Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 8,40.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla fame nel mondo, l'audizione di James T. Morris, direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale (PAM). La presente audizione si svolge in seduta plenaria della Commissione, secondo quanto concordato in sede di Ufficio di presidenza.
Dispongo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal dottor Morris.
Saluto il dottor Morris e gli onorevoli colleghi. Desidero anzitutto ringraziare il nostro ospite per avere corrisposto all'invito rivoltogli a partecipare all'odierna audizione. Il dottor Morris è il direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite; il PAM può essere definito la più grande organizzazione di aiuti alimentari del mondo che, durante l'anno passato, ha nutrito 77 milioni di persone in 82 paesi, per un costo totale di 1,74 miliardi di dollari. Il dottor Morris ha una brillante carriera, incentrata su grandi capacità gestionali a livello organizzativo e amministrativo, ed una vita privata al servizio della collettività, come egli ama giustamente definire la sua opera in favore delle fasce più deboli della società e dei giovani a rischio. Credo che il momento nel quale si svolge la nostra audizione sia importante anche perché si tratta della prima audizione davanti ad un Parlamento di uno dei paesi donatori cui il dottor Morris partecipa dopo avere riferito, il 3 dicembre, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Quindi, è particolarmente importante la nostra audizione; peraltro, credo che il momento difficile, attraversato soprattutto da alcuni paesi del centro Africa, debba sollecitare la nostra attenzione circa il problema in esame.
Il dottor Morris è accompagnato dalla dottoressa Cécile Sportis, responsabile della divisione mobilizzazione delle risorse in Europa, Medio Oriente e Africa; dal dottor Francesco Strippoli, direttore dell'ufficio affari umanitari; dal dottor Francesco Luna, responsabile dell'ufficio stampa in Italia.
Prima di dare la parola al nostro ospite, vorrei indicarvi alcune cifre a proposito dell'attività svolta dall'organizzazione in oggetto. Gli aiuti alimentari consegnati l'anno scorso sono stati 4,2 milioni di tonnellate; i paesi beneficiari, come già detto, sono stati 82; il totale delle spese operative ammonta ad 1,74 miliardi di dollari, di cui le spese per derrate alimentari 841,1 milioni di dollari; contributi in alimenti, 454,5 milioni di dollari; acquisti,
386,6 milioni di dollari; costo dei trasporti via mare, aria e terra, 652 milioni di dollari. A tale proposito, ricordo che la città di Brindisi costituisce il centro più importante per l'invio delle derrate alimentari. Infine: per la voce altre spese, 251 milioni di dollari; spese amministrative, 129 milioni di dollari; spese per il personale, 2,567 di cui il 90 per cento per il personale sul terreno.
Do la parola al dottor Morris, ringraziandolo nuovamente per la sua disponibilità e chiedendogli scusa per l'orario della convocazione, invero assai mattiniero. Tuttavia, questa era l'unica data che potevamo indicare sulla base del calendario dei lavori parlamentari.
JAMES T MORRIS, Direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale (PAM). Voglio anch'io formulare un ringraziamento per l'invito che mi è stato rivolto. Onorevoli deputati, sono molto riconoscente dell'occasione che mi viene offerta e dell'onore che mi si fa consentendomi di interloquire con voi stamani, anche se brevemente. Dico subito che non leggerò la relazione, che penso vi sia stata distribuita; credo infatti sia più opportuno instaurare un dialogo ed eventualmente rispondere alle vostre domande.
Per noi, stamattina, questa esperienza è assai importante per vari motivi. L'Italia sotto molti punti di vista è il migliore «amico» del PAM; Roma è la città più importante del mondo in termini di alimentazione internazionale e le principali agenzie delle Nazioni Unite hanno base a Roma: il PAM, la FAO, la Banca per lo sviluppo agricolo, le agenzie per lo sviluppo scientifico e tecnologico. Gli italiani sono ospiti meravigliosi e gran parte dei nostri colleghi sono italiani; di conseguenza, vi è una sorta di impronta del vostro paese in tutti i programmi alimentari che si svolgono nel mondo, realtà di cui dovete andare orgogliosi. Il PAM è l'agenzia alimentare umanitaria più ampia nel mondo; è il più ampio programma delle Nazioni Unite e, come è stato testé ricordato dal presidente, abbiamo dato da mangiare, nell'ultimo anno, a 77 milioni di persone in 82 paesi. Il nostro obiettivo è dar da mangiare ai più poveri ed ai più derelitti nel mondo, dovunque essi si trovino; l'obiettivo del nostro lavoro è teso ad alimentare le persone più deboli e vulnerabili nelle varie comunità. Di solito, si tratta di donne che si occupano della famiglia o sono in stato interessante oppure stanno allattando i propri figli.
Vorrei sottolineare il nostro impegno con i bambini, la parte più importante del nostro lavoro. Abbiamo partner distribuiti in tutto il mondo e le risorse derivano da contributi il cui conferimento è su base volontaria e non obbligatoria; il nostro organismo è sostenuto dai Governi e dall'Unione europea. Invero, pur ricevendo offerte anche dai privati, siamo alimentati - e sono questi i contributi che consentono il nostro lavoro - soprattutto da una decina di Governi e dall'Unione europea. Oggi, abbiamo di fronte tantissime sfide, molto importanti, nel mondo; nei quarant'anni della nostra esistenza, non abbiamo mai incontrato sfide tanto formidabili da affrontare con così poche risorse. Anzitutto, vi sono state molte più catastrofi naturali rispetto al passato e qualcosa è cambiato nello stesso clima del globo. Abbiamo calcolato, insieme alla FAO, che, nel decennio degli anni '90, vi sono stati circa 18 disastri naturali all'anno di amplissima portata nel mondo. La seconda parte degli anni '90 ha visto studi e progetti di assistenza per 33 disastri naturali l'anno. Tali cifre, poi, si sono raddoppiate; inoltre, sempre più spesso i disastri naturali si verificano in luoghi in cui le condizioni umane sono già terribili oppure dove vi è già una situazione conflittuale. Quindi, la somma della situazione preesistente e dei disastri naturali rappresenta veramente qualcosa di devastante.
Quanto alle situazioni economiche penose nel mondo, registriamo come non si facciano più investimenti nelle infrastrutture agricole.
La storia dimostra come le economie più avanzate dei paesi occidentali abbiano iniziato il loro sviluppo dal settore agricolo, investendo nel settore agricolo. Ora, invece, si riducono gli investimenti per le
infrastrutture in questo settore. Durante lo scorso anno, queste cifre si sono addirittura rovesciate. Il Regno Unito ha aumentato la sua assistenza allo sviluppo delle infrastrutture agricole di base del 5 per cento e gli Stati Uniti, lo scorso anno, hanno impiegato risorse per l'assistenza a queste infrastrutture nella misura del 38 per cento.
