CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA

Resoconto stenografico della Commissione parlamentare di inchiesta
sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti


PARTE SEGRETA DELLA SEDUTA N. 25 DEL 16 GIUGNO 2004, DECLASSIFICATA AI SENSI DELLA DELIBERA DELLA COMMISSIONE DEL 16 FEBBRAIO 2006

BRUNO BRUNETTI. Questi fascicoli - che, con un termine tecnico povero, vengono definiti come «false copertine» - nel 90 per cento dei casi, per quanto mi è dato ricordare, contenevano esclusivamente due o tre pagine, delle quali una paginetta, non in formato A4, rappresentava una lettera di trasmissione, senza firma perché evidentemente era una minuta o, comunque, se non ricordo male, con la firma di Borsari, che è stato, in tempi molto addietro, un procuratore generale militare.
Con tale lettera di trasmissione si trasmettevano all'autorità giudiziaria ordinaria - si tratta degli anni immediatamente successivi alla guerra: 1944 o 1945, non ricordo esattamente - gli atti che probabilmente la procura generale aveva ricevuto come notizie di reato da parte dei carabinieri, in merito a vicende di carattere criminoso. In alcuni casi in questa falsa copertina erano contenute come descrizione: si trattava di una «velina» perché allora si usava effettivamente la carta velina con la carta carbone, non esistendo la videoscrittura ed i computer. Quindi, era una minuta, una copia di queste denunce, che era rimasta agli atti, mentre gli atti erano stati trasmessi all'autorità giudiziaria ordinaria.
Se non vado errato, il numero dei fascicoli che mi furono affidati era di 202. A suo tempo - mi pare fosse il 1994 o il 1996, non ne sono sicurissimo - ho ricevuto l'incarico di ricostruire il puzzle, cioè di verificare che fine avessero fatto queste denunce penali che, come ripeto, da questa scarna quantità di atti, dovevano essere state trasmesse alle varie autorità giudiziarie ordinarie su tutto il territorio nazionale.
Il lavoro è stato estremamente difficoltoso, soprattutto per il fatto che era passato tanto tempo e, quindi, vi sono state serie difficoltà da parte delle autorità giudiziarie alle quali ci si è rivolti nel reperire le sentenze o, comunque, i provvedimenti di carattere giudiziario che erano stati adottati per i casi in esame.
Ricordo - poiché le cose diverse restano più impresse nella mente - che, se non vado errato, da parte della procura di Firenze, di fronte alle istanze per avere alcune sentenze in merito ai fatti rappresentati, si rispose che al momento gli archivi non erano agibili perché la fortezza da Basso era in parte crollata. Ricordo questo episodio perché ci posi particolare attenzione.
Questa mia ricerca metodica, defatigante e, tutto sommato, abbastanza noiosa perché non vi erano molte cose di interesse particolare, se non di interesse quasi storico, è durata nel tempo, tant'è che nel 1999, quando ho lasciato definitivamente la giustizia militare, questa ricerca di elementi non era stata ancora conclusa.
Ricordo anche che nel 1998 ho subito un infarto del miocardio e, quindi, sono stato assente dal servizio per svariati mesi, ne sono uscito e ho continuato a lavorare sempre nella giustizia militare fino al settembre del 1999.
Per sommi capi questo è quanto ricordo sull'argomento in questione.

PRESIDENTE. Prima che i colleghi le rivolgano le domande, vorrei sapere: lei ha prestato la sua attività presso gli uffici militari di Roma?

BRUNO BRUNETTI. Sì.

PRESIDENTE. Dove?

BRUNO BRUNETTI. Ho seguito un iter: ho cominciato come cancelliere, con il grado di capitano, presso la procura militare di Roma e sono stato addetto al servizio del campione penale. Successivamente ho seguito sempre il dottor Scandurra, che nel frattempo da procuratore militare era stato promosso procuratore generale militare presso la Corte militare di appello, e proprio a quegli anni si riferiscono questi fatti, cioè quando eravamo nella procura generale presso la Corte militare di appello. Successivamente - e lì ho lasciato - sono stato ancora elevato alla procura generale presso la Corte suprema di cassazione. Quindi, sempre in uffici giudiziari di Roma.

PRESIDENTE. Fino al 1999?

BRUNO BRUNETTI. Sì, fino al 1999. Durante il periodo che va dal 1979 al 1999, mi preme ricordare che, con attinenza al mio grado militare, ho seguito un anno di corso di stato maggiore presso la scuola di Civitavecchia ed essendo stato promosso tenente colonnello ho chiesto ed ottenuto immediatamente di andare in comando.
Per noi ufficiali d'accademia è obbligatorio un periodo di comando nei vari gradi; quindi, da tenente colonnello ho comandato un battaglione e poi con la promozione al grado di colonnello, proprio nel 1999, ho chiesto ed ottenuto immediatamente di andare in comando anche da colonnello ed ho comandato per tredici mesi il distretto militare di Ancona. Non sono più rientrato nella giustizia militare.

PRESIDENTE. Lei sa chi ha ricoperto il suo incarico dopo di lei?

BRUNO BRUNETTI. Certamente: il tenente colonnello Boro, che ha seguito anche l'iter di queste false copertine, di questi fascicoli.

PRESIDENTE. Nel 1999?

BRUNO BRUNETTI. Sì.

PRESIDENTE. È ancora in servizio lì il suo collega?

BRUNO BRUNETTI. Sì.

PRESIDENTE. Prego, onorevole Carli.

CARLO CARLI. Ringrazio il colonnello della sua disponibilità e collaborazione con la Commissione.
Lei ha conosciuto il generale dell'Arma Brunetto Brunetti?

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente no, siamo tantissimi. Doveva essere sicuramente più magro di me...!

CARLO CARLI. Francamente non l'ho conosciuto perché già nel 1946 era comandante generale dell'Arma dei carabinieri.

BRUNO BRUNETTI. Non l'ho conosciuto.

CARLO CARLI. Lei ci ha parlato del suo curriculum, della sua carriera, soprattutto degli ultimi anni, mi pare. Non ho capito come sia iniziata la sua carriera nella giustizia militare.

BRUNO BRUNETTI. Nel 1979, avendo già assolto gli obblighi a Sora, presso il 57o battaglione Abruzzo ed avendo comandato la compagnia per ben tre anni in quella località e, quindi, avendo assolto ai miei compiti da capitano - allora giovane, per fortuna - arrivò una richiesta, a causa di una carenza di personale nell'ambito della giustizia militare, di ufficiali d'arma che potessero prestare servizio presso gli organi della giustizia militare.
Nella fattispecie si richiedevano o tenenti e capitani non del ruolo normale, quindi non d'accademia, ma laureati in giurisprudenza, ovvero capitani che avessero già assolto - ed era il mio caso - gli obblighi di comando da capitano e che fossero del ruolo normale, cioè avessero frequentato i regolari corsi presso l'accademia di Modena.
Io rientravo in questa terza fattispecie e feci istanza per essere applicato alla procura di Roma, dopo parecchi anni in giro per l'Italia, poiché, pur non essendo originario di Roma, i miei genitori ed i genitori di mia moglie si trovavano a Roma.

CARLO CARLI. Prima di passare nella giustizia militare si era mai occupato dei crimini nazifascisti?

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente no. Dopo aver svolto i corsi di accademia presso la scuola d'applicazione di Torino, ho prestato servizio al confine nord est, ed esattamente con il 114o reggimento fanteria Mantova e battaglione Moriago, in quel di Tricesimo e di Tarcento. Successivamente, dopo il terremoto del 1976, che ho gestito interamente, mi sono trasferito a Sora, dove, prima da tenente e poi da capitano, ho comandato la compagnia. Quindi, ero e sono assolutamente un ufficiale di fanteria.

CARLO CARLI. Passando alla giustizia militare, mi pare di aver capito che ha avuto un rapporto diretto quasi sempre o sempre con il dottor Scandurra.

BRUNO BRUNETTI. Inizialmente no. Il procuratore che mi accolse, tra virgolette, in seno alla giustizia militare è stato il predecessore del dottor Scandurra, il dottor Pedrazzoli, ora in quiescenza, se non vado errato.
Come ho già accennato, fui applicato nella particolare branca del campione penale militare: praticamente esigevo le parcelle per le spese legali dagli imputati.

CARLO CARLI. Prima del 1994 non aveva mai sentito parlare dell'occultamento di fascicoli, documenti, atti relativi a crimini nazifascisti, che ha impedito di celebrare i processi? Non ne ha mai sentito parlare?

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente no.

CARLO CARLI. Quando ne ha sentito parlare per la prima volta?

BRUNO BRUNETTI. Ne ho sentito parlare, se non ricordo male, dopo aver preso in gestione i 202 fascicoli. All'atto della consegna di questi 202 fascicoli mi fu detto di seguirli e di fare questo lavoro di indagine, più che altro burocratica.

CARLO CARLI. Ricorda esattamente quando le è stato dato questo incarico e da chi?

BRUNO BRUNETTI. L'introduzione all'argomento mi fu fatta dal dottor Scandurra, come procuratore generale presso la Corte militare di appello, e materialmente ricevetti i fascicoli dal dottor Conte, che era un funzionario di cancelleria della procura generale presso la Corte militare di appello. Dopodiché li trasportai materialmente nel mio ufficio e cominciai a lavorare.

CARLO CARLI. Erano documenti originali?

BRUNO BRUNETTI. No, erano copie e, se si riferisce alle lettere di trasmissione, ricordo perfettamente che non erano neanche firmate.

CARLO CARLI. Si riferisce alle lettere di trasmissione del 1946?

BRUNO BRUNETTI. Sì, del 1945 o 1946.

CARLO CARLI. Il primo invio?

BRUNO BRUNETTI. Sì, esattamente.

CARLO CARLI. Dove erano conservati questi fascicoli prima che le venissero dati?

BRUNO BRUNETTI. Non ne ho proprio idea. È inutile negare che ho appreso successivamente dell'armadio, ma non sono stato interessato in prima persona in questa forma di ricerche.

CARLO CARLI. A noi questi fascicoli sono stati trasmessi il 19 aprile 2004, a firma del procuratore generale militare, dottor Giuseppe Scandurra. Nella lettera di trasmissione, ad un certo punto, si dice che per tali atti la commissione costituita nell'estate del 1994 non ha individuato alcuna valenza di notitia criminis ed ha deliberato, nel novembre del 1994, il non luogo a provvedere.
Con la commissione ha avuto un rapporto successivamente, perché mi sembra di aver capito che lei ha avuto questi fascicoli dopo che la commissione ha scritto sopra: «non luogo a provvedere»?

BRUNO BRUNETTI. Presumo di sì. D'altro canto, io non so neanche di quale commissione si stia parlando. Io ho avuto materialmente questi fascicoli dopo una breve introduzione al lavoro che avrei dovuto svolgere.
Peraltro, io avevo esperienze in questo tipo di ricerche storiche e giudiziarie molto pregresse, perché ho seguito per parecchi anni i famosi fatti - dico «famosi» perché anche questi sono saliti alla ribalta della stampa - di Leopoli, cioè i presunti eccidi di militari italiani da parte delle truppe tedesche; presunti perché, almeno per quanto ne so io, non sono stati dimostrati. Quindi, in questo tipo di lavoro di ricerca avevo accumulato una certa esperienza.

