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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla efficienza organizzativa e finanziaria del sistema previdenziale pubblico e privato, l'audizione del professor Alberto Brambilla, sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, che ringrazio per la sua presenza.
Ricordo che il duplice fine di questa indagine è, da un lato, quello di verificare la sostenibilità finanziaria di medio e lungo periodo delle casse privatizzate, al fine di valutarne l'equilibrio delle gestioni; dall'altro, quello di effettuare una valutazione complessiva sul funzionamento degli enti previdenziali pubblici e, in tale ottica, una verifica sull'attuale sistema duale di gestione degli enti stessi, che prevede una separazione tra i compiti propriamente gestionali e le funzioni di indirizzo e vigilanza.
Prima di dare la parola al sottosegretario Brambilla, avverto che quella odierna è l'audizione conclusiva dell'indagine conoscitiva. Il Governo sta discutendo temi che abbiamo dibattuto e approfondito per un lungo periodo di tempo. La discussione in Commissione è stata incentrata in particolare su due argomenti. Il primo riguarda gli enti pubblici: la verifica sulla validità o meno, a dieci anni dall'istituzione, del sistema duale con tutti i problemi che sono emersi, sia dal punto di vista dell'efficienza, sia dal punto di vista del costo del sistema, sia per altri due aspetti, evidenziati dai rappresentanti degli enti e dai sindacati, relativi alla pletoricità degli organi di gestione e di governo degli enti.
Ricordo che per ogni ente operano una serie di organi: il consiglio di amministrazione, il presidente del consiglio di amministrazione, il direttore, il CIV, il presidente del CIV - che pur non essendo previsto come organo autonomo, funziona autonomamente - e i revisori. La presenza di cinque organi ovviamente crea una serie di problemi. In particolare, nel caso dell'INPS è emerso un sistema di comitati che conta addirittura quasi settemila persone. Anche su sollecitazione della Commissione, il Consiglio e il CIV hanno avviato una riflessione volta al ridimensionamento e alla ridefinizione dei compiti degli organi, che in certi casi non svolgono più alcuna funzione.
Un altro problema evidenziato da parte dei sindacati riguarda la capacità sanzionatoria. Alcuni organi, come i CIV, stabiliscono delle linee di indirizzo, ma poi non hanno alcuna capacità di far rispettare tali
linee, che rimangono mere enunciazioni di principio. Nel contempo, nella gestione dell'ente manca una governance forte: talvolta i poteri del presidente, del direttore e del Consiglio si sovrappongono e spesso ognuno agisce per conto proprio, senza alcun coordinamento. Da ciò sono derivate difficoltà che in alcuni enti, ad esempio l'INAIL, hanno prodotto situazioni di fortissimo contrasto fra i vari organi, CIV e direttore, direttore e Consiglio, direttore e presidente.
Da parte di tutti, anche delle parti sociali, è stata manifestata la disponibilità a rivedere il sistema. Tutte le parti politiche però hanno evidenziato, anche in Commissione, come oggi non sia possibile pensare all'esclusione delle parti sociali. Capisco che siamo ormai alla fine della legislatura; la delega è scaduta e non abbiamo più i tempi per intervenire. Occorre tuttavia lasciare una traccia forte del lavoro svolto, frutto dell'indagine da noi compiuta e delle considerazioni che esprimerà oggi il Governo, perché dovrà esserci un intervento, a detta di tutti necessario, se non indispensabile, che riguarderà anche l'attività delle prossime legislature. È sufficiente ricordare la dichiarazione del presidente dell'INPS, Sassi, che nell'introdurre il suo intervento disse testualmente: «il sistema duale, se funziona, funziona per caso». Già questa forte dichiarazione deve indurci a riflettere.
Il secondo argomento in discussione è legato alle casse privatizzate. Abbiamo posto fortemente l'attenzione sulla sostenibilità di medio e di lungo periodo. Nel breve periodo, che coincide con i 15 anni previsti dalla legge, le casse sono floride: non hanno nessun tipo di problema. Il problema nasce se ci proiettiamo nei prossimi 30-40 anni. Esponenti del mondo accademico hanno sostenuto, per esempio, che già nel 2030 potrebbero vedersi azzerati i saldi previdenziali di alcune casse, con grave rischio, specialmente per le giovani generazioni. Considero quindi un dovere da parte nostra affrontare il discorso anche in funzione della salvaguardia degli interessi dei giovani che si affacciano alla vita professionale.
È stata inoltre sottolineata la necessità di riforme strutturali per salvaguardare l'equilibrio dei conti e l'adeguatezza delle pensioni. Ci preme conoscere la posizione del Governo su questi argomenti, che abbiamo ampiamente dibattuto.
Durante il dibattito sono emersi altri due temi, oltre a quelli principalmente richiamati nell'indagine. Il primo riguarda il sistema dei controlli. Il sistema attuale è talmente complesso che alla fine non sappiamo se funzioni nella maniera giusta: la Corte dei conti, i revisori, la Commissione, il nucleo di valutazione - guidato dal sottosegretario qui presente, che potrà fornire indicazioni più precise - e i ministeri controllanti. Anche in questo caso siamo dinanzi ad una pletoricità di organi che tuttavia non riescono a soddisfare realmente le esigenze di controllo degli enti stessi.
Il secondo tema riguarda l'autonomia degli enti, riferita sia al sistema pubblico che a quello privato. Per quanto riguarda il sistema pubblico, ricordo che si è discusso di alcune circolari emanate dal ministero e del problema dell'INAIL, relativo all'utilizzo dei fondi per la realizzazione di opere a carattere sanitario o di interesse pubblico; per quanto riguarda i privati, si è discusso del problema dei rappresentanti negli organi di gestione.
Queste sono le problematiche emerse nel corso della discussione. Credo di aver delineato un quadro sufficientemente esauriente dei vari aspetti affrontati, anche per dare la possibilità al sottosegretario di inquadrare meglio il suo intervento.
Do quindi la parola al sottosegretario Brambilla.
ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Procederò nell'illustrazione per spunti tematici.
Innanzitutto, vorrei presentare le dimensioni del problema per inquadrare il sistema previdenziale italiano. Fatto cento il sistema previdenziale, l'INPS copre l'81 per cento degli iscritti e circa l'83 per cento dei pensionati. L'INPDAP, l'ente dei dipendenti pubblici, ha un 13,5 per cento
sia di iscritti sia di pensionati; l'ENPALS l'1 per cento degli iscritti e lo 0,3 per cento dei pensionati; l'IPOST copre rispettivamente lo 0,7 e lo 0,6 per cento. Il totale delle casse privatizzate, che sono circa venti, copre il 3,7 per cento degli iscritti e l'1,3 per cento dei pensionati. Ovviamente le cifre sono più o meno analoghe se rapportate in percentuale alle entrate contributive o alle uscite per prestazioni.
Mi sono soffermato su questi dati solo per dare un'idea della dimensione e per poter valutare in termini gestionali l'entità riferita ai singoli enti. Per esempio, a suo tempo ci fu il problema dello SCAU, piuttosto che dell'INPDAI. Sembravano problemi insormontabili; qualcuno sosteneva addirittura che se li avessimo fatti confluire nell'INPS l'intero sistema sarebbe diventato ingovernabile. Probabilmente, se facessimo confluire nell'INPS l'IPSEMA - che erogando prestazioni non di natura previdenziale ma di natura assistenziale e di malattia dovrebbe stare precisamente per metà nell'INPS (per quanto riguarda la malattia) e per metà nell'INAIL (per quanto riguarda il sistema di protezione contro gli infortuni) - l'aggravio di lavoro sarebbe veramente modesto e in percentuali vicine alle zero.
Il secondo tema riguarda le contribuzioni. Il sistema è abbastanza frammentato e ancora oggi, dopo la legge n. 88 del 1989, non dispone di un metodo di contabilizzazione tale da identificare le prestazioni di natura previdenziale rispetto a quelle di natura assistenziale. Non è un gioco di parole e non è un tema che può essere invocato da una parte o dall'altra per difendere una posizione piuttosto che un'altra. Si tratta di un tema legato alla stabilità. Con le riforme degli anni novanta e con l'ultima riforma che a partire dal 1o gennaio 2008 fisserà il limite pensionistico a 60 anni, stiamo raggiungendo i livelli a cui l'Europa era già arrivata nel 1993, quando noi avevamo appena cominciato a mettere in piedi la riforma. I conti del settore della previdenza sono sostanzialmente sotto controllo, anche se soffrono ancora per la mancata introduzione del calcolo contributivo pro-rata: i tempi di transizione sono abbastanza elevati. Tuttavia, dopo il 2030 il nostro sistema pensionistico starà certamente molto meglio e in Europa passerà dall'ultimo posto a una posizione di mezzo. Addirittura nel 2045 avremo uno dei sistemi più efficienti d'Europa, in base ai test svolti nel gennaio di quest'anno dal Fondo monetario internazionale.
Per quanto riguarda l'assetto assistenziale, il problema diventa duplice. Innanzitutto, occorre assolutamente tenere sotto controllo la spesa assistenziale, che è molto più difficile da monitorare rispetto a quella previdenziale. Per la previdenza è sufficiente aumentare un contributo o un requisito di anzianità contributiva o di età, mentre per l'assistenza è difficile stabilire a chi debba andare. Su 5 milioni e mezzo di pensioni di vecchiaia, oltre il 55 per cento sono integrate al minimo. Ciò significa che queste persone a 65 anni, alla fine della carriera lavorativa, non sono riuscite a mettere insieme contributi pari a 15 anni continuativi. Vi è poi il raddoppio delle pensioni di invalidità, che costano al sistema oltre 11 miliardi di euro, cifra certamente di non poco conto. Dunque, l'assistenza va tenuta sotto controllo.