In Africa, ci sono nuove sfide senza precedenti da affrontare. Inoltre, un problema particolarmente delicato è rappresentato dalla situazione della Corea del nord. L'ampiezza del nostro lavoro, lo scorso anno, soltanto nei territori palestinesi è aumentata dal 20 al 30 per cento. Negli ultimi due anni, l'opera svolta in Afghanistan è stata veramente enorme. Riguardo a quest'ultimo paese ci sono buone notizie, perché è in corso il rientro dei profughi ad una velocità pari a due volte e mezzo rispetto a quella che ci saremmo aspettati e tutte le agenzie delle Nazioni Unite si adoperano per assistere questi profughi nel ritorno ai loro luoghi di origine e per aiutarli ad essere nuovamente attivi e produttivi.
Vorrei fornirvi una idea generale dei problemi esistenti in Africa. In questo continente ci sono 40 milioni di persone che rischiano la morte per fame. Come giustamente ricordato dal presidente di questa Commissione, circa due settimane fa ho vissuto una bellissima esperienza di fronte al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, perché ho osservato un grande interesse nel cercare di collegare i problemi della fame e della povertà alla pace ed alla sicurezza. Lo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite mi ha chiesto di impegnarmi in qualità di inviato speciale per verificare che cosa stia accadendo in Mozambico, Malawi, Swaziland, Zambia, Zimbabwe, Lesotho e in altri paesi nei quali 14 milioni e mezzo di persone sono a rischio di morte per fame. Si tratta di sei Stati che soffrono, già da tre anni, tremende condizioni ambientali dovute, per lo più, alla siccità e complicate in misura geometrica dall'AIDS. Non si può non sottolineare l'incidenza dell'AIDS in questa parte dell'Africa. Il tasso di infezione tra gli adulti, nei sei paesi oggetto dell'indagine, oscilla tra il 15 e il 35 per cento e, proprio a causa dell'AIDS, la dinamica della comunità agricola, la vita economica e familiare, l'istruzione e la stessa cultura sono cambiate.
Nell'Africa subsahariana ci saranno 10 milioni di orfani a causa dell'AIDS, cioè bambini che hanno perso i genitori in seguito al contagio di questa malattia. Spesso, sono le nonne settantenni ad occuparsi dei bambini ed hanno anche 20 nipoti a cui badare, senza disporre di sufficienti risorse. I bambini sono malati e, in paesi come lo Zambia, non possono più neanche andare a scuola. La perdita di così tanti uomini e donne falciati dall'AIDS ha provocato una drastica riduzione della produttività agricola in questi paesi ed ha cambiato il modo in cui le famiglie si dedicano alle coltivazioni. Milioni di persone infettate non hanno più la forza di lavorare i campi. Peraltro, queste famiglie hanno speso gran parte delle loro povere risorse per curarsi o per le spese funerarie. L'unica strada per uscire da questa situazione, nel lungo termine, è quella dell'educazione e dell'istruzione, che deve iniziare in età molto precoce. Al problema del clima, quindi, si collegano quelli dell'AIDS, della tubercolosi, della malaria e della diarrea, tutte malattie molto diffuse.
Un altro aspetto da considerare è quello relativo alle politiche macroeconomiche e a tutto quanto è afferente alla governance. Dobbiamo chiederci se l'economia di mercato funzioni in questi paesi, se le persone siano o meno incentivate ad essere produttive, se gli operatori esterni siano disposti a fornire strutture, se l'infrastruttura del paese sia orientata verso l'agricoltura e verso la sanità e quale politica segua ciascun paese. Sono molto preoccupato, e anche un po' avvilito, di fronte ad una struttura sanitaria pubblica, in Africa meridionale, praticamente inesistente. Infatti, molti medici professionisti hanno lasciato quella parte del continente per andare a vivere in Sudafrica o nel Regno Unito. Lo stesso vale per gli infermieri e i farmacisti. Migliaia di persone
hanno perso la vita a causa dell'AIDS e molti sono andati via per trovare migliori condizioni di vita. Circa 7 milioni di persone, vale a dire la metà della popolazione dello Zimbabwe, ed altri tre milioni, fra Zambia e Malawi, sono a rischio e lo stesso vale per altre diverse centinaia di persone negli altri tre paesi oggetto dell'indagine.
Gli stessi ed altri problemi ci sono nel Corno d'Africa, in primo luogo in Etiopia ed Eritrea. Talvolta si considera appartenente a questa zona anche il Sudan nel quale, tuttavia, le difficoltà sono differenti. La principale risorsa di Etiopia ed Eritrea, come ben sapete, è costituita da una agricoltura fortemente dipendente dalle precipitazioni. Quest'anno le piogge autunnali hanno tardato di sei o otto settimane e, quindi, il raccolto in Eritrea sarà il 20 per cento rispetto a quello di un anno fa. In Etiopia, il 20 per cento della popolazione è a rischio. É una situazione nella quale circa 14 o 15 milioni di persone rischiano la morte per la fame e per la carestia. Non c'è acqua e vivere senza acqua comporta situazioni catastrofiche per il bestiame. Il PAM, ogni giorno, fornisce cibo a 2,9 milioni di persone nel Sudan, luogo in cui è difficilissimo lavorare a causa della siccità, del conflitto e così via. Il numero potenziale di persone da aiutare è di circa 18 milioni, situazione analoga a quella dell'Africa meridionale. Nella parte occidentale del Sahel, in Mauritania e Mali, vi è un altro milione di persone in difficoltà. Ci sono conflitti e agitazioni in Costa d'Avorio, Sierra Leone, Liberia e Guinea. Un enorme numero di profughi e rifugiati si spostano. Diversi milioni di persone a rischio cercano una alimentazione adeguata in luoghi quali la Sierra Leone e noi cerchiamo di assicurarla, perché questo è un modo per mantenere la pace.
Anche in Angola la situazione è drammatica; tuttavia, per la prima volta in quarant'anni, nel paese non vi è più la guerra e possiamo adoperarci, dunque, per dare da mangiare a tutti, famiglie, soldati (di qualsiasi schieramento siano), riuscendo a sfamare 2,9 milioni di persone. Molti dei profughi, dispersi sul territorio, sono stati da noi rintracciati quando, dopo il conflitto, è stato possibile aiutarli.
Non ho mai visto niente di simile a quanto sta succedendo oggi in Africa. L'Italia va elogiata per la leadership assunta nel G8 a favore del lavoro della NEPAD (la Nuova partnership economica per lo sviluppo africano). Con tale organismo abbiamo collaborato per raggiungere, con gli aiuti, 40, 50 milioni di ragazzi in età scolare. Credo che l'opera più importante che il PAM può compiere sia occuparsi di loro.
