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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'efficienza organizzativa e finanziaria del sistema previdenziale pubblico e privato, l'audizione dei presidenti dell'INPS, dell'INAIL, dell'INPDAP, dell'IPSEMA, dell'IPOST e dell'ENPALS.
Ringrazio i nostri ospiti per la presenza, chiedendo loro scusa per il leggero ritardo con cui diamo inizio ai lavori, ritardo dovuto al fatto che i nostri amici dell'opposizione stanno facendo ostruzionismo anche nelle Commissioni.
Ringrazio altresì quanti accompagnano i rispettivi presidenti: la dottoressa Luongo, dirigente della struttura tecnica dell'INPS; il dottor Marchione, direttore generale dell'INPDAP; il dottor Soluri, capo della segreteria di presidenza dell'INAIL insieme al consulente, dottor Mazzè; il dottor Cima, consigliere di amministrazione dell'IPSEMA; il dottor Scala, segretario del consiglio di amministrazione dell'IPOST; il dottor Antichi, direttore generale dell'ENPALS.
Penso che non sia necessario ricordare il significato e l'importanza di questa audizione. Abbiamo già ascoltato una serie di rappresentanze di sindacati, i presidenti dei CIV e alcuni esperti del settore, come il professor Sandulli, su un problema che ritenevamo e riteniamo importante: la riforma, o la revisione, della governance del sistema degli enti di previdenza, a dieci anni di distanza dall'introduzione del sistema duale.
In considerazione dei concomitanti impegni di alcuni dei nostri ospiti, se non vi sono obiezioni darei subito la parola al presidente dell'INPDAP, Marco Staderini, che ha in contemporanea una audizione, in qualità di neocomponente del consiglio di amministrazione della RAI, presso la Commissione parlamentare di vigilanza, per poi far intervenire il presidente dell'IPSEMA, Antonio Parlato, il quale ha in corso un consiglio di amministrazione dell'IPSEMA che ha dovuto sospendere per partecipare a questa seduta.
MARCO STADERINI, Presidente dell'INPDAP. Vi ringrazio per averci dato l'opportunità di contribuire, per quanto possibile, ai lavori di questa Commissione.
Sostanzialmente, il tema oggetto dell'indagine conoscitiva è complesso per la funzione che gli istituti di previdenza svolgono nell'ambito del sociale e nella politica del welfare del paese. L'attuale organizzazione, a dieci anni di distanza, mostra una certa farraginosità, alla quale si potrebbe cercare di ovviare. Attualmente le sovrapposizioni tra chi svolge funzioni di indirizzo, vigilanza, controllo e gestione sono
molto estese e ramificate: da quelle naturali dei ministeri vigilanti a quelle istituzionali della Corte dei conti, passando per i vari collegi dei revisori (che sono collegi sindacali costituiti dai direttori generali del ministero e svolgono una funzione anche superiore a quella di un normale consiglio di sindaci revisori), fino al rapporto CIV-direzione dell'istituto, componente gestionale, in cui sostanzialmente agiscono le tre figure del presidente, del consiglio d'amministrazione e del direttore generale. È una catena molto lunga, che è giusto provare ad accorciare.
Le ipotesi avanzate in questa sede sono state diverse. Il mio contributo deriva da un'esperienza personale, maturata nel periodo di presenza ai vertici dell'istituto. All'INPDAP non esiste un problema di conflittualità, né di rigetto: abbiamo trovato un modus vivendi ed operandi positivo. Stiamo lavorando con il CIV utilizzando le strutture di valutazione e controllo, per predisporre meccanismi e indicatori che consentano di valutare gli indirizzi del CIV e di misurarli con i risultati delle attività di gestione. È un procedimento condiviso che aiuterà a lavorare ancora meglio; in ogni caso, nella pratica operativa ovviamente possono verificarsi situazioni di conflittualità. Mi permetterò, quindi, di proporre una possibile soluzione secondo il mio punto di vista.
Un primo problema riguarda la sovrapposizione tra le attività di indirizzo e quelle di gestione: mentre è facile entrare nella gestione, l'attività di indirizzo generico, o generale, si cala difficilmente nella realtà attuativa. Si riscontra perciò una naturale facilità nel passaggio dal ruolo di indirizzo a quello di gestione, con una sovrapposizione di responsabilità. Questa situazione oggettiva è facilitata dal ruolo ibrido assunto dal presidente, che svolge una funzione di rappresentanza dell'istituto senza avere la capacità di indirizzo, che al momento spetta al CIV. Non si tratta nemmeno di cattiva gestione, in quanto questa è affidata a un direttore generale che ne ha in carico la piena responsabilità.
Il presidente dell'istituto è quindi una prima figura ibrida, che fa da «cuscinetto» tra l'organo di indirizzo (il CIV) e quello di gestione (il direttore generale). Il consiglio di amministrazione rimane di fatto schiacciato tra la funzione di indirizzo e l'attività di gestione.
Ebbene, quattro diversi organi sono un numero esagerato, per cui, ferma restando la distinzione - che deve sussistere - fra l'indirizzo, la valutazione dei risultati e la gestione, un'ipotesi semplificativa potrebbe consistere nel mantenere i due organi (CIV e consiglio di amministrazione), ma rendendo il secondo molto più simile a quello di una società per azioni. Vi sarebbero un presidente del consiglio di amministrazione (che non corrisponde al ruolo svolto dal presidente dell'INPS o dell'INPDAP) e un consiglio che affiderebbe a un suo componente la responsabilità di gestione tipica del direttore generale/amministratore delegato di una SpA. In questo modo l'intero consiglio, per il tramite di un amministratore delegato, avrebbe la gestione dell'istituto, mentre il CIV continuerebbe a svolgere una funzione di indirizzo e di valutazione dei risultati.
Si dovrebbero individuare dei criteri per assicurare la rappresentatività delle parti sociali - importanti in tutto il contesto, considerate la materia e la responsabilità sociale dell'attività dell'istituto - ma per essere effettivamente funzionanti i due organismi andrebbero snelliti. Oggi il CIV dell'INPDAP è composto da 24 rappresentanti, 12 di parte sindacale e 12 di parte datoriale: un piccolo parlamentino che oggettivamente rende i lavori difficili. Anche il consiglio di amministrazione - oggi di 7 componenti - potrebbe essere ridotto secondo una diversa logica che porti a un miglior rapporto tra i due organismi. Una funzione di raccordo verrebbe svolta dal presidente del CIV, che potrebbe far parte o addirittura presiedere il consiglio di amministrazione; in tal modo, le attività di indirizzo e di valutazione troverebbero un rapporto con l'organo di gestione per il tramite della figura del presidente.
Sto ragionando assimilando il CIV all'assemblea degli azionisti di una società, che svolge il ruolo di indirizzo e approva i bilanci, quindi fornisce il rendiconto dei risultati, e ipotizzando un consiglio di amministrazione che esegue le direttive, opera e rendiconta la propria gestione. Lo stesso presidente potrebbe essere al vertice di entrambi gli organi.
Certo, si tratta di un passaggio difficile poiché vi sarebbero da riconsiderare tutte le posizioni in gioco; in ogni caso, semplificando sia il numero delle persone coinvolte sia i ruoli da esse svolte, si potrebbe, secondo me, ridisegnare la possibilità di operare, così da distinguere i ruoli dell'indirizzo e della vigilanza da quelli della gestione. In questo modo, si avrebbe una maggiore efficacia e si otterrebbero risultati riscontrabili nell'attività di tutti i giorni.
PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Staderini; con il suo intervento siamo entrati nel cuore del problema. Finora la discussione è stata orientata più che altro sulla validità o meno del sistema duale e, in maniera marginale, su come intervenire sulla funzionalità del sistema, badando essenzialmente alle competenze dei vari organi. Una delle situazioni di difficoltà è proprio riconducibile alla mancanza di chiarezza sulle competenze, per cui spesso si verificano sovrapposizioni che danno luogo anche a grossi contenziosi tra organi, nell'ambito degli enti stessi (tra CIV e consiglio di amministrazione, se non addirittura tra presidente e direttore generale).
Nel discutere l'argomento c'è stato chi - ad esempio, alcuni componenti della Commissione - ha sostenuto che il superamento di tali problematiche potesse avvenire con il reingresso del mondo sindacale e imprenditoriale nella gestione, attraverso la partecipazione a un consiglio di amministrazione. Il suo intervento invece - e per questo la ringrazio, presidente Staderini - tocca un aspetto molto più diretto, che consiste nella ridefinizione di un sistema organico di funzionamento, guardando essenzialmente al superamento della pletoricità degli organi. A ben guardare, infatti, siamo in presenza di cinque organi: CIV, presidente, consiglio, direttore, collegio dei revisori. Si tratta di cinque organi autonomi e indipendenti, le cui funzioni non sono neanche definite chiaramente.
Tra l'altro, credo che la crisi di identità sia diffusa in tutti gli organi, in quanto lo stesso problema è stato già posto da altri. Ribadisco che l'aspetto è molto interessante e ci porta nel vivo della questione.
EMERENZIO BARBIERI. La mia domanda è molto secca: quanto costa il CIV all'anno nel bilancio dell'INPDAP?
ANTONIO PIZZINATO. E quanto costano le direzioni? Questa domanda ci è stata posta da una delle associazioni che abbiamo audito, la quale ha sostenuto che la dualità del sistema produce uno «spreco»; uso l'espressione adoperata dai rappresentanti di quella organizzazione...
PRESIDENTE. Diciamolo: era l'organizzazione dei rappresentanti dei funzionari e dei dirigenti degli enti.
ANTONIO PIZZINATO. Certo, dei dirigenti industriali.
PRESIDENTE. Lo diciamo a memoria. Non è un fatto segreto, dal momento che è riportato negli atti.
ANTONIO PIZZINATO. Questo dato non consente più di avere regole da applicare ai trattamenti economici e normativi. Non sarebbe male se il presidente ci fornisse dei dati, indicando il compenso.
PRESIDENTE. In pratica, si vuol conoscere il costo separato dei cinque organi.
ANTONIO PIZZINATO. In particolare, il rappresentante della CIDA (Confederazione italiana dirigenti d'azienda) sosteneva che non sussiste un rapporto fra le funzioni e il ruolo dei dirigenti (direttori generali e dirigenti generali). Se poteste
fornirci i dati, in modo da affrontare l'argomento su basi concrete, ve ne saremmo grati.
Inoltre, vorrei sapere per quale ragione l'INPDAP non è in grado di fornire i dati al casellario generale.
LINO DUILIO. Personalmente, non intendo chiedere quanto costano gli organi; credo che i dati oggettivi compaiano nei bilanci.
PRESIDENTE. Infatti sono nei bilanci. Ho già chiesto di prendere i dati.
LINO DUILIO. Non vorrei porre questa domanda per evitare di aprire, più o meno surrettiziamente, un discorso che porterebbe lontano, cioè al rapporto fra efficienza, efficacia e costi dei diversi organi, che riguarderebbe non solo gli enti previdenziali.
A me interessa, invece, chiedere al presidente Staderini - che a più riprese in questa sede ha sottolineato l'esistenza di sovrapposizioni, di pletoricità, di competenze non chiare - quanto segue: se questa situazione dovesse permanere nel tempo, non certo per responsabilità dei presidenti, ma perché il Governo, che dovrebbe esercitare una delega per il superamento di questa situazione, ancora non ci ha reso noto il suo pensiero, che resta oscuro, o quantomeno poco chiaro...
PRESIDENTE. Lo conosceremo la prossima settimana, quando il Governo ci illustrerà le proprie determinazioni.
LINO DUILIO. Sono anni che stiamo discutendo tale questione: se magari l'avessimo saputo prima della fine della legislatura, forse sarebbe stato meglio.
Ora, tornando alla domanda, vorrei sapere se la situazione sottolineata dal presidente Staderini produca effetti negativi sulla funzionalità degli enti; in caso affermativo, egli è in condizione di esplicitarli? La loro individuazione, non dico «chirurgica» ma almeno con un margine di chiarezza abbastanza netto, ci consentirebbe quantomeno di evidenziare la necessità e l'urgenza di intervenire, affinché tali effetti negativi siano eliminati.
PRESIDENTE. Non essendoci altre domande, do nuovamente la parola al presidente Staderini.
MARCO STADERINI, Presidente dell'INPDAP. Risponderò alle domande secondo l'ordine con cui sono state formulate.
Ora non ho elementi relativi al costo, ma posso fornirli alla Commissione. Per quanto riguarda il CIV, il compenso previsto per i rappresentanti è molto modesto: anche moltiplicato per ventiquattro, rimane un costo basso. Il mio ragionamento era rivolto non tanto al risparmio, quanto alla migliore funzionalità. Comunque i dati relativi alla componente di costo del CIV, del consiglio di amministrazione e dei direttori saranno messi a disposizione della Commissione. Non voglio indicare cifre in questo momento: potrei citarvi solo le mie, ma non avrebbe senso nel presente contesto. Forniremo tutto l'elenco, in modo da risolvere il problema a monte. Ritengo, comunque, che siano costi oggettivamente modesti, in relazione alla tipologia dell'incarico e all'attività svolta.
Per quanto concerne il casellario, conoscendo la problematica, meglio di me potrà rispondere il direttore generale.
Giungo alla domanda posta dall'onorevole Duilio. Cosa succede se non si cambia nulla? Si continuerà ad andare avanti come adesso. Le disfunzioni sono di ordine qualitativo, non quantitativo. È evidente che una più serrata capacità di rapporto tra indirizzo e gestione, una serie di anelli mancanti e una catena più corta consentirebbero di avere una macchina più efficace. Questo vale per tutte le realtà organizzate. Come sapete, questi istituti sono grandi, complessi, elefantiaci e dominati dalla burocratizzazione. Più si interviene sulla capacità di guida, meglio funziona la macchina. Altrimenti si innesca - volontariamente o involontariamente - un gioco di scarico di responsabilità tra
CIV, consiglio e così via e si creano situazioni di microconflittualità.
