CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA XIV LEGISLATURA Resoconto stenografico della Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti |
PRESIDENTE. Signor Marocchino, lei risiede in Somalia?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì.
PRESIDENTE. Che tipo di attività svolge?
GIANCARLO MAROCCHINO. Ho una nave cargo, che fa servizio da Dubai a Mogadiscio, Mombasa, Dar El Salam, e svolgo trasporto marittimo in Somalia. Non mi occupo più di trasporto terrestre, che è molto pericoloso, a causa delle bande.
PRESIDENTE. Ha trasportato merci dall'Italia alla Somalia?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì. Ho utilizzato due navi, da Livorno, nel periodo 2002-2004.
PRESIDENTE. Che tipo di merci ha trasportato?
GIANCARLO MAROCCHINO. Tutti materiali pesanti, come macchine per il trasporto e relativi pezzi. In passato mandavamo pacchi di pasta, ma con l'introduzione dell'euro i somali hanno cominciato a comprare la pasta da altri paesi.
PRESIDENTE. Ha mai svolto attività di trasporto da altri paesi europei verso la Somalia?
GIANCARLO MAROCCHINO. No. Ho utilizzato due navi dall'Italia e ora ho questa nave che fa servizio da Dubai a Mogadiscio, da Mogadiscio a Mombasa, da Mombasa a Dar El Salam.
PRESIDENTE. In quale porto somalo scarica le merci?
GIANCARLO MAROCCHINO. I porti somali non esistono più. Funziona solo il porto di Berbera. Il porto di Mogadiscio è stato chiuso, poi è stato riaperto con l'arrivo dei militari dell'Unosom e poi di nuovo chiuso. Si sbarca ad Elman, che è a 32 km da Mogadiscio, e in rada; ci sono delle barche che fanno la spola con la spiaggia. Ho con me delle foto che potrebbero chiarire la situazione logistica.
PRESIDENTE. Ce le mostri.
GIANCARLO MAROCCHINO. Quello che vedete è il piccolo porticciolo dove le barche fermano in rada; poi sono visibili i pontoni che effettuano il servizio di collegamento dalla nave alla spiaggia (c'è una barriera corallina).
EGIDIO BANTI. Lei che attività svolgeva negli anni dal 1990 al 1995?
GIANCARLO MAROCCHINO. In quel periodo ho lavorato prima con il contingente militare italiano e poi con il contingente Unosom, e mi occupavo dei trasporti per le organizzazioni umanitarie.
EGIDIO BANTI. Svolgeva attività di trasporto anche con l'Italia in quel periodo?
GIANCARLO MAROCCHINO. No. Mi occupavo del trasporto dal porto ai miei magazzini. Non mi occupavo del trasporto via mare. Ho iniziato questo tipo di attività nel 2000.
EGIDIO BANTI. In quel periodo lei ha conosciuto Ilaria Alpi?
GIANCARLO MAROCCHINO. L'ho conosciuta al suo arrivo in Somalia. Era insieme al suo direttore.
EGIDIO BANTI. Che idea si è fatto su ciò che è accaduto ad Ilaria Alpi?
GIANCARLO MAROCCHINO. Se volete la mia personale opinione, purtroppo era il periodo in cui il contingente italiano stava lasciando la Somalia, ed i somali credevano che sarebbe rimasto per aiutarli. Quando il contingente italiano ha abbandonato completamente la città, rifugiandosi nell'area del porto e dell'aeroporto, la città si è trovata abbandonata, ed era molto pericoloso stare in città in quel periodo. Lavoravo all'epoca per il Governo italiano, all'interno dell'ambasciata americana, e stavo costruendo degli alloggi per il personale dell'ambasciata italiana, che era stata abbandonata. Dovevo attraversare la città per recarmi al lavoro ed avevo paura. Avevo addirittura delle scorte perché la città era in balia dei balordi. Sinceramente non capisco il motivo per cui questa ragazza sia arrivata dal nord della Somalia per cercare un giornalista che già non c'era più. Tre giorni prima il generale Fiore aveva impartito ai giornalisti l'ordine di rientrare; erano rimasti soltanto due giornalisti di Panorama che si trovavano a casa mia, dei quali ero responsabile.
