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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione del professor Renato Maggiore, ex procuratore generale militare presso la Corte suprema di Cassazione, in relazione alle tematiche oggetto dell'inchiesta parlamentare. Ricordo che nella seduta del 13 ottobre il professor Renato Maggiore ha iniziato a svolgere la sua relazione. Invito, quindi, il professor Maggiore a continuare la propria relazione.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Saluto la presidenza, i commissari ed i presenti. Mi permetto di fare una premessa. Casualmente venerdì scorso, di sera, mi è accaduto di captare su Radio radicale e, quindi, di sentire - però non nella parte iniziale - la registrazione della mia precedente audizione in questa sede del 13 ottobre. Data la poca attenzione, almeno iniziale, da me posta in quell'ascolto, a causa della sorpresa, per la incertezza del riflusso della mia memoria ballerina mi è parso, fra il lusco e il brusco, di avvertire il pizzico di un dubbio su un lapsus nel quale mi parrebbe di essere incorso in quella sede. Se è accaduto, è un lapsus, che trova nel contesto stesso di ciò che dicevo la sua correzione, e però vorrei pregare di consentirmi di aggiungere, ove necessario, una parola di chiarimento. In quell'occasione avevo prodotto e consegnato, tramite la segreteria, una nota alla presidenza relativa a ciò che mi era parso di comunicare, in data 24 giugno 1994, al procuratore generale militare della Corte di cassazione, il collega Giuseppe Scandurra. Era evidentemente una nota indirizzata a lui. Per iscritto quel destinatario era evidenziato.
PRESIDENTE. Lo abbiamo già corretto.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Allora mi fermo qui. Mi pareva di aver sentito quel lapsus; allora veramente ho sentito e ricordo bene. Mi pareva di aver notato nella registrazione udita di aver detto che il destinatario di quella lettera era il collega Antonino Intelisano. Assolutamente no, risultava in re ipsa. Chiedo scusa per questa superflua mia maniera di introdurre il discorso e per questa perdita di tempo che quindi ho prodotto.
Mi pare che, al momento in cui fu necessario sospendere la mia dichiarazione, io fossi al punto del mio riferito arrivo a Roma, con le funzioni di procuratore militare presso la Procura generale militare della Repubblica, che allora era presso il Tribunale supremo militare, nel 1973. Vorrei aggiungere che era quello il mio ingresso nella Procura generale militare per il servizio che poi è stato continuativo,
ma che comunque già a Roma mi era accaduto, per pochissimo tempo, di essere in servizio, nel 1968, quando, essendo a Bari, dal procuratore generale militare presso il Tribunale supremo militare dell'epoca, eccellenza Santacroce, fui onorato ed onerato d'una designazione: di fare il giudice istruttore, a Roma - e venni per poco tempo - nel procedimento a carico dell'allora generale di corpo d'armata, Giovanni De Lorenzo, il quale era imputato di reati dei quali ora non so indicare con precisione la fattispecie, ma che comunque erano fra quelli inclusi nel titolo del tradimento del codice penale militare di pace.
Fu una breve permanenza a Roma in servizio per questa particolare necessità, per questa designazione nei mie confronti, che allora era consentita: la scelta per designazione era consentita dagli ordinamenti vigenti dopo il 1941. Poi invece vi sono pervenuto in via definitiva nel 1973.
A quella data non sapevo niente della vicenda della quale si occupa oggi la Commissione e allora nessuno dei colleghi da me incontrati nella Procura generale militare della Repubblica me ne parlò. Ritengo che tutti quelli con i quali avevo un qualche rapporto di vicinanza e di confidenza la ignorassero; nessuno mi disse parola alcuna al riguardo, né sotto il profilo della confidenza né della «parolina», del pettegolezzo di corridoio. Non ne seppi nulla nel 1973 e negli anni successivi, sino a quella che io chiamo la mia scoperta, perché, come ho detto, fui io, con la cortesia, l'abilità, il dinamismo del dirigente superiore delle cancellerie militari, colonnello Bianchi, a provocare l'emersione di queste carte, quasi involontariamente perché cercavo altre carte: l'ho detto e non voglio ripeterlo, non voglio essere tedioso e stancare.
Dal 1973 fui a Roma, quindi, presso la Procura generale militare della Repubblica (sino al pensionamento, a palazzo Cesi, tranne la parentesi napoletana: 1984-88). Ho detto, e non ripeto, cosa facevo; ho detto anche che non vi ero in assoluta continuità per tutta la settimana perché mantenevo l'esigenza, alla quale era sembrato molto aderente il procuratore generale militare dell'epoca, di andare settimanalmente a Palermo, ogni venerdì pomeriggio, per tenere delle lezioni, una il venerdì e due il sabato, una al mattino ed una al pomeriggio, alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Palermo. Questa mia attività durò sino al 1981, data in cui, essendo stato nominato sostituto procuratore generale presso la Cassazione, ritenni opportuno e necessario dismetterla con una lettera di dimissioni che - probabilmente è carta in più -, se la presidenza crede, posso consegnare alla segreteria della Commissione. Sino al 1981, quindi, fui in servizio a Roma come magistrato militare e, in particolare, come procuratore militare della Repubblica presso la Procura generale militare, che è stata innanzi al Tribunale supremo militare fino alla legge n. 180 del 1981, poi divenne Procura generale militare della Repubblica presso la Corte suprema di cassazione, e io là continuai a lavorare.
Allora nessuno dei colleghi incontrati mi disse qualcosa sull'argomento; presumo ignorassero. Dei colleghi allora incontrati posso ricordare i viventi oggi, non molti: Vittorio Veutro e Riccardo Saverio Malizia, il quale aveva conseguito insieme a me alcuni anni prima la libera docenza. Questi due magistrati, se non sbaglio, erano prevalentemente investiti di funzioni giudicanti, ma le strutture dell'epoca, l'anomalia caratteristica nella struttura, nella costituzione, nella vigenza del Tribunale supremo militare facevano sì che anche i giudicanti spessissimo avessero necessità di contatto con il procuratore generale militare della Repubblica. Io perciò li ricordo e perciò li incontrai. Vi erano inoltre i colleghi Ottavio Orecchio, Orazio Romano ed il professor Leonardo Campanelli, i quali avevano la funzione di magistrato militare addetto al procuratore generale militare, funzione che io non ebbi mai. Vi erano poi i colleghi - parlo dei viventi -, oggi in pensione, Giovanni Di Blasi, Giannettino Puoti, che è ordinario alla Sapienza;
vennero poi i colleghi Francesco Scuderi e Antonino Intelisano, come magistrati militari addetti, qualifica da me mai rivestita.
Mi pare di dire cosa forse di qualche pertinenza, di cogliere quasi una domanda sul punto: chi era questo magistrato militare addetto al procuratore generale militare? Era il grand commis della situazione; non sostituiva il procuratore generale militare durante le sue assenze o nelle cerimonie, quando non poteva essere presente, ma era, in un certo senso, il suo alter ego, se si può dire, nella tattica, nella strategia corporativa della magistratura militare o forse dovrei dire della giustizia militare, intendendo con ciò qualcosa comprensivo della magistratura ma in senso stretto, perché relativo anche a tutti i cancellieri, al personale di cancelleria, ai vari ausiliari, ai militari comunque aggiunti, in servizio presso la magistratura militare.
Non è che il magistrato militare addetto fosse, per un sua etichettatura naturale, il più bravo, il più valoroso, il più studioso, il meritevole di maggiore fiducia. Accadeva che il procuratore generale militare lo designasse in relazione a suoi parametri, ad una sua opinione, perché ne apprezzava il lavoro precedentemente svolto nelle varie posizioni del servizio, perché lo considerava particolarmente idoneo all'organizzazione degli uffici, perché ne stimava la capacità di collegamento con i corridoi del ministero. Voglio dire insomma che non era il primo della classe; per presunzione, non era il più bravo, il più studioso, il più valoroso. Era indubbiamente dotato, non poteva non essere dotato di notevolissima professionalità, ma la sua scelta avveniva intuitu personae in relazione ai criteri personali del procuratore generale militare. Non era il primo della classe; del resto che così non fosse è evidenziato in maniera solare dalla posizione dei due magistrati che ho ultimamente ricordati per averli incontrati in quella sede, Francesco Scuderi e Antonino Intelisano, entrambi di sicuro molto dotati professionalmente, ma con un grande divario fra di loro sotto il profilo della capacità nello studio. Basti pensare al dato che Antonino Intelisano era stato il primo dei vincitori del suo concorso per l'accesso alla magistratura militare, mentre Francesco Scuderi era stato l'ultimo fra i vincitori del suo concorso. Io non fui mai magistrato militare addetto al procuratore generale militare, incarico che ebbe poi termine, se non erro, attorno al 1986.
Detto ciò, torno al reperimento avvenuto per mio impulso, volontario ed involontario, del carteggio di cui si occupa la Commissione. Fu una mia scoperta; l'ho detto, lo ripeto e lo ribadisco, perché è qualcosa di cui mi vanto. Lo sapevano le pietre di palazzo Cesi, lo sapevano i mattonati dei corridoi di palazzo Cesi.
Essendo pervenuto a questa acquisizione di dati, io avevo avuto visione del cosiddetto registro generale, che era affiorato da quel carteggio, collocato nell'ultima parte, la più oscura, dei locali di cui avevo parlato, destinati ad archivio del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Io ero informato di questo e ne avevano saputo sia il procuratore generale Scandurra, perché gliene avevo detto e scritto, sia gli altri perché la cosa si era palesata ed ovviamente si era dovuta far conoscere. Della conoscenza della cosa a me risultò perché molti me ne chiesero e, in particolare, qualcuno me ne scrisse: posso esibire una lettera del 30 giugno 1994 scrittami dal procuratore militare della Repubblica Antonino Intelisano, il quale scriveva a me ed al procuratore generale militare presso la Corte militare di appello, Giuseppe Scandurra, perché si sapeva del ritrovamento avvenuto nei suoi locali, in quelli che ormai erano divenuti locali e carteggi di sua pertinenza, a seguito della soppressione del posto di procuratore militare addetto ai Tribunali militari di guerra soppressi, avvenuta per decreto ministeriale alla fine del 1991, per cui tutto era passato al procuratore generale militare presso la Corte militare di appello, Scandurra, e quella funzione fu quindi via via svolta da uno dei sostituti di Scandurra.
