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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del responsabile dell'ufficio istituzionale e legislativo del WWF Italia, Stefano Lenzi.
L'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto sull'opportunità di procedere ad una serie di audizioni in merito alle problematiche inerenti alla definizione normativa della nozione di «rifiuto». Ricordo che la Commissione ha già ascoltato, su tale materia, i rappresentanti di Greenpeace, dell'UNI (Ente nazionale di unificazione), di Ambiente Italia, dell'ENEA, di Legambiente, dell'associazione Ambiente e lavoro, dell'APAT, dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti e dell'associazione Ambiente e/è vita.
La Commissione ha svolto altresì audizioni tese ad acquisire su tale tematica anche il contributo del mondo accademico e della dottrina ascoltando, la scorsa settimana, il professor Franco Giampietro, magistrato di Cassazione in congedo, e il professor Renato Federici, docente di diritto amministrativo.
L'odierna audizione del dottor Stefano Lenzi, responsabile dell'ufficio istituzionale e legislativo del WWF, fornirà certamente alla Commissione utili elementi di valutazione sulle problematiche che afferiscono alla questione dell'esatta definizione giuridica della categoria dei rifiuti.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, do subito la parola al dottor Lenzi, riservando eventuali domande dei colleghi al termine del suo intervento.
STEFANO LENZI, Responsabile dell'ufficio istituzionale e legislativo del WWF Italia. Grazie, presidente. Ho con me una memoria scritta che lascerò agli atti della Commissione, con un appunto abbastanza circostanziato ed approfondito redatto dal nostro consigliere nazionale, nonché magistrato, Gianfranco Amendola. Non so se la Commissione lo audirà, comunque qui vi è già il suo pensiero.
PRESIDENTE. Acquisiamo volentieri questa documentazione.
STEFANO LENZI, Responsabile dell'ufficio istituzionale e legislativo del WWF Italia. Il WWF Italia crede fortemente che l'interpretazione autentica ex articolo 14 della legge n. 78 del 2002 in realtà sia frutto di tre equivoci: in primo luogo, il rifiuto di per se stesso, nel momento in cui entra nella normativa quadro n. 22 del 1997 e più in generale nel quadro della normativa comunitaria, non è suscettibile di riutilizzazione economica, quando invece la normativa quadro e le direttive comunitarie prevedono che il rifiuto, anche se così classificato (in questo caso in
particolare i rifiuti speciali), sia riutilizzabile economicamente, ma lo pone sotto la disciplina dei rifiuti per tutta quella serie di controlli, di regole e di griglie che sono necessarie nella vita del rifiuto «dalla culla alla tomba», come si dice. Il secondo equivoco è che sia possibile un'interpretazione soggettiva e quindi un'espressione volitiva per quanto riguarda la definizione o non definizione di rifiuto, mentre le tendenze chiare da parte delle normative comunitarie sono quelle di arrivare ad un'oggettività della definizione di rifiuto che è stata accolta nell'articolo 6 del decreto legislativo n. 22 del 1997. Il terzo è che sia possibile, con una norma italiana, quindi con un atto unilaterale, incidere sulla normativa europea.
Sono tre equivoci di fondo che, lasciando dei margini al Governo italiano per rappresentare in sede di Unione europea alcune esigenze interpretative, con questa norma non arrivano a miglior definizione e non riescono se non nell'intento di attivare una procedura d'infrazione a livello comunitario.
Ricordiamo che, secondo l'impostazione della prima direttiva in questo campo, la 75/442, fino ad arrivare alla direttiva 91/156, si ha questa definizione oggettiva che, nell'articolo 6, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 22 del 1997 viene finalmente accolta, per cui qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi è rifiuto, quindi arrivando ad una definizione che riporta poi agli allegati tecnici per arrivare ad oggettivizzare cosa sia rifiuto e cosa no. Si deve considerare che, nei vari «considerando» della stessa direttiva 91/56, si precisa che sono necessarie una terminologia ed una definizione comune dei rifiuti a livello comunitario per rendere più efficace la loro gestione nell'ambito di tutti i paesi appartenenti all'Unione europea. Va sottolineato inoltre che della definizione comunitaria di rifiuto si occupa anche il regolamento CEE 259/93, relativo al trasporto transfrontaliero di rifiuto, di cui all'articolo 2, lettera a), della direttiva e come quelle definizioni siano valide, essendo appunto i regolamenti immediatamente applicabili per i paesi dell'Unione europea.