EGIDIO BANTI. Secondo lei, è vero che in quegli anni sono stati trasferiti in Somalia rifiuti tossici o comunque illeciti dall'Italia e da altri paesi europei?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, non mi sembra. Almeno nella zona in cui mi trovavo io, ossia quella di Mogadiscio, è impossibile. A quell'epoca si sbarcava a Berbera, che si trova a 1.500 chilometri da Mogadiscio, a nord della Somalia. Esistevano delle navi noleggiate da queste grandi imprese italiane, la Lodigiani, la Federici, la Montedil. Già all'epoca, stiamo parlando del 1987, avevo una scorta di 20 militari, data dal Governo somalo, perché questa strada era mal frequentata. Portavamo questo materiale, che veniva scaricato. Comunque si trattava di contenitori sigillati, che venivano dall'Italia. Non andavo ad ispezionare il contenuto dei contenitori e non era mia responsabilità farlo.
EGIDIO BANTI. Erano rifiuti che provenivano dall'Italia, non dalla Somalia.
GIANCARLO MAROCCHINO. Secondo me si trattava non di rifiuti ma di merce che era esente da dogana. I mezzi che arrivavano erano di temporanea esportazione. C'era la società Lofemon, con cui lavoravano 175 italiani e più di 1.000 somali. L'altro gruppo aveva altri 100 italiani e 2.000 somali. Non ho mai sentito nulla al riguardo. La strada comunque è ancora lì, per cui una verifica sui luoghi si può fare.
PRESIDENTE. Torniamo ad oggi. I luoghi utilizzati, che sono dei porti, sono attualmente sottoposti a controlli?
GIANCARLO MAROCCHINO. Nel porto di Berbera c'è in azione un Governo. A Chisimaio la situazione è diversa.
PRESIDENTE. Era o è nella sua disponibilità in Somalia una free zone doganale?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non esiste. Allora non esisteva, col Governo somalo, né esiste adesso, con la rivoluzione.
PRESIDENTE. Con quali società di trasporto italiane o estere era o è in rapporto di affari?
GIANCARLO MAROCCHINO. Prima del 1990, con le società presenti nell'elenco. Dopo il 1990, lavoravo per le organizzazioni umanitarie, per l'ONU e per il contingente italiano.
PRESIDENTE. E oggi?
GIANCARLO MAROCCHINO. Per i commercianti. Ci sono delle agenzie di Dubai che gestiscono questo aspetto.
PRESIDENTE. Ha mai avuto rapporti con la società Messina?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, nel 1990; ero il loro agente. Scaricavamo i contenitori per la cooperazione italiana.
PRESIDENTE. Conosce Claudio Roghi?
GIANCARLO MAROCCHINO. Lo conosco, è un amico. Abbiamo avuto un rapporto commerciale. Mi ha inviato delle merci, in particolare farina.
PRESIDENTE. Da quali porti italiani partivano queste merci? Chi era l'armatore?
GIANCARLO MAROCCHINO. Mi ha inviato della farina che poi è stata confiscata dal Governo.
PRESIDENTE. Non si trattava di rifiuti?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, non credo. I fusti che arrivano in Somalia vengono gettati in mare e pescati con delle reti. Il fusto che contiene gas o olio galleggia, altrimenti affonda. Sarebbe impensabile portare una quantità enorme di fusti - stiamo parlando di distanze enormi -, e poi i fusti diverrebbero oggetto di furti.
PRESIDENTE. Dagli atti del procedimento di Asti risulta che lei ebbe a ricevere, in data 3 maggio 1997, un container proveniente dal porto di Livorno, di circa 32 metri cubi di merce che fu definita come «prodotti domestici». Che cosa conteneva?
GIANCARLO MAROCCHINO. Si trattava di un ragazzo il cui padre aveva un negozio di articoli casalinghi. Mi ha inviato tutta la merce contenuta nel negozio, dopo la morte del padre, per aprirne uno in Somalia. Ha smantellato la sua bottega; il contenitore è arrivato a Mombasa e poi a Mogadiscio.
PRESIDENTE . Ha presente quale era la società di spedizione?
