IV COMMISSIONE
DIFESA

AUDIZIONE


Seduta di marted́ 19 marzo 2002


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La seduta comincia alle 9.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del ministro della difesa sulla situazione della politica di difesa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento, del ministro della difesa, Antonio Martino, sulla situazione della politica di difesa.
Anzitutto do il benvenuto al signor ministro che ringrazio per aver accolto il nostro invito. Approfitto, per sottolineare, come avevo già preannunciato, che il ministro ha accettato di dare periodicità quadrimestrale a questi incontri, in modo che la Commissione possa essere messa al corrente degli sviluppi in generale e dell'attività svolta dal Ministero. Inoltre, come abbiamo già avuto modo di fare, ciascun membro della Commissione potrà sensibilizzare il signor ministro su determinati argomenti.
Prima di dare inizio all'audizione, comunico che stamane ho ricevuto da parte del ministro della difesa una lettera, in data 18 marzo 2002, di cui do lettura:
«Caro presidente, in occasione delle comunicazioni, rese alle Commissioni riunite esteri e difesa di Senato e Camera, il 20 dicembre 2001, avevo rappresentato che il lento procedere del processo di pace in Macedonia lasciava presupporre l'eventualità di ulteriori proroghe della missione Amber Fox, che sarebbe dovuta terminare il 26 marzo prossimo venturo.
«In realtà, su specifica richiesta del Presidente macedone Trajkoski, il 27 febbraio scorso il Consiglio Atlantico ha deliberato il prolungamento della missione sino al 26 giugno prossimo.
«Conseguentemente il Governo confermerà il mantenimento dell'aliquota delle nostre forze, pari a circa 160 uomini per la partecipazione al contingente multinazionale a guida tedesca.
«In assenza di più significative varianti di situazione, affido questa comunicazione alla presente, indirizzata ai presidenti delle quattro Commissioni, confermando la mia disponibilità ad ogni eventuale ulteriore approfondimento.»
Avendo trattato tale argomento dinanzi alle Commissioni riunite esteri e difesa di Senato e Camera e volendo essere tempestivi, trovandoci in prossimità della prevista scadenza, si è deciso di concerto con il Ministero della difesa di non riunire nuovamente le quattro Commissioni ma di affidare a questo tipo di comunicazione la notizia del prolungamento della missione. Tra l'altro, in alcune delle domande predisposte per il signor ministro sarà trattato anche l'argomento Macedonia.
Ricordo che per dare ordine ai nostri lavori abbiamo deciso di redigere domande scritte, che sono già state trasmesse al signor ministro. Poiché le domande poste sono numerose, invito i colleghi, anche in considerazione dei lavori dell'Assemblea, a contenere i tempi degli eventuali


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interventi evitando di dar vita ad un «botta e risposta» e di vanificare l'organizzazione che ci siamo dati.
Do ora la parola al signor ministro per il suo intervento introduttivo.

ANTONIO MARTINO, Ministro della difesa. Signor presidente, onorevoli deputati, desidero innanzitutto rivolgere il mio cordiale saluto ed esprimere al presidente la mia gratitudine ed il mio apprezzamento per l'opportunità concessa per una riflessione di carattere generale sulle tematiche attinenti al mio dicastero in questo importante momento storico.
Ritengo opportuno iniziare con una carrellata sulle problematiche del dicastero per poi affrontare argomenti di specifico interesse in risposta alle domande dei membri della Commissione.
Sul tema del rinnovamento, sottolineo che per dare giusta risposta alle forti aspettative di sicurezza, il nostro paese ha bisogno di uno strumento militare quantitativamente più contenuto, ma con accresciute caratteristiche di efficacia e di funzionalità. Tale requisito si identifica con una disponibilità di unità operative efficienti, guidate da strutture di comando unitarie e supportate da una organizzazione scolastica e logistica priva di ridondanze.
Tale consapevolezza ci ha guidato, fin dall'inizio del nostro mandato, alla ricerca di soluzioni innovative in grado di ridefinire lo strumento militare più rispondente alle nuove sfide.
Ci muoviamo in un contesto caratterizzato da una particolare situazione geostrategica e dagli importanti processi di riforma strutturale in atto. Sono aspetti ben noti alla Commissione, sui quali mi soffermerò molto brevemente, soprattutto per segnalarli da un lato come vincoli, ma anche come potenti sollecitazioni al rinnovamento, dall'altro.
Per quanto riguarda il quadro geostrategico, ricordo che l'attuale quadro di sicurezza è erede delle trasformazioni intervenute nell'ultimo decennio del secolo scorso. Nel contempo, instabilità e nuovi rischi spingono l'Italia, insieme ai suoi alleati, ad un ulteriore riposizionamento concettuale della propria politica internazionale. Sono riflessioni alle quali partecipiamo con i nostri partner - insieme, sempre, in posizione supina o acritica, mai -.
L'Alleanza atlantica cambia di dimensione e muta ragione d'essere, con una forte spinta all'aggregazione. L'Unione europea si impegna, anche se in maniera ancora insufficiente, ad una propria politica estera, di sicurezza e di difesa comune. Il Mediterraneo va assumendo una valenza strategica sempre più elevata.
I paesi dell'est sono avviati ad una diversa collocazione in Europa e nel mondo, con un forte ancoraggio all'Occidente ed al suo sistema di valori. Si registrano straordinarie convergenze fra Russia e Stati Uniti.
Gli eventi dell'11 settembre hanno ulteriormente e profondamente modificato tali scenari del dopo guerra fredda. La sicurezza è ormai diventata un concetto globale, riferito a rischi multiformi e diversificati, quali la proliferazione delle armi di distruzione di massa, le aggressioni etniche, i conflitti a bassa intensità, il traffico degli stupefacenti, i flussi migratori incontrollati, i disastri ecologici, la diffusione della criminalità organizzata.
Di questi rischi, il terrorismo rappresenta il più abietto e brutale e conferisce caratteristiche di asimmetria ai conflitti, sia per quanto attiene alla globalizzazione della minaccia, sia per la difficoltà di identificare il nemico. Ciò comporta il superamento di molte realtà nazionali: contro il terrorismo globale è necessaria una reazione globale. Gli strumenti di contrasto devono essere diversificati: la politica e la diplomazia, le forze militari e le forze di polizia, l'intelligence e l'economia. L'obiettivo è uno solo: sradicare la rete del terrore dalla faccia della terra, annientarla in qualunque angolo del mondo sia annidata. È quanto stiamo facendo, con la nostra partecipazione all'operazione Enduring Freedom ed alle molteplici altre iniziative in materia.
In tema di operazioni in corso, inizio con l'illustrare quella che si sta svolgendo


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nei Balcani. Circa 10 mila militari operano fuori dei nostri confini. Di questi, circa 8.400 sono impiegati nei Balcani, a testimonianza di quanto sia di primario interesse per il nostro paese che quella regione evolva in un quadro di stabilità, sicurezza e democrazia, nella prospettiva di un progressivo avvicinamento e integrazione nelle istituzioni euroatlantiche. Il nostro impegno militare si inserisce in uno sforzo senza precedenti di politica estera, di sicurezza ed economica, per il rilancio della regione. Un impegno gravoso ma indispensabile, anche perché, proprio in quell'area, il terrorismo potrebbe rivolgersi contro i contingenti multinazionali ovvero stabilire basi di transito verso i paesi occidentali.
In Macedonia, dopo l'operazione Essential Harvest, la NATO ha varato l'operazione Amber Fox, che prevede un limitato contingente di circa 700-800 uomini (di cui 160 italiani), con il compito di assicurare un'adeguata cornice di sicurezza agli osservatori internazionali dell'Unione europea e dell'OSCE. La durata iniziale di tale presenza, stabilita in tre mesi, è stata successivamente prorogata. Infatti, un'ulteriore proroga di tre mesi, fino al 26 giugno, estendibili fino al 26 settembre, è stata richiesta con una lettera indirizzata al Segretario generale della NATO dal Presidente macedone. Il 27 febbraio il Consiglio atlantico ha deliberato il prolungamento della missione sino al 26 giugno prossimo, sotto guida tedesca. In conseguenza di ciò, il Governo ha deciso che la partecipazione militare italiana continui fino a tale data, mantenendo inalterati gli attuali livelli di personale e di mezzi impiegati. Di tale decisione, la cui possibilità era, peraltro, già stata da me annunciata alle Commissioni nel corso dell'audizione del 20 dicembre 2001, ho già dato comunicazione scritta.
In Afghanistan continuiamo a fornire il nostro contributo necessario per il ristabilimento della pace, sostenendo con forza l'amministrazione di Hamid Karzai, nell'operazione ISAF sotto egida ONU. La grande coalizione internazionale per la lotta al terrorismo ha finora conseguito tre importanti obiettivi: la liberalizzazione del paese dalla teocrazia dei talebani, la sconfitta di Al Qaeda e la formidabile coesione con cui l'intera comunità internazionale ha affrontato la sfida del terrorismo. La valenza e la credibilità di tale risposta al terrorismo stanno nella portata qualitativa e quantitativa delle forze impegnate dalla coalizione nell'operazione Enduring Freedom. Ma l'operazione non è evidentemente al termine. Il paese è ancora lontano dalla formazione di un Governo in grado di assicurare la pace e di conciliare le profonde divisioni che separano i gruppi etnici, linguistici e religiosi. I miliziani talebani sono ancora presenti specie al confine con il Pakistan ed è ancora presente la minaccia terroristica dislocata in altri paesi. Si parla, addirittura, di 40-60 paesi e questo spiega perché l'amministrazione americana abbia sempre evocato una lotta lunga e difficile.
Ciò detto, quanto all'ipotesi di un allargamento del conflitto, desidero confermare che il Governo non ha ricevuto alcuna richiesta in tal senso. La mia personale speranza al riguardo è che l'effetto deterrente, conseguente alla determinazione dimostrata dalla coalizione, induca il governo di Saddam Hussein ad accettare la risoluzione delle Nazioni Unite, permettendo il rientro degli ispettori ONU e scongiurando un intervento militare.
Ricordo che, recentemente, abbiamo anche diminuito la nostra presenza navale nelle acque del mar Arabico, sostituendo il gruppo aeronavale della marina, rientrato proprio ieri nel pomeriggio a Taranto, con due nuove unità. Sul gruppo aeronavale, possiamo formulare una prima valutazione: si è trattato di una forza che ha mostrato notevole capacità di proiezione e flessibilità nelle attività di intercettazione marittima e di ricerca dei leader terroristici. Gli aerei imbarcati sulla nave Garibaldi si sono integrati totalmente con le forze cooperanti, con compiti di difesa della forza navale, di interdizione aerea, di ricognizione e di supporto alle operazioni terrestri. Senza alcuno effettivo sgancio di


