XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 4682
Onorevoli Colleghi! - La Corte costituzionale, con la
sentenza 9 luglio 1996, n. 238, ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'articolo 224, comma 2, del codice di
procedura penale, rilevandone il contrasto con l'articolo 13,
secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui
consentiva che il giudice, nell'ambito di operazioni peritali,
disponesse misure comunque incidenti sulla libertà personale
dell'indagato, dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle
specificamente previste nei "casi" e nei "modi" dalla
legge.
Nel caso di specie, la Corte era stata chiamata a
pronunciarsi sulla legittimità del prelievo ematico coattivo,
finalizzato alla successiva esecuzione di una perizia, e
tuttavia espressamente estendeva la sua valutazione "a ogni
altro provvedimento coercitivo atipico che possa astrattamente
ricondursi alla nozione di "provvedimenti (...) necessari per
l'esecuzione delle operazioni peritali (...)"".
Evidentemente, la portata caducatoria della sentenza
citata non può essere limitata al caso, pur estremamente
significativo, del prelievo ematico, ma si diffonde a tutti
gli atti comunque invasivi per la libertà personale - quali,
ad esempio, gli accertamenti radiografici - disposti, in
assenza del consenso dell'interessato, per l'esecuzione della
perizia.
In conseguenza della suddetta declaratoria di
illegittimità costituzionale, dunque, "fino a quando il
legislatore non sarà intervenuto ad individuare i tipi di
misure restrittive della libertà personale che possono dal
giudice essere disposte allo scopo di consentire (anche contro
la volontà della persona assoggettata all'esame)
l'espletamento della perizia ritenuta necessaria ai fini
processuali, nonché a precisare i casi e i modi in cui le
stesse possono essere adottate - nessun provvedimento di tal
genere potrà essere disposto".
Trascorsi oltre sette anni, quell'invito rivolto dalla
Consulta al legislatore, affinché intervenisse a disciplinare
il settore con norme rispondenti ai canoni costituzionali e
conformi innanzi tutto ai princìpi di garanzia affermati dal
secondo comma dell'articolo 13 della Costituzione, non ha
avuto seguito e permane, quindi, il vuoto normativo in
materia.
Questa lacuna è particolarmente preoccupante, perché, solo
che manchi il consenso dell'interessato, risultano oggi
inibiti tutti gli accertamenti che, a fronte di un'invasione
anche minima della sfera personale, potrebbero contribuire in
maniera decisiva all'accertamento della verità nel processo
penale, grazie ai continui progressi scientifici e alle più
recenti acquisizioni della medicina legale.
Eppure, secondo la stessa sentenza prima citata, "le
ragioni della giustizia penale, consistenti nell'acquisizione
della prova del reato" devono riconoscersi quale "valore
primario sul quale si fonda ogni ordinamento ispirato al
principio di legalità".
Più in generale, dovrebbe dirsi che queste indagini
tecniche servono non solo per ottenere la "prova del reato",
ma, più in generale, garantiscono la migliore ricostruzione
dei fatti, al servizio della ricerca della verità, valore
fondamentale del processo penale.
Anzi, l'esperienza ha dimostrato che gli accertamenti in
questione spesso possono fornire la dimostrazione
incontrovertibile dell'innocenza dell'imputato (indagato),
allontanando da lui i sospetti e, magari, facendogli
riacquistare la libertà o scongiurandone l'ingiusta
carcerazione.
Attesa la rilevanza dei valori coinvolti, è ormai
indifferibile un intervento normativo che colmi la lacuna
conseguita alla dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell'articolo 224, comma 2, del codice di procedura penale.