A questo proposito, ho già avuto modo di dire che, sia come studioso della materia sia come membro del Governo, non sono d'accordo con le statistiche realizzate dal Ministero dell'economia e dall'ISTAT, inviate a Eurostat. Considero semplicemente autolesionistico comunicare all'Europa che il 70 o 71 per cento della spesa sociale complessiva per il welfare è dovuto alle pensioni, mentre zero è dovuto alla famiglia, zero alla casa e pochissimo all'assistenza contro l'inoccupazione o l'indigenza. Così facendo diamo una immagine distorta e non vera del nostro sistema. Ovviamente, leggendo questi dati, la Comunità europea sostiene che il sistema previdenziale italiano deve essere riformato: non è possibile che 70 euro su 100 siano spesi solo per le pensioni. Questo modo di operare la classificazione tra assistenza e previdenza è ormai superato. Lascio alla Commissione due mie pubblicazioni - l'una realizzata per il CNEL,
l'altra concernente la regionalizzazione del bilancio dello Stato - dalle quali, secondo una classificazione più opportuna, si evince che spendiamo più di 1,2 punti percentuali per la casa, mentre l'anno scorso abbiamo dichiarato a Eurostat che spendiamo zero. Non è possibile far rientrare gli assegni familiari all'interno del sistema pensionistico, solo perché sono pagati dall'INPS.
Veniamo ora al sistema previdenziale pubblico che, soffrendo di alcuni problemi essenziali, non riesce a raggiungere gli obiettivi prioritari. Il presidente ha già presentato una disamina estremamente precisa e condivisibile del lavoro svolto.
Uno dei problemi di cui tale sistema soffre riguarda le sedi e la logistica territoriale. Il nostro paese dovrebbe fare economia, invece il Ministero del lavoro, l'INPS, l'INPDAP e l'INAIL hanno una sede in ogni provincia; altri enti, se non ne hanno una in ogni provincia, poco ci manca. La creazione di uno sportello unico, a mio avviso, sarebbe un'ipotesi da prendere in considerazione. Ho suggerito anche una soluzione diversa; ma alcuni presidenti di enti o di CIV hanno ragione nel dire che nell'ultima cartolarizzazione è stato svolto un lavoro non propriamente industriale. Il lavoro da noi suggerito al Ministero dell'economia consisteva nell'individuare all'interno di ogni ente la sede più grande, la migliore, in modo da preparare un progetto, che a me sta molto a cuore, che è un'iniziativa del nostro Governo e che speriamo possa vedere la luce: si tratta di una «casa» contenente tutti i servizi che lo Stato offre ai cittadini sotto il profilo previdenziale e assistenziale.
L'esperimento doveva partire a Milano, con il grattacielo di via Melchiorre Gioia; purtroppo il sito è pieno di amianto e già da due anni stiamo aspettando che venga bonificato. In base al nostro progetto, i piani superiori del grattacielo avrebbero dovuto ospitare il Ministero del lavoro, con i dipartimenti di controllo, l'ispettorato e tutti gli enti. Era previsto inoltre uno sportello unificato presso il quale, ad esempio, un datore di lavoro potrebbe fare le iscrizioni, senza doversi recare alla Camera di commercio. Stiamo traslando a un ente che non fa parte dell'organizzazione dello Stato e stiamo privatizzando una funzione che, secondo me, dovrebbe rimanere in capo agli enti pubblici. Faccio notare che il titolare di un'azienda non deve andare alla Camera di commercio, ma quando si reca presso una sede INPS per presentare la dichiarazione, ad esempio perché apre un'attività, assume dei dipendenti e li assicura sotto il profilo previdenziale, assistenziale e degli infortuni, automaticamente la sua azienda viene censita anche come realtà territoriale e produttiva. In realtà avviene il contrario: prima l'attività territoriale, con l'inserzione alla Camera di commercio, e poi la comunicazione all'INPS. Questo è un sistema di fare privatizzazione distorto, come distorto è il sistema degli enti bilaterali.
L'intento era quindi di creare un sistema delle sedi unificate territoriali; lasciamo questo piano a chi verrà dopo di noi, nella speranza che la situazione si sistemi e che questa «casa» unica possa diventare uno sportello più efficiente per tutti.
Come dicevamo, gli enti hanno un'organizzazione esterna poco efficiente, come anche l'organizzazione interna. Al momento non vi è alcuna organizzazione complessa (banca, assicurazione) che abbia al suo interno 20-25 direzioni generali. In base ad un processo di divisionalizzazione, l'INPS avrebbe non più di 5 divisioni: quella delle entrate, quella delle uscite, quella del bilancio, quella dei casellari e quella della pianificazione delle risorse. Con troppe direzioni generali il sistema è ingestibile per il consiglio di amministrazione e il direttore generale. Sarebbe come se una grande banca avesse 20 direzioni generali: non si capirebbe più niente.
Faccio onore e omaggio - come sempre - al presidente Gianni Billia, che per me è stato uno dei più grandi presidenti dell'INPS e di altri enti previdenziali. Nel 1997 abbiamo introdotto una grande riforma, una divisionalizzazione, e mi spiace che il presidente successivo abbia letteralmente
favorito una proliferazione di dirigenti generali, passati da 8 a 32 circa (non avevamo nominato noi il professor Paci).
Per quanto riguarda l'informatica e le sinergie, non ha senso che gli enti previdenziali spendano grandi somme per software e programmi. Tutti parlano di due cose eguali e identiche per ogni ente: i contributi che devono essere versati e le prestazioni che devono essere pagate. Mi risulta che molti enti stiano spendendo parecchie centinaia di migliaia di euro per questi programmi. Ha poco senso che ognuno definisca i propri programmi, quando prima o poi questi programmi dovranno comunicare tra di loro.
Ieri, in Commissione bilancio al Senato, si parlava di totalizzazione e ci chiedevano come mai vi siano ancora oggi solo delle stime: ormai alla fine del 2005, in Italia manca un sistema di rilevazione - l'ISTAT è lontano anni luce - delle forze di lavoro attive. Non sappiamo esattamente in quanti lavorano, in quanti contribuiscono e quanti sono i silenti. Posso affermare che il problema dei silenti potrebbe determinare anche un miglioramento dei conti previdenziali: il rapporto spesa pensionistica-PIL potrebbe ridursi addirittura di mezzo punto - cifra non irrilevante -.
ANTONINO LO PRESTI. Per «silenti» cosa intende?
ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Si tratta di persone che di fatto sono iscritte ad una delle gestioni previdenziali, ma che o non contribuiscono in quel momento o contribuiscono ad un'altra cassa e non a quella che li aveva in carico, e che non hanno ancora formalizzato la richiesta di pensione. Occorre assolutamente modificare questi schemi.
Gli organi sono troppi e i controlli sono ancora di più. L'efficienza non si raggiunge con un eccessivo dilatarsi degli organi di amministrazione e di controllo. L'obiettivo degli enti dovrebbe essere quello di raggiungere il rapporto più diretto possibile con il cittadino. Per sintetizzare, il cittadino e l'azienda dovrebbero vedere l'ente previdenziale non come un ente esattore che perseguita il soggetto che non versa i contributi, ma come colui che lo assiste nel costruirsi un percorso, un nastro contributivo che, in età matura, gli darà una pensione dignitosa.
Nel 1991 l'INPS aveva meno di 100 sedi, prevalentemente nei capoluoghi di regione e di provincia, e decentrava ai patronati sindacali poco meno del 30 per cento del lavoro. Stando agli ultimi dati, nel 2002-2003 l'INPS ha quasi 500 sedi; ha speso mediamente fra i 200 e i 500 miliardi di vecchie lire all'anno in informatica; ha decentrato ai patronati sindacali oltre il 44 per cento del lavoro. È un paradosso che un'azienda che aumenta il numero degli sportelli, delle fabbriche e degli occupati e che compra macchine elettroniche svolga il 50 per cento di lavoro in meno rispetto al passato. È vero, sono state aggiunte molte funzioni all'istituto; ma è altrettanto vero che nel 1991 molti processi erano di caricamento dei manuali, mentre nel 1998, dopo l'era dell'informatica di Billia e l'avvento dei robot, database di gestione (cassette, dischi, nastri) tutto era computerizzato e digitalizzato.
Dobbiamo ripristinare attraverso la logistica un rapporto diretto e non intermediato da altre realtà. Non ce l'ho né con i patronati sindacali, né con i CAAF, ma ognuno deve fare il proprio mestiere: sarebbe come se una banca aprisse tanti sportelli e poi, per prelevare o versare, bisognasse rivolgersi ad un ente terzo. Questo ovviamente vanifica i tempi e la rapidità della risposta: più passaggi significano più errori e quindi tempi più lunghi.
Alla luce di questi obiettivi, tra i programmi che abbiamo messo in cantiere in questa legislatura vi è il completamento del casellario dei pensionati. Finalmente dal 1994, anno in cui abbiamo dato grande impulso al casellario, sappiamo quanti sono i pensionati in questo paese e quante sono le pensioni. Possiamo dire che ogni pensionato ha 1,33 pensioni; sappiamo che oltre 5,5 milioni di pensionati hanno da 2 a 7 pensioni e soprattutto sappiamo che la
stragrande maggioranza di questi pluripensionati - che ovviamente non sono multimiliardari, ma che comunque percepiscono dei redditi - non compilava il modello 730 o il modello di dichiarazione.
Oggi, con il casellario dei pensionati, questi signori ricevono la pensione puntualmente il primo del mese; i pluripensionati dell'INPS ricevono la pensione con il mandato di pagamento unico; infine, hanno il carico fiscale corretto, in quanto viene loro applicata l'aliquota marginale. Personalmente ho dato disposizioni per il completamento del casellario del pensionato, che sfocia nel cosiddetto mandato di pagamento unico. È la terza volta che presentiamo questa proposta all'interno di un provvedimento legislativo. La Ragioneria generale dello Stato l'ha cassata per tre volte e francamente nessuno studioso, né di sinistra né di destra, riesce a capire perché il mandato unico di pagamento costi. Poi abbiamo capito che la Ragioneria aveva pensato che con il mandato unico di pagamento l'INPS pagasse le pensioni dell'IPOST il primo giorno del mese anziché il sedicesimo e quelle dell'INPDAP il primo giorno del mese anziché il ventesimo; quindi aveva fatto un enorme conto di oneri passivi. Francamente non riuscivamo a capire, e non si capisce tuttora, perché la Ragioneria ostacoli provvedimenti del genere. Comunque speriamo di presentare la proposta definitiva sul mandato di pagamento unico proprio in questi giorni in Commissione lavoro alla Camera.