CARLO CARLI. Il dottor Scandurra, quindi, le ha assegnato l'incarico di svolgere su questi fascicoli una ricerca di carattere storico-giudiziario. Ci può descrivere in cosa consisteva?

BRUNO BRUNETTI. Le lettere di trasmissione erano indirizzate in linea di massima, se non ricordo male - comunque è sicuramente contenuto negli atti -, all'autorità giudiziaria competente per territorio in merito ai fatti rappresentati da queste denunce fatte da comandi dei carabinieri, in linea di massima.
Il mio compito era quello di rivolgermi nuovamente a quelle procure o, meglio, a quei tribunali, perché, dato il tempo trascorso, era verosimile che fossero state emesse delle sentenze, per avere copia della sentenza e sapere come quel fatto fosse andato a finire, tra virgolette.

CARLO CARLI. A carico di chi erano in genere questi fatti imputabili?

BRUNO BRUNETTI. Molti erano a carico di ignoti.

CARLO CARLI. Italiani?

BRUNO BRUNETTI. Ignoti. Francamente non ricordo.

CARLO CARLI. Nell'elenco che ci è stato trasmesso, ad esempio, si parla di «ignoti militari delle brigate nere» o di «ignoti fascisti repubblicani». Quindi, non sono ignoti del mondo, ma sono precisi ignoti.

BRUNO BRUNETTI. Sicuramente erano circostanziati e circoscritti tra italiani e tedeschi.

CARLO CARLI. Erano fin troppo precisi perché fossero stati tenuti da voi.

BRUNO BRUNETTI. Sicuramente erano suddivisi fra italiani e tedeschi. Comunque, se non vado errato, al termine «ignoti», non riesco a dare una valenza.

CARLO CARLI. Non gliel'ho data io, signor colonnello. È scritto così: procedimento contro «ignoti fascisti repubblicani», «ignoti militari delle brigate nere», «ignoti militari della divisione Muti», e così via. Se si fosse fatta qualche ricerca più approfondita, magari sarebbero diventati noti. È una mia considerazione.

BRUNO BRUNETTI. Io dovevo fare una ricerca più approfondita?

CARLO CARLI. Ho fatto una considerazione.

BRUNO BRUNETTI. Io non avevo l'incarico di svolgere attività giudiziarie. Il mio incarico era quello di verificare chi avesse svolto le attività giudiziarie, come e se avesse svolto tali attività giudiziarie. Ma parliamo di quel tempo, non del presente.

CARLO CARLI. Secondo lei, era legale svolgere quest'attività storico-giudiziaria?

BRUNO BRUNETTI. Essendo sentenze passate in giudicato ed ormai obsolete, vecchie e superate, io ritengo di sì. Non sono un magistrato, non sono neanche un uomo di legge.

CARLO CARLI. Però quando si viene a conoscenza di una notizia di reato che cosa si dovrebbe fare, che cosa sarebbe obbligatorio fare?

BRUNO BRUNETTI. Quello che ritengo di aver sempre fatto, anche quando sono venuto a conoscenza di notizie non costituenti notizie di reato, ovvero sottoporle a chi è specificamente preparato per giudicare.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, onorevole Carli. Colonnello, qual era il suo compito specifico?

BRUNO BRUNETTI. Quello di ricercare copie di quelle sentenze.

PRESIDENTE. Questo suo compito le è stato assegnato con una lettera scritta?

BRUNO BRUNETTI. No.

PRESIDENTE. Quindi, a voce. Cosa le ha detto di verificare il dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Di andare a cercare che cosa era successo di quelle denunce.

CARLO CARLI. Presidente, posso avere il fascicolo 2.858?

PRESIDENTE. Certamente.
Colonnello Brunetti, secondo lei, fare questo tipo di indagine poteva rientrare tra le sue mansioni?

BRUNO BRUNETTI. Questo tipo di ricerca? Come ripeto, essendo una ricerca di carattere burocratico - insisto nel dirlo - ritengo di sì. D'altro canto, mi era stata affidata.

CARLO CARLI. Presidente, posso chiedere al colonnello se ha scritto lui l'appunto su questo fascicolo?

PRESIDENTE. Prego.

BRUNO BRUNETTI. Sì, è la mia pessima grafia.

CARLO CARLI. È firmato da lei, è scritto da lei?

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente sì.

CARLO CARLI. Quindi, anche su questo documento evidentemente questa è la sua grafia?

BRUNO BRUNETTI. Sì.

CARLO CARLI. Mi riferisco al fascicolo 970, documento 22.147. Signor colonnello, questo fascicolo contiene ricerche e testimonianze ed io ritengo che sarebbe stato un dovere da parte di chi ne veniva in possesso trasmetterlo immediatamente all'autorità giudiziaria perché vi sono notitiae criminis, come si dice.
Abbiamo già parlato nel corso di altre sedute di un fascicolo riguardante una denuncia a carico del capitano Comelli delle SS italiane per il reato di omicidio e di aiuto al nemico in danno di Carlo Besana, Venuto Rubino, Carlo Cendali, Franco Guarnerio, Benedetto Bocchiola e Anna Ronchi. Sarebbe opportuno mostrarlo al colonnello affinché possa seguire ciò che gli sto chiedendo.
In questo fascicolo c'è un appunto che è stato spillato ad un documento della regione carabinieri Lombardia, comando provinciale di Lecco, reparto operativo nucleo informativo, a firma del capitano Antonio Aviatibile. In questo appunto è scritto: «Non c'è stato giudizio perché è stato fucilato. Possiamo considerarlo chiuso?».
Le chiedo a chi lei ha rivolto questa domanda.

BRUNO BRUNETTI. Alla persona a cui mi sono sempre rivolto nel merito, cioè al dottor Scandurra.

CARLO CARLI. Le voglio ora leggere dal resoconto della seduta della Commissione ciò che lui ha detto a proposito di questo fascicolo ed anche delle notizie di reato che sono state poi acquisite da parte dei carabinieri; quindi, non era solamente un'indagine storico-giudiziaria, ammesso che fosse possibile e legale svolgerla da parte vostra.
Nell'audizione del 25 maggio 2004 il dottor Scandurra, per ben due volte, ha dichiarato che molti atti non gli sarebbero stati mostrati da lei, colonnello Brunetti.
Ad alcune domande fatte da noi e, in particolare, dal senatore Vitali, il dottor Scandurra ha risposto: « Le confesso che molti di questi atti, per esempio, non venivano a mia conoscenza perché addirittura venivano acquisiti direttamente dal Brunetti e li considerava egli, sulla base delle indagini». Ancora, io ho chiesto al dottor Scandurra se avesse visto il verbale del 1997 redatto dai carabinieri di Introbio, ed il dottor Scandurra risponde: «Non ricordo di aver visto quel verbale». Quindi, io chiedo al dottor Scandurra se qualcuno lo ha sottratto alla sua attenzione, e lui risponde: «Io ritengo di averlo visto soltanto in questa circostanza», in questa Commissione, «ora, con la ricerca che ho dovuto fare per la Commissione». Io insisto ancora e chiedo: «Chi doveva farle vedere la documentazione?» ed il dottor Scandurra risponde che era il colonnello Brunetti.
Poiché in questo fascicolo ci sono nuove testimonianze e, secondo me, erano più che sufficienti per poter riaprire questo processo, ammesso che fosse stato chiuso, le chiedo perché non è stato inviato all'autorità giudiziaria competente questo fascicolo ed anche le testimonianze rese?

BRUNO BRUNETTI. Mi scusi, si riferisce al 575/15? Parlo del foglio in questione, con le nuove testimonianze.

CARLO CARLI. Ad esempio, c'è la deposizione della signora Rupani Fulvia.

BRUNO BRUNETTI. Esatto, è quello a cui mi riferivo. Si dà il caso che il diavolo fa sempre le pentole e mai i coperchi. La nota è del 15 luglio e, come si può vedere dal protocollo di arrivo, è giunta il 21 luglio 1997 alla procura generale presso l'appello, cioè non da noi, che eravamo al piano superiore ed eravamo la procura generale presso la Cassazione.
Il 22 luglio 1997 è morto mio padre per il morbo di Alzheimer. Per tale motivo ho ottenuto il giorno stesso i previsti dieci giorni di licenza per gravi motivi di famiglia e successivamente, non avendo terminato di mettere a posto le cose di famiglia - io sono il figlio maggiore - ho chiesto ulteriori quindici o diciotto giorni di licenza ordinaria, spettantemi anche quella, che ovviamente mi sono stati concessi. Pertanto, mi sono allontanato dalla procura generale presso la Cassazione, presso cui prestavo servizio in quel momento, dal 22 luglio fino a dopo ferragosto.
Sicuramente non ho mostrato al dottor Scandurra questo documento e non l'ho mai visto neanche io, perché non c'ero.

CARLO CARLI. Francamente non ci credo, perché lei qui ha scritto sopra il suo appuntino.

BRUNO BRUNETTI. Su questo no.

CARLO CARLI. Era nel fascicolo. Le chiedo scusa, non sapevo di questo fatto luttuoso e mi rammarico di averla riportata ad un dolore, ma mi consenta di dover svolgere la mia funzione di farle queste domande.
Lei ha fatto un discorso di date: un documento è del 1o luglio, mentre l'altro documento pervenuto a Roma è del 15 luglio 1997. Ma allora io le chiedo a che cosa si riferisse nella domanda che lei ha rivolto al dottor Scandurra se questo fascicolo si potesse considerare chiuso. Poiché questi appunti non ci sono su molti altri fascicoli, lei si era posto il problema se effettivamente fosse un vostro dovere procedere nuovamente. Altrimenti - mi permetta, colonnello - che senso aveva scrivere questo appunto? Ancora prima di rivolgere la domanda ad altri lei l'ha rivolta a sé stesso. Inoltre, questa domanda non ha avuto poi risposta.
Innanzitutto vi è il fatto che lei abbia scritto l'appunto e si sia interrogato. Prima di fare la domanda a qualcun altro l'ha rivolta a sé stesso. È evidente che, se il fascicolo era rimasto come lei lo aveva trovato e non c'erano state altre notizie e testimonianze, non era necessario scrivere questo appunto, perché lei non l'ha scritto su tutti. È chiaro?

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente.

CARLO CARLI. Ad un certo punto lei scrive questo appunto e lo spilla ad un documento. Pertanto, le era venuto il dubbio che si dovesse fare qualcosa di nuovo.

BRUNO BRUNETTI. Certo.

CARLO CARLI. È evidente. Sulla base di che cosa lei aveva il dubbio che si dovesse fare qualcosa di nuovo?