Questo accade quando le cose vanno bene; se invece si ingarbugliano, si incrina il rapporto personale tra presidente e direttore generale o tra questi e il presidente del CIV, si incancrenisce tutto. Ognuno ha i propri diritti-doveri e li fa rispettare fino in fondo. Ad esempio, se il termine massimo per valutare un atto è di sessanta giorni, io posso tenere fermo un provvedimento fino al sessantesimo giorno, anche se si trattasse di una piccola modifica, non curandomi del problema generale dell'istituto. In regime di collaborazione, invece, il tutto si potrebbe risolvere in una settimana, facendo muovere la macchina in maniera più fluida. Credo che eventuali disfunzioni vadano ricomprese in questo contesto.
Va comunque detto che la macchina, nelle tante esperienze dei vari istituti, per dieci anni ha funzionato senza creare crisi di rigetto. Perciò si può andare avanti, ma si può migliorare. Credo che valga la pena di compiere tutti gli sforzi utili e necessari per semplificare la catena di comando, in modo da tenerla più a contatto con la direzione dell'istituto, rendendola più articolata, omogenea ed efficace nelle indicazioni di gestione.
PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il presidente Staderini che, come ho già anticipato, deve ora raggiungere la Commissione parlamentare di vigilanza. Resterà comunque il direttore generale, che potrà approfondire anche gli altri aspetti affrontati dal senatore Pizzinato.
Condivido l'esigenza di guardare al problema della governance del funzionamento, che è il nodo cruciale, mentre i dati riscontrati nei bilanci circa i costi di presidente, consiglieri e CIV ammontano a cifre minime. Solo per le figure dei direttori la contrattazione è di tipo privatistico. In questo fa eccezione l'INPS che, a causa di una serie di organismi a cascata, ha costi enormi. Eventualmente il presidente ne parlerà, visto che il problema è già stato affrontato ed è tuttora oggetto di discussione all'interno dell'istituto.
Per il resto, mi sembra che, specie in alcuni casi di consigli di amministrazione, si percepiscano gettoni addirittura risibili, tant'è che vi è stata una richiesta di revisione di questo aspetto, che purtroppo deve essere ancora approfondito.
Come convenuto, do ora la parola al presidente dell'IPSEMA, Antonio Parlato.
ANTONIO PARLATO, Presidente dell'IPSEMA. Ringrazio il presidente della Commissione per questa fase di approfondimento con i presidenti degli enti previdenziali, che sono le vittime dell'attuale sistema, a causa di un'ambiguità che il legislatore non ha risolto.
Dobbiamo ricordare che i CIV nacquero allo sbocco degli anni più torbidi per l'Italia, quelli di tangentopoli. All'epoca si pensò di duplicare gli organi, inventando un sistema duale che, in termini di management organizzativo, non sta né in cielo né in terra. L'unicità del comando è principio fondamentale di qualunque organizzazione e può essere esercitata collegialmente da un organo o da una persona monocratica. Il passaggio al sistema duale mantenne dei margini notevoli di ambiguità nella governance: al fine di non far assumere responsabilità, al CIV non ne è stata data alcuna. Ma questo è in contraddizione con il principio secondo cui chi ha potere ha responsabilità; ciò non può continuare.
Per l'esperienza vissuta prima con il presidente dell'INAIL e poi all'IPSEMA, la questione della duplicazione degli organi e della conseguente moltiplicazione del numero dei consiglieri è un aspetto, ma molto marginale. Il problema, infatti, non è il costo. Se così fosse, basterebbe ridurre il numero dei componenti e la questione sarebbe risolta.
Peraltro - mi si consenta questa breve digressione - ci vorrebbe un'indagine per accertare se davvero occorra una perequazione verso il basso dei compensi o se, al contrario, non si debba innalzarli. Al cospetto di analoghe cariche in altri enti dello Stato o a partecipazione pubblica, i presidenti e i consiglieri degli enti previdenziali sono sottopagati.
Nessuno qui sta chiedendo nulla, ma non ci si lamenti del costo: non ho vergogna a dire che in qualità di presidente mi assumo tutte le responsabilità che la carica comporta e incasso 4.600 euro al mese. Vi pare mai possibile, rispetto al grado di responsabilità che ci si assume e ai vincoli che si è costretti a osservare?
Il problema è rappresentato non dai costi, ma dall'ambiguità delle funzioni. Sia il presidente Mungari che io, svolgendo opere di grandissima ricchezza spirituale, di grande disponibilità civile e ricorrendo anche a mezzi extra-istituzionali, come la cordialità e l'amicizia, siamo riusciti a governare il problema del rapporto con i CIV e delle continue invasioni di campo. D'altra parte, al CIV è conferito il ruolo di formulare le linee strategiche.
Sappiamo che «strategia» è un termine militare che attiene alla condotta della guerra; la «tattica» invece si riferisce all'organizzazione, alla disposizione delle forze sul campo, alla loro professionalità e al loro modo di atteggiarsi rispetto alle linee strategiche, le quali però non sono esigibili. Recentemente, rispetto a un regolamento di autodeterminazione del CIV, il Ministero del lavoro ha escluso tassativamente che siano esigibili le linee di indirizzo strategico da parte del CIV. La conseguenza è stata che o si dota il CIV di poteri e ovviamente anche di responsabilità, oppure si rimane in presenza di un esercizio culturale e sociale, sia pure utilissimo.
Sono infatti il primo a riconoscere che non si può fare a meno della competenza dei sindacati, dei dipendenti assistiti e delle forze imprenditoriali: quel punto di sintesi fu una straordinaria intuizione. Il problema di fondo è l'ambiguità del sistema: non si capisce dove finisca il compito dell'uno e dove inizi quello dell'altro. Di conseguenza, le invasioni di campo rallentano enormemente la gestione. Il direttore generale e i dirigenti centrali devono rispondere contemporaneamente a due organi.
Per non parlare - ove mai, signor presidente, lei potesse approfondirla - della questione relativa agli organi di controllo: rispondiamo al Parlamento quando viene presentato un atto di sindacato ispettivo, alla Corte dei conti, al collegio dei sindaci e al sistema costituito dai CIV, responsabili della vigilanza; infine - e questo è un altro organo, signor presidente - rispondiamo al nucleo di valutazione e controllo strategico, istituito per legge, che verifica quotidianamente se le linee strategiche sono state attuate o meno. Anche in questo caso il costo è notevole ed è addossato lecitamente agli organi e non alle consulenze esterne, perché fissato dalla legge. Tuttavia, questo sistema di controlli alla fine consente di verificare ben poco: troppi controlli significano nessun controllo, perché si produce una paralisi di fondo.
Passiamo ad un altro elemento su cui mi vorrei soffermare. Le linee di indirizzo vengono elaborate da parte del CIV sulla base di criteri obiettivi che ne fissano la loro praticabilità? Uno dei presidenti auditi dalla Commissione - mi pare fosse il presidente Lotito - aveva posto il problema della praticabilità delle linee di indirizzo dettate e si chiedeva perché l'IPSEMA non potesse diventare l'ente unico dei trasporti. Quindi, dovrei chiamare il presidente del consiglio, chiunque sia, e annunciare che da domani l'IPSEMA diventerà l'ente pubblico dei trasporti! Non è possibile: occorrono elaborazioni culturali, controlli, dibattiti, approfondimenti tecnici e normativi. Questa praticabilità non esiste, a meno che non si voglia fare del velleitarismo.
Oggi ho comunicato al CIV che non sono affatto d'accordo sulle loro linee strategiche, tese ad assegnare una funzione di service all'IPSEMA, nell'ambito della riforma previdenziale. Non vedo che ruolo possa avere in questa faccenda l'IPSEMA, che è anche l'ente più piccolo, lo gestisse l'INPS o l'INAIL. Alcune ipotesi non sono praticabili; altri suggerimenti sono utilissimi.
A mio avviso, la questione non è legata all'apporto negli organi di governo - purché siano effettivamente di governo - di forze imprenditoriali e sindacali, che, come ho già detto, è molto utile. Attenzione,
però: la proposta di istituire un unico CIV presso il Ministero del lavoro (perché è stata avanzata anche questa e non era male) pone un problema immediato: il suo parere sarebbe vincolante oppure no? Perché se fosse vincolante, ciò vorrebbe dire che quel CIV si assume le relative responsabilità, venendosi di conseguenza ad eliminare l'ennesima struttura di vigilanza: oltre a tutte quelle menzionate, infatti, noi siamo vigilati anche dal Ministero dell'economia e dal Ministero del lavoro, che effettuano controlli quotidiani. Proprio ieri c'è stata un'ispezione, fortunatamente senza alcun rilievo. Ma non sono soltanto questi i due ministeri vigilanti: per un'aberrazione, infatti, noi non siamo vigilati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma dalle capitanerie di porto, attraverso le quali si esplica la nostra funzione. E potrei proseguire all'infinito: il Ministero della salute è l'interfaccia tra l'accertamento sanitario e la prestazione dovuta. Ebbene, si può prescindere dal Ministero della salute, al quale concediamo le nostre sedi (ora a pagamento, per fortuna, grazie a varie sentenze)?
La situazione va, quindi, affrontata nella sua complessità, mantenendone però la specificità: se all'interno del mio CIV o del nuovo organo che si costituirà vi sono i rappresentanti di Confindustria, questi forniranno un contributo parallelo alla loro cultura produttiva. Ma nel nostro caso specifico serve una rappresentanza degli armatori, che hanno anche un rapporto positivo con le organizzazioni sindacali; il loro apporto è perciò essenziale.
Personalmente tenderei ad escludere un'ipotesi in cui si faccia a meno dell'apporto culturale, sociale e produttivo degli attuali componenti del CIV, ma costituirei un solo organo, al quale potrebbero partecipare degli esperti. Attualmente abbiamo quattro consiglieri di amministrazione, il presidente e dodici componenti del CIV, con un problema di equa distribuzione dei pesi. Il punto non è se il CIV venga assorbito, dimezzandone l'entità, dal consiglio di amministrazione, oppure se sia il consiglio di amministrazione a entrare nel CIV. Il punto sono le regole, i poteri e le responsabilità. In mancanza della loro definizione, ci troviamo in difficoltà nella gestione: dobbiamo rispondere a un sistema contrario ad ogni principio organizzativo, con discussioni e contestazioni in ordine ai limiti ed ai poteri di ciascuno.
Tale questione mi fa pensare positivamente a una possibile governance, da realizzare con questo sistema, che potrebbe affrontare un altro aspetto che la legge non prevede: se si fissano le linee strategiche, anzitutto si deve spiegare cosa significano. Inoltre, il consiglio di amministrazione è un mero esecutore? Allora, non ce n'è alcun bisogno; saranno sufficienti l'assemblea (costituita dal nuovo organo), un comitato esecutivo e un amministratore delegato. Ma il tutto deve fondarsi sul presupposto fondamentale della chiarezza di ruoli e, soprattutto, di responsabilità.
Vi ringrazio e vi chiedo scusa se devo allontanarmi, ma ho interrotto il consiglio di amministrazione, che devo proseguire.
LINO DUILIO. Le rivolgo solo una domanda immediata. Alla luce della sua esperienza e delle sue considerazioni, se già da domani fosse in grado di risolvere la situazione, quale sarebbe la sua concreta proposta?
ANTONIO PARLATO, Presidente dell'IPSEMA. Cito il mio caso per essere il più possibile concreto. Costituirei un consiglio di amministrazione di nove persone (otto consiglieri, più il presidente), abolendo tutto quanto esiste oggi. Tra gli otto consiglieri, cinque andrebbero a costituire l'assemblea, mentre due affiancherebbero l'amministratore delegato con compiti di vice e con precise deleghe.
PRESIDENTE. Vorrei ricapitolare la questione e dare un senso preciso al discorso, altrimenti scendiamo troppo in tecnicismi che ci interessano poco. La tesi del presidente Parlato consiste nell'eliminare un sistema duale diviso, prevedendo la presenza delle parti sociali in un unico
organo di gestione, comprendente eventualmente un amministratore delegato.
ANTONIO PIZZINATO. Faccio presente che a causa di concomitanti impegni parlamentari (l'esame della legge finanziaria in Commissione bilancio) sarò costretto ad allontanarmi prima del termine dell'audizione.
PRESIDENTE. Noi la teniamo qui appositamente, senatore Pizzinato, per impedirle di essere presente in Commissione bilancio, magari facendo andare sotto il Governo...! Naturalmente sto scherzando.
Do la parola al presidente dell'INPS.
GIAN PAOLO SASSI, Presidente dell'INPS. La ringrazio, signor presidente, per averci convocati. Cercherò di non ripetere cose già dette o di non percorrere strade già battute.
Ho letto con molta attenzione i resoconti delle audizioni svolte e ho ascoltato con grande interesse i colleghi che mi hanno preceduto. Anch'io devo aggiungere il mio cahier de doléance all'attuale sistema di governance degli enti. Lo riassumo in una battuta: secondo me, se il sistema duale funziona, ciò avviene solo per caso; non è un sistema fatto per funzionare in maniera efficiente ed efficace. Funziona per caso laddove c'è la buona volontà delle persone, dei singoli esponenti e dei singoli rappresentanti dei vari organi dell'istituto che, superando i pesanti limiti evidenziati anche nelle audizioni precedenti, garantiscono una governance che - come riconosceva il presidente Staderini - non è mai mancata in questi anni, a dispetto delle difficoltà. Certamente non è fatto per essere un sistema di governo efficiente, tanto meno per un ente dalle dimensioni dell'INPS. Comunque, al di là delle dimensioni, è un problema che abbiamo tutti.
