1924 il cosiddetto listone governativo aveva vinto con buon margine. Ma anche il PSU dove non vi erano state violenze e brogli aveva ottenuto un buon risultato. L'apertura della XXVII legislatura si presentava con radicali contrasti. Matteotti aveva espresso da subito il carattere radicale della propria opposizione al Governo e alla maggioranza parlamentare che nei suoi primi atti, come la riforma del regolamento della Camera
presentata da Grandi, manifesta l'intendimento di subordinare sempre di più il potere legislativo a quello esecutivo. Nella seduta del 30 maggio 1924, a Matteotti era stato affidato l'incarico di illustrare la posizione del gruppo parlamentare sulla verifica dei poteri e le proposte della giunta delle elezioni. Il discorso di Matteotti è forte e efficace. Pochi giorni dopo il voto, in occasione della convalida degli eletti, ebbe la forza di denunciare i pestaggi e le intimidazioni nei confronti dei candidati che si opponevano al listone fascista e di chiedere l'annullamento del voto. Dice Matteotti: «Ora, contro la loro convalida noi presentiamo questa pura e semplice eccezione: cioè, che la lista di maggioranza governativa, la quale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tanti voti... cotesta lista non li ha ottenuti, di fatto e liberamente, ed è dubitabile quindi se essa abbia ottenuto quel tanto di percentuale che è necessario per conquistare, anche secondo la vostra legge, i due terzi dei posti che le sono stati attribuiti». Ed ancora: «L'elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso - come ha dichiarato replicatamente - avrebbe mantenuto il potere con la forza, anche se...». Il suo discorso veniva interrotto dalle urla dei deputati fascisti, ma continuava: «Codesti vostri applausi sono la conferma precisa della fondatezza dei mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... Nessun elettore si è trovato libero di fronte a questo quesito...». E aggiungeva parlando della milizia fascista che aveva condizionato il voto: «Dicevo dunque che, mentre abbiamo visto numerosi di questi militi in ogni città e più ancora nelle campagne, gli elenchi degli obbligati alla astensione, depositati presso i Comuni, erano ridicolmente ridotti a tre o quattro persone per ogni città, per dare l'illusione dell'osservanza di una legge apertamente violata, conforme lo stesso pensiero espresso dal Presidente del Consiglio che affidava al militi fascisti la custodia delle cabine. A parte questo argomento del proposito del Governo di reggersi anche con la forza contro il consenso e del fatto di una milizia a disposizione di un partito che impedisce all'inizio e fondamentalmente la libera espressione della sovranità popolare ed elettorale e che invalida in blocco l'ultima elezione in Italia, c'è poi una serie di fatti che successivamente ha viziate e annullate tutte le singole manifestazioni elettorali». Matteotti denunciava l'impedimento alla raccolta delle firme per la presentazione delle liste: «La presentazione delle liste - dicevo - deve avvenire in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento alle cinquecento firme. Ebbene, onorevoli colleghi, in sei circoscrizioni su quindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nello studio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voi chiamate "provocazioni", sono state impedite con violenza». Citava i casi di Iglesias dove le squadre fasciste avevano circondato la casa di un parlamentare che stava raccogliendo le firme, il caso di Melfi dove era stata impedita la raccolta delle firme con la violenza. In Puglia, denunciava, era stato bastonato perfino un notaio. Poi con la stessa violenza era stato impedito che fossero presentati i reclami formali. «In sei circoscrizioni, abbiamo detto, le formalità notarili furono impedite colla violenza, e per arrivare in tempo si dovette supplire malamente e come si poté con nuove firme in altre province. A Reggio Calabria, per esempio, abbiamo dovuto provvedere con nuove firme per supplire quelle che in Basilicata erano state impedite». Dopo le violenze nella fase di raccolta delle firme, Matteotti denunciava i soprusi in campagna elettorale per impedire i comizi degli oppositori al regime. «L'inizio della campagna
elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca (Rumori, interruzioni, apostrofi)». Il Presidente della Camera non trovava di meglio che invitare Matteotti a parlare più prudentemente senza richiamare i deputati fascisti che lo interrompevano. «Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!». Non solo i candidati dell'opposizione non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. «Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)... Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto, conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe stato per essere il destino suo all'indomani. Ma i candidati - voi avete ragione di urlarmi, onorevoli colleghi - i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le elezioni. Un'altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi - anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante - risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Infine: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti... Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento». E concludeva: «Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo (Interruzioni a destra). Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di
rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni».