GIANCARLO MAROCCHINO. Era uno spedizioniere di Livorno, di cui però non ricordo il nome. So che all'intero di questo contenitore c'erano 220 chili di pittura ed altri articoli casalinghi.
PRESIDENTE. Durante la sua permanenza in Somalia ha mai ricevuto delle merci direttamente da Claudio Roghi o dalle sue società?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, oltre alla farina e al contenitore già citato.
PRESIDENTE. Passiamo alle foto. Questa è la foto n. 375. Conosce queste persone?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, uno è Roghi e l'altro è un avvocato di Torre Annunziata che commerciava in conchiglie per realizzare degli oggetti.
EGIDIO BANTI. Monili?
GIANCARLO MAROCCHINO. Prendevano le conchiglie e poi le lavoravano, facevano i cammei. È stato giù un po', è stato a casa mia per un periodo, poi ha conosciuto una somala, si è sposato e ha cambiato casa.
PRESIDENTE. Vediamo la foto successiva, n. 376. Riconosce le persone ritratte?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, la persona con gli occhiali è Ali Mahdi. Questa è una fotografia del tempo in cui abbiamo costruito a Mogadiscio una chiatta, una grossa chiatta. Prima c'erano solo le barche, poi con delle lamiere e altro materiale ho costruito questa sorta di pontone. C'è stata una specie di inaugurazione. Avevamo anche un piccolo rimorchiatore con cui sbarcavamo anche materiale del World food program. L'altro è un santone della corte islamica, poi ci sono io, la persona con il foulard è Roghi e gli altri sono tutti somali.
PRESIDENTE. Vediamo la n. 377.
GIANCARLO MAROCCHINO. Questa foto risale al momento dell'inizio della costruzione di questo piccolo porticciolo; prima questo luogo era una scogliera.
PRESIDENTE. Cosa sono questi oggetti?
GIANCARLO MAROCCHINO. Dato che non avevamo molti mezzi per costruire questo porticciolo, prendevo dei contenitori, ne tagliavo il tetto sopra, e dentro buttavo delle pietre. Questo lavoro doveva essere fatto in sei ore, perché c'è un'alta marea di 9 metri; quando c'era bassa marea riempivo i contenitori di pietre, e quando veniva l'alta marea stavo fermo, e via di seguito. Ho fatto questo molo che è lungo 300 metri. Dalla parte sinistra ho messo delle pietre grosse, mentre dalla parte destra, dove praticamente arrivavano le barche, ho fatto dei blocchi di cemento. Comunque il porticciolo c'è, è ancora lì, è interrato, non si adopera più, però non è stato «mangiato» da qualcuno.
PRESIDENTE. Conosce le persone ritratte in questa foto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Questa è la mia officina e la persona, se non sbaglio, è Roghi.
PRESIDENTE. E qui?
GIANCARLO MAROCCHINO. Questo è il magazzino di un somalo, che possedeva pale meccaniche ed altre attrezzature. Ricordo che, proprio in questa circostanza, lui doveva mandare giù una nave contenente zucchero, e dunque è andato nel magazzino di questo commerciante a chiedere i prezzi per l'invio della nave. Poi in realtà questa nave non è arrivata.
PRESIDENTE. E qui?
GIANCARLO MAROCCHINO. Qui è sempre la stessa circostanza dell'inaugurazione di cui parlavo prima. In questa foto si vede la bassa marea, e non c'è acqua. Adesso ormai il porto è interrato. Da un lato si possono vedere i blocchi di cemento, dalla parte opposta ci sono le pietre ed in centro ci sono questi contenitori, che praticamente hanno rappresentato «l'anima» dell'opera. Come dicevo, si tratta di contenitori scoperchiati e riempiti di pietre; ribadisco che si trattava di pietre, perché se fosse stata terra si sarebbe subito dispersa, con l'alta marea.
Vorrei citare anche una nota di colore: quando questi italiani venivano in Somalia, volevano sempre fare un po' di fotografie: c'era quello che voleva farsi fotografare con il mitra, quello che voleva farsi fotografare con la pistola e via dicendo. Insomma, si davano un po' di importanza, quando arrivavano in Italia, mostrando questo genere di fotografie. In questa foto sì può vedere un contenitore appoggiato, e poi sopra riempito di blocchi, destinato ad essere quasi sommerso con l'alta marea. L'alta marea giunge ad un'altezza di 8 metri, quasi a livello dei blocchi. Naturalmente, se avessi avuto un'impresa come l'Impregilo avrei avuto altri mezzi.
