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Resoconto stenografico
AUDIZIONE
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera e dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento del Senato, l'audizione del Presidente della Corte dei Conti, Francesco Staderini, che è accompagnato dal dottor Fulvio Balsamo e dal Consigliere Luigi Mazzillo. Ringrazio i nostri ospiti e do subito la parola al presidente Staderini.
FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei Conti. Grazie, presidente. Darò lettura della relazione così come è stata presentata proprio questa mattina alle sezioni riunite ed approvata.
La nota di aggiornamento al DPEF del 2005-2008, a differenza di ciò che è avvenuto negli ultimi anni, conferma sostanzialmente il quadro macroeconomico e di finanza pubblica rappresentata alla fine dello scorso luglio. Con riguardo alle principali grandezze economiche, la crescita in termini reali del PIL per il 2005 è fissata nel 2, 1 per cento, a fronte di un preconsuntivo del 2004 che registra un incremento dell'1, 2 per cento, mentre il tasso di inflazione programmata è definito dell'1, 7 per cento. Si tratta di ipotesi che non si discostano in misura significativa da quelle formulate dai principali organismi internazionali.
È da ribadire l'apprezzamento per la scelta di prospettare distintamente uno scenario tendenziale ed un quadro programmatico, che in termini di evoluzione economica dovrebbe riflettere gli effetti positivi degli interventi previsti nell'arco temporale di riferimento. Tuttavia, l'assunzione di un scenario programmatico di crescita economica, più favorevole del tendenziale, non è prospettabile, se non per le ipotesi che esso debba ricomprendere gli interventi specificamente destinati a finalità di sostegno della domanda e dello sviluppo e rinviati ad un apposito provvedimento.
Ma una puntuale valutazione dell'attendibilità di tale quadro programmatico potrà essere effettuata solo quando saranno noti gli indirizzi e le dimensioni delle misure di rilancio. Quanto alla finanza pubblica, la nota non contiene aggiornamenti del preconsuntivo del 2004 e conferma pressoché integralmente il quadro tendenziale per il 2005 e per gli anni successivi.
L'unica modifica rilevante consiste infatti in una stima delle spese per interessi meno elevata di quanto esposto nel DPEF, con un risparmio pari a 1,5 di miliardi di euro, che nel 2005 risulterebbe assorbito da maggiori spese correnti di pari importo, mentre negli anni successivi si rifletterebbe in una riduzione dell'indebitamento
netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL di circa lo 0,2 per cento nel 2006, dello 0,3 per cento nel 2007 e nel 2008.
In particolare, per il 2005, il quadro tendenziale rappresentato dal conto delle amministrazioni pubbliche di contabilità nazionale indica un disavanzo pari al 4,4 per cento del PIL, a fronte del 2,9 per cento del preconsuntivo, un avanzo primario ridotto allo 0,8 per cento del PIL, 2,4 nel 2004, e un rapporto debito/PIL pari al 104,1 per cento, contro il 106 per cento stimato per il 2004.
Una valutazione sul quadro economico di finanza pubblica prospettato per il 2005 non può prescindere da una preliminare verifica del grado di realismo delle stime di chiusura dell'anno in corso, i cui risultati naturalmente costituiscono la base di riferimento delle previsioni per il triennio 2005-2008.
Alla vigilia della presentazione del DPEF 2005-2008, la verifica dell'andamento dei conti pubblici meno favorevole del previsto aveva indotto il Governo a predisporre interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica. Si tratta di interventi ai quali è assegnato il compito di assicurare un effetto di riduzione dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, di dimensioni sufficienti ad evitare per il 2004 il superamento della soglia del 3 per cento. In proposito, le stime governative prospettavano un effetto complessivo delle misure del decreto-legge dell'ordine di 5 miliardi e mezzo di euro, lo 0,4 del PIL, in termini di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche.
Per ottenere ulteriori e necessarie riduzioni dell'indebitamento netto, pari allo 0,2 per cento del PIL, il DPEF preannunciava l'adozione, nel corso del 2004, di non meglio specificate misure amministrative per 2 mila milioni di euro. Già in sede di audizioni sul DPEF, di fronte a queste Commissioni, la Corte dei conti ebbe modo di esprimere perplessità sulla realizzabilità piena degli effetti attesi.
Il rilievo principale riguardava la natura dei tagli alle spese, che costituiscono quasi il 90 per cento degli interventi. In particolare, le disposizioni che prevedono il contenimento delle spese per consumi intermedi dei ministeri avrebbero dovuto dar luogo, nel 2004, secondo le stime ufficiali, ad effetti di riduzione dei saldi di importi equivalenti agli accantonamenti sugli stanziamenti di competenza, valutazione che appariva poco realistica. Non si è poi ancora provveduto all'adozione delle preannunciate misure amministrative per l'importo di 2 miliardi di euro.
Nel contempo, si sono rese disponibili informazioni più aggiornate sull'andamento delle entrate tributarie, che sembrerebbero rendere problematico il raggiungimento dei risultati di gettito assunti dal Governo nel preconsuntivo 2004 del DPEF. Il quadro offerto delle previsioni assestate ed aggiornate, a seguito della «manovrina» di metà anno, per il bilancio programmatico dello Stato, indica infatti una diminuzione del 2,1 per cento delle entrate finali, per effetto di andamenti negativi sia per le entrate tributarie che per le altre entrate, rispettivamente - 1,6 per cento e - 6,7 per cento.
Più favorevole risulta l'andamento delle entrate erariali di cassa nei primi nove mesi dell'anno, rispetto al corrispondente periodo del 2003. Al 30 settembre 2004 le entrate finali risultano in crescita del 3,1 per cento. Va però considerato che il risultato dei primi nove mesi dell'anno si giova ancora dei consistenti apporti dei versamenti a titolo di estensione al 2002 del condono tributario, effettuati nei mesi di luglio e di agosto. Gli incrementi relativi ai primi otto mesi dell'anno erano stati infatti elevati, con un + 4 per cento per le entrate finali e +4,3 per le entrate tributarie e si sono poi ridimensionati per il calo registrato nel mese di settembre, con -6,7 per cento per le entrate finali e -9,3 per le entrate tributarie.
I risultati finali del 2004 si trovano inoltre ad essere fortemente influenzati dal gettito legato al condono edilizio e dalle operazioni di dismissione, che potranno essere decise nell'ultima parte dell'anno. Se nel secondo caso si tratta di una variabile sufficientemente controllabile dall'autorità di governo, i risultati del
condono edilizio sono fortemente condizionati dalle decisioni che verranno autonomamente assunte in sede regionale, a seguito della famosa sentenza della Corte costituzionale. Dalle leggi regionali finora approvate emerge una chiara tendenza a limitare la volumetria degli ampliamenti condonabili ed in alcuni casi ad escludere la condonabilità delle nuove costruzioni. È quindi assai probabile che il gettito originariamente previsto, pari a 3,1 miliardi di euro, al netto degli oneri di urbanizzazione, non possa essere raggiunto.
In ogni caso, va tenuto presente che sui risultati di gettito del 2004 peserà notevolmente la quasi certa flessione che si verificherà nell'ultimo mese dell'anno rispetto al dicembre del 2003, quando, grazie all'apporto, da una parte con le dismissioni, con 14,9 miliardi di euro, e dall'altra, con le sanatorie tributarie e con le altre misure straordinarie, in particolare con l'anticipazione dell'1 per cento sulle riscossioni imposte alle banche, i versamenti totali fecero registrare per le entrate finali livelli eccezionali di 104,5 miliardi di euro, rispetto ai 79,8 miliardi del 2002, ai 72,1 miliardi del 2001 ed ai 74,6 miliardi del 2000.
Con la nota di aggiornamento, il Governo conferma per il 2005 la dimensione quantitativa, di 24 miliardi di euro, della manovra correttiva dei conti pubblici, necessaria per ricondurre il rapporto indebitamento/PIL dal 4,4 tendenziale al 2,7 per cento. Si conferma inoltre la scelta di ricorrere, in misura molto più contenuta, ad interventi temporanei. Infatti, solo 7 miliardi di euro dovrebbero derivare da misure una tantum di dismissione del patrimonio immobiliare e dalla cessione di tratti della rete stradale.
I restanti 17 miliardi di euro sarebbero assicurati da provvedimenti di contenimento della spesa, per 9,5 miliardi di euro, da misure di aumento delle entrate, attraverso le operazioni cosiddette di «manutenzione» delle basi imponibili, con 7,5 miliardi di euro.
Per esprimersi adeguatamente sulla capacità di una manovra correttiva delle dimensioni indicate di conseguire gli obiettivi programmatici di finanza pubblica fissati nel DPEF, sarebbe indispensabile disporre di un aggiornamento del quadro di finanza pubblica per il 2005, elaborato secondo il criterio della legislazione vigente.
Tale quadro disponibile nelle informazioni del DPEF di luglio non figura più nella nota di aggiornamento di settembre, che non contiene quindi alcuna valutazione tendenziale dei conti delle amministrazioni pubbliche, ma solo uno scenario programmatico per grandi aggregati.
Un aggiornamento dei conti sarebbe stato opportuno, soprattutto alla luce delle incertezze prima ricordate, sulla effettiva chiusura dei conti del 2004. Di seguito si espongono alcune considerazioni sugli aspetti di maggior rilievo della manovra, distintamente per gli interventi di controllo della spesa, per quelli di incremento delle entrate e per le misure una tantum.
Per quel che riguarda il controllo della spesa, l'esame dei provvedimenti relativi richiede una breve digressione di natura metodologica, che appare tuttavia indispensabile, anche ai fini di un futuro monitoraggio degli effetti della manovra. Si tratta in particolare di due aspetti. Il primo attiene al quadro di riferimento della manovra correttiva. Esso è necessariamente costituito dal conto delle amministrazioni pubbliche di contabilità nazionale, ossia l'unico tipo di contabilità che anche riguardo ai flussi di finanza pubblica è preso in considerazione nelle verifiche europee. Ciò del resto è confermato dalla stessa impostazione dei documenti programmatici in esame.