Pensiamo anche di presentare il cosiddetto progetto 730 RED, per evitare che 9 milioni di pensionati debbano fare la «transumanza» proprio tra ottobre e gennaio-febbraio, nei mesi più freddi dell'anno, per presentare la domanda per le prestazioni collegate al reddito, senza rivolgersi non già a uno sportello pubblico - l'INPS piuttosto che un altro ente - ma solo ed esclusivamente ai CAAF sindacali. Intanto, faccio presente che vi sono 9 milioni di prestazioni correlate al reddito, su una popolazione di 57 milioni di abitanti. Non si tratta più dell'emergenza fisiologica di una popolazione che va assistita, perché lo Stato ha il dovere di assistere coloro i quali vivono nell'indigenza.
Fortunatamente, non trovandoci in Africa, ci attestiamo su parametri fisiologici europei che oscillano tra il 3 e il 5 per cento della popolazione. Comunque, a questi 9 milioni vanno aggiunti altri 4 milioni di invalidi e 500 mila pensionati di guerra. Se escludiamo i bambini e i neonati, quindi, la percentuale di popolazione da assistere diventa alta; quando sento qualcuno della mia parte politica che si vanta perché ben 22-23 milioni di abitanti del nostro paese non pagano le tasse, ho qualche preoccupazione.
Vi faccio notare che se una metà paga e l'altra no, è difficile fare Stato sociale. Del resto, se la metà non paga, qualcuno dell'altra metà probabilmente penserà di non pagare. Si tratta di un sistema folle di rincorsa al consenso: sparare le cifre su chi paga meno. È un modello non solidaristico, non efficiente, non etico e, per chi è cristiano, poco cristiano.
La proposta del 730 RED sarà inserita in questo pacchetto e consentirà all'ente di dialogare direttamente con il fruitore delle prestazioni previdenziali e di instaurare un rapporto diretto. Inoltre, abbiamo varato la riforma del casellario degli attivi, che ci consentirà di disporre il numero preciso degli attivi e dei silenti. Infine, si è varato il testo unico. Abbiamo una quantità enorme di leggi, che produce circa 400 mila cause di contenzioso all'anno, molte delle quali riguardano gli inquadramenti merceologici e le cosiddette tariffe applicative. Con il testo unico, con il casellario e con alcune semplificazioni pensiamo di poter ridurre questo disastroso contenzioso che costa molto agli istituti.
Esaminata la situazione, gli obiettivi e i programmi, veniamo al sistema duale. Credo che sia stato detto da tutti che il sistema duale è poco efficiente e che va cambiato. Il CIV non è un'assemblea e non rappresenta gli azionisti. È difficile pensare che un organo di questo tipo possa approvare un bilancio, così come è difficile pensare che possano convivere due presidenti.
Come ha detto il presidente Amoruso, è vero che uno dei presidenti non è organo, ma di fatto lo è. È altrettanto difficile pensare che il CIV si scomponga in tantissimi comitati e che operi tutti i giorni con i relativi gettoni di presenza. Come ebbi modo di dire quando ero consigliere di amministrazione, il consiglio di amministrazione è un vaso di coccio tra un grosso e potente CIV - molto forte perché composto dalle parti sociali, che non cambiano, mentre i componenti del consiglio di amministrazione sono soggetti a cambiamento - e una tecnostruttura. Inoltre, la tecnostruttura è maggiormente tributaria del CIV: è quello che resta, e non del Consiglio di amministrazione.
Indubbiamente, va semplificata anche la partitura territoriale. Come sapete, in ogni provincia ci sono comitati per il sommerso, per i lavori dipendenti, comitati di gestione artigiani, commercianti, imprenditori agricoli e via elencando. Esistono poi le cosiddette «gestioni dell'edilizia», che tra l'altro dispongono anche della cassa edile. In totale, solo per l'istituto, vi sono circa 8 mila unità funzionali operanti nei comitati provinciali e regionali, con gettone. Magari i soggetti che vi operano sono in numero minore: una stessa persona può assommare diverse cariche. Purtroppo i comitati regionali e provinciali si duplicano in quanto sono contemplati dall'INPS - che ne ha il numero maggiore -, dall'INAIL e in alcuni casi dall'INPDAP. In questo frangente, ci troviamo dinanzi a una scomposizione. Queste persone hanno tutte un regolare lavoro: appartengono a CGIL, CISL, UIL, Confindustria, Confartigianato, Confcommercio e via dicendo. Insomma, nessuno di loro lo fa a tempo pieno, ma partecipano a più comitati. A mio avviso, va semplificata, e di molto, la struttura territoriale. Probabilmente l'esistenza di un comitato regionale è utile, ma così tanti comitati hanno un costo piuttosto rilevante, quantificabile in svariati milioni di euro.
PRESIDENTE. Circa 10 milioni di euro per l'INPS.
ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Esatto. Inoltre, questi comitati creano delle sconnessioni nell'applicazione delle norme, delle regole.
Occorre, quindi, una rimodulazione del sistema duale. All'epoca feci una proposta che scandalizzò molti: proposi che, attraverso una sua apposita sezione, il CNEL si occupasse di una verifica generale. Nel 1994 sostenevo che in venti anni saremmo arrivati ad avere due o tre enti. All'epoca se ne contavano una ventina; oggi siamo arrivati ad averne cinque. Penso che tra dieci anni avremo un ente che gestirà le assicurazioni sociali (l'INPS) e un ente che gestirà le assicurazioni contro gli infortuni (l'INAIL con altri accorpamenti).
In questa fase di transizione potrebbe essere utile un CIV unificato, che raccolga e operi tra tutti gli enti e che potrebbe costituire un grande vantaggio per le parti sociali e per coloro che rappresentano gli utenti. Preciso che li rappresentano in parte: non sono azionisti, in quanto due terzi della spesa è sostenuta da contributi e oltre un terzo viene messo dallo Stato; quindi, oltre un terzo dell'assemblea dovrebbe essere nominato dal Governo in carica. Al di là di questo, un CIV unificato potrebbe favorire l'unificazione delle sedi, dei programmi informatici, le sinergie all'interno dell'istituto e l'armonizzazione delle regole, dando risultati veramente positivi.
Il secondo punto riguarda le casse privatizzate, che sono venti e hanno sostanzialmente un problema. Come ho avuto modo di dire nel mio ultimo libro, si tratta di un esperimento che va visto in maniera molto positiva: le casse sono riuscite a svolgere un grande lavoro. Tuttavia, presentano un problema di stabilità e di sostenibilità finanziaria. Come da vostra richiesta, ho esaminato tutti i bilanci attuariali ed ho notato che si fermano tutti tra il 2025 e il 2030. Si tratta di un dato estremamente positivo rispetto al passato, ma il problema è che se un giovane avvocato, che si iscrive il 1o gennaio 2006, arriverà a quaranta anni di anzianità contributiva, finirà la sua carriera e accederà
alla pensione nel 2046; se nel 2030 la cassa non avrà più un quattrino, il problema si farà piuttosto rilevante.
Come rappresentante del Ministero del lavoro ho posto il problema della sostenibilità finanziaria di medio e di lungo termine a tutte le casse. La sostenibilità si ottiene inevitabilmente con un passaggio al metodo contributivo, pro-rata o altro. Per ogni singola cassa abbiamo calcolato le prestazioni con il metodo contributivo e con quello attualmente in uso, in base ai contributi versati. La differenza è veramente enorme: con il metodo contributivo si ottiene una pensione dal valore 100; con il metodo retributivo attuale si va da un minimo di 250 a un massimo di 400. Ciò significa da un lato che la distribuzione delle risorse è realizzata piuttosto male e quindi non è efficiente; dall'altro che si creano forti iniquità intergenerazionali: gli ultimi, i contribuenti che entrano adesso, pagheranno il conto per tutti.
Pertanto, ho invitato ad attuare il passaggio al contributivo e parallelamente ad aumentare la contribuzione soggettiva. Non è pensabile che un lavoratore parasubordinato, un Co.Co.Co o un Co.Co.Pro paghi quasi 18 punti percentuali, mentre un dottore commercialista o un avvocato sia ancora fermo al 10 per cento. Nessun altro paese all'interno dell'OCSE paga solo il 10 per cento di contribuzione. Poiché aumentare i contributi è poco popolare, mi rendo conto della grande difficoltà di coloro che gestiscono le casse, ma sarebbe opportuno un aumento almeno a 18 punti percentuali (dal 10 al 18 per cento) per armonizzare la contribuzione con gli artigiani, i commercianti, gli imprenditori agricoli, i Co.Co.Co, i Co.Co.Pro e così via. Tale questione non è più differibile: il passaggio al metodo contributivo mostrerà la realtà vera delle cose.
Lo stesso accadde quando nel 1995 iniziammo a studiare l'introduzione del metodo contributivo. Nel 1991 gli artigiani e gli autonomi - l'onorevole Carli stava per rassegnare le sue dimissioni - avevano avuto lo stesso metodo di calcolo dei contributi dei lavoratori dipendenti: pagando molto meno della metà, percepivano la stessa pensione. Ciò si verificava anche per i dipendenti pubblici: lavorando per soli 15 anni ottenevano la stessa pensione degli altri contribuenti. Per il privato la situazione non era molto diversa: ci si è accorti che pagando 15 punti percentuali non si poteva prendere il 2 per cento per ogni anno che, moltiplicato per 40, ammontava all'80 per cento della media delle ultime dieci retribuzioni; ci si è resi conto che con il metodo contributivo avrebbero preso la metà. In termini di adeguatezza di prestazioni - per utilizzare un termine europeo - con l'applicazione del metodo contributivo pro-rata questi professionisti dovranno fare il seguente calcolo: se un soggetto dipendente che paga il 33 per cento ha il 65 per cento di tasso di sostituzione, io che pago soltanto il 10, quanto avrò?
Pertanto, la pensione non sarà adeguata. Ciò costituisce un campanello d'allarme non solo per i professionisti, ma anche per lo Stato: nel momento in cui avranno una pensione così bassa, questi soggetti si chiederanno perché lo Stato proceda ad una integrazione al minimo, ma non a loro. Ci saranno dei profili costituzionali da rispettare. Chiunque guiderà le politiche sociali di questo paese dovrà occuparsi, pur nell'ambito dell'autonomia delle casse privatizzate, di questo esperimento che, ripeto, è molto positivo e va salvaguardato: una pluralità di gestione è sempre meglio di una omogeneizzazione. In questi casi, però, devono esseri previsti il passaggio al contributivo e l'adeguatezza delle prestazioni, eventualmente aiutando questi soggetti con un aumento del contributo integrativo dal 2 al 4 per cento, finalizzato anche a prestazioni di natura previdenziale.