È comprensibile che il sistema sia così: nasce da una riforma fatta a metà. Si tratta un po' di un nostro malvezzo italico. E lo dico senza voler fare polemica: faccio parte anch'io del problema. È una riforma incompiuta perché da una parte la normativa del 1994 ha introdotto i consigli di amministrazione e ha spostato i CIV sulla parte strategica di indirizzo, escludendo le parti sociali dal governo diretto della tecnostruttura; dall'altra, per quanto riguarda l'INPS - e se ne è fatto cenno proprio nell'audizione del 5 ottobre, dove era presente il mio presidente del CIV -, è rimasta intatta una sottostruttura, formata dai comitati provinciali e regionali, che ormai sono talmente tanti che neanche voi in Parlamento siete riusciti a contarli.
Dico subito che non si tratta tanto di una questione di costo: costano relativamente poco, credo intorno agli 11-12 milioni di euro (tutte le volte facciamo il conto e tutte le volte lo dimentico, ma all'incirca è questa la cifra). Certamente vi è un pesante costo di struttura: in ogni sede provinciale - siamo sottodimensionati di 3.500 unità fisse - ci sono persone che invece di lavorare per l'INPS lavorano per il comitato provinciale; ancora di più ce ne sono in sede regionale. La tecnostruttura è oggettivamente gravata da un onere di sussidiarietà a questi comitati che, pur non costando molto, non si capisce bene a cosa servano: la riforma del 1994 ha praticamente tolto ogni funzione ai comitati provinciali, mentre quelli regionali hanno ancora il compito di esaminare una serie di provvedimenti amministrativi che poi passano al vaglio superiore del consiglio di amministrazione.
Il vero problema è che gli organi sono tanti, nessuno dei quali tuttavia ha abbastanza peso specifico da condizionare l'istituto a un punto tale da poter dire: «Io ho le linee, io governo la macchina». L'esistenza di tanti pianeti che non ruotano attorno ad un sole comporta che se si sta assieme è per caso, è grazie alla buona volontà; ma, così com'è costruito, il sistema crea conflitti che tra noi e il CIV potrebbero essere quotidiani. Per non parlare del direttore generale, che deve rispondere al presidente, al consiglio di amministrazione e al CIV; ha poteri enormi, ma anche in questo caso non sufficienti, in quanto monchi di qualche gamba del tavolo.
Ci stiamo occupando molto degli organi, ma non dimentichiamo che sotto di essi c'è una tecnostruttura che nel nostro caso è enorme: abbiamo 43 dirigenti centrali, troppi. Lo dico a costo di inimicarmeli tutti. Per la governance dell'INPS non servono 43 dirigenti generali; ne basterebbero molti meno, magari scelti sul mercato, invece che attraverso un continuo processo di cooptazione interna.
E non dimentichiamo - come ha osservato anche il presidente Lotito nella sua audizione del 5 ottobre - che mentre noi siamo qui a discutere se il CIV conti più del consiglio di amministrazione e meno del presidente, tutte le decisioni che passano attraverso il CIV, il direttore generale, il consiglio di amministrazione e il presidente, ritornando al direttore generale per l'attuazione, di fatto vengono attuate da una tecnostruttura che più è grossa e priva di chiari organi di controllo, più mastica e digerisce quello che vuole delle delibere assunte dal consiglio di amministrazione. E stiamo parlando del consiglio d'amministrazione: figuratevi il CIV!
In questa Commissione si è discusso sulla possibilità di rendere più o meno stringenti i poteri del CIV, in ordine alla valutazione delle linee di indirizzo che vengono date. Ma il problema non è attribuire più potere a qualcuno, dal momento che, con una tale pletora di organi, nessuno avrebbe mai il peso specifico sufficiente per condizionare realmente la vita dell'istituto.
Poi c'è sempre un corto circuito mediatico. Quando si parla dell'INPS - e tutte le volte mi si rizzano i pochi capelli che ho - sui giornali leggo: «L'INPS di Sassi». Vi assicuro che l'INPS non è mio, ma non è neanche di altri. Se fosse l'INPS del CIV sarei contento, almeno saprei chi guida la carrozza. Invece l'INPS è un po' di Sassi, un po' del direttore generale, un po' del consiglio di amministrazione, un po' del CIV e un po' di non so chi.
Seconda questione, a mio avviso pesante: questa pletora di organi e la mancanza di un soggetto che abbia davvero il potere di direzione e di forte controllo delle delibere, danno luogo a un'inevitabile invadenza da parte dei ministeri vigilanti, che non sono due - come qualcuno ha ricordato - ma tre. In questo momento è in corso un'ispezione disposta dalla funzione pubblica - che ha poteri circa i costi del personale - sugli atti negoziali (i contratti) dell'INPS. Ciò significa che oltre ai dicasteri del lavoro e del tesoro c'è anche quello della funzione pubblica. Per carità, è tutto lecito, però rimane il fatto che si aggiunge un altro ministero vigilante e qualcuno dovrebbe spiegarmi in quale contesto si inserisca tutto ciò.
La tecnostruttura, essendo priva di briglie forti, tende a perseguire il suo interesse e non ad applicare le direttive dell'istituto. Non che questo succeda sempre, ma può accadere e, difatti, ogni tanto si verifica. Abbiamo poi i ministeri vigilanti che, in questa confusione di ruoli, cercano di inserirsi sempre di più nella gestione. Ciò è inevitabile, perché dove c'è un vuoto qualcuno tende sempre a riempirlo: in natura il vuoto non esiste. Vi è, inoltre, questa pletora di comitati provinciali e regionali che vivono l'eterno dilemma: un po' servono, un po' non servono, chissà se servono.
In definitiva, secondo me tutto questo va rivisto. Non ho ricette da proporre, l'unico intervento che mi sento di sollecitare è la riduzione della catena di comando: tra il momento in cui il CIV assume una delibera strategica e quello in cui la tecnostruttura la applica, devono intercorrere meno passaggi. Più ce ne sono, più tempo si perde: più i comandi si fanno confusi, più elementi della struttura, che non hanno una responsabilità diretta di gestione del potere, possono fare ciò che vogliono.
Personalmente non mi appassiono al fatto se al vertice debba esserci un direttore generale, un amministratore delegato o un presidente. Lo dico con molta franchezza, basandomi sulla mia esperienza: chiunque sia al comando deve avere una sola possibilità, quella di licenziare, perché se non posso mandar via il dirigente più disgraziato che ho, questa discussione non serve a niente. Se chi è al vertice dell'istituto,
sia che ricopra l'incarico di amministratore delegato sia che rivesta quello di presidente, non è in grado di scegliere i propri dirigenti, non potendo sanzionare, né premiare, né valutare, sarà sempre un «re travicello». E allora, non potendo fare altro, si tiene quello che ha e se lo porta a casa.
La mia raccomandazione è che si arrivi al superamento del sistema duale, inteso un po' come diceva il presidente Parlato: mantenendo le parti sociali all'interno degli enti, perché alla fine sono le aziende e i lavoratori che pagano e ci rimettono, non lo Stato. Quindi, le parti sociali devono avere una presenza forte e, soprattutto, devono assumere rilievo.
E qui esiste un'altra questione, quella della responsabilità, aspetto che mi pare sia stato sollevato dal presidente Staderini. Parliamoci chiaro: il primo responsabile di quello che succede all'INPS sono io, il legale rappresentante, e lo stesso dicasi per gli altri colleghi qui presenti; poi c'è il consiglio di amministrazione, che risponde delle delibere, e infine il direttore generale. Tolti questi ultimi, ho la responsabilità più pesante. Ebbene, se il responsabile sono io, prima di attuare pedestremente una determinazione o una delibera del CIV devo valutare se possa mettermi nei guai o meno? È inutile ripeterlo: abbiamo i sindaci, il magistrato della Corte dei conti, il Parlamento e una pletora di organi di controllo che vogliono dire tutti la loro.
Mi trovo, quindi, a dover dipendere da un organo che è deresponsabilizzato e che mi fornisce delle linee di indirizzo a volte addirittura contra legem. E non per colpa sua, ma per un semplice motivo, accennato dal professor Sandulli nella sua audizione. Egli ha dichiarato testualmente: «Siamo di fronte, per quanto riguarda il sistema previdenziale, a una legislazione così pervasiva e onnipresente che svuota significativamente la potestà dei CIV di indicare l'indirizzo generale dell'ente, posto che gli indirizzi del sistema previdenziale sono, appunto, definiti dalla legislazione».
In altre parole, a volte i consigli di amministrazione, i presidenti non rispondono ai CIV, ma prima di tutto c'è la legge, che in materia di previdenza è micidiale: ogni giorno ne viene fuori una. Tra l'altro, si tratta di una materia che giustifica maggiormente l'attenzione del legislatore, perché al mutare delle condizioni sociali devono mutare anche le norme. Da questo punto di vista, non sto rimproverando il legislatore di emanare troppe disposizioni, anzi credo che questa materia sarà inevitabilmente e continuamente soggetta a normazione. Certo, anche su questo argomento un po' di razionalizzazione non guasterebbe.
Ricapitolando: una sovrapposizione di norme che mutano continuamente il quadro di riferimento; le responsabilità non condivise, ma di esclusiva competenza di tre degli organi; una tecnostruttura esuberante nei numeri e anche nei costi, perché non ci costa certo poco quanto il presidente.
ANTONIO PIZZINATO. Ci può dire quanto costa?
GIAN PAOLO SASSI, Presidente dell'INPS. Credo che il compenso del direttore generale sia tre volte il mio: sto parlando di circa 122 mila euro lordi l'anno.
ANTONIO PIZZINATO. Guadagna più di me!
GIAN PAOLO SASSI, Presidente dell'INPS. Per farla breve, sono circa 5.700 euro al mese; parlo del netto in busta, come dicono le aziende. Il direttore percepisce un compenso di mercato che credo si aggiri intorno ai 300 mila euro all'anno. Tanto per chiarirci: il presidente dell'istituto, vale a dire il legale rappresentante, guadagna meno del direttore, dei due consiglieri di amministrazione (che, provenendo dalla pubblica amministrazione, ricevono compensi da dirigente generale), del presidente del collegio sindacale e dei 43 dirigenti centrali, di cui parlavo prima. In più, la carica di presidente è praticamente
incompatibile con qualsiasi altra attività: sfido un'azienda ad affidarmi una causa, senza trovare incompatibilità.
Ripeto, però: non si tratta tanto del costo della tecnostruttura. Egoisticamente, sarei anche disposto a dire: paghiamoli di più, paghiamoli meglio, ma paghiamone meno. Se invece di 43 fossero 20, se potessimo sceglierli e, soprattutto, se potessimo dire a qualcuno di loro di tornarsene a casa, sarebbe una soluzione. Che poi a farlo sia il presidente, il direttore generale o l'amministratore delegato, a me poco importa. L'importante è che ci sia una governance forte negli enti. Al momento, nel sistema duale questa governance non c'è!
Campiamo tutti alla giornata, cercando di aiutarci; e alla fine ci si aiuta, con le inevitabili frizioni che possono generarsi. Ad esempio, ieri c'è stato uno sciocco battibecco tra il direttore generale e il CIV su una questione di fatto già superata, ma che nessuno aveva comunicato all'altro. Così com'è impostato, il sistema duale potrebbe funzionare al meglio se passassimo quattro quinti del nostro tempo a fare riunioni per dirci quello che ognuno sta facendo. Altrimenti, è inevitabile arrivare a scontri. Naturalmente leggo i verbali del CIV, ma certo non posso leggere tutti quelli del CIV, del collegio sindacale e del consiglio d'amministrazione: passerei tutto il mio tempo a leggere verbali!
Per quanto riguarda l'INPS, la mia proposta è di diminuire gli organi. Chiunque venga tagliato a me non importa. Francamente, potreste anche privarmi dell'incarico di presidente, avrò sicuramente altro da fare nella vita. Non mi preoccupo di perdere il posto. Piuttosto, mi preoccupo che la catena di comando venga accorciata e, soprattutto, che chi comanda possa farlo davvero. Da questo punto di vista, secondo me il CIV ha dei limiti di pletora numerica: sono 24, forse anche di più. Non dimentichiamo che il consiglio di amministrazione dell'INPS era formato da 36 persone: era fatto per non funzionare. Adesso, è composto da 8 persone, più il presidente.
Ribadisco di essere convinto che le parti sociali debbano restare all'interno degli enti, che gli organi debbano essere ridotti e che debba essere conferito più potere a chi rimane.
PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Sassi.
PIETRO GASPERONI. Ho ascoltato una riflessione seria, che rappresenta un contributo utile. Convengo con le considerazioni espresse dal presidente Sassi circa la definizione del sistema duale: siamo di fronte a una sorta di riforma incompiuta. Certamente il sistema risponde a un modello organizzativo; il dibattito sull'efficacia o meno della separazione della gestione dall'indirizzo potrebbe essere lungo. Esistono sicuramente delle ragioni a sostegno e delle ragioni contro. Tuttavia, penso che alla base della definizione di questo modello, più che un'esigenza di carattere organizzativo, vi sia la necessità che le parti sociali, non essendo più all'interno degli organi di gestione, svolgano una funzione di primo piano. Ritengo che l'esclusione delle parti sociali da funzioni di primo piano nelle decisioni degli enti continui a rappresentare un problema, nel senso che è difficilmente ovviabile.
Concludo ponendo alcune domande. Se ci limitassimo a capire come si possa tentare qualche cambiamento di tipo tecnico-organizzativo o come far funzionare meglio l'intero meccanismo, rischieremmo di sviluppare una discussione limitata, con il fiato corto. Prima dobbiamo chiederci quale funzione si ritenga che gli enti previdenziali possano svolgere nell'attuale sistema di welfare. Ho l'impressione che, mentre si sta discutendo se debba contare di più il CIV, il consiglio di amministrazione, il direttore o il presidente, un altro soggetto sia entrato in campo prepotentemente: si chiama Governo e decide per tutti.