La lettera di Intelisano, quindi, era diretta a me e a Scandurra. Vi si dice: è emersa la necessità di prendere visione del carteggio già esistente negli archivi della Procura generale militare presso il Tribunale supremo militare - l'ente precedente la Procura generale militare, dove io ero in servizio - relativo a crimini di guerra commessi durante il secondo conflitto mondiale, ed in ordine a quanto precede si prega di autorizzare lo scrivente per la parte di rispettiva competenza a prendere visione degli atti in argomento. Se la presidenza lo ritiene, ove sia utile e a voi non risulti, posso lasciare questa lettera.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. La lettera è del 30 giugno 1994. È evidentemente una lettera che io intesi come espressione di cortesia da parte di Intelisano nei miei confronti e nei confronti del procuratore generale militare presso la Corte militare di appello, il collega Giuseppe Scandurra, perché Intelisano era il procuratore militare della Repubblica di Roma, pubblico ministero di primo grado, e da magistrato dinamico e di valore ben conosceva tutte le prerogative che a lui provenivano dalla legge processuale penale, ordinaria e militare. Sapeva bene tutto quello che aveva il diritto ed il dovere di fare, secondo le varie possibilità che gli strumenti del codice di procedura penale gli attribuivano. Quindi, per cortesia credette con questa nota di richiedere a me e a Scandurra la visione di quelle carte.
Seppi poi che, tre o quattro giorni dopo che quel carteggio aveva avuto evidenziazione, giustamente, come aveva il diritto di fare, il collega Intelisano aveva chiesto ed ottenuto dalla cancelleria - mi pare dal colonnello Bianchi - fotocopia del registro generale che era stato reperito in quei locali.
Dopo questa lettera del 30 giugno ricevetti la risposta da parte di Scandurra a quella mia comunicazione precedente. Scandurra, in data 4 luglio, mi diceva, scrivendo solo a me: «In riferimento al foglio (...), comunico di aver già disposto ricerche nei registri e negli archivi di questa Procura generale militare in relazione ai carteggi e nei locali ora di questo ufficio a seguito (...). Ho incaricato il sostituto procuratore generale militare anziano, dottor Nicolosi, di seguire attentamente l'intera questione. La prego pertanto, nell'ambito di una reciproca collaborazione, di voler comunicare» - era un accettare la mia offerta rivoltagli con la lettera del 24 giugno - «l'eventuale disponibilità del magistrato di codesto generale ufficio che ella ritenga di nominare da affiancare nel lavoro predetto al designato sostituto procuratore generale militare». Posso consegnare alla Commissione anche questa lettera.
La lettera era di Scandurra per il motivo che ho detto: il procuratore militare presso i Tribunali militari di guerra soppressi non c'era più; quei carteggi e quei locali erano tutti transitati alla Procura generale militare presso la Corte militare di appello, della quale era titolare Scandurra.
A seguito di questa comunicazione pervenutami da Scandurra, che accettava il mio contributo per i lavori di avviamento ai vari uffici di procura che doveva essere svolto per i carteggi emergenti ed emersi, pensai di designare il collega Bonagura, mio sostituto anziano, per quest'opera di ausilio al lavoro che avrebbe dovuto fare la Procura generale militare della Repubblica presso la Corte militare di appello. Lo interpellai, poiché una sua partecipazione a questo lavoro non poteva che derivare da un'adesione spontanea: un magistrato di legittimità, quale era Bonagura, non poteva essere preso per il collarino ed assegnato ad una funzione di fatto presso la Corte militare di appello. Sotto il profilo della collaborazione tra uffici, intesa nel miglior modo, Bonagura non ebbe alcuna esitazione ad accettare ciò che io gli proponevo di fare.
Pensai al collega Bonagura perché era il mio sostituto anziano. In fondo Scandurra
mi aveva detto di aver dato incarico specifico per questa forma di lavoro, di ricerca e di avviamento delle carte al suo sostituto procuratore generale militare anziano. Bonagura era ed è un magistrato validissimo, di grande dignità, di grande indipendenza e, in particolare, dotato di una formazione culturale spiccatamente antinazifascista. Non per questi sentimenti, che erano del resto i sentimenti di tutti i magistrati militari che risultano testi qualificati in questa inchiesta - intendo dire Scandurra, Bonagura, Nicolosi ed Intelisano -, ma anche per l'individuazione di questa sua formazione culturale avevo pensato a lui e lui fu immediatamente adesivo, accettò.
Debbo dire che questi sentimenti certamente animavano anche Giuseppe Scandurra e credo di dover aggiungere che, del pari, erano questi i sentimenti del collega Massimo Nicolosi, da me ben conosciuto. Per quanto riguarda Nicolosi, mi è facile dire una cosa di rilievo oggettivo e molto nota, perché sulla stampa se ne dovette parlare: mi riferisco alla necessità che incontrò Massimo Nicolosi di astenersi dal presiedere le udienze nei confronti del criminale di guerra Priebke; astensione che fu deliberata dal primo presidente della Corte suprema di cassazione, perché Massimo Nicolosi era stretto congiunto - adesso non saprei indicare il grado - di una vittima delle Fosse Ardeatine. I giornali ne parlarono, la cosa fu chiarita e fu messa giustamente in luce dalle esigenze della difesa.
Parlavo dei sentimenti saldamente democratici di questi colleghi ed è per questo motivo che dico ciò anche per Nicolosi. Ho già detto del valore di Intelisano, ma quanto all'aspetto specifico sul quale mi sono ora fermato debbo dire che egli era assolutamente in linea con questa posizione di pensiero. Io ho ben conosciuto Intelisano, ho conosciuto tutta la Weltanschauung di Intelisano; all'apparenza sembra una parola dotta, ma Intelisano è un magistrato dotto: oltre che un validissimo magistrato, è un uomo dotto.
Avevo conosciuto Intelisano anche sotto questo aspetto quando nella Procura generale militare della Repubblica rivestii la posizione di preposto all'ufficio studi, attorno al 1976, ed in tale ufficio volli avere con me - mi si mise nella condizione di scegliere, di domandare chi volessi avere come collaboratori - Antonino Intelisano ed i colleghi Fabretti e Richiello, purtroppo prematuramente defunto e a me tanto caro. L'ufficio studi aveva allora principalmente la funzione di far nascere - io la fondai - e di alimentare la rassegna della giustizia militare; funzione che, molto cordialmente e caramente, mi impose di accettare e di svolgere il procuratore generale militare, Ugo Foscolo. Intelisano, Fabretti e Richiello facevano parte di quell'ufficio studi, della redazione di quella rassegna.
Questi colleghi, testi qualificati, nei termini che ho potuto indicare, mai schierati per idea partitica nel loro lavoro di ufficio, avevano però questi principi, queste opinioni, contrarie ad ogni tipo di violenza e di pensamento nazista.
Bonagura e Nicolosi cominciarono ad incontrarsi per il loro lavoro nei locali della Procura generale militare, credo al piano della Procura generale militare di appello, ma era un lavoro al quale, a mio avviso, non risultava estraneo, bellamente presente invece di certo, anche Intelisano stesso per la sua funzione istituzionale di base di procuratore militare della Repubblica presso il tribunale militare di Roma, in viale delle Milizie. Intelisano, infatti, aveva avuto copia di quel registro generale, del quale ho detto: vi risultava, più o meno, tutto il carteggio, con le denunzie ed i rapporti che erano stati ...
PRESIDENTE. Mi scusi, professor Maggiore, vorrei un chiarimento. Lei diceva prima che il dottor Intelisano partecipava ai lavori.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. No, non mi risulta. Forse. Io credo che Intelisano, per la sua posizione istituzionale e per la consapevolezza,
in lui ben presente, dei suoi doveri istituzionali come pubblico ministero di primo grado in Roma, non poteva non essere abbastanza vicino a quel lavoro che si compiva da parte di Nicolosi e di Bonagura.
CARLO CARLI. Ha detto che aveva anche il registro generale.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Sì, ho detto che mi risultava che il registro generale fosse stato richiesto subito in fotocopia a Bianchi, tre o quattro giorni dopo che fu scoperto. Per registro generale intendo il brogliaccio relativo ai carteggi pervenuti per i delitti nazifascisti cinquant'anni prima.
CARLO CARLI. Quindi, questo registro lo ha avuto anche Intelisano?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Sì. Che abbia partecipato a quelle riunioni, non so, lo escluderei; che l'abbia avuto, sì, dal primo momento, certamente. Rispondo forse un po' meglio alla sua interessante domanda, perché il mio discorso - vi domando questo ausilio - deve essere anche agevolato con interruzioni, puntualizzazioni, domande.
PRESIDENTE. Alla fine della relazione faremo le domande.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Come crede la presidenza. Io le gradirei, ma non ho il diritto di dire che gradisco, non sono nessuno, sono un teste, a mia volta qualificato. Ho la mia età, appartengo al registro del fuimus, men che mai ho voglia di dire: preferisco ora o poi.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Ripeto e sottolineo: del fuimus. Pluralis maiestatis, beninteso, mi si lasci quest'arroganza. Ho 81 anni compiuti.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Lei è molto gentile. Non posso aggiungere altro, perché dovrei dirle che non sono qui da solo, ma con un mio compagno fedele, che mi segue dovunque, che è un male terribile, dal quale mi difendo, per la sapienza del professor Mandelli, che mi consente di essere qui oggi. Mi scusi, ad personam, per questa rivelazione che fa perdere tempo ed impegna oltre misura la cortesia di chi mi ascolta.
Sono certo che l'aveva avuto Antonino Intelisano, interessatissimo a sapere dei reati che potevano essere denunciati, dei reati militari che potevano avvenire, anche nella sua giurisdizione. Del resto, per quelli a lui risultanti non nella sua giurisdizione, se avesse avuto il carteggio, egli avrebbe avuto il diritto ed il dovere di trasmetterli alle procure militari o alle procure ordinarie competenti per territorio.
Che Intelisano abbia avuto quel registro generale in fotocopia posso confermarlo, in aggiunta alla risposta che ho dato alla sua domanda, per il dato seguente. Io fui casualmente presente ad una riunione del Consiglio della magistratura militare quando si occupava di indagare per gli stessi fini ai quali è destinata questa Commissione, in una seduta nella quale questo dissero, essendo a confronto fra di loro - lo ricordo bene -, il colonnello Bianchi ed un cancelliere militare, il dottor Conte. Ricordo anche bene che in quell'occasione non solo Conte e Bianchi dissero questo, ma il collega Bonagura, che era presente, si aggiunse e asseverò su questo punto, per i suoi dati di conoscenza.
Peraltro mi conferma nell'aver dato, credo, con esattezza la risposta alla sua domanda il sapere che il collega Intelisano, magistrato di valore, che io stimo ed apprezzo, mio amico, nella primissima parte della sua dichiarazione spontanea resa dinanzi alla Commissione nel 2003 non ebbe esitazione a dichiarare che in un suo accesso in quei locali, in quel cunicolo, in quell'ultimo corridoio, là dove queste carte erano state reperite, vi aveva trovato un'inimmaginabile quantità di documenti provvisoriamente archiviati. Se non erro, queste furono le sue parole.