Infine, occorre verificare che le spese di funzionamento degli enti siano il più possibile congruenti. Per alcuni enti, francamente, le spese di funzionamento per comitati, commissioni, viaggi, studi e quant'altro sono eccessive, così come sono eccessive alcune spese di assistenza.
La cassa - mi rivolgo in primo luogo all'INPDAP, che è pubblica, ma anche alle casse privatizzate - ha come scopo la
gestione delle pensioni. Tutte le altre opere (l'assistenza, i mutui, le colonie estive per i bambini, le borse di studio, i master) sono molto meritorie, ma vengono dopo la funzione principale: generare forme di previdenza.
Abbiamo previsto due progetti. Il primo è l'armonizzazione fiscale: non è giusto che le casse abbiano una doppia tassazione, per cui vengono tassati i proventi di gestione mobiliare e immobiliare e poi anche le prestazioni. Questo è l'unico paese in cui le casse di previdenza sono soggette a doppia tassazione; non siamo ancora riusciti ad eliminarla, ma speriamo di cominciare a creare un solco all'interno del quale queste casse possano trovare un'equiparazione fiscale, per esempio con i fondi pensione.
Se si passasse al metodo contributivo, se si realizzassero questi spostamenti e queste efficienze, sarebbe logico che il contributo per altre operatività del professionista - che al momento, salvo che per la cassa dei dottori commercialisti, deve essere versato all'INPS - venisse attratto dalla cassa, in modo che i professionisti abbiano una posizione unica e non più spezzettata. Stiamo effettuando un primo esperimento, dando il via alla fusione tra la cassa dei ragionieri e la cassa dei dottori commercialisti.
Ovviamente, alcune casse hanno una grande platea e sono molto numerose, mentre altre sono molto piccole. Con questo non intendo dire che le piccole debbano essere soppresse, ma certamente gestire la previdenza per una platea di 8, 12 o 13 mila persone è molto più complicato e poco efficiente, rispetto alla gestione di platee maggiori. Quindi è stata prevista anche la possibilità di accorpamenti tra le diverse gestioni.
PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Brambilla per la sua ampia e interessantissima relazione, che offre tanti argomenti e spunti di valutazione, nonché per le pubblicazioni forniteci, che diventeranno parte integrante dei lavori di questa Commissione. Ad esempio, per quanto riguarda la differenza tra spesa previdenziale e spesa assistenziale, anche noi abbiamo svolto un approfondimento negli anni passati, dando luogo a una pubblicazione in cui intervenivamo nella stessa direzione sottolineata dal sottosegretario. Anche per quanto concerne l'unificazione delle sedi previdenziali, come Commissione abbiamo indicato da tempo un percorso che porti in questa direzione ed uno sportello unico del welfare sarebbe la soluzione più idonea.
Questa Commissione si occupa di previdenza e quindi, per quanto di sua competenza, degli enti previdenziali. Conseguentemente, negli anni è stato affrontato anche il problema riguardante la verifica che il CNEL doveva effettuare. La Commissione lascerà del materiale interessante per chi, nella prospettiva futura, dovrà definire e risolvere questi problemi.
Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire.
LINO DUILIO. Ringrazio anch'io il sottosegretario, che non da oggi riscuote la nostra stima sul piano intellettuale e culturale, in materia previdenziale e non solo. Vorrei fare delle brevi premesse e porre alcune domande.
Affronto rapidamente le premesse, che sono di carattere un po' più politico. Mi permetto di dire al sottosegretario, spero simpaticamente, che la profondità delle sue riflessioni da «cultore della materia» non mi pare vada sempre d'accordo con le sue responsabilità oggettive di tipo politico, almeno per quanto attiene ai fatti accaduti in questa legislatura. Condivido molte delle osservazioni espresse ed anzi, per alcune di esse, sempre simpaticamente, mi permetto di suggerire al sottosegretario la partecipazione all'avventura del centrosinistra. Mi riferisco in particolare alle cose dette in materia di evasione fiscale, che immagino richiamino una serie di conseguenze strumentali, tra le quali l'eliminazione delle norme in materia di falso in bilancio, che sono state introdotte dal Governo di centrodestra. Le ricordo, signor sottosegretario, che siamo alla fine della legislatura: mancano solo due o tre mesi. Tutte le problematiche che lei ha
ricordato e che richiedevano interventi molto precisi - potrei citare emblematicamente il problema del sistema duale, su cui anche lei ha svolto delle considerazioni che noi abbiamo sviluppato ampiamente e in diverse occasioni - non hanno ancora visto da parte del Governo una proposta precisa e concreta, che ci consentisse la condivisione o la contrapposizione e in ogni caso l'assunzione di una responsabilità rispetto alle decisioni da prendere. Sempre rimanendo sul piano culturale, lei mi insegna che la politica è decisione e non solamente riflessione culturale.
Condivido, dunque, molte delle sue osservazioni, ma le lascerei a futura memoria, per i cultori della materia. Al Governo è richiesto di assumere le decisioni sulle cose da fare e non mi pare che questo sia accaduto, immagino con un po' di amarezza anche da parte sua.
Passando ad altro, come dice il Vangelo «chi è senza peccato scagli la prima pietra»: mi riferisco ad alcune sue battute, riprese dal collega Lo Presti. In particolare, mi rifaccio alla problematica «occupazionale» - per definirla ironicamente - di una serie di figure, soprattutto di natura sindacale, che caratterizzerebbero la composizione di organi pletorici e inutili.
Per quanto mi riguarda, condivido molte delle affermazioni fatte; tuttavia, ironie fuori luogo, inviterei ad una riflessione puntuale sulle vicende accadute in materia «occupazionale» in questa legislatura. Suggerirei, in proposito, di andare a verificare alla RAI, nei ministeri e in tanti enti, esprimendo anche un'opinione sulla recente decisione di assumere a tempo indeterminato personale di altissimo livello assunto inizialmente con contratti a termine: penso a collaboratori di uomini politici o personale impegnato nelle istituzioni.
Chiudo qui anche questa parentesi: come dicevo prima, chi è senza peccato scagli la prima pietra, perché anch'io non condivido che si continui su questa strada: per tutti noi, di centrodestra o di centrosinistra, un'operazione di bonifica mentale, culturale e politica potrebbe servire affinché questi episodi non si ripetano in futuro. Le ironie, dunque, non si giustificano: richiamano immediatamente alla mente altre cose identiche che, a loro volta, comportano analoghe ironie. Così facendo impiegheremmo del tempo prezioso per discutere con il sottosegretario sul tema molto interessante dello spoil system spurio che si sta creando nel nostro paese. Ed alla fine, saremmo indotti tristemente a concludere che non abbiamo né lo spoil system all'americana, né l'esaltazione di una pubblica amministrazione autonoma nel senso culturale e continentale del termine che conosciamo.
Lei ha parlato con molta passione e in modo condivisibile dell'opportunità che gli italiani dispongano, diciamo così, di una «casa previdenziale degli italiani» in cui possano beneficiare di prestazioni previdenziali di vario tipo. Ne ha parlato con molta passione, sottolineandone gli aspetti positivi, quasi come se fosse una grande novità. Mi permetto di segnalarle che già l'allora ministro Cirino Pomicino, quasi vent'anni fa, introdusse a livello sperimentale a Milano il discorso degli sportelli polifunzionali o multifunzionali che invitavano istituzioni, tra le quali l'INAIL, ad erogare le prestazioni della Camera di commercio, piuttosto che dell'INPS o di altri enti. Dico ciò non tanto per contestarla, ma per porle la seguente domanda: com'è possibile che cose così banali non si realizzino? Non lo dico in termini moralistici, ma solo perché sarebbe forse più utile sforzarci di indagare sulle cause che determinano questa situazione. Oggi sarebbe già tanto, non dico di costruire una prospettiva ravvicinata della «casa degli italiani» in materia previdenziale, ma almeno di prevedere sportelli multifunzionali o polifunzionali che, con le possibilità interattive di tipo tecnologico che abbiamo a disposizione, evitino al cittadino di dover fare il giro delle «sette chiese» - come si suole dire - ad esempio, per aprire un'azienda.
Rispetto all'attuale condizione degli enti, penso poi che dopo un periodo di commissariamento piuttosto lungo, che non ha fatto onore né al Governo, né alla causa dell'efficienza e dell'efficacia degli
enti stessi, piuttosto che fare riflessioni astratte, attraverso queste interazioni funzionali si sarebbe potuto provare a implementare il tipo di filosofia che lei ha esaltato e che anch'io ritengo sia cosa buona e giusta. La questione dunque è capire come mai alcune cose, tra l'altro banali, non avvengano. Come accade in medicina, per eliminare gli effetti bisogna risalire alle cause e non riesco a capire esattamente quali siano queste cause.
Condivido, inoltre, molte delle sue osservazioni anche relativamente al discorso dei CAAF e dell'INPS più in generale. Mi sono trovato personalmente a sperimentare una situazione del genere, e l'ho trovata assurda ed allucinante. Mi riferisco al fatto che, tempo fa, mi sono dovuto recare all'INPS di Gravellona Toce per questioni pensionistiche relative a mia suocera, che ha più di 90 anni. Il funzionario dell'ente mi ha detto che dovevo consegnare la documentazione non all'INPS ma al CAAF. Gli ho fatto notare che ritenevo assurdo tutto ciò e che avrei lasciato a lui la documentazione, chiedendogli che mi mettesse per iscritto le motivazioni per cui non l'accettava. Alla fine, la vicenda si è conclusa all'italiana: il direttore mi ha ricevuto nel suo ufficio e mi ha detto di non preoccuparmi e di lasciargli la documentazione, perché avrebbero sistemato tutto. Ecco: trovo una simile situazione assurda! Ed anch'io la denuncio per far notare che il problema si può superare prevedendo una pluralità di opportunità che possano ampliare l'offerta dei servizi al cittadino.