Anche le più recenti indicazioni giurisprudenziali
confermano l'esigenza di disporre, in tempi brevi, di norme di
riferimento adeguate: da ultimo, si è infatti ritenuto di
poter interpretare il rifiuto dell'imputato a soggiacere al
prelievo necessario per l'esame comparativo del DNA quale
elemento di prova integrativo e, particolarmente, quale
riscontro individualizzante della chiamata di correo. La
scelta di valorizzare contra reum tale rifiuto di
prestarsi all'accertamento invasivo, ispirata al principio del
libero convincimento del giudice, può suscitare perplessità,
soprattutto per l'assenza di norme in materia, in quanto la
negazione del consenso, da parte dell'imputato, può dipendere
dai motivi più vari (anche di carattere etico o religioso),
diversi dalla consapevolezza di poter essere individuato, per
quella via, quale responsabile dell'illecito. Il criterio
proposto non sarebbe peraltro di alcuna utilità allorché
l'atto riguardi persone diverse dall'indagato (o
dall'imputato), quali, ad esempio, l'offeso o i soggetti ad
altro titolo interessati e coinvolti nel procedimento (si
pensi alla necessità di acquisire materiale biologico da un
testimone, per confrontarlo, attraverso l'esame del DNA, con
quello reperito sul luogo del delitto, al fine di ricomporre a
posteriori la scena del crimine).
La presente iniziativa interviene dunque per rimediare al
vuoto di disciplina che si è evidenziato, muovendo dalle
indicazioni contenute nella citata sentenza n. 238 del 1996
della Corte costituzionale, nell'equilibrio tra il rispetto
dovuto alla persona che non accorda il consenso
all'accertamento invasivo e la necessità di ricercare la
verità nel processo penale, spesso a tutela, come detto, dello
stesso imputato.
Innanzitutto, si è considerato che queste attività
invasive, finalizzate all'esecuzione di una consulenza tecnica
o di una perizia, in qualche caso particolare possono
ritenersi già disciplinate dalla legge (ovvero potranno essere
oggetto in futuro di specifica regolamentazione, che magari
tenga conto dell'ulteriore evoluzione delle tecniche di
prelievo e di analisi): così, ad esempio, si ritiene che
l'accertamento dei residui di polvere da sparo sul corpo di
una persona sia un atto di ispezione personale, in relazione
al quale già dispongono gli articoli 244 e 245 del codice di
procedura penale.
Pertanto, come suggerito dalla Consulta, occorre limitare
l'attenzione ai casi diversi da quelli "specificamente"
previsti "nei "casi" e nei "modi" dalla legge".
A proposito della perizia, sia essa disposta in sede di
incidente probatorio o nelle ulteriori fasi del processo, si
prevede (articolo 1) l'introduzione degli articoli
224-bis, 224-ter e 224-quater del codice di
procedura penale.
Come risulta dal testo dell'articolo 224-bis del
codice di procedura penale, non si è ritenuto opportuno
limitare l'adozione di queste misure coattive ai procedimenti
relativi a talune categorie di reati, individuati, ad esempio,
in base alla natura o all'entità della pena. Infatti, come si
è detto, talora anche la prova dell'innocenza può essere
conseguita (solo) a mezzo della perizia e la ricerca della
verità nel processo penale deve poter giustificare un - minimo
- sacrificio della libertà personale. Del resto, gia le
ispezioni personali (articolo 245 del codice di procedura
penale) e le perquisizioni personali (articolo 249 del codice
di procedura penale) sono mezzi di ricerca della prova che
intervengono coattivamente sulla libertà della persona e ad
esse può farsi ricorso a prescindere dalla gravità del reato
per il quale si procede.
I "casi" nei quali è ammessa l'imposizione
dell'accertamento invasivo sono invece descritti richiedendo
il concorso di due elementi: a) il primo, positivo, in
quanto deve trattarsi di un atto assolutamente indispensabile
(articolo 224-bis, comma 1), quindi, non solo dovrà
essere necessaria la perizia, ma occorrerà che proprio
quell'atto invasivo risulti imprescindibile; b) il
secondo, negativo, in quanto, comunque, non potrebbero
disporsi gli atti che, in considerazione delle circostanze del
caso, possano mettere in pericolo la vita, la salute,
l'incolumità della persona ovvero risultino lesivi della sua
dignità o invasivi per l'intimo della psiche (articolo
224-ter). Si recepiscono, così, i limiti individuati
dalla sentenza n. 54 del 1986 della Corte costituzionale,
pronunciata, a proposito del prelievo ematico coattivo, in
seguito alle censure di illegittimità costituzionale degli
articoli 146, 314 e 317 del vecchio codice di procedura
penale.