Qual è il destino riservato agli enti nello scenario che può prefigurarsi? Mantenere una propria autonomia all'interno dell'attuale sistema di organizzazione del welfare oppure diventare vieppiù enti strumentali
del Governo? A quel punto sarebbe meno importante stabilire se conti di più il CIV o il consiglio di amministrazione, perché ci sarebbe qualcun altro che conta e decide per tutti; qualche accorgimento organizzativo risulterebbe comunque marginale. Mi interesserebbe conoscere la vostra opinione da questo punto di vista. Ogni accorgimento tecnico-organizzativo è indiscutibilmente importante sotto molti aspetti. Tuttavia, anche sulla base dell'esperienza che state maturando, risulta fondamentale capire se sia importante mantenere una funzione primaria degli enti, come quella che abbiamo conosciuto in questi anni e che mi pare sia stata messa un po' in discussione dagli ultimi interventi, spesso a gamba tesa, del Governo. Altrimenti, come vedreste una prospettiva che colloca gli enti in una dimensione diversa?
Un'ultima veloce domanda. Ho letto delle indiscrezioni su un decreto che riguarda soprattutto i patrimoni dell'INPS e dell'INPDAP. Vorrei sapere più esattamente in cosa consiste: si parla di nuove alienazioni e non si capisce bene se si tratti di sedi strumentali o d'altro. Mi sembra di capire che a settembre il Governo abbia emanato nuove disposizioni.
EMERENZIO BARBIERI. Lo ha letto su L'Unità, vero?
PIETRO GASPERONI. L'Unità ha dedicato una pagina intera alla questione.
PIETRO GASPERONI. Ma erano parole del presidente del CIV dell'INPDAP. Vi chiedo se sia tutto inventato o meno.
PRESIDENTE. La richiesta è chiarissima. Penso che i soggetti abilitati a rispondere dovrebbero essere coloro che hanno reso queste dichiarazioni; tuttavia, essendo già stato audito il presidente del CIV dell'INPDAP, non mi sembra questa la sede per farlo. In ogni caso, la prossima audizione sarà con il Governo e in quella circostanza saremo certamente edotti in merito.
Do la parola alla dottoressa Amalia Ghisani, presidente dell'ENPALS.
AMALIA GHISANI, Presidente dell'ENPALS. Anch'io ringrazio la Commissione perché il suo lavoro, in questi anni, ha costituito un accompagnamento rassicurante per la vita degli enti: almeno c'è stato qualcuno a cui a volte abbiamo potuto raccontare quello che pensavamo.
PRESIDENTE. Non trasformiamo la Commissione in un mero «sfogatoio»; penso che abbiamo svolto anche qualche altro ruolo più importante.
AMALIA GHISANI, Presidente dell'ENPALS. Anch'io, come il presidente Sassi, ho avuto modo di leggere i resoconti delle audizioni: si è trattato di un lavoro prezioso, che speriamo servirà per il futuro, al di là della durata della legislatura.
Cercherò di essere sintetica nel porre tre problemi. Innanzitutto, ci chiedete la nostra esperienza. L'ENPALS è un ente piccolo e i suoi organi sono stati istituiti da poco tempo, un anno e mezzo fa. Siamo giunti a un gentlemen's agreement, per cui gli elementi di conflitto sono stati superati attraverso un faticoso lavoro di mediazione che fa funzionare le cose. Non è un caso che il faticoso lavoro di mediazione qualche volta produca risultati positivi.
Sono attratta dai quesiti posti dall'onorevole Gasperoni, che sono alla base della nostra audizione. Al momento sono state analizzate tutte le criticità e ne sono stati esposti i limiti. Sono molto preoccupata: in questi anni, abbiamo subìto la fatica e i conflitti di questo lavoro. Il rischio è di affidarci a scorciatoie organizzative che semplifichino il lavoro e magari rispondano a principi di maggiore efficienza, ma, a mio avviso, non si esce dalle tre polarità che oggi caratterizzano la natura degli enti previdenziali, autonomie funzionali dello Stato. Prima fra tali polarità è la partecipazione, fondata costituzionalmente e
con una radice storica ineludibile. La storia viene dalle casse, con la presenza delle parti sociali, quindi la polarità della partecipazione non è eludibile perché è strutturale al mondo previdenziale.
E non è eludibile - lo dico all'onorevole Gasperoni - neanche un'altra polarità: gli enti previdenziali sono autonomie funzionali dello Stato, sono un pezzo di welfare. Negli ultimi dieci anni lo Stato - non mi riferisco al Governo - è intervenuto pesantemente sul sistema previdenziale e su quello di welfare. Era impensabile che non intervenisse sugli enti previdenziali, i soggetti abilitati a far funzionare il sistema previdenziale. Inoltre, in questi ultimi anni il sistema previdenziale ha avuto una crisi di tipo economico, che ha comportato trasferimenti dallo Stato agli enti previdenziali. Com'è possibile, allora, cancellare questo ruolo? Sono autonomie funzionali, ma articolazioni dello Stato. Nel bene e nel male, gli enti previdenziali fanno parte della pubblica amministrazione allargata; e nel bene e nel male, dovranno fare i conti con la legislazione, con gli obiettivi fondamentali di risanamento della finanza e così via. Però non devono essere enti strumentali. Come ci riescono? A mio avviso, con il radicamento nella partecipazione, cioè con le autonomie funzionali.
Un altro perno delle tre polarità: non sfuggiamo dal fatto che gli enti previdenziali sono articolazioni dello Stato, regolate dal diritto amministrativo. Il presidente Staderini ha giustamente suggerito di risolvere la questione introducendo la figura dell'amministratore delegato. Ma noi siamo pezzi di Stato e quindi le procedure faticose e complesse della separazione fra indirizzo e gestione e del funzionamento della tecnostruttura secondo regole burocratiche dobbiamo tenercele. Non c'è un atto che possa far saltare la catena della procedura burocratica e normativa. Le soluzioni possibili sono tante, ma a queste tre polarità non si sfugge. Non esiste una soluzione tecnicistica o organizzativa alla complessità della governance.
Aggiungo una riflessione scaturita dai resoconti delle audizioni. Vi cito una mia piccola esperienza. Quando nel 1996 il Governo decise di avviare la vendita degli immobili, i sindacati protestarono. Il Governo disse che le possibilità erano tre: non dare il fiscal drag, aumentare i contributi oppure vendere gli immobili. In un luogo concertativo, ci convincemmo tutti che la soluzione giusta fosse la vendita degli immobili. I CIV degli enti a quel tempo non obiettarono al piano di vendita degli immobili: il sistema duale prevedeva a monte una condivisione del processo di cambiamento del sistema previdenziale; questo semplificava i problemi di conflitto fra gli organi.
PRESIDENTE. L'attuale situazione di contrasto è dovuta quindi a una diversificazione politica?
AMALIA GHISANI, Presidente dell'ENPALS. No. La situazione è dovuta al fatto che se gli ineluttabili cambiamenti del sistema previdenziale sono frutto di concertazione, quindi di accordo e di condivisione, diventa molto più semplice trovare un punto di equilibrio all'interno degli enti, dove sono presenti le parti sociali e lo Stato, con i suoi obiettivi e i suoi interessi. E il mancato raggiungimento del punto di equilibrio non è necessariamente dovuto al sistema duale. Il fatto è che le questioni sono troppo grosse e attengono complessivamente al sistema previdenziale. Non è solo un problema di governance degli enti.
Nel mio ente, ad esempio, prima di uscire dal commissariamento le forze sociali e il Governo tentarono di superare il sistema duale. Ci fu un confronto con tutti i soggetti e si giunse all'idea di un organo che non era né CIV né consiglio di amministrazione, ma era qualcosa in cui era presente una parte di forze sociali e una parte di Governo, di Stato. Stiamo attenti, i soggetti sono due: se qualcuno pensa che bastino le parti sociali commette un errore, poiché occorre anche l'espressione statuale. Quando cadde il modello che si voleva sperimentare? Quando si discusse
su quale dovesse essere la maggioranza in questo organo: dello Stato (o del Governo) o delle forze sociali?
Sono convinta che da questi tre problemi non si sfugga: siamo un'articolazione dello Stato; siamo un ente; siamo enti partecipati, regolati dal diritto amministrativo. Non c'è amministratore delegato che tenga: queste polarità vanno tenute insieme. In tal senso, il sistema duale può essere rivisto, chiarito e rimesso in sesto, magari anche trovando una soluzione con un numero inferiore di organi. Ma a queste tre polarità non si sfugge. Il Governo dovrà dire ciò che pensa sugli enti previdenziali e fornire indirizzi agli stessi: siamo un pezzo della finanza pubblica allargata e giustamente le parti sociali dovranno esporre il loro punto di vista. Occorre tuttavia individuare degli equilibri fra queste polarità.
PRESIDENTE. Ringrazio la presidente Ghisani e do la parola al presidente dell'INAIL, Vincenzo Mungari.
VINCENZO MUNGARI, Presidente dell'INAIL. Mi associo ai ringraziamenti rivolti a questa Commissione e al presidente che la rappresenta per la possibilità che ci viene data di precisare il nostro pensiero su un tema delicato e controverso. Dopo quanto è stato ampiamente detto, mi limiterò ad alcuni accenni essenziali, mantenendomi entro parametri che - per dirla con il mio amico Stefano Rodotà - sono i binari-guida per l'impostazione della soluzione di un problema giuridico, come quello oggetto della nostra audizione.
Per quanto riguarda l'INAIL, mi permetto anzitutto di richiamare la vostra attenzione sulla specificità del suo ruolo nel panorama degli enti previdenziali. L'INAIL è un ente che ha per oggetto l'esercizio di un'attività che, almeno teoricamente, richiama da vicino l'impresa assicurativa. Alle origini, infatti, l'Istituto era essenzialmente caratterizzato dall'esercizio dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, secondo la disciplina dettata dal testo unico n. 1124 del 1965. Poi fortunatamente c'è stata la «rivoluzione copernicana» legata al decreto legislativo n. 38 del 2000 che ha rappresentato una svolta per il rilancio delle sue funzioni sociali: le ha amplificate, ampliando la sfera di attività dell'INAIL, così conferendo allo stesso il ruolo primario di protagonista del welfare attivo, oltre a quello di pilastro del sistema previdenziale.
La sentenza della Corte di giustizia europea del 22 gennaio 2002 ha disatteso, com'è noto, il parere della Commissione antitrust (che in Italia ha avuto e ha tuttora una funzione fondamentale per la regolamentazione del mercato e dei rapporti concorrenziali), la quale aveva sostenuto che l'INAIL fosse un'impresa economica in senso stretto, e come tale fosse soggetta ai vincoli delle disposizioni contenute negli articoli 85, 86 e 90 del Trattato di Roma, oggi sostituiti dagli articoli 81, 82 e 86. La Corte ha invece statuito che l'Ente assolve a funzioni previdenziali - che è inutile elencare, poiché le conoscete meglio di me - in quanto connotato dal fondamento essenziale della solidarietà, consistente nell'affrancamento da un bisogno economico dei lavoratori colpiti da infortuni e da malattie professionali (ex articolo 38 della Carta costituzionale). Come ha detto chiaramente il presidente Parlato, un'impresa, sia privata sia pubblica, o qualunque altro organismo che eserciti un'attività economica, ancorché in forma monopolistica, è mossa da uno scopo lucrativo insito nell'agire per il mercato, rappresentando per ciò stesso un'organizzazione imprenditoriale. Altra cosa è invece un'attività che, quantunque ispirata ai principi di economicità ed imprenditorialità, non costituisce un'impresa in quanto opera senza fini di lucro e perseguendo esigenze di solidarietà. Ciò non esime peraltro dalla responsabilità propria di tale attività, responsabilità che sempre si accompagna all'esercizio di un potere.
Il binomio potere/responsabilità è alla base di qualsiasi organismo che abbia per oggetto un'impresa o più semplicemente un'attività economica, come l'INAIL. Orbene, questo binomio potere/responsabilità è difficilmente riscontrabile nel nostro
caso per le ragioni menzionate dal collega Parlato. Vorrei peraltro aggiungere che, come ha osservato la presidente Ghisani, ogni forma di interferenza dall'esterno, inevitabile quando si tratta di un «pezzo» dello Stato, di un ente cioè che appartiene costitutivamente alla pubblica amministrazione, ha come effetto la creazione di atti dovuti per quanto riguarda l'ente destinatario o addirittura la sostituzione agli organi deputati alla gestione dell'ente nella decisione e in certi aspetti di funzionalità. Caso a parte è quello del CIV che non ha potestà decisionali in ordine alle competenze che gli sono proprie e quindi non ha potere di imporre coattivamente l'esecuzione degli atti conseguenti alle sue direttive. Il CIV giustamente si lamenta di ciò e auspica una rimodulazione delle funzioni di vertice con la speranza che gli sia riconosciuta veste autoritativa per avere la possibilità di veder riconosciuta la coercibilità delle sue decisioni. Nell'attuale situazione ritengo che solo per la via di una intesa e di una condivisione delle azioni e degli obiettivi con gli altri organi, e segnatamente con il consiglio di amministrazione, si possa dare effettività alle deliberazioni del CIV. Orbene, sono personalmente convinto che tale esigenza sia, nell'ambito dell'INAIL, sufficientemente soddisfatta e che a questo sia dovuta, almeno di norma, la trasformazione delle sue direttive strategiche in corrispondenti atti operativi.
C'è poi da tenere conto del vincolo, in passato non sempre rigorosamente osservato, derivante dalla legge n. 88 del 1989 che, in particolare per quanto riguarda l'INAIL in ragione dell'attività da esso esercitata, pone i principi di economicità ed imprenditorialità: ossia, di trasparenza, di efficacia e di efficienza, di semplificazione e di contenimento dei costi, il tutto ricondotto ad un'esigenza di imparzialità e di buon governo (articolo 97 della Costituzione).
