XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 2502




        Onorevoli Colleghi! - Il latte rappresenta l'unico, indispensabile alimento in un fondamentale periodo della vita, poiché fornisce importanti princìpi nutritivi e numerosi composti biologicamente attivi. Quello vaccino è la tipologia di latte più rilevante, rappresentando più del 90 per cento di quello consumato.
        La legislazione italiana prevede che per latte s'intenda il prodotto proveniente dalla mucca, vale a dire il prodotto di secrezione della sua ghiandola mammaria, nel quale si concentrano sostanze che arrivano direttamente dal sangue e sostanze sintetizzate direttamente dalla stessa mammella. Queste ultime rappresentano la maggior parte delle sostanze bioattive presenti nel latte e ciò spiega il grande processo di biosintesi operato dall'animale. In genere, 1 litro di latte è il risultato della filtrazione di almeno 800 litri di sangue animale.
        I principali macroingredienti del latte sono il grasso, le proteine, il lattosio e i sali minerali. Il più importante di tali elementi è costituito dalle proteine, che forniscono un quarto delle calorie totali, possiedono tutti gli amminoacidi essenziali per l'uomo e sono facilmente digeribili.
        I grassi apportano la metà delle calorie e per la presenza del colesterolo sono oggetto di discussione da parte dei nutrizionisti. Ad ogni modo, la presenza di acido oleico e di trigliceridi a media catena rappresenta un indiscutibile vantaggio sotto l'aspetto nutrizionale.
        Fino agli anni antecedenti la seconda guerra mondiale, il latte vaccino veniva venduto crudo e sfuso attraverso rivendite contadine o distributori ambulanti.
        Negli Stati Uniti, il primo contenitore poliaccoppiato per liquidi alimentari entrò nel mercato nel 1915, con pure-pack.
        In Europa, all'inizio degli anni trenta il latte pastorizzato era soprattutto confezionato in bottiglie di vetro con tappo di stagnola e aveva un tempo di conservazione di due giorni.
        Nel 1938, l'istituzione delle centrali pubbliche in Italia conferì a queste il monopolio della distribuzione del latte pastorizzato, la cui vendita avveniva ancora senza l'ausilio di mezzi di conservazione.
        Dopo la fine del conflitto, ha inizio il periodo del latte sterilizzato, che si fornisce principalmente alle regioni carenti di produzioni agricole sufficientemente attrezzate: il prodotto è ancora confezionato in bottiglie di vetro con tappo a corona.
        All'inizio degli anni sessanta, l'azienda TetraPack introduce nel mercato italiano la tecnologia per il confezionamento del latte pastorizzato in tetraedri di cartoncino accoppiato, che consente una riduzione del costo di confezionamento, un'accelerazione del processo di riempimento e, soprattutto, un prolungamento del periodo di conservazione.
        A metà del decennio (1960-1970), il latte viene sottoposto per la prima volta a sterilizzazione rapida con il metodo UHT e direttamente confezionato asetticamente in questi contenitori. Siamo alla lunga conservazione del latte a temperatura ambiente, con elevati standard qualitativi, che consentono la conservazione in sostanza dei caratteri nutrizionali.
        Contribuisce ad aumentare la diffusione ed il consumo del latte alimentare la legge n. 426 del 1971, che autorizza la vendita di latte UHT presso tutti i negozi alimentari.
        In base alle attuali tecnologie di trattamento termico e ad alcune caratteristiche qualitative, il latte alimentare si distingue oggi in due grandi categorie: latte pastorizzato e latte a lunga conservazione.
        In Italia è sempre stato in uso identificare il "latte fresco" con il latte "crudo"; di seguito, con il diffondersi delle citate tecnologie di trattamento, il latte fresco è individuato nel latte semplicemente pastorizzato.
        La legge 3 maggio 1989, n. 169, identifica e sancisce definitivamente, senza alcun contrasto con le direttive ed i regolamenti comunitari, le esatte denominazioni dei vari tipi di latte: latte pastorizzato; latte fresco pastorizzato; latte fresco pastorizzato di alta qualità; latte a lunga conservazione; latte a lunga conservazione sterilizzato.
        Il latte fresco tiene conto della tradizionale reputazione del latte appena munto e vuole rappresentare un latte ottenuto con minimi trattamenti, da consumare il più vicino possibile al momento della produzione, alla stregua dell'iniziale latte crudo.
        Per disciplinare l'impiego della dizione "fresco", la legge prevede che il latte provenga crudo allo stabilimento di confezionamento, che qui sia sottoposto ad un solo ed unico trattamento termico di pastorizzazione entro 48 ore dalla mungitura, che presenti le seguenti caratteristiche: prova della fosfatasi alcalina negativa, contenuto delle sieroproteine solubili non denaturate non inferiore al 14 per cento del totale delle proteine, prova della perossidasi positiva. Tali caratteristiche garantiscono che il trattamento termico non abbia apportato danno ai contenuti nutrizionali del prodotto.