In quest'altra immagine si vede il pontone di cui parlavo prima, che avevamo costruito. Mi pare di ricordare che all'inaugurazione è intervenuto anche l'ambasciatore. È stata la prima opera di una certa consistenza che abbiamo fatto in Somalia. Questo pontone ha svolto servizio, fino a quando non è stato affondato, dalle navi al porticciolo.
In questa foto si vede lo stato dei luoghi durante la bassa marea. Qui si vede che avevamo dapprima quel pontone più piccolo, e poi piano piano ci siamo attrezzati e abbiamo costruito quello più grosso. Adesso ci sono pontoni più grossi, presi da Dubai e da altre parti.
La pala meccanica che si vede in quest'immagine serve a tenere fermo il pontone, perché altrimenti quando c'è l'alta marea esso rischia di essere portato via. Abbiamo anche un caterpillar che tiene ugualmente bloccato il pontone.
In questa foto si vede l'operazione di scarico delle merci del WFP. All'inizio avevamo delle piccole barche e poi abbiamo cominciato con questi oggetti un po' più grossi.
PRESIDENTE. Che cosa c'è in quei bidoni?
GIANCARLO MAROCCHINO. Olio. Come si può vedere da questa foto, c'era la mania di farsi fotografare insieme ad uomini armati.
PRESIDENTE. È frequente vedere sul litorale fusti abbandonati?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, assolutamente. Signor presidente, in Somalia un fusto vuoto costa 12 dollari, un fusto vuoto che conteneva olio buono costa fino a 20 dollari, perché in tutte le case somale si usano i fusti per mettere l'acqua. Lei troverà di tutto, ma non troverà nessun fusto, vuoto o pieno, sul litorale.
PRESIDENTE. Recentemente, a seguito dell'evento tsunami...
GIANCARLO MAROCCHINO. Scusi, signor presidente, ma questa vicenda è stata una grossa «bufala». Sono andate anche le Nazioni Unite a vedere, ma a Bosaso, circa 1.500 chilometri da Mogadiscio; si dice che lo tsunami abbia portato dei fusti sulla spiaggia. Credo esista, in proposito, anche un verbale dell'ONU: l'Organizzazione si è premurata di effettuare i dovuti accertamenti, inviando dei tecnici sul luogo, a seguito delle richieste di soccorso finanziario avanzate dalla regione che ha lamentato la morte di circa trecento persone. In ogni caso - almeno secondo una prima ricostruzione della vicenda -, sembrerebbe che si sia trattato soltanto di una «bufala», per ottenere degli aiuti, mentre in realtà lo tsunami in Somalia non ha provocato danni significativi, perlomeno nell'area circostante a Mogadiscio, limitandosi ad arenare alcune barche sulla spiaggia.
PRESIDENTE. È stato detto che Roghi si interessava di farina: per quale motivo, allora, in quasi tutte le foto che abbiamo visto, è sempre presente in occasione delle operazioni di interramento dei container?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, non si tratta di attività di interramento, presidente. In realtà, le foto si riferiscono all'attività di realizzazione del porto. In quell'occasione Roghi, fermatosi circa 15 giorni in zona, trascorreva con noi il tempo libero, facendosi scattare anche delle fotografie. Quello che si vede nella seguente fotografia, invece, è il piccolo aeroporto a 30 chilometri da Mogadiscio. Il materiale mostrato nella foto successiva è farina, oppure cemento. Quelli che vediamo ora, invece, sono fusti di olio: chi si dovesse recare in Somalia ne troverebbe vuoti a migliaia. Una volta consumato l'olio in essi contenuto, e dopo essere stati puliti e affumicati, infatti, i fusti vengono riutilizzati, sovente come recipienti per il latte.
Le foto che stiamo vedendo mostrano la preparazione di cibo, attività svolta dalle donne.
PRESIDENTE. Questo, invece, è un magazzino?