Nel mondo, su 800 milioni di persone che soffrono la fame, 300 milioni sono bambini in età scolare; bambini la metà dei quali diserta la scuola: di questi ultimi, poi, il 70 per cento sono bambine. Noi sappiamo che la mensa scolastica costituisce un incentivo molto stimolante per un bambino al fine di indurlo a frequentare la scuola. Peraltro, un bambino affamato non ha possibilità di apprendere mentre, se noi gli diamo la possibilità, a scuola, di mangiare, egli renderà di più, apprendendo meglio. Inoltre, andando a scuola, può anche interagire con il WHO (l'Organizzazione mondiale della sanità); si potrà, quindi, meglio aiutare i bambini. Pensate, ad esempio, a quelli che hanno i vermi nella pancia: il verme mangia la metà di quanto ingerisce il bambino; eppure, con sole tre pasticche l'anno, si potrebbero debellare tali infezioni da germi intestinali in modo che il bambino possa nutrirsi e crescere. Occorre quindi riportare il bambino a scuola in modo che si renda conto delle sue capacità; le femmine, ad esempio, in tal modo - comprendendo, a dodici o tredici anni, l'esistenza per loro di altre opportunità - abbandonerebbero le abitudini di vita che vedono esaurito il loro ruolo in quello procreativo.
La stessa produttività individuale, qualunque lavoro si svolga (agricoltore, insegnante e via dicendo) potrebbe migliorare, naturalmente a seconda dell'istruzione ricevuta. La mia ferma opinione è che il modo migliore di ottenere miglioramenti duraturi in questa parte del mondo risieda nella capacità di alimentare quei 40 o 50
milioni di bambini che non vanno a scuola e che, invece, sarebbe opportuno vi andassero. Si può dare da mangiare ad un bambino con 40 dollari l'anno solamente; con così poco, si può ottenere così tanto! Quindi, il vostro impegno di lavoro, in collaborazione con la NEPAD, vi fa onore; veramente devo riconoscere che l'Italia è stata un partner finanziario formidabile per il PAM. Ci ha accompagnati sin dall'incipit di questo programma alimentare per i bambini nelle scuole. Si tratta di un aspetto del quale il vostro paese deve veramente essere orgoglioso.
Ultimamente, ho visitato la Tanzania; nel 1999, vi erano soltanto 400 bambini che frequentavano le scuole di cui ci occupiamo, l'otto per cento dei quali le scuole secondarie. Abbiamo cominciato in Tanzania questo programma di alimentazione nelle scuole e già adesso gli studenti sono divenuti 8, di cui il 22 per cento sono passati alla scuola secondaria.
A Kabul, in Afganistan, un anno fa a scuola andavano 1.500 bambini mentre adesso, cominciato il programma, sono divenuti 3.200; di questi, 1.500 bambine ed il resto ragazzi. Vedete dunque che differenze si possono ottenere così rapidamente; so bene che da tempo avete mostrato grande interesse nei confronti dell'Africa e vi siamo molto riconoscenti per il sostegno che ci avete dato.
Vengo adesso a parlarvi della Repubblica della Corea del nord; vi ho trascorso cinque giorni e, di nuovo, devo riconoscere il ruolo di sostegno esercitato dall'Italia nei riguardi del nostro operato. La situazione locale è molto difficile; il PAM cerca di concentrarsi solo su aspetti umanitari, senza occuparsi di aspetti politico-militari. In tal modo, diamo da mangiare, ogni giorno, tra la popolazione, a 6 milioni 400 mila persone. Quattro milioni di bambini, quattrocentomila donne - delle quali molte in stato interessante e molte che stanno allattando -, quattrocentomila anziani e altri ancora, appartenenti un po' a tutte le categorie. Sono molto preoccupato per il futuro di queste attività umanitarie, sotto molti aspetti; peraltro, i nord-coreani sono persone con le quali è difficile lavorare in quanto non riescono ad aderire agli stessi parametri, agli stessi standard che il PAM applica a qualsiasi altro paese del mondo. Abbiamo chiesto responsabilità, trasparenza, accesso; stiamo compiendo, invero, alcuni progressi, ma non abbiamo ancora la possibilità di visite casuali per potere verificare se veramente il cibo giunga alla destinazione da noi indicata. Né possiamo vedere se le scuole e gli orfanotrofi si trovino esattamente dove ci hanno detto. Infatti, abbiamo accesso soltanto a 62 dei 206 distretti e si tratta dell'unico paese che non ci permette di portare direttamente il cibo agli affamati e ai poveri lì dove risiedono e vivono.
Abbiamo 110 nostri addetti in Corea, di cui sei sono cittadini della Corea del nord; siamo l'unica agenzia internazionale importante presente nel paese; anche il WHO e l'UNICEF hanno dei programmi in quella zona, ma di minore respiro. La maggior parte dei nostri donatori, tra i quali sicuramente l'Italia - che, infatti, ha seguito proprio questa impostazione - hanno inteso separare l'aspetto degli aiuti umanitari da quello politico. Ma per riuscire a consegnare questo sostegno umanitario, i nostri donatori debbono essere certi che i loro fondi vadano a buon fine. Con la Corea del nord, però, ciò veramente è difficile da verificare; ho incontrato il ministro degli esteri, il sottosegretario, il ministro dell'agricoltura. Ho supplicato che mi aiutassero e continuerò a farlo ma, ciononostante, devo dire che abbiamo dovuto ridurre della metà il nostro aiuto. Credo, peraltro, che dovremmo fare ancora un'altra riduzione della metà. Si tratta di 50, 60 milioni di tonnellate cubiche di cibo per il prossimo anno, di cui 23 dall'Unione europea e 10 dall'Italia; i sostenitori principali sono Stati Uniti, Giappone e Corea del sud. Ma non sappiamo se tali aiuti continueranno in futuro.
L'Italia ci ha aiutato molto nei territori palestinesi; noi non diamo da mangiare ai rifugiati perché vi è un'agenzia particolare delle Nazioni Unite che si occupa specificamente di ciò. Tuttavia, sosteniamo la popolazione palestinese in senso lato, specie
i più bisognosi. Prima assistevamo 371 mila persone, mentre adesso siamo passati a 500 mila; peraltro, come immaginerete, le condizioni di lavoro in Palestina sono molto ardue. Moltissimi sono i disoccupati; addirittura in alcune zone il 100 per cento, causa anche le moltissime difficoltà di trasporto e di movimento. Anche in tal caso, il problema principale è costituito dai bambini. Queste sono le sfide che abbiamo di fronte.
Le risorse del programma, per quest'anno, ammonteranno a 1,9 miliardi di dollari, ma il mio obiettivo sarebbe quello di disporre di tre miliardi di dollari per il prossimo quinquennio. Stiamo cercando di attrarre nell'ambito del PAM nuovi donatori tra cui Russia, Cina e India. Ho visitato questi paesi e sono lieto di poter affermare che ciascuno di essi diventerà presto nostro partner principale. Ciò, naturalmente, è un successo. Dobbiamo concentrarci di più sulla nutrizione, sull'educazione e sull'istruzione, che fungono da leva, e dovremo anche investire, come ho già ricordato, sulle infrastrutture agricole. Abbiamo bisogno di un maggiore accesso alle eccedenze mondali, per poterle destinare a fini umanitari. So che quando si affrontano questi argomenti emergono aspetti di politica e di interscambio economico piuttosto scomodi; ma se riuscissimo ad ottenere soltanto l'1 o il 2 per cento delle eccedenze agricole mondiali potremmo compiere un grandissimo passo in avanti e disporremmo di molte più risorse e beni per aiutare i più derelitti. Ad esempio, l'Italia vanta un'eccedenza di riso e so che c'è un interesse, da parte sua, a metterlo a nostra disposizione; per noi sarebbe molto utile. Siamo in contatto anche con l'Unione europea e il WTO e, a questo proposito, chiedo il vostro intervento perché si possa trovare il modo di utilizzare queste eccedenze alimentari, senza troppe preoccupazioni commerciali, per scopi umanitari.