BRUNO BRUNETTI. Come ho già detto nella mia brevissima introduzione, il compito che mi era stato affidato era quello di ricercare le sentenze dell'autorità giudiziaria ordinaria giudicante e, quindi, dei tribunali che, a seguito delle indagini delle procure ad essi connesse, avessero eventualmente emanato delle sentenze. Nella fattispecie - ecco il perché del mio appunto, che è servito per memoria a me stesso e per introdurre la questione a colui al quale riferivo -, il procedimento non è terminato con l'acquisizione di una sentenza, bensì con l'acquisizione della notizia della morte di chi aveva compiuto il misfatto, cioè del maggiore (e non del capitano).

CARLO CARLI. Ma c'erano altri, insieme a lui.

BRUNO BRUNETTI. Mi riferisco a questo fascicolo.

CARLO CARLI. Sì, ma nel fascicolo che lei aveva, erano indicati anche altri che avevano partecipato alla strage.

BRUNO BRUNETTI. Ho capito, ma lei mi ha fatto una domanda sull'appunto e io sto rispondendo sull'appunto. Poi, dovrei ricordarmi che cosa ho fatto per gli altri casi. Per questo fatto, sicuramente, è passato un po' di tempo e ci sono stati parecchi avvenimenti; tuttavia, nel caso specifico, uno di coloro che avrebbero compiuto un atto delittuoso era comunque deceduto; dunque, andare a ricercare ulteriormente la sentenza aveva un valore?
La mia nota ha un punto di domanda; chiedevo, infatti, se dovessimo considerare chiuso il caso oppure no, proprio ricollegandomi a quel che ho sempre detto: non ho preso e non ho mai voluto prendere - perché non mi sento all'altezza, tutt'oggi - decisioni che non mi spettavano.

CARLO CARLI. Epperò, per gli altri fascicoli, lei non si è posto questa domanda.

BRUNO BRUNETTI. Certo, perché - ripeto, parlo in generale - avevo acquisito delle sentenze.

CARLO CARLI. Chi le portava i documenti indirizzati alla procura generale militare presso la corte militare di appello, compresa la trasmissione del verbale di cui abbiamo appena parlato? Lei, come ne veniva in possesso? E in che modo i documenti finivano nei fascicoli che lei aveva in custodia?

BRUNO BRUNETTI. Venivano passati da sotto a sopra in maniera quasi informale.

CARLO CARLI. Però, qui vi è un protocollo. C'è scritto: «procura generale militare presso la corte militare di appello, 21 luglio 1997», con tanto di numero.

BRUNO BRUNETTI. È la ricevente, certo.

CARLO CARLI. Mi permetta di finire. Non so se questa sigla si debba leggere «BRU».

BRUNO BRUNETTI. «BRU» sta per «Brunetti», si riferisce a me.

CARLO CARLI. Quindi i documenti, una volta ricevuti, venivano assegnati a lei.

BRUNO BRUNETTI. Sì, portati a me, materialmente. Si parlava di quei casi e oramai era notorio, anche per gli atti che erano rimasti al piano di sotto, che il riferimento ero io.

CARLO CARLI. Quindi, evidentemente, lei aveva la responsabilità di prenderne possesso nonché di venirne a conoscenza.

BRUNO BRUNETTI. Sì, sicuramente. Ripeto e ribadisco, però, che tutti i documenti che mi sono passati per le mani sono stati sempre visionati non soltanto da me. Ovviamente, se ci riferiamo al caso di cui abbiamo appena parlato, non essendo io presente, al piano di sotto continuavano a protocollare i documenti con la sigla «BRU», ma in effetti io non c'ero. C'era «BRU» come protocollo, ma io non c'ero.

CARLO CARLI. Quando lei è rientrato, dopo il periodo di lutto per suo padre, non ha visto i documenti che nel frattempo si erano accumulati?

BRUNO BRUNETTI. Nossignore, perché - se non ricordo male - quelli che dovevano essere ancora trattati mi sono stati messi in evidenza, non inseriti nei fascicoli.

CARLO CARLI. E allora, chi ce li ha messi nel fascicolo? Non un estraneo, evidentemente.

BRUNO BRUNETTI. No, sicuramente no.

CARLO CARLI. Qualche suo collaboratore, allora.

BRUNO BRUNETTI. No, non avevo collaboratori.

CARLO CARLI. E allora, chi ce li ha messi? Non è che abbiano spiccato il volo dal timbro del protocollo, per poi arrivare nel fascicolo.

BRUNO BRUNETTI. Sicuramente no.

CARLO CARLI. Ce li avrà messi il dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Ma il dottor Scandurra non aveva materialmente i fascicoli.

CARLO CARLI. E chi, allora? Lei mi ha detto che questo è il protocollo generale, dopodiché troviamo il documento nel fascicolo; lei afferma di non averlo mai visto, ma qualcuno lo avrà pur portato dal protocollo generale fino al fascicolo, dove è stato inserito.

BRUNO BRUNETTI. Non le so rispondere. A questa domanda non so proprio rispondere.

PRESIDENTE. Signor colonnello, qual è la data della lettera che ha preceduto la morte, purtroppo, di suo padre?

BRUNO BRUNETTI. La lettera cui si riferisce l'onorevole è del 15 luglio ed è giunta il 21 luglio 1997.

PRESIDENTE. Lei, poi, è andato via nel 1999.

BRUNO BRUNETTI. Certo, definitivamente nel 1999.

PRESIDENTE. Quando il dottor Scandurra le affidò l'incarico di effettuare quella che lei definisce una «ricerca burocratica», iniziò a svolgerla, immagino, scrivendo all'autorità giudiziaria...

BRUNO BRUNETTI. Certo.

PRESIDENTE. ... e all'Arma dei Carabinieri.

BRUNO BRUNETTI. Se necessario, sì. Se non riuscivo a quagliare, per assolvere al compito dovevo per forza fare qualcosa.

PRESIDENTE. Erano 202 fascicoli.

BRUNO BRUNETTI. Sì, se non ricordo male, erano 202.

PRESIDENTE. Lei, poi, riferiva puntualmente il tutto al suo capo ufficio.

BRUNO BRUNETTI. Credo che tutte le pagine siano vistate dal dottor Scandurra.
Ecco, questa è la lettera cui mi riferivo. Ancora ho una buona memoria. Questa, presidente, è la famosa lettera di trasmissione, comune a quasi tutti - se non a tutti - i 202 fascicoli. Non è firmata, perché si tratta di una minuta, ma comunque veniva firmata dal dottor Borsari.

PRESIDENTE. Questa lettera l'abbiamo agli atti. Io, però, volevo chiederle un'altra cosa. Ci sarà stato un momento in cui, una volta ogni quindici, venti giorni, lei si vedeva con il dottor Scandurra per vedere che cosa fare e per fare il punto della situazione: dico bene?

BRUNO BRUNETTI. La cadenza era anche più stretta: ci vedevamo anche tutti giorni.

PRESIDENTE. Tutti i giorni?

BRUNO BRUNETTI. Sì, verosimilmente, anche tutti i giorni. Se c'era qualcosa da dire, chiedevo udienza al dottor Scandurra.

PRESIDENTE. E lo informava di tutto?

BRUNO BRUNETTI. Certamente. Non è a tutt'oggi nella mia natura prendere decisioni che esulano dai miei compiti.

PRESIDENTE. Non lo metto in dubbio; siccome è il dottor Scandurra che mette in dubbio quanto sta dicendo lei, bisogna capire.

BRUNO BRUNETTI. Forse non si è ricordato questo piccolo particolare.

PRESIDENTE. Lei mi dice che vi vedevate anche giornalmente.

BRUNO BRUNETTI. Sì, se necessario; se arrivava della corrispondenza o altro, senz'altro; ovviamente, se lui era in grado di ricevermi, in quanto non è che si occupasse solo di questo tipo di lavoro.

PRESIDENTE. E lei gli comunicava verbalmente l'esito di tutte quelle indagini?

BRUNO BRUNETTI. Fascicolo per fascicolo.

PRESIDENTE. Verbalmente?

BRUNO BRUNETTI. Sì, sottoponendogli ovviamente la corrispondenza.

PRESIDENTE. E non c'è un sunto di tutta l'attività da lei svolta?

BRUNO BRUNETTI. Una specie di brogliaccio, se non mi sbaglio, ci dovrebbe essere.

PRESIDENTE. Un brogliaccio?

BRUNO BRUNETTI. Sì, un riepilogo, un qualcosa che mi serviva per memoria. Francamente non ricordo, ma era qualcosa a mia cura, per sapere gli scopi che avevo raggiunto, i fascicoli che avevo chiuso.

PRESIDENTE. Nel momento in cui lei chiudeva un fascicolo, faceva una relazione scritta al dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. No, non ricordo proprio di averlo mai fatto.

PRESIDENTE. Lei, comunque, si vedeva con il dottor Scandurra.

BRUNO BRUNETTI. Sì, per dirgli: «è arrivata questa corrispondenza» oppure: «è arrivata questa sentenza»; generalmente, si trattava di sentenze, perché ne abbiamo acquisite parecchie.

PRESIDENTE. Cinquanta circa, su 202 fascicoli.

BRUNO BRUNETTI. Il lavoro non era finito, però.

PRESIDENTE. Lo dico solo per precisare: su 202 fascicoli, credo che vi siano circa cinquanta sentenze.

BRUNO BRUNETTI. Le garantisco che è costato fatica riuscire a reperire quelle sentenze.

PRESIDENTE. E per i fascicoli per i quali non vi erano sentenze, che cosa facevate?

BRUNO BRUNETTI. Si continuava nella ricerca.

PRESIDENTE. A chi scrivevate?

BRUNO BRUNETTI. Ai carabinieri, per sapere se, eventualmente, avesse proceduto qualche altra autorità giudiziaria; insomma, si cercava di arrivare al termine, cioè di sapere che fine avesse fatto ciascuna denuncia, perché in effetti di denuncia c'era traccia.

PRESIDENTE. E quando lei è andato via, la ricerca si era conclusa?

BRUNO BRUNETTI. No.

PRESIDENTE. Quindi, è andata avanti.

BRUNO BRUNETTI. Non solo, ma devo ripetere ancora una volta che nel 1998 - quindi, immediatamente dopo questo fascicolo - sono stato assente per parecchi mesi e qualcuno avrà seguito la ricerca. Onestamente, in quei frangenti non ho potuto informarmi su chi abbia seguito queste particolari ricerche.

PRESIDENTE. Lei non si è mai posto la domanda se questo tipo di attività fosse legittima?

BRUNO BRUNETTI. Dall'alto della mia ignoranza, ribadisco che non mi sembrava illegittimo acquisire delle sentenze passate in giudicato, che dovrebbero dunque essere pubbliche.

PRESIDENTE. Le preciso che, per 202 fascicoli, vi sono circa 50 sentenze, di cui 44 con sentenza definitiva e...