Non raccolgo, sul sindacato, le provocazioni che provengono dai colleghi: se scendessimo sul piano della polemica politica, potrei citare con dovizia di particolari molti esempi di disfunzioni che ricadono esclusivamente in questa legislatura. Capisco che ci sia un'avversità ideologica a tutto ciò che, anche solo vagamente, richiami il sindacato, ma rimaniamo al tema.
Intendo dire al sottosegretario, sull'argomento, che la questione polemicamente sollevata sarebbe risolvibile non tanto eliminando il servizio dei CAAF, che molte volte ha una sua utilità, quanto includendolo all'interno di una pluralità di offerte di servizi al cittadino. Il nostro obiettivo, infatti, rimane quello di mettere il cittadino nelle condizioni migliori per poter accedere ai servizi della pubblica amministrazione, anche se si trova nel paese più sperduto d'Italia. La cosa assurda è che l'ente previdenziale dica che non può accettare i documenti ed inviti a rivolgersi al CAAF. Sarebbe più opportuno che se il cittadino vuole recarsi presso l'ente, lo faccia, e se vuole rivolgersi al CAAF, si rivolga al CAAF che, come accade per i patronati, viene pagato in base alle prestazioni che eroga al cittadino. Questo sistema mi sembrerebbe meno ideologico, ma molto più concreto e funzionale, senza bisogno di fare guerre di religione, che, come si dice, sono degne di miglior causa.
Sul capitolo INPS si potrebbero fare molti discorsi. Per concludere questo mio intervento, vorrei affrontare un tema che intrattiene da tempo sia il centrodestra che il centrosinistra: mi riferisco alla crescita della spesa pubblica. Anche sulla base della mia personale esperienza, resto tuttavia dell'idea che nella nostra pubblica amministrazione ci sia la concreta possibilità di realizzare grandi risparmi di spesa, attraverso una serie di interventi che riguardano non solo i compensi dei componenti i diversi organi (CIV, piuttosto che altri organismi, da razionalizzare). Esistono, infatti, questioni molto più serie, sulle quali non mi dilungo. Nel caso dell'INPS potrei citare il presidente Billia, già da lei richiamato: quante volte ci ripeteva che forse era il caso che le consulenze legali dell'INPS dessero una mano a quelle dell'INAIL o viceversa. Il presidente Billia si riferiva in particolare, se ricordo bene, alle consulenze mediche e sosteneva l'opportunità di mettere in rapporto soggetti e funzionari che non sempre sono direttamente proporzionali, come numero, al carico di lavoro presente nelle diversi sedi. Ebbene, considerato che in questo paese è difficile fare un trasferimento di personale dal secondo al terzo piano di una sede - non da Roma a Milano, piuttosto che da Milano a Catania - avviare discorsi di
questo tipo potrebbe forse iniziare a produrre effetti positivi sul piano dell'efficienza e della spesa. Negli enti pubblici, come lei sa, vi sono molti servizi offerti, per usare un termine seducente, in service. Se andassimo a vedere quante sono le consulenze esterne in materia legale o medico-legale in alcuni enti, forse ci si potrebbe domandare se non sia possibile evitare fenomeni di scarsa produttività istituzionalizzata che si registrano in molte situazioni. Concludo qui sull'INPS e sulla pubblica amministrazione più in generale.
Potremmo svolgere ancora molte considerazioni, signor sottosegretario, ma a condizione che esse producano decisioni e proposte. Lei ha fatto, ad esempio, una serie di osservazioni sul sistema duale. Come ho già detto, le abbiamo espresse anche noi come Commissione. Ma qual è la proposta del Governo sul sistema duale? Lei ha affermato che il consiglio di amministrazione è come un vaso di coccio: ebbene, lo si vuole eliminare? Posso aggiungere che il ruolo di presidente degli enti di previdenza non ha senso, nel momento in cui c'è un consiglio a cui è affidata la funzione di indirizzo e vigilanza. Vogliamo eliminare la figura del presidente? Non è questa la sede opportuna per discuterne, ma temo che arriveremo alla fine della legislatura con molte riflessioni che vanno bene per gli studiosi, per pubblicare qualche articolo, ma senza aver prodotto alcuna conseguenza all'interno di questa realtà che - conveniamo sia lei che noi - non funziona come dovrebbe e come, insieme, vorremmo.
Una domanda di carattere molto generale, veramente in conclusione. Signor sottosegretario, il metodo contributivo è stato introdotto dal centrosinistra con la riforma Dini. Ora, come lei ben sa, permangono alcuni problemi. Uno è il cosiddetto «contributo di solidarietà»: non c'è nel sistema introdotto neanche mezzo punto di solidarietà per coloro che non versano: ognuno pensa agli affari suoi! Essendo tutti d'accordo sull'innovazione introdotta, non vorrei però che, dal punto di vista previdenziale, la grande soluzione che abbiamo trovato con il contributivo sia che se un soggetto versa i contributi prende la pensione, se non li versa non la percepisce. Non mi sembrerebbe una soluzione geniale dal punto di vista scientifico. Il cambiamento - certo - è necessario ma sappiamo che non è nemmeno sufficiente: bisogna aggiungere un altro pilastro, ossia la previdenza complementare. Ma sappiamo anche che questa si può fare solo se si hanno i soldi per versare il premio, il che non è sempre possibile perché non tutti dispongono di un reddito sufficiente per accantonare ulteriori risorse.
La mia domanda è la seguente: questo sistema previdenziale, fondamentalmente basato su un versamento contributivo legato alla prestazione di lavoro e al reddito conseguente - visto che lei è uno studioso glielo chiedo seriamente, come studioso - non comporta forse una riflessione, nel senso di dover probabilmente cominciare a pensare a cespiti altri a cui agganciare il discorso della previdenza? Ormai esistono situazioni, come nel caso dell'agricoltura, per cui per ogni lavoratore attivo ve ne sono anche quattro che vanno in pensione. Orbene, considerando la diminuzione dei lavoratori attivi, il trend demografico e l'aumento delle persone che beneficiano delle prestazioni, sono portato a temere che qualunque sistema inventiamo, alla fine esso scricchiolerà sul piano degli equilibri finanziari. E già taluno si spinge a sostenere che il problema si potrà risolvere solo arrivando alla conclusione che ognuno dovrà pensare a farsi la propria pensione. Personalmente non condivido, perché non c'è bisogno dello Stato per fare questo ragionamento: in questo modo, si torna ad un discorso puramente individualistico. Ciò detto, ho l'impressione che continuiamo a girare attorno ad un'impostazione strutturalmente difficile da portare avanti.
ANTONIO PIZZINATO. Desidero ringraziare il sottosegretario Brambilla per la sua esposizione, su cui si potrebbero fare molte considerazioni. Condivido quelle appena espresse dall'onorevole Duilio, quindi
non le ripeterò; vorrei però aggiungerne delle altre.
Quando il sottoscritto, insieme al proprio gruppo, durante la discussione sulla delega previdenziale in Senato, formulò una serie di proposte, il Governo le respinse, considerandole non praticabili. Perché? Lei ha svolto una serie di considerazioni che io avevo già formulato in un documento presentato a conclusione di un'indagine svolta in questa Commissione. Questi documenti sono a disposizione: se non vado errato, sono stati pubblicati. Mi domandavo - lo dico scherzando - se forse il sottosegretario Brambilla le abbia lette e venga qui a ripeterle. La mia proposta risale a tre anni fa: se allora ci fossimo mossi in quella direzione, adesso ne valuteremmo concretamente i risultati. Per quanto riguarda le sedi degli enti, se avessimo esaminato seriamente un'altra proposta formulata durante la discussione degli emendamenti in Senato, non ci troveremmo con il patrimonio di molte sedi venduto, ma avremmo realizzato qualche sperimentazione di unificazione. Anche in questo caso, il Governo di cui lei fa parte e i rappresentanti del ministero nel quale lei opera dall'inizio della legislatura hanno respinto le mie proposte.
Andando più nel concreto, mi domando perché non si sia riusciti a realizzare questo processo. Rinvio alla legislatura 1992-1994, quando si riteneva una follia pensare all'unificazione degli enti pubblici nell'INPDAP. Qualcuno lo propose; faticosamente ci si è arrivati. Perché non si è riusciti a compiere quel passo in avanti in questa legislatura, malgrado avessimo posto il problema con forza? Basta guardare i dati per comparto all'interno dell'INPDAP. Vuole darci lei una spiegazione? L'ho chiesta precedentemente al ministro Siniscalco; l'ho chiesta, sia prima che desse le dimissioni, sia dopo, al ministro Tremonti. Com'è possibile che non si riesca a realizzare il casellario completo perché l'INPDAP non fornisce i dati? Quali sono le cause? Perché i ministeri, compreso il suo, non forniscono questi dati? Non è stata l'opposizione ad impedire il trasferimento dei dati. Potrei raccontare un'esperienza personale, ma vorrei una risposta; il ministro Tremonti in due occasioni e il ministro Siniscalco in un'altra non me l'hanno data. Le sarei molto grato se volesse darci una spiegazione di tutto questo.
Poco fa il collega Duilio ha detto che sono stati commissariati gli enti. Non è stato fatto un salto di qualità, bensì, come affermato durante le audizioni, è stato espanso il nucleo dirigente. Fatta questa premessa, vorrei rivolgerle alcune domande specifiche.
Per quanto riguarda previdenza e assicurazioni pubbliche, lei vorrebbe la realizzazione in tempi minimi di due enti, INPS e INAIL, che abbiano sedi regionali e provinciali uniche, con sportelli unici. C'è ancora qualche mese di tempo e ci sono ancora adempimenti di delega cui provvedere; non sussistendo in questo caso conflitto di interessi, come nel caso del TFR e della previdenza integrativa, abbiamo tempo per introdurre deleghe, in modo da porre le condizioni per avviare questo processo, a patto di essere tutti d'accordo. Se ho ben capito, lei è d'accordo che non debba più accadere quanto si è verificato in questa legislatura: abbiamo assistito a un'interferenza permanente dei ministeri sulle funzioni, sui compiti e sull'autonomia degli enti previdenziali, a partire dalla vendita delle sedi. Come intendiamo affrontare tali questioni? È stato fatto l'esempio dell'IPSEMA; io cito quello dell'ENPALS, un ente che ho cercato di seguire più da vicino. Gli sportivi iscritti sono circa 20 mila: sembra che siano iscritti solo i giocatori di serie A e B, a fronte di milioni di persone! Il punto è che meno di 9 mila sono attivi, due terzi degli iscritti sono silenti. Non si potrebbero accelerare i tempi? Siamo all'assurdo: si sono dovute fare quattro votazioni, tra Camera e Senato. Meno male che al Senato siamo riusciti a trovare l'unità. Si tratta di un ente inadempiente: molti infortunati hanno ottenuto un totale riconoscimento, ma l'ente non provvede a pagare quanto dovuto.