Partendo da queste linee guida, veri e propri assi portanti di ogni organismo economico, pubblico e privato, l'INAIL, il più imprenditoriale degli istituti previdenziali, è tra gli enti che avvertono come problema attuale ed urgente quello del superamento della dualità.
Su questo terreno, è nostro convincimento, maturato dall'esperienza, che l'opzione della semplificazione organizzativa sia la migliore. Ciò porta a sostenere che, in ragione della composizione sociale dell'ente, converrebbe inserire le parti sociali, debitamente rappresentate, nel consiglio di amministrazione, articolato in due organi derivati: un comitato esecutivo e un amministratore delegato (personalmente propendo per la figura dell'amministratore delegato al posto del direttore generale, per la maggiore fluidità e rapidità di decisione) che opererebbero sulla base di apposite deleghe, eventualmente statutariamente fissate, ab origine, da parte del consiglio di amministrazione. Questo d'altra parte è il solo modo di coinvolgere responsabilmente le parti sociali nella gestione e nell'amministrazione dell'ente.
Siamo né più né meno nell'ambito del nostro diritto, che oggi è anche diritto comunitario. Come sapete, dall'8 ottobre 2004 è entrata in vigore la società europea che, come accennavo, prevede due forme: quella «duale» e quella «monistica». Se vogliamo continuare a esercitare una attività economica come quella attuale, destinata a un progressivo sviluppo, perché abbiamo fatto...
AMALIA GHISANI, Presidente dell'ENPALS. In questo caso, l'amministratore delegato è il capo della tecnostruttura?
VINCENZO MUNGARI, Presidente dell'INAIL. Affronterò l'argomento tra un attimo. Non c'è dubbio che l'INAIL sia un ente destinato ad uno sviluppo progressivo delle due funzioni, anche in relazione a certe ricadute, oggi forse verificabili a breve distanza, a favore della competitività e quindi della riduzione del costo del lavoro, e ad un tempo a favore dei destinatari dell'attività di tutela, ossia i lavoratori colpiti da esiti lesivi sul lavoro, attraverso il miglioramento delle prestazioni. Il decreto legislativo n. 38 del 2000
ha previsto - e bisogna rendere lode al legislatore - la introduzione legislativa del danno biologico. Si tratta ormai di una fattispecie giuridicamente rilevante che riconosce il diritto al risarcimento del danno a chi, indipendentemente dall'essere produttore di reddito, sia incorso in una lesione psicofisica, constatabile attraverso accertamento medico legale. Questa norma è da rivedere perché oggi, secondo me, è diventata insufficiente a garantire un'adeguata riparazione indennitaria. Questo processo però deve passare attraverso la fondamentale salvaguardia dell'autonomia dell'ente e la precisa distinzione delle funzioni di gestione e di indirizzo strategico, la cui mancanza ha dato vita a quelle sovrapposizioni e a quelle distorsioni che tutti abbiamo qui lamentato.
PRESIDENTE. E che l'INAIL sta vivendo...
VINCENZO MUNGARI, Presidente dell'INAIL. Meglio non parlarne; non è questa la sede. Ci stiamo limitando a trattare del principio della dualità: verrà il momento in cui si dovrà adeguatamente intervenire, anche perché il sistema presenta oltretutto ampi margini di razionalizzazione e di flessibilità organizzativa.
Per le esperienze che ho potuto maturare prima in qualità di commissario straordinario, poi di presidente, vi assicuro che per un compenso modesto - e lo dico senza alcuna intenzione rivendicativa - sono costretto a sobbarcarmi un lavoro gravoso e talora stressante, spesso fino a tarda ora notturna, coadiuvato soltanto dallo staff della segreteria. Ma questo è solo un dettaglio di per sé privo di significato. Quello che preme invece sottolineare, con sincera e profonda convinzione, è che è ora di mettere gli enti previdenziali, nello specifico l'INAIL, nella condizione di dare il giusto peso alle parti sociali, che in definitiva sono gli stakeholders principali. Non dimentichiamo che sono loro che generano le risorse necessarie ad assicurare il durevole e vitale funzionamento degli enti.
Quanto al sistema duale che qui interessa, osservo che esso è sorto per effetto del decreto legislativo n. 479 del 1994 che ha previsto l'istituzione del CIV. Oggi però si può pensare di migliorare la governance dell'ente attraverso un consiglio di amministrazione in cui, come dicevo, le parti sociali possono e devono essere rappresentate, magari numericamente ridotte al minimo, secondo un criterio di turnazione elettiva. A questo punto, voglio fare un esempio su come potrebbero cambiare le cose e richiamo l'attenzione degli onorevoli Emerenzio Barbieri e Duilio, che hanno manifestato una particolare sensibilità su questo tema. Laddove abbiamo agito al di fuori del circuito, condizionato da una pluralità di organi ridondanti e senza una precisa definizione di poteri e di responsabilità (ad esempio nel campo delle assicurazioni delle casalinghe), siamo stati in grado - decidendo come presidente dell'istituto, non come presidente del consiglio di amministrazione - di innovare migliorando i contenuti dell'assicurazione specifica, e cioè aumentando da 65 a 70 anni i limiti di assicurabilità, includendo il rischio morte e abbassando la soglia di operatività della garanzia dal 33 al 26 per cento. Queste proposte hanno subitamente incontrato il consenso di tutte le forze rappresentate in Parlamento, che hanno presentato ciascuna un progetto di legge, provvedimenti poi unificati in un'unica proposta. Aggiungo che a distanza ormai di due anni si potrebbe anche migliorare ulteriormente la polizza, senza alcun benché minimo aumento. Però qualcuno al Ministero del tesoro si è opposto affermando che a tali miglioramenti osterebbe il divieto dell'articolo 81 della Carta costituzionale, ossia la mancanza di copertura finanziaria. Francamente un'obiezione del genere lascia sbigottiti! Mi domando cosa abbia a che vedere la copertura finanziaria con un'attività riconducibile all'organizzazione INAIL e che genera di per sé risorse ridondanti, gestita oltretutto da un comitato presieduto da una ex parlamentare, la dottoressa Federica Rossi Gasparrini,
con la partecipazione delle principali associazioni di casalinghe. Abbiamo, insomma, fondi più che sufficienti per dare attuazione immediata a tali miglioramenti, venendo incontro a vive aspettative delle nostre casalinghe senza minimamente intaccare i conti dello Stato.
PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Mungari. Completa la carrellata di interventi il presidente Ialongo, ultimo ma non per importanza. Peraltro, la particolarità dell'IPOST è di essere l'unico ente in cui il presidente è presente anche all'interno del consiglio del CIV. È un'esperienza particolare e quindi molto interessante.
GIOVANNI IALONGO, Presidente dell'IPOST. Anzitutto desidero ringraziare la Commissione per queste audizioni. Non mi riferisco solo a quella odierna, ma anche alle precedenti sul bilancio e su altre tematiche, che oltre a farci conoscere le esperienze e le attività degli altri enti, ci hanno permesso di dare informative alla Commissione, consentendole a sua volta di fornire indirizzi al Governo.
Mi atterrò scrupolosamente all'ordine del giorno e sarò molto sintetico. Con il decreto legislativo n. 479 del 1994, la gestione degli enti di previdenza è passata a un nuovo modello: il sistema duale. Per la verità, l'IPOST ha iniziato questa esperienza nel 1997 con il decreto ministeriale n. 523 perché, come sapete, è vigilato dal Ministero delle comunicazioni. Il nostro CIV è composto da 14 membri e si articola in commissioni che però non pesano sul bilancio perché, a differenza di quanto evidenziava giustamente il presidente Sassi, i nostri membri non vengono remunerati con gettoni di presenza per le riunioni delle commissioni.
Riporterò l'esperienza vissuta all'interno dell'ente negli ultimi otto anni, come da vostra richiesta, e avanzerò anche qualche proposta.
Per quanto ci riguarda, onestamente devo dire che il sistema duale ha funzionato. Non dimentichiamo che l'IPOST agli inizi ha avuto una gestione commissariale con il CIV. È stata un'esperienza molto lunga, durata oltre quattro anni e mezzo. Probabilmente, come qualche collega ha già osservato, la convinzione e la consapevolezza della necessità di una collaborazione per far uscire l'ente da una situazione delicata, caratterizzata da un basso livello qualitativo dei servizi offerti all'utenza, sono stati il motivo per cui abbiamo cercato di metterci sul binario della sintonia, seppur con alcune difficoltà, per far funzionare il sistema duale.
Come evidenziato in una precedente audizione, quando fu definito un'anomalia - e come accennava il presidente Amoruso -, l'IPOST è caratterizzato dalla presenza del presidente tra i 14 componenti del CIV. Rispetto il giudizio della Commissione nella maniera più assoluta; ma a chi definisce questo aspetto un'anomalia rispondo che la mia presenza nel CIV è contemplata da un decreto: quale presidente dell'ente ne sono un componente e ritengo che questa mia peculiarità abbia aiutato. Mi risulta che anche il presidente del CIV lo abbia dichiarato in occasione della sua audizione. Ha aiutato perché ha smussato alcuni toni all'interno dell'organismo e ha dato la possibilità al presidente dell'ente di fornire risposte immediate. Sarei portato a chiedere, in attesa di una modifica del sistema duale, se non sia possibile la presenza del presidente del CIV all'interno del consiglio di amministrazione, che gli consentirebbe di assumersi le responsabilità del caso. Poiché per la mia esperienza ha funzionato e ha aiutato l'efficienza e l'efficacia, perché non proporre una soluzione del genere?
Complessivamente, il mio giudizio è positivo. Se dovessi dare un contributo alle proposte avanzate, allorché il Governo esercitasse la delega per la ristrutturazione degli enti, poiché - come diceva la collega Ghisani - nei consigli di amministrazione ci sono i rappresentanti dello Stato, ma mancano le parti sociali, proporrei che queste entrino nella gestione, evitando così un numero pletorico di organismi.
Vorrei segnalare un'altra questione: non molto tempo addietro è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 2003, n. 97, che detta le regole per la contabilità degli enti. In base a
questa normativa, ogni ente deve avere il proprio regolamento di contabilità. Il potere di approvazione dei bilanci consuntivo e preventivo è demandato ai CIV: il consiglio di amministrazione li predispone, quindi li invia al CIV per l'approvazione. In caso di divergenza, interviene il ministero vigilante. Abbiamo predisposto il regolamento e l'abbiamo inviato al Ministero dell'economia per la ratifica. Il ministero ci ha detto di sostituire l'espressione attuale «predisposto dal consiglio di amministrazione» con «deliberato dal consiglio di amministrazione». Ma sulla base di questo, si produrrebbe un'altra duplicazione fra l'approvazione del consiglio di amministrazione e quella del CIV. Ho voluto evidenziare questo elemento per chiedere alla Commissione di rappresentarlo al Governo.
PRESIDENTE. La ringrazio, presidente Ialongo. Non so se qualcuno abbia usato il termine «anomalia» a proposito dell'IPOST; noi abbiamo sempre usato il termine «particolarità», che ha un significato completamente diverso. Se poi qualcuno nel discutere ha parlato di «anomalia», certamente non l'ha fatto in modo dispregiativo verso una funzione che dall'esperienza riportata risulta positiva.
Do la parola al direttore generale dell'INPDAP, Luigi Marchione.
LUIGI MARCHIONE, Direttore generale dell'INPDAP. Devo dare due risposte, relativamente al FIP e al casellario. Se mi è consentito, vorrei fornire il mio contributo da direttore generale che svolge queste funzioni da appena due anni, con rapporti non buoni, ma splendidi, sia con il presidente dell'istituto sia con il presidente del CIV.
In coerenza con l'articolo 3 del decreto legislativo n. 29 del 1993, sono convinto che debba ribadirsi la separazione degli organi della gestione amministrativa da quelli della funzione di indirizzo e vigilanza. Tale questione va ribadita con forza poiché è molto importante.
Per quanto riguarda l'aspetto politico, di indirizzo e vigilanza, non voglio entrare nel merito: è stato dibattuto dai presidenti del CIV in una precedente audizione e anche oggi è stato oggetto di altre considerazioni. Aggiungo solo che quando si parla di autonomia, bisogna tenere conto che questi enti - mi riferisco al mio in particolare - per il 93 per cento del bilancio svolgono un'attività vincolata da prestazioni di diritto. Il margine discrezionale quindi è molto ridotto. Dopodiché, se intende fare la voce grossa sull'autonomia, l'ente deve avere entrate tali da poter fronteggiare le uscite, se non vuole produrre disavanzi. In quel caso, mi pare che l'autonomia possa essere esercitata con più forza.
Condivido totalmente i principi che hanno ispirato la legge delega n. 144 del 1999, ripresa dalla legge delega n. 243 del 2004, in particolare là dove attribuisce tutte le funzioni di gestione a un solo organo collegiale ristretto. Attualmente, infatti, vi sono due funzioni e tre organi. È naturale che l'organo intermedio eroda qualcosa a quello politico e stringa le competenze dell'altro organo, quello del direttore generale, con una conseguente invasione di campo. Se vogliamo che gli enti funzionino, bisognerebbe evitare la deresponsabilizzazione. Nel nostro caso sta funzionando: il ruolo è rimesso all'interpretazione delle persone fisiche, quindi alla qualità dei componenti del consiglio di amministrazione e dei presidenti del CIV.
Volevo esporre queste riflessioni perché l'INPDAP è il primo ente ad aver avviato il sistema - cui accennava il presidente Ialongo - della contabilità economica, insieme a quella finanziaria. È stato avviato l'anno scorso, ma non era ancora completo; abbiamo predisposto tutti gli adempimenti regolamentari e organizzativi e il supporto informatico per formulare i nuovi documenti di bilancio. Si tratta di una riflessione importante, ma non l'ho sentita finora, se non per l'accenno del presidente Ialongo. Dopo l'avvio dell'anno scorso, quest'anno abbiamo predisposto il sistema entro il 15 ottobre, come da regolamento, con tutti gli allegati, che sono davvero tanti.