A quanti in Italia e nel mondo sta a cuore la libertà, la democrazia e la legalità, il rispetto della dignità e l'uguaglianza dei cittadini, la figura e l'impegno civile e politico di Giacomo Matteotti sarà un perenne esempio ed un insegnamento sempre attuale. Matteotti fu anche sindaco, amministratore comunale, consigliere provinciale, ed ha interpretato, dunque, a pieno quel ruolo di rappresentanza delle comunità locali. Impegno che portò poi nel Parlamento nazionale nel quale fu portavoce della nazione e della opposizione al nascente regime.
Giacomo Matteotti era tra i deputati dell'opposizione forse quello che maggiormente seguiva i lavori parlamentari, che si preparava sulle singole materie in esame all'Assemblea e in Commissione, che svolgeva con intelligenza, tenacia e durezza l'opposizione al Governo e al regime fascista. Credo che sia stato il deputato socialista più brillante e acuto nell'individuare da subito lo stampo dittatoriale e sanguinario del fascismo. Fin dal 1921 anche in Parlamento svolse una dura requisitoria circostanziata contro il fascismo evidenziando chi erano i suoi protettori, i suoi sostenitori e tutto il sistema protettivo delle illegalità che il fascismo stava compiendo. Competente in materia economica e delle finanze dello Stato, mise in evidenza subito le subdole alleanze e sostegni che a Mussolini dava la classe conservatrice. Proprio il 5 giugno 1924, pochi giorni prima dell'assassinio, noncurante delle intimidazioni che aveva ricevuto, aprì un'aspra polemica contro Mussolini, accusando il suo governo che il bilancio ufficiale presentato e che prevedeva il pareggio tra entrate e uscite fosse falso, perché secondo lui il bilancio vero aveva un disavanzo di 2 miliardi. Del resto l'11 giugno, il giorno successivo alla sua scomparsa, era previsto un suo intervento alla Camera su materie economico-finanziarie.
Alcune parole meritano le modalità del delitto: nel testo «Matteotti e Mussolini» di Claudio Fracassi, si scrive che «ciò che è accertato è che attorno alle 15 del giorno 10 giugno 1924 a bordo della Lancia scura targata 55-12169, cinque persone lasciarono il centro della città dirette alla volta del quartiere Flaminio per tendere l'agguato mortale a Giacomo Matteotti: Augusto Malaria che era al volante, Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola e Amleto Poveromo. Alcuni di loro come di abitudine, erano armati di pugnale. Era ovvio che con questo assetto e con tutti i preparativi predisposti, compreso il deposito notturno della Lancia a Palazzo Chigi, l'azione non si presentava come una "purga" o una "bastonatura" come se ne facevano molte nel Paese, ciò lo confessò Amerigo Dumini nel testamento affidato a futura memoria a degli avvocati texani. Tra l'altro lo stesso Dumini dice anche che «i tempi si erano fatti stretti» perché si prospettava sempre più prossimo il discorso di Matteotti già annunciato alla Camera. Gli ordini che venivano dall'alto erano questi: «necessario era nel modo più assoluto mettere il Matteotti - e prestissimo - in condizioni di non parlare, di scomparire anzi per sempre. Non doversi ritrovare mai più né vivo né morto». Matteotti uscì di casa quel 10 giugno alle ore 16 a Roma, via Pisanelli, 40, diretto alla Camera per preparare il discorso che il giorno successivo doveva pronunciare sul bilancio dello Stato. A poca distanza dalla sua casa, si trova il Lungotevere Arnaldo da Brescia e all'incrocio con via degli Scialoja a quell'ora era piazzata l'automobile Lancia nera. Quando Matteotti inconsapevole di quanto gli stava per accadere proseguendo il suo percorso fu vicino all'automobile, due uomini gli si fecero incontro, intimandogli di seguirli. Egli reagì con tutte le forze. Sempre nel libro di Fragassi si legge che «gli saltarono addosso, si divincolò, buttandone uno a terra», sopraggiunse un altro, «che gli dette un pugno in faccia, facendolo andare a terra». Prendendolo, due per le gambe e due per la testa, lo trascinarono di peso verso l'automobile con un elevarsi di grida del deputato socialista che con forza veniva caricato nella macchina, all'interno della quale si ebbe una forte colluttazione