BRUNO BRUNETTI. Ma la partenza era quella di raccogliere tutte le sentenze.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, colonnello, mi faccia finire. Le preciso nuovamente che, per 202 fascicoli - visto che lei mi sta dicendo che lo scopo era quello di recepire le sentenze -, 44 vicende sono andate a sentenza definitiva; per i restanti fascicoli, no.
Certamente, qualsiasi libero cittadino può chiedere copia di una sentenza, di un processo in giudicato: su questo non c'è dubbio. Mi sembra, però, che il caso sia diverso. Per 44 fascicoli avete chiesto le sentenze e le avete, ovviamente, ottenute in copia. Per il restante numero di fascicoli, che cosa avete fatto?

BRUNO BRUNETTI. Dovendo acquisire le sentenze, si è cercato di raggiungere tale scopo in qualche modo, vedendo che cosa fosse successo di quelle sentenze o, meglio, di quelle denuncie di cui vi era traccia.

PRESIDENTE. Allora, le ripeto la mia domanda. A quel punto, vi siete chiesti se tale attività fosse legittima o meno, visto che non vi erano le sentenze?

BRUNO BRUNETTI. Le sentenze non vi erano ancora, ma non è detto che non vi fossero in assoluto! A quella data, non erano state acquisite, ma è verosimile che si potesse ancora acquisirle. Essendo partita a una denuncia, per i 202 fascicoli, è verosimile che l'autorità giudiziaria ricevente - parliamo del 1946 - avesse proceduto.
L'aver acquisito 44 sentenze non vuol dire che non si potesse acquisire anche il restante numero di sentenze.

PRESIDENTE. Lei mi sta dicendo che le sentenze per i restanti fascicoli non vi erano perché...

BRUNO BRUNETTI. Non le abbiamo trovate.

PRESIDENTE. Ma lei ritiene che vi fossero?

BRUNO BRUNETTI. Presidente, se questa denuncia è stata fatta - come dice il testo - per tutti e 202 i fascicoli, da ignorante presumo che l'autorità giudiziaria che a suo tempo l'ha ricevuta abbia comunque proceduto, magari anche con un non luogo a procedere essendo deceduti i colpevoli o per altro motivo (la casistica è vasta).

PRESIDENTE. Secondo lei, perché avete trovato solo 44 sentenze?

BRUNO BRUNETTI. Perché quelle sono state le più veloci a trovarsi; probabilmente, l'avviamento è stato più diretto; non penso che ci si debbano mettere tanti anni, tutto sommato, per 202 fascicoli, soltanto che è difficile trovare le sentenze. Ripeto, non ho più presenti i fascicoli perché sono passati tanti anni.

PRESIDENTE. Mi scusi, ma se lei cercava le sentenze, perché scriveva ai carabinieri?

BRUNO BRUNETTI. Per cercare di ricostruire se, eventualmente, il procedimento fosse passato a qualche altra competenza.

PRESIDENTE. Ma bastava vedere dove era stato commesso il fatto e scrivere all'autorità giudiziaria competente per territorio.

BRUNO BRUNETTI. Certo.

PRESIDENTE. E allora, perché lei scriveva ai carabinieri?

BRUNO BRUNETTI. Che avrei dovuto fare, quando le autorità giudiziarie competenti non mi rispondevano o quando la sentenza, in qualche modo, non si trovava?
Guardi, presidente: neanche a farlo apposta, si tratta di un fascicolo preso a caso, da cui leggo: «Al comando stazione carabinieri, eccetera, acquisire e trasmettere copia del provvedimento giudiziario definitivo»; ovvero, io ho cercato di acquisire le sentenze, anche se, ripeto, non di mia iniziativa, non mea sponte: non sono un magistrato, né un funzionario di cancelleria o un dirigente di cancelleria; comunque, lo scopo era quello di acquisire le sentenze, facendolo presente al mio superiore, di volta in volta procedendo nel tentativo di ricercarle: quello era lo scopo
Ora, si potrà dire che non sono stato bravo in quanto ne ho acquisite, almeno in quel lasso di tempo, soltanto quarantaquattro...

LUCIANO GUERZONI. Ma neanche dopo di lei sono stati bravi! Ma non vi è venuto il dubbio che non vi fossero, queste sentenze, dopo otto anni di ricerca?

BRUNO BRUNETTI. Sì, certamente, onorevole, però il problema sta nella pagina introduttiva: è una denuncia, e la denuncia è partita; qui vi è la minuta.

PRESIDENTE. Non avete pensato che, siccome si era nel 1946, magari qualcosa potesse essere accaduto?

BRUNO BRUNETTI. Ci è passato sicuramente per la mente; d'altro canto, si trattava di arrendersi. Nella fattispecie, non ho ritenuto - sempre stimolato - di dover gettare le armi e dire basta, se una sentenza non si trovava.
Faccio un esempio, che può non sembrare calzante, ma che in qualche modo lo è. Attualmente, sono direttore di una divisione della direzione generale della leva, precisamente della divisione VII - Albo d'oro e stato civile, che si occupa di gestire un archivio storico di 650 mila caduti o dispersi della prima guerra mondiale e di 350 mila caduti o dispersi della seconda guerra mondiale. Ebbene, mentre, per la prima guerra mondiale è stato già redatto un albo d'oro, ovvero l'elenco di tutti i caduti o dispersi sui vari fronti in cui l'Italia è stata impegnata, per la seconda guerra mondiale - sembra incredibile, sono entrato in tale organizzazione un anno fa - ancora non abbiamo finito; continuiamo a cercare e sembra di lavorare, diciamo così, con le ciliegie: una ciliegia tira un'altra.
Dunque, se arriva una notizia (nella fattispecie, non si tratta di notitiae criminis), ovvero se un militare, in una spontanea deposizione, parla di un compagno d'armi, il mio lavoro è andare a ricercare quel compagno d'armi, qualora non sia annoverato tra i 350 mila caduti o dispersi; la ricerca mi può portare ad individuarlo oppure no; eppure, dal 1945 ad oggi sono passati anni. Forse è una similitudine che può non sembrare attinente, ma in qualche modo lo è.

PRESIDENTE. Capisco perfettamente, ma la questione è in altri termini. Nel corso della vostra indagine, nel momento in cui avete riscontrato la mancanza di una sentenza, non avete mai pensato di prendere il relativo fascicolo e trasmetterlo nuovamente?

BRUNO BRUNETTI. Sinceramente, a me non è mai passato per la mente. D'altro canto, era il mio interlocutore che doveva prendere le decisioni. Non voglio buttare la croce su nessuno, però in presenza di una notitia criminis il mio dovere era senz'altro quello di sottolinearla.

PRESIDENTE. E lei le ha sottolineate?

BRUNO BRUNETTI. Laddove ne ho trovate; ma non mi sembra di averne trovate; non mi sembra di essermi imbattuto in qualcosa di questo tipo. A parte questo episodio che, effettivamente, neanche a farlo apposta, risale al periodo di cui vi ho parlato.

PRESIDENTE. Comunque, lei ha sempre riferito della sua attività al suo capo ufficio.

BRUNO BRUNETTI. Sì, le sigle sui fogli in arrivo sono evidenti, a meno che non mi si dica che le ho messe io, ma francamente sarebbe stata una responsabilità che non mi sentivo proprio di assumere. Ecco, questa è una sigla.

PRESIDENTE. È la sigla del dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Sì, se ricordo bene è una sigla del dottor Scandurra.

PRESIDENTE. La prego di parlare al microfono: questa è una sigla del dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Mi pare di sì.

PRESIDENTE. Questa, praticamente, è una informativa-denuncia a carico del capitano Comelli, che veniva siglata dal dottor Scandurra.

BRUNO BRUNETTI. Tutta la posta in arrivo veniva siglata. Non ho alcun interesse a dire il contrario. È un'assunzione di responsabilità che non mi sentivo di dover prendere perché non ero in grado neanche di proseguire, come giudizio. Al massimo potevo sottolineare ma, ripeto, la decisione non era assolutamente mia; non è mai stata mia, non mi compete.

PRESIDENTE. Do ora la parola al senatore Guerzoni.

LUCIANO GUERZONI. Grazie, presidente.
Colonnello Brunetti, premesso che anch'io voglio ringraziarla per la sua presenza e la sua collaborazione, vorrei andare subito al merito della questione. Lei ha materialmente svolto l'indagine sui 202 fascicoli, a partire dal 1996, e vi si è dedicato fino a quando è stato in quel luogo: è così?

BRUNO BRUNETTI. Signorsì.

LUCIANO GUERZONI. Sotto la direzione del dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Signorsì.

LUCIANO GUERZONI. Le è stata data una direttiva scritta?

BRUNO BRUNETTI. Nossignore.

LUCIANO GUERZONI. Come mai? Lei ha un compito così importante; per eseguirlo deve intrattenere rapporti con i carabinieri; avrà avuto rapporti con magistrati, e così via. Non le è venuto il dubbio, senza una direttiva scritta, che si sarebbe potuto trovare in difficoltà? Non ha mai avuto un tale dubbio?

BRUNO BRUNETTI. Nossignore.

LUCIANO GUERZONI. Lei, comunque, ha visto atti scritti, memorie, appunti, da cui si potesse il motivo della ricerca, o quali fossero i suoi obiettivi? Si ricorda di aver visto carte, un appunto, qualcosa che parlasse della ricerca alla quale lei lavorava?

BRUNO BRUNETTI. La ricerca sui 202 fascicoli - ripeto, insisto e sottolineo che solo di questi mi sono occupato - essendo finalizzata a quanto ho già detto in precedenza, non mi ha creato particolari problemi di coscienza, né ho pensato che fosse necessario un ordine scritto. Da buon militare, quale ritengo di essere, ho imparato che gli ordini possono essere verbali o scritti e vanno eseguiti, a meno che non siano lesivi della propria integrità e della propria onorabilità; nella fattispecie, non ritenevo che fosse così.

LUCIANO GUERZONI. Sa perché vennero scelti questi 202 fascicoli?

BRUNO BRUNETTI. Certo; facevano parte - così mi fu detto nell'introduzione - di una serie di fascicoli e io ebbi l'incarico di procedere per quanto atteneva a fascicoli che riguardavano la magistratura ordinaria.

LUCIANO GUERZONI. Neanche a questo riguardo c'è un qualche pezzo di carta?

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente no.

LUCIANO GUERZONI. Chi ha compiuto la scelta di questi fascicoli, secondo lei?

BRUNO BRUNETTI. Io ho ricevuto il «mucchio» dei 202 fascicoli.

LUCIANO GUERZONI. Chi glielo ha dato?

BRUNO BRUNETTI. Il dottor Conte.

LUCIANO GUERZONI. In che consisteva esattamente, concretamente, il suo lavoro? Individuare le unità dei carabinieri competenti ai quali chiedere informazioni? Era questo lo scopo?

BRUNO BRUNETTI. In prima battuta, era quello di individuare la magistratura competente. In seconda battuta, qualora non si fossero avuti dei risultati (sempre, ovviamente, dopo aver sentito il mio - lo dico tra virgolette - capo), si cercava di raggiungere la stessa finalità: la conoscenza e l'acquisizione della sentenza, nel presupposto che, essendo partita una denuncia nel 1946, vi dovesse essere per forza una sentenza.