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armamento, sono stati tuttavia efficaci per la ricerca e la designazione di bersagli a favore degli aerei della coalizione.
È di tutta evidenza la valenza geostrategica della partecipazione della nostra marina all'operazione, che ha mostrato il ruolo che lo strumento navale ha nei moderni teatri operativi, persino in un paese senza sbocco al mare come l'Afghanistan, per le gestioni di crisi e di conflitti dal mare, dove le forze possono operare in maniera non intrusiva, autonoma ed autosufficiente. Questa nostra partecipazione, insieme alla prioritaria valenza morale, comporta concreti risultati politici e significativi riconoscimenti internazionali. Così come la nostra partecipazione all'ISAF, la forza di stabilizzazione internazionale in Afghanistan, sotto egida delle Nazioni Unite. Recenti viaggi in Afghanistan - delle Commissioni e del Governo - ci hanno consentito di verificare l'importanza di quell'iniziativa per favorire la ricostruzione di quel martoriato paese. È una missione che comporta rischi, che affrontiamo con tutte le precauzioni necessarie per la sicurezza. Ho già definito questa come la parte più nobile del nostro intervento militare in quel teatro. Lo confermo, con la convinzione di chi ha visto quale spirito di solidarietà e senso di civiltà i nostri uomini siano in grado di trasmettere ad un popolo meno fortunato.
Per questo abbiamo aderito con convinzione agli auspici espressi dai maggiori alleati perché anche il nostro contingente permanga a Kabul, sino a fine giugno, sapendo bene che se la missione dovesse fallire il paese ripiomberebbe nel caos. Con questa prospettiva manterremo il nostro impegno nell'ISAF, con il contingente di circa 350 militari, salvo aggiustamenti che risultassero opportuni.
Per quanto concerne la politica di difesa, sul piano internazionale, essa è caratterizzata da continuità negli impegni con l'Alleanza atlantica e con l'Unione europea, nella consapevolezza che il processo di sviluppo della dimensione europea di sicurezza e difesa rappresenti fattore trainante per l'Europa del futuro. Per questo sosteniamo la politica estera e di sicurezza comune dell'Unione europea, ritenendo che quello della difesa comune rappresenti un importante percorso politico, da consolidare e rafforzare con scelte coerenti ed efficaci. Lo facciamo in maniera convinta, adoperandoci non soltanto per assicurare la convergenza sui parametri europei anche nel settore della difesa, ma anche per assegnare all'Italia un ruolo attivo e trainante perché l'Europa si doti di efficaci capacità decisionali ed operative e sia in grado di intervenire nella gestione delle crisi internazionali, a cominciare dalla lotta al terrorismo.
In questo quadro, valutiamo coerente con il nostro interesse nazionale una maggiore convergenza delle risorse paneuropee ed atlantiche verso un'effettiva estensione della sicurezza cooperativa all'area mediterranea. Abbiamo, quindi, avviato una riflessione su come combinare la nostra missione di difesa regionale con i nuovi requisiti di un maggiore contributo europeo alla stabilità di una più ampia area di interesse. In questa luce, l'approccio europeo dovrebbe essere quello di arrivare, nel tempo, ad un rapporto più equilibrato con gli Stati Uniti che ci consenta di contribuire concretamente alla sicurezza mondiale.
Siamo convinti, dunque, che l'Alleanza, per essere più solida, ha bisogno di una forte componente europea di sicurezza e difesa. L'Unione si è data ad Helsinki l'obiettivo di acquisire capacità operative significative, sia nel quadro dell'Alleanza, sia in un contesto europeo, quando gli Stati Uniti e l'Alleanza nel suo complesso decidano di non essere impegnati. Un obiettivo del genere richiede l'acquisizione di adeguate capacità militari che nessun paese europeo si può permettere da solo. Con tale convinzione consideriamo l'impegno di corrispondere ai livelli operativi richiesti, non solo per quantità e tipologia, ma anche per qualità dei vari mezzi occorrenti.
Per quanto concerne il contributo militare alle alleanze ricordo, per meglio chiarire questo sistema di sicurezza, che il suo funzionamento richiede che le nazioni alimentino un pool multinazionale di comandi,


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forze ed unità specialistiche, in grado di alimentare le task force di volta in volta necessarie. Questo stesso concetto organizzativo è adottato a livello nazionale. La trasformazione delle diverse capacità operative e tecniche dei vari paesi in una macchina militare multinazionale funzionante ed interoperabile è resa possibile attraverso i requisiti minimi obbligatori cui le nazioni debbono uniformarsi. Al pool multinazionale contribuiamo con buona parte delle nostre capacità operative, sul doppio fronte delle operazioni in corso e dei programmi di adeguamento delle capacità ai requisiti.
Il terrorismo ha accentuato il preesistente quadro di incertezza, confermando molti dei requisiti già individuati e mettendone in evidenza anche di nuovi. Lo scenario attuale e di prospettiva rivaluta, in particolare, l'esigenza di uno strumento militare in grado non soltanto di assolvere missioni di peace keeping, ma anche di operare efficacemente in situazioni conflittuali ad alta intensità. Conseguentemente, lo strumento militare dovrà essere concepito, organizzato ed impiegato come sistema pronto all'intervento, unitario e flessibile, pienamente interforze ed aperto all'integrazione multinazionale. Ovviamente l'acquisizione delle capacità richieste implica tempi non brevi, ma già un orientamento in tale direzione potrebbe portare a molte conseguenze positive, tra cui quella di un rafforzamento del potere di dissuasione, essenziale per qualsiasi politica di sicurezza.
È in questo senso che debbono essere interpretate le mie dichiarazioni in merito all'eventuale riduzione dei compiti previsti per la Forza di reazione rapida europea. Tali compiti debbono necessariamente armonizzarsi con le capacità prontamente disponibili nell'Alleanza, al fine di evitare inutili sovrapposizioni ed al tempo stesso che l'Unione si ritrovi nell'impossibilità di portare a termine missioni con il consenso di tutti i suoi paesi membri.
Non ci sono, dunque, dubbi sulle nostre convinzioni e sulla nostra conseguente azione politica: la NATO dovrà proseguire nella sua opera di stabilizzazione e monitoraggio dell'area balcanica, imprimere un definitivo salto di qualità al rapporto con la Russia, rafforzare - anche sul piano operativo - il dialogo mediterraneo, avviare una riforma di strutture e procedure per adeguare il suo strumento militare alle nuove sfide e potenziare il coordinamento informativo, mentre l'Unione europea dovrà accelerare il conseguimento degli obiettivi di Helsinki e raccordare più efficacemente le nuove capacità militari con quelle politiche, economiche, di aiuto allo sviluppo, nonché di cooperazione giudiziaria e di polizia.
Questa grande evoluzione del quadro di riferimento internazionale e strategico si coniuga, nel nostro paese, con l'avvento di una nuova fase politica, i cui effetti si manifestano nel rafforzamento dell'identità nazionale ed in una rinnovata sensibilità ed attenzione al mondo militare. Il Governo, fin dal suo insediamento, ha indicato con chiarezza i propri interessi per la difesa e la sicurezza nazionale; il Parlamento ha continuato, anche in questa legislatura, a manifestare una tendenza bipartisan per le grandi scelte in questa materia. Oggi, non sono più in discussione il ruolo delle Forze armate, la loro utilità o la loro legittimazione, ed esse possono contare su un largo consenso dell'opinione pubblica. Semmai, ciò che è in discussione è la capacità delle Forze armate di conseguire pienamente i propri obiettivi a tutela dell'interesse supremo della sovranità ed indipendenza della patria.
Tutto questo configura un cambiamento radicale rispetto al passato ed un quadro generale di condizioni del tutto favorevoli per imprimere un'accelerazione alle politiche di difesa e di sicurezza nazionale ed un reale salto di qualità al nostro strumento militare.
Il punto di partenza è rappresentato dal processo di riforma dello strumento militare, previsto dalla legislazione vigente, che, proprio nella prima fase di attività di questo Esecutivo, è stato investito da due considerevoli varianti: la sospensione della coscrizione obbligatoria (avviata dal precedente Governo, ma giunta ora nella sua fase cruciale) ed il terrorismo internazionale.