GIANCARLO MAROCCHINO. Esattamente. La differenza tra fusti contenenti benzina o nafta e fusti contenenti olio è evidenziata dalla colorazione: quella dei primi è tendente al marrone, quella dei secondi al verde o al giallo.
PRESIDENTE. Però, nonostante le sue rassicurazioni, continuo a vedere bidoni ovunque...
GIANCARLO MAROCCHINO. Probabilmente, saranno recipienti contenenti acqua. Deve considerare, presidente, che in quell'area non c'è acqua, e non esistono distributori idrici. Il fusto, in Somalia, è vita. Ecco perché ognuno costa 12 dollari. Tutti i camion che vanno in boscaglia ne hanno almeno cinque o sei, contenenti acqua, gasolio o altri materiali. Quello in foto, invece, è un edificio-dormitorio riservato alle guardie, come è possibile desumere dalle brande presenti. Vi riposano i militari.
Signor presidente, mi permetto di aggiungere qualcosa relativamente al porticciolo: nel corso del mio soggiorno in Somalia il piccolo porto si era insabbiato e per questa ragione avevo pensato di aprire un varco e di far scorrere l'acqua. Il tentativo è però andato a vuoto, a causa delle alte maree e dei monsoni. A fasi alterne, infatti, la sabbia veniva trasportata lontano e nuovamente si depositava. Ad ogni modo, il porto è ancora lì, ed è presente la struttura precedentemente allestita. Qualora lo riteneste opportuno, potrei accompagnarvi per monitorare e controllare l'area.
Proseguendo nella rassegna fotografica, è possibile vedere dei contenitori, mentre nella foto successiva è mostrato ciò che resta dopo la mareggiata che ha portato via la parte superiore del porto, lasciando soltanto la base. Se lei vede, si tratta di grandi pietre. Quello, infine, è un blocco di cemento cui rimangono agganciati i barconi in caso di alta marea.
PRESIDENTE. Conosce Douglas Duale?
GIANCARLO MAROCCHINO. L'ho visto una o due volte. È un avvocato di Roma.
PRESIDENTE. Abita nella sua stessa zona?
GIANCARLO MAROCCHINO. Intende dire a Mogadiscio? Penso siano anni che non vi abita più. So che ha frequentato l'accademia militare in Italia, e credo che a Mogadiscio sia venuto solo raramente.
PRESIDENTE. Duale ha riferito alla Commissione che in Somalia sono interrati rifiuti anche tossici. Come lo spiega?
GIANCARLO MAROCCHINO. I somali parlano troppo... Dipende dalle convenienze della parte di volta in volta in gioco... Dipende dal conflitto in corso. Laddove esiste conflitto, si parla.
PRESIDENTE. Ci spiega meglio?
GIANCARLO MAROCCHINO. Lui che non è mai venuto in Somalia, che non sa neppure da che parte stia adesso, se sia bianca o nera, come fa a dire che sono arrivati rifiuti tossici in quel territorio? In realtà, secondo i conflitti di volta in volta in atto, si è detto tutto ciò che è risultato più conveniente ad una parte o all'altra. Per sostenere quanto afferma, Duale dovrebbe darne prova, ad esempio indicando il nome della nave interessata. In ogni caso, non ritengo fondate le sue affermazioni. Certamente non lo sono per la nostra zona, ma non posso dire altrettanto per le altre, non avendone diretta conoscenza; su Mogadiscio e dintorni posso pronunciarmi con certezza, e mettere addirittura la mano sul fuoco.
PRESIDENTE. Conosce l'ingegner Vittorio Brofferio?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, certamente. Questa è una sua lettera...
PRESIDENTE. Ha lavorato con lui?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, lui era un capo di campo, un ingegnere del campo di Garoe.
PRESIDENTE. Gli ha mai proposto di interrate dei container?
GIANCARLO MAROCCHINO. No ...
PRESIDENTE. Perché ride?