LUCIANO GUERZONI. Quando lei si rivolgeva ad un magistrato, in prima istanza, chi è che firmava?

BRUNO BRUNETTI. Non ero io a firmare.

LUCIANO GUERZONI. E chi firmava?

BRUNO BRUNETTI. Il dottor Scandurra.

LUCIANO GUERZONI. Il quale firmava, però, atti da lei proposti. Quando lei individua il magistrato competente, è lei che lo individua, o no?

BRUNO BRUNETTI. Certo, sono loro che me lo indicano, io lo individuo e...

LUCIANO GUERZONI. Chi intende per «loro»?

BRUNO BRUNETTI. Loro, le lettere di trasmissione. Non è che ci voglia molto - io sono mediamente intelligente -, vedevo a chi erano indirizzate, dopo di che mandavo una lettera che possiamo definire quasi una «lettera tipo», con dati soggettivi riguardanti il caso specifico.

LUCIANO GUERZONI. Nel caso in cui il magistrato non risponda e lei debba rivolgersi ai carabinieri, l'incarico di approfondire, ai carabinieri, lei lo dava verbalmente o per iscritto?

BRUNO BRUNETTI. Per iscritto, sicuramente per iscritto; ve ne sono alcuni esempi, anche in questo fascicolo, che posso mostrare.

LUCIANO GUERZONI. Mi basta la sua parola.

BRUNO BRUNETTI. No, è bene che io specifichi anche questo: vi sono esempi in cui io firmo «d'ordine»; nel gergo della corrispondenza militare, «d'ordine» significa «su delega piena».

LUCIANO GUERZONI. Colonnello, facciamo il caso specifico di una sentenza non individuata dal magistrato, per cui lei è costretto, una volta individuata, a rivolgersi ai carabinieri; in tal caso, lei dà la direttiva di ricercare soltanto in depositi cartacei?

BRUNO BRUNETTI. Non materialmente; chiedo di individuare comunque a chi rivolgersi per poter chiedere l'ottenimento della sentenza.

LUCIANO GUERZONI. Ma lei ha mai chiesto altri approfondimenti ai carabinieri?

BRUNO BRUNETTI. Che io ricordi, non ve ne era alcun motivo.

LUCIANO GUERZONI. Allora, perché i carabinieri, nello svolgere il lavoro per rispondere alla sua richiesta, interrogano dei cittadini e redigono dei verbali?

BRUNO BRUNETTI. Probabilmente perché su istanza, su input della procura generale presso la Corte di cassazione, i carabinieri dovevano accertare il motivo per cui io non fossi riuscito a trovare il procedimento, per fare un esempio, a Sora; pertanto, se a Sora non riuscivano a trovare la sentenza, magari trovavano qualche parente, qualche testimone; non erano sollecitati da me - intendo «me» come «procura generale», mai come Brunetti - ma siccome sappiamo che appartengono ad un corpo il cui motto è «fedele nei secoli», andavano avanti, a cercare l'origine.

LUCIANO GUERZONI. Colonnello, lei non svolgeva un lavoro in funzione di magistrato.

BRUNO BRUNETTI. Nossignore.

LUCIANO GUERZONI. I carabinieri di cui voi vi avvalete sono quelli della polizia giudiziaria. I carabinieri, in queste funzioni, si muovono su direttiva del magistrato.
Ad un certo punto, lei riceve dai carabinieri le informative e vede che vi sono allegati dei verbali, non del 1946, bensì del 1997, verbali che contengono notizie che implicano l'azione penale; ebbene, ha mai proposto al dottor Scandurra di inviare questi verbali al magistrato competente?

BRUNO BRUNETTI. Le ripeto, non mi sembra - vorrei essere il più preciso possibile - di aver mai avuto cognizione di notizie di reato. Insisto, il documento cui ci si riferiva precedentemente poteva contenere una notizia di reato, ma io non l'ho mai visto, perché non c'ero.

LUCIANO GUERZONI. Va bene, vedremo chi c'era. In ogni caso, lei non ricorda di aver mai affrontato con il dottor Scandurra questa questione?

BRUNO BRUNETTI. Sebbene mi ritenga una persona estremamente coscienziosa, non era un problema che mi riguardava in prima battuta, al di là della fedeltà al mio capo e all'istituzione che servivo, così come a quelle che servo attualmente.
La mia responsabilità era quella di sottoporre alla sua visione i documenti; poi, le decisioni ed i provvedimenti non ero io a doverli suggerire; al limite, ma è difficile, qualcosa poteva anche sfuggirmi. Ma non è che si possa dare a me la responsabilità per una cosa che mi è sfuggita, in quanto non era mia competenza specifica, non essendo io né un funzionario di cancelleria, né un cancelliere, né un dirigente di cancelleria.

LUCIANO GUERZONI. Colonnello, mi scusi: lei non sarà nessuna di queste categorie, benissimo, ma sta di fatto che lei ha messo in moto la polizia giudiziaria, la quale ha reperito atti che attivano un'azione penale.
Parliamoci chiaro: da parte sua, c'è stata una sostituzione al magistrato; se voi aveste impegnato il magistrato locale a seguire i carabinieri nella ricerca, sarebbe spettata a lui la responsabilità delle novità di ordine penale che fossero emerse. Invece, avete sottratto ai magistrati la ricerca, ma non vi è mai venuto il dubbio, né lo scrupolo di capire che cosa stesse succedendo!

BRUNO BRUNETTI. Onorevole, mi trovo in difficoltà, perché mi si continua a dire: «non vi è mai venuto il dubbio»; a pare il fatto che, a me personalmente, tale dubbio non è venuto...

CARLO CARLI. Qualche volta, sì: c'è il suo appuntino, quello che abbiamo visto prima.

BRUNO BRUNETTI. Sì, ma ponevo un quesito. Io sono un fedele servitore, quindi pongo il quesito, laddove me ne accorgo. Ma se non me ne accorgo, detto in spiccioli, non sono pagato per accorgermene. In accademia si diceva: «non sei pagato per pensare»; in questo caso, dico che non ero pagato per accorgermene. Essendo, però, un fedele collaboratore, laddove me ne accorgo, lo sottolineo, eccome. Non so se riesco a spiegarmi.

LUCIANO GUERZONI. Sì, lei si è spiegato e la ringrazio per le risposte che mi ha dato.

PRESIDENTE. Colonnello Brunetti, quale era la sua qualifica, allora?

BRUNO BRUNETTI. Ero ufficiale superiore addetto al procuratore generale militare.

PRESIDENTE. Il che, in termini pratici, cosa significa?

BRUNO BRUNETTI. Significa che ero anche aiutante di campo, ovvero uno di quelli che, nelle cerimonie che lorsignori hanno certamente visto, vanno in giro con i cordellini d'oro: non sono bellino, però facevo anche questo tipo di lavoro; naturalmente, questa è una battuta, presidente...
Quindi, non c'è una qualifica specifica. Come ho già detto, nel 1997, essendo il mio grado compatibile con la carriera giudiziaria, sono stato immesso nella carriera giudiziaria militare come cancelliere, quindi sono divenuto un pubblico ufficiale; dalla qualifica di pubblico ufficiale derivano responsabilità amministrative e soprattutto penali, ad personam, ovvero riferibili al capitano Brunetti in quanto cancelliere militare.
Insisto con il dire - ho sempre lo stesso fascicolo davanti agli occhi, ma presumo che altrettanto si possa dire per qualsiasi altro fascicolo - che il mio gruppo firma è: «d'ordine» (ovvero «su delega»: vuol dire che non l'ho fatto io spontaneamente, ma ho preso soltanto la cura di firmare) e «l'ufficiale superiore addetto»; cioè, non sono cancelliere, non sono funzionario di cancelleria, non sono dirigente di cancelleria; non per fare nomi ma, per esempio, il dottor Conte è funzionario di cancelleria; il dirigente Bianchi è un dirigente di cancelleria; io non lo sono.

LUCIANO GUERZONI. Questo meccanismo lo ha concordato con il dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Quale meccanismo?

LUCIANO GUERZONI. Quello di firmare in questo modo.

BRUNO BRUNETTI. Certamente, è logico, altrimenti che delega piena sarebbe? Erano lettere di routine.

LUCIANO GUERZONI. È bene a sapersi.

BRUNO BRUNETTI. Per carità. Diciamo pure che ho sempre goduto di scarsa autonomia; autonomia che del resto neanche volevo, perché non mi ritenevo assolutamente all'altezza.

LUCIANO GUERZONI. C'è qualche equivoco: i suoi interlocutori dicono diversamente.

BRUNO BRUNETTI. Cioè, che sarei stato all'altezza? Il mio stipendio era quello di tenente colonnello.

LUCIANO GUERZONI. No, dicono diversamente sul fatto dell'autonomia.

BRUNO BRUNETTI. Eh, la libidine del comando a volte è cattiva...

LUCIANO GUERZONI. Comunque, ce la vedremo noi. Presidente, ho concluso le mie domande.

PRESIDENTE. Do ora la parola al senatore Vitali.

WALTER VITALI. Colonnello Brunetti, non insisto sul punto che è stato già sollevato dal presidente e dai colleghi, circa la natura di questa indagine cosiddetta storico-giudiziaria, perché a modo di vedere di numerosi componenti la Commissioni una tale indagine era fortemente irrituale; comunque, lei ha già risposto al riguardo e quindi non insisto.
Le farò due domande secche, che derivano dal resoconto della seduta del 25 maggio scorso, nella quale abbiamo audito il dottor Scandurra.
Leggo testualmente dal resoconto. Chiedo al dottor Scandurra: «Quale è stato il suo comportamento quando da questa indagine storico-giudiziaria, da lei disposta per verificare l'esito di un procedimento, sono emerse nuove notizie di reato?». Il dottor Scandurra risponde: «Non mi risulta che questo sia avvenuto. Se lei dice questo, vuol dire che ci sono degli atti dove risulta...». Al che io domando: «Posso io pensare che lei non ha neanche letto i rapporti che le venivano inviati dai comandi o dalle stazioni dei carabinieri, sollecitati su sua disposizione dal colonnello Brunetti?» e il dottor Scandurra risponde: «Le confesso che molti di questi atti, per esempio, non venivano a mia conoscenza perché addirittura venivano acquisiti direttamente dal Brunetti e li considerava egli, sulla base delle indagini».
Colonnello Brunetti, questo è vero o non è vero?

BRUNO BRUNETTI. Senatore, io mi chiamo Brunetti e sul mio onore posso dire che non è vero, in quanto ho sicuramente sottoposto alla visione del dottor Scandurra tutti gli atti.

WALTER VITALI. Bene, prendiamo atto che sono state date due risposte opposte alla medesima domanda, quindi vorrà dire che una delle due non è corrispondente alla verità

BRUNO BRUNETTI. Certamente.