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Sono tali varianti che ci impongono, oggi, di serrare i tempi per raggiungere l'obiettivo principale di ridurre tutto ciò che è superfluo, ridondante, diseconomico a vantaggio delle unità operative. In questo quadro, stiamo effettuando una seria verifica della ristrutturazione già avviata, ma basata su un presupposto di risorse umane dell'ordine 220-230 mila unità militari e circa 45 mila civili.
Successivamente, la legge n. 331 del 2000, con l'istituzione del servizio militare professionale, ha definito il volume organico complessivo di 190 mila militari, il percorso di realizzazione in 7 anni e le modalità generali del processo. Parte da qui il recente disegno di legge delega proposto dal Governo, già approvato dalla Camera dei deputati ed ora all'esame del Senato, che prevede il completamento del processo di revisione delle strutture di comando e di trasformazione ed il ridimensionamento degli organi centrali e degli enti territoriali di supporto, logistici e tecnico-industriali.
Per realizzare senza soste e tentennamenti una riforma funzionale dell'intero sistema militare, è necessario compiere un difficile percorso di rinnovamento del pensiero strategico e della policy di sicurezza nazionale, di qualificazione del capitale umano e di ammodernamento di tutte le componenti portanti della difesa. Per questo, ho deciso di prendere le mosse dalla redazione di un nuovo Libro bianco (successivo a quello, ormai lontano, del 1985), che considero un momento di necessario approfondimento ed un «punto di situazione» tra quanto è stato fatto e quanto si deve ancora fare: auspico che tale Libro bianco possa essere presentato il 27 marzo.
Parallelamente, l'attività programmatica e di indirizzo ha trovato una sistemazione organica in due documenti di recentissima emanazione: innanzitutto, la direttiva generale del ministro della difesa sull'attività amministrativa e sulla gestione per l'anno 2002; in secondo luogo, la direttiva ministeriale in merito alla politica militare ed alla attività informativa e di sicurezza 2002-2003. Tali direttive, di cui ho consegnato oggi copia alla Commissione, prevedono una forte spinta per la riqualificazione dell'intero sistema in un contesto di coerenza con quelli dei nostri principali partner europei ed atlantici. Si tratta di adeguare lo strumento militare alle nuove realtà, rendendolo idoneo a tutelare gli interessi nazionali, a proiettare stabilità, ad assicurare protezione da minacce anomale in un contesto globale, non più circoscritto alla pur importantissima difesa del territorio nazionale e delle sue pertinenze aeree e marittime.
È una trasformazione che non può prescindere dalla valorizzazione della componente umana e che interessa anche le funzioni di servizio e di supporto che le Forze armate esplicano nei confronti della società civile: ad esempio, nei settori della lotta alla criminalità organizzata, di assistenza alle popolazioni in caso di calamità naturale, di appoggio al controllo ed alla prevenzione del fenomeno dell'immigrazione clandestina.
Dal punto di vista del bilancio, dobbiamo prendere atto che produrre sicurezza significa, oggi più che mai, caricare lo Stato di oneri gravosi e, al tempo stesso, necessari. D'altro canto, senza sicurezza - che vuol dire pace, stabilità e fiducia -, non ci può essere crescita del paese. Il modello che ci prefiggiamo comporta costi che devono essere calibrati in funzione del soddisfacimento delle esigenze e del quadro complessivo della finanza pubblica. È un nodo di non facile soluzione, soprattutto per il nostro paese che parte da basse percentuali di prodotto interno lordo per la funzione difesa ed ha in corso una vasta opera di risanamento finanziario. Dovremo intervenire, e lo stiamo già facendo, per ottimizzare qualitativamente la spesa, con uno sforzo di razionalizzazione e semplificazione di tutta la difesa.
Sul piano quantitativo, sappiamo come la situazione congiunturale del 2001 abbia condizionato l'impostazione del bilancio 2002.
Le prospettive lasciano intravedere segnali di un possibile miglioramento, con un progressivo limitato incremento percentuale, della funzione difesa in misura


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da portarla, in un arco decennale, ad un livello commisurato al nuovo modello professionale, possibilmente, al traguardo dell'1,5 per cento del PIL, che consentirebbe l'opportuno avvicinamento al livello di spesa dei nostri maggiori partner europei.
Per quanto riguarda la politica del personale devo ricordare che sono tanti gli aspetti di tale politica sui quali stiamo intervenendo perché in parte trascurati nel passato, quando si è privilegiata l'esigenza di ammodernare lo strumento militare, a scapito della componente umana che ne è l'elemento portante.
Il processo di professionalizzazione prosegue attraverso un programma di progressiva riduzione della forza bilanciata, con la gradualità necessaria per evitare squilibri strutturali e compatibilmente con la disponibilità di risorse a bilancio. In particolare, nel corso del 2002, verrà attuata una contrazione complessiva di circa 12 mila unità. Conseguentemente, la forza complessiva si attesterà su circa 249 mila e 800 unità.
Stiamo verificando le condizioni perché il processo di transizione dalla leva ad un sistema interamente professionale-volontario, di previsto termine nel 2007, possa essere abbreviato, anticipandone la conclusione entro il dicembre 2004.
Problema essenziale, al riguardo, è quello del reclutamento e, quindi, dell'incentivazione del servizio volontario, mediante tutte le misure necessarie a rendere il «mestiere delle armi» competitivo con le altre attività lavorative, sia in termini di professionalità e di retribuzione, sia di dignità della missione svolta.
Stiamo approntando un disegno di legge che prevede la possibilità, per i giovani volontari in ferma annuale, di accesso alla ferma quadriennale nelle Forze armate o per l'immissione nelle carriere iniziali delle forze di polizia e dei vigili del fuoco. Stiamo anche cercando di realizzare una corsia preferenziale per l'ingresso nel mondo civile del lavoro; problema di sicuro rilievo che ha già riguardato molti paesi che prima di noi hanno portato a termine il processo di professionalizzazione delle Forze armate.
Su questa strada ci stiamo già muovendo ed è in corso di finalizzazione un progetto di comune interesse con Confindustria e Confcommercio per la riqualificazione dei volontari che abbiano cessato la ferma breve e per un loro impiego presso le aziende del settore industriale e del commercio.
Abbiamo avviato la rivisitazione dei rispettivi settori per l'elevazione della formazione e dell'addestramento del personale per soddisfare le nuove e più impegnative esigenze operative richieste dalle emergenti tipologie di missioni « fuori area », attraverso l'incremento dell'attività addestrativa, integrata anche con Forze armate dei paesi dell'Unione europea e della NATO.
A fronte del problema degli esuberi degli ufficiali e dei sottufficiali, che sposta il termine della fase di transizione alle nuove Forze armate al 2021, pensiamo di mettere allo studio una legge che ne favorisca l'esodo, in analogia a quanto attuato dopo la seconda guerra mondiale con la ben nota «legge combattenti». Abbiamo, poi, in grande priorità, il problema del «benessere del personale» nel suo significato più ampio; quello della rappresentanza militare, per il quale le numerose iniziative parlamentari, recentemente confluite in un testo unificato, testimoniano che sulla materia c'è una grande, condivisa attenzione; quello del trattamento economico del personale, per il quale ci proponiamo il riconoscimento della peculiarità della condizione militare, la revisione delle norme concernenti varie indennità e l'allineamento con quello dei principali paesi europei.
Per il problema degli alloggi, seguiremo l'iter del decreto legislativo sul project financing per gli alloggi militari e cercheremo forme alternative di soluzione materiale o finanziaria del problema. In particolare, va perseguita la possibilità di convertire strutture da dismettere in alloggi o di attuare opportune permute a livello locale. Per l'ammodernamento delle caserme, si rende necessario un programma