GIANCARLO MAROCCHINO. Perché ho già sentito questa voce. Ma si tratta di una «bufala». Io chiederei a lui di interrare dei contenitori? Chi è lui? Scusi, presidente, ma all'epoca ero un autotrasportatore; avevo il compito di prendere la merce da Berbera e portarla a Garoe, dal porto al campo. Avevo una scorta di militari formata da 20 unità, e c'era un tecnico della Lofemon deputato a svolgere le operazioni doganali e a caricare il camion: il mio compito era soltanto di prendere la merce, trasportarla al campo base, scaricarla, firmare le ricevute e tornarmene indietro. Perché dire una «fregnaccia» simile? Io la ritengo tale. All'epoca della lettera, Brofferio stesso parlava di me come di una persona perbene, corretta, un galantuomo; dopo dieci anni incontra i giornalisti di Famiglia Cristiana e salta fuori che gli avrei fatto quelle proposte e che avrei inteso interrare dei rifiuti tossici. Se poi fosse vero, perché chiederlo a lui? Se avessi anche voluto fare una proposta del genere, l'avrei fatta all'ingegnere dei lavori a terra del momento. In ogni caso, realizzare una buca sarebbe stato molto difficile, tenuto conto del numero di persone sempre presenti, di giorno e di notte, militari e non, somali e non: impossibile passare inosservati. È una cosa inaudita...!
PRESIDENTE. Ha mai avuto contrasti con Brofferio?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non so se posso parlare. Se si tratta dello stesso ingegnere che io ricordo, aveva una moglie che a quei tempi aveva rapporti con altre persone. Non so se si tratta di quella persona.
PRESIDENTE. C'è stata inimicizia?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non lo so, io l'ho visto pochissimo. Il mio lavoro si svolgeva con altri ingegneri.
PRESIDENTE. L'azienda di Brofferio l'ha sempre pagata?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì. Era la Lodigiani, no? A quei tempi, signor presidente, io non avevo un contatto diretto con questa gente. Io ero subappaltatore, in quanto ero «piccolo». Io sono un trasportatore. Il numero uno era rappresentato dal figlio di un ex presidente della Somalia, che aveva preso il lavoro direttamente da Roma perché era un politico, però per svolgere materialmente il lavoro aveva due camion, che non erano nemmeno i suoi, erano di proprietà di parenti. Quando ha ottenuto il lavoro non aveva mezzi, e allora si è appoggiato a me. A quei tempi, chi dirigeva i fondi di aiuti italiani parlava direttamente con i personaggi del Governo; io ero un semplice trasportatore, non potevo ottenere dei lavori direttamente dall'Italia.
PRESIDENTE. Ha mai offerto alla ditta Lofemon appoggio logistico, materiali e personale per la sicurezza dei cantieri?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, il personale lo reclutavano loro; avevano un loro ufficio apposito.
PRESIDENTE. Non offriva il personale per la sicurezza dei cantieri?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, no, assolutamente. C'era il FAI e l'ENFAIS. L'ENFAIS era un altro ministero. Il FAI era l'Italia, mentre l'ENFAIS era l'omologa amministrazione somala, e in quella sede erano presenti dei personaggi del Governo, che facevano degli accordi con loro. Presidente, in questa foto può vedere la strada in costruzione, e questa è invece la strada finita. Questi sono i miei convogli con gli uomini armati. Io, in ogni convoglio, avevo gli uomini armati. A quei tempi mi hanno attaccato, mi hanno bombardato i camion, sono morti 6 militari e 12 sono rimasti feriti. Questi sono i miei convogli e questi invece sono i morti di cui dicevo.
PRESIDENTE. Brofferio, secondo lei, l'ha accusata perché aveva una relazione con la moglie?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, no, non lo so. Non so neanche se era lui con la moglie...
PRESIDENTE. Può dirsi un'accusa? Brofferio non ha detto che cosa contenevano i container.
GIANCARLO MAROCCHINO. Io non so. A me è stato detto che Brofferio...
PRESIDENTE. Potevano contenere pietre?
GIANCARLO MAROCCHINO. A me è stato riferito che io avrei proposto a Brofferio di interrare dei contenitori. È una cosa che non ha senso. Come ripeto, quando io prendevo i contenitori a Berbera avevo una scorta militare. Ci sono i testimoni, ne avrò 200. Da Berbera un funzionario della Lofemon, un certo Camazzini, svolgeva l'operazione doganale di quanto caricavamo, il direttore di questa società segnava ogni camion e i relativi contenitori. Era tutta un'organizzazione, e io cosa faccio? Parto da Berbera, così, per conto mio? È impossibile, non regge quest'accusa.