WALTER VITALI. Procedo con la lettura del resoconto.
Chiedo al dottor Scandurra: «Sarebbe a dire che il colonnello Brunetti non aveva solo un compito operativo - diciamo così - di passacarte, ma esaminava le risultanze delle indagini e le tratteneva?». Il dottor Scandurra risponde: «Egli badava soltanto a conoscere l'esito; o, meglio, la sua attività era finalizzata ad una conoscenza».
Successivamente, gli domando: «Ma nel caso in cui il colonnello Brunetti fosse venuto a conoscenza di nuove notizie di reato - nuove rispetto a quelle contenute nel fascicolo fino a quel momento raccolto -, non pensa che avrebbe dovuto segnalarle a lei e alle autorità competenti?». Ecco la risposta del dottor Scandurra: « Indubbiamente, rispetto a nuovi fatto di reato, è certo che avrebbe dovuto segnalarmeli».
Colonnello Brunetti, lei è d'accordo su questo?

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente sì.

WALTER VITALI. Quanto a nuovi fatti di reato o, per meglio dire, a nuovi elementi rilevanti per l'accertamento dei fatti, a me consta che vi siano almeno altri cinque casi, oltre a quello già citato dal collega Carli, nei quali è indubbio che questo sia accaduto.
Cito il numero dei fascicoli e ne cito uno in particolare che conosco di più. Per i soli casi di omicidio volontario aggravato: fascicoli 22/13, indagine commissione pagina 20; 22/41, indagine commissione pagina 7; 22/62, indagine commissione pagina 11; 22/147, indagine commissione pagina 10.
Naturalmente lei non può, a memoria, senza avere i fascicoli sotto gli occhi, verificare quanto le sto dicendo, ma a me pare indubbio, sono certo che almeno questi quattro fascicoli, oltre a quello che ha citato il collega Carli, contengano nuovi elementi rilevanti per l'accertamento dei fatti, che evidentemente lei non ha ritenuto né di segnalare al dottor Scandurra né di segnalare autonomamente all'autorità giudiziaria competente.
Poi le cito un fascicolo che conosco nel merito, il fascicolo 22/138. È un fascicolo che ho esaminato perché si riferisce ad un fatto accaduto nella provincia di Bologna, e si riferisce ad un omicidio plurimo avvenuto in data 7 luglio 1944, nella frazione Biagioni del comune di Granaglione, in provincia di Bologna.
Nell'originale classificazione del fascicolo il reato risulta a carico di ignoti fascisti toscani più due tedeschi: questa è l'intestazione. Nel verbale dei carabinieri di quel comune emerge la testimonianza del fratello di uno degli uccisi, con un nuovo nominativo di un presunto responsabile, un individuo che potrebbe essere tra coloro i quali hanno preso parte al fatto. Questo è sicuramente un fatto nuovo.
Secondo quanto lei ha appena dichiarato, neanche questo fatto è stato segnalato alla competente autorità giudiziaria, né da lei né dal dottor Scandurra. Le chiedo il perché.

BRUNO BRUNETTI. Sicuramente da me non poteva essere segnalato per il semplice motivo che, sottoponendolo al mio superiore, magistrato, che io mi sostituissi al magistrato ...

WALTER VITALI. Lei ritiene che avrebbe dovuto pensarci il dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Ritengo di sì.

WALTER VITALI. Ma lei comunque ha constatato che almeno in questo caso che le ho citato si trattava di un fatto nuovo, che quindi meritava quanto meno di essere verificato, ai fini di un eventuale invio?

BRUNO BRUNETTI. Sì, ma sottoponendo la corrispondenza in visione è logico che io l'ho sottolineato, nel senso che il fatto che glielo abbia mostrato ... Non credo che mettesse le sigle così tanto per ...

WALTER VITALI. La ringrazio e mi dichiaro soddisfatto della sua risposta.

PRESIDENTE. Prego, onorevole Zanettin.

PIERANTONIO ZANETTIN. Mi può spiegare bene il suo ruolo; faccio l'avvocato, ma non sono riuscito a capirlo. Lei si è definito un aiutante di campo.

BRUNO BRUNETTI. Sì, è una qualifica.

PIERANTONIO ZANETTIN. È un assistente, un segretario? Qual è la sua funzione, di fatto, se non è un funzionario di cancelleria e neanche un ufficiale della polizia giudiziaria?

BRUNO BRUNETTI. Io mi occupavo principalmente di organizzazione del lavoro nell'ambito della procura generale presso la Cassazione, cioè di cercare di ottimizzare il lavoro nell'ambito degli uffici.

PIERANTONIO ZANETTIN. Quando un magistrato ha un aiutante di campo, che compiti gli affida?

BRUNO BRUNETTI. Aiutante di campo è una qualifica specifica, che deriva dall'antichità. Gli stessi cordellini hanno una valenza storica. È un segretario particolare, ma nella fattispecie erano meri compiti di rappresentanza.

PIERANTONIO ZANETTIN. Lei aveva un semplice compito di rappresentanza?

BRUNO BRUNETTI. Nel caso dell'aiutante di campo senz'altro.

PIERANTONIO ZANETTIN. Ma qual era la sua funzione generale a fianco del dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. La mia funzione generale era quella di organizzare, come ufficiale addetto, il lavoro della procura generale presso la Cassazione.
Allo stesso modo, quando ero alla procura generale presso la Corte di appello, tendevo ad organizzare anche il coordinamento tra la procura generale presso la Corte di appello e le procure militari, che dipendevano dalla procura generale presso la Corte di appello. Quindi, anche in quel caso ho sempre curato il coordinamento con le procure.

PIERANTONIO ZANETTIN. Ogni procuratore militare ha un aiutante di campo?

BRUNO BRUNETTI. Soltanto i tre livelli massimi, cioè il procuratore generale presso la Corte di cassazione, il procuratore generale presso la Corte militare di appello ed il presidente della Corte militare di appello.

PIERANTONIO ZANETTIN. Quindi, ha questa funzione specifica, questo ruolo specifico.

BRUNO BRUNETTI. Che può essere ricoperto o meno. Non è obbligatorio che il presidente della Corte militare di appello abbia effettivamente un aiutante di campo; gli spetta, ma può anche non avvalersene.

PIERANTONIO ZANETTIN. È per questo che mi pare di avere capito che, siccome è un rapporto ad personam ...

BRUNO BRUNETTI. Intercambiabile.

PIERANTONIO ZANETTIN. Non è un ruolo che viene assegnato attraverso un concorso, ma è un ruolo che il magistrato individua attraverso una scelta del tutto individuale. Immagino sia per questo che lei ha seguito il dottor Scandurra immediatamente, nel momento in cui lui è passato dalla funzione di procuratore generale presso la Corte militare di appello a quella presso la Cassazione.

BRUNO BRUNETTI. Passare da un ufficio ad un altro per un capo - almeno così ritengo ed in tale senso ho fatto esperienza sulla mia persona nei vari livelli di comando - comporta sempre un momento di impasse perché praticamente è un corpo estraneo che si inserisce in un corpo già organizzato.
Siccome è possibile organizzare il lavoro in modo che ci sia continuità fra il lavoro già organizzato in un'altra sede e la nuova sede, il dottor Scandurra si è fatto sempre seguire da me e da altro personale - pochi elementi - che erano le persone che lui più stimava, proprio per permettergli una immissione nel nuovo corpo, ai vari livelli - procura generale presso l'appello e procura generale presso la Cassazione - di sé stesso e della sua organizzazione di lavoro.

PIERANTONIO ZANETTIN. Mi pare di capire che sia un istituto molto particolare che riguarda la magistratura militare e che, ad esempio, non esiste nella magistratura civile o penale.

BRUNO BRUNETTI. Mi permetto di dissentire perché anche nell'ambito militare - parlo del campo che conosco - non è istituzionalizzato, non è scritto, ma se, ad esempio, un alpino - credo che lei sia veneto - raggiunge punti elevati nella gerarchia militare, generalmente tende a portarsi dietro altri alpini, perché hanno la stessa mentalità. Se un marinaio diventa capo di stato maggiore della difesa si può stare sicuri che in pochi mesi sarà pieno di marinai; è una questione di attitudine mentale.

PIERANTONIO ZANETTIN. Lei ha parlato di un brogliaccio in cui segnalava tutti i passaggi più significativi relativi a queste pratiche, per una questione di ordine. Ha idea di dove sia finito?

BRUNO BRUNETTI. No, assolutamente. Non ho consultato gli atti neanche per l'occasione.

PIERANTONIO ZANETTIN. Quindi, quando nel 1999 ha lasciato l'incarico lo ha lasciato nell'ufficio. Che lei sappia, è stato consegnato al suo successore?

BRUNO BRUNETTI. L'ho lasciato nella sede del mio ufficio insieme ai fascicoli, che, se non ricordo male, ho fatto addirittura contare al mio successore.

PIERANTONIO ZANETTIN. Quindi, c'è stato un passaggio di consegne?

BRUNO BRUNETTI. Non per iscritto, ma siccome fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, gli ho chiesto di contarli. Essendo io colonnello e lui tenente colonnello, gli ho detto di contarli, anche perché era lui che li assumeva in carico. Mi è bastato quello.

PRESIDENTE. Ma questo brogliaccio era un registro generale?

BRUNO BRUNETTI. No, era un mio promemoria, scritto anche di mio pugno, se non ricordo male.

PRESIDENTE. E lei ho lasciato lì?

BRUNO BRUNETTI. Penso proprio di sì. Era una forma di memoria.

PIERANTONIO ZANETTIN. Grazie, per me è sufficiente.

PRESIDENTE. Lei sapeva che nello stesso momento in cui lei stava facendo questo tipo di indagine il Consiglio della magistratura militare stava svolgendo un'indagine su tutta la vicenda del ritrovamento di questi fascicoli? Non ne sapeva niente?

BRUNO BRUNETTI. Francamente non lo ricordo. Non ho avuto rapporti con il Consiglio della magistratura militare.

PRESIDENTE. Lei non ha mai saputo che il Consiglio della magistratura militare aveva avviato un'inchiesta di questo genere?

BRUNO BRUNETTI. Forse per sentito dire, ma non direttamente, né sono mai entrato nel merito perché non mi riguardava.

PRESIDENTE. Quando il dottor Scandurra si muoveva per le sue attività lei lo accompagnava?

BRUNO BRUNETTI. Non sempre. Se lei si riferisce, ad esempio, alla magistratura militare, trattandosi di un ufficio nella sede di palazzo Cesi, non lo accompagnavo.
Inoltre, tengo a specificare che quello dell'aiutante di campo, come dicevo prima, è un incarico intercambiabile e, siccome molto spesso prevede anche delle uscite, se una persona è legittimamente assente, perché è in licenza, alle cure termali o è ammalata, un altro ufficiale lo sostituisce tranquillamente.

PRESIDENTE. Lei non ha mai saputo di queste indagini?

BRUNO BRUNETTI. Non più di tanto.

PRESIDENTE. Sapeva che stavano svolgendo un'indagine?

BRUNO BRUNETTI. Per voci di corridoio, non di più. Non per interesse diretto né per notizia diretta.

PRESIDENTE. Visto che il Consiglio della magistratura militare è al piano superiore al vostro ...