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basato su scelte prioritarie in quanto sono note le scarse disponibilità finanziarie.
Per quanto concerne la componente civile della difesa, il cui tetto organico odierno è fissato in 43 mila unità, registriamo una situazione di seria carenza quantitativa e qualitativa, tenendo conto che la consistenza effettiva attuale è dell'ordine delle 40 mila unità, con sensibili carenze nelle qualifiche più alte dei quadri (settimo, ottavo e nono livello), in quei settori, cioè, dove sono richieste le maggiori professionalità.
In questo contesto acquista crescente importanza l'esigenza dell'outsourcing, che, con l'erodersi di alcuna professionalità, prima disponibili e svolte internamente dall'amministrazione, ora devono essere ricercate al di fuori di essa per assicurare servizi qualificati, non solo per quelli di base, come la ristorazione e la pulizia, ma anche per l'espletamento di funzioni più qualificate di supporto tecnico.
Anche per il personale civile della difesa intendiamo compiere un salto di qualità, incoraggiandone e favorendone un processo di professionalizzazione e riqualificazione, cui far corrispondere crescenti responsabilità e, nel contempo, la possibilità di liberare risorse militari per quegli incarichi operativi che solo la componente militare può assolvere.
Il processo di riforma delle tre Forze armate e l'ammodernamento delle loro capacità operative hanno richiesto, già in fase di formazione del bilancio, di far convergere ogni sforzo su interventi di carattere strutturale e radicali soluzioni di riorganizzazione interna. Contestualmente, abbiamo dato avvio all'eliminazione delle duplicazioni in tutta la gamma dei mezzi e degli armamenti ed al risanamento delle deficienze nei settori delle manutenzioni e del supporto, negli ultimi anni particolarmente esaltate dall'accresciuto tasso di impiego delle forze.
Un pregnante ausilio nell'attribuzione delle priorità ci viene dalla DCI (Defence capabilities initiative) che, peraltro, non deve far dimenticare il gap già esistente in alcuni settori, come quello della difesa aerea, delle scorte di munizioni da guerra e d'addestramento e della ricambistica. La difesa aerea, in particolare, necessita di un adeguamento dei settori del comando, controllo, sorveglianza ed intelligence e dei sistemi attivi di difesa dalle minacce «non convenzionali».
Tengo in particolare a sottolineare che il punto non è soltanto quello dello sviluppo e dell'acquisizione dei mezzi. La realtà delle operazioni militari, infatti, impone la disponibilità di sistemi d'arma competitivi, ma allo stesso tempo richiede che essi siano mantenuti ad un elevato livello di efficienza e sempre pronti all'impiego. Occorre pertanto approvvigionare i mezzi unitamente al relativo supporto logistico ed addestrativo nonché disporre di fondi adeguati per il loro mantenimento, considerati anche gli elevatissimi tassi di usura cui sono soggetti. È allora necessario bilanciare il settore dell'esercizio rispetto a quello dell'investimento.
Un cenno particolare, per la loro rilevanza, meritano gli arsenali della marina, strutture strategiche per la difesa, alle quali dovranno essere assicurate le necessarie risorse finanziarie ed umane, per garantirne la capacità di supportare l'efficienza e l'operatività dei mezzi navali.
Ricordo ancora, che nel 2002 diverrà pienamente operativa l'Agenzia industrie difesa alla quale verrà assicurato il massimo supporto sia in termini di organizzazione sia di attribuzione delle risorse di personale ed economiche, supportandone il raggiungimento dei compiti, che sono da considerarsi coincidenti con gli interessi dell'amministrazione.
In questo settore s'impone anche un potenziamento della ricerca tecnologica nei settori applicati alla difesa, ambito in cui fino ad oggi abbiamo investito in maniera non considerevole. Si tratta di un punto critico, poiché la ricerca è quella componente di base che consente all'industria di sviluppare per tempo tecnologie che verranno successivamente utilizzate in vari programmi di armamento.
D'altra parte, tale impegno dovrà favorire il complessivo processo di modernizzazione


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e di rilancio industriale in atto nel paese, in particolare dell'industria della difesa che si confronta con le sfide delle aggregazioni e della competitività internazionale.
Infine per quanto riguarda la cooperazione internazionale ricordo che in materia di armamenti l'Italia collabora con circa 60 paesi in tutto il mondo. Cerchiamo di promuovere cooperazione industriali vantaggiose per le nostre industrie e per la nostra tecnologia, attraverso uno sforzo sinergico con la nostra diplomazia e con il Ministero delle attività produttive.
In particolare, cerchiamo di valorizzare la partecipazione dell'industria per la difesa nei grandi programmi internazionali e di favorirne una penetrazione tecnologica in paesi terzi, ovviamente seguendo le linee di politica estera ed il quadro legislativo che regolano l'esportazione dei materiali di armamento.
Rispetto al processo europeo di razionalizzazione della base industriale e del rafforzamento della politica di sicurezza difesa comune, sosteniamo il mantenimento di un forte raccordo con l'Alleanza atlantica e, quindi, con l'alleato statunitense. Ma è evidente che, per poter cooperare più efficacemente con gli Stati Uniti, sia sul piano operativo sia industriale, è necessario consolidare la capacità industriale europea.
In tale contesto ricordo la LOI (Letter of Intent), accordo quadro di principi e di impegni in materia di politica degli armamenti di sei paesi europei, non ancora ratificato dall'Italia. Auspico che il disegno di legge per la ratifica, già calendarizzato per l'Assemblea, possa essere esaminato ed approvato in tempi brevi. Grazie presidente.

PRESIDENTE. Do adesso la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.

MARCO MINNITI. Ringrazio il ministro per la disponibilità ed accolgo positivamente la caratterizzazione periodica assunta da questo appuntamento.
Le domande che avevo intenzione di porre al ministro erano tante; tuttavia, per ovvie ragioni di tempo, mi limito a porne soltanto alcune. Ho ascoltato le dichiarazioni rilasciate dal ministro Martino sull'ipotesi di allargamento del conflitto in tema di lotta al terrorismo; ipotesi che mi vede, come è noto, nettamente contrario.
Signor ministro, non pensa che, su questo tema, il Governo italiano possa fare qualcosa di più, tenendo conto anche del dibattito che su di esso si sta sviluppando e che coinvolge direttamente altri paesi? Comprendo l'atteggiamento prudente, ma non deve sfuggire come finanche un Governo fortemente filoatlantico - quello turco - abbia manifestato, tramite il suo Primo ministro, forti perplessità sull'ipotesi di allargamento del conflitto. Chiedo, pertanto, al ministro se non ritenga opportuno assumere al riguardo un'iniziativa più netta.
In stretta connessione con questo tema, domando al ministro la sua opinione in merito al rapporto, fra l'altro non smentito, apparso sul Los Angeles Times che paventa, da parte degli Stati Uniti, l'idea di poter utilizzare, per la prima volta, l'arma atomica come arma di prima risposta.
Ho inteso in questa sede il ragionamento da lei fatto sul corpo d'armata di reazione rapida europea. Prendo atto di quello che ha detto, e cioè che c'è bisogno di una autonoma capacità europea di intervento nelle crisi internazionali e che essa debba intendersi come un intervento teso non alla duplicazione, ma all'integrazione con l'Alleanza atlantica. Le voglio chiedere, pertanto: è quindi destituita di ogni fondamento l'ipotesi di una iniziativa italiana tesa a ritardare o a cambiare il profilo del corpo d'armata di reazione rapida?
Signor ministro, ha parlato dell'immigrazione clandestina: si tratta di un tema di grandissima attualità. Penso che sarebbe ora che il Governo prendesse atto che la questione dell'immigrazione clandestina non si può affrontare soltanto dal punto di vista della politica di ordine pubblico e, soprattutto, che convenisse sul fatto che la lotta all'immigrazione clandestina non si può affrontare con politiche di difesa. Un pezzo fondamentale della risposta


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a tale problema è costituito dalla politica estera del nostro paese, la quale, a mio avviso, è stata in questi mesi inerte nel campo delle relazioni internazionali, senza stipulare nuovi trattati internazionali in questo ambito. Tuttavia, la domanda che le rivolgo è questa: nel disegno di legge sull'immigrazione si prevede la possibilità di impiegare la marina militare come forza di polizia. La ritengo una scelta particolarmente sbagliata, che oltrepassa i confini ed i compiti istituzionali della marina militare; pertanto, vorrei chiederle, da questo punto di vista, qual è il pensiero ed il parere del ministro.
Infine, un'ultima questione: il superamento e la sospensione della leva. In questa sede, lei ha proposto un'accelerazione del processo; voglio ricordare che tale accelerazione è stata proposta dall'Ulivo in sede di legge finanziaria, attraverso la presentazione di un emendamento che la maggioranza ha respinto. Vorrei sapere, allora, se vi sono le risorse finanziarie per proseguire su questa strada e come il Governo prevede di affrontare un nodo decisivo, vale a dire che tale accelerazione è possibile solo se esistono maggiori risorse disponibili per questo settore. Al riguardo, esiste un contratto - che non so se sia stato già aperto; da questo punto di vista, chiederei al ministro maggiori informazioni, perché mi risulta che la scorsa settimana c'è stata una convocazione...