Detto questo, occorre ricordare che sul discorso della definizione di rifiuto l'Italia non è nuova a contrasti con l'Unione europea e che i vari governi che si sono succeduti, addirittura dal 1993, hanno tentato interpretazioni a nostro giudizio non possibili o comunque non compatibili con la normativa europea. Ricordiamo il decreto-legge n. 334 del 1993, recante disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo, in un processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei rifiuti, decreto che è stato reiterato per 18 volte e che tentava di portare fuori dalla normativa dei rifiuti le sostanze che possiedono una qualificazione merceologica riconosciuta da borse merci, listini o mercuriali ufficiali delle camere di commercio o rientranti nell'elenco del decreto ministeriale del 5 settembre 1994. Le varie reiterazioni hanno portato ad un ultimo decreto-legge, sempre sui residui industriali, n. 462 del 1996, però si sono avute procedure di infrazione e una soluzione definitiva da parte della Corte di giustizia europea, con la sentenza Tombesi della VI sezione, che ha stabilito che la nozione di rifiuto, ai sensi della direttiva CEE, non deve intendersi nel senso che essa escluda le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Infatti, una normativa nazionale che adotti una definizione della nozione di rifiuto che escluda le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non è compatibile.
Questa situazione si è poi ripresentata nella passata legislatura con un articolo che era inserito nella cosiddetta proposta Ronchi-quater, un progetto di legge il cui primo firmatario era l'onorevole Giovannelli, che proponeva in realtà una norma fotocopia di quello che è poi è stato l'articolo 14 della legge n. 177 del 2002. Allora quel tentativo fu fermato, sempre dalla Corte di giustizia europea, con la sentenza ARCO del 15 giugno 2000. Secondo il giudice europeo «a questo proposito va rilevato anzitutto che,
anche se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di recupero completo la quale comporti che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà e caratteristiche di una materia prima, ciò nondimeno tale sostanza può essere considerata un rifiuto se, conformemente alla definizione di cui all'articolo 1, lettera a), della direttiva, il detentore della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene. Come è stato ricordato sopra, il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un rifiuto; infatti la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza non ha incidenza sulla natura di rifiuto definita, conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva, con riferimento al fatto che il detentore dell'oggetto o della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene».
Quel tentativo fu fermato allora da questa sentenza ed oggi lo vediamo riproposto, secondo noi, in contrasto con le interpretazioni non soltanto della direttiva comunitaria per quanto ci compete ma addirittura della stessa Corte di giustizia europea. Ricordiamo, a proposito dell'equivoco sulla possibilità dell'Italia di decidere unilateralmente di arrivare a modifiche sostanziali delle indicazioni delle direttive europee, come questo in realtà entri in contrasto con l'articolo 10 della Costituzione e con il trattato dell'Unione europea, nel momento in cui si ha un'interpretazione che va fuori dal dettato comune dell'Unione; infatti, può essere soltanto quest'ultima a rivedere una direttiva e a dare un'interpretazione di questo genere, a meno che comunque non ci sia - e questa era la strada che noi suggerivamo - la volontà di attuare un tentativo di questo genere da parte del Governo. Si è innescata una procedura e delle iniziative che emergono dall'incontro di Aechen del 30 novembre 1998, che ha stabilito che in ambito comunitario il Governo italiano possa portare all'attenzione della Commissione dell'Unione europea delle interpretazioni e non fare leggi che violino le direttive comunitarie.
