XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 4687
Onorevoli Colleghi! - Come è noto i Governi degli Stati
Uniti e del Regno Unito hanno dichiarato che la guerra in Iraq
si è resa necessaria a causa del possesso, da parte del regime
iracheno, di armi di distruzione di massa di varia natura:
atomica e nucleare, chimica, batteriologica. Su tale aspetto
l'ONU aveva condotto delle ispezioni nel Paese mediorientale,
durate diversi anni. Tali ispezioni, che a detta degli
ispettori nelle settimane prima della guerra erano state
condotte con una collaborazione del regime iracheno, e che poi
sono state interrotte dall'inizio del conflitto, non hanno
portato ad alcuna conclusione tale da giustificare l'attacco
armato. L'Amministrazione degli USA, in sede di Consiglio di
sicurezza, presentò quelle che definì come "prove" del
possesso o della costruzione di armi non convenzionali da
parte dell'Iraq. Tali elementi furono giudicati insufficienti
dagli stessi responsabili delle ispezioni ONU e dal Consiglio
di sicurezza dell'ONU.
Il Governo della Gran Bretagna, inoltre, produsse una
relazione, che fu presentata come prova inconfutabile, la
quale successivamente si rivelò essere in larga parte il
frutto degli studi di un ricercatore riferiti al periodo del
primo conflitto iracheno e quindi risalenti a più di dieci
anni prima.
Sono passati ormai nove mesi dalla fine della guerra in
Iraq e le forze anglo-americane occupano il Paese (lo stesso
Consiglio di sicurezza dell'ONU, nella risoluzione n. 1483 del
22 maggio 2003, parla di "potenze occupanti"). Nessuna arma di
distruzione di massa è stata reperita. Il Consiglio di
sicurezza, nella citata risoluzione n. 1483, riafferma "che è
importante disarmare l'Iraq delle sue armi di distruzione di
massa e, alla fine, confermare l'avvenuto disarmo dell'Iraq",
confermando implicitamente che l'unica parziale legittimazione
a posteriori dell'intervento in Iraq sarebbe
rappresentata dal reperimento di tali armi. Lo stesso
Segretario di Stato degli USA ha sostenuto recentemente che se
fosse stato a conoscenza allora dei dati sulle armi irachene
oggi disponibili, si sarebbe opposto al conflitto. Il capo
della task force per il rinvenimento delle armi proibite
in Iraq ha sostenuto che tali ordigni non sono stati trovati e
che probabilmente non sono mai esistiti. L'opinione pubblica
mondiale si interroga su quanto avvenuto e chiede l'evidenza
del possesso o meno di armi di distruzione di massa da parte
del regime iracheno. Grandi testate giornalistiche hanno
sensibilizzato i propri lettori sull'importanza di scoprire la
verità circa le cause reali che hanno scatenato la guerra.
In questo contesto, negli USA, nel Regno Unito e in
Spagna, si stanno avviando delle indagini istituzionali volte
a scoprire se tali armi fossero realmente nelle mani di Saddam
Hussein. Si tratta di una questione capitale per la
credibilità di quei governi tanto che il Primo ministro
inglese, pur respingendo l'accusa di aver mentito al
Parlamento e all'opinione pubblica, ha assicurato la piena
collaborazione all'indagine. Anche il Governo italiano ha
sempre appoggiato la tesi sostenuta dagli USA e dal Regno
Unito. Il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro
degli affari esteri, tanto nel riferire al Parlamento quanto
in dichiarazioni pubbliche, anche dopo la guerra, hanno
affermato con sicurezza l'esistenza di armi di distruzione di
massa in Iraq. In particolare, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha considerato, nelle comunicazioni alle Camere del 6
febbraio 2003, come vere le informazioni contenute nel
dossier che il Segretario di Stato americano Colin
Powell ha presentato al Consiglio di sicurezza dell'ONU.