È noto che i criteri di contabilizzazione delle diverse voci di spesa, così come di entrata, ai fini del conto delle amministrazioni pubbliche, sono definiti in modo da approssimare i criteri della competenza economica. A tal fine, la soluzione di compromesso adottata a livello internazionale consiste nel considerare rilevanti, a seconda della tipologia di spesa considerata, o gli impegni giuridici o i pagamenti, così come tratti dalla contabilità dello Stato e con opportune correzioni. Per esemplificare, i consumi intermedi, ossia
gli acquisti di beni e servizi per conto delle amministrazioni pubbliche, sono contabilizzati sulla base degli impegni desunti dai bilanci dello Stato e degli altri enti compresi nella definizione di amministrazioni pubbliche, mentre gli investimenti fissi sono contabilizzati sostanzialmente sulla base dei pagamenti tratti dagli stessi bilanci.
Poiché dunque l'obiettivo finale della manovra correttiva è quello di mantenere entro un tetto prefissato gli incrementi delle voci di spesa, come rappresentate nel predetto conto, è evidente che la strumentazione prevista nella legge finanziaria deve essere valutata con riguardo alla sua capacità di conseguire gli effetti attesi, di volta in volta, in termini di impegni o di pagamenti, non limitando l'osservazione al mero contenimento delle dotazioni iniziali di bilancio.
Il secondo punto critico, già più volte richiamato, discende dalla necessità di valutare la congruità delle manovre correttive, avendo come riferimento un quadro di finanza pubblica elaborato secondo i criteri della legislazione vigente. Non è infatti secondario ricordare che secondo tale criterio, le spese di personale e le spese di investimento e in conto capitale devono registrare, nella proiezione pluriennale, solo gli incrementi che derivano dalle norme in vigore. Esse pertanto non comprendono rispettivamente ipotesi quantitative sugli esiti dei futuri rinnovi contrattuali e sui rifinanziamenti di leggi in scadenza.
In altri termini, la fissazione di tetti all'incremento di tali voci di spesa dovrebbe essere effettuata tenendo conto del basso livello e del profilo discendente della loro evoluzione tendenziale, che rappresenta in modo non realistico il futuro andamento effettivo.
Nella tavola 1, allegata al documento scritto che ho consegnato, si offre una rielaborazione dei dati ufficiali tratti dal disegno di legge finanziaria per il 2005 e dalla relazione tecnica e consente di valutare meglio la composizione della manovra della parte destinata a controllare la dinamica della spesa. Si può osservare, come già nel primo anno di attuazione, poco meno del 60 per cento del contenimento programmato della spesa totale, pari a 9,5 miliardi di euro, riguarda i conti degli enti decentrati, in particolare gli enti territoriali, e come tale incidenza sia destinata ad aumentare sensibilmente negli anni successivi, quando supererebbe ampiamente il 70 per cento.
All'origine di tali tendenze, vi sarebbe la mutevole contrazione programmata della spesa sanitaria, con oltre 4 miliardi di euro in ciascuno dei tre anni considerati, e il peso crescente degli effetti della regola del due per cento, particolarmente severa per i conti degli enti territoriali, in ragione della più elevata dinamica della spesa prevista nel quadro tendenziale.
Quanto alla ripartizione tra tagli della spesa corrente e della spesa in conto capitale, si deve osservare che le informazioni tratte dalla relazione tecnica e sulla base delle quali è possibile attribuire al conto capitale gli effetti delle limitazioni dei pagamenti relativi alle principali leggi di spesa, non consentono di disporre di un quadro fedele della situazione. Infatti, per gli enti decentrati la regola del due per cento, a differenza di quanto avviene per lo Stato, finisce per interessare in una misura al momento non valutabile, sia la spesa corrente che quella in conto capitale.
Tralascio, ovviamente, la lettura della tabella. Nel precedente paragrafo la manovra correttiva con riferimento al contenimento della spesa, è stata esaminata nei suoi riflessi sul conto delle amministrazioni pubbliche (9,5 miliardi di euro, di cui poco più dei due terzi si riferiscono alla spesa corrente).
Ora si prendono in considerazione gli effetti che l'applicazione del tetto di incremento della spesa del 2 per cento nominale produce nel comparto del bilancio dello Stato e, pertanto, sul saldo netto da finanziare di competenza.
Le misure correttive, legate al nuovo metodo, incidono sulla base finanziaria costituita dal bilancio a legislazione vigente per il 2005, presentato il 30 settembre insieme al disegno di legge finanziaria.
In particolare, è previsto che gli stanziamenti di competenza e di cassa delle spese aventi impatto diretto sul conto consolidato delle pubbliche amministrazioni possono essere incrementate nel limite del 2 per cento rispetto alle corrispondenti previsioni assestate del precedente esercizio, ridotte in conseguenza delle disposizioni del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 2004.
Sulla base delle esclusioni disposte in via generale e delle caratteristiche della spesa, risultano oggetto di intervento sei categorie economiche (consumi intermedi; trasferimenti correnti a famiglie ed istituzioni sociali private; trasferimenti correnti a imprese; investimenti fissi lordi e acquisti di terreni; contributi agli investimenti ad imprese; contributi agli investimenti alle famiglie e istituzioni sociali private). In realtà, la manovra di contenimento finisce per concentrarsi soltanto sui consumi intermedi e sugli investimenti fissi lordi, per un importo complessivo di 1.930 milioni. Se per i consumi intermedi gli interventi correttivi previsti (1.130 milioni) sono funzionali ad una minore quantificazione della spesa discrezionale di funzionamento, diverso è il caso degli investimenti diretti dello Stato, in cui, accanto a quantificazioni legate al fabbisogno operativo dell'amministrazione, insistono anche spese legislativamente predeterminate per legge, che richiedono esplicite misure di riduzione delle relative autorizzazioni. Il tetto del 2 per cento, pur con una metodologia che deve tenere conto anche della gestione dei residui, vale pure per le dotazioni di cassa. Anzi, per taluni tipi di spesa (aree sottoutilizzate, incentivi alle imprese ed interventi legati alla legge obiettivo) la riduzione delle autorizzazioni di cassa viene affiancata da una limitazione dei pagamenti, con conseguenti risparmi di spesa stimati in 2 miliardi di euro.
Il contenimento della spesa finale di bilancio deriva, pertanto, dal combinato disposto della regola di incremento del 2 per cento per le poste incidenti sul conto della pubblica amministrazione, del decremento della tabella C, del congelamento delle risorse della tabella D e, soprattutto, delle rimodulazioni effettuate sulla tabella F.
Gli effetti riduttivi sono poi rinforzati dall'estensione della regola del due per cento alle variazioni per riassegnazione di entrate e a quelle effettuate mediante utilizzo dei fondi di riserva per le spese impreviste e per le spese obbligatorie e d'ordine.
L'adozione di un tetto uniforme di spesa non sembra pienamente coerente, se pure riferita a livello di Ministero, con il modello di razionalizzazione del bilancio delineato dalla riforma del 1997, di cui è comunque in atto un processo di revisione. I criteri di quantificazione degli oneri - da ancorare alla specifica legislazione di spesa - devono, infatti, essere correlati agli obiettivi ed ai programmi di ciascuna amministrazione. In tale quadro, il taglio lineare degli stanziamenti può togliere significatività al documento programmatico.
Un effettivo rallentamento della crescita della spesa pubblica può derivare, prevalentemente, da una riconsiderazione dell'assetto legislativo vigente che determina la estrema rigidità delle previsioni di bilancio.
La stessa relazione che accompagna il disegno di legge relativo al bilancio di previsione dello Stato per il 2005 quantifica nel 96,8 per cento l'incidenza delle spese legislativamente vincolate sul totale delle spese finali. È per tale motivo che la manovra di contenimento fa leva sulle uniche due categorie di bilancio (consumi intermedi ed investimenti fissi lordi), che presentano margini di flessibilità. Si tratta, peraltro, delle stesse aree di spesa già incise da reiterati interventi correttivi, culminati nel decreto « taglia-spese» del 2002, e da ultimo, nella manovra di aggiustamento dei conti 2004.
L'esperienza di tale provvedimento aveva prodotto, come la stessa Corte ha documentato, recuperi di spesa negli esercizi successivi. Allo scopo di ridurre il rischio del ripetersi di tali slittamenti degli oneri, con la presente finanziaria sono stati disposti argini più consistenti, grazie alla persistenza triennale degli interventi
di contenimento ed al puntuale dimensionamento dei fondi generali di riserva, sottoposti alla stessa regola di crescita del 2 per cento, con possibili deroghe solo «in casi di particolare necessità e urgenza» con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
La tecnica dei tetti di spesa, sorretta in questo caso dalla limitazione degli stanziamenti di competenza e di cassa - come la vicenda del «taglia-spese» dimostra - non è in grado di produrre, di per sé, una strutturale compressione degli oneri riconducibili alle categorie in esame. Resta di fatto uno strumento di carattere prevalentemente congiunturale e residuale.
Per contenere l'evoluzione della spesa è necessario, sul piano generale, che la stretta degli stanziamenti di bilancio sia preceduta da modifiche della legislazione di spesa.
Quanto agli oneri connessi con il rinnovo dei contratti collettivi per il personale delle pubbliche amministrazioni relativamente al biennio economico 2004-2005, il disegno di legge finanziaria conferma sostanzialmente il contenuto della legge finanziaria per il 2004. Il modesto incremento di spesa (56 milioni per i contratti dei dipendenti statali, cui si aggiungono 22 milioni per le restanti categorie di dipendenti statali) deriva dalla ridefinizione in aumento dello 0,1 per cento, contenuta nel DPEF 2005-2008, del tasso di inflazione programmata per il 2005, rispetto al valore indicato nell'analogo documento dell'anno precedente.
La complessiva manovra appare basata su una previsione di incremento biennale delle retribuzioni del 3,7 per cento, pari all'inflazione programmata per ciascuno dei due anni di riferimento più una percentuale di 0,2 per ciascun anno, destinata ad incrementi della produttività individuale e collettiva, da gestire in contrattazione integrativa.
L'incremento di spesa per il 2004 indicato dal DPEF incorporava l'onere derivante dalla stipula dei contratti collettivi per il biennio 2004-2005, prevista entro il 2004 e relativa al solo comparto degli «statali» (circa 2 milioni); di talché, la spesa che, nel 2005, andrebbe contenuta nel tetto del 2 per cento sarebbe da riferire unicamente ai comparti «non statali» Va comunque ricordato che altri oneri per contratti da rinnovare relativi al biennio 2002-2003 riguardano circa 360 mila unità di personale e sono stati stimati, per il 2004, in complessivi 2.974 milioni (ci si riferisce alle informazioni fornite dal Ragioniere generale dello Stato nell'audizione parlamentare del 18 marzo 2004).