FILIPPO ASCIERTO. Venerdì.

MARCO MINNITI. Vorrei sapere, allora, quali sono le previsioni del ministro in tal senso. Vorrei chiedere inoltre, sempre nel campo della riforma della leva, se è stata costituita, e quale è il suo livello di attività, la struttura per l'inserimento dei volontari nelle funzioni civili, prevista dalla legge di sospensione della leva.

GIUSEPPE MOLINARI. Signor presidente, ringrazio il ministro per la comunicazione e mi limiterò a rivolgerle solamente tre domande, anche perché alcune sono state già poste dall'onorevole Minniti. Signor ministro, lei ha dichiarato recentemente che potrebbe prevedere nel nostro esercito la partecipazione di arruolati provenienti da altri paesi, quindi degli extracomunitari: le chiedo, quindi, una precisazione in tal senso.
Per quanto riguarda l'immigrazione, ricordo di aver presentato recentemente un'interrogazione a risposta immediata sull'argomento, cui lei ha risposto sostenendo che, nel disegno di legge Bossi - Fini, alla marina militare non viene affidato nessun compito di polizia; eppure, il ministro Scajola continua a sostenere, invece, che essa avrà compiti di polizia, come testualmente affermato anche nel corso dell'ultimo vertice dei ministri dell'interno della UEO. Sarebbe opportuno, quindi, chiarire quali siano le disposizioni al fine di evitare incertezze che possono solamente delineare un quadro normativo penalizzante per la marina.
Infine, vorrei chiedere al ministro perché il nostro paese non è stato citato dal Presidente Bush, nel corso del discorso ufficiale dell'11 marzo (a sei mesi dall'attentato alle torri gemelle), tra i paesi che con i propri uomini contribuiscono direttamente alla coalizione antiterrorismo. Ci chiediamo come mai, dopo la corsa spasmodica del nostro Governo per mostrarsi protagonista, non si sia levata una voce critica verso l'amministrazione americana: non crediamo, infatti, che si sia trattato di una semplice svista da parte del Presidente Bush, bensì di qualcosa di più grave. Per questo motivo, chiediamo chiarimenti al ministro, e quindi al Governo.

ELETTRA DEIANA. La prima domanda che intendo rivolgere riguarda l'immigrazione, anche se desidero formularla in un'altra maniera rispetto al collega Minniti. Infatti, chiedo al ministro se non ritenga che l'idea di utilizzare la marina militare come forza di polizia - come, di fatto, viene proposto nel disegno di legge sull'immigrazione e così come risulta anche dalle dichiarazioni del ministro Scajola -, non sia conforme all'idea, illustrata dal ministro stesso, del nuovo concetto di sicurezza globale e non sia conforme


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all'articolo 26 del nuovo concetto strategico della NATO, all'interno del quale trasmigrazioni, spostamenti di masse umane, fenomeni incontrollati di migrazione sono considerati elementi di insicurezza. Ritengo che la discussione su questo tema debba essere di tipo politico-strategico e non solamente «di buon cuore», vale a dire influenzata dal fatto che siamo atterriti da quanto accade alle popolazioni migranti che arrivano nei nostri mari.
La mia seconda domanda riguarda il giudizio politico sul tipo di vicenda militare sviluppatasi in Afghanistan. L'operazione Enduring freedom si è risolta in un massacro della popolazione civile, e dal punto di vista prettamente militare si è rivelata l'inadeguatezza sul campo della guerra a distanza e la necessità di attivare una guerra civile interna - che chiamo «guerra sporca» -, dove praticamente il compito di controllo metro per metro del territorio è affidato ai «locali» in una dinamica di guerra civile che, credo, preclude la possibilità di una reale pacificazione dell'area. Vorrei sapere, allora, quale giudizio danno questo Governo ed il Parlamento sulla necessità non soltanto di massacrare dall'alto, ma di operare sul campo; in altre parole, vorrei avere un giudizio propriamente militare.
La terza domanda riguarda l'Iraq. Credo che non possiamo accontentarci né delle speranze, né del silenzio dell'alleato americano per il fatto che ancora non ci ha chiesto di concorrere a questa impresa.
Le fonti americane confermano che questi sono il piano e la volontà dell'amministrazione Bush; bisogna allora capire preventivamente come ci stiamo muovendo: restiamo in silenzio, preghiamo Dio perché ciò non avvenga? Che cosa stiamo facendo sul piano dei rapporti con l'alleato per impedire che questo passo drammatico venga compiuto? Ricordo le posizioni di alcuni paesi e non soltanto della Turchia...

MARCO MINNITI. Avevo detto: «finanche della Turchia»!

ELETTRA DEIANA. Sì, finanche della Turchia che ha l'Iraq alle spalle; la Francia ha parlato di «faciloneria guerresca», vi sono quindi giudizi pubblici di un certo rilievo. Noi cosa diciamo e soprattutto a quale livello si sta svolgendo una discussione preventiva su tale argomento? Evitando così la solita corsa « a farsi belli » di fronte all'alleato americano.

FILIPPO ASCIERTO. Devo dire che ho trovato molto interessante la sua relazione, in particolare per alcuni aspetti fortemente innovativi. Mi compiaccio per la parte del suo intervento dove afferma che si mira a raggiungere l'obiettivo dell'1,5 per cento del PIL per rinnovare le nostre Forze armate e permettergli di raggiungere un livello europeo.
Vorrei ora soffermarmi principalmente su due aspetti: il personale e lo status giuridico delle Forze armate.
Per quanto concerne il personale, mi trovo d'accordo sullo sforzo da compiere per poter acquisire il maggior numero possibile di volontari e trattenerli poi all'interno delle Forze armate. Abbiamo bisogno di maggior comunicazione verso i giovani, soprattutto del sud, che vedono a volte, le Forze armate come fonte di lavoro; dobbiamo far comprendere loro che vi sono aspetti altamente professionali che possono, quindi, rappresentare una svolta per il futuro.
Ricordo che i giovani considerano tanto più momentaneo il loro transito in questo settore quanto più li informiamo del possibile passaggio alle forze dell'ordine. Dobbiamo invece far comprendere che le Forze armate hanno una grande identità, un grande valore e possono sicuramente dare loro delle soddisfazioni sotto il profilo personale e professionale. Bisogna considerare infatti, gli impegni delle Forze armate in una serie di situazioni quali il mantenimento della pace, la difesa dal terrorismo, eccetera.
Auspicherei, inoltre, che il volontario, anche delle forze di polizia, abbia le stesse opportunità e quindi la stessa attenzione; ricordo che al suo Dicastero fanno capo delle forze di polizia ad ordinamento militare.


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Trovo interessante quanto affermato in merito all'esodo degli ufficiali; vi è grande attesa su ciò nelle Forze armate, anche da parte dei sottufficiali. Considero questo come un passaggio fondamentale per il futuro; nella trasformazione verso il professionismo e per raggiungere quei numeri che lei ha indicato vi è la necessità di diminuire il numero degli ufficiali e dei sottufficiali. Mi piacerebbe che fosse tenuta maggiormente in considerazione, se possibile, la mobilità nella pubblica amministrazione anche per quanto riguarda il settore civile dello Stato; ciò perché le capacità, sotto il profilo professionale potrebbero tornare molto utili anche in altri settori.
Per quanto concerne la tematica relativa agli alloggi, gli obiettivi da lei tracciati sono importanti; tale situazione, ricordo, deriva anche dalla legge n. 266 del 1999 e le chiedo se si possa prestare adeguata attenzione anche alla vendita degli alloggi; la difesa potrebbe incassare parte dei fondi derivanti da tale vendita, purché non sia però limitata a un numero esiguo di casi.
Sullo status giuridico delle Forze armate ritengo che nel provvedimento che discuteremo a breve sia presente un'importante svolta rappresentata dall'ipotesi di stabilire a monte le risorse per gli impegni all'estero. Sottolineo che vi è altresì un comma che ribadisce comunque il contenuto di una legge già esistente avente ad oggetto l'impiego delle Forze armate per compiti di pubblica sicurezza. Dobbiamo fare in modo che le nostre Forze armate assolvano prima i compiti specifici cui sono preposte e poi, laddove vi sia la necessità ed in momenti di emergenza vengano impiegate anche per compiti di pubblica sicurezza. Mi farebbe piacere se lei potesse valutare la possibilità di stralciare dal testo quella parte del provvedimento che riguarda tale impiego ai fini di pubblica sicurezza magari rinviando al provvedimento precedente. Dico ciò anche perché ritengo che le Forze armate siano già molto impegnate.
Trovo importante, invece, l'impiego della marina nelle acque internazionali per il contrasto al fenomeno dell'immigrazione e condivido pienamente ciò che il Governo sta facendo al riguardo.