        La medesima legge indica che il latte fresco può essere denominato di "alta qualità" quando, oltre ai requisiti precedenti, risulti che il citato valore in proteine non sia inferiore al 15,5 per cento delle proteine totali; che il latte crudo provenga allo stabilimento direttamente dai centri di raccolta cooperativi o consortili; e inoltre, in base al regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 9 maggio 1991, n. 185, che il prodotto possegga almeno il 3,5 per cento di grasso: ciò significa che il latte utilizzato deve essere di tipo "intero".
        Il legislatore italiano, in aggiunta al legislatore comunitario, ha voluto tutelare e garantire in modo puntuale e rigoroso il consumatore di latte alimentare: il latte fresco e il latte fresco di alta qualità, disciplinati dalla legge n. 169 del 1989, sono prodotti unici che l'Italia produce nel suo territorio e che si differenziano per qualità e freschezza da ogni altro tipo di latte alimentare.
        La nostra legislazione tutela anche il produttore tradizionale che opera nelle zone interne e più povere, mantenendo altresì viva e preservando la tradizionale consuetudine di produrre e consumare in tempi ravvicinatissimi il latte munto in azienda.
        In nessuno Stato membro dell'Unione europea, ad esempio, si procede a trattare il latte fresco di alta qualità. Si tratta infatti di una tipologia di latte che contempla ulteriori vincoli nel processo di produzione sin dall'allevamento: rigide condizioni igieniche e sanitarie della stalla, allevamenti indenni da brucellosi, obbligo della refrigerazione ad almeno 6 gradi centigradi per il prodotto crudo destinato al successivo trattamento termico.
        Per il latte fresco, la legge richiede che il trattamento termico sia unico e non sono previste altre e ulteriori tecniche di trattamento; perciò non è concesso che si ricorra a processi fisici e a quello di prepastorizzazione, consistente nel trattamento fino a 63 gradi centigradi del latte, per bloccare qualsiasi crescita microbica.
        I moderni sistemi industriali di pastorizzazione sono realizzati in modo che la migliore efficacia della temperatura possa essere tale da non intaccare le condizioni nutrizionali e strutturali del prodotto.
        Il latte fresco è una prerogativa qualificante del sistema italiano; esso si contrappone al latte a lunga conservazione e a quello a media conservazione.
        Nel resto dell'Unione europea non esiste lo specifico latte fresco con termine di consumazione non superiore ai quattro giorni da quello di confezionamento; l'unico latte che vi si avvicina è quello a media conservazione con scadenza di sette giorni di tipo ESEL (extended shelf-life).
        La scelta italiana, tendente a tutelare maggiormente sia il consumatore, sia il produttore, sembra non essere pienamente condivisa da alcune categorie di industriali, che, con mezzi a volte anche non conformi al sistema normativo primario, tentano (spesso riuscendovi) di mettere in commercio latte con scadenze superiori ai quattro giorni, che ha subìto ulteriori trattamenti oltre quello della pastorizzazione, denominandolo con il termine "latte fresco".
        Ciò sta determinando uno stato di confusione e gravi danni sia ai consumatori che agli allevatori.
        Il sistema regolamentare italiano sulla produzione del latte alimentare non è contrario alle norme comunitarie sulla commercializzazione del latte a media conservazione, ma tale attività, da chiunque svolta, deve avvenire nel rispetto delle leggi vigenti e non usando in modo improprio, ingannevole e sleale le denominazioni previste dalla legge n. 169 del 1998; ciò a maggior ragione quando con il termine "latte fresco" si commercializza in modo fraudolento latte proveniente da allevamenti di altri Stati membri e non lo si specifica nell'etichettatura (in maniera chiara e facilmente riscontrabile).
        Il dibattito ha ad ogni modo una valenza anche di marketing, tipica dicotomia fra progresso tecnologico e relativa percezione del mercato. Il primo fornisce alimenti sempre più sicuri, che offrirebbero maggiori tempi di conservazione; la seconda esige di poter consumare alimenti con tale alto livello di sicurezza (freschi) appena prodotti.
        E' quindi importante che siano rispettate le leggi e che queste non siano eluse creando confusione nei consumatori e danni ai produttori italiani. Con la presente proposta di legge, si intende sia chiarire come utilizzare la definizione qualificativa di "latte fresco pastorizzato", sia valorizzare il latte che si munge in Italia con la menzione di "latte di origine italiana", favorendo inoltre la registrazione comunitaria di eventuali denominazioni o indicazioni di origine protetta (DOP e IGP).




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