Riguardo all'efficacia delle sentenze della Corte europea sul nostro ordinamento, il parere del Consiglio di Stato, sezione II, del 13 maggio 1992, ha ricordato come le sentenze della Corte di giustizia, pur non importando la catalogazione della norma interna, ritenuta incompatibile, si traducono in un obbligo di attuazione della normativa comunitaria rivolta a tutti i soggetti giuridicamente tenuti all'attuazione delle leggi ed in particolare alle autorità giurisdizionali ed amministrative. Quindi, di fatto ci troviamo in una situazione in cui il percorso indicato da noi rispetto alla rappresentazione da parte del Governo di esigenze anche nazionali all'Unione europea può e deve essere intrapreso, visto che comunque per l'ordinamento italiano questo è quanto indica il Consiglio di Stato.
Come ho ricordato all'inizio, la normativa quadro sui rifiuti, il decreto legislativo n. 22 del 1997, nel momento in cui classifica i rifiuti - speciali o altro - non arriva a portare fuori dal mercato le materie seconde, perché il rifiuto, ai sensi di tale decreto, al contrario di quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, non è un materiale semplicemente da smaltire ma entra in un ciclo complesso, opportunamente disciplinato, di attività di raccolta, trasporto, recupero, commercio ed intermediazione di rifiuti, bonifica e smaltimento (articoli 4, 5 e 6 del decreto n. 22). La gestione del ciclo integrato dei rifiuti solidi urbani, dei rifiuti pericolosi, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi «costituisce attività di pubblico interesse» (...) - e qui sta poi la garanzia offerta dalla normativa sui rifiuti - «al fine di assicurare un'elevata protezione dell'ambiente e controlli efficaci» (articolo 2, comma 1, del decreto n. 22) «e si conforma ai principi di responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, nell'utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti» (articolo 2, comma 3). L'utilizzazione economica del rifiuto deve avvenire in un quadro di controlli e di regolamentazioni di preminente attinenza pubblica,
perché ci sono problemi rispetto alle ricadute ambientali sulla salute che devono essere tenute in considerazione.
L'interpretazione di rifiuto secondo la Corte di giustizia europea «non presuppone che il detentore che si disfa di una sostanza o di un oggetto abbia l'intenzione di escludere ogni riutilizzazione economica da parte di altre persone» (Corte di giustizia CE, 28 marzo 1990, Vessoso ed altro). Inoltre, «anche se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di recupero completo, ciò non significa che possa essere equiparato ad una materia prima» (Corte di giustizia CE, sezione V, 15 giugno 2000). «Tale nozione non consente affatto che i residui industriali avviati al riutilizzo siano svincolati dai controlli e dagli obblighi previsti per i rifiuti» (Corte di giustizia CE, sezione VI, 25 giugno 1997, Tombesi ed altri).
Quanto all'articolo 14, oltre alle osservazioni delle associazioni ambientaliste, in quei giorni (parlo in particolare di un comunicato emesso il 22 luglio 2002) si espressero le varie aziende, le federazioni di imprese e consorzi del settore ecologico; in particolare Federambiente, FISE Assoambiente, ATIA, CIC, ISWA Italia nel loro comunicato avvertivano - come noi - del forte rischio che si corre con questa norma, dei gravi problemi soprattutto per la gestione dell'attività di smaltimento e recupero dei rifiuti speciali, dei rilevanti danni economici per le imprese che perseguono elevati standard di qualità nei settori dell'ambiente, del trattamento e recupero dei rifiuti, degli incalcolabili danni ambientali e igienico-sanitari per la collettività. Le stesse federazioni di imprese, sia pubbliche sia private, ricordavano che il problema dei rifiuti è anche una questione nazionale di legalità e come sia grave la carenza di regolamentazione che si verrebbe a creare con l'introduzione dell'articolo 14. La conferenza unificata delle regioni, da parte sua, ha rilevato come il testo, nell'attuale formulazione, potrebbe attivare procedure di infrazione da parte dell'Unione europea.