Non particolarmente accurata appare, poi, la previsione per cui ulteriori incrementi retributivi al personale potranno derivare dalla razionalizzazione di spese, sempre relativa al personale: al di là dell'assenza di indicazioni sulle linee generali di tale razionalizzazione, la norma consente una diversa allocazione-redistribuzione della spesa già programmata, essendo escluso ogni suo incremento.
In termini aggregati, va ricordato come le previsioni di spesa per i redditi da lavoro dipendente siano, con regolarità, sensibilmente distanti dalle risultanze di consuntivo, rendendo altresì problematica la verifica di congruenza fra gli annuali programmi di riduzione della spesa per il personale pubblico e gli effetti delle misure all'uopo adottate. La tabella contenuta nel documento scritto dà conto di questa affermazione; essa riguarda gli anni dal 2000 al 2005 e dal suo esame si può notare come lo scostamento si aggiri intorno al 2 per cento, con variazioni significative da anno ad anno per l'incidenza del rinnovo dei contratti.
Già in occasione dell'audizione sul DPEF (agosto 2004) la Corte ebbe modo di richiamare l'attenzione sul fatto che gli obiettivi di «razionalizzazione» e «contenimento» della spesa per il personale sono stati di problematica realizzazione nell'intero decennio trascorso.
Quanto ai vincoli di crescita fissati per i rinnovi contrattuali, si rilevava come si siano innescati, specie negli ultimi anni, meccanismi di incremento retributivo che hanno determinato un sistematico superamento dei tetti programmati. Con il risultato - rilevato dalla Corte e da altri
organismi (dall'ISTAT, alla Ragioneria generale dello Stato, all'ARAN) - che la crescita delle retribuzioni individuali si è attestata, annualmente, su valori costantemente superiori all'incremento dei prezzi al consumo (in media, nel quadriennio 2000-2003, il 4 per cento annuo a fronte del 2,7 per cento medio annuo dei prezzi al consumo; al riguardo, è da considerare l'incidenza, su tali scostamenti, dei miglioramenti retributivi riconosciuti, con norme ad hoc, a personale contrattualizzato e non, anche in deroga ai vincoli definiti per la generalità del pubblico impiego). Se ne argomentava che ogni ulteriore insistenza delle manovre finanziarie sul vincolo costituito dall'aggancio delle retribuzioni al tasso di inflazione programmato appare destinata ad essere smentita dagli andamenti reali, a meno che non vengano introdotte sostanziali modifiche nei rotismi degli incrementi retributivi contrattuali e che non vengano messe in atto forme di controllo, specie sulla contrattazione integrativa, in grado di impedire concretamente - anche con strumenti amministrativi - l'eccedenza della spesa rispetto ai limiti stabiliti (il che troverebbe piena legittimazione, anche per i comparti non statali, in recenti pronunce della Corte costituzionale, che consentono controlli siffatti sia in funzione del generale coordinamento della finanza pubblica, sia delle verifiche sull'osservanza del patto di stabilità interno).
È, infine, da rammentare che la legge finanziaria 2004 aveva stabilito il blocco delle assunzioni anche per il 2005-2006, ma - a parte la considerazione che norme diverse hanno già autorizzato nuove assunzioni - è osservazione largamente condivisa che le normative annuali sul blocco e quelle sulla programmazione delle assunzioni hanno dato, negli anni trascorsi, risultati del tutto insoddisfacenti. Le rilevazioni più recenti mostrano, anzi, che il personale pubblico (e, in particolare i dipendenti statali) sarebbe nuovamente in fase di crescita, a causa - in particolare - delle innumerevoli deroghe al blocco consentite dalle stesse leggi che si sono proposte di ridurre il personale.
Per quanto riguarda la spesa degli enti decentrati, come si è visto in precedenza, oltre il 58,3 per cento della manovra di riduzione della spesa è riconducibile ad interventi di contenimento assunti dagli enti decentrati; una quota che è destinata ad aumentare negli altri due anni del triennio (73,4 per cento nel 2006, 76,4 per cento nel 2007).
Due le misure cui vanno attribuiti pressoché interamente gli effetti attesi: l'estensione agli enti decentrati del contenimento entro il 2 per cento degli incrementi di spesa previsti per il 2004; l'aggiornamento per il triennio 2005-2007 dei termini dell'accordo Stato-regioni dell'8 agosto 2001 che regolano il «patto di stabilità sanitario».
Dalla revisione del patto di stabilità interno sono attesi correttivi sul conto tendenziale delle amministrazioni pubbliche per 1.270 milioni di euro. La nuova norma dispone l'estensione della disciplina del patto anche agli enti minori e la individuazione della spesa soggetta al vincolo del patto considerando la spesa complessiva al netto di quella per il personale, per la sanità, per spese derivanti dall'acquisizione di attività finanziarie e per trasferimenti a soggetti facenti parte della pubblica amministrazione. Rispetto al passato viene, pertanto, ricompresa nel vincolo sia la spesa in conto capitale sia quella destinata al finanziamento delle funzioni conferite e al pagamento degli interessi.
L'entità della correzione è stimata a partire dai risultati delle amministrazioni decentrate (come calcolati dall'ISTAT ai fini della contabilità delle pubbliche amministrazioni) relativi al 2003: da questo dato viene ricostruito il risultato previsto per il 2004 che, in analogia a quanto disposto per le amministrazioni centrali, viene incrementato del 2 per cento, quale tetto alla crescita per il 2005. L'effetto della misura è pertanto pari alla differenza tra il dato così ottenuto e quello previsto per il 2005 nel quadro tendenziale della pubblica amministrazione inserito nel DPEF del luglio scorso. Nella relazione tecnica al provvedimento si rileva come
l'importo di spesa obiettivo per il 2005 equivale, per tutti gli enti soggetti al patto, ad una crescita del 4,8 per cento della spesa osservata nel 2003.
Da una prima valutazione delle nuove regole operative del patto di stabilità interno sembrano emergere alcune problematiche su cui si ritiene opportuno richiamare l'attenzione. Il riferimento al risultato di un singolo esercizio (il 2003) e la contemporanea estensione del vincolo alle spese in conto capitale rischia di avere serie ripercussioni sull'attività degli enti; la considerazione, infatti, della spesa in conto capitale fa crescere considerevolmente la variabilità della spesa. L'aggancio ad un singolo esercizio per la calibratura della spesa per un triennio (si dispone infatti un tetto alla crescita del 2 per cento per ciascun esercizio considerato) può comportare effetti particolarmente stringenti solo in funzione delle diverse scelte operate in tema di investimenti nell'esercizio base.
Se, in altre parole, un ente nell'anno «base» (il 2003) non ha attivato progetti di investimento (presentando quindi un valore di spesa complessiva relativamente più contenuto) rischia di veder ridurre strutturalmente la propria capacità di spesa o di doverla legare ad inasprimenti fiscali anche disponendo di fonti di finanziamento attivabili nei limiti previsti dalla normativa. Ancor più penalizzati quegli enti che abbiano avviato piani di investimento nell'anno successivo a quello base; per essi si porrebbe un problema di controllo della spesa particolarmente gravoso. All'opposto si verrebbe a «cristallizzare» su livelli più elevati una possibilità di spesa per quegli enti che nell'esercizio hanno raggiunto livelli di spesa maggiori.
Ometterò di leggere le parti più tecniche della relazione, appositamente scritte con caratteri più piccoli. La considerazione di stringenti tetti di spesa finisce per rendere «indisponibili» anche le maggiori entrate che possono essere ottenute da politiche di manutenzione della base imponibile locale (recupero di base imponibile; manutenzione degli archivi fiscali; entrate proprie diverse), riducendo l'incentivo per l'amministrazione ad intervenire in materia. L'impossibilità di finanziare miglioramenti nei servizi con entrate proprie aggiuntive, conseguente al vincolo posto alla destinazione di nuove entrate frutto dello sforzo fiscale locale, rischia di restringere in misura eccessiva la possibilità gestionale degli enti territoriali. Questo specie oggi quando il controllo operato sui trasferimenti (soggetti anch'essi al vincolo del 2 per cento) incide sui margini di manovra degli enti locali.
Un chiarimento sarebbe infine necessario sulla quantificazione degli effetti riportata nella relazione tecnica al provvedimento. I dati utilizzati sembrano non considerare, nel calcolo delle somme da sottoporre a «vincolo», il complesso dei trasferimenti operati ad altre amministrazioni pubbliche. In particolare nel caso delle regioni vengono esclusi dal vincolo gli oneri per il personale e per la sanità, ma non i trasferimenti ad altri soggetti della pubblica amministrazione (ad esempio comuni e province).
La somma da sottoporre a controllo (e quindi l'impatto del provvedimento) potrebbe risultarne modificata. Di maggior rilievo risulta poi, in termini di contenimento della spesa, la norma che riguarda il settore sanitario. Con essa, da un lato, viene aumentato il livello complessivo della spesa del servizio sanitario nazionale al cui finanziamento concorre lo Stato, dall'altro, vengono inaspriti i controlli e le condizioni per l'accesso a detti finanziamenti al fine di ottenere, attraverso misure di contenimento assunte a livello regionale, una riconduzione della spesa tendenziale entro i limiti del fabbisogno individuato. La minore spesa prevista è quindi di 4.250 milioni, pari alla differenza tra il valore tendenziale previsto per il 2005 (92.500 milioni) e il livello di spesa complessivo riconosciuto (88.250 milioni).
L'accesso ai fondi è subordinato alla sottoscrizione tra Stato e regioni di un'intesa che, confermando gli adempimenti già previsti dalla legislazione vigente, preveda un miglioramento del monitoraggio della spesa, la prosecuzione del processo di razionalizzazione della rete ospedaliera,
una crescita dei costi di produzione (esclusi quelli di personale) a partire dal 2005 non superiore al 2 per cento, l'obbligo di prevedere, in sede di programmazione regionale, l'equilibrio economico e finanziario delle aziende sanitarie, misure di correzione in caso di squilibrio ed ipotesi di decadenza dei direttori generali.
