XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 3859




        Onorevoli Colleghi! - La natura stessa del territorio italiano, su cui incombe tutta una serie di rischi di varia natura e che viene con sempre maggiore frequenza funestato da eventi calamitosi che comportano un pesante tributo in termini di vite umane e di distruzione di ricchezza, impone un attento e costante aggiornamento e miglioramento della normativa che regola quel complesso di attività denominate "protezione civile" e che sono appunto volte alla salvaguardia delle popolazioni, dei beni e dell'ambiente da calamità, catastrofi o situazioni comunque di rischio, generate dall'avversità della natura o dalla mano incauta dell'uomo, e soprattutto di quel bene primario che è il diritto alla sicurezza a cui ogni cittadino ha diritto.
        Già la legge 24 febbraio 1992, n. 225, nata dai disastrosi eventi sismici verificatisi nel maggio 1976 in Friuli e nel novembre 1980 in Campania e in Basilicata e che aveva fatto propria l'esperienza operativa maturata nella gestione di quelle gravissime emergenze e le procedure "inventate" dal commissario straordinario del Governo per le zone terremotate, dava un apporto decisivo alla realizzazione di un moderno sistema di protezione civile contrapponendosi al concetto superato di gestione centralizzata dell'emergenza accentrata sull'organizzazione dei soccorsi delegata quasi unicamente alle strutture del Ministero dell'interno e introducendo i nuovi criteri della previsione e prevenzione dei rischi viste in un approccio a carattere scientifico di altissimo livello, del concreto coinvolgimento del volontariato nell'attività di protezione civile, della promozione del ruolo delle regioni e degli enti locali nella gestione delle emergenze e soprattutto del coordinamento di tutte le forze disponibili nel Paese portato a livello di Capo dell'Esecutivo.
        La citata legge n. 225 del 1992 però, pur se estremamente valida e innovativa, avrebbe comunque necessitato di un continuo aggiornamento anche per essere al passo dei mutamenti che la legislazione sia nazionale che riferita agli enti locali ha subìto nel corso degli anni mentre, al contrario, ci si è limitati solo ad aggiustamenti parziali lasciando irrisolti alcuni nodi di fondo che la legge conteneva.
        In particolare il ruolo delle regioni e degli enti locali, genericamente indicato come "partecipazione all'organizzazione e all'attuazione delle attività di protezione civile", non definendo poteri e limiti delle funzioni attribuite ha dato luogo a un universo disomogeneo e non coerente di strutture e norme di protezione civile, ai vari livelli istituzionali, che male si accordano con un omogeneo modello nazionale.
        Inoltre la dipendenza funzionale dall'amministrazione centrale dello Stato, unita al mancato potere di coordinamento in sede locale, è stata il limite insormontabile a una diffusa e partecipata coscienza di protezione civile, anche in considerazione del fatto che molto spesso, ove alcune competenze venivano chiaramente attribuite, l'ente locale non disponeva di capacità gestionali e operative adeguate a farvi fronte.
        Particolarmente significativo in questo quadro è il ruolo delle province come previsto dalla legge n. 225 del 1992, ridotto a mero rilevamento di dati e a predisposizione di programmi che si traducevano unicamente in una elaborazione teorica di nozioni, vista l'impossibilità di agire sul proprio territorio nel quale la competenza operativa e di coordinamento in emergenza veniva assegnata ai prefetti quale organo periferico del potere esecutivo dello Stato. Pur avendo la legge carattere innovativo, si era voluto mantenere un ruolo di primo piano ai prefetti nel sistema di protezione civile, in luogo delle amministrazioni elettive che meglio avrebbero potuto esprimere le esigenze dei cittadini e del territorio.
        Anche il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante il conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, che ha tentato una specifica razionalizzazione dei compiti di tali enti in materia di protezione civile, ha di fatto lasciato invariato l'impianto della norma previgente se non altro perché non ha introdotto il concetto del coordinamento delle attività di emergenza in capo alle regioni e agli enti territoriali competenti.
        Il massimo della contraddittorietà in questo processo di interventi normativi si è avuto con l'emanazione del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, di riforma dell'organizzazione del Governo, che in primo luogo ha contribuito notevolmente alla confusione normativa nella materia istituendo un'agenzia nazionale di protezione civile (successivamente soppressa) e omettendo di abolire il preesistente Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, e soprattutto ha riportato in capo al Ministro dell'interno la predisposizione delle "politiche di protezione civile" nonché il relativo potere di ordinanza.
        Il successivo decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, oltre a confermare al Ministero dell'interno la competenza in merito alle politiche di protezione civile e, per delega del Presidente del Consiglio dei ministri, il potere di ordinanza a tale Ministro, ha introdotto il nuovo concetto di "grande evento", peraltro non opportunamente specificato, quale condizione per cui possono venir attivate le azioni proprie della protezione civile, ivi comprese la specifica dichiarazione di "grande evento" e la conseguente emanazione di ordinanze in deroga. Nella confusione normativa attualmente in essere, a tale innovazione è stata data una estensiva e perniciosa interpretazione in stridente contrasto con il concetto informatore di tutta l'attività di protezione civile che ha portato a dedicare a compiti di organizzazione e gestione di eventi le strutture e le risorse predisposte per far fronte alle reali emergenze.
        Di tale situazione è stato peraltro interessato anche il Parlamento, attraverso numerose interrogazioni parlamentari, che non hanno però sortito alcun effetto.
        Allo stato attuale quindi appare necessario e indilazionabile procedere a una rivisitazione complessiva dell'intera materia anche alla luce della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione", che ha elevato la protezione civile a materia di interesse costituzionale prevedendo per la stessa la legislazione concorrente, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato.
        Posto peraltro che la medesima norma assegna, sostituendo l'articolo 114 della Costituzione, a comuni, province e regioni pari dignità rispetto allo Stato, appare necessario ridefinire di conseguenza le attribuzioni in materia di protezione civile di tali soggetti istituzionali nel rispetto di norme generali di principio dettate dallo Stato.
        La presente proposta di legge si prefigge, sulla base del nuovo quadro normativo di riferimento e in particolare della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di definire i princìpi fondamentali di competenza dello Stato a cui dovranno uniformarsi le norme legislative e regolamentari emanate dalle regioni o dalle province autonome e degli enti locali anche al fine di omogeneizzare per quanto possibile i modelli organizzativi e funzionali nell'ottica di una reciproca e diffusa collaborazione in ossequio ai principi di complementarietà, sussidiarietà e solidarietà sanciti dalla legge n. 59 del 1997 che devono caratterizzate le azioni di protezione civile ad ogni livello, ordine e grado.
        Appaiono elementi qualificanti e innovativi rispetto alle leggi precedenti e tuttora vigenti:

            1) l'attribuzione delle competenze di coordinamento, nei casi previsti dalla presente proposta di legge, in materia di protezione civile ad un Ministro senza portafoglio o a un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri allo scopo delegato dal Presidente del Consiglio dei ministri;

            2) la potestà legislativa concorrente attribuita alle regioni o alle province autonome nel rispetto di norme generali di principio dettate dallo Stato;

            3) la funzione di coordinamento sia nella fase di prevenzione che in quella di emergenza assegnata ai comuni, alle province, alle regioni e alle province autonome in relazione al ruolo istituzionale rivestito e alle competenze territoriali di ciascuna amministrazione, con particolare riguardo al ruolo di coordinamento in emergenza assegnato alle province in luogo di quello precedentemente svolto dal prefetto;

            4) la funzione essenziale assegnata al volontariato di protezione civile con specifico riguardo alla costituzione dei corpi volontari comunali o intercomunali che attraverso la presenza capillare sul territorio, oltre a garantire una efficace azione di supporto alle amministrazioni comunali, contribuiscono a elevare il grado di conoscenza e di partecipazione del cittadino nell'attività di protezione civile;

            5) la partecipazione di tutte le strutture di protezione civile, di ogni ordine e grado, all'attività nazionale di difesa civile nell'ambito dei compiti istituzionali e sotto il coordinamento del Dipartimento nazionale della protezione civile;

            6) la promozione di una coscienza di protezione civile attraverso l'insegnamento di una specifica materia nelle scuole e negli istituti di istruzione di ogni ordine e grado;

            7) il vincolo per il quale le amministrazioni preposte alla redazione e all'attuazione di piani urbanistici e territoriali devono tenere conto delle mappe di rischio predisposte dagli organi di protezione civile competenti per l'attività di previsione;

            8) il criterio per il quale l'attività di protezione civile non si espleta solo in relazione alle grandi calamità o catastrofi ma comprende, secondo l'ambito di competenza previsto dalla legge stessa, tutte le attività svolte a tutela della incolumità delle persone e alla salvaguardia dei beni da rischi di origine naturale o antropica.




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