A distanza di nove mesi dalla fine del conflitto
autorevoli esponenti del Governo USA hanno in parte ammesso
che il conflitto non è stato causato dai motivi inizialmente
dichiarati (il possesso delle armi da parte del regime e i
conseguenti pericoli per la sicurezza internazionale), quanto
dalla volontà di produrre un cambiamento di regime
politico.
L'interrogativo che si pone l'opinione pubblica italiana
(tra le più sensibili al mondo alle ragioni della pace e
all'opposizione a quel conflitto armato), quindi, è il
seguente: il Governo italiano era a conoscenza di informazioni
sui motivi che hanno scatenato il conflitto e
sull'attendibilità delle prove fornite, informazioni non rese
pubbliche dagli USA e dalla Gran Bretagna, o tali Governi
hanno tenuto all'oscuro l'Italia? E, nel primo caso, perché il
Governo italiano non ha fornito al Parlamento tali
informazioni? O, nel secondo caso, perché il Governo italiano
non ha predisposto proprie indagini al fine di valutare
l'attendibilità delle prove e conseguentemente la veridicità
delle dichiarazioni dei governi degli USA e del Regno Unito in
merito alla necessità di un attacco all'Iraq?
Dalle cronache parlamentari e politiche di quei giorni,
infatti, è evidente l'adesione dell'Italia e del suo Governo
alle tesi esposte da Gran Bretagna e Stati Uniti:
1) nella 242^ seduta del Senato della Repubblica il 25
settembre 2002, il Presidente del Consiglio dei ministri e
Ministro degli affari esteri ad interim intervenendo per
comunicazioni sulla questione irachena e sul Vertice di
Pratica di Mare testualmente affermò: "Il problema che è posto
oggi davanti alla comunità internazionale è chiaramente
definito. Si tratta di disarmare un regime politico
dittatoriale, quello dell'Iraq, che ha, sin qui,
bellicosamente oltraggiato le decisioni delle Nazioni Unite
sul controllo dei propri sistemi d'armamento, compresi quelli,
ormai prossimi, idonei alla costruzione di un ordigno
nucleare. Un regime che ha giocato al gatto con il topo nel
corso delle ispezioni internazionali, che sono terminate, già
nel 1998, con il ritiro degli ispettori; un regime che
minaccia di usare, o di passare ad altri perché li usino,
formidabili strumenti di sterminio chimici e batteriologici
(...).
L'obiettivo del disarmo iracheno è stato affidato, per
oltre dieci anni, alla strategia del containment, alle
sanzioni commerciali e ad un regime di ispezioni delle Nazioni
Unite che, come ho appena ricordato, è entrato in crisi fin
dal 1998. (...). Questa strategia è sostanzialmente fallita,
come dimostrano gli elementi di prova sul riarmo di Saddam
Hussein, di cui i Governi e le intelligence
dell'Alleanza occidentale sono a conoscenza (una parte di
questi, tra l'altro, è stata resa nota ieri dal primo ministro
inglese Tony Blair nel suo intervento alla Camera dei
comuni)";
2) il 16 ottobre 2002, (in occasione della visita di
Stato in Russia il Presidente del Consiglio dei ministri ebbe
ad esprimere pubblicamente la propria convinzione della
inesistenza in Iraq di armi di distruzione di massa,
provocando sconcerto tra gli osservatori e gli analisti
politici al punto che il direttore de Il Foglio ebbe a
scrivere, tra l'altro, sul quotidiano: "Compiacere Vladimir
Putin può essere piacevole, soprattutto se si vuole a ogni
costo essere compiaciuti, ma dimenticare un discorso
parlamentare impegnativo come quello rivolto dal Cavaliere
alla Camera dei deputati non è cosa saggia (...)";
3) successivamente il Presidente del Consiglio dei
ministri ebbe a correggere tale dichiarazione sostenendo che
si trattava di un parere personale, ma ancora una volta
sollevando critiche diffuse (per tutte editoriale a firma U.T.