È un unico organo, quello politico, che definisce gli indirizzi e gli obiettivi e ne riscontra la traduzione in termini operativi idonei e conformi nella predisposizione degli atti di bilancio; approva il bilancio e la programmazione, assegnando le risorse alle unità previsionali di base; con poteri regolamentari delimita gli ambiti entro i quali la gestione deve esercitare la propria funzione autonoma. Tale funzione, anche in questo caso svolta da un unico organo (richiamo il principio della legge delega per evitare possibili interpretazioni di ruolo con effetti deresponsabilizzanti), sarà chiamata all'attuazione di programmi e al raggiungimento degli obiettivi. Quindi, nello svolgimento della funzione di vigilanza, l'organo politico verificherà la realizzazione della programmazione e il raggiungimento degli obiettivi, assicurandosi - e questo è importante per i vari enti - che sia attuato quanto previsto dalla legge.
In generale, il sistema dei controlli dispone di numerosi organismi e va dal controllo strategico alle relazioni sul controllo di gestione che devono essere trasmesse trimestralmente al CIV, alla valutazione della dirigenza con tutti i criteri, fino ad una valutazione - non credo che si arriverà allo stadio suggerito dal presidente Sassi - che, quantomeno dal punto di vista economico, riesca a individuare chi ha realizzato gli obiettivi e chi non li ha realizzati.
L'approvazione del bilancio consuntivo, nella sua nuova formulazione, attesterà il rispetto degli impegni della gestione nei confronti dell'organo politico. In tal senso, non mi pare poco il potere attribuito a questo nuovo organo: dà l'indirizzo politico, può verificare la programmazione e approvare il bilancio di previsione e quello consuntivo. A mio parere, è un potere enorme e dato giustamente: le parti sociali saranno presenti e assicureranno che il principio venga rispettato.
Tale chiarezza non consente la formazione di zone grigie, che possano dar luogo ad aspetti deresponsabilizzanti. Insisto molto su questo punto: negli ultimi due anni, ogni volta che si contestava qualcosa c'era sempre un margine, una zona grigia, tra potere e responsabilità, in cui non si sapeva di chi fosse la responsabilità. Sono convinto - e concludo - che in tal modo, anche sotto l'aspetto organizzativo relativo alla predisposizione del bilancio economico, la funzionalità degli enti sarà più agile, efficace, efficiente ed economica, perché sarà più chiaro a chi spettano le responsabilità.
PRESIDENTE. Se mi consente, vorrei ricapitolare per avere un quadro sinottico preciso. La sua esposizione è stata puntuale: lei ribadisce la validità del sistema duale e della separazione di funzioni così come oggi prevista, ma bisogna intervenire sulle funzioni, sulle competenze.
LUIGI MARCHIONE, Direttore generale dell'INPDAP. Per quanto riguarda la separazione, dovrebbero esserci due organi invece di tre. A voi la scelta di quali organi, purché uno rappresenti la parte politica e l'altro si occupi della gestione. Ma senza un organo intermedio: le mediazioni deresponsabilizzano.
Devo rispondere su due questioni. Cominciamo dal casellario: mi pare sia una domanda ricorrente, in particolare da parte del senatore Pizzinato. Non sono stato abbastanza chiaro l'ultima volta; mi auguro di esserlo in questa sede.
Noi tutti ignoriamo che il pubblico impiego rappresenta una particolarità nella previdenza del nostro paese. Dall'unità d'Italia alle riforme degli anni novanta, la previdenza è stata svolta dagli enti datori di lavoro (amministrazioni datori di lavoro) e non da un terzo soggetto, come nel privato, in cui l'ente previdenziale era l'INPS. Anche dal punto di vista culturale, quindi, era tutto delegato alle amministrazioni e il pensionamento si avvertiva solo un momento prima di andare in pensione. I patronati erano assenti dal pubblico impiego, per essi non c'era spazio: il loro ruolo era svolto dall'ente datore di lavoro.
L'importante riforma che disegna la nuova previdenza, delegando un terzo a imbrigliare e governare la spesa previdenziale,
ma soprattutto ad affiancare il lavoratore nelle sue scelte, ha portato alla riorganizzazione generale del sistema e alla costituzione - e lo sottolineo - di una banca dati, che era assente e che stiamo creando. Peraltro - è presente il presidente dell'INPS - devo dire di aver ravvisato una scorrettezza nel modo in cui, su Il Sole 24 Ore, è stato riportato un promemoria al consiglio di amministrazione con il quale, per supportare una struttura del progetto e trasformarla in una struttura istituzionale dell'INPS, si sono fatte delle osservazioni che erano proprie della commissione del casellario e che, certamente, non erano né del dirigente né del direttore generale. Il rapporto sulla banca dati è con il casellario e non con l'INPS; tra l'altro si tratta di un servizio offerto. Tali valutazioni andavano evitate, soprattutto perché qualche giorno prima il direttore generale, scrivendo al casellario, aveva assicurato che i tempi previsti sarebbero stati rispettati. Il casellario ha tenuto conto delle difficoltà di costituzione ex novo di una banca dati e ha fissato delle scadenze che intendiamo rispettare. Il mio impegno è di rispettarle per avere per la prima volta in Italia, nel 2007-2008 (i termini finali del casellario), uno strumento importante di previdenza: la banca data dei dipendenti pubblici.
Veniamo ora al secondo aspetto. Anche per noi è stata una sorpresa leggere su L'Unità di domenica scorsa la questione dell'immobile dell'INPDAP e dei quattro dell'INPS. Il giornalista che ha scritto quell'articolo sembra molto informato. Si tratta di un provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, credo il 20 ottobre; la tecnostruttura e il direttore generale che vi parla non ne sapevano assolutamente nulla. L'operazione rientra nella creazione di un fondo che, lo sottolineo, fa parte dei beni strumentali degli enti pubblici. Sicuramente c'è stata una grossa svista: per coprire l'importo di alcuni apporti residenziali, all'ultimo momento sono stati venduti degli immobili strumentali. L'errore è che non si tratta di un bene strumentale dell'istituto; quindi dobbiamo fare molta attenzione, perché il fine del FIP era di assicurare il canone per un certo numero di anni. Non utilizziamo quel bene, perché era a reddito: era stato dato al Ministero della pubblica istruzione, che pagava un canone all'INPDAP. L'impegno dovrebbe spostarsi verso la pubblica istruzione, ma non è strumentale; guarda caso, lo ha in locazione con un proprietario che è interessato all'operazione. Dobbiamo dunque vigilare sulla situazione. Come tecnostruttura, abbiamo già contestato formalmente l'operazione: non sappiamo quanto ci viene accreditato per l'immobile e non sappiamo tante altre cose al riguardo. Per via burocratica, è stata chiesta cognizione di tutti gli elementi, per poter poi formulare una nostra azione.
PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Marchione. Do la parola ai commissari che intendano porre delle domande ai nostri ospiti.
LINO DUILIO. Vorrei rivolgere un paio di domande ai presidenti dell'INPS e dell'INAIL. In generale, non so se il Governo eserciterà la delega o se farà una proposta tenendo conto metodologicamente di quanto detto dal presidente dell'ENPALS, ma poiché ci riferiamo a un ambito che riguarda le parti sociali, una concertazione, sarebbe utile disporre di una proposta.
Dal presidente dell'INPS, in particolare, vorrei sapere cosa propone. Stando a quanto ho capito a suo tempo, la distinzione operata con il sistema duale, se posso permettermi un parallelo, a grandi linee riflette la distinzione tra le funzioni del Parlamento e quelle del Governo. Mi spiego meglio: il Parlamento legifera da un punto di vista generale e astratto e fissa indirizzi all'interno dei quali opera il Governo, che ha un Presidente e un Consiglio dei ministri, che attua ciò che in termini generali e astratti è stabilito dal Parlamento. Qual è la preoccupazione? È consegnare alle parti sociali, che rappresentano l'azionariato di questi enti, una funzione non paritaria, ma preminente rispetto agli altri rappresentanti, affinché gli stessi enti, che hanno a che fare con il
welfare italiano, vengano gestiti all'interno delle linee generali di indirizzo, rispetto alle quali si esercita la vigilanza, in modo da perseguire alcuni obiettivi in coerenza con quanto espresso dai rappresentanti legittimi di questo azionariato diffuso. Credo che questo sia il senso di quella operazione, un sistema presente non solo in Italia.
Il punto principale è capire se si vuole tenere in piedi questo tipo di sistema, anche dal punto di vista ideologico, cioè se si intende conservare la funzione di indirizzo e quella conseguente di vigilanza, riconoscendo ai soggetti che rappresentano questo azionariato diffuso la legittimazione a esprimere orientamenti all'interno dei quali viene esercitato il governo degli enti. Non è come riportare i rappresentanti delle organizzazioni sindacali nei consigli di amministrazione: si tratta di due cose ben diverse, che vanno distinte concettualmente.
Alla luce della vostra esperienza, vorrei sapere se le riteniate due concezioni diverse e distinte: se quindi, prendendo atto di quanto realmente accaduto, questa filosofia di governo degli enti di previdenza del welfare italiano debba essere conservata o se debba essere abbandonata. Da questo punto di vista, sono un laico e non ne faccio una questione religiosa: dopo un'esperienza di un certo numero di anni, potremmo concludere che sia sbagliato il principio. Non si tratta di un problema caratteriale, per cui le cose funzionano se vanno d'accordo i presidenti dei CIV e degli enti, altrimenti funzionano male. A mio avviso, questo non ha nulla a che vedere con la situazione, così come non vi hanno nulla a che vedere le mirabili esperienze di collaborazione che si sono avute. In sostanza, si tratta di capire se il principio sia da mantenere o da abbandonare, alla luce delle esperienze maturate. Dunque, la valutazione deve essere svolta in termini acritici e obiettivi e non in riferimento alle dimensioni soggettive dell'agire di Tizio, Caio o Sempronio.
Peraltro, se ci addentrassimo nel discorso delle questioni gestionali attinenti a peculiarità caratteriali, potrei far notare che vi sono esperienze, tuttora in atto, di dualismi intercorrenti tra il presidente del consiglio di amministrazione e il direttore generale dello stesso ente. Ci sono direttori generali che parlano e agiscono come se fossero i presidenti, e non solo all'interno degli enti, ma anche in Commissione. Alcuni direttori generali hanno detto addirittura che bisognava cambiare tutta la legislazione, perché era stata elaborata sotto dettatura della magistratura. Per altro verso questa legislazione è invece molto lodata.
Il problema va dunque ricondotto ai suoi termini formali e sostanziali, anche perché le sue fisiologiche caratterialità non ci interessano. La mia curiosità intellettuale, oltre che il mio senso di responsabilità di legislatore, è se, in base alla vostra esperienza, questo principio vada conservato o abbandonato.
Ovviamente, in via subordinata, discende un'altra serie di domande: se lo si conserva, va modificato? Se sì, in quale modo? Come suggerito da qualcuno, si potrebbe mantenere il CIV, riorganizzandolo in maniera meno pletorica, cioè essenzializzandolo? Si potrebbe considerare l'esperienza particolare - non anomala - del presidente dell'IPOST o qualche altra soluzione? Siamo sempre all'interno di un'accettazione e condivisione del principio, pur sempre da migliorare alla luce dell'esperienza maturata?
Una domanda la rivolgo al presidente dell'INPS, la cui puntuale analisi mi ha incuriosito. Ha parlato di accorciare la catena di comando; di diminuzione degli organi; delle parti sociali che devono essere tenute all'interno degli enti; di organi meno pletorici; di poteri e responsabilità. Tutto questo discorso va a parare alla conservazione della filosofia dell'impianto oppure all'abbandono dello stesso e al ritorno - sostenuto dal collega Emerenzio Barbieri in alcune sedi - alla situazione preesistente, ossia ai consigli di amministrazione in cui si invitino i rappresentanti sociali a ritornare?
Inoltre, rivolgendomi al presidente dell'INAIL (ma credo che la questione riguardi anche l'INPS) vorrei riprendere
quanto espresso dal collega Gasperoni. Egli diceva che stiamo discutendo all'interno di un ambito che, in quanto a competenze, indirizzi e al rispetto dell'autonomia, è stato non dico devastato - si tratterebbe di un'affermazione troppo di parte e ideologica - ma certamente modificato da alcune decisioni prese di recente dal Governo. Quest'ultimo non si è limitato a esercitare una funzione di vigilanza, attraverso i ministeri, ma è entrato come un elefante in una cristalleria, facendo passare gli enti da proprietari ad affittuari dalla mattina alla sera (e non mi riferisco alla questione degli alloggi privati, bensì alle sedi strumentali, perché il problema era quello). Lo dico anche per riprendere alcune affermazioni un po' eccentriche, fatte in questa sede da qualche autorevole esponente del Governo.
Ora, la mia domanda è la seguente: visto che questo intervento all'interno della gestione dell'ente ne ha modificato - uso un termine neutro - la situazione precedente relativamente all'autonomia e visto che permane una responsabilità da parte delle rappresentanze degli enti (presidenti, direttori generali, e così via) per la gestione, vorrei sapere cosa stia succedendo rispetto al loro fine istituzionale, che, non dimentichiamolo, trattandosi di un pezzo importante del welfare italiano, consiste nell'offrire servizi ai cittadini.