Desidero rinnovare la nostra gratitudine all'Italia, che mette a nostra disposizione la struttura, gli impiegati e lo staff; abbiamo una splendida sede vicino all'aeroporto di Fiumicino. Quotidianamente, riusciamo a riunire presso la nostra sede delegazioni provenienti da tutto il mondo, talvolta anche Capi di Stato, e questo contribuisce a formare una buona immagine dell'Italia. Siete stati nostro partner per i programmi di alimentazione, per i programmi contro l'AIDS, insieme alla FAO, per i programmi di istruzione, con l'Unicef, e per i programmi di bonifica delle scuole: abbiamo svolto una importante attività in comune. Notevole è il contributo del vostro paese per il nostro lavoro in Palestrina e in Afghanistan. Non sappiamo che cosa stia accadendo in Iraq, in cui sono presenti ben 970 impiegati del PAM, di cui 70 di varie nazionalità e, per il resto, iracheni. In tale paese abbiamo gestito, per le Nazioni Unite, il programma «Cibo in cambio di petrolio» e fornito assistenza a molti curdi, nella regione settentrionale. Assicuriamo cibo a circa venti milioni di persone. Se ci dovesse essere un conflitto, non so come riusciremmo a proseguire le operazioni di distribuzione degli alimenti. Comunque, sarà importante mantenere la nostra presenza. Nella graduatoria dei nostri contribuenti, l'Italia è passata dalla quattordicesima alla nona posizione e mi auguro che, quale eminente membro del G8, possa giungere ad occupare la quinta posizione tra i nostri principali contribuenti e donatori.
È stato, per me, un grande piacere potere accennare a tutti questi problemi e sono molto interessato ad ascoltare le vostre osservazioni e le vostre domande. Il PAM ha sede nel vostro paese, a Roma, e rappresenta uno dei beni principali che possano esistere al mondo, perché noi cerchiamo di salvare le vite e di alleviare le sofferenze umane. Questo è il nostro obiettivo. La sofferenza dei bambini nel mondo, dei bambini che hanno fame, è qualcosa che non si può sopportare, soprattutto se avete avuto l'occasione di abbracciarne qualcuno, di vederli fisicamente. Secondo me, non c'è niente di più terribile dei bambini che hanno fame. Noi ci siamo concentrati su questo tipo di aiuto. Sia dal punto di vista umanitario sia dal punto di vista economico, sociale, politico e spirituale abbiamo tutti un legittimo
interesse al miglioramento di queste situazioni e ad una sostanziale riduzione della fame nel mondo e ad offrire a tutti una opportunità di vita, soprattutto a quei bambini che, oggi, non hanno prospettive per il futuro. Sappiate che c'è il cibo nel mondo, c'è la tecnologia, ci sono i mezzi e c'è anche il cuore, ma abbiamo bisogno di un impegno politico, di una volontà politica risoluta dell'occidente per superare questa impasse.
PRESIDENTE. Come avete ascoltato, il quadro presenta aspetti drammatici ma anche la speranza che possano essere superate le situazioni più gravi, che coinvolgono soprattutto le donne e i bambini. Credo che dobbiamo assumere un impegno politico. A questo proposito, vorrei salutare l'ambasciatore Berlenghi, rappresentante permanente dell'Italia presso le agenzie dell'ONU con sede a Roma, e ringraziarlo. Ho ascoltato le valutazioni positive per quanto riguarda la entità del contributo dell'Italia, ma anche quelle relative a quanto dobbiamo ancora realizzare. Dal momento che la sede centrale del PAM è qui, a Roma, abbiamo la possibilità di esercitare un controllo ancora maggiore affinché i fondi stanziati raggiungano gli obiettivi previsti.
Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti al dottor Morris.
ALBERTO MICHELINI. Ringrazio il signor Morris per la sua illustrazione relativa ad una situazione drammatica, tragica. Mi riferisco, in particolare, all'Africa, in cui muore un bambino ogni tre secondi: un continente ricco popolato da poveri. Le agenzie delle Nazioni Unite, con sede a Roma, che si occupano di problemi alimentari affrontano, in qualche modo, l'emergenza ma continuano a rincorrere l'emergenza. Quanto i paesi del G8 cercano di realizzare con il Piano di azione per l'Africa che, ideato in occasione della conferenza di Genova ed approvato a Kananaskis, dovrà essere verificato nel prossimo vertice di Evian, almeno per quanto riguarda i suoi primi mesi di vita dato che il processo è a lungo termine, è di creare una nuova partnership tra G8 e NEPAD al fine di creare le condizioni per lo sviluppo, in modo che non si debba più correre dietro l'emergenza. Non so quanto tempo passerà ma, diversamente, il problema non si risolve.
Le responsabilità dell'occidente - mi riferisco al colonialismo e specialmente al post-colonialismo - sono molto gravi; oggi, l'occidente deve impegnarsi per mettere soprattutto l'Africa in condizione di svilupparsi. Gli africani vogliono assumersi le loro responsabilità ma chiedono che li si aiuti; durante l'ultimo incontro svoltosi in Ghana, uno dei ministri da me incontrati mi ha riferito un particolare circa una manifestazione di protesta, a Londra, di alcuni africani. Ebbene, in quell'occasione, una signora aveva un cartello recante tale slogan: «noi siamo qui perché voi eravate lì». Il problema è serio e, venendo alla domanda che intendevo porle, le faccio presente le difficoltà di comunicazione sussistenti tra istituzioni multilaterali, pure impegnate negli stessi, identici obiettivi, quelli del Millennium development goals, tra i quali, ad esempio, dimezzare la povertà e le persone affamate nel mondo entro il 2015. Tali organismi lavorano parallelamente ma senza sinergia. La circostanza che il PAM abbia la sede a Roma ci ha aiutato; infatti, in questi mesi, ci siamo potuti incontrare con la dottoressa Catena, una delle persone che lavorano al PAM. È stato così possibile inserire nel Piano d'azione per l'Africa lo school feeding. Si tratta, evidentemente, di uno degli esempi di sinergia possibile; però, uno dei problemi più seri che ho potuto constatare da quando sono impegnato in questo campo (quindi, da circa un anno e mezzo) è la circostanza che si sta lavorando in tanti ma senza comunicazione, e più o meno con gli stessi obiettivi. Quindi, sussistono delle contraddizioni.
Per quanto riguarda il PAM, è chiaro che bisogna tamponare l'emergenza intervenendo sulle infrastrutture e mettendole in condizioni di funzionare. Ci si dovrebbe impegnare maggiormente nel creare le condizioni sul posto; basterebbe poco: un pozzo alimentato da energia alternativa, in
molti casi il micro-credito. Ricordo, al riguardo, che lo school feeding è uno dei progetti di più grande successo del PAM.