Il comma 2 dell'articolo 224-bis del codice di
procedura penale precisa i contenuti della motivazione
dell'ordinanza che obbliga al compimento dell'atto, affinché
risulti verificabile il percorso logico-giuridico seguito
nella decisione; tale ordinanza (articolo 224-bis, comma
3) dovrà essere notificata con anticipo all'interessato (e, se
esiste, al suo difensore), per dargli modo di conoscere e di
valutare in tempo utile quanto gli si richiede.
L'atto deve poi essere eseguito in condizioni di massima
sicurezza, a cura o comunque sotto la vigilanza del perito,
rispettando la dignità e, per quanto sia possibile, anche il
pudore e la riservatezza di colui che vi è sottoposto
(articolo 224-bis, comma 4).
L'articolo 224-quater del codice di procedura penale
disciplina l'accompagnamento coattivo del soggetto che,
ricevuta la notifica del provvedimento che impone l'atto
invasivo, ometta senza valida giustificazione di presentarsi
nel luogo, nel giorno e nell'ora stabiliti dal giudice.
All'articolo 2 della proposta di legge si è presa in
considerazione l'eventualità in cui l'esigenza di compiere
l'accertamento tecnico che incide sulla libertà personale si
proponga durante le indagini preliminari: ai sensi
dell'articolo 360-bis del codice di procedura penale, il
pubblico ministero, se non avanza richiesta di incidente
probatorio, potrà procedere con consulenza tecnica, adottando,
tuttavia, la procedura descritta dall'articolo 360 del
medesimo codice.
Così, da un lato si garantisce al meglio il
contraddittorio, si consente all'indagato di optare per
l'incidente probatorio e, soprattutto, i risultati di
quell'attività si rendono pienamente utilizzabili, da parte
del giudice, nelle successive fasi processuali, in quanto
inseriti nel fascicolo del dibattimento (articolo 431, comma
1, lettera c), del codice di procedura penale), senza
necessità di rinnovare l'atto invasivo.
Le disposizioni dettate dall'articolo 360-bis del
codice di procedura penale richiamano, in sostanza, quelle
dettate dagli articoli 224-bis e seguenti, a proposito
della perizia; però, si è preferito disporre (comma 4) che sia
il giudice, su richiesta del pubblico ministero, a ordinare
l'accompagnamento coattivo, per introdurre un vaglio
propriamente giurisdizionale sulla procedura seguita e sulla
sussistenza dei requisiti di legge.
L'articolo 3 della presente proposta di legge modifica,
invece, il codice penale, introducendo l'articolo
372-bis, per sanzionare (con la reclusione fino a
quattro anni) il rifiuto di collaborare all'esecuzione
dell'atto, da parte del soggetto accompagnato coattivamente ai
sensi degli articoli 224-quater e 360-bis del
codice di procedura penale.
Si è avuto riguardo, in particolare, agli accertamenti
tecnici che presuppongono una collaborazione attiva del
soggetto che deve sottoporvisi (ad esempio, per insufflare
aria in un apparecchio rilevatore).
In queste ipotesi, nessuna coazione sarebbe praticabile,
ma la condotta di rifiuto potrà integrare un delitto contro
l'amministrazione della giustizia, considerando che
quell'accertamento tecnico era stato ritenuto assolutamente
indispensabile per conoscere la verità nel processo penale.
Analoga soluzione risulta del resto adottata dagli
articoli 186 e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285 (Nuovo codice della strada), a proposito della guida sotto
l'influenza di alcool o di sostanze stupefacenti.
Infatti, colui che guida in tali condizioni è punito con
l'arresto fino ad un mese e con l'ammenda da 258 euro a 1.032
euro; identica sanzione è però comminata a chi rifiuti gli
accertamenti del tasso alcoolemico o della presenza,
nell'organismo, di sostanze stupefacenti.
L'articolo 4 della proposta di legge modifica il testo
dell'articolo 375 del codice penale, prevedendo un
aggravamento della pena stabilita dall'articolo 372-bis
del medesimo codice.