XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 3057
Onorevoli Colleghi! - Nel nostro Paese decine di
migliaia di medici prescrivono medicinali omeopatici ai circa
9 milioni di pazienti che curano la propria salute senza
gravare sul Servizio sanitario nazionale. I prodotti
omeopatici ad uso umano sono, di fatto, presenti in Italia da
molto tempo (una decisione del Consiglio di Stato in materia
risale al 1954) ma fino all'anno 1989 - quando furono
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 17 maggio
1989 le prime "Prescrizioni sulla produzione e sul commercio
di prodotti omeopatici" del Ministero della sanità - sono
stati solo tollerati; dal 1989 i prodotti omeopatici -
fabbricati in officine autorizzate dal Ministero della sanità
- sono stati adeguati a tali prescrizioni, che ne garantiscono
la innocuità e la sicurezza. Con la direttiva 92/73/CEE del
Consiglio, del 22 settembre 1992, si riconosce finalmente ai
prodotti omeopatici lo "status" di farmaci - anche se
del tutto particolari - sottoponendoli per molti aspetti alla
stessa disciplina comunitaria che fin dal 1965 regolamentava
le specialità medicinali, ovvero i cosiddetti "farmaci
allopatici". Con l'articolo 25 della legge 22 febbraio 1994,
n. 146 (legge comunitaria 1993), l'attuazione di tale
direttiva è stata delegata al Governo, con la precisazione che
"i medicinali omeopatici prodotti in Italia o importati da
Paesi della Comunità europea, presenti sul mercato italiano al
31 dicembre 1992, sono automaticamente e con la medesima
presentazione autorizzati"; la delega è stata esercitata dal
Governo con il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 185
(recante "Attuazione della direttiva 92/73/CEE in materia di
medicinali omeopatici") successivamente modificato e integrato
con altri provvedimenti legislativi. In particolare, con il
decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 185, all'articolo 1,
comma 5, si stabilisce che: "Ai medicinali omeopatici si
applicano le disposizioni concernenti le specialità
medicinali, salvo quanto disposto dal presente decreto".
Tali disposizioni si riferiscono al decreto legislativo 29
maggio 1991, n. 178, e successive modificazioni, in materia di
specialità medicinali. Nonostante la disciplina,
apparentemente organica, dei medicinali omeopatici, sono
ancora numerosi i problemi che affliggono tale settore,
soprattutto per ciò che riguarda le fasi di produzione e di
commercializzazione; ciò non può essere che la conseguenza di
una troppo facile e sbrigativa assimilazione alle specialità
medicinali di un farmaco come quello omeopatico, per
definizione "non convenzionale" e perciò del tutto
particolare.
Con l'articolo 1 della presente proposta di legge si
intende porre riparo ad una delle più evidenti ed emblematiche
difficoltà che derivano alla terapia omeopatica dalla pretesa
applicazione "ope legis" dei princìpi terapeutici
convenzionali: l'impiego di medicinali cosiddetti
"estemporanei". Come è noto, il Ministero della salute ha più
volte fatto presente, anche in sede ispettiva, che tali
produzioni omeopatiche possono essere effettuate solo nelle
ipotesi disciplinate dall'articolo 25 del decreto legislativo
n. 178 del 1991, e successive modificazioni, al fine "di
consentire la terapia di uno specifico paziente cui le
produzioni standard non sono adeguate".
Tale considerazione rientra pienamente nei princìpi e
nella prassi medica vigenti in omeopatia, che si fondano, fra
l'altro, sulla specificità psico-fisica della persona e quindi
sulla individualità del medicinale. L'impiego di farmaci
personalizzati, quindi quasi sempre non rientranti nelle
produzioni standard autorizzate, deve - contrariamente a
quanto avviene nelle terapie convenzionali - considerarsi, in
omeopatia, fatto "non eccezionale" che si verifica soprattutto
laddove questo tipo di medicina viene praticata da più lungo
tempo e la sua pratica risulta maggiormente strutturata, come
in alcuni Paesi dell'Unione europea. Ciò posto, al fine di
evitare malintesi o dubbi interpretativi dell'articolo 25 del
decreto legislativo n. 178 del 1991, e successive
modificazioni, si è ritenuto di stabilire, in modo chiaro, che
le officine farmaceutiche autorizzate dal Ministero della
salute alla produzione industriale di medicinali omeopatici su
richiesta delle farmacie possono legittimamente preparare in
modo estemporaneo minime quantità di medicinali anche se non
autorizzati.