Per concludere, a mio avviso sono necessari sinergia ed impegno, non solamente per l'emergenza ma anche nel cercare di creare le condizioni di sviluppo.
LAURA CIMA. Purtroppo, devo dire che sono rimasta molto colpita dalla sua relazione, dottor Morris. La Commissione affari esteri ha sempre presente la situazione drammatica, di sviluppo insostenibile, del mondo; ciononostante, risulta ugualmente drammatico avere sott'occhio le cifre indicate da chi di detta situazione si deve occupare professionalmente. Oltre agli aspetti fondamentali testé riferiti dall'onorevole Michelini circa la mancanza di sinergia, credo si debba anche lamentare la difficoltà dei Governi del mondo - misurata già a Johannesburg - ad assumersi fino in fondo la responsabilità di tale situazione. Ieri, per esempio, il nostro ministro della difesa ha annunciato la disponibilità dell'Italia a fornire le basi per la probabile guerra in Iraq; sappiamo cosa succederebbe in una tale evenienza. La guerra è incompatibile con la possibilità di individuare le giuste soluzioni ai detti problemi. Non pensa che sarebbe opportuno - proprio in ragione del fatto che la capacità dei Governi non è sufficiente - coinvolgere sempre di più gli enti locali, che forse hanno anche una sensibilità più vicina ai cittadini e, addirittura, i cittadini stessi che il cuore, come lei ha ricordato, ce l'hanno? Per esempio, una delle campagne più di successo - l'adozione a distanza - potrebbe essere sostenuta fortemente. Altrimenti, temo veramente che si vada verso la distruzione di questo nostro pianeta.
GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Desidero ringraziare il signor Morris per la sua relazione; vorrei ricordare quanto già comunicato dal presidente. L'odierna audizione avviene nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla fame nel mondo, che si concluderà con l'elaborazione di un documento finale, che metta in evidenza tutte le cause che sono all'origine del drammatico problema in oggetto. Faccio tale premessa, signor Morris, perché abbiamo la necessità di individuare anche responsabilità di carattere «politico». Mi rendo conto che è difficile chiederle un parere di carattere politico, atteso che il PAM da lei diretto ha il compito di dare un sostegno da un punto di vista squisitamente umanitario. Attraversiamo un momento in cui politicamente e culturalmente vengono mosse gravissime accuse nei confronti delle organizzazioni internazionali; mi riferisco, in particolare, al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale. Inoltre, causa anche le strumentalizzazioni ideologiche, si addebitano responsabilità ai cosiddetti paesi industrializzati.
Vorrei sapere da lei quali siano, invece, a suo giudizio, le vere e importanti responsabilità dei paesi poveri o in via di sviluppo e dei rispettivi Governi. Lei, in qualche modo, ci ha spiegato quali siano le responsabilità dei governanti della Corea del nord. Ma vorrei ricordare a me stesso quali responsabilità hanno i governanti del Sudafrica, anche per quanto riguarda i programmi di distribuzione dei vaccini anti AIDS; e, inoltre, quali responsabilità hanno i governanti dello Zimbabwe, e quali quelli dello Zambia, che lasciano fuori dai propri confini tonnellate di derrate alimentari provenienti dagli Stati Uniti solo perché si ritiene che siano prodotte con organismi geneticamente modificati. Quindi, le chiedo possibilmente di spiegarci - scusandomi per la sintesi di questo mio breve intervento - quali effettive responsabilità culturali e politiche vi siano da parte dei Governi dei paesi poveri o in via di sviluppo; le chiedo altresì se non ritenga che la comunità internazionale, al di là degli aiuti di carattere economico ed umanitario (anche con derrate alimentari, come lei giustamente ha segnalato), debba svolgere anche un ruolo forte per modificare la struttura, la cultura e la dimensione politica di questi paesi, i quali non concorrono a risolvere i problemi interni delle loro popolazioni.
VALERIO CALZOLAIO. Le chiedo, dottor Morris, se nel programma di attività di breve e medio periodo della vostra agenzia vi siano state modifiche dopo il vertice di Johannesburg. La domanda nasce dal fatto che, se non erro, a Johannesburg si è convenuto di dare attenzione non solo ai programmi di prevenzione e riequilibrio a lungo termine ma anche, e soprattutto, all'intervento di emergenza connesso al verificarsi di eventi calamitosi; si è dunque enfatizzato il ruolo di braccio operativo di interventi d'urgenza, ruolo proprio della vostra agenzia.
Le domando inoltre in quale modo l'aiuto umanitario e di emergenza si rapporti normalmente con i piani più organici, di medio-lungo termine, di lotta alla fame, alla povertà, alle malattie, di sostegno all'agricoltura, all'educazione ed al commercio.
Una tra le principali ragioni di aiuto umanitario in emergenza sono le recenti, frequenti e diffuse siccità in varie parti del pianeta. Ormai, quasi tutti paesi hanno un proprio piano di azione organico contro la siccità e la desertificazione. Ad esempio, in Mali ed in Mauritania (lei si è riferito a questi paesi e all'aiuto ai bambini nelle scuole) fra le materie obbligatorie previste nelle scuole elementari rientra la lotta alla desertificazione, al pari di come, in Italia, può esserci la matematica, perché si tratta di una condizione quotidiana. Quindi, l'aiuto di emergenza dovrebbe collegarsi, in qualche modo, ai piani di gestione delle risorse idriche, all'agricoltura e all'utilizzo del suolo, organicamente differenti nell'ambito dell'aiuto allo sviluppo. Vorrei sapere se vi sia qualche relazione e se pensate di individuarla.
Un'altra domanda riguarda la nostra indagine. Lei ha svolto una relazione molto interessante e di ciò ringraziamo lei ed i suoi collaboratori e dirigenti che sono presenti in questa audizione. Nella relazione ha fatto riferimento ai quasi 300 italiani che lavorano con lei (alcuni dei quali presenti in questa sede) e all'importante opera che essi svolgono, citando, in particolare, il dottor Francesco Strippoli, direttore dell'ufficio affari umanitari. Sono anche per noi, spesso, un legame ed una conoscenza importante. Noi stiamo compiendo una indagine conoscitiva sulla fame nel mondo e, perciò, ci risulta un po' difficile limitarci ad alcune domande sintetiche, poiché vorremmo discutere e cercare di capire, di approfondire. Tuttavia, tale indagine non termina con l'audizione di oggi e le chiediamo, quindi, di attivare un rapporto più organico. Voi operate sempre sull'emergenza: talvolta a chi operi nei Parlamenti e nelle istituzioni è utile conoscere direttamente l'urgenza e la necessità di concentrare risorse, iniziative, progetti. Quindi, le chiediamo di continuare ad intrattenere un rapporto con il Parlamento italiano. Tra l'altro, mi sembra che a gennaio si celebrerà il quarantesimo anniversario della presenza del PAM a Roma e dell'apertura della vostra agenzia. Dal momento che avevamo ipotizzato di visitare le sedi delle agenzie presenti nella capitale, la scadenza di gennaio potrebbe rappresentare una occasione utile.