Si è pensato anche di affidare l'assicurazione degli sportivi alla Sportass; ma
l'INAIL è efficiente ed è nelle condizioni di superare queste difficoltà. Perché il Governo si è opposto? Il Governo aveva inserito una norma in un decreto-legge che andava in senso contrario, che faceva a pugni con quanto lei ha affermato, non quattro anni fa, non cinque anni fa, ma nel luglio 2005. Vi è dissonanza tra le sue affermazioni, che per tanta parte sono condivisibili, e il concreto operare, anche dove si riscontrano inefficienza e deficit. Che cosa si pensa di fare, già adesso, con quello che resta delle deleghe, del processo di unificazione, delle sedi e dello sportello unico?
ANTONINO LO PRESTI. Signor presidente, ritengo che dovremmo autoregolamentarci meglio con i tempi di discussione.
PRESIDENTE. Abbiamo ancora tempo a disposizione; in ogni caso, il sottosegretario potrebbe tornare in una successiva seduta per una eventuale integrazione.
ANTONIO PIZZINATO. Passo alla seconda questione. A chi straparla non sapendo di cosa (perché non ha studiato, non ha pensato e non ha un approccio) faccio notare che il movimento sindacale, unitariamente inteso, è stato la forza che ha determinato le condizioni per la costruzione di un sistema previdenziale nel nostro paese, oltre un secolo fa. Se oggi abbiamo un sistema duale e i presidenti degli enti previdenziali non sono ex dirigenti sindacali, lo si deve ad una proposta avanzata da CGIL, CISL e UIL al Governo, di superare la gestione precedente, compiendo un salto, compresa la prima tappa della riforma previdenziale.
Il punto è - anche su questo abbiamo formulato proposte sin dall'inizio della legislatura - come andare ad una gestione efficiente, sapendo che vi sono due funzioni: gli azionisti, coloro che pagano i contributi, i lavoratori e gli imprenditori che versano. Senza questi la previdenza e la prevenzione non avrebbero alcuna efficienza. Come distinguere la gestione, affidandola ad un solo organo, dalle politiche di indirizzo? La normativa prevede che in una società per azioni l'assemblea degli azionisti decida gli orientamenti e affidi la gestione al consiglio di amministrazione. Il direttore generale non è un ente, non è un altro organo in una società per azioni, né lo sono il revisore dei conti e il collegio sindacale, che si occupano della contabilità.
Mi sembra di aver capito, sottosegretario Brambilla, che secondo lei è necessaria una semplificazione. Ma semplificazione vuol dire distinguere tra funzioni di indirizzo e di controllo, che spettano agli azionisti, cioè ai lavoratori e alle imprese, e al consiglio di amministrazione, che non deve essere suddiviso in organi (il presidente, il consiglio, il direttore generale), ma deve raggrupparli in uno solo, con funzioni di gestione e di rapporto sinergico con l'altro ente. Un CIV unico non può assolvere questa funzione: il compito dell'istituto di provvedere all'assicurazione e alla prevenzione contro gli infortuni, con un salto di qualità, cioè ponendosi l'obiettivo del recupero e del reinserimento lavorativo, è solo una funzione. La funzione previdenziale è diversa. Abbiamo due CIV, perché abbiamo due enti, e una distinzione di ruoli compiuta, comprese tutte le semplificazioni dal punto di vista del funzionamento amministrativo, sia sul piano centrale sia su quello territoriale. Si può semplificare, ridurre e contemporaneamente definire con precisione i ruoli.
Se si vuole procedere alla semplificazione, non si possono prevedere quattro controlli: quelli del Ministero del bilancio, del Ministero dell'economia, del Ministero del lavoro e della Corte dei conti. Al di là della diversità di opinioni sui CIV, vorrei sapere se lei convenga sulla necessità di operare una distinzione e di semplificare le funzioni, nel senso che al consiglio di amministrazione spettano la gestione e la responsabilità, mentre tutti gli altri organi sono subalterni, come in qualsiasi società per azioni.
Vorrei che avessimo coscienza di questo. Nella mia esperienza non ho mai visto un conflitto come quello che si è determinato nell'ultimo anno all'INAIL. Il direttore
generale è in conflitto con il presidente, con il consiglio d'amministrazione, con il CIV. Ritiene di essere il padrone: è vero, ha un'esperienza di azienda, tuttavia nell'azienda in cui operava a decidere non era lui, ma l'amministratore delegato e il consiglio di amministratore. Eseguiva gli ordini che gli venivano dati, non il contrario. Anche questo è un elemento che va affrontato.
Aggiungo un'altra domanda: il Ministero del lavoro e il sottosegretario Brambilla, che ha competenze e deleghe in questa materia, cosa ritengono che si possa fare già in questa legislatura, anche dal punto di vista normativo - anche se le norme verranno attuate nella prossima legislatura -, utilizzando la delega non ancora scaduta?
L'ultima questione riguarda i CAAF. Come sottolineava l'onorevole Duilio, in presenza di un sistema unificato e se le sedi hanno uno sportello di servizio unico, tanta parte dell'attività dei CAAF può essere svolta direttamente. Com'è spiegabile che si estenda questa funzione agli studi professionali? Nella finanziaria e del decreto fiscale ci si è preoccupati di estendere questa funzione agli studi professionali privati.
PRESIDENTE. È semplice: nel momento in cui esiste una regola, questa deve valere per tutti, non ci deve essere un monopolio.
ANTONIO PIZZINATO. Io non sono per il monopolio, ma se si deve restringere, non capisco perché allargare.
Sono d'accordo con il sottosegretario sui contributi: ognuno deve contribuire per la sua futura pensione e deve essere in regola. Mi chiedo come sia possibile che il Governo o i gruppi parlamentari di maggioranza pensino di introdurre nella finanziaria il condono previdenziale fino al 31 dicembre 2005 per il settore agricolo; l'emendamento, presentato dal relatore e sostenuto da tutta la maggioranza in Senato, è stato poi ritirato nel momento in cui il ministro dell'economia ha presentato il maxiemendamento, ma non vorrei che la Camera lo reintroducesse.
Insomma, si preannuncia il condono prima ancora della scadenza dei termini: «stai tranquillo, non pagare!». Questa è l'ipotesi contenuta nell'emendamento, un condono «preventivo», con il quale si fa capire che se vai a pagare sei un fesso, perché sei già condonato.
ANTONINO LO PRESTI. Ritengo che il sottosegretario Brambilla abbia con molta chiarezza presentato il quadro della previdenza italiana sia pubblica sia privata. In attesa che il professor Brambilla risponda alle obiezioni mosse dai colleghi del centrosinistra, anche da un punto di vista squisitamente tecnico, mi permetto una breve considerazione di carattere politico. Successivamente, porrò una domanda specifica.
La mia considerazione di carattere politico sorge di fronte alle osservazioni ingenerose dei colleghi del centrosinistra che, per la verità, svolgono il loro dovere di opposizione: è giusto che sottolineino o tentino di sottolineare quanto ritengono vi sia di negativo in un'azione svolta dal Governo nel corso del suo mandato. La mia osservazione è troncante, con riguardo all'azione del Governo in campo previdenziale. Mi riferisco al tentativo riuscito da parte del Governo di evitare il collasso generazionale con la riforma previdenziale portata a compimento in questa legislatura, che nemmeno la riforma Dini aveva risolto. Bisognava infatti collocare un altro tassello importante e lo abbiamo collocato noi del centrodestra con questa riforma che - come ha ricordato il sottosegretario Brambilla - l'Europa comincia a invidiarci e che, secondo i tempi previsti da questo tipo di interventi di sistema, ci porrà nel 2030 tra i paesi all'avanguardia e nel 2045 tra i più efficienti. Credo che questo sia il dato politico rilevante che deve essere colto da tutti, a prescindere dalle osservazioni del collega Duilio in merito alle ragioni per cui nel corso di questa legislatura non si è riusciti a risolvere il problema del funzionamento del sistema duale.
Non dobbiamo dimenticare che siamo al Governo da appena cinque anni e in
questo periodo siamo riusciti a delineare un paio di riforme in questo settore che l'Europa ci invidia. Siamo d'accordo sulle altre riforme necessarie e invocate da tutti noi: nessuno può contestare la necessità di intervenire radicalmente per eliminare gli sprechi che il sistema duale ha comportato. Ma al di là delle inefficienze di sistema, si è eccessivamente ingenerosi quando, con censure o richieste di chiarimenti a proposito di quanto non è stato realizzato, non si ricorda quanto in realtà il nuovo modello rappresenterà per il sistema pensionistico italiano: si potranno tentare di risolvere, in una prospettiva di medio tempore, i problemi della previdenza italiana.
È vero anche quanto dice il collega Duilio: bisognerà comunque arrivare a una soluzione ancora più radicale, per cui ciascuno dovrà pagare la propria pensione con propri contributi; in medio tempore questi nodi verranno al pettine. Sicuramente una o più censure sulle riforme non fatte sono fuori luogo se non tengono conto del grande progresso compiuto dal nostro paese nell'ambito del sistema previdenziale grazie a questa maggioranza e a questo Governo.
Senatore Pizzinato, la storia la conosciamo tutti: non venga a dirmi che il sistema previdenziale italiano lo ha inventato il sindacato. Non è così. Evitiamo di dire cose che non hanno nessun riscontro di carattere storico. Il sistema previdenziale italiano è sorto negli anni venti, evidentemente per merito di un regime.