PRESIDENTE. Mi scusi, professore. Lei all'epoca, nel 1994, era in carica?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Sì, ero io il procuratore generale militare che, avendo avuto l'uzzolo di cercare comunque carte relative ai delitti nazifascisti, chiesi al colonnello Bianchi: «Ce ne sono? Non le conosco, fammele avere».
Nella seduta precedente dissi che il colonnello Bianchi, dopo avermi portato un plico con cartacce che sembravano segrete e riservate ed invece non servivano a nulla, si adoperò per dare un contenuto ad una sua memoria della quale ebbe immediatamente a dirmi: «Non ho trovato nulla, ma le rivelo, le debbo riferire che circa vent'anni fa, appena arrivato qui in Roma, qualcosa del genere che lei dice io allora vidi. La vidi nei locali dei Tribunali militari di guerra soppressi. Ci sono tornato e non ho visto più nulla».
Ho detto e ripeto - forse non è un male, sono stato richiesto di ribadire questo punto e lo faccio - ciò che io gli dissi. L'ufficio del procuratore militare addetto ai Tribunali militari di guerra soppressi è venuto meno, come ho detto, nel 1991, ed è transitato, senza la posizione esponenziale di procuratore militare addetto ai Tribunali militari di guerra soppressi, nelle competenze della Procura generale militare di appello. Gli dissi: «È possibile che non ci sia nulla, occorre accertare». Egli mi diceva: «Siccome il procuratore militare addetto ai Tribunali militari di guerra soppressi per lunghi anni è stato» - io lo sapevo - «il collega Floro Roselli, sarebbe il caso di chiederne a lui».
Come ripeto, telefonai a casa del collega Roselli, che non era più in servizio - era del 1913 e, quindi, era andato a riposo nel 1983 - ma tornava, credo più di una volta alla settimana, a palazzo Cesi perché aveva avuto l'incarico di curare la pubblicazione delle sentenze o degli atti del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, cosa diversa dall'ufficio del pubblico ministero per i Tribunali militari di guerra soppressi, ma tali carte erano in un locale contiguo a quello relativo ai Tribunali militari di guerra soppressi. Per questo suo nuovo lavoro - non so se gli fosse stato richiesto o se lo fosse procurato dal ministero -, del quale era entusiasta, tornava spesso a palazzo Cesi. Telefonai alla famiglia e chiesi di parlare con Floro; mi dissero che non c'era, che era a Pozzuoli per cure termali o vacanza - si era a fine giugno ...
PRESIDENTE. Mi scusi, vorrei fare una domanda relativa al momento in cui è stato ritrovato questo carteggio. Lei ha un verbale di tutto ciò che è stato ritrovato?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. No, ci arrivo. Se sono prolisso, mi si può ben dire che debbo essere più sintetico, ove ne abbia la capacità.
PRESIDENTE. Può andare avanti, non si preoccupi.
PIERANTONIO ZANETTIN. Lei ci ha detto che quando aveva scritto a Scandurra la famosa nota del 24 giugno 1994 l'archivio era già stato rinvenuto. Poco fa lei ha ricordato la telefonata che ha fatto a Floro Roselli, quando non lo trovò a casa e la moglie disse che era andato a fare le cure termali.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Raccomandai alla moglie di farlo venire perché desideravo vederlo.
PIERANTONIO ZANETTIN. Lei colloca quella telefonata a fine giugno. Quindi, c'è una discrasia tra le date.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Parliamo del 1994. La colloco a fine giugno, ma ora meglio: in giugno. Fa bene a notare una discrasia alla quale non so se posso porre rimedio.
PIERANTONIO ZANETTIN. Sicuramente la telefonata a Floro Roselli era precedente. Lei dice di non averlo trovato e di aver richiamato quindici giorni dopo.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Era certamente precedente ed era successiva al discorso, in risposta alla mia domanda, che mi aveva fatto il colonnello Bianchi dicendomi: non ho trovato nulla; ricordo però di aver visto. Chiediamone a Roselli.
Telefonai alla famiglia di Roselli una sola volta, comunque prima del 24 giugno. Roselli veniva spesso a palazzo Cesi per il lavoro di pubblicazione delle sentenze del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. La famiglia mi rispose che non c'era; pregai di farlo passare da me appena possibile.
PIERANTONIO ZANETTIN. Era prima del 24 giugno.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Era prima del 24 giugno, perché fu anche a seguito del suggerimento - chiamiamolo impropriamente così - che venne dato oralmente da Roselli che, in maniera mirata, Bianchi andò a cercare e trovò.
CARLO CARLI. Trovò l'armadietto?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Credo di ripetere testualmente quello che ho detto. Bianchi, quando mi disse di non aver trovato nulla nei locali della Procura generale militare presso la Corte di cassazione, ripescando nella memoria, mi fece questo riferimento: vent'anni fa io vidi un armadietto - ricordo la parola «armadietto» - con un carteggio del tipo che la interessa. Sono tornato giù e non l'ho trovato.
Ecco che cosa dissi a proposito della parola che lei ben ricorda. L'attribuivo a Bianchi come detta a me in quella data per il suo ricordo che passava alla memoria di vent'anni prima.
Ho detto anche che Intelisano era a conoscenza, aveva una fotocopia; aveva il diritto di ottenere quella fotocopia, di frequentare quei posti e di guardare quel che c'era in quei posti e in quei carteggi. Del resto io so che poi un centinaio ed anche più di quei rapporti, di quelle denunzie che non furono avviate a tempo debito al magistrato di procura, in notevole ritardo, quando furono smistate alle varie procure militari da parte dei designati Nicolosi e Bonagura, andarono a finire nella procura militare della Repubblica di Antonino Intelisano, in viale delle Milizie. Il discorso fa «cilecca» in qualche modo?
PRESIDENTE. Avete fatto un verbale?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Non mi domandi «avete fatto», perché io, chiuso nella mia criosfera della legittimità - mi perdoni l'espressione amigdaliana -, dopo aver scritto avevo già creduto di essere andato a lambire e a superare i confini della mia competenza, cosa che mi dava pensiero e fastidio e che non volevo fare.
Dopo aver scritto quella lettera, il 24 giugno, a Giuseppe Scandurra io non partecipai a niente, non seppi nulla, fui nella mia enclave, interessato come cittadino, come magistrato, perché ero stato l'autore di quella scoperta, e l'etimologia della
parola «autore» dice che egli è interessato a conoscere gli sviluppi, gli accrescimenti che la scoperta può o dovrebbe produrre. Come autore dell'emersione di quelle carte io avevo gran curiosità, da cittadino e da magistrato - che però non poteva metterci il piede, la mano, l'occhio -, di sapere a che punto stessero e come andassero le cose, ma non ne chiesi mai specificamente a Scandurra o a Nicolosi, e neanche a Bonagura, che aveva accettato di fare quel lavoro, che doveva essere compiuto in aggiunta di personale aiuto a quello della Procura generale militare di appello, e non in aggiunta a Nicolosi.
Scandurra avrebbe potuto benissimo disporre che non Nicolosi, ma un altro suo sostituto compisse quel lavoro insieme a Bonagura. Bonagura avrebbe potuto trovarsi due sostituti della Procura generale militare di appello con i quali collaborare, per i quali fare da consulente, ma Bonagura ormai da me era stato distaccato. Già quando Bonagura andava in udienza - e credo che questo sia fisiologico, ortodosso e si debba fare - io non gli chiedevo mai niente. L'autonomia e l'indipendenza del magistrato militare oggi, non nel 1941, importa - Dio sia ringraziato! - che il magistrato designato ad andare in udienza non sia obbligato a riferire alcunché al titolare dal quale ha avuto l'incarico di andare in quell'udienza. Quindi, ben più per Bonagura che era stato da me designato ed avrebbe potuto dire di non volerci andare, mentre non poteva dire di non voler andare in udienza; in udienza lo delegavo, lo mandavo io. Delegare significa ovviamente - chiedo scusa - conferire a qualcuno un proprio potere.
LUCIANO GUERZONI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Prego, senatore Guerzoni.
LUCIANO GUERZONI. Tra poco in Senato inizieranno i lavori in Assemblea ed io avrei alcune domande da fare.
PRESIDENTE. Sentiamo i rappresentanti dei gruppi. Prego, onorevole Raisi.
ENZO RAISI. Io ho quindici domande da fare.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Io posso smettere.
ENZO RAISI. No, lei sta entrando nella parte cruciale. Quindi, la interromperemmo proprio nella parte più interessante.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Zanettin.
PIERANTONIO ZANETTIN. Come lei sa bene, presidente, oggi la Camera comincia a votare alle 18, per cui personalmente mi posso trattenere altre due ore.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Carli.
CARLO CARLI. C'è un problema per i colleghi senatori. Tra l'altro questa audizione è molto interessante ed importante. Propongo di andare avanti per poi valutare nel prosieguo come procedere.
PRESIDENTE. Fino alle 18 si può proseguire, ma c'è il problema del Senato, ovviamente ferma restando la disponibilità del professor Maggiore.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Io sono qui in osservanza totale.
CARLO CARLI. Ritengo si possa proseguire, poi vedremo.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Se ella disponesse domande, cercherò di rispondere. Se mi dovesse dire di proseguire, tenterò di proseguire.
LUCIANO GUERZONI. Chiedo scusa, presidente. Si può immaginare quando finirà la relazione?
PRESIDENTE. Senatore Guerzoni, l'audito ha il diritto di dire tutto ciò che vuole, non lo possiamo interrompere.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Posso concentrare molto. Mi viene rivolta questa domanda e rispondo: ritengo dieci minuti.
LUCIANO GUERZONI. Io mi rivolgo al presidente.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Certamente, ed io parlo al presidente.
PRESIDENTE. Lei ritiene di poter concludere in dieci minuti?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Sì, poi mi si può far tornare indietro cento volte, se necessario.
PRESIDENTE. La prego di concludere la sua relazione.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Come dicevo, i magistrati della Procura generale presso la Corte militare di appello si occupavano della selezione e dell'avviamento a chi di dovere di quei rapporti, quelle denunzie, quei carteggi.
Per un principio di collaborazione fra uffici, avevo ritenuto di destinare, a seguito dell'assenso ricevuto da Bonagura, un mio collega, un mio sostituto procuratore generale in sede di legittimità come consulente, ad adiuvandum, per quella disamina, per quel lavoro di selezione, di avviamento alle procure militari interessate, pur tardivo, di quei carteggi.
Ero tranquillissimo in questa mia posizione. Non me ne occupai, pur dovendo frenare alcuni impulsi. Non me ne occupai mai con domande specifiche a Scandurra, a Nicolosi o a Bonagura. A Bonagura qualche volta è accaduto certamente di domandare a che punto stessero. «Stiamo a buon punto. Ne abbiamo ancora per molto. Siamo alla fine». Ma così, come obiter dictum. Per quel mio intimo, forse riprovevole, bisogno di sapere che non volevo e non riuscivo ad esternare in maniera plateale, perché non dovevo - ufficialmente non lo potevo esternare -, quando seppi che avevano finito questo lavoro di disamina e di avviamento del carteggio reperito, di avviamento tanto tardivo alle procure alle quali si doveva, a suo tempo casomai, immediatamente trasmettere, seppi che c'era stato un verbale da parte dei due magistrati designati.