su Il Sole 24 ore del 17 ottobre 2002: "Quello che
l'Iraq sia ormai disarmato è solo un parere personale. Un
diritto che può vantare il leader di un partito,
l'imprenditore, il Presidente del Milan, il cittadino. Ma il
Presidente del Consiglio non ha pareri personali: soprattutto
quando è anche Ministro degli esteri e ancor di più quando è
all'estero. Il suo è il parere di un Paese intero (...)";
4) ancora, il Presidente del Consiglio dei ministri
nell'Aula del Senato della Repubblica il 19 febbraio 2003,
tornò parzialmente alle sue originarie argomentazioni:
"Naturalmente tutti ci rendiamo conto che è impossibile andare
a cercare il classico ago nel pagliaio in un Paese più grande
della Francia, soprattutto tenendo conto che non si cercano
soltanto missili con testate nucleari, che probabilmente
davvero non ci sono, ma armi biologiche o chimiche che possono
essere terribili anche in piccole quantità. Le domande cui
sinora l'Iraq non ha risposto sono: dove sono andate a finire
le 6.500 bombe a testata biologica, la cui esistenza era stata
verificata dagli ispettori nel 1999; dove sono andate a finire
le 100.000 tonnellate di agenti chimici da utilizzare per la
realizzazione di bombe chimiche e biologiche; dove sono andati
a finire gli 8.500 litri di antrace, di cui si sa per certa
l'esistenza". Analoghe argomentazioni sono state ribadite
nella seduta del Senato della Repubblica del 19 marzo 2003 e
in un intervento sul quotidiano Il Foglio riportato nel
sito INTERNET del Governo italiano. Alla Camera dei deputati,
il 6 febbraio 2003, il Presidente del Consiglio affermò
inoltre che "Il popolo iracheno e la comunità internazionale
sono di fronte alla sfida di un regime - testimoniata con
tragica eloquenza da dieci anni di storia, dalle reazioni
plurime degli ispettori e da ultimo dal rapporto Powell di
ieri - che costituisce un pericolo vitale per il Medioriente e
per il mondo". E che occorreva "convincere il dittatore
iracheno a disvelare il possesso e le postazioni delle sue
armi di distruzione di massa" dando quindi credito al rapporto
del Segretario di Stato USA Colin Powell, rapporto contestato
in sede di Consiglio di sicurezza dai capi ispettori dell'ONU
e dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AEIA) Blix
ed El-Baradei;
5) è poi emersa la vicenda di un falso dossier sul
presunto acquisto da parte dell'Iraq di consistenti
quantitativi di uranio; tale documentazione è stata utilizzata
in diverse sedi e in particolare, (come richiamato dal
Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi nel suo
intervento del 25 settembre 2002) dal Premier inglese
Tony Blair il 24 settembre e successivamente il 26 settembre
dal segretario di Stato USA Colin Powell davanti alla
Commissione esteri del Senato statunitense, nonché dal
Presidente degli Stati Uniti nel discorso sullo Stato
dell'Unione del gennaio 2003;
6) dopo la pubblicazione delle prime notizie di stampa
su tale vicenda il direttore del settimanale Panorama
(organo di informazione che rientra nelle società controllate
dal Presidente del Consiglio dei ministri) intervenne
rivelando il ruolo centrale avuto dal periodico relativamente
al falso dossier e dichiarando in una intervista a La
Repubblica del 20 luglio 2003: "E' andato tutto come ha già
raccontato Elisabetta Burba. Ha avuto quei documenti da una
sua fonte, me li ha fatti vedere, abbiamo fatto le verifiche.