Faccio un breve esempio, prendendo spunto da quanto accaduto a Milano. In quella città, una sede dell'INAIL è stata venduta a un fondo di proprietà nel quale è presente un rinomato imprenditore milanese. In questa sede - un piccolo dettaglio - gli ascensori non hanno funzionato per quattro mesi. Alcuni infortunati sono stati costretti a salire le scale con le stampelle per accedere ai piani superiori. È sorta così una diatriba circa la competenza sulla manutenzione degli ascensori che, tra l'altro, venivano miracolosamente aggiustati solo quando arrivava il direttore generale o il presidente. Non dimentico che la funzione di questi enti è di servire il cittadino in base a un diritto e non a un'elargizione. È un argomento su cui abbiamo discusso polemicamente e che ci interessa tutti. Possiamo essere di parte, ma l'oggettività del discorso rimane: alcuni cittadini devono ricevere dei servizi da parte di questi enti, che però non sono più in grado di fornirli, in quanto le sedi deputate a erogare tali servizi non sono più di loro proprietà, ma appartengono ad altri, che dovrebbero curare la manutenzione ma non lo fanno. Di conseguenza, gli infortunati sono costretti a salire le scale con le stampelle. Vorrei sapere di chi sia la responsabilità se un cittadino va in tribunale a denunciare che si è rotto una gamba mentre saliva le scale a piedi perché l'ascensore era rotto. Vi domando se vi siete posti questo problema, considerato che prima parlavate di rapporto tra potere e responsabilità.
Infine, chiedo qualche informazione in più circa gli oneri di questa operazione. Come sappiamo, da proprietari siete diventati affittuari. Pagate quindi una pigione, che costa. Mi sembra che qualcuno abbia detto che il costo del canone, parificato al costo che si sosterrebbe nel caso di accensione di mutui per l'acquisto delle sedi, porterebbe quantomeno all'opportunità di una valutazione di convenienza in termini di comparabilità. Vorrei sapere se sia un'iperbole, una considerazione strampalata, oppure se sia stato affrontato un discorso di costi, giungendo a conclusioni non tanto di carattere politico, quanto riguardanti l'economicità di un'operazione che, se ha assicurato allo Stato introiti una tantum, allo stesso tempo, attraverso l'altra via a carico della pubblica amministrazione (il bilancio pubblico allargato), produce oneri che sono comunque degni di stima.
EMERENZIO BARBIERI. Non farò domande, non solo perché appena terminato il mio intervento dovrò andare via, ma anche perché, avendo prestato attenzione, credo di aver ben compreso quanto detto dai presidenti degli enti in merito alla questione. Ammetto con piacere di aver riscontrato che in alcuni presidenti si fa strada la convinzione, che ho sempre posto a base delle mie considerazioni, che non vale la pena introdurre molte modifiche
e che forse la cosa migliore è ritornare ai tempi antichi.
Tuttavia, in queste audizioni due o tre questioni mi hanno colpito. Più che delle domande, farò, quindi, qualche osservazione.
Concordo con il presidente Sassi: un sistema come questo, se funziona, rappresenta un'eccezione; la regola è che non può funzionare. Perché? Ho notato che i presidenti hanno letto attentamente i resoconti dell'audizione dei presidenti dei CIV in questa Commissione. Se sovrapponete le osservazioni espresse da voi con quelle dei presidenti dei CIV, noterete che sono specularmente identiche, ovviamente su versanti diversi. Questo conferma che il problema non è la cattiva volontà del presidente Mungari, del presidente Sassi o dei presidenti dei CIV. Il problema è la struttura di questa impostazione, che non può funzionare. Mi permetta di dirle, presidente Ialongo, che trovo addirittura ridicolo - se mi consente il termine - che si ponga rimedio alla questione cooptando i presidenti dei CIV nei consigli di amministrazione. Si tratterebbe di una di quelle cose tipicamente italiche, anzi borboniche, perché onestamente ignoro come si possa introdurre in un consiglio d'amministrazione...
PRESIDENTE. Non parliamo male...
EMERENZIO BARBIERI. Dal punto di vista della fantasia, ne sto parlando benissimo: la fantasia era molto superiore a quella attuale.
PRESIDENTE. Anche nel periodo di questa Repubblica c'è fantasia.
EMERENZIO BARBIERI. Come si può immaginare che il presidente di un organismo che dovrebbe indirizzare e vigilare faccia parte di un organismo che deve gestire?
Dobbiamo, dunque, arrivare a una soluzione. A me va bene tutto, ma il problema di fondo è avere un unico consiglio nel quale i padroni - ha fatto bene a ricordarlo il presidente Sassi - siano coloro che eleggono il consiglio d'amministrazione, esattamente come si fa nelle società per azioni. In quest'ottica, possiamo anche accorciare la catena di comando, ma la sostanza rimane esattamente questa.
Per quanto riguarda la storia dei ministeri vigilanti, devo ammettere che è allucinante. Oggi ho imparato che si fanno addirittura le ispezioni; lo dirò al mio amico Baccini. Tuttavia considero inimmaginabile che il Ministero della funzione pubblica si metta a fare il terzo ministero vigilante con le ispezioni. Ha ragione il presidente Sassi: se si ha presente questa bardatura e se si deve dar conto di tutto, a mio avviso prendete il doppio di quanto dovreste! E non vi sembri paradossale.
PRESIDENTE. Nel sistema di controllo ci sono altre anomalie. Lo stesso nucleo di valutazione è un organo di consulenza del ministro e non ministeriale, ma è diventato a tutti gli effetti un organo di controllo degli enti, in modo particolare degli enti privatizzati.
EMERENZIO BARBIERI. Se tutte queste cose funzionassero, infatti, il vostro lavoro dovrebbe consistere solo nel tenere delle riunioni. Per questo dico che finite per avere un'indennità superiore a quella che dovreste percepire in rapporto agli impegni.
Ritengo quindi che si debba procedere in direzione di una forte riduzione. La questione dell'ispezione ministeriale è un po' problematica: il Governo si muove come una sorta di piovra. Dovrebbe avere una sua struttura, ma non dovrebbe esistere una differenziazione tra le ispezioni del Ministero del lavoro e quelle del Ministero dell'economia o della funzione pubblica. Da questo punto di vista, bisogna operare un'ulteriore riflessione in sede di Commissione.
Alla presidente dell'ENPALS faccio notare che non concordo molto sulla questione della concertazione. È vero e gli esempi citati lo testimoniano: quando ci si mette d'accordo le cose funzionano meglio. Tuttavia, quando si discute e non si
raggiunge un accordo non bisogna riconoscere ad alcuno il potere di dire che non si va avanti. La battaglia di ieri è solo l'ultimo epilogo. Certo, la sinistra fa il suo mestiere, noi faremmo la stessa cosa se fossimo all'opposizione. Ma non si può dire che non si va avanti perché non ci si mette d'accordo. Auspico che, magari in un serrato confronto con i sindacati e con le associazioni imprenditoriali, il Governo possa individuare una soluzione al sistema duale, ma sono anche dell'opinione che, laddove non la trovi, debba comunque andare avanti. Non procedere e non far nulla è sempre un rimedio peggiore del male denunciato.
In generale, mentre i presidenti dei CIV si preoccupano di quale fine faranno - chiaramente non come persone fisiche - con il cambiamento del sistema duale, nell'audizione di oggi ho colto una maggiore preoccupazione per la riduzione delle mostruose inefficienze del sistema, in quanto voi avete più responsabilità di gestione rispetto ai presidenti dei CIV.
La informo, signor presidente, che mi adopererò affinché la questione venga rapidamente superata, perché in due audizioni - questa odierna e quella dei presidenti dei CIV - non ho trovato un solo momento nel quale io sia riuscito a comprendere la positività di questo sistema; al contrario, ho individuato solo forti elementi negativi.
VINCENZO MUNGARI, Presidente dell'INAIL. L'onorevole Duilio (e così l'onorevole Barbieri, che cordialmente saluto) ha fatto una premessa di ineccepibile verità ed acutezza: ha dichiarato che oggi si impone - come anch'io ritengo - il superamento della dualità, nel senso di abolizione del CIV e di inclusione della rappresentanza delle parti sociali (sindacali e datoriali) nel consiglio di amministrazione perché esse possono fattivamente partecipare alla gestione e al controllo dell'attività dell'istituto.
Oggi la dualità porta ad una netta compresenza di due organi distintamente separati per soggettività e funzioni: il CIV, che ha funzioni di indirizzo strategico e di vigilanza; il consiglio di amministrazione, che ha invece una funzione di governo amministrativo e, attraverso il suo presidente, anche quella di rappresentanza esclusiva dell'ente.
Quanto al direttore generale, per evitare che anche tra lui e gli altri organi si determini una discrepanza di iniziative e di decisioni, occorrerebbe che questi rispondesse al consiglio di amministrazione per i fatti di gestione più rilevanti e in ogni caso effettuasse, secondo una prassi consolidata presso tutti gli enti, un'informativa periodica e comunque su richiesta dell'organo amministrativo, sulle questioni più rilevanti dell'andamento gestionale. Insomma non è ammissibile, a mio avviso, sostenere la tesi che il direttore generale, volendo, possa paralizzare l'attività del consiglio di amministrazione, pretendendo, ad esempio, di presentare relazioni su tutti i punti all'ordine del giorno, anche quelli di stretta competenza del presidente dell'istituto, ovvero su temi afferenti a strutture di staff degli organi.
Ritornando al CIV, invece, mi pare giusta la lamentela proposta anche in questa sede dal presidente Guerisoli che, pur a fronte di funzioni importanti come quelle di indirizzo e di vigilanza demandate al CIV, si duole di non avere alcun potere sanzionatorio per pretendere dagli altri organi di dare effettività agli indirizzi strategici e alle linee guida dettate dallo stesso consiglio di indirizzo e vigilanza.
Di qui la sua proposta che si proceda ad una ridefinizione dei compiti e dei ruoli, che francamente a me sembra di più difficile soluzione rispetto a quella che prevede una rappresentanza omogenea di tutti i principali stakeholders nel consiglio di amministrazione, organo che dovrebbe occuparsi di tutte le materie afferenti la gestione e l'amministrazione dell'istituto, fermo restando il potere di rappresentante legale attribuito unicamente al presidente, come avviene anche attualmente.
Un tale sistema, giustamente preferito anche dal collega Parlato, che ha ricordato i tempi e i motivi per cui sorse il regime duale, potrebbe, tra l'altro, perfettamente intercettare quel principio che troviamo
alla base di tutte le organizzazioni collettive economiche o no, pubbliche e private, che si rifà all'accountability del diritto anglosassone, ossia al binomio potere-responsabilità che condiziona in modo determinante il retto funzionamento della governance e quindi il più efficace e migliore raggiungimento delle finalità istituzionali di qualsiasi organismo collettivo.
Detto questo, non mi resta che confermare il rapporto più che soddisfacente che caratterizza, in seno all'INAIL, le relazioni tra il CIV e il consiglio di amministrazione, animati entrambi dal comune intento di valorizzare al meglio le funzioni sociali insite nella mission dell'istituto e che di questo fanno il maggior protagonista del welfare attivo e del sistema previdenziale. Un esempio? È di qualche giorno fa una seduta congiunta, voluta da Guerisoli, tra CIV e consiglio di amministrazione per un dibattito approfondito sul ruolo e le prospettive dell'INAIL ed il cui risultato è stato tutt'altro che deludente, tenuto conto anche dell'opportunità offerta a tutti i partecipanti, anche di parte datoriale, di esprimere chiaramente il loro punto di vista.
Personalmente, come ho già dichiarato, sono sempre disposto ad assecondare simili iniziative che peraltro valgono a dissipare anche insinuazioni, particolarmente accentuate in questo periodo, circa l'esistenza di tensioni tra gli organi di vertice; tensioni, a ben vedere, che non sono mai ispirate a personalismi o particolarismi, ma solo ed esclusivamente all'esigenza di far rispettare le norme ordinamentali che non sempre appaiono coerentemente trasposte negli atti e nei regolamenti interni.
L'onorevole Duilio ha fatto riferimento alla grave anomalia a suo dire rappresentata dagli atti di vero e proprio esproprio compiuto lo scorso anno dal Governo su immobili di proprietà degli enti previdenziali adibiti ad uso strumentale. Questo è vero e noi abbiamo cercato in tutte le sedi, anche quelle parlamentari, di opporci con forza e dovizia di regolamentazione, per lo più riconducibili alla specificità della posizione istituzionale dell'INAIL. Questo, infatti, ha bisogno degli investimenti a reddito per poter mantenere un livello di copertura adeguato alle «riserve tecniche», che misurano il livello e la portata dei suoi impegni verso gli assicurati colpiti da eventi lesivi originati dal lavoro, ossia infortuni e malattie professionali. Purtroppo tutto questo non è servito a molto, se non forse alla esclusione dell'edificio adibito a sede centrale dagli elenchi degli immobili oggetto di forzata cessione al FIP, fondo istituito in applicazione della legge n. 410 del 2001.
Non abbiamo però ritenuto di ricorrere ad iniziative legali in quanto, confortati in tal senso dai pareri di illustri esponenti del diritto amministrativo, non sembrava che potessero ravvisarsi profili di incostituzionalità o violazione di legge.
E purtroppo i fatti ci hanno dato ragione, almeno sino ad oggi, se è vero che il TAR ha poi respinto i ricorsi presentati da parte dei CIV dei tre maggiori enti previdenziali nonché di autorevoli esponenti sindacali. C'è solo da augurarsi pertanto che, nella perdurante ristrettezza di risorse pubbliche e quindi di difficoltà per il bilancio dello Stato, non si ripetano altri episodi del genere, ossia espropri di sedi e di uffici istituzionali, e che quindi si tenga l'INAIL al riparo dal pericolo di altre spoliazioni coattive, il cui effetto sarebbe soltanto quello di minare la stabilità dell'ente e la sua capacità di provvedere ai suoi impegni in regime, ancorché parziale, di capitalizzazione. Contro una tale eventualità sono tuttora in corso, per altra via, da parte del consiglio da me presieduto, atti idonei volti a correggere anomalie e incongruenze di origine storica (ci riferiamo, in particolare, al debito dell'agricoltura ormai superiore ai 50.000 miliardi di vecchie lire e al tasso di attualizzazione delle riserve tecniche, fermo al 4,50 per cento come stabilito nel 1958!).