Vorrei aggiungere, signor presidente, che sono a vostra disposizione in tutti i modi per chiarire questa vicenda. Sono purtroppo dieci anni che sono tirato in ballo, che sto combattendo a destra e sinistra. Ogni tanto spunta qualcuno. Sto sporgendo denunce da tutte le parti. Ultimamente, ad Asti ho denunciato Sebri, che è stato condannato a due mesi, più il pagamento delle spese processuali. Sto facendo di tutto per uscire da questa vicenda. Purtroppo laggiù rappresentavo l'unico punto di riferimento funzionante, ero l'unica persona che, bene o male, stava lì. Io ho una moglie somala che è nipote di Ali Mahdi ed avevo un socio che era nipote di Aidid; stavo sia da una parte sia dall'altra, ma il mio lavoro è sempre stato pulito. Lavoravo con il contingente militare, lavoravo con le organizzazioni umanitarie. Guardi, queste sono tutte organizzazioni di cooperazione con le quali lavoravo; lavoravo con la cooperazione italiana.
PRESIDENTE. Sta ancora lavorando con la cooperazione italiana?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, la cooperazione italiana non c'è più. In Somalia non c'è più niente, presidente.
TOMMASO SODANO. Ha mai lavorato con i Servizi segreti?
GIANCARLO MAROCCHINO. Con i Servizi segreti lavoravo come logistica. I Servizi segreti facevano dei servizi, e allora l'ambasciata mi faceva emettere le fatture diversamente. Vi erano fatture come ambasciata, fatture come cooperazione e fatture come nucleo Servizi. Io portavo loro il gasolio, mi occupavo della manutenzione dei generatori e di cose di questo genere. Io lavoravo di più con il contingente militare. Con il contingente militare, purtroppo sono stato coinvolto e, come sapete, sono stato mandato via dalla Somalia; poi sono ritornato, ma per una questione politica. All'epoca c'era un problema tra il contingente italiano e quello americano; in quella circostanza è stato rimosso e mandato in Italia l'ambasciatore Augelli. Anche il generale Loi è stato rimandato in Italia, e io, poverino, ho seguito la stessa sorte, però dopo un mese, con l'ammiraglio Howe, sono di nuovo ritornato in Somalia. Fornivo delle prestazioni ai militari italiani, a parte il lavoro: facevo dei convogli con loro, sapevo dove purtroppo i somali avevano collocato delle bombe, davo informazioni per i nostri italiani. Lo potete chiedere al generale Fiore. Una notte c'erano due grossi mortai piazzati sulla base militare italiana, e io ho dato l'informazione; quando la Folgore si è recata sul posto, ha trovato le armi già pronte. Fornivo le informazioni non dietro pagamento ma in quanto italiano. Io sono italiano, lavoravo con gli italiani, è logico che davo delle informazioni per salvare delle vite italiane. Con i Servizi segreti non facevo altro.
TOMMASO SODANO. Lei curava solo la logistica, per i Servizi segreti?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì.
TOMMASO SODANO. Non ho capito però il punto in cui ha detto che forniva solamente carburanti e che le fatture venivano emesse in modo diverso. Perché? Qual era il motivo?
GIANCARLO MAROCCHINO. Si trattava dei pagamenti. Si vede che esistevano budget distinti. La cooperazione italiana mi pagava come cooperazione italiana (difatti ho stipulato con loro un contratto anche di magazzinaggio); l'ambasciata italiana mi pagava a parte (mi pagava un console), e poi c'erano i Servizi di sicurezza dei Carabinieri, che mi pagavano attingendo ad un'altra cassa. Praticamente, le fatture le dividevo. Se portavo 10 mila litri di nafta, 6 mila andavano in un posto, 3 mila in un altro e così via, perché ognuno aveva i suoi generatori. Ogni reparto era autonomo.
TOMMASO SODANO. È a conoscenza di un traffico d'armi tra Italia e Somalia? È stato mai accusato di traffico d'armi, fra le tante accuse che le sono state rivolte?
GIANCARLO MAROCCHINO. Mi è stata rivolta un'accusa al riguardo, ma il caso è stato archiviato.