CARLO CARLI. Della commissione: così è intitolato.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Credo di sì. La parola «commissione» fa qualche volta capolino, non nell'atto costitutivo. Non ci fu un atto costitutivo; io e Scandurra non ci siamo mai riuniti per mettere a verbale il tema relativo alla nomina di una commissione, composta da Tizio e Caio, che avrebbe riguardato un certo argomento, il cui lavoro avrebbe avuto una determinata durata, che avrebbe dovuto riferire con relazione a noi che in quel momento la istituivamo, eventualmente prevedendo in quel verbale, ove fosse stato il caso, gettoni di presenza. Non ci fu mai un verbale costitutivo della commissione; non ci fu - se stiamo alla parola - nessuna commissione; ci fu una designazione.
La mia lettera proponeva a Scandurra un eventuale affiancamento. La mia proposta a Bonagura, dopo che aveva avuto la bontà di aderire alla richiesta verbalmente fattagli, era di andare ad affiancare chi nella Procura generale militare di appello si occupasse della cosa, come gruppo di lavoro, come pool - una parola molto in
uso, che a me non piace - di lavoranti, di operatori, ma non ci fu una commissione. Dal fenomeno passiamo al noumeno. Ci fu una commissione? No.
CARLO CARLI. Ma lei ha visto il verbale?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Lo chiesi. Lo stavo dicendo: saputo che Nicolosi e Bonagura avevano finito quel lavoro - lei mi ha detto a questo punto che si trattava del lavoro della commissione, perciò vi è stata la mia parentesi -, io avevo l'intima curiosità di avere almeno un verbale, se c'era stato. Non mi fu mai trasmesso, non doveva essermi trasmesso, non avevo titolo per richiederlo ufficialmente, per rimproverare qualcuno dell'omissione. Ho detto che stavo nella mia enclave, orecchiavo.
Volli averlo e chiedendolo - adesso non saprei dire a chi - a mezzo di cancelleria, ebbi una fotocopia del verbale sul quale mi ha interpellato l'onorevole; è un verbale che, se non leggo male nei miei appunti, porta la data del 30 maggio 1995 e risulta pervenuto alla Procura generale militare di appello l'8 giugno 1995. Quindi, dopo l'8 giugno io seppi che era stato redatto un verbale, pur molto sommario. Ebbi curiosità di averlo e, per informe fotocopia, lo ebbi, credo dopo l'8 giugno, molto dopo l'8 giugno, credo a fine giugno, forse ai primi di luglio. Ebbi questo verbale a fine giugno o ai primi di luglio. A me non fu mandato, non doveva essere mandato. Io lo ebbi, credo di averlo fra le carte che ho portato. È molto sommario, ma il verbale è uno strumento che può essere dettagliato o anche sommario; deve dar conto degli accertamenti che in una procedura amministrativa sono stati compiuti. È del 30 maggio e, secondo il timbro di protocollo d'arrivo, risulta pervenuto alla Procura generale militare di appello l'8 giugno.
CARLO CARLI. C'è un protocollo?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Sì, dell'8 giugno. È del 30 maggio ed è pervenuto alla Procura generale militare di appello, non a me, l'8 giugno. Io seppi del verbale e del deposito di questo verbale; volli averne idea - una mia impertinenza - e ne ebbi una fotocopia, che posso esibire, non la debbo tenere come cosa preziosa fra le mie carte. Naturalmente l'ebbi dopo l'8 giugno, forse a luglio, ed io poi, con agosto e settembre di ferie, dal 1o ottobre ero in pensione. Ebbi questa fotocopia di qualcosa che riguardava altri, il lavoro della Procura generale militare presso la Corte militare di appello, alla quale io avevo creduto di mandare in aggiunta, come consulente e collaboratore capace, molto stimato da me, un mio sostituto, Bonagura.
PRESIDENTE. Anche Bonagura era magistrato di legittimità?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Bonagura era sicuramente magistrato di legittimità. Era con me, al secondo piano. Era sostituto procuratore generale in Cassazione ed accettò cortesemente - forse gli fu gradito, forse volle fare un favore a me, forse intese la necessità del momento, ispirata a cooperazione tra gli uffici - di andare a fare questo suo lavoro di aggiunto, di consulente; lavoro che si compiva nella Procura generale militare di appello.
Le carte che furono poi trasmesse ai vari uffici di procura militare - o forse a magistrati ordinari, di procure ordinarie - furono tutte trasmesse con carta intestata della Procura generale militare di appello, a firma di un magistrato di quest'ultima procura: credo sia stato generalmente - non so se sempre, forse molte volte - il collega Nicolosi. Poteva ben essere un altro sostituto nella Procura generale militare di appello a firmare quelle trasmissioni, c'erano due altri sostituti. Bonagura certamente non ha mai avuto il capriccio di
firmare lui; sarebbe risultato l'intruso che non capisce niente. Mai ebbe l'uzzolo di firmare lui una trasmissione di atti compiuti nella Procura generale militare di appello, alla quale egli per accessione si trovava presente, su mia richiesta. Certamente mai ebbe l'uzzolo di firmare lui la trasmissione di questi atti.
PRESIDENTE. Mi scusi, professor Maggiore. Lei prima diceva che, essendo lei magistrato di legittimità all'epoca, nel 1994, non poteva comunque sindacare.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Certo. Io so di parlare a uomini di legge, a facitori di legge, e so che vi sono anche persone che non ho l'onore di conoscere personalmente, ma che sono giuristi. Dico cose elementari.
PRESIDENTE. Allora come faceva Bonagura, anche lui magistrato di legittimità, a prendere parte ai lavori di quel pool, come lo definisce lei.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Non l'ho definito così, ho detto che si può chiamare come si vuole. Per me erano due magistrati designati.
La domanda è la seguente: come mai Bonagura che stava con me poi andava a fare giù questo lavoro diverso? Rispondo e dico: per il mio bisogno di essere capace di portare ausilio a quel lavoro che si faceva, che si doveva fare, di verifica, di selezione e di avviamento alle procure interessate; lavoro notevole, pesante e ponderoso per la Procura generale militare di appello, la quale aveva pochi sostituti e molto lavoro, come mi era stato fatto presente da Scandurra. Era un aiuto a quel lavoro. Io lo credetti opportuno. Forse fu un errore? Si chiami errore giudiziario, ma non vorrei che si chiamasse «orrore» giudiziario. Mi pare che aleggi quasi una parola di questo peso, che mi ripugna, alla quale mi ribello e chiedo scusa per la veemenza, che subito sostituisco con la deferenza migliore.
CARLO CARLI. Particolarmente prima è stato fatto l'«orrore».
PRESIDENTE. Quindi, era di ausilio?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Certo. E perché, come ti sei uterinamente, istericamente messo in testa di mandare un aiuto, privando il tuo ufficio, lì dove hanno il dovere di compiere quel lavoro, al piano sottostante? Sei tanto fraternamente legato a Scandurra o a chi, che ti pesa che egli abbia più lavoro del giusto? Perché l'hai fatto?
Desidero far perdere - l'uditorio lo perde, io lo guadagno - un po' di tempo sull'argomento. Onorevoli commissari, io credetti di far questo: lo dico, lo scrivo e lo rifarei. Se un magistrato e un uomo di legge ha parlato a giuristi, essendo un quasi giurista, allora da uomo di legge a uomini di legge, sentendo il peso della mia etichetta di giurista, non vorrei che mi si dicesse: è arrivato qui qualcuno che si chiama Santi Romano o crede di essere Carnelutti.
Ad una simile obiezione, che non mi viene fatta e che non colgo neanche nell'aria e che io fantasticamente rappresento, risponderei non con il sorriso, ma con una risata, non offensiva; una risata indicativa della mia massima autolimitazione, della consapevolezza dei miei limiti. Io cerco di rispondere da giurista alla domanda ficcante, pertinente - è ovvio, non poteva che essere pertinente - del presidente: ma davvero era una mia fantasticheria, avevo sognato la notte di compiere questo gesto, non rituale, perché non era rituale? Che non fosse rituale siamo d'accordo, però che venisse da fantasticheria pura - e, quindi, biasimevole -, da creatività incomprensibile, no.
Da che veniva, a parte la considerazione che era giusto, umano, bello dare un aiuto a Scandurra? Da cosa proveniva
questa offerta, questo sacrificare Bonagura? Bonagura, infatti, fu sacrificato, volle sacrificarsi. Da che derivò? Nella legge processuale penale c'è qualcosa a cui credetti di dovermi agganciare: l'articolo 371 del vigente codice di procedura penale comune, là dove si parla della collaborazione fra procure, del lavoro congiunto, in certi casi, fra procure. Mi si potrebbe chiedere: allora tu applicasti quell'articolo per estensione, per analogia? No, da giurista - etichetta che mi porto sulle spalle -, se io dovessi raccogliere in un solo volume le mie pubblicazioni e le mie lezioni - vorrei essere creduto -, credo che darei a quel volume, se non pensassi di compiere un brutto peccato di superbia, il titolo che un collega dei commissari qui presenti, il senatore a vita Luzi, grande poeta, ha creduto di dare a quello che credo sia il suo ultimo volume. Se non fosse per evitare un peccato di superbia che mi peserebbe troppo, mi schiaccerebbe, chiamerei quel volume di cui parlo, nel quale fossero tutte le mie pubblicazioni, con il titolo che egli ha usato per il suo ultimo libro: Dottrina di un principiante. Chiudo il volo pindarico.
Come dicevo, non parla il giurista che insegna. «Dottrina di un principiante»: prego di essere sentito, ascoltato, guardato, sopportato in questa mia dimensione, che mi corrisponde ed alla quale tengo. «Allora tu hai applicato l'articolo 371 del codice di procedura penale?» No. «Per estensione, per analogia?». Non ho detto questo. Se venisse qui - non può venire - il mago dell'ermeneutica, il maestro dell'interpretazione, Emilio Betti, sui cui due volumi della Giuffrè, di colore blu, celestino, molti studiosi di diritto hanno meditato ed hanno attinto, forse mi darebbe torto. Direbbe: era un'interpretazione estensiva, tu non hai capito bene, tu facevi interpretazione analogica. Ma non può venire Emilio Betti, il mago, il maestro. Io dico: non credo di aver applicato l'articolo 371, però, onorevoli, l'articolo 371 nel nostro sistema processuale c'è.