BRUNO BRUNETTI. Al piano superiore quando eravamo presso la Corte militare di appello ed a quello inferiore quando eravamo presso la Cassazione.

PRESIDENTE. Quindi, a breve distanza.

BRUNO BRUNETTI. Ma se si fa un giro nel palazzo si può verificare che è completamente avulso rispetto alla procura generale presso la Cassazione o alla procura generale presso la Corte di appello. Fra i miei compiti non c'erano i contatti con il Consiglio della magistratura militare.

PRESIDENTE. Immagino che lei non avesse rapporti, ma siccome tutto era a palazzo Cesi ...

BRUNO BRUNETTI. Siccome il Consiglio della magistratura militare è più specifico, dal punto di visto giudiziario, il procuratore generale non si è mai fatto seguire da me, che non avevo un incarico giudiziario.

PRESIDENTE. Lei si vedeva ogni giorno con Scandurra e non le ha mai riferito di ciò?

BRUNO BRUNETTI. Parlavamo di altre cose. Come ripeto, può averlo anche accennato, ma senza andare al di là dell'accenno.

PRESIDENTE. Lei ha preso visione solo di questi 202 fascicoli?

BRUNO BRUNETTI. Sicuramente sì, nel modo più categorico.

PRESIDENTE. Altri fascicoli non ne ha visti?

BRUNO BRUNETTI. No.

PRESIDENTE. Nel 1994 lei era a palazzo Cesi?

BRUNO BRUNETTI. Sì.

PRESIDENTE. Quindi, quando è stato ritrovato questo materiale ...

BRUNO BRUNETTI. Ma non sono stato interessato perché non è stata una cosa fatta da me.

PRESIDENTE. Mi lasci concludere la domanda, altrimenti non può darmi la risposta.

BRUNO BRUNETTI. Mi scusi.

PRESIDENTE. Nel 1994 lei dov'era?

BRUNO BRUNETTI. A palazzo Cesi.

PRESIDENTE. Una mattina è arrivato in ufficio e qualcuno le ha detto che era successo qualcosa o no? Non le ha detto niente nessuno?

BRUNO BRUNETTI. No.

PRESIDENTE. Quando ha saputo del ritrovamento di questo carteggio?

BRUNO BRUNETTI. Successivamente alla presa d'atto dei 202 fascicoli, che io ricordi.

PRESIDENTE. Cioè in che anno?

BRUNO BRUNETTI. Sempre nel 1994, perché mi sembra che abbiamo cominciato ad agire già nel 1994.

PRESIDENTE. Quando ha iniziato a vedere quei fascicoli?

BRUNO BRUNETTI. Credo tra il 1994 e il 1996.

PRESIDENTE. I primi atti sono del 1996. Quindi, lei prima del 1996 non sapeva nulla? Non sapeva che era stato ritrovato un armadio?

BRUNO BRUNETTI. Non mi pare neanche per sentito dire.

PRESIDENTE. Neanche per sentito dire?

BRUNO BRUNETTI. Non mi pare neanche per sentito dire. Non mi crede?

PRESIDENTE. No, per carità, non mi permetto di dire che non le credo.

BRUNO BRUNETTI. Non mi pare.

PRESIDENTE. «Non mi pare» è una cosa ...

BRUNO BRUNETTI. Ho detto che non mi pare neanche di aver sentito dire di questo armadio.

PRESIDENTE. È uscito sulla stampa.

BRUNO BRUNETTI. Quando ha cominciato ad uscire sulla stampa, certamente sì. È proprio da lì che ho cominciato ad avere cognizione dell'armadio della vergogna.

PRESIDENTE. Sulla stampa è uscito ...

BRUNO BRUNETTI. Non ricordo quando. Nel 1994? La prima fonte di informazione, per quanto mi attiene, era forse più la stampa che palazzo Cesi. Ovviamente poi in un ambiente piccolo si prende cognizione, si comincia a parlare.

PRESIDENTE. Comunque, prima del 1996 nessuno le ha parlato di questo armadio ritrovato?

BRUNO BRUNETTI. Non lo ricordo.

PRESIDENTE. Praticamente in linea d'aria era a dieci metri da lei.

BRUNO BRUNETTI. Sì.

PRESIDENTE. Anche meno.

BRUNO BRUNETTI. A leggere la stampa, sotto gli uffici di due piani, al piano terra.

PRESIDENTE. Sì. E nessuno le ha mai detto nulla? Neanche il dottor Scandurra le ha mai detto che era stato ritrovato un carteggio?

BRUNO BRUNETTI. Come ripeto, non l'ho tenuto a mente come un fatto importante. Non voglio essere poco attendibile dicendo che non mi ha detto nulla. Non lo ricordo come un fatto che mi sia rimasto impresso.

PRESIDENTE. Ne prendo atto. Conosce il colonnello Bianchi?

BRUNO BRUNETTI. Certamente, è il dirigente della cancelleria della procura generale presso la Cassazione.

PRESIDENTE. Dove era lei.

BRUNO BRUNETTI. In seconda battuta, sì. Ci sono andato dopo; lui c'era già prima.

PRESIDENTE. Quindi, lei era l'ufficiale superiore addetto ed il colonnello Bianchi era il dirigente della cancelleria?

BRUNO BRUNETTI. Sì.

PRESIDENTE. Lei non aveva mai rapporti con il colonnello Bianchi?

BRUNO BRUNETTI. Scarsi.

PRESIDENTE. Che significa?

BRUNO BRUNETTI. Sono due competenze completamente diverse; lui esitava la parte giudiziaria. Ad esempio, la posta veniva assunta dal dirigente Bianchi e non da me, perché nella posta c'erano notizie attinenti a fatti giudiziari che non erano di mia pertinenza.

PRESIDENTE. Infatti, tutte le note in quei fascicoli passavano in mano a Bianchi.

BRUNO BRUNETTI. Prima e poi venivano smistate.

PRESIDENTE. Quindi, c'era un rapporto con Bianchi?

BRUNO BRUNETTI. Sì, ma era operativo. L'addetto alla corrispondenza mi portava la posta dal dirigente Bianchi, dopo che questi l'aveva fatta vistare dal procuratore.

PRESIDENTE. Quindi, la posta da Bianchi andava dal dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Spetta di diritto al dirigente della cancelleria esaminare la posta e portarla all'attenzione del capo dell'ufficio.

PRESIDENTE. Pertanto, il dottor Scandurra la siglava?

BRUNO BRUNETTI. Certo. Poi discendeva ai vari rami, non soltanto a me.

PRESIDENTE. Quindi, quando lei ha avuto quei fascicoli, da chi li ha avuti?

BRUNO BRUNETTI. Da Conte, che è un altro funzionario di cancelleria, sempre della Cassazione.

PRESIDENTE. Quando lei ha avuto questi fascicoli, visto che non sapeva nulla del ritrovamento di questo carteggio ...

BRUNO BRUNETTI. Mi è stato detto, mi è stato accennato in quel contesto che erano fascicoli che provenivano da un rinvenimento, ma non in maniera così eclatante come sulla stampa.
In quell'occasione fu detto di suddividere il lavoro tra i 202 fascicoli, che sono gli unici - insisto - che io ho esaminato e seguito, ed altri fascicoli che però non sono stati dati a me.
Quindi, per quanto atteneva alla magistratura ordinaria, a quanto mi fu detto in quell'occasione, il collegamento era il mio. Il che vuol dire che c'era anche da seguire la magistratura militare, che però non ho seguito io.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda gli altri fascicoli?

BRUNO BRUNETTI. Se questi 202 riguardavano la magistratura ordinaria, mi fu detto nel discorso introduttivo che gli altri riguardavano la magistratura militare e mi si disse che li seguiva il dottor Conte.

PRESIDENTE. Il dottor Conte si occupava della stessa indagine?

BRUNO BRUNETTI. Per la magistratura militare. Non so se poi le ricerche fossero simili alle mie o meno.

PRESIDENTE. Lei ha mai sentito parlare di alcuni fascicoli dove c'era solo la copertina e non c'era nulla dentro?

BRUNO BRUNETTI. A me non è capitato. C'era materiale veramente scarsissimo - due fogli -, ma due fogli li ho sempre trovati.

PRESIDENTE. Lei ha mai sentito parlare di un'archiviazione provvisoria?

BRUNO BRUNETTI. In calce ai fascicoli. Nel 1960, mi pare, firmata dal dottor Nicolosi.

PRESIDENTE. Nicolosi?

BRUNO BRUNETTI. Mi pare Nicolosi.

PRESIDENTE. Lei conosce il dottor Nicolosi?

BRUNO BRUNETTI. Come no? È il presidente della Corte militare di appello.

PRESIDENTE. E di quale firma in calce parla?

BRUNO BRUNETTI. Sui fascicoli c'era un'archiviazione: «si archivi temporaneamente», mi pare.

PRESIDENTE. Su quali? Su questi 202?

BRUNO BRUNETTI. Eccolo: «non luogo a provvedere», è del 1994.

PRESIDENTE. Lei non ha mai saputo che c'è stata un'altra archiviazione provvisoria negli anni addietro?

BRUNO BRUNETTI. L'excursus di questi fascicoli non mi è stato ...

PRESIDENTE. Lei non ha mai sentito parlare di archiviazione provvisoria da parte di un procuratore generale?

BRUNO BRUNETTI. Non mi risulta. Non lo ricordo proprio. Molto antecedente? No. Nella parte storica, nel senso di avvenimenti molto antecedenti?

PRESIDENTE. Non ha mai sentito parlare del dottor Santacroce?

BRUNO BRUNETTI. Come no? È stato procuratore generale anche lui, mi pare, così come è stato procuratore generale anche Borsari, firmatario di questa lettera di trasmissione. Ma parliamo di epoche parecchio antecedenti alla mia.

PRESIDENTE. E lei non ha mai sentito parlare di questa archiviazione provvisoria del 1960?
Ma quando le è arrivata la convocazione di questa Commissione, prima di venire qui avrà letto di quale Commissione si tratta, di cosa si sta occupando?

BRUNO BRUNETTI. Certo.

PRESIDENTE. Ha chiesto a qualcuno, ha visto qualche documento?

BRUNO BRUNETTI. È sufficiente andare su Internet, c'è tutto. Però non era mai citato il mio nome negli atti della Commissione.

PRESIDENTE. Vi sono le parti segretate che lì non trova.
Nel periodo in cui lei è stato assente, secondo lei quelle carte sono rimaste ferme?

BRUNO BRUNETTI. Io ritengo di no, ritengo che non siano rimaste ferme. Io sono stato assente per l'infarto per circa sei o sette mesi, e me la sono cavata anche bene, perché generalmente la prassi è di due anni.

PRESIDENTE. Nessuno ha continuato in quell'attività?

BRUNO BRUNETTI. Sinceramente non lo so, ma non ricordo di aver trovato moltissima corrispondenza accumulata. Francamente non lo ricordo e, quindi, evidentemente qualcuno l'avrà pure trattata in qualche modo, però chi sia stato non mi è dato saperlo.