ANTONIO PIZZINATO. L'INPS ha 105 anni.
ANTONINO LO PRESTI. L'INPS ha 105 anni, ma è stato reso efficiente negli anni venti.
Volevo sottolineare come il sistema sia progressivamente degenerato e si sia in qualche modo ingigantito, ammalandosi di elefantiasi, proprio in virtù di una serie di interventi normativi, molto spesso incoerenti, che hanno portato alla situazione attuale, una situazione che ci sorprende e ci fa riflettere.
Chiedo al sottosegretario Brambilla se, quando riterrà opportuno rispondere alle domande poste dai commissari in questa sede, potrà fare un breve excursus storico delle norme che nel tempo hanno costruito il sistema attuale. Sarebbe utile capire cos'è accaduto in questi 105 anni - come dice il senatore Pizzinato - durante i quali il nostro sistema previdenziale si è arricchito di una serie di interventi che probabilmente ne hanno determinato l'elefantiasi che tutti noi oggi contestiamo.
Inoltre, faccio una piccola precisazione a proposito delle casse private. Il sottosegretario ha detto che le casse private coprono il 3 per cento degli iscritti e l'1,6 per cento dei pensionati. Che cosa significa in realtà? Non mi è chiaro.
EMERENZIO BARBIERI. Condivido molte delle osservazioni espresse dal collega Lo Presti e dal collega Duilio. Ritengo esaustiva, interessante e piena di significative affermazioni la relazione del sottosegretario Brambilla. A mio avviso, alcune questioni nodali sono state poste con correttezza e chiarezza. Formulo tuttavia una domanda che vuole suonare un po' critica, non nei confronti del sottosegretario, ma nei confronti del Governo, che lo stesso sottosegretario rappresenta.
Perché alcune delle questioni poste - mi riferisco, ad esempio, al superamento del sistema duale - non hanno trovato un dato di incisività operativa nell'azione di Governo? Ha ragione da questo punto di vista l'onorevole Duilio: il dovere di chi governa è un po' diverso da quello di chi fa il legislatore. In questi anni il Governo avrebbe dovuto e potuto presentare al Parlamento una proposta tendente a trovare una direzione di marcia da seguire. Mi rendo conto che il Governo è una formazione complessa: i rilievi critici del sottosegretario nei confronti del Ministero dell'economia - li abbiamo ascoltati tutti - ne sono una palese testimonianza. Tuttavia, accanto a tutte le azioni positive intraprese dal Governo - che il collega Lo Presti ha fatto bene a rivendicare in termini puntuali e con orgoglio - si sarebbe potuto certamente fare di più. Nella sua
risposta, quando sarà data - non credo ci sarà il tempo per farlo questa mattina -, mi aspetto una chiarificazione della questione.
LINO DUILIO. Io propongo solo l'audizione di uno storico...
PRESIDENTE. Nel dare la parola per la replica al sottosegretario Brambilla - che potrà rispondere tranquillamente ai quesiti posti, perché abbiamo tutto il tempo necessario per concludere l'audizione nella seduta odierna -, vorrei dire che questa è una seduta storica della Commissione: dopo quattro anni di scontri, anche esterni agli interventi, c'è una convergenza di «amorosi sensi» tra l'onorevole Duilio e l'onorevole Barbieri. Non vorrei che si diffondesse anche in questa Commissione un clima da «grosse coalition»!
A prescindere da questa battuta, ribadisco che ci sono i tempi per poter concludere l'audizione oggi. Pertanto, do la parola al sottosegretario Brambilla per la replica.
ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Intanto vi ringrazio tutti: non siamo moltissimi, ma il dibattito è stato sicuramente molto cordiale e civile e denota una grande preparazione sulla materia. Non c'è stato molto da polemizzare fra di noi: i problemi sono noti.
Prima di rispondere alle singole domande, esaminerei il quesito generale che ha aleggiato nel nostro dibattito. Su molti temi si registra una grande convergenza, sono cose abbastanza razionali; perché non si è fatto, o meglio, cosa si è fatto e cosa non si è fatto? Penso che la ragione per cui non si è realizzata l'ultima parte della riforma previdenziale, la riforma degli enti, abbia sia una risposta specifica, relativa alla nostra legislatura, sia una più generica. La risposta generica risale al 1992, quando io ero un giovane scrivano. Già allora si pensava ad una revisione del sistema, che certamente presentava dei grossi problemi.
Per fare un brevissimo excursus storico, mi astengo dal commentare il passaggio dal sistema di conduzione sindacale a quello impostato con il decreto legislativo n. 479 del 1994; posso dire che il sistema era imploso, non soltanto quello dell'INPS. Si era giunti a una degenerazione, che portò al commissariamento di molti di questi Enti. Il mio amico Colombo venne subito precettato come commissario straordinario dell'INPS. Quindi, si corse subito ai ripari con il decreto n. 479 del 1994; poi ci fu il decreto legislativo n. 509 del 1994, che stabilì l'istituzione e la privatizzazione degli enti, che erano pubblici ma riguardavano i liberi professionisti. Insomma, fu un periodo molto disastroso.
Abbiamo lasciato perdere l'ultima parte della riforma perché all'inizio di questa legislatura c'è stata la riforma del mercato del lavoro. Questa non solo rallentò gran parte dell'iniziativa in generale ma, toccando un argomento molto importante per le parti sociali, di fatto bloccò anche la delega previdenziale, che fu presentata a fine del 2001 ma nei fatti è stata ripresa in discussione al Senato soltanto agli inizi del 2004. Poi è seguita la delega, con tutti gli spezzoni di riforma del sistema previdenziale. Anche se so che molti della mia parte politica non sono d'accordo, vorrei osservare che ho sentito qualcuno dire che la riforma Dini è una riforma di sinistra. Io la seguii con il presidente Dini e debbo dire che è stata una riforma bipartisan: il relatore, per esempio, era l'allora presidente della Commissione lavoro della Camera ed era della Lega nord. I correlatori erano dei popolari e dei democratici di sinistra: l'onorevole Laura Pennacchi e lo stesso onorevole Renzo Innocenti furono correlatori della manovra. È stato un grande risultato; se non fosse intervenuta questa riforma, avremmo avuto grandissimi problemi.
Per rispondere a quanto mi stava dicendo l'onorevole Duilio, certamente la riforma presupponeva anche una revisione del sistema dell'assistenza, cioè una separazione tra assistenza e previdenza. Pertanto, i «fortunati» dovrebbero essere la
maggior parte dei cittadini di questo paese e non una metà, altrimenti entriamo nell'antropologia culturale. Anche nei sistemi tribali africani o dell'America centrale la sostenibilità finanziaria di coloro che sono in condizioni disagiate avviene se questa percentuale è sostenibile. Quando arriviamo ad una percentuale del 50 per cento, il vecchio cacciatore africano non riesce più a cacciare per mantenere metà tribù; quindi, la tribù si estingue.
Oggi sono abbastanza fiducioso. Quando parlo dell'impostazione che abbiamo dato tutti assieme, parto sempre dalla grande riforma Amato, che non è certamente della mia parte politica, però fece la prima grande coraggiosa riforma. Seguì poi la riforma Dini che fu bipartisan; l'abbiamo conclusa noi con la riforma del secondo Governo Berlusconi, che pone dei limiti. Ognuno quindi ha portato il suo mattone. Oggi sono fiducioso perché il sistema è molto stabilizzato - a gennaio di quest'anno ero a Washington, al Fondo monetario internazionale - e dà grandi certezze, soprattutto alle giovani generazioni. Oggi mi sento di dire a mio figlio: «versa i contributi sociali». Certo, non mi sarei sentito di dirlo all'alba del 1992. Allora gli avrei suggerito di non versare i contributi sociali: il sistema era in una fase di implosione, di fallimento, per tutte le motivazioni che abbiamo elencato.
Manca il tassello dell'assistenza, però dobbiamo essere molto selettivi. In questo paese abbiamo messo tanti semini, come chi ci ha preceduto, che però non hanno una risultanza immediata. Per esempio, lo schema di collegamento fra Stato, enti pubblici, regioni, province e comuni: oggi non sappiamo quanto spendono per assistenza i comuni, le province, le regioni. Manca un sistema centralizzato di controllo per semplici centri di costi: per un'azienda - ho fatto il consulente aziendale prima di iniziare questo mestiere - per una grande multinazionale, una grande banca o una grande assicurazione sarebbe stato impensabile non avere i centri di costo. Ecco, non sappiamo quanto si spende. Abbiamo effettuato indagini a campione: città come Roma e Milano per il welfare spendono fino a 400-500 milioni di euro, cifre spaventose. Abbiamo svolto un'indagine sugli enti che gestiscono le case popolari, utilizzando la metodologia SESPROS 96 (la metodologia europea di redazione dei bilanci) che prevede che l'intervento a favore delle case sia dato dalla differenza tra gli affitti di mercato e quelli pagati dalle persone che vivono nelle case popolari, le spese di gestione e le spese effettivamente sostenute dai soggetti che vi abitano. La spesa e l'aiuto per la casa viene messo dall'ISTAT in quella casella dichiarata a valore zero. Bene, applicando questa differenza, solo le case popolari comportano una spesa pari a 0,8 punti percentuali di PIL. Considerando anche gli enti pubblici, le province, i comuni, stimiamo che in Italia ci sia addirittura un 2 per cento sul PIL - un punto percentuale di PIL vale 13 miliardi di euro, quindi sono 26 miliardi di euro, circa 52 mila miliardi di vecchie lire - solo di sussidio alla casa, ma manca questo tracciato. Dopo lo studio che abbiamo pubblicato, l'ISTAT ha inserito alcune di queste variabili negli schemi di comunicazione.
Abbiamo ben seminato e si è messa in moto una grande macchina, che non è né di centro, né di sinistra, né di destra, ma aiuta il sistema a capire i fenomeni. Forse è poco valutata dalla politica pura, ma è molto per chi sostiene e verifica questi problemi. Penso che nell'arco di un paio d'anni al massimo questa macchina possa dare una rappresentazione estremamente precisa del quadro funzionale della situazione.