A questo proposito, nella nota ricordiamo come, nella complessiva gestione del ciclo dei rifiuti, che nel 1998 ammontavano, a livello nazionale, a 56,4 milioni di tonnellate (quelli gestiti, su un totale complessivo di 68 milioni di tonnellate, a quella data, secondo il rapporto rifiuti 2001), vi erano 11,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi e non, di cui non si conosceva l'esatta definizione finale. Abbiamo anche richiamato l'attenzione da parte della Commissione su una serie di modifiche del decreto n. 22, che secondo noi vanno nella direzione di una progressiva deregolamentazione. Vi sottoponiamo queste norme, in gran parte di derivazione governativa, e vi chiediamo di dedicarvi particolare attenzione, senza con questo voler influenzare la Commissione. Vi segnaliamo la legge 31 luglio 2002, n. 179, che prevede il non obbligo, da parte dei consorzi obbligatori per il recupero degli oli usati, plastica, vetro, di tenere registri di carico e scarico nonché l'esenzione dall'iscrizione all'apposito albo; la legge 21 dicembre 2001, n. 443, la legge obiettivo, che concerne le terre da scavo derubricate dalla normativa sui rifiuti. Si tratta di norme già in vigore, ma ne vedremo anche altre disposizioni in fieri.
Il disegno di legge «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale», che dopo la modifica al Senato è composto di un articolo unico, ai commi da 25 a 29 dell'articolo 1 stabilisce che i rottami ferrosi e non ferrosi, anche provenienti dall'estero, sono dichiarati a tutti gli effetti materie prime secondarie. Ritorniamo al tentativo espletato dal 1993. Sempre in quel testo, al comma 29, c'è una disposizione che stabilisce come il RDF, non definito tecnicamente dalla normativa italiana, possa essere utilizzato in processi di co-combustione in impianti di energia elettrica ed in cementifici. Nel decreto-legge del 7 marzo 2002, n. 22, vi è una norma - si parlava di un rifiuto speciale - che derubrica il pet coke dai rifiuti, e ancora, secondo la legge del 16 novembre 2001, n. 405, i rifiuti sanitari, dopo un semplice trattamento, possono essere assimilati ai rifiuti urbani.
Vi segnaliamo questo non strumentalmente ma perché abbiamo l'impressione che sia comunque in atto un tentativo, probabilmente non coordinato, episodico e frammentario, di riscrivere quella normativa quadro di derivazione comunitaria; se si deve proprio porre mano al decreto n. 22 del 1997, ciò deve avvenire in maniera organica ed articolata e non con norme che costringono la Commissione europea ad intervenire con rettifiche sul decreto n. 22, da cui conseguono difficoltà di interpretazione ed inapplicabilità, dovute anche all'intervento della Commissione stessa e della Corte di giustizia.
Quanto alle procedure di infrazione, è stata avviata nei confronti dell'Italia, nel settembre 2002, una procedura proprio sull'articolo 14, che era ispirato da una necessità impellente, come veniva ricordato nella nota introduttiva del decreto legislativo n. 178 del 2002 prima della conversione in legge, quella di intervenire d'urgenza per evitare il blocco dell'attività delle industrie siderurgiche a causa del sequestro di intere partite di rottami ferrosi disposto dalla procura di Udine in Friuli e a Porto Marghera; il tribunale di Udine è intervenuto con un primo provvedimento sull'articolo 14, sollevando il problema di fronte alla Corte di giustizia europea, con il decreto di rigetto di restituzione delle cose sequestrate il 16.10.2002, intervenendo nell'interpretazione dell'articolo 14. Nella documentazione è riportato il passo della sentenza su questa materia nel rapporto tra normativa nazionale e normativa comunitaria.