PRESIDENTE. Nel suo ufficio quante persone c'erano? C'era solo lei?

BRUNO BRUNETTI. Nel mio ufficio, come stanza, come collocazione, sì.

PRESIDENTE. Intendo alla procura, dal dottor Scandurra. Chi c'era? Il dottor Scandurra, lei, il dottor Bianchi.

BRUNO BRUNETTI. No, c'era un organico non nutritissimo, ma comunque di circa trenta o quaranta persone. È una procura generale presso la Cassazione.

PRESIDENTE. Prego, onorevole Carli.

CARLO CARLI. Chiedo scusa, colonnello, se ancora debbo farle qualche domanda. Quando lei inviava ai comandi territoriali dei carabinieri la richiesta di informazioni e notizie su presunti colpevoli, da parte di questi vi era collaborazione? Ha avuto, da parte di qualche comando, richieste di chiarimenti sulla finalità della vostra indagine? Le è mai stato posto un quesito del genere?

BRUNO BRUNETTI. Che io ricordi, proprio no.

CARLO CARLI. Quindi, se ho ben capito, per tutte le richieste che lei faceva, si procedeva all'individuazione di eventuali testimoni e all'acquisizione di testimonianze; le chiedo: è mai accaduto che qualche comando provinciale dei carabinieri chiedesse il perché di certe indagini o il fine della vostra iniziativa?

BRUNO BRUNETTI. Sto facendo mente locale, ma non ricordo.

CARLO CARLI. Le chiedo scusa, ma capirà che si tratta di questioni importanti.

BRUNO BRUNETTI. Sì, certamente, e quindi voglio essere il più preciso possibile, ma non mi sovviene una risposta, al di là del «no». Non mi sovviene, poi può anche darsi che mi sfugga.

CARLO CARLI. Vorrei, a questo punto, sottoporle il fascicolo n. 22.136. Mi riferisco ad un documento che il comando provinciale di Forlì ha inviato alla procura generale militare della Repubblica presso la suprema Corte di cassazione il 25 novembre 1997. All'epoca, lei era in servizio?

BRUNO BRUNETTI. Sì.

CARLO CARLI. Si tratta di un documento redatto dal tenente colonnello comandante provinciale Michele Facchini. Intanto, vorrei sapere da lei se il riferimento è il suo.

BRUNO BRUNETTI. Sì, c'è la sigla «BRU», è sempre il mio riferimento, non si sfugge.

CARLO CARLI. Lo davo per scontato, ma ho voluto verificare.

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente. È un riferimento individuabile per la posta, onorevole.

CARLO CARLI. Però, è anche per individuare il responsabile, visto che lei teneva i fascicoli e tutta la corrispondenza. Se mi arriva una lettera e mi viene messa in carico, ne sono responsabile; non posso dire che sono altri i responsabili! Questo è un principio della pubblica amministrazione, come lei mi insegna.

BRUNO BRUNETTI. Certamente.

CARLO CARLI. Dunque, le vorrei leggere il contenuto del documento, redatto in quattro punti. L'oggetto è il seguente: «Denuncia a carico del maggiore Giuseppe Bacchetti, del capitano Gaspare Piffari ed altri, già appartenenti alla Guardia nazionale repubblicana, per l'omicidio di Fulgenzio Baccolini, Fausto Pini e Mario Mezzadri».
Leggo, ora il contenuto. «Punto 1. Si fa seguito per ultimo al foglio 4835 del 1997-1998 della stazione dei carabinieri di Fontanelice, Bologna. Punto 2. In merito a quanto richiesto, sono stati eseguiti accertamenti nell'ambito di questa provincia e tramite il centro documentale del distretto militare di Bologna, dove è stata trasferita la documentazione matricolare del soppresso distretto militare di Forlì, al fine di meglio verificare ed individuare il Mambelli Guido che all'epoca dei fatti - aprile 1944 - militava con il grado di tenente nella disciolta Guardia nazionale repubblicana. Tra i numerosi nominativi esaminati, è emerso quello di Mambelli Guido, di Mambelli Mario e Zaccaroni Maria, nato a Forlì il 23 aprile 1919, tuttora ivi residente, in via Galileo Galilei, n. 17/8, coniugato, pensionato, già sottotenente di complemento, collocato in congedo l'8 settembre 1943 e riammesso volontario per la Repubblica sociale italiana all'atto della sua proclamazione».
Colonnello Brunetti, sto per leggerle il punto importante: «Sul conto del medesimo, agli atti di quest'Arma non si è reperita traccia di denuncie o notizie in ordine all'episodio in oggetto. Non si è altresì proceduto ad attività diretta (reperimento di eventuali testi sulla militanza del Mambelli per la Repubblica sociale italiana o esecuzione del medesimo) al fine di »stabilire con certezza« l'avvenuta individuazione richiesta, non essendo noto a quest'ufficio lo stato delle indagini e per non precludere la loro riservatezza. In tal senso si attendono disposizioni da parte di codesta suprema Corte. Si allega copia del foglio matricolare, eccetera».
Colonnello Brunetti, mi sembra chiaro che cosa si voglia dire. Che può dirci al riguardo?

BRUNO BRUNETTI. Onorevole, in un excursus di anni dal 1996 al 1999, con intervalli più o meno lunghi, di posta ne è arrivata parecchia. Precedentemente, ho risposto che non mi sembrava che vi fossero state obiezioni: ora, questi rilievi sembrano giusti, ma bisognerebbe vedere che cosa è successo dopo.

CARLO CARLI. Ce l'aveva lei, il fascicolo.

BRUNO BRUNETTI. Ma io non ricordo, adesso, che cosa è stato fatto o che cosa si è deciso di fare, ripeto, non da me.

CARLO CARLI. Per quanto ne sappiamo, non mi pare che vi siano state decisioni successive, con la differenza che si sono acquisite nuove notizie anche in questa circostanza; probabilmente, i carabinieri di Forlì si saranno chiesti che cosa fare di questo signor Mambelli. Il documento, comunque, lo hanno inviato a lei.
Siamo di fronte alle legittime domande che si pone il tenente colonnello Facchini: in sostanza, egli si chiede se debba andare a cercare il Mambelli, a cosa servano le notizie che vi avrebbe dovuto inviare e, soprattutto, che tipo di notizie debba inviare. Di fronte a queste domande, voi, anzi, in questo caso, lei, che cosa ha fatto? Ha riferito tutto al dottor Scandurra?

BRUNO BRUNETTI. Sì, sicuramente. Mi si continua a dire «lei»; non voglio fare il viscido, ma quando sono stato definito un «passacarte»...

PIERANTONIO ZANETTIN. Sono carte che lei vistava, però.

BRUNO BRUNETTI. Sì, a volte le vistavo, a volte no, non è che fosse una costante.

CARLO CARLI. Qui sopra ci sono delle sigle. Non so se le riconosce.

BRUNO BRUNETTI. Per esempio, questa non è la mia grafia; lei, prima, ha avuto modo di vederla. Questa non è la mia grafia.

CARLO CARLI. Se non è la sua grafia, di chi potrebbe essere?

BRUNO BRUNETTI. Onorevole, si parla del 4 aprile 1998; il 13 marzo io ho avuto un infarto. Se vuole, le esibisco le cartelle cliniche; comunque, il 4 aprile 1998, eziandio, ero più di là che di qua! Ecco perché non c'è la mia grafia.

CARLO CARLI. Allora, chi potrebbe essere questo suo sostituto?

BRUNO BRUNETTI. Non ne ho la più pallida idea. Anche perché la sigla è scritta in stampatello.

CARLO CARLI. Un sostituto certamente ci sarà stato.

BRUNO BRUNETTI. Sì, ma l'infarto, mi scusi, non mi ha preavvisato: il pomeriggio del 13 marzo stavo litigando con l'amministratore di casa e all'improvviso ho avuto un infarto; ovviamente, mi hanno portato in ospedale ed ho seguito tutto l'iter di una persona colpita da infarto. Dunque, non posso sapere che fine possano aver fatto gli atti per i successivi sei mesi ed oltre.

CARLO CARLI. Quando lei è rientrato, ha saputo chi l'aveva sostituita?

BRUNO BRUNETTI. No, ho trovato della posta, ma sinceramente non lo so. Ripeto, c'era una catena gerarchica: c'era un dirigente di cancelleria, un funzionario di cancelleria, c'erano degli altri ufficiali. Però, il 4 aprile 1998 - mi spiace, anche stavolta mi sono sottratto - ero infartuato.

CARLO CARLI. Mi dispiace che lei abbia subìto un infarto, francamente.

BRUNO BRUNETTI. È stato un periodo poco simpatico, fra il 1997 e il 1998. Posso documentarlo, ovviamente, anche perché sono stato ricoverato all'ospedale militare del Celio, quindi presso un'entità militare.

CARLO CARLI. No, non ce n'è bisogno, ci mancherebbe.

PRESIDENTE. Comunque, colonnello Brunetti, lei non sa chi si è occupato della cosa.

BRUNO BRUNETTI. Assolutamente no, né - debbo dirlo onestamente - era in cima ai miei pensieri sapere chi si occupasse dei fascicoli, per quanto attaccato al dovere io possa essere.

PRESIDENTE. E quando è rientrato, non si è più occupato dei fascicoli?

BRUNO BRUNETTI. Sì, per quel poco che c'era da fare, ma riprendere il discorso dopo un evento di quel tipo per me è stato abbastanza difficile. Comunque, non vi sono stati ulteriori grossi sviluppi, calcolando che poi, nel 1999, me ne sono andato definitivamente.

PRESIDENTE. E neanche nel periodo corrispondente al mese in cui lei ha perso suo padre, se ne è occupato qualcuno?

BRUNO BRUNETTI. Chiedo scusa, ma debbo ribadire il discorso già fatto. La corrispondenza in arrivo in procura generale, come in tutti gli enti, passa da per un responsabile, generalmente il dirigente, il quale la sottopone al procuratore. Poi, è possibile che il procuratore dia delle disposizioni sul momento, nel dettaglio, faccia prendere il fascicolo. Se sono assente per sei mesi, o anche solo per un mese, non posso far altro che riprendere il bandolo della matassa nel momento in cui arriva altra corrispondenza e continuare a lavorare, reimmettendomi nel meccanismo.
Ma rispetto a ciò che è accaduto in quel lasso di tempo, se qualcosa non mi è stato sottoposto, è difficile che, nella pletora di 202 fascicoli da seguire, sia riuscito a recuperarlo. Comunque, sul fascicolo che mi ha appena mostrato l'onorevole, non vi è la sigla del dottor Scandurra: non è quella specie di pallino con due gambe. Quella grafia, sinceramente, non la riconosco. Ripeto, in quel periodo ero assolutamente latitante, mio malgrado; e mi è andata bene, anche perché continuo a fumare.

PRESIDENTE. Senza i vizi, non vi sarebbero nemmeno le virtù.
A questo punto, se non vi sono altre domande, possiamo procedere in seduta pubblica e concludere l'audizione del colonnello Brunetti.