Un'altra novità è costituita dal casellario degli attivi. Il primo rapporto arriverà tra quasi dieci mesi. Quindi, chi gestirà questa amministrazione saprà finalmente quanti sono i lavoratori attivi in questo paese, come noi, del resto, che a distanza di pochi mesi dall'inizio dell'anno e con il casellario, sappiamo esattamente come funziona il sistema pensionistico, il numero dei pensionati, e così via.
Abbiamo messo a punto la Commissione per il testo unico che, peraltro, discendeva da una precedente Commissione,
istituita dalla legge n. 335 del 1995, la riforma Dini. Probabilmente non abbiamo concluso questo processo, ma abbiamo un testo che ha già semplificato moltissime leggi. Sono state quindi poste le basi affinché nel nostro paese si arrivi ad un testo redazionale semplice e leggibile, anche dai lavoratori. Ricordo che un sistema di testo unico potrebbe portarci dal ventiquattresimo posto nella classifica del World Economic Forum sulle libertà economiche a qualche posizione più avanti. Probabilmente di questi miglioramenti usufruirà la futura amministrazione.
Sono stati fatti molti passi avanti. Quest'ultima riforma non è stata portata a termine perché stiamo ancora definendo gli ultimi dettagli: la liberalizzazione dell'età pensionabile, il TFR, la riforma della previdenza complementare. Se volessi essere un po' cinico, non mi scandalizzerei della cosa: è la terza volta che la delega per la riforma degli enti di previdenza scade. Siamo alla terza delega: dal 1994 a oggi, almeno tre Governi differenti hanno avuto una delega. Ho seguito la situazione per almeno due Governi differenti, una volta come membro dell'INPS, un'altra come sottosegretario. Pensai fin da subito a questo problema e nel 1994 pubblicai un paginone su Il Sole 24 Ore sull'unificazione degli enti di previdenza, in cui dissi che questi enti verranno accorpati solo quando saranno pressoché morti. Di fatto è così: quando gli enti sono appena un po' vivi, anche se in anticamera mortis, che siano di centro, di sinistra o di destra, sento tante persone dire: «se unifichiamo gli enti, avremo - posso dirlo fuori dai denti - qualche presidente in meno, qualche direttore generale in meno, qualche posto in meno». Questa è una costante.
Erano dieci anni che lottavamo, quando lo SCAU non ce l'ha proprio fatta più: anziché essere un vantaggio per la pubblica amministrazione era diventato un velo. Quando nel 1997, dopo l'unificazione, andammo nella sede dello SCAU, verificammo che dai cedolini dei conti correnti postali, che erano stampati in rosso con un inchiostro che si scoloriva dopo tre o quattro anni, non si sapeva più neanche chi aveva versato e chi no. I sistemi informatici dell'epoca non erano neppure gli IBM 36, che pure da due generazioni erano già stati superati da altri sistemi operativi. Vi erano sistemi ancora precedenti; nella maggior parte delle sedi non riuscimmo neppure a farli partire. Questo episodio spiega perché l'agricoltura ha avuto problemi: c'era quasi una difficoltà ad incassare i contributi.
Abbiamo quindi unificato alcuni enti: il fondo delle ferrovie e quello dell'INPDAI, che non ce la facevano più, sono stati messi all'interno del «calderone». Debbo dire che l'operazione più costosa è stata la fusione del fondo degli elettrici, che porterà, in termini di vecchie lire, circa 10 mila miliardi di disavanzo nelle casse dell'istituto. L'operazione più disastrosa, che non venne calcolata, fu quella degli autoferrotranvieri: ricordo che nel 2010 un autoferrotranviere avrà un tasso di sostituzione pari al 92 per cento, mentre un lavoratore della Breda siderurgica, che forse ne avrebbe più diritto, a parità di contribuzione, avrà un tasso di sostituzione del 65 per cento.
Il coraggio che è mancato a tutti i Governi, probabilmente anche al nostro - anzi, toglierei il «probabilmente» - è stato la cristallizzazione di questi provvedimenti, di questi sistemi pensionistici. Se un soggetto ha avuto tanto, almeno andrebbe sterilizzata una parte degli interventi legati all'inflazione. Se un soggetto avesse pagato tanti più contributi, sarebbe un suo diritto; ma nel sistema elettrico, per esempio, i contributi sono stati gli stessi: erano un po' di più, ma su una minore base imponibile. Ho presieduto il fondo degli elettrici per pochi mesi; l'ho commissariato e fatto confluire nell'INPS, perché non stava più in piedi.
I dirigenti d'azienda si situano al terzo posto tra i costi sostenuti dal povero ed esausto fondo pensioni dei lavoratori dipendenti, che però è talmente prolifico da riuscire a sostenere il tutto.
Penso che in un arco di tempo non lunghissimo il «seme» che abbiamo piantato,
che peraltro segue dei percorsi, possa condurre ad una migliore unificazione del sistema.
ANTONINO LO PRESTI. Avverto che il collega Barbieri e io dobbiamo allontanarci perché stanno per iniziare i lavori dell'Assemblea.
PRESIDENTE. Ritengo comunque possibile concludere i nostri lavori senza sovrapporci alla seduta dell'Assemblea.
LINO DUILIO. Signor sottosegretario, per la letteratura sul tema, alla quale è sicuramente interessato per la sua biblioteca, vorrei solo segnalarle che quando, come centrosinistra, si è tentato di disboscare la giungla pensionistica andando a toccare fondi troppo speciali, vi è stata una sollevazione generale e nel caso dei piloti ci è stato eccepito che la persistenza di certi trattamenti un po' troppo speciali era giustificata dalla presenza in ruolo di «radiazioni cosmiche»...
ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. L'onorevole Lo Presti voleva una risposta sui dati del 3 per cento e dell'1,5 per cento, riferiti alle casse private: significa che fatti 100 i lavoratori attivi, i liberi professionisti iscritti alle casse privatizzate rappresentano il 3 per cento della popolazione attiva e l'1,5 per cento dei pensionati.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Barbieri sul motivo per cui alcune delle questioni poste, ad esempio quella sul sistema duale, non hanno trovato risposta, sia per quanto riguarda il compattamento degli enti sia per quanto riguarda il sistema duale la partita non è stata completata dal nostro Governo; ma ripeto che ormai la terza delega è scaduta. Devo dire che le posizioni assunte da molte delle parti in causa ci hanno messo in difficoltà nello svolgere questo tipo di redazione. Comunque, prima o poi gli enti dovranno arrivare alla situazione cui si riferiva il senatore Pizzinato: probabilmente si giungerà ad avere due enti e sedi uniche. Sono d'accordo quasi del tutto con il senatore Pizzinato.
Per quanto riguarda invece la funzione di indirizzo e controllo, ho qualche perplessità in più. A questo riguardo, ho proposto un organismo unificato: ha il difetto di avere una tematica molto grande, ampia - le procedure relative all'INAIL sono un po' differenti come assicurazioni sociali per gli infortuni, rispetto a quelle della previdenza -, però la fase importante di crescita del paese e, come diceva l'onorevole Duilio, la grande possibilità di risparmio e di efficienza possiamo ottenerle tutti assieme, non solo il Governo, o solo una parte, o solo le parti sociali. Per raggiungere quell'obiettivo, la si deve ottenere assieme. Poi, quando avremo raggiunto quell'obiettivo, penseremo a come inserire le parti sociali, cioè coloro che contribuiscono e che pagano all'interno di un sistema di organizzazione. Oggi, invece, quello che mi preme di più è l'unificazione delle funzioni, delle sedi e dei progetti informatici, per arrivare anche all'unificazione delle funzioni. Un organismo che si affianca ai due ministeri vigilanti, tesoro e lavoro, e un CIV grande e unico, che non vede solo i problemi del suo CIV ma anche i problemi generici, assumendo una configurazione piuttosto importante, può condurre alla creazione di sinergie che permettano di arrivare ad una soluzione.
Peraltro, il sistema duale viene abbandonato anche in Germania. Sostanzialmente, è preferibile avere una funzione molto chiara, un ministero vigilante, che approva il bilancio, e una Corte dei conti che verifica esattamente cosa succede; quindi, organismi dello Stato ed eventualmente un'assemblea, che non ha il compito di approvare il bilancio, ma che fa semplicemente da tramite tra gli utenti e l'amministrazione per verificare il funzionamento dell'istituto e proporre determinate soluzioni. Questa è già una visione di fine periodo. Un grande CIV, secondo me, è l'unico mezzo per ottenere delle sinergie e rendere efficace il sistema previdenziale.
Per quanto riguarda il personale, gli enti previdenziali hanno circa 60-65 mila dipendenti legati ai patronati e ai CAAF. Facendo un conto banale, dividendo per 35, che è il periodo medio di permanenza, si capisce quanti dipendenti vanno in pensione ogni anno. Non sono contrario a che gli enti acquisiscano sempre più un rapporto diretto con il cittadino o che impieghino le risorse dei patronati e dei CAAF che sono meno utilizzate. I patronati hanno tantissimi e bravissimi funzionari, così come i CAAF. Inoltre, è stato varato il progetto INPS 2: non si tratta di un altro INPS, ma di un progetto telematico per il quale, se devo effettuare i versamenti, l'iscrizione della colf o altre operazioni (visualizzazione dell'estratto conto o duplicazione del modello di estratto conto e delle domande) posso farlo per via telematica. Oggi, i fruitori diretti dell'impianto informatico via Internet, con PIN e password, sono circa il 10 per cento della popolazione, ma la loro crescita è veramente esponenziale. Non mi stupirei che tra 6 o 7 anni almeno tutti i giovani, ma comunque il 30, 40 o 50 per cento degli utenti non si recasse più agli sportelli dell'istituto perché sarà tutto automatizzato. Queste persone non starebbero a piedi, ma arriverebbero nella «casa del welfare», un progetto di cui tanti anni fa aveva parlato anche Cirino Pomicino e al quale lavoriamo da moltissimo tempo.
PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il sottosegretario. Penso che oggi, con questa audizione, abbiamo concluso un percorso importante della nostra attività di Commissione. Ci è stata fornita una serie di spunti veramente utili, che ci permetteranno di concludere l'indagine conoscitiva con un documento che potrà costituire un'importante base di riferimento per chi nella prossima legislatura dovrà portare a compimento il riordino degli enti, dopo aver sviluppato tutte le fasi della riforma.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10,30.
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