Infine, nella relazione troverete delle proposte molte sintetiche: che venga effettuato dalla Commissione bicamerale un approfondimento sulle conseguenze in atto o in fieri dei provvedimenti già approvati o in itinere di proposta governativa; che l'intera normativa italiana sui rifiuti venga riportata nell'alveo delle legittimità e della corretta applicazione delle norme comunitarie; che vengano rafforzati i controlli sull'intero ciclo di gestione dei rifiuti; che venga abrogato l'articolo 14 della legge n. 178 del 2002.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Lenzi.
Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.
EGIDIO BANTI. La mia domanda riguarda le attività di dragaggio portuali: stiamo verificando che in diversi porti italiani, da Venezia a La Spezia, si sta determinando una sorta di apparente contrasto tra attività di dragaggio ex lege portuale e attività di bonifica, con un tentativo, forse comprensibile, ma dal mio punto di vista di difficile accettazione, di privilegiare il percorso indicato dalla legge portuale rispetto all'attività di bonifica. È chiaro che questo incide anche sulla qualità del prodotto di risulta anche ai fini del suo trattamento e quant'altro. La sensazione è che la legge sia abbastanza chiara, ma che evidentemente esistano tentativi di interpretazione di tipo diverso. Vi domando se siate al corrente di questa problematica e quale sia la vostra posizione.
STEFANO LENZI, Responsabile dell'ufficio istituzionale e legislativo del WWF Italia. Mi sono occupato direttamente di una questione analoga, legata a Piombino. Il problema come al solito si ha nell'applicazione, nel senso che esiste un meccanismo complesso legato soprattutto agli interventi di caratterizzazione e di recupero e smaltimento di quanto è o meno contaminato. In realtà il problema è la procedura: una volta che i rifiuti vengono classificati come speciali, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 22 del 1997, bisogna capire quale sia la procedura da adottare. Quando, come nel caso di Piombino e di La Spezia, viene proposto un dumping o comunque un riutilizzo tout court, magari anche al di fuori delle aree portuali, si entra in un terreno molto rischioso.
Va anche detto che le competenze tecniche di ICRAM e degli altri enti ad esso collegati sono molto forti e le capacità di intervento sono notevoli. Il problema sostanziale esistente soprattutto in riferimento ai materiali contaminati è che non esistono in Italia degli impianti adeguati per la loro eventuale decantazione, il loro
recupero ed il loro riutilizzo. Esiste solo l'impianto sperimentale di Livorno. Si tratta di una mancanza che ci permettiamo di sottolineare alla Commissione. Ovviamente noi riteniamo che comunque tutto ciò debba rientrare nella procedura stabilita dal decreto n. 22.
EGIDIO BANTI. Nei giorni scorsi è intervenuto un provvedimento della magistratura de La Spezia, che ha sequestrato un deposito di materiale ferroso all'interno di un sito militare. Il deposito, di fatto a cielo aperto e almeno apparentemente equiparato ad una discarica, era però al di fuori di interventi di messa in sicurezza, probabilmente anche perché si trattava di un sito militare.
Secondo voi il problema di possibili discariche o siti equiparabili a discariche esistenti in ambiente militare si presenta anche altrove? Richiede interventi di carattere legislativo oppure è semplicemente necessario procedere con attenzione sulla base delle leggi già esistenti?
STEFANO LENZI, Responsabile dell'ufficio istituzionale e legislativo del WWF Italia. A mio giudizio basta intervenire sulla base delle leggi già esistenti. L'autorità militare non ha diritto di extraterritorialità rispetto alla normativa nazionale. Immagino che si sia trattato di un sequestro cautelativo, e va verificato dalla magistratura se esistano o meno contaminazioni.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Lenzi per la sua esposizione e per la corposa documentazione che ha lasciato alla Commissione, che sarà per noi oggetto di ulteriore valutazione. Come ha ben colto, la nostra è una riflessione che parte dall'articolo 14 e che ovviamente è tesa in nuce ad una significativa revisione di tale articolo. In questo senso ci stiamo adoperando, attivando una procedura di verifica dello stato dell'arte e di confronto con ciò che accade sul piano europeo, per offrire alla Camera ed al Senato un'iniziativa coerente. Grazie e buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.
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