È su questo problema, caro onorevole Duilio, lei che è un illustre esperto della materia previdenziale, che ci dobbiamo confrontare - voi con le vostre potestà regolamentari, noi con la nostra responsabilità propositiva - cercando insieme di coinvolgere anche, per la miglior riuscita dei nostri obiettivi, i due ministri vigilanti,
ed in particolare l'onorevole Maroni di cui possiamo attestare la particolare sensibilità alla continua e progressiva messa in valore delle funzioni di tutela e di solidarietà a cui l'INAIL assolve in conformità alle sue finalità istituzionali.
LINO DUILIO. Ribadisco al presidente Mungari che la mia domanda non si riferiva alla «reazione» dei presidenti degli enti circa l'invasione di campo - come la chiamo io - della legge n. 88 del 1989. Ormai il problema è superato. Tutt'al più si potrebbe discutere se si sia trattato di un atto dovuto, per cui i consigli amministrazione non avrebbero dovuto neanche pronunciarsi, ma non è questa la sede adatta.
La mia domanda riflette la situazione attuale: la responsabilità degli effetti che si producono per la finalità istituzionale primaria dell'ente, cioè l'erogazione dei servizi per una utenza che, per uno scarico di responsabilità del soggetto che esercisce il servizio dentro la struttura, che però è di proprietà di altri, si trova a dover subire le conseguenze cui accennavo prima. Le posso assicurare che non è un esempio né astratto, né retorico, né lontano dal vero. Quindi, ribadisco la domanda: se un cittadino infortunato per andare al secondo piano dell'INAIL sale a piedi perché l'ascensore è rotto e si rompe una gamba, di chi è la responsabilità?
VINCENZO MUNGARI, Presidente dell'INAIL. Giuridicamente è della proprietà, che non è più degli enti previdenziali.
Ad esempio, per quanto riguarda la manutenzione di una strada, se questa presenta inconvenienti e deficienze, si producono molti incidenti per effetto della cosiddetta «sorpresa»: la difformità tra lo stato apparente della strada e quello effettivo. Si crede di passare su un manto ricoperto, invece si va a finire in un fosso. In questo caso, a rispondere è il comune, a sua volta assicurato con una compagnia di assicurazione. Lo stesso accade per gli enti previdenziali: ne risponde il proprietario che, per effetto delle cartolarizzazioni, non è più l'ente.
LINO DUILIO. La ringrazio. Mi permetta però di chiosare. Nel nostro sistema di welfare è stato realizzato un capolavoro, secondo cui il cittadino utente o cliente - come si dice secondo una terminologia molto più accattivante per alcuni, ma non per me - si reca presso l'istituto che deve erogare alcune prestazioni e, a causa di questa diversità di soggetti, nel caso abbia un incidente dovrà rivolgersi al signor «X», a fronte di danni relativi a incuria, che l'ente esercente si limita a osservare. Altrimenti gli ascensori non resterebbero rotti per quattro mesi!
PRESIDENTE. Questo è un problema di diritto civile.
LINO DUILIO. Visto che questa è la Commissione di controllo sull'attività degli enti di previdenza, mi permetta di dirle che a mio avviso siamo di fronte a un problema di inciviltà, per la situazione che si è determinata. Il nostro sistema di welfare violenta il cittadino e lo costringe, nel caso in cui succedano certe cose, a doversi inerpicare nelle maglie di una burocrazia che lo porterà anzitutto a individuare il proprietario della struttura e in secondo luogo a lamentarsi con qualcuno. Come nel concreto esempio degli ascensori, alcune situazioni non consentono al cittadino di fruire del servizio e gli impongono di salire le scale a piedi, seppure abbia le stampelle.
Non mi sembra di aver raggiunto il massimo dell'efficienza e della civiltà. Ci siamo molto accapigliati, anche in questa Commissione, su discussioni astratte e lontane dalla realtà, viste le conseguenze che si producono.
VINCENZO MUNGARI, Presidente dell'INAIL. Oggettivamente però, onorevole Duilio, la situazione è dovuta alla cartolarizzazione del piano abitativo del 1996, che non ebbe alcuna reazione di parte politica.
PRESIDENTE. In questo caso rientra il discorso della concertazione. Non dobbiamo dimenticare che nel 1996, qualunque
sia stata la concertazione, non c'erano gli scioperi generali contro il Governo che dobbiamo affrontare oggi.
AMALIA GHISANI, Presidente dell'ENPALS. Qualche organizzazione li fece.
LINO DUILIO. Vorrei fare una battuta alla presidente Ghisani, che ha richiamato la decisione del 1996: già allora, per quanto mi riguarda - e i resoconti lo testimoniano - espressi parere contrario.
Personalmente, anche sul piano intellettuale, non accetto che si confonda il discorso, richiamando il tema dell'alienazione del patrimonio immobiliare di alloggi privati, con il tema delle sedi strumentali. Se tale confusione è intenzionale, rappresenta una mistificazione; se non è intenzionale, mi permetto di richiamare tutti a rendersi conto di quanto si sta dicendo.
GIAN PAOLO SASSI, Presidente dell'INPS. Ho accolto con piacere la prima domanda dell'onorevole Duilio, che mi consente di precisare meglio il mio pensiero sul punto focale. Non sono contrario al sistema duale: non penso che sia uno dei peggiori sistemi di governance. Sono contrario, piuttosto, a questo sistema duale, alla pletora degli organi. Faccio un esempio banale: il CIV dà un atto di indirizzo, dicendo che bisogna fare una certa cosa. Il documento verbale del CIV va al direttore generale e a me, che lo leggo e ne prendo atto. Ne parlo con il direttore generale, dicendogli di preparare le carte per una delibera attuativa. Ciò avviene in teoria, perché in realtà il meccanismo è molto più complesso. Dopodiché, secondo la legge, deve essere il presidente a decidere cosa inserire all'ordine del giorno. In realtà, si tratta dell'unico potere interdittivo di cui disponiamo. Supponiamo che a questo punto, per antipatia nei confronti del CIV o del suo presidente o perché non condivide le linee di indirizzo, il presidente decida di non inserirlo all'ordine del giorno. L'esempio è banale, ma serve a far capire come rimangano irrisolti una serie di nodi che poi vengono al pettine in maniera frammentaria, ma che, ripeto, non ci hanno mai impedito di funzionare.
Consentitemi di essere presuntuoso: per un periodo non abbiamo avuto né il consiglio di amministrazione né il CIV; ciononostante, l'INPS è andato avanti lo stesso per mesi. Ciò vorrà pur dire qualcosa. Probabilmente, lo stesso sarebbe accaduto se non ci fossero stati i commissari, ma il CIV e il direttore; anche senza il presidente sarebbero andati avanti lo stesso. Questo significa che qualcuno è di troppo: la catena di comando è talmente sfilacciata che alla fine non comanda più nessuno e ritorna la tecnostruttura.
LINO DUILIO. Il paese spesso è andato avanti anche senza Governo!
GIAN PAOLO SASSI, Presidente dell'INPS. Forse questo è un paese che si autogoverna. A volte, però, lo fa maluccio.
PRESIDENTE. È una delle qualità degli italiani in genere: sappiamo adattarci alle situazioni.
GIAN PAOLO SASSI, Presidente dell'INPS. Ribadisco la necessità che le parti sociali siano presenti. Nessuno può diventare il padrone di un ente previdenziale: stiamo parlando della vita, del futuro e della serenità di milioni di persone. Né ritengo corretto che gli enti diventino strumentali. Le agenzie strumentali dei ministeri sono tante e funzionano bene, ma hanno compiti completamente differenti. Giammai vi dirò che per me va bene diventare un ente strumentale di un ministero, piuttosto che di un altro. L'autonomia degli enti è importante e credo che sia una risorsa di governo anche per noi.
La mia risposta è la seguente: non è il sistema duale a non funzionare, ma è il sistema duale che attualmente governa gli enti a non funzionare.
Per quanto riguarda gli immobili - rispondo alla seconda domanda - alla fine della fiera, il 27 dicembre dello scorso anno (ho dovuto farlo anche con 39 di febbre, nonostante intorno a me ruotino il direttore
generale, il consiglio di amministrazione, i CIV, il suo presidente, 7.200 comitati e la tecnostruttura), ho litigato con il Ministero dell'economia in sede di Consiglio dei ministri. Il presidente Mungari lo ricorda. Certo, sono io il legale rappresentante, ma potevamo essere un po' più numerosi a dire di no e a cercare di opporci per limitare i danni. Per quanto possa dirne qualche esponente del Governo, toglierci le sedi strumentali ha rappresentato un fattore oggettivo di instabilità. Gli altri dove erano? Ognuno, per le sue competenze, rimaneva a casa sua. Allora cerchiamo di capirci: riduciamo la catena di comando rendendola più breve, in modo da lavorare tutti e meglio.
LINO DUILIO. E per quanto riguarda gli oneri...
GIAN PAOLO SASSI, Presidente dell'INPS. Volevo proprio arrivare a questo argomento. Abbiamo subìto l'espropriazione delle sedi e ora dobbiamo pagare un canone che, per un certo numero di anni, sarà pari alla metà del canone di mercato. Finora non abbiamo ancora avuto - quantomeno i miei uffici non me l'hanno ancora segnalato - grosse inefficienze sul piano gestionale. Tuttavia, ricordo perfettamente che quando l'argomento venne fuori, i tecnici che si occupavano della manutenzione degli immobili posero subito una domanda: «Se si brucia una lampadina, chi la cambia?». Giustamente, il presidente Mungari ricorda che il codice civile distingue la manutenzione ordinaria da quella straordinaria e le responsabilità conseguenti per gli utenti degli uffici. Comunque la nostra preoccupazione era che questi manufatti scadessero in termini di efficienza manutentiva: se dovessi chiamare il proprietario per aggiustare l'ascensore, impiegherei molto più tempo di quanto ne impiegherei chiamando la ditta di manutenzione con la quale ho stipulato un contratto. Ciononostante, per ora non abbiamo avuto segnalazioni di grossi disagi.
Per comodità sto tenendo d'occhio la sede di Varese, che è a soli due passi da casa mia: controllo se la sede è pulita, se ci sono scritte sui muri e se i pannelli sono collocati nel modo giusto. In questo caso, anche dopo la vendita ad un famoso immobiliarista, non ho rilevato alcun degrado nella manutenzione della struttura, tantomeno me lo segnalano le mie «spie» all'interno.
LINO DUILIO. Ai fini del resoconto, sarebbe meglio non parlare di «spie»!
GIAN PAOLO SASSI, Presidente dell'INPS. Ho degli amici che lavorano all'interno dell'INPS che mi avviserebbero in caso di gravi disguidi. Ovviamente, sto parlando di una sede vicina alla mia abitazione; dalle altre non ho avuto riscontro di disagi.
Sul piano strategico, abbiamo avuto uno stimolo a guardare avanti: senza entrare nei dettagli di una questione che non riguarda questa audizione, stiamo pensando di fare qualcos'altro. L'unico lato positivo è stato lo stimolo a inventare una soluzione adeguata ai bisogni degli utenti e ai nostri bisogni. Stiamo lavorando per arrivare nel prossimo futuro, spero non lontanissimo, a una dematerializzazione - per usare un brutto termine - delle sedi.
Ci siamo resi conto che oggi l'informatica è talmente avanzata da consentirci di fornire gli stessi servizi al cittadino in una sede istituzionale che può essere il bar dello sport, piuttosto che il palazzetto del ghiaccio. Stiamo lavorando a un progetto che ci consentirà, un domani, di non avere più bisogno delle sedi. Si tratta di un progetto che lascerò ai miei successori, ma che vogliamo cominciare ad attuare; crediamo di poter offrire servizi migliori, con strutture meno onerose sul piano immobiliare. Ricordiamoci che il nostro compito non è gestire immobili, ma incassare contributi ed erogare prestazioni.
PRESIDENTE. Un dato importante emerge da questa audizione: se il sistema così com'è non va, non si parla di esclusione, ma - per ricollegarsi a quanto dicevano i presidenti dei CIV - la presenza delle parti sociali è utile. Questo è stato ribadito da tutti i presidenti degli enti.
Emerge il problema, più volte evidenziato, della pletoricità di organi, della confusione dei ruoli, della mancanza di una governance forte e di una capacità sanzionatoria, quando necessaria. L'esistenza di tanti satelliti che non girano attorno a un sole, ma che vanno ciascuno per conto proprio, senza interloquire tra di loro, credo sia uno dei problemi che pesa maggiormente sulla possibilità di avere una governance utile e funzionale per l'intero sistema di previdenza.
Inoltre, non va dimenticato che se la pletoricità va riferita agli organi di gestione e al numero e alla composizione degli organi di indirizzo e vigilanza, emerge fortemente anche il problema relativo al sistema dei controlli che, così com'è, non va bene. La questione sarà posta all'attenzione del Governo, che relazionerà in merito nella prossima audizione.
Un altro aspetto sottolineato e valutato da tempo è quello dell'autonomia del funzionamento degli enti; anche questo problema deve essere sottoposto seriamente al Governo, che dovrà decidere come affrontarlo.
Ricapitolando, i problemi relativi ai controlli, all'autonomia, alla gestione e alla presenza delle parti sociali sono le quattro direttrici sulle quali oggi, grazie all'esperienza dei presidenti dei consigli di amministrazione, abbiamo dato un'indicazione forte sugli indirizzi che possono o potranno essere utili a chi è competente - in questo momento il Governo, attraverso l'esercizio della delega - per rivedere il funzionamento degli enti stessi.
Ringrazio nuovamente i presidenti ed i loro accompagnatori e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,50.
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