Ho sentito personalmente in televisione, uno o due mesi fa o forse meno, l'onorevole Berlinguer, il professor Luigi Berlinguer, che ritengo sia ancora oggi - posso anche sbagliare - il presidente del Consiglio delle magistrature in Europa, il quale diceva quello che sto dicendo adesso io a proposito della cooperazione e del lavoro in congiunzione - così dice l'articolo 371 - che possono compiere più procure. Ma io non per estensione, non per analogia applicai quell'articolo. Dico che però commisi l'errore - se è un errore non so, non credo - , ma oggi ribadisco la mia opinione di ritenere che nel nostro sistema ci fosse, c'è lo spirito della cooperazione fra procure, del lavoro congiunto fra procure. Perciò, a me sembrò opportuno e doveroso non per anomia, non per fantasticheria, non per una favola, anzi per una fola - ma nel senso peggiore, petrarchesco della parola «fola» - costruire questa sorta di accessione di Bonagura alla procura generale militare d'appello.
C'era e c'è questo spirito nel nostro ordinamento. Io questo tenni presente, oltre, debbo dire - risponde alla mia verità molto intima, intimistica -, una considerazione subliminale che deve avermi guidato; una valutazione subliminale per una criteriologia binaria che mi portava allo stesso punto: vedi di mandare Bonagura giù.
Ho parlato di criteriologia binaria; in fondo, Scandurra, ottimo collega, si trovava improvvisamente oberato di questo lavoro aggiuntivo notevole; gli era caduto sulle spalle improvvisamente. Perché? Da chi? Perché quarant'anni prima la procura generale presso il Tribunale supremo militare, l'ente del quale io col mio ufficio ero il successore, aveva realizzato delle illegalità. Ma più che illegalità - o, forse, peggio che illegalità - io parlerei di provvedimenti abnormi realizzati dall'ufficio del mio predecessore. Questo è, appunto, il primo criterio per il quale credetti di avere una sorta, un filino di obbligo morale per venire in aiuto a Scandurra. Sto prescindendo dall'articolo 371 del codice di procedura penale.
Ho detto di valutazioni subliminali che non debbono restare sepolte in me e ho parlato di criteriologia binaria. Ebbene, in
fondo Scandurra si trovava oberato da questa enorme quantità di lavoro, di responsabilità, per colpa mia. Come, potreste dire, per colpa tua? Non volete chiamarla colpa? Vi ringrazio. Potete dire, allora: per l'iniziativa tua, perché tu avevi voluto cercare e senza neanche sapere bene che cosa avresti trovato, avevi trovato - lo sanno i mattonati dei corridoi di palazzo Cesi - questa emersione di carteggio di cui ora facevi un grazioso cadeau a Scandurra, che doveva affrontarne tutto il lavoro conseguente.
Anche per questa valutazione - la si giudichi come si vuole, può essere anche inesattamente da me tenuta in conto -, posso avere sbagliato: errore giudiziario, ma l'errore è compossibile con l'umanità, con la creatura umana. Saremmo dei mostri, altrimenti. Posso avere sbagliato - parliamo di colpa, tra giuristi; il dolo è un'altra cosa - ma tornerei a sbagliare; da giurista, mi sentirei di doverlo fare, di poterlo motivare e, se mi si incolpasse, di potermi giustificare.
Non so se le ho risposto, presidente.
PRESIDENTE. Sì, ma le avevo chiesto un'altra cosa, professore. Adesso, però, sospendiamo per quindici minuti.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Come vuole lei, presidente. Mi rincresce che abbia io omesso di dare a lei una risposta. Vuole ripetermi la domanda?
PRESIDENTE. La risposta me la darà in seguito, non si preoccupi.
LUCIANO GUERZONI. Presidente, possiamo ritenere conclusa la relazione del dottor Maggiore?
PRESIDENTE. No, riprendiamo tra una quindicina di minuti.
LUCIANO GUERZONI. Credo che il professor Maggiore abbia concluso. Comunque, se non concludiamo oggi, possiamo proseguire nella giornata di domani.
ENZO RAISI. Presidente, credo che siano iniziati i lavori in Assemblea. Vorrei assistere al dibattito, se possibile, per cui chiedo un aggiornamento dei lavori della Commissione.
PRESIDENTE. Possiamo procedere fino alle 17.45.
CARLO CARLI. Io sono perché si vada avanti.
PRESIDENTE. Come ritenete voi. Comunque, possiamo procedere fino alle 17.45.
LUCIANO GUERZONI. Presidente, io potrei essere al Senato a votare. Un senatore non deve trovarsi nella condizione di decidere se stare al Senato o in Commissione d'inchiesta. Non dico di risolverlo qui, ma certamente il problema esiste.
CARLO CARLI. È esistito sempre! Del resto, non possiamo svolgere tutto il lavoro al termine della seduta pomeridiana dell'Assemblea.
ENZO RAISI. Si può chiedere al professor Maggiore se può venire un'altra volta. Se la relazione è conclusa, nel seguito dell'audizione potremo porgli le domande che riteniamo.
CARLO CARLI. Anche se l'audizione non si esaurisce nella seduta odierna, possiamo comunque cominciare con le domande.
PRESIDENTE. Colleghi, sospendiamo brevemente la seduta.
La seduta, sospesa alle 16,30, è ripresa alle 16,50.
PRESIDENTE. Prego, professor Maggiore, se ritiene può completare la sua relazione.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Signor presidente,
vorrei fare una precisazione. Non è che io sia venuto qui a fare l'avvocato - amerei dire, amerei sottolineare - perché ho parlato dicendo che sono persone di valore Bonagura e Intelisano, che sono politicamente arcidemocratici Nicolosi, Scandurra e Intelisano. Non sono venuto a fare il loro difensore. Vengo a dire quello che io, da magistrato molto più anziano di loro, che ha avuto con loro una conoscenza personale, molto ravvicinata, dal 1973 ad oggi, sento il dovere di dire sui testi qualificati in questa vicenda, su Bonagura, Intelisano, Scandurra, Nicolosi.
Certo, a questo punto mi pare di cogliere una domanda ad personam: e tu che parli tanto della democraticità, dell'essere antinazismo che sta dentro Bonagura o Nicolosi, di una parentela sua con una vittima delle Fosse Ardeatine, tu chi sei? Una questione di stile mi impone di non dire parole a ruota libera e, però, di domandare una licenza non poetica all'uditorio, agli onorevoli commissari, per chiedere alla presidenza il permesso di esibire, perché sia, se crede la presidenza, passato in segreteria e rimanga fra le carte, in originale, questo certificatino (Consegna un foglio al presidente).
Potete chiedermi: tu chi sei? Dovrei dire una cosa: io non ho famiglia; io fui figlio unico, non ho fratelli, non ho sorelle, non ho nipoti. Sono solo. Vivo la sindrome dell'isolamento e dell'abbandono da quando - da un anno circa - ho perso la mia sposa adorata, con la quale si costituiva la mia famiglia su base duale materialmente, ma una, unitaria in spirito. E questa intimistica dichiarazione, della quale domando scusa e perdono, serve per dare spiegazione alla esibizione di questo documento. Unitaria in spirito, quella famiglia duale. In quello spirito - del quale nel documento è traccia - io mi riconosco e son vissuto. Quello è il mio blasone. Se crede, la presidenza può farlo leggere. Io non lo leggo.
PRESIDENTE. Leggo: «Associazione nazionale partigiani d'Italia, comitato provinciale, gloria ai caduti per la libertà, Lecce, 2 ottobre 1948. Si dichiara che dagli atti e documenti esistenti presso questa segreteria provinciale risulta che la signorina Maggiore Antonia Maria, di Giuseppe»...
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Mi perdoni, presidente: è mia moglie Antonia Maria Maggiore, col mio cognome perché mia lontana parente.
PRESIDENTE. ...«di Giuseppe e di Cagnazzo Nicolina, nata a Sternatia, nella provincia di Lecce, il 18 gennaio 1924, residente in Lecce, eccetera, è iscritta a questa associazione con la qualifica di partigiana combattente. La stessa ha svolto attività partigiana dal 9.09.1943 al 31.12.1943 in località Montagne del Sannio, Benevento, alle dipendenze di una banda irregolare. Il presente certificato è provvisorio e perde la sua validità trascorsi tre mesi dalla data del rilascio. Esso viene rilasciato a richiesta dell'interessata ed esclusivamente in carta semplice per gli usi consentiti dalla legge. Il presidente, Giovanni Giannoccolo».
Professore, faccio fare una copia di questo documento e glielo restituisco.
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Preferirei lasciarlo agli atti in originale, se possibile.
PRESIDENTE. Certamente. La parola al senatore Guerzoni.
LUCIANO GUERZONI. Grazie, presidente.
Professor Maggiore, intanto la ringrazio per la sua disponibilità. Nella sua precedente audizione, non ho potuto partecipare e di conseguenza solo oggi posso esprimere le mie valutazioni. Vorrei farle, pertanto, qualche domanda. Lei ha insistito su questa figura di procuratore militare - o magistrato militare - addetto al procuratore generale militare. Ci ha detto
che il 1996 è la data di conclusione dell'attività. Ci può dire quale fu la data di inizio?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Riterrei dal dopoguerra.
LUCIANO GUERZONI. Il procuratore Santacroce, che a lei risulti, aveva un procuratore addetto?
RENATO MAGGIORE, Procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Certamente.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. A domanda specifica non posso dare una risposta specifica, ma mi ci avvicino. Per lo meno all'epoca, alla data del mio arrivo a Roma, alla procura generale militare della Repubblica presso il Tribunale supremo militare (era il 1973), essendo procuratore generale militare l'eccellenza Santacroce, c'erano e si alternavano - in alternanza e in successione - alcuni magistrati.
Io non so essere tassativo ma dal 1973, quando arrivai, ho detto quali magistrati oggi viventi vi incontrai. Ebbene, in quell'epoca, dal 1973 al 1974 - data in cui morì l'eccellenza Santacroce - e poi in alternanza o in successione (che non so indicare) fra i tre colleghi, si trattava di uno di loro, di due di loro o di tutti e tre da me indicati: il collega Ottavio Orecchio, il collega Leonardo Campanelli, il collega Orazio Romano.
LUCIANO GUERZONI. Sono viventi?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Sì.
LUCIANO GUERZONI. Un'altra domanda, sempre su questa figura che, in sostanza, lei ci ha delineato un po' informalmente. Che cosa ci ha voluto dire quando ha detto che questa figura era anche nota perché frequentava i corridoi del ministero?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Avrò detto male. Ho detto quasi ciò che ora ella ricorda, ma voglio esser meno impreciso.