Un'ulteriore domanda riguarda proprio il rapporto con le altre agenzie presenti a Roma. Abbiamo già ascoltato i dirigenti di FAO e IFAD. Desideriamo sapere quale sia la sua opinione su tali rapporti, come valuti i risultati del secondo World Food Summit che si è svolto nel giugno dello scorso anno e come pensa sia possibile accentuare gli elementi di collaborazione con queste altre organizzazioni.
PRESIDENTE. Poiché il tempo a nostra disposizione è piuttosto limitato, mi rivolgo ai colleghi che desiderino rivolgere ulteriori domande affinché cerchino di contenerle in tempi brevi, anche perché, come ricordato dall'onorevole Calzolaio, il nostro lavoro proseguirà e avremo la possibilità di ascoltare altri rappresentanti di organizzazioni internazionali con sede a Roma.
MARCO ZACCHERA. Il presidente ha ragione e, pertanto, impiegherò poco tempo. D'altronde, ritengo che audizioni così brevi non consentano di focalizzare i problemi. Al di là delle questioni politiche, riguardo alle quali mi riallaccio alle affermazioni
del collega Landi di Chiavenna, che condivido, vorrei rivolgere alcune domande a Mr. Morris, per le quali desidero risposte precise.
Innanzitutto, vorrei sapere se non ritenga un compito, in qualche modo, prioritario delle organizzazioni internazionali attuare una certa regolamentazione delle nascite. Lavoro nel terzo mondo da 21 anni: nessun Governo può risolvere o tentare di risolvere le sue situazioni interne con una popolazione attuale raddoppiata rispetto a quella di vent'anni fa.
Al di là di questo, vorrei rivolgerle altre domande precise per le quali, se non potrà fornire una risposta in questa audizione, le chiedo di inviarci relazioni esaustive. La prima è volta a conoscere i criteri di acquisizione delle derrate alimentari da parte della sua organizzazione, perché ho constatato di persona che qualche volta (posso fornirle i dettagli in altra sede) arrivano derrate non adatte, per così dire, alla situazione. Quindi, vorrei sapere chi decida e in che termini si acquistino queste derrate alimentari.
Inoltre, vorrei conoscere nei dettagli il rapporto tra i costi di distribuzione e di raccolta del cibo e gli aiuti che sono effettivamente distribuiti. Vorrei sapere quanto costi, alla fine, un chilogrammo di farina. Infatti, quando mi trovavo in Angola, insieme al collega Bianchi, ho constatato che, per trasportare il grano, di valore unitario di pochi decine di centesimi di dollaro al chilogrammo, anche a causa della impossibilità di ricorrere ad un diverso mezzo di trasporto, erano utilizzati gli aerei; alla fine, questo cibo raggiungeva un costo pari a dieci volte il prezzo normale del grano, con una conseguente drammatica riduzione delle quantità che possono essere distribuite.
Anche se non in questa sede, sarebbe per me molto interessante avere una relazione seria su queste problematiche, che ritengo siano discusse quotidianamente all'interno della vostra agenzia.
PIETRO FOLENA. Vorrei rivolgere a mister Morris gli auguri per il nuovo importantissimo incarico che ricopre, peraltro, già dallo scorso mese di aprile in Italia, un paese che non soltanto ospita il Programma alimentare mondiale dal 1963 ma che, dal 2001, ha aumentato significativamente la propria capacità di donazione, risalendo nella classifica dei paesi finanziatori. Anche noi ci auguriamo di poter arrivare presto al quarto o al quinto posto.
Come giustamente ricordato dal collega Landi di Chiavenna, il vero problema è rappresentato dalle cause, tra le quali lei ne ha indicate, sostanzialmente, quattro: il collasso dei sistemi politico-economici in alcuni paesi, le violenze politiche ed etniche, l'AIDS e i cambiamenti del clima. Per alcune di queste cause si può individuare una origine dato che, dietro alla diffusione di fenomeni come i cambiamenti climatici, si possono intravedere gli effetti di accordi internazionali come il protocollo di Kyoto oppure, per quanto riguarda l'AIDS, il ruolo importante svolto dalle grandi multinazionali di farmaci, che hanno contribuito drammaticamente alla inefficacia nella lotta e nel contrasto. Tuttavia, vorrei un giudizio un po' più analitico: desidero sapere se, secondo il suo parere, i grandi processi di privatizzazione e di concentrazione economica in poche mani verificatisi negli ultimi 15 anni, privatizzazioni che hanno interessato, in modo particolare, alcuni settori come, per esempio, l'acqua, abbiano contribuito in modo significativo, se non ad aumentare quantitativamente il fenomeno (perché così non è, se si guarda a 20 anni fa), a concentrarlo drammaticamente in alcune aree del mondo e a determinare emergenze come quelle dell'Africa australe.
A mio avviso la realtà è diversa da quanto, forse, riferisce qualche collega; l'occidente non promuove «guerre» per aumentare i poveri nel mondo (e meno che mai il nostro paese), tutt'al più si attiva per prevenire eventuali situazioni catastrofiche.
Svolta tale premessa, sono del parere che bisognerebbe anzitutto capire le realtà locali, soprattutto con riferimento a paesi quali il Congo, la Tanzania, lo Zambia (luoghi, peraltro, a me ben noti). Il cattivo
funzionamento di alcuni di tali Stati - come il Congo, lo Zimbabwe e la Zambia - poteva essere prevenuto. Da un'agenzia diffusa dall'Ansa, risulta che il Presidente del Congo, Kabila, proprio ieri avrebbe firmato un patto di armistizio con i ribelli. A mio avviso, la migliore risorsa per tali zone - lei parlava dell'Africa, senz'altro il continente più colpito - è il turismo, che permette loro di ricevere grandi risorse.
Con riferimento al sistema di prevenzione delle malattie, lei ha fornito i dati circa la diffusione dell'AIDS, malattia che, in determinate zone, si attesterebbe ad una percentuale variabile dal 15 al 35 per cento. È vero; sono appena stato in Tanzania e lo posso confermare: per esempio, Zanzibar arriverebbe addirittura al 38 per cento di diffusione di tale contagio. Non è un caso che in quello Stato la religione non consenta neppure che si usino determinate precauzioni. Bisognerebbe dunque attivarsi; ad esempio, personalmente sto cercando di inviare medici provvisti di adeguati macchinari al fine di prevenire la diffusione di tali malattie. È ovvio che deve esserci la collaborazione dei paesi stessi in quanto, se rifiutano di cooperare, non è facile poi che escano dalle loro drammatiche situazioni.
Sono davvero molte le agenzie e gli enti che nel mondo si interessano della soluzione del problema della fame. Mi domando perché non si cerchi, una volta tanto, di fonderle in un'unica grande organizzazione, al fine di evitare che ognuna delle molteplici organizzazioni che hanno l'obiettivo di combattere la fame nel mondo vada per la sua strada. A tale proposito, sarebbe bene, una volta tanto, unire gli sforzi anziché lasciare che ognuna di esse persegua il proprio fine, spesso confliggente con quelli delle altre; occorre, infatti, un'unica azione, comune, che risolva veramente il problema. Lei sa benissimo che 36 mila persone che ogni giorno muoiono di fame sono un fatto intollerabile ed impossibile da far capire alla gente.