Nel caso in cui il monitoraggio della spesa sanitaria regionale evidenzi una situazione di squilibrio non corretto con provvedimenti adeguati, viene previsto che il Presidente del Consiglio diffidi la regione a provvedere entro il 30 aprile successivo e che, in caso di inadempienza ulteriore, nomini il presidente della regione commissario ad acta per la determinazione e il ripiano del disavanzo. L'accesso alle risorse aggiuntive rispetto a quelle frutto di un semplice incremento del 2 per cento dei fondi riconosciuti per il 2004 è subordinato, in questo caso, alla predisposizione di un programma operativo di riorganizzazione del sistema sanitario regionale. Al riguardo va osservato come il riadeguamento degli importi riconosciuti, che attribuisce maggiore credibilità ai vincoli imposti alla dinamica della spesa, sia senza dubbio positivo. Come osservato dalla Corte anche nella relazione sulla gestione finanziaria delle regioni, in sede di verifica dei costi dei livelli essenziali di assistenza previsti dall'accordo di agosto 2001 si era segnalata una sottovalutazione del fabbisogno finanziario. Una qualche perplessità è semmai da ricondurre al livello prefissato.
Il risultato di preconsuntivo 2004 è infatti pari a 89.650 milioni. Pur scontando l'incidenza sull'esercizio che si chiude di oneri di personale pregressi, l'entità dello sforzo correttivo richiesto attraverso politiche della domanda e dell'offerta è in ogni caso impegnativo.
La previsione di un programma di correzione concordato tra regioni e Ministeri dell'economia e della salute, in caso di mancata adozione di adeguati provvedimenti correttivi, rappresenta una condizione che, da un lato, riduce il carattere di stringenza della norma, ma dall'altro permette di prefigurare percorsi di adeguamento strutturale credibili. Vengono così superate le difficoltà finora incontrate in caso di inadempienza e connesse ad una decurtazione di risorse a realtà regionali in difficoltà finanziaria.
La riproposizione della norma che consente di innalzare al 95 per cento delle somme dovute l'entità delle anticipazioni concesse alle regioni a statuto ordinario viene incontro a difficoltà finanziarie da sempre segnalate. Non va dimenticato, tuttavia, che tale quota può essere riconosciuta in seguito non solo alla delibera CIPE di riparto e alla intesa prevista dalla nuova normativa, ma anche alla proposta di decreto attuativo del federalismo fiscale su cui permangono notevoli conflittualità. In mancanza di uno di tali documenti le anticipazioni verrebbero così calcolate sugli importi 2004 rivalutati del 2 per cento.
Anche nel caso della spesa sanitaria alcuni chiarimenti sarebbero necessari in rapporto alla quantificazione dell'impatto della norma nel 2006 e 2007. La relazione tecnica mantiene, infatti, costante l'effetto di contenimento rispetto al 2005, mentre il vincolo posto alla dinamica della spesa produce (rispetto al tendenziale) risparmi crescenti. Le due tabelle contenute nella relazione evidenziano l'evoluzione della spesa dal 2001 al 2007.
Vengo ora alla manovra sulle entrate tributarie. Confermando gli orientamenti del DPEF, la manovra correttiva sulle entrate, pari al 60 per cento del complessivo intervento di aggiustamento dei conti pubblici, si concentra su due filoni d'intervento, dello stesso ordine di grandezza, relativi, rispettivamente, alle entrate tributarie ed alla dismissione di attivi, con effetti, ovviamente, solo sul 2005. Per quanto riguarda le entrate tributarie, la prima constatazione - in positivo - è che il 2005 si caratterizzerebbe come il primo anno senza significative entrate da sanatorie tributarie (se si eccettua una coda di circa 300 milioni di euro, relativa ai versamenti delle ultime rate del condono del 2003). Gli interventi previsti, infatti, attengono a quella che è stata definita come «manutenzione della base imponibile» e sono tutti strutturali, anche se, come si è
visto, l'effetto complessivo di gettito viene a ridursi per oltre un terzo negli anni successivi al 2005. Il principale gruppo di interventi riguarda il contrasto dell'evasione e dell'elusione.
Ad un primo esame, le previsioni di gettito appaiono sicuramente fattibili per quanto riguarda l'affrancamento delle riserve in sospensione di imposta, l'aumento delle accise sui tabacchi lavorati, la limitazione delle agevolazioni alle cooperative e l'eliminazione della possibilità della liquidazione e dei versamenti trimestrali IVA per alcune categorie di contribuenti.
Realisticamente conseguibili sono anche gli obiettivi di gettito relativi alla TARSU, alle modifiche dell'attuale normativa sulle riscossioni ed alla stessa area giochi, con la possibile eccezione, comunque poco rilevante, dei videogiochi. Sufficientemente efficaci per poter ottenere i risultati finanziari attesi appaiono anche le misure predisposte per contrastare l'evasione nel settore immobiliare: un punto di debolezza per assicurare l'efficacia dei riscontri e degli incroci potrebbe, tuttavia, essere rappresentato dalla mancata previsione dell'obbligo, per i richiedenti di erogazione di pubbliche forniture, di indicare il titolo in base al quale formulano la richiesta stessa e/o il nominativo dell'effettivo conduttore dell'immobile. Parimenti efficaci appaiono le misure di contrasto dell'evasione dell'ICI e dell'IVA intracomunitaria nel campo dell'acquisto di autoveicoli usati. La stima del gettito relativo alla revisione dei classamenti appare invece meno convincente, anche perché sono determinanti i tempi dell'effettivo esercizio da parte dei comuni della possibilità loro offerta di chiedere la variazione per adeguamento a situazioni di fatto significativamente variate per singole unità territoriali o per zone territoriali.
Le valutazioni devono essere più articolate per quanto riguarda il gettito atteso dalla revisione e dall'aggiornamento degli studi di settore, che, come si è visto, costituisce la parte centrale e caratterizzante della manovra. Una prima considerazione riguarda la forte dipendenza della previsione di gettito dal mantenimento del meccanismo automatico di aggiornamento annuale degli studi di settore, sulla base di specifici indici elaborati dall'ISTAT: se viene a cadere l'automatismo, si introduce un'alea in termini sia di gettito conseguibile, sia di tempi in cui il gettito stesso può essere effettivamente conseguito. Tanto più che la revisione quadriennale degli studi di settore appare molto più problematica, attese le modalità con cui la revisione avviene, i tempi tecnici - non molto brevi - implicati e la circostanza che la revisione è già avvenuta soltanto per 23 studi (10 per cento del totale).
Un'ultima considerazione attiene al fatto che l'estensione dell'accertamento in base agli studi di settore ai soggetti in contabilità ordinaria, anche per opzione, ed ai professionisti, crea sicuramente problemi per le società a responsabilità limitata «non congrue» per l'adeguamento agli studi di settore, per le implicazioni che ciò può avere per il bilancio civilistico.
Queste considerazioni acquistano maggior significato se si tiene conto delle reazioni molto critiche delle categorie interessate che sembrano mettere in discussione proprio gli automatismi, ai quali, come si è detto, è legata la fattibilità del gettito previsto. Ove le norme proposte venissero emendate - in termini più di negoziabilità, o comunque di concertazione, dei meccanismi di aggiornamento, e meno in termini di una forse opportuna clausola di eventuale successivo conguaglio sulla base di elementi di valutazione più analitici e «personalizzati» - diventerebbe concreto il rischio della sostanziale vanificazione - almeno con riguardo ai conti del 2005 - delle consistenti attese di gettito legate ad una più rigorosa applicazione degli studi di settore.
Più in generale, con riguardo alle misure di contrasto dell'evasione vanno formulate due altre considerazioni. La prima attiene alla circostanza che, prudenzialmente, nessuna previsione di gettito è stata associata né alla cosiddetta pianificazione fiscale concordata, né ad una serie di misure di contrasto, tutte condivisibili e sicuramente efficaci.
La mancata quantificazione degli effetti di queste misure contribuisce a rafforzare la fattibilità del livello di gettito atteso dall'insieme dei provvedimenti anti-evasione.
La seconda considerazione attiene all'idoneità delle misure ipotizzate a fugare la preoccupazione, più volte avanzata dalla Corte, per gli effetti che, sulla tenuta del gettito delle entrate ordinarie, potrebbero avere le sanatorie fiscali ed edilizie ancora in corso.
La Corte, in particolare, aveva anche di recente evidenziato che, dopo la serie di proroghe e di estensioni delle sanatorie negli ultimi due anni, il solo modo per assicurare una valorizzazione in positivo degli effetti delle stesse sanatorie fosse quello di impostare ed attuare un incisivo, coerente e ben strumentato programma di monitoraggio e di verifica dei comportamenti seguiti, a partire dall'annualità in corso, dai contribuenti che hanno aderito al condono, così come di quelli che non se ne sono avvalsi, ma che appaiono fiscalmente a rischio. E ciò, in quanto è solo per questa via che è possibile, da un lato, rendere permanenti gli effetti di emersione della materia imponibile, prima occultata, ottenuti con il condono e, dall'altro, rassicurare i contribuenti costretti ad assolvere senza sconti la loro obbligazione tributaria, che le sanatorie sono servite a chiudere con il passato, ma che per il futuro non ci sarà tolleranza nei confronti dei comportamenti evasivi.
Dalla sia pur sommaria disamina che è stata svolta appare evidente che le misure proposte, ove mantenute nel loro attuale rigore, appaiono sufficientemente in linea con l'esigenza prospettata dalla Corte di segnare un'inversione di tendenza suscettibile di indurre effettive modifiche in senso virtuoso nei comportamenti dei contribuenti non soggetti all'obbligo del sostituto d'imposta.
Il messaggio anti-evasione risulta piuttosto esplicito ed i meccanismi che si intendono attivare appaiono adeguati a conseguire l'obiettivo.
Il punto da ribadire, tuttavia, è che tanto gli effetti di gettito incrementale quanto quelli di tenuta delle entrate ordinarie, verrebbero ad essere gravemente vanificati, se le misure previste venissero ridimensionate, dando peso all'obiezione della complicazione che le stesse comporterebbero, in presunta contraddizione con l'obiettivo e con l'esigenza della semplificazione. Si tratta, infatti, di obiezioni del tutto infondate, posto che, per fare un solo esempio, per qualsiasi impresa, oltre ad essere disponibili per le esigenze stesse della gestione aziendale, gli elenchi clienti/fornitori possono essere elaborati attraverso una semplice procedura automatica.