Ho detto dei criteri per i quali veniva dal procuratore generale militare scelto per sé un magistrato militare come procuratore militare o come magistrato militare addetto (addetto a lui e non all'ufficio). Io ero procuratore militare della Repubblica presso la procura generale militare, che è cosa diversa. Il procuratore militare a lui addetto, il magistrato militare a lui addetto - qualifica da me mai rivestita: non me ne dolgo, non me ne vanto; accadde - era per criteri suoi (che io non conosco, in quanto non stavo e non sto adesso nel cervello del defunto procuratore generale) scelto in ragioni di valutazioni che riteneva di rilievo per il lavoro: la pratica nell'organizzazione degli uffici, l'importanza o la sede ove avevano svolto lavori precedenti, l'attitudine ad essere capace di portarsi nei ministeri per le varie pratiche d'incombenza, d'interesse; pratiche oneste, non delittuose: pratiche da sollecitare, trasferimenti di magistrati, assegnazioni di funzioni giudiziarie a un singolo magistrato (ma potevano essere devolute al ministro), trasferimenti di personale delle cancellerie, da una cancelleria ad altra, in certi momenti.
In questo senso uno dei criteri - io non lo so, non me l'ha confidato, io non giuro che sia questo - poteva essere, fra l'altro, la ritenuta capacità (l'aveva forse sentita, sperimentata, gli poteva risultare, poteva anche essere in errore, aver preso un abbaglio) di organizzare, di essere vicino a quelle che erano le cose tatticamente o strategicamente interessanti la corporazione della giustizia militare presso il ministero (perché il ministero ci governava); parliamo di stipendi, parliamo di arretrati, parliamo di liquidazioni di pratiche di pensione per magistrati o per figli
di altri colleghi che erano andati nella casa del Padre o per le vedove di impiegati che erano rimaste bisognose.
Insomma, il procuratore generale militare - papà, pater familias - si occupava anche di aiutare in qualche cosa, qualcuno. In che modo, a che mezzo? Il suo mezzo elettivo era disporre di un magistrato idoneo anche per questo, a prescindere dalla sicura professionalità sul campo strettamente giuridico. Questo ho detto.
LUCIANO GUERZONI. Questa funzione, in buona sostanza, si poteva risolvere anche in frequentazioni con il gabinetto del ministro.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Non crederei col ministro. Non lo escluderei, secondo la capacità di tizio, superiore a quella di caio, forse a livello di gabinetto del ministro.
Di Intelisano, di Scuderi ho parlato poco fa: mi dispiace per il collega Scuderi del quale, avendo detto una verità, ho forse detto qualcosa che non dovevo dire: fu l'ultimo del suo concorso, ho detto. Intelisano era il primo, non dello stesso concorso. Scuderi era capacissimo in questo modo di rappresentare esigenze, di avere facili risposte, di bussare e avere la porta aperta, insomma. Ecco, parliamo di capacità nell'organizzazione.
LUCIANO GUERZONI. Professore, se ho capito bene, lei ci ha detto che Intelisano potrebbe aver partecipato a quello che definiamo «gruppo» o «commissione». È così?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. No, mi perdoni, non la contraddico brutalmente ma è rude la mia risposta! Non ho detto affatto - perché non mi risulta - che Intelisano partecipava a quel gruppo di studio o di lavoro presso la procura generale militare d'appello, gruppo di lavoro destinato ad inoltrare quello che non era stato inoltrato cinquant'anni prima (i fatti erano accaduti nel 1943-1944 e il gruppo di lavoro era nato nel 1994).
Ho detto che non mi risulta che Intelisano avesse preso parte a quelle riunioni; però una cosa, è certo, si sa, la sanno tutti, basta avere il codice in mano, non debbo chiedere a Nicolosi io Intelisano: mi fai una confidenza, mi dici per favore questo o quest'altro? Intelisano, procuratore militare della Repubblica a Roma, sensibile, rigoroso, intransigente, integerrimo, non può aver dimenticato che il codice di procedura penale gli attribuiva non delle posizioni di privilegio, ma dei diritti e doveri funzionali, in punto di accertamento di reati in generale. Aveva tutti i poteri che quel codice dà al pubblico ministero di primo grado, quando di un reato si sa, quando un reato è scoperto. Sapeva di quei reati perché aveva avuto - lo abbiamo detto - copia del registro generale, dal quale risultavano tutti i rapporti avuti, avviati o reietti. E quindi non può non aver avuto nella sua sensibilità anche il bisogno di sapere qualcosa su quell'attività. Del resto, quell'attività si svolgeva su pratiche certamente note a Intelisano perché Intelisano aveva la copia del registro generale e anche perché Intelisano ha fatto una dichiarazione a questa Commissione (credo di aver saputo questo, il che mi conforta nelle affermazioni che sto facendo con la risposta che le do). Nella prima parte della sua relazione, Intelisano ha dichiarato che in uno dei suoi accessi (perché aveva inteso il bisogno, non capriccioso ma da dovere istituzionale, di accedere a quel cunicolo, a quel carteggio una volta che per merito mio o, meglio, per causa mia era emerso) vi aveva rilevato un'inimmaginabile - sono rimasto colpito da questa espressione - quantità di deliberati temporaneamente sospesi: provvedimenti illegali, rapporti non inoltrati, dati ai quali l'eccellenza Santacroce aveva apposto il suo timbro.
Io per l'eccellenza Santacroce ho venerazione, magistrato al quale debbo tanto sotto il profilo di ciò che ho appreso. Egli mi consentì di essere docente, di andare a fare lezione all'università di Palermo, attività
per primo da lui permessami e che perciò potei continuare sino al 1981. E poi era uomo ammirevolissimo, capacissimo, superiore, proveniente dalla magistratura ordinaria.
Io dico che quelle carte abnormemente portavano un provvedimento a firma del mio venerato capo: è la verità, la debbo dire. Aggiungerei che immagino, conoscendolo, immagino - e tremo - il suo dissidio interiore nel dover mettere una firma sotto quei provvedimenti, quintessenza di illegalità, abnormissimi! E però, questa è la via non giudiziaria sulla quale io ritengo - compito enorme, pesantissimo - si svolga il lavoro della Commissione. E però, a quei provvedimenti l'eccellenza Santacroce non era stato spinto dal masochismo, dal desiderio di autocrocifiggersi, di fare che altri domani e dopodomani parlasse e sparlasse, sempre male, sempre peggio di lui, in modo che ciò ricadesse sui figli e sugli eredi.
Perché li aveva adottati? Non me l'ha detto, non lo so. Ma indubbiamente siamo alla presenza di esigenze venienti dal mondo politico; i quali politici erano allora, come oggi, come sarà domani, classe arcirispettabile. Parliamo di politici della statura di Andreotti, di Gaetano Martino, di Taviani, capo partigiano, di Togliatti. No, forse Togliatti non era al ministero; Togliatti fu ministro della giustizia attorno al 1950. Però, questa era la classe politica. Non era fatta da persone, personucce, esseri minimi, arciminimissimi, bisognosi di non so che e quindi, in sostanza, di autocolpevolizzarsi da ignari.
Quei politici ebbero una motivazione - io non lo so, nessuno me l'ha detto, induttivamente son portato a dire, mi posso sbagliare - per loro, poverini (io non avrei voluto trovarmi al loro posto, al posto dell'eccellenza Santacroce), iugulatrice: salus publica suprema lex. Non so come, non so perché credettero di addivenire alla persuasione verso Santacroce di quei provvedimenti. È l'eterno problema del conflitto tra giustizia e diritto: dobbiamo parlare di Sofocle?
LUCIANO GUERZONI. Lei, professore, anche poc'anzi, alludendo a quel gruppo o a quella commissione...
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Si può chiamare commissione. Io la chiamerei commissione, perché no?
LUCIANO GUERZONI. A me interessa soltanto che la individuiamo.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Va bene, diciamo «quei due designati».
LUCIANO GUERZONI. Ebbene, lei ci ha detto e ha ripetuto diverse volte che quei due designati avevano un compito di accertamento e di invio.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Certo, di lettura, di selezione e di avviare.
LUCIANO GUERZONI. Ecco. Però, professore, quando lei decise - sulla base di uno spirito di cooperazione tra gli uffici - di adibire il dottor Bonagura...
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Diciamo: di proporre a Bonagura se intendesse.
LUCIANO GUERZONI. Ma io sono già oltre. Come dicevo, quando lei decise che Bonagura partecipasse a questa comune impresa...
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Diciamo: di essere consulente in quel lavoro.
LUCIANO GUERZONI. Va bene. Lei, allora, sapeva che quel gruppo di lavoro - chiamiamolo così - non accertava soltanto, ma agiva anche, cioè inviava.
Avendo questa consapevolezza - sapendo, cioè, che quel gruppo decideva anche degli invii di quei documenti alle procure, non accertava soltanto cos'erano -, non le sembra anomala la decisione che ella ha assunto allora, ovvero di inserire un suo sostituto, il dottor Bonagura, ad essere attore di una decisione di cui era titolare un altro ufficio, non il suo?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. A me sembrò, più che opportuno, doveroso.
Ho dato ragione del perché giuridico (vogliamo chiamarlo così?), ovvero l'articolo 371 del codice di procedura penale; ho dato ragione del perché psicologico, psichico, intimistico: avevo io procurato, provocato quel nuovo lavoro a Scandurra. A me sembrò opportuno e bello avere sensibilità in questo indirizzo. Ma - lei mi domanda - quella presenza di Bonagura vi era perché in quel gruppo di lavoro si facesse che cosa? Quello che il pubblico ministero fa sempre, doverosamente, istituzionalmente (guai se non lo facesse: tradirebbe il suo mandato, sarebbe da mandare in galera!): leggere il rapporto e destinare in conseguenza, se rilevante, quel rapporto (erano tanti, quei rapportini) al pubblico ministero competente ad incoare l'azione penale.
LUCIANO GUERZONI. Ma questa è la funzione del dottor Scandurra, non del suo ufficio! È l'azione di un altro ufficio: questo è il punto che mi fa sollevare degli interrogativi, pur senza giungere ad alcuna conclusione. Questa è l'anomalia! Finché si trattava di cooperare per attività istruttorie è un conto, ma lì si è andati a cooperare con compiti di un altro ufficio.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Certo, era un consulente nella disamina che si faceva in quell'altro ufficio.
LUCIANO GUERZONI. Non disamina, ma invio agli uffici!
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Previa disamina; non è che si possono mandare delle carte assorbenti!
LUCIANO GUERZONI. Sulla disamina posso convenire anch'io, ma è l'invio, è la decisione che mi solleva dei dubbi.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. La disamina lo implica. Una volta che il risultato avesse portato alla rilevanza di un fatto penalmente significativo, assolutamente, meccanicisticamente importava l'avvio al procuratore militare competente. Era in sé, previa la disamina. Ma era l'ineliminabile conseguenza di ogni giorno, leggendo un rapporto, vederne la rilevanza penale e avviarlo al pubblico ministero competente. E il pubblico ministero competente è sempre in grado di impossessarsi dei rapporti e delle denunzie relative a fatti che esamina: li ravvisa di un certo rilievo e dà inizio all'azione penale.