GIUSEPPE COSSIGA. Signor presidente, contrariamente a quanto manifestato in precedenza preferisco rinunciare al mio intervento; molte domande sono già state rivolte al signor ministro e preferisco lasciare al nostro ospite tutto lo spazio possibile per la replica.

FEDERICO BRICOLO. Signor ministro, vorrei sapere come vengono rinnovate in anticipo le rappresentanze militari che dovevano scadere a luglio.
Per quanto riguarda invece l'attualità, rilevo purtroppo i continui sbarchi di extracomunitari che vi sono in questo momento nel nostro paese. I cittadini, in particolar modo al nord, in Padania, ci chiedono serie azioni di contrasto. Pertanto, visto che in questo momento nel Mediterraneo, in acque internazionali, circolano diverse navi, o pseudo tali, che stanno facendo rotta verso le nostre coste le chiedo cosa stiano facendo le nostre Forze armate per prevenire ulteriori sbarchi. La gente si chiede se dobbiamo usare ancora la nostra marina per trainarle nei nostri porti o se invece a qualcuno verrà l'illuminata idea di impedirne lo sbarco e magari rispedirle nei porti di provenienza.
Signor ministro, le chiedo, infine, cosa intenda fare il nostro Governo nei confronti di quei paesi, ad esempio la Turchia, che non ostacolano questi fenomeni e permettono a queste navi di imbarcare i clandestini nei loro porti per poi dirigersi verso le nostre coste.

GIORGIO GALVAGNO. Signor presidente, anch'io preferisco rinunciare al mio intervento.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signor presidente, vorrei intervenire per rivolgere alcune domande al signor ministro.

PRESIDENTE. Onorevole Gamba, avevamo stabilito che le domande fossero presentate in precedenza e con un preciso termine.


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PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Allora sarebbe forse il caso di prevedere una diversa organizzazione dei lavori; non è possibile che alcuni rivolgano molte domande e altri non intervengano affatto. Abbiamo tutti gli stessi diritti.

PRESIDENTE. Questa organizzazione riguardava la presentazione delle domande e non il tempo a disposizione.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Comunque, volevo solo fare una precisazione su un aspetto della relazione del ministro. Mi riferisco all'abbreviazione del periodo transitorio previsto per il passaggio dal sistema di leva ad un sistema completamente professionale. La possibilità di abbreviare questo periodo come incide sulle già notevoli difficoltà di reclutamento dei volontari? Ad un profano sorgerebbe spontanea la domanda di chiedere come mai si fa ciò se abbiamo già delle difficoltà nel reclutamento. Evidentemente vi sono degli effetti positivi e la pregherei di illustrarceli brevemente. Grazie.

PIERO RUZZANTE. Nel corso del mio intervento intendo svolgere alcune considerazioni in merito ad alcune questioni.
La prima questione sulla quale mi soffermo riguarda il comando delle truppe in Macedonia; in una precedente dichiarazione il Presidente del Consiglio aveva preannunciato l'ipotesi che tale comando venisse affidato all'Italia, oggi invece il ministro ci informa che esso rimarrà affidato ai tedeschi. Sottolineo questo aspetto perché ritengo vada salvaguardato il prestigio internazionale delle nostre Forze armate, tenuto conto che, come numero di militari impiegati nelle diverse operazioni internazionali, il nostro paese si colloca nel mondo al secondo posto; al primo posto, invece, nell'area balcanica. Dico questo perché ho l'impressione che ciò non venga riconosciuto soprattutto nell'assurgere ad un ruolo di comando.
La seconda questione su cui mi soffermo riguarda il numero di suicidi avvenuti all'interno dell'Arma dei carabinieri. Rispondendo ad un'interrogazione formulata in tal senso il Governo ha evidenziato un dato che ha subito destato preoccupazione: 22 suicidi in 15 mesi (più di uno al mese) e coinvolgenti i livelli gerarchici più bassi (6 marescialli, 1 sovrintendente, 5 appuntati, 5 carabinieri effettivi e 5 ausiliari). Signor ministro, lei si è soffermato ad analizzare questi dati?
Infine, la questione palestinese. È di queste ore la notizia concernente la creazione di una forza di interposizione ONU in tale area. Approfitto della presenza del ministro per chiedergli se disponga di ulteriori informazioni al riguardo.

PRESIDENTE. Do la parola al ministro Martino per la replica.

ANTONIO MARTINO, Ministro della difesa. Ringrazio i colleghi per le domande poste; tuttavia, fin da ora mi scuso se, dati i tempi a mia disposizione, non riuscirò a rispondere a tutti in maniera esauriente.
L'onorevole Minniti ha chiesto chiarimenti sull'ipotesi di allargamento del conflitto in ordine alla lotta al terrorismo. Personalmente non sono a conoscenza di nessun piano di allargamento del conflitto; sappiamo soltanto che la rete di cellule terroristiche è presente in un gran numero di paesi. Quando si parla di allargamento del conflitto tutti abbiamo in mente, in questo particolare momento, l'Iraq (lo stesso accadeva due mesi fa con la Somalia). D'altronde, l'Iraq, se vuole veramente scrollarsi di dosso l'accusa di essere impegnato nella produzione di armi di distruzione di massa, ha un modo molto semplice per farlo: consentire il ritorno degli ispettori dell'ONU.

ELETTRA DEIANA. Presidente, mi permette una domanda?

PRESIDENTE. Non è possibile, onorevole Deiana, perché all'inizio si era stabilito di formulare domande o richieste di chiarimento soltanto dopo l'intervento iniziale del ministro. Pertanto, consentiamo al ministro di rispondere.


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ANTONIO MARTINO, Ministro della difesa. Il fatto che tale paese acconsenta al rientro degli ispettori dell'ONU rappresenta un auspicio non privo di fondamento; è chiaro però che, se l'Iraq continuerà a rifiutarsi, permarrebbero dei dubbi circa la sua capacità di dotarsi di mezzi di distruzione di massa. Naturalmente ciò non significa che, se agli ispettori delle Nazioni Unite non fosse consentito di entrare in tale paese e si decidesse un'azione militare nei confronti di esso, il Governo italiano sic et simpliciter accetterebbe una tale prospettiva fortemente preoccupante. Condivido appieno le preoccupazioni dei colleghi Minniti e Deiana, anche perché il Governo prima di decidere vorrà essere certo, sulla base di prove convincenti, che le cose stiano effettivamente in questi termini e, in ogni caso, ci sarebbe comunque un doveroso passaggio parlamentare. Tale prospettiva al momento non sembra vicina, anche perché la reazione dei paesi europei al riguardo è stata fredda, per non dire ostile.
L'articolo apparso sul Los Angeles Times, a cui faceva riferimento prima l'onorevole Minniti, ha, a mio avviso, un effetto positivo perché ipotizza la distruzione di due terzi dell'arsenale nucleare americano, e ciò dovrebbe essere considerato favorevolmente un po' da tutti. Per quanto concerne l'impiego della parte restante di tale arsenale (un terzo) quanto paventato nell'articolo apparso su tale giornale americano rappresenta una delle tante ipotesi e dei tanti scenari possibili, ma ciò non significa che esso si traduca in piani operativi. In ogni caso, non abbiamo nessun riscontro che esistano, al momento, piani operativi in tal senso, anche perché i politici, di tanto in tanto, predispongono degli studi ipotetici sul futuro, ma questo non significa, ripeto, un loro impiego operativo.
I dubbi riguardanti la cosiddetta Forza di reazione rapida nascono da un'intervista da me rilasciata al Daily Telegraph, il quale ha rappresentato la mia posizione in un modo tale che si prestasse a possibili fraintendimenti. La Forza di reazione rapida, come è noto, serve soprattutto per le missioni di Petersberg, le quali includono missioni umanitarie di evacuazione di persone, di peace keeping, di gestione delle crisi, ed includono anche missioni di peace enforcing cioè di imposizione della pace. Queste ultime possono riguardare cose molto diverse, alcune delle quali preoccupanti. Io ho sostenuto - in quell'intervista - che era opportuno, prima di procedere alla creazione - entro il 2003 - di questa Forza di reazione rapida, specificare meglio quale interpretazione dare alla cosiddetta peace enforcing; non solo in merito alle ipotesi da includere negli obiettivi di tale forza, ma anche in merito all'orizzonte geografico: esso concerne solo i paesi europei o anche le zone ad essi limitrofe? O si estende fino al Mediterraneo ed al Mediterraneo «allargato»? In pratica, fino a che distanza dall'Europa dobbiamo essere pronti ad utilizzare le nostre truppe per interventi di quel tipo?
Quanto da me sostenuto è corretto, a mio parere, per due ragioni. Innanzitutto, la Forza di reazione rapida dovrà essere strutturata per far fronte alle esigenze ad essa assegnate; pertanto, se non si conoscono prima quali sono esattamente gli obiettivi che attribuiamo a tale forza non saremo certi di poterla utilizzare. La seconda ragione riguarda l'esistenza di un problema di divisione dei compiti fra quello che si intende far svolgere a tale forza, quello che, viceversa, si ritiene debba essere fatto a livello multinazionale e, infine, quello che si ritiene debba essere fatto a livello NATO. Pertanto, dobbiamo essere esattamente consapevoli di ciò che vogliamo realizzare, anche perché, talvolta, in Europa ci si comporta come chi prima compra un computer e poi si chiede che cosa farne. La procedura logica corretta è quella contraria: prima chiediamoci che cosa vogliamo realizzare e poi strutturiamo la Forza di reazione rapida in funzione di quelle esigenze.
Anche il tema della immigrazione clandestina è stato richiamato in diversi quesiti; tema, specie oggi, estremamente attuale. Al riguardo ribadisco che la posizione del Governo è quella di considerare la libertà di movimento, come tutte le