La seconda componente delle maggiori entrate è, come già accennato, quella relativa alla dismissione di attivi patrimoniali, cui è associato un effetto di gettito (una tantum) di 7 miliardi di euro. A ciò si aggiungono, però, 175 milioni riferiti al demanio. Si tratta, probabilmente, della somma dei proventi attesi dall'alienazione ordinaria, a trattativa privata, di beni immobili dello Stato di non rilevante valore economico e della riduzione di costi che dovrebbe conseguire dalla programmazione omogenea e dal monitoraggio costante degli interventi edilizi sul patrimonio immobiliare dello Stato, così come disposto da una specifica circolare, emanata nel 2003, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. A parte l'improprietà dell'inclusione fra le maggiori entrate, invece che tra le minori spese, della predetta riduzione di costi, si può osservare che tale riduzione, ancorché possibile, è dubbio che, come ritiene la relazione tecnica, sia «inevitabile».
L'obiettivo finanziario legato alle vendite operate direttamente dal demanio a trattativa privata, da parte sua, appare di possibile, anche se non di probabile, realizzazione nella misura attesa. Va anche evidenziato che il progetto della legge finanziaria contiene una disposizione finalizzata a facilitare e ad accelerare la valorizzazione e la gestione produttiva degli immobili della difesa che, nella relazione tecnica, viene valutata come «neutrale per il bilancio dello Stato», in quanto le somme che ne deriveranno verranno
versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate alla spesa del Ministero della difesa.
La realizzazione dell'obiettivo di 7 miliardi di entrate una tantum è riferibile a due componenti: dismissioni immobiliari per almeno 4 miliardi in forma diretta o mediante altri strumenti, quali i fondi immobiliari e le cartolarizzazioni; vendita - ad una società che è al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione, ma controllata dallo Stato - di circa 1.500 chilometri di strade, in esercizio e in costruzione, con caratteristiche autostradali sulle quali gli utenti transitano a titolo gratuito, per un importo di circa 3 miliardi, calcolato assumendo una concessione quarantennale analoga a quella del gruppo Autostrade, con ricavo medio da pedaggio per chilometro pari a circa lo 0,68 e ipotizzando un rendimento de1 capitale investito per la società acquirente intorno al 7,5 per cento.
Con riguardo a quest'ultima fonte straordinaria di entrata, è stato ufficialmente precisato dal Governo anche in Parlamento che nessun nuovo pedaggio graverà sugli automobilisti: la stima di tre miliardi circa di introito per lo Stato rappresenta il prezzo pagato dalla società acquirente a seguito della cessione. La remunerazione dell'investimento avverrà attraverso pedaggi ombra pagati dall'erario alla società acquirente in funzione del traffico effettivo.
A seguito di tale precisazione, risulta chiarito che, come per la cessione di immobili con la formula del «vendi e riaffitta», che verrà utilizzata sul fronte delle dismissioni immobiliari, anche la cessione delle strade consentirà di ridurre il disavanzo del 2005, ma comporterà spese aggiuntive (per i pedaggi ombra), a meno che non vengano poi introdotti pedaggi effettivi a carico degli utenti.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Staderini per il suo prezioso intervento. Do ora la parola ai colleghi.
LUIGI MARINO. Presidente, dopo aver ascoltato con molta attenzione il suo intervento, vorrei soffermarmi, in particolare, sulle dismissioni dei beni immobiliari. Lei ricorderà che già nel dicembre 2002, con decreto-legge, furono ceduti a Fintecna - il cui pacchetto azionario, fortunatamente è ancora in mano al tesoro - mediante trattativa privata, tutti i beni dell'ex ente tabacchi italiani e dei telefoni di Stato. In quell'occasione, con decreto-legge, furono anche cancellati i diritti di prelazione su quei beni. Venne meno, così, la possibilità - assai rilevante, qualora vi fosse stata esigenza di fare subito cassa - di mantenere un controllo, ancorché minimo, sulla congruità del prezzo di vendita, garanzia che sarebbe stata salvaguardata dalla conservazione, almeno in seconda battuta, dei menzionati diritti.
Quell'operazione sembra ora ripetersi, nel senso che l'articolo 36 del disegno di legge finanziaria per il 2005, mentre contempla varie forme di prelazione - e cessioni dirette nel caso delle partecipazioni azionarie -, per i beni immobiliari prevede sempre e solo trattativa privata, cancellando del tutto i diritti di prelazione.
La Corte dei conti, rispetto a questo specifico problema ha qualcosa da aggiungere, visto che si tratta pur sempre di beni dello Stato? Qual è il suo parere a proposito della congruità del prezzo, ad esempio?
Vengo, ora, alla seconda domanda questione, inerente alla destinazione di risorse per Mezzogiorno: attesa la difficoltà di orientarsi in materia, in ragione di ripetuti slittamenti da un anno all'altro, rimodulazioni di stanziamenti e altro, con riferimento al fondo per le aree sottoutilizzate e quello per le politiche comunitarie, vorrei sapere se la Corte abbia monitorato quanto accaduto nell'ultimo decennio, con particolare riguardo all'effettività delle risorse stanziate e quelle rimodulate, e se esiste un suo studio specifico sulle risorse destinate al sud del paese.
PIETRO MAURANDI. Signor presidente, vorrei soffermarmi sulle osservazioni formulate dalla Corte a proposito del preconsuntivo, sul cui grado di realismo, apparso particolarmente scarso, viene richiamata
la nostra attenzione. Naturalmente, si tratta di un richiamo importante, considerato che questo documento costituisce il quadro di riferimento per le previsioni del triennio.
Un passaggio determinante è certamente rappresentato dalla regola del 2 per cento - di cui abbiamo discusso e discuteremo ancora -, che assume come base le previsioni assestate, al netto degli effetti di cui al decreto n.168. Proprio a riguardo di tutto ciò, vorrei ottenere un chiarimento.
La Corte, dopo aver considerato la rigidità delle spese vincolate per legge - se non vado errato, pari al 96,8 per cento - pare osservare che un tetto posto sul preconsuntivo non sia significativo, andando ad incidere sulle sole due categorie in grado di presentare dei margini, ovvero consumi intermedi e investimenti fissi lordi, del resto già intaccate nel 2004.
Il suggerimento che la Corte sembra voler dare è tenere presente il quadro a legislazione vigente e intaccare quello, nella misura in cui si intenda realmente porre un tetto alle spese.
Tale considerazione, implica, forse che, in qualche modo e in qualche punto della legge finanziaria, sia necessario introdurre il riferimento al quadro tendenziale, e quindi ai tagli che si vogliono praticare, oppure questo problema è inesistente?
GIANCARLO PAGLIARINI. Vorrei, innanzitutto, fare al presidente Staderini e alla Corte tutta i miei complimenti per la relazione interessante ed approfondita sul piano tecnico. Intenderei, quindi, soffermarmi sulle spese relative al personale.
Avete dimostrato che il costo unitario delle spese per il personale è cresciuto in maniera spropositata, ben oltre l'inflazione. Reputo, in ogni caso, che - al di là del costo unitario - il problema riguardi anche il numero dei dipendenti. Avete sostenuto, nella vostra relazione, che il blocco del turn over abbia prodotto risultati assolutamente insoddisfacenti; probabilmente, inoltre, avrete avuto modo di leggere anche voi l'articolo di Sabino Cassese comparso sul Corriere della Sera, in data 16 settembre 2004, secondo cui, in alcune regioni, vi sarebbe addirittura un esubero del 70 per cento rispetto alle piante organiche. Mi chiedo se la Corte dei conti abbia aperto un dossier in proposito, anche per verificare se lo Stato presenti un numero di dipendenti in eccesso, oppure no. Mi soffermo sul punto, ritenendo che la questione sia importante quanto quella del costo unitario. È agli occhi di tutti il caso inglese: l'Inghilterra lascerà a casa, in tre anni, 105 mila dipendenti dello Stato, attualmente in eccesso rispetto alle esigenze effettive.
Vorrei che il quadro attuale fosse chiarito anche per il nostro paese, poiché, secondo alcune voci, addirittura l'eccesso di personale sembrerebbe ammontare a circa quattrocentomila unità. Ovviamente, si tratta di voci che non ho possibilità di verificare direttamente, nondimeno il problema si pone con evidenza. Chiedo, pertanto, se la Corte sia in grado di illuminarci in proposito, soprattutto alla luce delle dichiarazioni dei rappresentanti di Confindustria che continuano a lamentare la presenza di ben 200 mila posti di lavoro da coprire, per la difficoltà di reperire il personale necessario. È chiaro che se realmente lo Stato avesse dei dipendenti in eccesso, allora disporremo della soluzione del problema. Sa dirci la Corte se lo Stato italiano, in questo momento, presenti un problema di organico, oppure no? E se non adesso, la Corte può essere in grado di comunicarci le informazioni a riguardo tra qualche mese?
ANTONIO PIZZINATO. Desidero ringraziare il presidente della Corte dei conti per la sua relazione che ho seguito con molta attenzione, e per la puntualità della stessa.
Mi permetto, quindi, di porre tre sintetiche domande. In primo luogo, il fatto che lo scostamento rispetto al 2 per cento per rinnovi contrattuali debba contenersi entro lo 0, 2 per cento, vuol significare che lo Stato non è in condizione di rinnovare i contratti di lavoro per i pubblici dipendenti, oltre che per quelli che ancora non lo hanno rinnovato? Significa, cioè, che
non si è in grado di garantire rinnovi che consentano di salvaguardare il valore reale delle retribuzioni rispetto alla dinamica del costo della vita?
La seconda questione, riguarda gli organici. Con le modifiche introdotte dalla legge n.30, si prevede la possibilità per le amministrazioni pubbliche, dai Ministeri all'ultimo ente locale, di esternalizzare determinate attività, disponendo, così, degli organici necessari allo svolgimento di quelle. Vi sono però funzioni che non possono essere esternalizzate: una cosa, infatti, sono gli stenografi dei magistrati e altra i magistrati; una cosa è il personale addetto alla manutenzione di questo o quel servizio e altra sono, ad esempio, gli ispettori del lavoro, carenti del 50 per cento. Pensano forse che vada totalmente rivisto il criterio, al fine di disporre di organici corrispondenti alle esigenze effettive di quella data amministrazione?