Il pubblico ministero Scandurra non era il pubblico ministero idoneo ad iniziare l'azione penale. Il pubblico ministero Scandurra era il procuratore generale militare presso la corte militare d'appello, organo di secondo grado. Era il vertice dei pubblici ministeri di primo grado (e di secondo grado, perché ce n'erano anche a Verona e a Napoli); era il vertice. Nel suo ufficio, nella sua casa furono rinvenute dal colonnello Bianchi - diligente per mia spinta - le carte di cui ho parlato come di abnormi provvedimenti o le carte trattenute da avviare all'ulteriore percorso per il quale erano state bloccate. Era nella sua casa che avveniva questo.
Io non vorrei raccontarle una favola, ma vorrei spiegarmi meglio. Credo di non essere stato finora capace di dire cose elementari.
Facciamo il caso che il procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione, l'eccellenza Vittorio Sgroi (che mi permetto di nominare, con il migliore stato d'animo nei suoi confronti: degnissima
persona, professore di alta statura), nel Palazzaccio (lasciatemi usare questa parola significativa, che dice bene in sintesi), nel quale fu poi Primo presidente e dove un tempo avevano posto anche altri uffici giudiziari, avesse saputo allora che nei sottostanti uffici della procura generale della corte d'appello c'erano carte che significavano denunzie non inoltrate al magistrato al quale dovevano andare. Ebbene, il procuratore generale Sgroi, nella sua sapienza ed esperienza, che cosa avrebbe fatto? Avrebbe chiamato i vari pretori del tempo per dire: qua ci furono omissioni di denunzia? Avrebbe chiamato il pretore per dirgli che vi erano delle omissioni di denunzia per fatti avvenuti cinquant'anni prima? Certamente non avrebbe fatto questo il procuratore generale Sgroi, ma avrebbe detto al procuratore generale della corte d'appello: guarda che, in casa tua, per caso, io ho saputo, ho scoperto che vi sono delle carte che non furono avviate cinquant'anni fa al magistrato che doveva incoare l'azione penale; verifica se l'informazione mia sia esatta, poi fai tu. Questo avrebbe detto. Non avrebbe chiamato il pretore; non avrebbe preso con violenza carte dalla casa del procuratore generale d'appello per mandarle ai pretori di non so dove. Avrebbe detto questo: vedi, verifica. E se l'altro gli avesse risposto: «Ma io non so come fare, non ho personale», si sarebbe dichiarato disposto a mandargli un aiuto, qualcuno competente che potesse dargli una mano, in maniera che fuoriesce, beninteso, dall'ortodossia formale. Perché certamente Bonagura usciva dall'ortodossia formale, se andava a dare un'opinione da consulente, essendo collaboratore, all'ufficio che doveva avviare ai pubblici ministeri carte da cinquant'anni giacenti e mai avviate da allora.
Questo avrebbe fatto il procuratore generale Sgroi. Dopodiché si sarebbe anche lui chiuso nella sua torre d'avorio, avendo esaurito il suo mandato. E non certo pentendosi di aver mandato, oltre che il messaggio, un suo magistrato stimato a dare collaborazione e consulenza in quella lettura, verifica, selezione e avvio di atti ai pubblici ministeri ai quali non erano stati avviati cinquant'anni prima. Non so, non riesco ancora a rendere la mia idea, forse.
LUCIANO GUERZONI. La ringrazio, ma per miei limiti soltanto, non riesco ad essere d'accordo con la sua opinione.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Io non sono abilitato a fare una domanda, ma se fosse possibile le domanderei: che cosa avrebbe dovuto fare Renato Maggiore, a quel punto?
PRESIDENTE. Questa è un'altra questione, professore.
LUCIANO GUERZONI. Bastava che lei mi dicesse che il sostituto Bonagura non partecipava a decidere gli invii, ma partecipava al resto.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Ma io non so a che tipo di collaborazione...
LUCIANO GUERZONI. Invece, lei ci ha detto che l'ha nominato, pur sapendo che decidevano anche gli invii.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Ma se decidevano la rilevanza ipso facto...
LUCIANO GUERZONI. Comunque, professore, la ringrazio.
PRESIDENTE. La parola all'onorevole Raisi.
ENZO RAISI. Innanzitutto, voglio ringraziare il professore, anche perché ci ha dato un'altra versione su come sono stati ritrovati questi fascicoli: Intelisano ci aveva detto che li aveva scoperti una ricercatrice storica...
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. No, non può dirlo.
ENZO RAISI. ... e oggi apprendiamo che, invece, la situazione è un'altra.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Credo di no. Io non vorrei dire...
PRESIDENTE. Professore, le chiedo scusa, facciamo formulare la domanda.
ENZO RAISI. Questo, dunque, è un dato di novità, del quale la ringrazio. Tra l'altro, il nome di quella ricercatrice non si è mai saputo. Come vede, molti dei nostri interventi vertono sul tema della legittimità o meno del gruppo di lavoro, della commissione, del pool o di come si voglia chiamarlo. Io utilizzo la definizione «gruppo di lavoro» perché mi sembra più giusta e più vera.
Lei mi ha già dato una risposta, argomentandola sia sul piano della legittimità (articolo 371 del codice di procedura penale), sia sul piano dell'opportunità, ovvero della volontà di arrivare in tempi brevi...
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Diciamo in tempi non lunghissimi.
ENZO RAISI. ...ad una verifica dei contenuti dei medesimi fascicoli. Quindi, era una scelta pragmatica per arrivare velocemente ad eliminare un orrore di tanti anni fa.
Ora, vorrei chiederle: ci sono casi in cui, all'interno della magistratura militare, in forza di una legge, si possono costituire commissioni? Eventualmente, qualora fosse possibile, a chi spetterebbe tale facoltà?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Tutto quello che non è vietato è consentito.
ENZO RAISI. Ecco, questa è la risposta che volevo sentire; perfetto.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Aggiungerei che non fu costituita commissione alcuna, perché ciò implicherebbe la presenza di verbalizzanti che la istituiscono e costituiscono, che stabiliscono il tema, i componenti, i termini e le finalità dell'operare, gli eventuali gettoni di presenza. Non c'è nulla di simile nelle carte che io conosco.
Avrei dovuto partecipare io con Scandurra a quella commissione? Mai ci riunimmo per fare deliberazioni su questo punto. E non c'è ombra di verbale che dica questo. Forse, il Consiglio della magistratura militare, in qualche momento - non so se per iscritto - chiamò «commissione» quei due designati operatori? Può essere, ma così chiamandoli non li costituì in commissione, perché quella era una forma dichiarativa, rappresentativa, narrativa, espositiva, non costitutiva della commissione.
Non ci fu mai - scusi il tono, sembro forse rude, ma m'importa d'essere energico, per la perentorietà delle cose e della mia convinzione- , non ci fu alcuna commissione a questo fine. Ci fu una profferta mia, per i motivi che lei ha gentilmente voluto ricordare, a Scandurra, di dargli un'aggiunta: un'aggiunta alla procura, non un'aggiunta a Nicolosi. Bonagura poteva non essere aggiunto a Nicolosi; poteva essere aggiunto ad altri sostituti nominati da Scandurra. Io volevo dare un aiuto, io che mi sentivo in parte autore, causa di quel super lavoro giunto sulle spalle di Scandurra, che mi sentivo in parte anche legato al dato causale remoto - era stato il procuratore generale Santacroce, di cui ero indegno successore, a procurare quei provvedimenti abnormi e quindi quel lavoro.
Era stato Renato Maggiore - Antonio Intelisano è troppo onesto, non può aver detto il contrario - a dire al colonnello Bianchi (che può esser sentito cento volte): se credi di ricordare, vedi di cercare...
PRESIDENTE. Mi scusi, professor Maggiore, credo che lei abbia risposto in maniera esaustiva alla domanda dell'onorevole Raisi. Se il collega mi consente, vorrei farle una domanda: il Consiglio della magistratura militare, nella sua indagine, ha mai definito «commissione» quello che lei chiama «gruppo di lavoro» o «pool»?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Può essere.
PRESIDENTE. È così, glielo dico io.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Che altri, Consiglio della magistratura militare compreso, l'abbiano definita «commissione» non la costituisce. Tra atto costitutivo e espressioni dichiarative corre un abisso.
ENZO RAISI. Sì, il professore lo ha detto; ce lo ha anche spiegato.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Io parlo a uomini di legge.
ENZO RAISI. Sì, si è capito benissimo.
PRESIDENTE. Mi sembra strano che, tra tutti questi uomini di legge, non ci riusciamo a capire, tranne l'onorevole Raisi, che vedo annuire, il quale non è uomo di legge. Mi sembra veramente molto strano.
ENZO RAISI. Forse, proprio per questo.
PRESIDENTE. Così, sono io a fare la figura di colui che non è uomo di legge, mentre colui che non lo è lo sembra...! Veramente, sono molto stupito.
ENZO RAISI. Forse è per questo che capisco.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Presidente, non posso rovesciare le posizioni e non posso chiedere agli uomini di legge che non mi hanno inteso...
PRESIDENTE. Professore, lei non deve rovesciare nulla. Io le ho fatto una domanda e lei mi ha risposto; va bene così.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Presidente, io mi permetterei, sulla base di quello che lei tanto intelligentemente ha detto, di domandare agli uomini di legge qui presenti: in quale norma del nostro ordinamento è dato il concetto giuridico di commissione, così che, fuori da quelle nozioni, da quei parametri, da quelle norme di cui quel concetto fruisce, l'usarlo è illegittimo (non dico illegale)? Mai, nel nostro ordinamento l'espressione «commissione» tout court è chiamata, individuata in termini dai quali non si possa slargare ad un uso generico, pragmatico.
La parola «nazione», la parola «regione», la parola «famiglia» nel nostro ordinamento sono - prese così, tout court - indicative di un concetto giuridico specifico. La famiglia è quello che la Costituzione chiama «famiglia»; poi, le elaborazioni, le evoluzioni ci potranno essere. La regione è quello che la Costituzione definisce tale.
PRESIDENTE. Professore, le chiedo scusa, però il problema non è quello di capire il significato della parola «commissione»; credo che questo non interessi a nessuno, mi perdoni.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Che non ci sia nessuna norma che la definisce in modo che, usando il termine in senso lato, sia illegittimo usarlo, lo capiscono tutti.
PRESIDENTE. Professor Maggiore, credo che il problema sia di natura diversa. Comunque, siccome c'è tempo per chiarire tutto, ci ritorneremo sopra.
La parola all'onorevole Raisi.
ENZO RAISI. Grazie, presidente.