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libertà, un principio fondamentale ed irrinunciabile. D'altro canto, è nostro convincimento che sia necessario contrastare l'immigrazione clandestina perché riteniamo che essa possa avere l'effetto controproducente di rendere impossibile o difficile l'immigrazione legale. Dico questo perché l'immigrazione clandestina fornisce dello straniero un'immagine negativa perché, molto spesso, finisce con l'alimentare quel mondo che vive ai margini della legalità. Chi crede nella necessità, viceversa, che vi sia un'emigrazione di lavoro di cui il paese ha bisogno, deve battersi contro l'immigrazione clandestina.
Vorrei dire inoltre che il Governo non intende affidare alla marina nuovi compiti di polizia, ma vuole soltanto dare alle attività in corso un riconoscimento ed una legittimazione giuridica; ciò significa che la marina militare può essere impiegata, come è stato fino adesso, in operazioni di contrasto dell'immigrazione clandestina nei limiti delle sue capacità e delle sue funzioni istituzionali. Per le operazioni di polizia, abbiamo i mezzi delle forze di polizia che possono svolgere più efficacemente tale missione. Personalmente, vorrei dire che è molto difficile riuscire ad impedire l'afflusso di immigrati clandestini una volta in mare; la soluzione a quel problema va ricercata impedendo la partenza, e quindi con accordi internazionali, oppure rimandando indietro gli immigrati una volta arrivati, perché una volta in mare si può cercare di far loro cambiare rotta, ma se si rifiutano di farlo cosa facciamo? È molto difficile.
Ricordo che in passato con la Turchia c'è stato un episodio che ha determinato in seguito effetti controproducenti. Il 28 settembre 1998 il ministro dell'interno italiano ed il suo omologo turco firmarono un accordo di cooperazione che includeva anche i fenomeni di immigrazione clandestina e l'impegno all'estradizione di terroristi latitanti presi da uno dei due paesi. Manco a farlo apposta, diciotto giorni dopo, il 16 ottobre 1988, scoppiò il «caso Ocalan», e la dichiarazione del Governo italiano - del resto, conforme ai nostri principi giuridici - fu che Ocalan non poteva essere estradato perché in Turchia vigeva la pena di morte. A questo punto, allora, c'è stata la comprensibile reazione turca: «abbiamo appena firmato un accordo di estradizione e poi voi non lo rispettate». Tuttavia, la strada era quella perseguita dai due ministri dell'interno, vale a dire un accordo che consenta di impedire la partenza di queste navi.
Per quanto attiene alla riforma della leva, segnalata da numerose domande, ed in particolare all'abbreviazione della sua attuazione, ricordo che il passaggio al sistema interamente professionale è disciplinato dal decreto legislativo n. 215 del 2001, che stabilisce le nuove consistenze di personale. Esiste il problema dello smaltimento delle eccedenze nei ruoli in esubero, in particolare nei marescialli, per cui è prevista una diminuzione di circa 40 mila unità. Sono previsti particolari veicoli di riduzione quali il transito nelle altre amministrazioni dello Stato e degli enti locali; è previsto anche che gli esuberi siano computati tra il personale in servizio, impegnando parte delle risorse economiche riservate al reclutamento del personale volontario di truppa. Ciò potrebbe comportare un rallentamento nel reclutamento di volontari a favore della permanenza in servizio di personale di altra categoria, con costi ed età anagrafica più elevati: da qui l'esigenza di favorirne l'esodo.
Il reclutamento dei volontari di truppa costituisce il settore più rilevante di tutto il processo di professionalizzazione, che potrebbe essere anticipato con la sospensione del servizio di leva dal primo gennaio 2005. Tale ipotesi di soluzione sarà oggetto di un apposito disegno di legge di iniziativa governativa, che prevederà la possibilità per i giovani volontari in ferma annuale di presentare domanda per l'accesso alla ferma quadriennale nelle Forze armate o per l'immissione nelle carriere iniziali delle forze di polizia e dei vigili del fuoco. Al riguardo, sono d'accordo con l'onorevole Ascierto: è importantissimo, in questo processo, che i giovani vedano il servizio nelle Forze armate come qualcosa di autonomo e non solo, strumentalmente,


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come un accesso ad altri sbocchi. Per l'accesso alle Forze armate, i giovani vengono selezionati attraverso una procedura interna e immessi in servizio permanente dopo 4-6 anni mediante criteri meritocratici.
Prima di rispondere al quesito posto dall'onorevole Molinari, e anche da altri commissari, sulla mia riflessione in tema di reclutamento di stranieri, vorrei sottoporre all'attenzione della Commissione alcuni fatti ineludibili ed importantissimi in questa materia. In primo luogo, infatti, il saldo demografico (la differenza tra il numero dei nati ed il numero dei morti) in Italia è negativo da dieci anni, vale a dire dal 1992. In secondo luogo, il nostro paese tradizionalmente ha goduto di un tasso di sviluppo molto elevato: nei primi 40 anni dal dopoguerra, dal 1951 al 1990, il tasso medio annuo di crescita è stato del 6,5 per cento; nell'ultimo decennio, invece, dal 1991 al 2000, quel tasso si è abbassato all'1,5 per cento. Se, come tutti auspichiamo, il tasso di crescita dovesse tornare non dico ai livelli prevalenti negli anni del «miracolo economico», ma a livelli comunque più elevati rispetto a quelli registrati nell'ultimo decennio, avremmo due ordini di problemi. Infatti, da un lato vi sarà un numero sempre minore di giovani disponibili (l'incidenza dei giovani sul totale della popolazione va infatti diminuendo, e la stessa popolazione sta invecchiando), dall'altro, questi giovani avrebbero un numero di opportunità di lavoro maggiori rispetto a quelle attuali.
Stando così le cose, l'accorciamento del periodo di transizione verso un esercito professionale è importantissimo, perché questo è un momento particolarmente favorevole per realizzarlo; le cose peggioreranno con il passare del tempo. Si tratta di un momento particolarmente favorevole anche perché, come ho affermato nella mia introduzione, le Forze armate godono in questo momento di una attenzione e di una popolarità presso l'opinione pubblica che non hanno avuto nel passato, certamente nel passato remoto, ma anche nel passato recente. Pertanto, la mia risposta è che sia giusto ed opportuno accorciare il periodo di transizione. Quanto al reperimento delle risorse finanziarie, ne discuteremo con il collega ministro dell'economia e delle finanze.
Per quanto concerne il reclutamento degli stranieri, vorrei dire che non si tratta di una «bizzarria» particolarmente originale di questo ministro. Infatti, esistono in altri paesi reparti particolari formati da stranieri (come, ad esempio, la Legione straniera in Francia o i Gurka in Inghilterra). La mia provocazione, o riflessione, era volta a sottolineare il fatto che ci stiamo avviando verso una carenza di giovani, ed in particolare verso una carenza di giovani che possono servire l'Italia in armi. Questa era la mia riflessione, ma non più di una riflessione, e credo che tutti siano concordi sul fatto che riflettere non è vietato, almeno non ancora, in questo paese.
Per ciò che riguarda il fatto che il Presidente Bush non abbia menzionato l'Italia, onorevole Molinari, le confesso che non riesco a comprendere a fondo il significato della sua domanda, perché potrei risponderle di chiederlo direttamente al Presidente Bush. Tuttavia, le posso dire che questo Governo ha un rapporto straordinariamente positivo con questa amministrazione americana, e la considerazione di cui il nostro Governo gode presso tale amministrazione americana è testimoniata da ciò che il Presidente Bush ha detto di questo Governo e del Presidente del Consiglio italiano. Ciò, inoltre, è dimostrato dal fatto che non ho nessuna difficoltà, ogniqualvolta sia necessario, a mettermi in contatto con il mio omologo americano perché da parte loro ho ricevuto soltanto gratificanti manifestazioni di apprezzamento ed una collaborazione fattiva. Quindi, il fatto che non abbia menzionato l'Italia non mi sembra sia particolarmente significativo.
L'onorevole Deiana, invece, mi chiede un giudizio politico sull'operazione Enduring freedom. Il mio giudizio politico, onorevole Deiana - è inutile che lo dica - è un po' diverso dal suo, forse molto diverso...