SAVERIO VERTONE. Generalmente, in queste discussioni si sente sempre, per così dire, lo stesso «concerto»: la sinistra, che accusa la politica dei governi più ricchi del mondo di non favorire lo sviluppo dei paesi poveri e, quindi, di influenzare negativamente la situazione, anche alimentare, di quei paesi medesimi; la destra, che risponde immediatamente dicendo che la causa, invece, va ricondotta ai paesi stessi, alla loro corruzione e via dicendo. Fino a che punto lei ritiene che la povertà - e quindi la fame - di immense plaghe del mondo (l'Africa soprattutto, ma anche l'Asia, l'America latina e oggi anche l'Argentina) dipenda dalla politica economica, per esempio dal protezionismo della Comunità europea? Ad esempio, paghiamo la carne cinque o sei volte il prezzo del mercato mondiale ed una delle ragioni del tracollo della zootecnia argentina è proprio questa. In genere, sia gli Stati Uniti sia l'Europa hanno altissime barriere protettive che in un modo o nell'altro - o attraverso finanziamenti agli agricoltori o attraverso dazi - impediscono alle derrate dei prodotti dei paesi più poveri di entrare nei loro mercati e favoriscono, invece, le loro esportazioni. Non è questa, forse, la causa immediata e più imponente che spiega la fame nel mondo?
PRESIDENTE. Vorrei rivolgere anch'io una domanda al nostro ospite, una questione di carattere generale che, però, può tornare utile ai nostri lavori. Da otto mesi lei ha assunto questo incarico; tra l'altro, ha riferito come il numero dei donatori sia aumentato, anche in aree significative come la Russia e la Cina. Vuole lasciarci un'impressione globale dei rapporti fra il World Food Programme e i paesi donatori? Naturalmente, se vuole, può evitare di parlare dell'Italia. Causa l'esiguità dei tempi a disposizione per il prosieguo dei nostri lavori, mi corre l'obbligo, purtroppo, di ricordarle che per la replica può contare solamente su venti minuti circa. Le do pertanto la parola.
JAMES T MORRIS, Direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale (PAM). Abbiamo preso nota di tutte le domande poste, domande di spessore, per ciascuna
delle quali occorrerebbe un dibattito completo e lungo. Infatti, avete colto tutti aspetti salienti e molto importanti; risponderemo per iscritto agli interrogativi e distribuiremo altresì i testi relativi. Per ora, sicuramente dovremmo trovare il modo di intensificare il dialogo tra il PAM e la Commissione, i cui membri sono così attenti. Per noi sarebbe un grande onore potervi ricevere nella nostra sede, in ipotesi anche ad intervalli regolari, a che possiate incontrare la nostra dirigenza, gli esponenti dello staff. Sicuramente, dallo scambio di opinioni, potrebbe risultare un reciproco vantaggio; dunque, noi potremmo attivarci con il presidente e con la segreteria della Commissione per cercare di tradurre in realtà tale intento.
Ringrazio l'onorevole Michelini che per primo è intervenuto; sono lieto di avere l'occasione, in questa sede, di ringraziarla pubblicamente e di esprimere la nostra ammirazione per la sua guida eccellente durante tutto il G8, soprattutto per quanto riguarda l'Africa ed il NEPAD. Come ho riferito poc'anzi, credo fermamente che dare da mangiare ai bambini sia l'aspetto più importante. Abbiamo parlato dell'obiettivo di ridurre della metà la fame e di tutti gli altri obiettivi del millennio: la parità dei sessi, nelle scuole, l'aiuto alle madri. Tutti aspetti che afferiscono all'alimentazione; ma, a mio avviso, il modo migliore per ridurre della metà la fame e fare dei passi avanti è dare da mangiare ai 300 milioni di bambini che soffrono la fame. Farlo attraverso le scuole è un sistema vincente; quindi, le sono molto riconoscente perché ci ha fatto un po' da portavoce in questa battaglia.
Sinergie e comunicazioni sono sicuramente molto importanti; invero, il PAM ha 2 mila ONG (che sono sue partner) più 85 Governi più 5.200 donatori. Con le altre agenzie delle Nazioni Unite lavoriamo meglio di quanto si pensi dall'esterno. Senz'altro vi sono punti di attrito, ma non così profondi; credo che vi farà piacere apprendere come, per esempio, abbiamo lavorato con l'IFAD in Cina ed India. Siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto per tirare fuori da una enorme povertà la Cina. Ho incontrato lo stesso Vice Primo ministro cinese, venuto a Roma proprio per ringraziarci del lavoro da noi svolto unitamente all'IFAD; un lavoro teso a sollevare il paese da una situazione assai grave. Senz'altro cercheremo di comunicare meglio con gli altri istituti. Per quanto riguarda l'UNICEF, tra i membri del personale UNICEF, 125 persone si occupano di comunicazioni mentre noi ne abbiamo soltanto 19. Peraltro, il nostro bilancio è maggiore di quello dell'UNICEF che, però, è molto più abile di noi a rendere conto della propria attività. In futuro, dovremmo forse cercare di essere più visibili.
Molti di voi hanno sottolineato la differenza tra un intervento in risposta ad una crisi, ad una emergenza, ed una attività a lungo termine. Noi ci occupiamo sia dell'emergenza sia dell'attività a lungo termine. Forse, compiere simili distinzioni è più dannoso che utile perché le risposte in casi di emergenza, se attuate in modo efficace, producono importanti effetti nel lungo termine. Una azione intrapresa in caso di emergenza può salvare la vita ad una persona, si può cambiare il suo schema nutritivo, la sua situazione di salute, il suo livello di istruzione e, inoltre, si creano risorse.
Nella ricostruzione delle infrastrutture delle comunità, frequentemente diamo attuazione al programma «Cibo in cambio di lavoro» realizzando, in tal modo, strade, scuole e infrastrutture. Ad esempio, abbiamo pagato 150 mila insegnanti scolastici in Afghanistan con il cibo, scambiandolo con l'insegnamento: noi possediamo gli alimenti che, in un paese dove non c'è denaro, diventano valuta. Cerchiamo di rispondere alle crisi in modo tale che gli effetti si protraggano nel lungo termine.
Per quanto riguarda la necessità di raggiungere le autorità locali e l'esigenza che i governi affrontino questi temi più seriamente, noi lavoriamo a stretto contatto con le autorità ed i governi regionali e nazionali, particolarmente quando si tratta di avviare un programma sul posto. Cerchiamo di ripensare i nostri contatti
con i singoli privati e con le organizzazioni anche per rendere più consapevole del nostro operato l'opinione pubblica.