Professor Maggiore, secondo lei i magistrati designati potevano adottare un provvedimento di non luogo a provvedere, qual quello a firma del dottor Nicolosi, in forza della delega ricevuta? In secondo luogo, chi è che aveva la responsabilità del provvedimento, il firmatario o l'intero gruppo? Infine, questo provvedimento di non luogo a provvedere ha un effetto giurisdizionale? È un modo per ordinare le pratiche o ha un effetto giurisdizionale sulle pratiche stesse?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Se ho capito bene, il collega Nicolosi, pubblico ministero presso la corte militare d'appello, che aveva in casa quel carteggio, era l'incaricato, il designato dal titolare dell'ufficio a guardarle; Scandurra me l'ha scritto nella sua lettera: ho innanzitutto incaricato il collega sostituto anziano a quest'esame.
PRESIDENTE. Credo che il collega abbia voluto dire una cosa diversa.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Il collega Scandurra, da pubblico ministero, coadiuvato o no da Bonagura o da altri sostituti, aveva il dovere del pubblico ministero dinanzi a una denuncia - o a una montagna di denunce - a lui pervenuta.
Qual è il dovere del pubblico ministero quando gli perviene una denuncia? Leggerla, valutarne la rilevanza giuridico-penale. Ove non l'abbia, ove l'abbia, questo è il punto nel quale si trova l'alternativa del suo esame. Se ha una rilevanza giuridico-penale, la inoltra. Il pubblico ministero di primo grado inizia l'azione penale, il magistrato - anche d'appello - che la riceva la avvia al magistrato di primo grado (pubblico ministero) che è in grado di iniziare l'azione penale. Se non ravvisa dati dai quali emerga la rilevanza penale del fatto, non l'avvia affatto.
Ho parlato di un plico di carte diciamo segrete che mi portò il colonnello Bianchi. Dissi che fra quelle carte, di nessun rilievo, ce n'era più d'una relativa alla non eccessiva moralità di una signora divenuta poi consorte di un magistrato militare. Che cosa risposi io a Bianchi? Gli dissi: carissimo, non m'interessa la moralità anteriore al matrimonio di questa gentildonna. Le altre carte hanno valore eguale? Le tenga da parte, sono segreti suoi, gliele regalo!
Il magistrato incaricato di ricevere e valutare una denunzia fa questo esame: valuta se ha sotto gli occhi un fatto che abbia rilievo di fattispecie penale, nel qual caso provvede. Nel caso diverso, a chi deve mandare le carte perché si ammonticchino? Non le manda a nessuno! Farebbe un errore, sarebbe un divertissement: io la mando lo stesso, poi se la vedano il pretore, il procuratore militare di Bari. Il procuratore militare di Bari, a quel punto, dice: ma questo qui, che ha letto e ha mandato a me le carte, non ha gli occhi per vedere? Il cervello l'ha mandato all'ammasso? Non capisce più niente? Che mi manda?
Il procuratore militare si occupa delle cose che hanno rilievo penale una volta che riceve carte con notizie che siano reato, da parte di chicchessia; e quindi anche da parte della procura generale militare d'appello e anche da parte del sostituto anziano della procura generale militare d'appello, che era Nicolosi.
È infelicissima la mia giornata: non riesco a rendere nozioni che dovrei saper dire e dare.
ENZO RAISI. Professore, mi ha convinto. Io sto annuendo, anche se non sono uomo di legge, perché mi ha convinto.
PRESIDENTE. Forse sta annuendo proprio per questo, onorevole, se vuole che le risponda.
ENZO RAISI. Perché, solamente gli uomini di legge possono esser convinti?
In effetti, molti altri fascicoli vennero inviati da questa commissione alle procure competenti...
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Certo, più di un centinaio ad Intelisano.
ENZO RAISI. ...come si legge dalla relazione del Consiglio della magistratura militare, in conformità agli stessi criteri e alle stesse deleghe che le furono conferite.
Si è difatti redatto un verbale dove sono stati chiariti i compiti di quella che nel verbale viene chiamata «commissione interna», nonché i fini per i quali essa si era costituita. Questi dati possono, secondo lei e secondo l'ordinamento vigente, sostenere e attestare la regolarità di quel gruppo di lavoro?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Quello è un verbale che io credo di avere; vi è il verbale ed anche un sommario résumé, condensato di un'attività amministrativa svolta del cui svolgimento dà atto. Quel verbale non dice altro che le avvenute riunioni e operazioni. Sulla rilevanza giuridica delle carte trasmesse, credo che non si pronunzi. Dice: le abbiamo trasmesse in quanto erano da trasmettere.
Non so se altre carte, che non erano da trasmettere, non siano state trasmesse. Io non ero in quella commissione, ero in un altro piano. Io ero nella mia torre d'avorio, io non ne so nulla!
Certo, con l'occasione della sua domanda interrogo anche me stesso; quel gruppo di lavoro così si chiamava, ma si può chiamare «commissione»; non violo nessuna norma se chiamo «commissione» quel gruppo di lavoro. Amerei sapere quale norma mi vieta di chiamare «commissione» l'insieme di persone che si riunisce per decidere i festeggiamenti al patrono del mio paese; e, difatti, si usa chiamarla «commissione per le feste al patrono».
CARLO CARLI. E no, lì facevano altre cose, signor procuratore! Non c'erano le feste, da fare!
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Era una commissione come riunione di persone in un campo nel quale ci potevano essere due designati e quello che conta è il lavoro espletato dai due designati, chiamati o meno «commissione»; quello che conta è il risultato! Se fu buona quell'attività, finalizzata a risultati encomiabili, che li si chiami «operatori designati», «pool» o «commissione», mi interessano i risultati. Non è che i risultati sono buoni o cattivi in dipendenza dell'etichetta «commissione» o «pool». Io dico che conta la finalizzazione di quegli operatori.
Quello era un lavoro finalizzato a trasmettere ai pubblici ministeri le carte di rilevanza per loro come promotori di azione penale. Questo era il lavoro di quella commissione. Se quella commissione ha fatto questo - io presumo di sì -, ha fatto benissimo; conoscendo quei magistrati non posso ritenere se non che abbiano fatto benissimo. In tutte le condotte attive o omissive di Nicolosi, Scandurra, Bonagura, Intelisano, conoscendoli, io non posso che presumere la ineccepibilità del loro comportamento.
Altro sarebbe se mi trovassi dinanzi alla dimostrazione del contrario. Non posso pensare che avendo quella commissione trasmesso un certo numero di atti rilevanti ad alcuni uffici del pubblico ministero militare, poi quest'azione ovvia, doverosa, esemplare, essa l'abbia improvvisamente voluta, come dire, invertire, quasi abbia voluto tracimare. Allora, più che d'inversione parlerei di perversione: ne ho mandate 150 di queste carte di denunzia, 25 non le mando! Questa perversione di indirizzo, di percorso, che significherebbe soltanto una immolazione sull'altare dell'autocolpevolizzazione, per me è assurda finché non mi si mostra che è così.
ENZO RAISI. A suo giudizio, è necessario o addirittura obbligatorio ritrasmettere
un fascicolo già inviato ad una procura territorialmente competente dopo quasi cinquant'anni, anche se non si è avuta alcuna richiesta in tal senso?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Si può fare qualcosa che è più dello strettamente necessario, secondo la discrezionalità.
ENZO RAISI. Ma io vorrei sapere se lei ritiene che sia obbligatorio.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. No, non è obbligatorio. Se risulti già trasmesso quel rapporto, fascicolato o meno, non è obbligatorio ritrasmetterlo in fotocopia. Se nasce il dubbio che non sia pervenuto, per non so quale motivo - dubbio fondato o legittimo -, allora si ha il dovere di ritrasmetterlo, sia pure in forma di fotocopia dopo cinquant'anni; diversamente, non è obbligatorio. Altrimenti, che sperpero di fatica e di messaggi postali sarebbe!
ENZO RAISI. Secondo lei, è legittimo - e perciò non proibito - all'interno della magistratura militare, promuovere o condurre ricerche di carattere storico-giudiziario su episodi remoti?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Si riferisce a ricerche di natura storica?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Non è compito del magistrato militare fare ricerche per la storia. In quanto quei dati di natura storica possano sembrare configuranti dati di rilievo penale, rispondo «sì», ma allora non li chiamerei di natura storica.
ENZO RAISI. Io, però, le ho chiesto se a suo giudizio sia proibito o meno fare questo tipo di attività.
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. La ricerca storica sarebbe perdita di tempo. Il magistrato non è pagato per fare la storia, è pagato per fare istruzioni penali. Se si mette a raccontare come l'arca di Noè venne a galla e che altro accadde, è un magistrato che ha perso il suo tempo, ha sbagliato il suo mestiere; è da eliminare.
ENZO RAISI. I fascicoli erano già annotati nel ruolo generale. È giusto?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Ritengo di sì.
In un esame che non fu fatto in maniera molto penetrante, molto ficcante, mi si mostrò il quadro che appariva, che emergeva dal registro generale; mi si mostrò un certo quadro. Io lo presi, lo guardai, impiegai venti minuti per far questo, non feci niente di analitico, non guardai funditus niente; non mi competeva (si è dubitato che competesse a Scandurra); non mi competeva! Carte trovate in casa d'altri ma indizianti una qualche cosa, io le vidi. Vidi questo registro generale, quello che ho detto, che poi ebbe in fotocopia Intelisano. Rilevai che vi fossero carte di rilevanza notevole, della quale rilevanza non parlai esplicitamente in maniera molto aperta e rozza a Scandurra, ma della quale feci accenno a Scandurra, perché in casa sua c'erano queste carte. E non gli dissi «provvedi»; era ovvio, era in re ipsa. Se gli avessi detto che esistevano carte di tale rilievo, era in re ipsa che lui avrebbe dovuto poi provvedere.
ENZO RAISI. Come si comporta un magistrato militare quando il fascicolo e le denunce sono a carico di ignoti?
RENATO MAGGIORE, procuratore generale militare pro tempore presso la Corte suprema di Cassazione. Si comporta come
l'uomo comune, a questo punto, perché non ha dati sui quali fermare la sua attenzione funditus, giuridicamente.
Ci si può chiedere: ma davvero sono ignoti? Al più, se il fascicolo viene dai carabinieri, se viene dalla questura, riscrive e dice: ma siete proprio convinti di aver esaurito tutto l'ambito delle vostre possibili indagini sul punto? Davvero resta ignoto? Valutate e cortesemente ditemi se siete davvero, ancora una volta, convinti che quei tali restano ignoti.
ENZO RAISI. La ringrazio, professore; non ho altre domande da rivolgerle.
PRESIDENTE. Colleghi, ricordo che l'Assemblea di Montecitorio sta per procedere alla discussione e alla votazione delle mozioni sulla situazione in Iraq e sulle relative iniziative internazionali. Pertanto, ringrazio il professor Renato Maggiore, i colleghi intervenuti e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.
La seduta termina alle 17,45.
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