In questo modo si adotterebbe un orientamento analogo a
quello adottato in Belgio, Paese in cui l'omeopatia è
particolarmente sviluppata, il quale ha codificato questo
fenomeno con il decreto di recepimento della citata direttiva
92/73/CEE (decreto reale del 23 giugno 1999), che prevede una
specifica norma "che svincola i medicinali omeopatici
estemporanei" dalle disposizioni che disciplinano l'immissione
in commercio dei medicinali industriali e consente alle
"officine farmaceutiche regolarmente autorizzate" di
prepararli per il farmacista che li richieda sulla base di una
specifica prescrizione medica.
L'articolo 2 intende invece sanare, almeno parzialmente,
una situazione che discrimina le aziende italiane produttrici
di medicinali omeopatici nei confronti di quelle di alcuni
Paesi dell'Unione europea, segnatamente Francia, Belgio e
Germania. I medicinali omeopatici in commercio sul nostro
territorio nazionale, grazie ad una sanatoria prevista dalla
legge di recepimento (articolo 25 della legge 22 febbraio
1994, n. 146 - legge comunitaria 1993) e tutt'ora perdurante,
ancora non dispongono di un numero di registrazione, sia pure
provvisorio, che consenta di dimostrare che tali medicinali
sono sottoposti ad una disciplina che, comunque, ne tiene
sotto controllo la commercializzazione. Ciò permette agli
altri partner europei di rifiutare l'importazione e la
commercializzazione nei loro Paesi di prodotti che ancora non
dispongono almeno di una documentata presa d'atto, se non
della definitiva approvazione, da parte delle nostre autorità.
Tale paradossale situazione produce alterazione della
concorrenza e del libero mercato in Europa, con gravi riflessi
economici e di immagine per le aziende italiane, che pure
hanno raggiunto un elevato standard di qualità e di
sicurezza. Tutti i medicinali omeopatici attualmente sul
mercato italiano, infatti, non sono mai stati valutati
dall'allora Ministero della sanità, e dall'attuale Ministero
della salute, ma risultano autorizzati in forza dell'articolo
7 del decreto legislativo n. 185 del 1995, secondo una sorta
di "sanatoria temporanea" che non tiene conto della loro forma
di somministrazione (orale, esterna o, addirittura,
iniettabile) né degli altri requisiti previsti dall'articolo 3
del predetto decreto. Essi, peraltro, coincidono con quasi il
100 per cento dei prodotti attualmente disponibili sul mercato
farmaceutico omeopatico italiano. Anzi, la legge addirittura
impone che i medicinali in questione debbano rimanere immutati
e immutabili nella loro originaria presentazione farmaceutica
fino alla data della registrazione, coincidente con il loro
primo rinnovo.