TOMMASO SODANO. Riferita a cosa?
GIANCARLO MAROCCHINO. Presunto traffico d'armi. Ma, come le ho spiegato, il caso è stato archiviato. Lo stesso ammiraglio Howe - del quale conservo le lettere - mi chiamò, porgendomi le sue scuse, e da quel momento sono tornato nuovamente in Somalia. In realtà, la questione di cui dovremmo parlare è un'altra.
TOMMASO SODANO. Cioè?
GIANCARLO MAROCCHINO. In quel periodo era in corso un grande conflitto fra il contingente italiano e quello americano. Gli americani pensavano che io passassi informazioni agli italiani; all'epoca, infatti - non so se ne siete al corrente -, gli americani cercavano i DTE. Io, ovviamente, non avevo a che fare con la vicenda.
TOMMASO SODANO. Ha mai avuto in custodia container di cui non conosceva il contenuto per conto dei Servizi o delle Forze armate italiane?
GIANCARLO MAROCCHINO. No. Le spiego meglio i fatti: il contingente italiano non era dotato di un numero sufficiente di gru per trasportare i contenitori loro destinati, e per questo motivo ero io a recarmi al porto di Mogadiscio, all'epoca sotto controllo del contingente militare americano; con i miei mezzi caricavo i contenitori del contingente italiano, sotto scorta di unità militari, ed era lo stesso contingente italiano ad indicarmi la destinazione dei contenitori. Io svolgevo questo tipo di servizio. Quando gli americani mi accusarono di trasportare armi, io risposi di esserne all'oscuro, in quanto non responsabile ed ignaro del contenuto del carico, operando per conto del contingente italiano, nella presunzione, peraltro, che quelli - con tutta probabilità - fossero recipienti destinati al contenimento di viveri ed acqua. Qualora vi fossero state armi, in ogni caso, ne sarei stato all'oscuro, essendo questioni estranee alla mia competenza.
TOMMASO SODANO. Ha svolto attività anche per conto dei Servizi?
GIANCARLO MAROCCHINO. No. Ad ogni modo, forse certi sospetti sono nati per un fatto: disponevo di un magazzino e dovevo occuparmi di sbarcare un nave di aiuti del CEFA del senatore Bersani. Ho scaricato un notevole quantitativo di merce - erano tutti generi alimentari - e l'ho trasportata nei miei magazzini, ove arrivavano i conducenti dei camion militari italiani deputati al loro prelievo ed al successivo trasporto verso le varie destinazioni. Sembra che su Mogadiscio volasse un aereo 24 ore su 24 e che vi fosse un controllo satellitare, dal quale non poteva che risultare l'arrivo giornaliero di numerosi camion militari italiani nel mio magazzino, per i motivi che ho precedentemente esposto. Ovviamente, caricando al coperto, non era possibile individuare il contenuto del materiale trasportato, ma si trattava - lo ripeto - di generi alimentari inviati dalle varie organizzazioni. All'epoca, la politica italiana era quella di portare i generi alimentari nei villaggi e siglare degli accordi con i capi clan, che a loro volta cedevano le armi. La politica americana era invece quella di uccidere alcuni esponenti dei clan e quindi prendere le armi. Non so quale fosse la politica migliore, se una o l'altra, non sta a me dirlo, ad ogni modo la strategia era quella appena descritta. I risultati degli italiani erano più concreti, consentivano un considerevole recupero di armi; quanto al risultato americano, tutti sanno cosa sia accaduto alla fine. La diversità di atteggiamento ha portato all'insorgenza di alcuni problemi.
PRESIDENTE, Quindi, secondo lei, anche le accuse più infamanti derivano da questo rapporto conflittuale con il contingente americano...
GIANCARLO MAROCCHINO. Le ripeto, il caso di cui si parla è stato archiviato per insussistenza di reato. Un secondo caso, ad Asti, è stato anch'esso archiviato. Credo che alla fine emergerà la verità e se avrò o fatto del male o meno verrà alla luce, signor presidente. Ne sono convinto.
Confermo la mia disponibilità verso la Commissione qualora intenda recarsi in visita presso il piccolo porto di cui ho parlato.
PRESIDENTE. La ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.