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ELETTRA DEIANA. Politico ed anche sull'aspetto militare dell'operazione.

ANTONIO MARTINO, Ministro della difesa. Dal punto di vista politico-militare, l'operazione Enduring freedom ha raggiunto, a mio avviso, tre risultati importanti, anche se non sappiamo ancora se siano duraturi o destinati a rivelarsi effimeri; tuttavia, tre risultati importanti si sono ottenuti.
Il primo risultato è costituito dalla fine del regime dei talebani, una teocrazia talmente brutale e sanguinaria che non credo vi sia una persona non nel Parlamento italiano, ma in Italia, disposta a difenderlo. Se questo si tradurrà o meno della formazione di un governo capace di pacificare quel martoriato paese e di dar vita, come previsto dai risultati della Conferenza di Bonn, ad un processo che lo porti verso la democrazia, non lo sappiamo. Sappiamo, tuttavia, che dobbiamo provarci, ed è per questo che il Governo italiano ha accettato, pur essendo questo ministro consapevole degli alti rischi che l'operazione comporta, di aderire all'operazione ISAF e di accettare una presenza per almeno altri tre mesi a Kabul. Si tratta di un'operazione certamente ad alto rischio, ma è la parte più nobile del mandato che il Governo chiese al Parlamento: come voi ricorderete, infatti, chiedemmo un mandato non solo per fare la lotta al terrorismo, ma anche per aiutare l'Afghanistan ad uscire dalla tormentata crisi in cui si trovava. Il primo risultato, quindi, è la fine del governo dei talebani.
Il secondo risultato è la sconfitta della organizzazione di Al Qaeda in Afghanistan; certo tale organizzazione non è stata debellata completamente e ne permangono, quindi, ancora alcune sacche e certamente per le strade di Kabul camminano elementi di Al Qaeda la quale però non ha più quella capacità operativa che aveva in precedenza.
Questo non significa che è finito il terrorismo, bensì che quella che era una centrale importante per le attività terroristiche è stata sconfitta.
Onorevole Deiana, il terzo risultato, di gran lunga il più importante, se dovesse rivelarsi efficace risponderebbe ad alcune delle sue preoccupazioni. Mi riferisco all'effetto deterrente, potenzialmente straordinario, che una gigantesca coalizione internazionale, fortemente determinata, ha prodotto agendo in Afghanistan! Oggi i cosiddetti governi degli Stati «canaglia», cioè che hanno mostrato una sorta di condiscendenza o complicità con il terrorismo, ci penseranno due volte prima di impegnarsi attivamente in quella direzione. Ciò perché hanno rilevato come il mondo intero, unito come mai prima, abbia dimostrato una grandissima determinazione nel combattere il terrorismo. Questo è un fatto importante che mi auguro possa contribuire a smentire alcune delle sue preoccupazioni relative all'allargamento. Se questo effetto deterrente funziona è possibile che non vi sia bisogno di ulteriori azioni militari nei confronti di altri paesi.
L'onorevole Ascierto mi perdonerà se non rispondo a tutte le sue importanti sollecitazioni, sottolineo comunque che condivido moltissime delle sue preoccupazioni e lo ringrazio per le parole cortesi che ha usato nei miei confronti.
Vi è poi la domanda riguardo alla rappresentanza militare. Se mi è consentito farò riferimento alla risposta che avevo predisposto per l'occasione. Le rappresentanze del personale militare, che durano in carica tre anni, sono state elette nel periodo gennaio-marzo del 1999 e scadranno quindi nell'analogo periodo di quest'anno. Sono pertanto state avviate, presso tutti gli enti delle Forze armate e dei corpi armati le procedure elettorali con apposito calendario approvato dal Ministero della difesa. Il termine di scadenza dell'attuale organismo interforze COCER previsto per il primo aprile 2002 ha subito uno slittamento di circa 45 giorni a seguito dell'avvio delle attività di concertazione da parte del dipartimento della funzione pubblica nel rispetto dei termini indicati dal regolamento. In tal senso abbiamo dovuto rimodulare il calendario delle procedure elettorali. Il presunto anticipo di scadenza


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dei delegati COCER rispetto alla data dell'8 luglio 2002 è riferibile esclusivamente alle elezioni straordinarie della categoria B (sottufficiali dell'esercito), infatti al termine delle elezioni generali svolte nel periodo gennaio-marzo 1999 risultarono eletti al COBAR alcuni candidati non in possesso dei requisiti previsti. Ciò comportò nuove elezioni straordinarie, i cui eletti furono proclamati l'8 luglio del 1999; il regolamento prevede che gli eletti in tali condizioni possano durare in carica solo per il residuo periodo del mandato: in sostanza la loro carica deve scadere alla stessa data prevista per i delegati di tutte le altre sezioni COCER e cioè il 15 maggio di quest'anno.
Per rispondere agli interrogativi sollevati dall'onorevole Ruzzante trovo utile ricordare che all'Italia era stato chiesto formalmente di subentrare al comando della missione Amber Fox al posto della Germania, che aveva manifestato l'intenzione lasciare quel posto. Al nostro paese era stata chiesta la disponibilità prima per un periodo di tre mesi diventati successivamente sei e l'Italia aveva risposto affermativamente; di qui si spiegano le dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri. Successivamente a tale richiesta la Germania è ritornata sulla sua decisione e, d'accordo con i macedoni, per ragioni di continuità e economiche, ha ritenuto di mantenere il comando di Amber Fox; pertanto non vi è niente di scandaloso in questa situazione.
Anticipo qui un'ipotesi che forse non dovrei divulgare essendo solo una possibilità: è possibile che ci venga chiesto, e se così sarà accetteremo, di assumere in autunno il comando della missione Kfor 7 in Kosovo. Non considereremo questa la prova provata della nostra importanza nell'operazione nei Balcani e non consideriamo il fatto che la Germania continui a detenere il comando di Amber Fox come un insulto per l'Italia. Si tratta di decisioni di carattere, a volte, squisitamente contingente.
Per quanto riguarda la considerazione sui casi di suicido nelle Forze armate ricordo che si tratta di un problema che ci ha preoccupato da tempo. Nell'ambito complessivo delle quattro Forze armate, nel 2001 sono stati registrati 27 casi di suicidio, dei quali 20 fuori servizio. Dai rilievi statistici emerge che le supposte motivazioni familiari, affettive, sentimentali, economiche e fisiche sembrano avere una preponderante incidenza rispetto alle motivazioni strettamente attinenti al contesto lavorativo. In sostanza l'evento non appare generalmente riconducibile all'ambiente militare bensì alla conseguenza di situazioni e condizioni pregresse all'ingresso del militare nelle Forze armate.
Per quanto riguarda l'Arma dei carabinieri negli ultimi anni vi è un dato statistico che rappresenta una parte rilevante del dato generale relativo alle Forze armate. Dei 27 casi di suicidi nel 2001, 18 casi, pari al 66 per cento, si sono registrati nell'Arma dei carabinieri; sempre dal punto di vista statistico ed in assenza di un più opportuno confronto con il dato relativo alle altre forze di polizia emerge una analoga incidenza percentuale rispetto al dato medio nazionale relativo alla popolazione maschile di età compresa tra i 14 e i 64 quattro anni. Vorrei ora svolgere al riguardo due considerazioni. La prima porta a ricollegare il fenomeno ai particolari e gravosi servizi effettuati che rendono il personale dell'Arma costantemente soggetto a situazioni rischiose e dal forte impatto emotivo e potenziali fonti di stress psicofisico.
La seconda considerazione è attinente alla disponibilità dell'armamento individuale, che potrebbe consentire al militare un'immediata attuazione del proposito suicida, annullando le possibilità di recupero psicologico sui fattori scatenanti e rendendo quasi sempre certo il tragico epilogo; non a caso, infatti, il numero dei tentati suicidi nell'Arma è molto basso. Il comando generale dell'Arma ha istituito il servizio di psicologia medica con articolazioni periferiche sino al livello di comando di regione ed una componente psichiatrica presso il centro nazionale di selezione e reclutamento nell'Arma per


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l'effettuazione di uno specifico screening degli aspiranti allievi. Sta inoltre attivando una commissione composta da propri rappresentanti e qualificati consulenti esterni per approfondire l'analisi del problema ed individuare possibili provvedimenti preventivi. A fronte dell'elevata frequenza di suicidi registrata negli ultimi mesi ho personalmente invitato tutti responsabili di vertice ad un approfondimento teso ad individuare le eventuali cause connesse con il servizio che possano contribuire a creare presupposti per simili tragedie.

PRESIDENTE. Ringrazio il signor ministro per la sua disponibilità.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 10,45.