Strettamente connesso con questo tema, ve ne è un altro che mi appresto ad illustrare, riferito al trasferimento di organici parallelamente a quello di funzioni. A fronte, ad esempio, del passaggio del collocamento a regioni e province - processo iniziato all'epoca in cui ricoprivo l'incarico presso il Ministero del lavoro -, non si è verificato un analogo trasferimento di personale: dai dati disponibili, infatti, risulta che gli organici trasferiti siano meno del 50 per cento di quelli previsti. Come affrontare, dunque, questo aspetto? E come adeguare i servizi? Trasferire a regioni e province, funzioni e compiti senza personale, significa svuotare del tutto il senso del trasferimento, privando i cittadini dei relativi servizi.
Vengo, infine, alla terza domanda, scusandomi con il presidente per essermi dilungato nella mia esposizione. Giustamente, nella relazione è stato notato come le amministrazioni comunali e provinciali, le quali abbiano correttamente gestito le attività negli ultimi anni, si trovino adesso - in ragione del limite all'incremento di spesa - con le mani legate, con il rischio di non poter erogare alla cittadinanza i servizi necessari, mentre chi abbia splafonato in passato possa continuare a farlo. Chiarirò con due semplici esempi, che due amministratori hanno fatto a me, la situazione attuale. Si pensi di aver realizzato, investendo, una casa di riposo, che dovrà dunque essere messa in funzione: per far ciò occorrerà disporre di personale. Si immagini, però, che i costi del personale siano superiori alle previsioni iniziali: in questo caso, secondo la regola richiamata, non si potrà più procedere alle assunzioni. Significa, dunque, che si dovrà tenere ferma la struttura? Un altro caso può essere quello della realizzazione di una scuola materna e un asilo nido, per aprire i quali si renderà necessario nuovamente disporre di personale: ciò significherà far fronte ad ulteriori costi. Come è possibile rispettare il parametro e garantire il servizio essenziale? Ho portato questi casi ad esempio, per chiarire i termini del problema, anche perché se ho capito bene, la Corte sembra sostenere la necessità - ciò su cui certamente convengo - di rivedere le norme di cui si discute. Ho capito bene o male? Ringrazio in anticipo per la risposta.
PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi per i loro interventi. Do, quindi, la parola al presidente Staderini.
FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. Signor presidente, risponderò subito, se mi è consentito, all'ultima domanda che mi ha posto il senatore Pizzinato.
La nostra relazione è piuttosto critica sul modo in cui è stato concepito il limite posto agli enti locali, sia in termini di trasferimenti, sia, soprattutto, di incrementi di spesa.
Il limite è riferito ad un anno unico, il 2003, e riguarda la spesa in quell'anno assunta non solo per far fronte alle esigenze ordinarie, ma anche a quelle di investimento. Tutti gli amministratori, però, sanno benissimo che le spese di investimento sono legate a circostanze particolari, ed è probabile, pertanto, che in un anno si assommino investimenti tali da corrispondere, complessivamente, alla spesa di un quinquennio (perché, ad esempio, l'amministrazione locale ha dovuto
portare a termine un determinato programma, o perché si sono sollevate delle esigenze particolari in un certo periodo, piuttosto che un altro).
Riferire, pertanto, ad un dato così occasionale il limite all'assunzione di spesa per il triennio successivo è sembrato un fatto irrazionale, e questo non perché le amministrazioni che abbiano effettuato consistenti investimenti, spendendo di più in conto capitale, in un certo anno, debbano essere valutate negativamente, rispetto alle altre che hanno contenuto la spesa. Ne' si intende in questa sede contrapporre - come si legge da alcuni articoli di stampa - comuni «spendaccioni» e comuni virtuosi. È vero, piuttosto, che il buon amministratore deve saper far fronte ad esigenze straordinarie, ciò che comporta l'esigenza di assumere, responsabilmente, anche impegni finanziari correnti. Alla luce di queste rapide riflessioni, il rimedio alla questione di cui si discute potrà essere quello, allora, di tenere conto della spesa non di un anno ma di un triennio, calcolare, quindi, la media delle spese effettuate nei tre anni, e a questa rapportare il limite considerato: non lo abbiamo detto espressamente, ma lo si ricava indirettamente dalla nostra relazione.
Per quanto riguarda la spesa per il personale, ancora venendo ad una delle domande sollevate dal senatore Pizzinato - il quale ritiene la spesa prevista per l'incremento biennale delle retribuzioni (il 3,7 per cento) sostanzialmente insufficiente -, condividiamo sostanzialmente la sua valutazione. La spesa prevista tiene conto del tasso di inflazione programmata e di una percentuale per la produttività, ma non credo possa risultare sufficiente a corrispondere alle effettive esigenze. Soprattutto, dubito molto che, a prescindere da una valutazione di merito sulla presunta sufficienza, sarà sostenibile il limite previsto, sulla base dell'esperienza del quinquennio precedente. Abbiamo, infatti, avuto modo di riscontrare come - nel quinquennio precedente - non vi sia stata programmazione di spesa per il personale che abbia «retto», a consuntivo. E lo sbilancio non si riscontra soltanto negli anni in cui si sono concentrati i rinnovi contrattuali, ma - seppure in misura variabile -, in tutti quelli a cui la programmazione si riferisce.
Quanto al personale, e all'adeguatezza di organico - domanda sollevata anche dall'onorevole Pagliarini -, mi sia consentita una precisazione. Ritengo, infatti, impossibile fornire una risposta precisa riguardo al presunto incremento di personale, mancando, purtroppo, statistiche esatte riguardo al numero di dipendenti. Né è facile come sembra calcolare il numero dei dipendenti, tenuto conto di tutte le variabili che intercorrono e la molteplicità di posizioni diverse in cui un dipendente può operare. In base ad accertamenti ISTAT e della Ragioneria, sembra, in ogni caso, che il numero sia aumentato, nonostante i blocchi operati. Infatti, sono state proprio le norme che hanno stabilito misure per arrestare le assunzioni, ad aver previsto una tale mole di ipotesi derogatorie, da rendere i blocchi stessi inesistenti. Inoltre, alla normativa sui blocchi, altri provvedimenti si sono sovrapposti, che hanno vanificato in parte le misure di contenimento, consentendo aumenti di personale (ciò che, ad esempio, si è verificato soprattutto nei settori del personale della sicurezza).
ANTONIO PIZZINATO. Scusi, presidente, vorrei evidenziare che il casellario generale previdenziale, di cui alla legge delega sulla previdenza, la n. 243 del 2004, recentemente approvata, prevede l'anagrafe di tutti lavoratori, pubblici e privati, comprese, dunque, le quote esternalizzate.
FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. Le risulta che questo casellario sia aggiornato? A me no, senatore.
ANTONIO PIZZINATO. La ringrazio per la sua risposta, presidente. La sottoporrò alla Commissione parlamentare di controllo di cui sono membro.
FRANCESCO STADERINI, Presidente della Corte dei conti. Mi si chiede come possa il Governo ritenere di poter rientrare
entro il limite del 3,7 per cento. Probabilmente, si pensa di poter intervenire sul personale, spalmando l'incremento retributivo preventivato del 3,7 per cento - che, come ho già detto, appare sicuramente ridotto rispetto alle effettive esigenze -, su un numero ridotto di beneficiari. Dipenderà molto da come il blocco previsto dalle ulteriori misure normative adottate, consentirà di ridurre il numero dei pubblici dipendenti. Anche perché, dobbiamo riconoscerlo, è molto frequente il ricorso alla esternalizzazione dei servizi pubblici, che dovrebbe avere come contropartita una diminuzione del personale dipendente.
Rispondendo all'onorevole Maurandi sulla regola del 2 per cento, noi abbiamo sollevato qualche perplessità sulla tenuta di questa regola, alla luce di quanto avvenuto con i precedenti tagli operati dal decreto cosiddetto «taglia spese». Si è visto che alcune voci di spesa sono arrivate, o stanno arrivando, sempre più a limiti difficilmente comprimibili ulteriormente.
Ci sono esigenze rispetto alle quali è difficile operare ulteriori riduzioni, senza contare che in genere quando si bloccano le spese in modo così generalizzato ed automatico si finisce con il creare effetti di «rimbalzo». La spesa che non viene effettuata, con estrema difficoltà, in un esercizio, finirà con l'esplodere nell'esercizio successivo, se si vuole far funzionare la pubblica amministrazione.
È una regola estremamente rigorosa che richiederebbe da parte delle amministrazioni comportamenti virtuosi, anche nel senso di una razionalizzazione delle spese, come si intende operare del resto con la centralizzazione degli acquisti, anche nel senso di una riorganizzazione dei modelli organizzativi.
Tutti comportamenti non facili a tenersi, soprattutto quando si è in presenza di interventi di urgenza. Certo sarebbe molto meglio operare sulla legislazione, rivedendo le esigenze di spesa. Operare quindi sulla spesa a legislazione vigente finisce per porre un freno al fiume solo dalla foce e non per regolarizzarlo nel suo corso.
Rispondendo al senatore Marino in ordine ai fondi del Mezzogiorno e precisamente sulla domanda se la Corte dei conti abbia effettuato uno studio sulle risorse destinate al Sud negli ultimi anni, dirò che è stata programmata un'indagine di questo genere e saremo ben lieti di riferirne al Parlamento quando sarà portata a termine, prevedibilmente nei prossimi mesi.
Infine, per quanto riguarda la dismissione dei beni immobili alla Fintecna, si tratta di una operazione sulla quale, a mio avviso, sarà in grado di rispondere meglio, se il presidente consente, il consigliere Mazzillo, che segue più direttamente questi problemi.
LUIGI MAZZILLO, Consigliere Corte dei conti. Il senatore Marino ha posto una domanda sulla cessione alla Fintecna di immobili pubblici, ma credo fosse posta in termini più generali. Va detto che il problema che i governi hanno avuto sin dagli inizi degli anni '90, da quando ci si è, cioè, resi conto che attraverso le dismissioni immobiliari si potevano ricavare risorse da utilizzare per le manovre di bilancio, è stato quello di trovare procedure che consentissero di rendere compatibili l'effettivo realizzo dei proventi con i tempi programmatici.