Lei è andata anche in Niger, io ho preso contatti con
l'ambasciata americana, per avvertirli che lei sarebbe andata
a portare il dossier", e alla domanda sul perché della
scelta dell'ambasciata americana e non dei servizi segreti
italiani risponde: "Gli Stati Uniti erano impegnati nella
ricerca delle armi irachene di distruzione di massa, sembrava
la scelta più logica";
7) dalle dichiarazioni del dottor Rossella risulta che
tale dossier fu consegnato all'ambasciata americana nel
mese di ottobre 2002; in realtà, ben prima di questa data,
emerge che in diverse sedi la notizia del presunto traffico di
uranio era già nota, tant'è che l'ex ambasciatore americano in
Gabon Joseph Wjlson, nel febbraio del 2002, viene inviato in
Niger per esaminare la veridicità delle informazioni
pervenute;
8) è fatto notorio e storicamente accertato che la
decisione di attaccare militarmente l'Iraq sia stata
determinata dalla asserita presenza di armi chimiche e
batteriologiche pronte all'uso e dalla minaccia della
realizzazione di un programma di riarmo nucleare; è
altrettanto noto che sia gli ispettori ONU che dell'AEIA,
manifestarono costantemente la necessità di proseguire le
ispezioni sottolineando la disponibilità del regime iracheno
alla cooperazione;
9) anche l'appoggio italiano alla coalizione militare a
guida USA fu determinato da tali circostanze come
esplicitamente dichiarato dallo stesso Presidente del
Consiglio dei ministri sempre nella seduta del Senato della
Repubblica del 19 febbraio 2003: "Gli Stati Uniti non
resteranno soli nell'impresa di impedire la proliferazione
delle armi di distruzione di massa in mano a chi ha già
violato così cinicamente la legalità internazionale e non
esiterebbe a mettere a rischio la sicurezza anche dei nostri
cittadini, come peraltro ha già fatto nei confronti del suo
stesso popolo. Per questi motivi il Governo ha autorizzato,
secondo i trattati bilaterali e lo spirito delle alleanze
liberamente contratte dall'Italia e ribadite nel tempo da
tutti i suoi Governi, anche dagli ultimi Governi di
centro-sinistra, tutte le misure necessarie ad assicurare dal
punto di vista logistico la possibilità della pressione
militare sull'Iraq";
10) proprio in queste ore, di fronte alla crescente
richiesta di chiarimenti da parte delle pubbliche opinioni e
di fronte alle dichiarazioni rese dall'ispettore statunitense
David Kay, i Governi degli Stati Uniti d'America e della Gran
Bretagna hanno deciso di dare vita a commissioni di inchiesta
sui fatti che avrebbero portato i servizi di
intelligence a fornire informazioni errate o
deliberatamente manipolate.
Dalla essenziale cronologia riportata è quindi di tutta
evidenza che anche il Governo italiano, oltre ad altri
soggetti pubblici o privati, ha avuto un ruolo importante in
questa complessa vicenda ed è altresì noto che sino ad ora
nessuna seria attività di inchiesta è stata condotta sui fatti
descritti e sulle conseguenti decisioni assunte; da qui
l'esigenza di fare finalmente chiarezza al fine di dissipare
ogni dubbio e anche per fornire cooperazione formale alle
commissioni di inchiesta istituite nei Paesi citati.
Onorevoli colleghi, in una situazione in cui in Iraq non è
garantita la sicurezza, l'obiettivo di realizzare "il diritto
del popolo iracheno di determinare liberamente il proprio
avvenire e di avere il controllo delle proprie risorse
naturali", menzionato dalla citata risoluzione ONU n. 1483 del
2003, appare assai incerto e lontano nel tempo, e l'Italia è
diventata "potenza occupante", con un contingente militare
sotto il comando anglo-americano, è fondamentale per il
Parlamento e per il Paese sapere se è stata raccontata tutta
la verità sul conflitto, sulle sue cause e sul suo
svolgimento, ma soprattutto quale ruolo l'Italia e il suo
Governo hanno ricoperto.
Per questi motivi si ritiene urgente e importante avviare
anche in Italia una inchiesta parlamentare, così come sta
avvenendo altrove. La presente proposta di legge istituisce a
tale fine una apposita Commissione parlamentare di
inchiesta.
Scoprire la verità su quanto avvenuto è nell'interesse del
Paese e della credibilità delle istituzioni agli occhi dei
cittadini italiani e di quelli del resto del mondo.