A tale data, 31 dicembre 1997, tutti i prodotti in
commercio "ope legis" avrebbero dovuto ottenere una
conferma della loro validità su domanda e dietro presentazione
di idonea documentazione. La suddetta data limite ha però
subìto nel tempo ben tre "slittamenti": il primo al 6 giugno
2000 (legge n. 347 del 1997, articolo 2, comma 2), il secondo
al 31 dicembre 2001 (legge n. 362 del 1999, articolo 5, comma
2), ed, infine, quello attualmente ritenuto definitivo al 31
dicembre 2003, in forza dell'articolo 85, comma 32, della
legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001). Nel
frattempo, tutto è rimasto irrimediabilmente cristallizzato,
con l'aggravante di un orientamento ufficioso del Ministero
della salute, a causa del quale per i medicinali in attesa di
conferma non sarebbero consentite neppure richieste di nuove
confezioni, ampliamenti di forma farmaceutica o variazioni in
genere. L'articolo 3 della proposta di legge tende perciò a
riattivare un processo di aggiornamento dei prodotti in
commercio alle esigenze ed al progresso della terapia
omeopatica, alle acquisizioni tecnologiche dell'industria
farmaceutica e, soprattutto, alle legittime esigenze delle
ditte produttrici, rendendo possibili le richieste di
variazioni sia di tipo I che di tipo II dei medicinali in
commercio, così come individuate dagli allegati B e C della
circolare dirigenziale del Ministero della sanità 18 luglio
1997, n. 9, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 176
del 30 luglio 1997. Molte delle sostanze con le quali si
preparano le diluizioni omeopatiche non sono classificabili
fra i princìpi attivi farmacologici, nel senso che - anche se
in possesso di elevata valenza terapeutica nella dottrina
omeopatica - non presentano alcun interesse curativo nella
medicina convenzionale: ad esempio diluizioni di
"Silicea", "Calcarea carbonica",
"Lycopodium", ecc. In questi casi, per la natura stessa
dei prodotti utilizzati come ceppi di partenza (biossido di
silicio, guscio polverizzato delle ostriche, polvere di
Lycopodium) i relativi fornitori potrebbero - come è
molto probabile - non possedere i requisiti dei fornitori di
sostanze farmacologicamente attive, ma risultare semplici
fornitori di prodotti chimici diversi dai princìpi attivi per
l'industria farmaceutica e pertanto non utilizzabili nella
fabbricazione dei medicinali, anche se omeopatici. Ciò mette
in grande difficoltà le aziende omeopatiche che
quotidianamente, ma senza possibilità alternative, sono
obbligate nelle loro normali produzioni farmaceutiche a
utilizzare materie prime, attive solo per l'omeopatia, ma non
per la medicina convenzionale.
L'articolo 4 della proposta di legge tende a porre riparo
a questa "anomalia farmacologia", consentendo alle officine
farmaceutiche omeopatiche di approvvigionarsi per l'utilizzo,
come princìpi attivi di partenza, anche di sostanze diverse da
quelle disciplinate dal comma 1 dell'articolo 1 del decreto
legislativo 29 maggio 1991, n. 178, e successive
modificazioni, o dichiarate dallo stesso fornitore destinate
esclusivamente a scopi di ricerca o di laboratorio. In
considerazione dell'alto numero di confezioni di medicinali
omeopatici che ciascuna azienda può immettere in commercio,
superiore anche alle 10 mila unità, ed alle dimensioni
estremamente ridotte di molte di queste confezioni, con
l'articolo 5 della presente proposta di legge si intende
stabilire che non si applica ai medicinali omeopatici la
disposizione che prevede sulle confezioni di medicinali
immesse in commercio a decorrere dal 1^ gennaio 2003,
l'applicazione del bollino previsto dall'articolo 5-bis
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540, introdotto
dal comma 1 dell'articolo 40 della legge 1^ marzo 2002, n. 39
- legge comunitaria 2001. Oltretutto, tale disposizione
comporterebbe un adeguamento tecnico dei macchinari di
confezionamento, con impiego di risorse economiche che
attualmente l'omeopatia italiana non può sopportare. Il tutto
senza peraltro produrre vantaggi per la sicurezza o
l'identificazione di medicinali che, per loro stessa natura,
sono sufficientemente sicuri e caratteristici.
Con l'articolo 6, infine, si intende istituzionalizzare
l'operato di un gruppo tecnico che permanentemente affronti i
problemi che affliggono il settore del medicinale omeopatico.
Poiché i numerosi problemi del settore sono di differente
natura e gravità, mediante un gruppo che registri il
contributo e l'esperienza delle aziende produttrici e dei
tecnici del Ministero della salute potranno essere studiate
soluzioni semplici ed efficaci. L'affrontare collegialmente i
problemi porrebbe fine, inoltre, al contenzioso che troppo
spesso ha coinvolto gli uffici ministeriali ed ampi settori
del mondo dei medicinali omeopatici, dalla produzione alla
individuazione di meccanismi di registrazione dei prodotti. Si
perverrebbe, infine, alla definizione ed alla scelta di regole
tecnico-amministrative e di sicurezza che, tenendo conto
dell'indubbia particolarità dei medicinali omeopatici,
favorirebbero l'armonizzazione delle esigenze di tutela della
salute dei cittadini con i legittimi interessi del mondo della
produzione. L'articolo 6 prevede anche la composizione del
gruppo tecnico di lavoro e le modalità della sua
istituzione.