Per molti anni, sono stati fissati obiettivi programmatici, ma non sono mai stati conseguiti i risultati attesi. La ricerca è stata quindi quella di trovare procedure più spedite e snelle.
Per quanto riguarda questa operazione la vendita in blocco a trattativa privata venne autorizzata per decreto-legge. Questa modalità di cessione è stata giustificata in base alla considerazione che la vendita avveniva a favore di una società interamente pubblica, per cui anche valutazioni eventualmente incongrue non si sarebbero potute tradurre in un danno finanziario per il settore pubblico nel suo complesso.
In questo disegno di legge finanziaria, vengono previste cessioni di immobili di minore rilevanza dal punto di vista del valore, al di sotto dei 200 mila euro, a trattativa privata da parte del demanio.
Questa procedura è assistita da una forma di pubblicità via Internet dei beni da dismettere, in analogia a quanto era già stato fatto in passato per le vendite dirette operate dal demanio. Si tratta di procedure più spedite di quella ordinaria che sono state adottate nella considerzione che diversamente gli obiettivi di cessione nei tempi prefissati non potrebbero mai essere conseguiti.
È un fenomeno al quale la Corte dei conti presta attenzione, con particolare riferimento alle cartolarizzazioni, ed ha in corso di svolgimento un'indagine per verificare quali siano i vantaggi e quali i costi del ricorso a queste procedure innovative rispetto a quella ordinaria di cessione degli immobili pubblici.
LUIGI MARINO. Mi interessava l'opinione della Corte dei conti sul fatto che non è solamente prevista la trattativa privata, e non solamente per i beni di entità minore, ma è anche prevista la cancellazione del diritto di prelazione.
Ora, se c'è una trattativa privata ed il tutto viene ceduto a prezzo di mercato, perché non rispettare il diritto di prelazione? Credo rappresenti una garanzia in meno ed ecco perché chiedevo una particolare attenzione della Corte sul processo di dismissione sia delle partecipazioni azionarie sia di quelle immobiliari.
ARNALDO MARIOTTI. Vorrei ringraziare la Corte dei conti per questa relazione che, tra l'altro, ci aiuta nel comprendere le questioni. Anche nelle risposte alle domande, in questo dibattito tra sordi, tra noi ed il ministro, rispetto a questa novità del due per cento, pare emerga la mancata definizione della base di partenza. Mi sembra che la Corte dei conti, a pagina 6 della relazione scritta, precisa che sarebbe il caso di modificare le leggi, perché intervenire sulla spesa a legislazione vigente, mentre il dato tendenziale è altro, diviene complicato.
Vorrei collegare questa esigenza di chiarimento all'efficacia di questi «tagli»: noi oggi cominciamo a vedere cosa è successo e cosa non è successo per il decreto cosiddetto «taglia spese». Tra gli oneri correnti del 2005, noi abbiamo 3 miliardi di eccedenze a cui far fronte, pari al 23 per cento degli oneri! È un bel «malloppo» nella torta degli oneri correnti!
Non sappiamo ancora cosa comporterà il decreto-legge n. 168, perché stiamo ragionando sul bilancio 2005 (senza sapere quello che effettivamente ha comportato, a metà dell'anno, «tagliare» dal 35 al 50 per cento sulla spesa.
Questi «tagli» derivano tutti dalle amministrazioni decentrate, come dice la Corte dei conti. I «tagli» per 9 miliardi e mezzo previsti nel prossimo disegno di legge finanziaria, per il 58 per cento insistono sulle amministrazioni decentrate.
Ciò significa che stiamo «mettendo polvere sotto il tappeto» ed alla fine ci troveremo tra qualche anno ad adottare leggi finanziarie soltanto per far fronte alle eccedenze accumulate nel corso degli anni. Vorrei su questo punto l'opinione degli auditi perché è molto importante.
Per quanto riguarda le una tantum, questa vendita di pezzi di autostrade, con il meccanismo, precisato, strada facendo, del «pedaggio ombra», senza prevedere però le uscite rispetto ad una spesa corrente che determiniamo, credo rappresenti qualcosa sulla quale occorre riflettere e comprendere meglio.
Infine, vorrei una precisazione sulla vicenda della sanità: il ministro si è recato in Parlamento per dirci che incrementava il capitolo della sanità, vero?
I rappresentanti delle regioni hanno detto che così non era; la Corte dice lo stesso. Considerate le cifre abbiamo un «taglio» netto di 4,2 miliardi per l'anno 2005, che si aggiunge a quanto ci dicevano gli assessori al bilancio delle regioni circa il mancato rispetto dei flussi di cassa, per cui soltanto la regione Lombardia spende 89 milioni di euro di interessi passivi l'anno che dovrebbero essere addebitabili al Governo e non alle stesse regioni.
Ciò che invece mi preoccupa, se ho ben capito, è la tendenza negativa degli andamenti sulle entrate correnti tributarie per l'anno 2004. Ho ben capito? Su questo
profilo non riusciamo ad avere dati da parte del Ministero, pur avendoli chiesti in sede di assestamento. Nessuno ci ha dato risposte in merito.
AMEDEO CICCANTI. Ho ascoltato, nella relazione che ha svolto il presidente, molto tecnica e puntuale, e a pagina 17 del testo scritto, sottolineare il fatto che il limite della crescita del 4,8 per cento, di cui all'articolo 6, non è stato sterilizzato nella relazione tecnica per quanto riguarda il trasferimento delle regioni alle pubbliche amministrazioni.
Tuttavia, nella relazione tecnica si fa riferimento solo al personale e alla sanità, e non, come è ovvio, alle partecipazioni azionarie e né, come avete lamentato, il riferimento ai trasferimenti destinati alle pubbliche amministrazioni. Pertanto, il dato del 4,8 per cento diviene ancora più preoccupante, se così dovesse essere.
Voi ponete un interrogativo ed un chiarimento andrebbe svolto su questo. Per dare un contributo e per sentire il vostro parere, non so se questo aspetto, che può essere molto significativo, perché il dato del 4,8 per cento balza agli occhi, possa essere ricompreso proprio nell'articolato del comma 2, nel quale si fa comunque riferimento ad una riduzione del 2 per cento dei finanziamenti dello Stato nei riguardi di province, comuni ed altri enti di cui all'allegato 1 alla legge finanziaria, e se questa riduzione del 2 per cento possa riguardare anche i trasferimenti che effettuano le regioni agli enti, di cui sempre all'allegato 1; non possa cioè avere lo stesso parametro che adopera lo Stato.
Il mio vuole essere soltanto un contributo a quel chiarimento che voi chiedete; in subordine, chiedo come lo avete interpretato, come una deficienza della relazione tecnica o avete qualche altra idea?
SERGIO MATTARELLA. Presidente, le questioni che intendevo porre sono state poste da altri colleghi. Mi limito a ringraziare il Presidente ed i membri della Corte che ci hanno offerto un contributo chiaro e molto importante.
ANTONIO AZZOLLINI, Presidente della 5a Commissione del Senato. Vorrei sapere a quale punto sia giunto quell'intendimento della Corte dei conti di effettuare controlli maggiormente puntuali sugli enti locali e sulle regioni.
PRESIDENTE. Vorrei porre un'ultima domanda in relazione alle eccedenze di spesa. È questo il secondo disegno di legge finanziaria che presenta tale fenomeno e credo quindi che si possa fare un bilancio di questo istituto, che è stato formalizzato con il famoso decreto «taglia spese». Ho l'impressione che per eccedenza di spesa si tenti di considerare talune spese che eccedenze, ai sensi rigorosi del decreto-legge «taglia spese», non lo sono affatto.
Cito un esempio limitatissimo nella dimensione, ma che ho avuto modo di constatare sulla base della integrazione alla relazione tecnica del Governo, laddove si qualifica come eccedenza di spesa la cifra di 74 mila euro di maggiori oneri per spese di ricerca sullo stato dell'inquinamento delle acque di confine in relazione al Trattato di esecuzione della Convenzione italo-elvetica.
Le spese di ricerca per loro definizione non possono essere considerate spese obbligatorie o inevitabili. Non vorrei quindi che questo strumento, che ha assunto una dimensione significativamente rilevante dal punto di vista quantitativo nell'attuale disegno di legge finanziaria, possa essere oggetto di un uso distorto, sottraendo al Parlamento la possibilità di verificare e di incidere su questa materia.
LAMBERTO GRILLOTTI. Non ho ascoltato alcun commento sul fatto che l'anticipazione di tesoreria ai comuni non possa essere superiore al 2 per cento della media del bimestre precedente.
Vorrei dire alla Corte dei conti, che dovrebbe effettuare questi controlli, che a me risulta che le pubbliche amministrazioni non si possono permettere il lusso di pagare oltre un termine contrattuale, e comunque non oltre i 90 giorni.
Prevedere pertanto un meccanismo che non tiene conto, come è ovvio, del contratto
in essere, della data di fattura e della sua scadenza, ma la lega al 2 per cento della giacenza del bimestre dell'anno precedente, è alquanto problematico, anche se poi si prevede che in deroga si possono domandare autorizzazioni. Ritengo che sarà tutta un'autorizzazione questo tipo di gestione!
Vorrei chiedervi se siete d'accordo nel ritenere che i termini di pagamento sono qualcosa di «sacro» e che devono essere rispettati; in caso contrario, essi diventerebbero costi aggiuntivi senza possibilità di qualificazione: si pagano e basta!
Vorrei sapere se questo meccanismo non debba essere rivisto; in precedenza, come ricordate, si poteva chiedere per una rata, magari ferma da un anno, di attivare la tesoreria, quando eravamo al di sotto del 20 per cento della giacenza del triennio precedente.
Per quanto riguarda il tetto del 2 per cento, sento dire che il trasferimento del 2 per cento così certo genera una differenza tra virtuosi e quelli non virtuosi. Vi domando: avete mai avuto l'impressione che i trasferimenti agli enti locali avessero una regola diversa? Dal 1979 sono basati sul trasferimento di spesa storica, di un determinato triennio, e così si sono continuati a dare milioni a comuni che avevano debiti e a non darne a chi non ne aveva.