L'onorevole Landi di Chiavenna si è riferito alle responsabilità dei governi dei paesi in via di sviluppo, dei paesi riceventi. Sicuramente, questo è un interrogativo importante. La situazione è molto difficile nello Zimbabwe perché non c'è un mercato aperto. Molti Stati sono privi di strutture agricole e nei confronti della scienza e della tecnologia c'è una profonda incomprensione, soprattutto in materia di organismi geneticamente modificati. La popolazione ha paura di questi prodotti e la cattiva informazione rende incredibilmente difficile il nostro lavoro. Il 75 per cento degli aiuti, in Africa meridionale, provenivano da Stati Uniti, Canada e Argentina ed erano costituiti da organismi geneticamente modificati o, perlomeno, avevano una componente modificata ed è stato, per noi, quasi impossibile portare avanti il nostro lavoro.
Per quanto riguarda le politiche economiche, ricordo che il Malawi ha esaurito le eccedenze, non detiene più alcuna riserva, ed un paese non può andare avanti senza un fondo di riserva: sicuramente, una migliore politica economica avrebbe potuto aiutare a superare questa difficoltà. Non c'è niente che possa sostituire una leadership del settore pubblico e la qualità della leadership determina il perseguimento o meno di obiettivi corretti.
Anche la governance ha rappresentato, per noi, un aspetto molto spinoso. In passato, l'85 per cento del nostro lavoro era consacrato allo sviluppo; adesso è rivolto, invece, proprio alla risposta in caso di emergenza o di crisi. Abbiamo affermato che il PAM è una sorta di autoambulanza del mondo, che si precipita ogni volta che c'è una crisi. Noi cerchiamo di definire i nostri interventi e di verificare che producano effetti a lungo termine, come prima ho ricordato.
Siamo riusciti ad evitare la ricomparsa degli stessi problemi attraverso una diversificazione di raccolti che resistano meglio alla siccità ed investimenti nei sistemi di irrigazione. Il ministro dell'agricoltura del Malawi, per esempio, ha affermato che, se disponesse di 75 milioni di dollari da investire nel suo paese per la realizzazione di sistemi di irrigazione, non ci sarebbe più siccità. Basterebbe questo. Lo Zimbabwe ha sempre avuto l'acqua. Eliminando l'agricoltura commerciale, che ha i mezzi tecnici per utilizzare le acque contenute nei bacini, anche gli agricoltori di comunità si sono ritrovati senz'acqua. Ci si è trovati in una situazione insolita. Il paese è riuscito, per anni, a produrre eccedenze di acqua per tutta l'Africa meridionale, poi, però, è subentrato anche l'AIDS che ha falciato i lavoratori e ci si è trovati nuovamente in difficoltà.
La scienza, attualmente, è molto sofisticata. Compito della FAO è di determinare quali siano le colture più adatte. Il mio collega, il direttore dell'ufficio affari umanitari, uno dei nostri più importanti esponenti, sa che i parlamentari possono recarsi in missione nelle sedi presso le quali realizziamo i nostri programmi, per verificare, sul posto, come operiamo.
Per quanto riguarda i nostri rapporti con le altre agenzie delle Nazioni Unite, è stato affermato che, forse, sarebbe meglio se esistesse una sola grande organizzazione. Non condivido questa affermazione, perché ciascuna svolge ruoli diversi: ad esempio, l'IFAD è una banca, la FAO compie studi, noi realizziamo interventi concreti. Certamente, ci sono molte sovrapposizioni e dovremmo cooperare meglio. Tuttavia, esiste un senso di partnership e i nostri funzionari lavorano insieme. Ci gioviamo anche della collaborazione di 2000 partners: si pensi alla Croce rossa, alla Chiesa cattolica o alle moltissime organizzazioni locali. Ritengo più utile che le organizzazioni che contribuiscono alla soluzione di questi problemi siano molte, ciascuna con la propria indipendenza, competenza e con le proprie risorse, tutte ispirandosi alla nostra finalità, quella di eliminare la fame nel mondo.
Il PAM non è impegnato nel campo della pianificazione familiare, che rientra tra i compiti dell'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della riduzione demografica. Tuttavia, stiamo attuando il
programma di school feeding a beneficio, soprattutto, delle ragazze più giovani, prive di istruzione. Il fatto stesso di far frequentare loro la scuola può cambiare vistosamente le loro abitudini relativamente alla maternità precoce. Infatti, una ragazza di 12 anni che va a scuola non è una madre di 12 anni che deve allevare un bambino; anche l'AIDS, oggi, colpisce le donne tanto quanto gli uomini; quindi, le ragazze possono avere a scuola la speranza di cambiare le proprie abitudini sessuali per il meglio.
So che centinaia di migliaia di persone nel mondo non hanno accesso all'acqua pulita; le Nazioni Unite stanno facendo molto per tale questione; tuttavia, non ho la percezione che esista un controllo efficace da parte dell'organizzazione per il problema idrico.
È stato citato lo Zimbabwe, ed il ruolo del turismo, che potrebbe rappresentare una via di sviluppo; per quanto riguarda le politiche economiche corrette, le ritengo fondamentali perché l'Africa ha necessità di migliorare le sue esportazioni e di aprire i suoi mercati; abbiamo speso negli anni molti sussidi per l'agricoltura e l'allevamento del bestiame, invece di nutrire le persone, e forse sarebbe necessario mutare le nostre politiche economiche.
Le relazioni con i donatori sono molto buone; abbiamo dieci donatori che finanziano il 90 per cento delle nostre risorse. Ciò, però, non è positivo: gli Stati Uniti da soli finanziano il 60 per cento del nostro bilancio. Nessun organismo può essere così tanto dipendente da un solo finanziatore, per cui cerchiamo di fare del nostro meglio affinché i venti paesi del mondo, che ci possono aiutare, contribuiscano; desideriamo che tutti i 121 membri delle Nazione Unite diventino dei finanziatori del PAM; abbiamo avuto anche un contributo del Vaticano di 10 mila dollari, che è una cifra simbolica, ma che è anche un inizio, augurandoci che possa crescere nel prossimo anno, e così via. È, perciò, ovvio mantenere forti relazioni con i nostri donatori tradizionali, attrarre nuovi donatori, e sviluppare programmi di raccolta di fondi più efficaci.
Ci sono, inoltre, donatori che sono grosse società private, come la TPG dei Paesi Bassi che diventerà un finanziatore; ha 140 mila persone, ed ha chiesto a ciascuno di essi di permettere ad un bambino di mangiare per un anno: la loro risposta è stata positiva. Mi auguro che nei prossimi anni potremo avere fino a quindici partner come la società citata.
Vi ringrazio per avermi dato l'occasione di comunicarvi i nostri problemi: ciò per noi significa molto.
PRESIDENTE. Ringrazio il direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, James Morris, la cui audizione è risultata di grande interesse nel quadro dell'indagine conoscitiva sulla fame del mondo.
Lei ha fornito molto materiale per le nostre riflessioni e lo ha commentato con grande sincerità, sottolineando la gravità del problema, ma aprendo anche le speranze per un contributo risolutivo. Le sono molto grato, ed in nome della Commissione le faccio molti auguri di buon lavoro. La sua responsabilità è grande, perché lei si confronta con un problema fra i più drammatici, quello della fame nel mondo, soprattutto quando colpisce i bambini e le donne.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10,05.