e quindi l'uccisione. Matteotti reagì con vigore e prima di essere ucciso combatté, spaccando con un calcio il vetro posteriore e ciò gli consentì di gettare fuori la sua tessera di deputato. La moglie e i colleghi parlamentari non vedendolo arrivare a casa ed in Parlamento si preoccuparono subito della sua sorte: suscitò in tutto il Paese molto clamore e una forte emozione per la sua scomparsa, ma non se ne aveva traccia. Il 16 agosto dopo oltre due mesi dalla sua uccisione in via Flaminia località Quartarella «dietro segni forniti dal proprio cane» Ovidio Caratelli segnala il rinvenimento del cadavere. Nei giorni successivi ed esattamente il 20 agosto, il treno con le spoglie di Matteotti viaggiò di notte e alle 5,30 del 20 agosto arrivò a Fratta Polesine dove un centinaio di persone era in attesa. Fu accolto nelle stazioni che attraversava da una piccola folla muta, ma anche da insulti e da episodi di intolleranza. Ci fu un primo processo farsa a Chieti nel 1926 giunto in questa sede, spostandolo da Roma, perché in mano a magistrati non affidabili per «legittimo sospetto». Dalle dichiarazioni di Dumini si apprende che Matteotti «in macchina senza aver subìto violenze ebbe uno sbocco di sangue, una emorragia polmonare che lo aveva ucciso». I periti dimostrarono invece che Matteotti era stato ucciso nell'auto da un colpo di pugnale. Ma di questo allora non si seppe niente.
Matteotti non era scomparso, ma ucciso dal fascismo e ciò scosse fortemente l'Italia e ancora oggi, a 80 anni di distanza, la sua azione, il suo impegno e i valori che mossero la sua opera sono ancora per noi di viva attualità e di esempio per il mondo nell'auspicio che mai ciò si disperda. Per me, commemorarlo qui con voi è davvero un grande onore. Giacomo Matteotti è il fulgido esempio di martire antifascista che con la sua intelligenza, la sua forza morale, ideale e politica dimostrò il carattere feroce e sanguinario della dittatura fascista, che eliminava fisicamente gli avversari, ne metteva a tacere la voce con uccisioni, pestaggi, con la violenza, costringeva gli avversari ad emigrare all'estero. Ciò a dispetto di chi, come il Presidente del Consiglio, intende dipingere il regime fascista come un regime che comunque non ha ucciso nessuno e che al massimo mandava in vacanza al confino gli oppositori. La vita e l'impegno politico di Matteotti ci lasciano un esempio fulgido del carattere reazionario e violento del fascismo. Per questo dobbiamo continuare a ricordare Giacomo Matteotti e i martiri che dettero la vita per testimoniare il loro impegno per la libertà, democrazia e legalità. Il loro sacrificio sia da esempio e da monito per le future generazioni.
Oggi siamo giunti ad ottanta anni dal suo brutale assassinio e la figura di Giacomo Matteotti non ha perso di attualità, non fosse per il tentativo in atto anche in tempi recenti di rappresentare il regime fascista come un regime bonario (ammesso che un regime possa essere così definito), che non ha ucciso e che al massimo ha distribuito qualche manganellata e qualche «vacanza» al confino. Il martirio di Giacomo Matteotti, insieme a quello di tanti altri che verranno negli anni successivi, è la prova più lampante di ciò che fu il fascismo e dei metodi che adottò per soffocare l'opposizione, che usò la violenza come strumento di consenso e battaglia politica, che soffocò le libertà democratiche. Nel discorso del 3 gennaio 1925 alla Camera dei Deputati, Mussolini si assunse la responsabilità politica e morale delle violenze fasciste e quindi anche del delitto Matteotti. Lo uccisero, ma, come disse lo stesso Matteotti ai suoi sicari, la sua idea non moriva. Anzi possiamo dire ad ottanta anni di distanza, che per i giovani resta l'esempio di una voce che si alzò per denunciare l'ingiustizia, la violenza, l'arroganza e per riaffermare i valori della eguaglianza, della democrazia, della pace. Valori che restano per noi democratici di sinistra il faro che guida la nostra azione politica. Accogliamo, dunque, con soddisfazione il nuovo testo delle due proposte presentate per la celebrazione degli ottanta anni dall'uccisione di Giacomo Matteotti.