Il tetto del 2 per cento di adesso, se il dato del 4,8 è più o meno «centrato», sicuramente rappresenta un danno minore rispetto a quello che già viviamo da trent'anni. Sarebbe ora di mettervi mano: i trasferimenti agli enti locali devono essere modificati dal punto di vista dell'impostazione. Mi sembra che per il rispetto del tetto del 2 per cento, nel momento in cui si vuole avere un controllo della spesa corrente, volente o nolente, occorra fissare un termine entro il quale fare i conti. Chiedo: forse è meglio cambiare, o verificare nuovamente, se il 4,8 per cento non è sufficiente?
Per quanto riguarda la critica al trasferimento agli enti locali, vorrei far notare che il dato del 4,8 nella legge finanziaria del 2003 «a spanna» corrisponde al 10-12 per cento in più del 2004. Perché la legge finanziaria per il 2004 prevedeva trasferimenti largamente inferiori rispetto al 2003, perché in quell'anno «sparivano» una serie di fondi particolari, che invece nel 2003 sono stati finanziati. Avete quindi valutato a cosa corrisponda il dato del 4, 8 sul 2003, rispetto all'incremento del 2004?
Un'ultima domanda: non pensate che con il tetto del 2 per cento si voglia tentare in qualche modo per tutte le pubbliche amministrazioni, sanità compresa, di recuperare un gap di inefficienza e di spese inutili, che purtroppo ci sono? Se continuiamo a far finta che le spese compiute oggi sono tutte sacrosante e dovute, è ovvio che il tetto del 2 per cento genera un problema.
Penso sia necessario valutare una serie di spese indispensabili, e non magari quelle per fare qualche monumento o cattedrale e dire che è stato fatto da noi!
Non vedo altra possibilità per evitare tutto questo, perché sapete tutti che gli enti locali ci dicono, giustamente, di avere i bilanci in pareggio, perché il debito degli enti locali non compare da alcuna parte! Contraggono mutui per miliardi in base al Titolo primo, secondo e terzo delle leggi di contabilità, e quindi adesso hanno un'elevatissima capacità mutuataria, come capacità di debito; però, ovviamente, nel bilancio del comune, compare soltanto l'ammortamento capitale/interessi. Il pareggio è quindi fatto su questa cifra: a mio avviso, occorrerà suggerire di rivedere con parsimonia la capacità effettiva mutuataria degli enti locali in virtù di una percentuale, largamente inferiore a quella di trent'anni fa, dei titoli I, II e III; altrimenti, non sapremo mai quanti debiti ha questo paese!
PRESIDENTE. Prego, presidente Staderini.
FRANCESCO STADERINI, Presidente Corte dei conti. L'onorevole Mariotti è ritornato sul limite del 2 per cento: la base di partenza di questo 2 per cento non è il rendiconto consuntivo per il 2004, ma è invece individuabile nelle somme previste nel bilancio preventivo per il 2004, «assestato»
con la manovra di agosto. Si tratta quindi di una base di partenza ancora più bassa e soprattutto di una base certa fin da ora. Il che rende sicuramente questo limite particolarmente rigoroso e particolarmente doloroso; doloroso anche per le amministrazioni centrali e non soltanto per quelle locali.
Se infatti si tiene conto delle spese che sono escluse da questo limite, si viene ad incidere su un arco di spese percentualmente limitate e quindi l'incidenza è notevole. La difficoltà di far fronte quindi è grande.
Si spiega pertanto come si verificano questi effetti di «rimbalzo», dal momento che se c'è un acquisto da effettuare da parte di una amministrazione, e se lo scorso anno non si è potuto effettuare per via del decreto-legge «taglia spese» e quest'anno nemmeno, prima o poi, se quella spesa è utile per il funzionamento dell'amministrazione, dovrà essere effettuata.
Non si può quindi pensare che questi siano risparmi di spesa permanenti. Non dico totalmente, ma in buona parte sono risparmi di spesa transitori.
Si tratta, come la Corte dei conti li ha già definiti, di misure congiunturali, giustificate dall'esigenza di rispettare il limite all'indebitamento, ma che non significano rendere più efficiente ed economica la pubblica amministrazione.
Per fare questo, gli interventi dovrebbero essere di tipo diverso e non essere rappresentati da «tagli» successivi alle spese previste. Questo vale per le amministrazioni centrali ed anche per quelle decentrate: peraltro, per queste ultime, essendo stata riaperta la possibilità di operare sulla leva fiscale, vi è qualche possibilità maggiore di districarsi in questa difficilissima contingenza.
Si è detto che la sanità è penalizzata in maniera assoluta: sono pienamente d'accordo perché la sanità risulta assolutamente penalizzata. Ipotizzare 4,5 miliardi circa di fondi che si riducono rispetto all'andamento tendenziale, è qualcosa che difficilmente si potrà recuperare attraverso operazioni di maggiore efficienza o di maggior rigore operativo.
Sicuramente le regioni dovranno dimostrare grande capacità di buona amministrazione. Purtroppo se vi sono regioni che si stanno muovendo in questa direzione, altre vanno in direzione opposta. Sappiamo infatti benissimo che la gran parte del disavanzo della spesa sanitaria è imputabile a tre o quattro regioni.
Occorre aggiungere che operare sulla sanità è anche difficile perché indubitabilmente la spesa sanitaria è destinata a crescere, come ricordato, in ragione di fattori sostanziali, ovvero perché cresce la popolazione, che invecchia e quindi aumentano le esigenze del ricorso alla sanità. Migliorano le prestazioni sanitarie offerte, e questo deve essere un motivo di soddisfazione per tutti, ma aumenta anche la spesa per poterle garantire.
C'è inoltre da rilevare per quanto riguarda la spesa sanitaria che il nostro paese non è al di sopra della media europea, anzi è leggermente al di sotto, a differenza della spesa previdenziale nella quale invece eccediamo.
Per quanto riguarda l'attività degli enti locali, vorrei precisare che questo dato del 4,8 per cento non è un limite al trasferimento agli enti locali ma rappresenta un limite alla spesa degli enti locali. Nel senso cioè che gli enti locali non possono spendere più di quanto hanno speso con questa percentuale di aumento due anni prima.
Questa spesa non ha riguardo al finanziamento che sia dovuto ai trasferimenti dello Stato o che sia conseguenza delle entrate tributarie o delle tasse comunali. Quale che sia la causa del finanziamento o l'origine delle somme a disposizione, queste non possono essere impiegate oltre questo limite percentuale.
Si arriva quindi all'assurdo, non so se sia il caso di introdurre qualche variante su questa normativa, che anche il comune con una finanza florida e che ha per esempio la possibilità di operare sulla sua leva fiscale per far fronte ad una esigenza o per migliorare un servizio da offrire ai cittadini, non lo possa fare perché, così facendo, potrebbe superare il tetto.
Su questo punto forse occorre una riflessione perché si tratta di una piccola
modifica che non incide sui saldi né sui conti; mi sembra che vada incontro ad una esigenza di razionalità e di salvaguardia dell'autonomia locale. La singola amministrazione ha il diritto di scegliere se far fronte a certe spese, una volta che sia in grado di sostenerne l'onere finanziario.
Sui debiti degli enti locali abbiamo svolto un'audizione presso questa Commissione, nella quale si è affermato che questo indebitamento degli enti locali desta qualche preoccupazione non tanto per la misura dell'indebitamento, quanto per la sua natura. È infatti piuttosto frequente il ricorso ai contratti derivati, che, con varie clausole, soprattutto quelle che prevedono il passaggio dal cambio a tasso fisso a quello a tasso variabile, si prestano a rischi. Vi sono poi anche altre clausole in questi contratti di swap, che possono mettere in difficoltà l'ente locale, anche e soprattutto l'ente locale di piccole dimensioni, che non è adeguatamente attrezzato.
In ordine a questa problematica avevamo promesso alla Commissione bilancio del Senato un'indagine ad hoc, che abbiamo quasi ultimato e che riguarda centoventi comuni scelti secondo un criterio per cui vengono esaminati quelli più a rischio. L'indagine ci dirà della sostenibilità del debito, delle sue caratteristiche e della sua destinazione a spese di investimento, nonché sul modo con il quale sono configurati questi contratti bancari che, probabilmente, richiedono qualche riflessione ulteriore. A fine mese dovremmo essere pronti.
Per quanto riguarda il controllo della Corte dei conti sugli enti locali, in base alla legge n. 131 del 2003, abbiamo il controllo sulla regione e sugli enti locali, ma è un controllo che per il momento riguarda i grossi aggregati della finanza regionale e di quella locale. Non siamo invece in condizione di intervenire in modo più incisivo sulla gestione: vorremmo e riterremmo indispensabile che si realizzasse un collegamento fra le sezioni regionali della Corte dei conti e i collegi dei revisori dei conti degli enti locali, in modo che quest'ultimi possano colloquiare e riferire alla Corte dei conti.
In tal modo, noi potremmo indirizzare l'operato di questi organi, al fine di stabilire criteri omogenei di azione, per fare in modo che l'impostazione del bilancio, l'accertamento di certe regole e vincoli di bilancio, avvenga secondo gli stessi criteri in tutta Italia. Per il momento, non siamo sicuri di questo perché nessuno, e dico nessuno, vigila sulla gestione finanziaria degli enti locali!
In riferimento alla domanda posta dal presidente Giorgetti in merito alle eccedenze di spesa che emergono nel disegno di legge finanziaria, si tratta, se ho ben capito, di una applicazione della regola del cosiddetto decreto-legge «taglia spese», che impone di riportare nella legge finanziaria dell'anno successivo le eccedenze di spesa verificatesi nell'anno precedente. È una regola sulla quale ci siamo espressi favorevolmente, perché finisce col garantire una copertura rispetto a spese effettuate senza copertura.
Va quindi nella direzione di una maggiore trasparenza della contabilità pubblica: non bisogna dimenticare che queste eccedenze ci sono sempre state, e che venivano trasferite come regolazioni debitorie nei bilanci dell'anno successivo, restando prive di copertura. È quindi uno degli aspetti, secondo alcuni uno dei pochi aspetti positivi, del decreto-legge «taglia spese»!
PRESIDENTE. Ringrazio per il loro contributo tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
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