XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 2501




        Onorevoli Deputati! - Il succedersi di episodi di criminalità, anche di notevole allarme sociale, riconducibili ad azioni di soggetti minorenni, ha da tempo suscitato diffuse richieste di interventi correttivi dell'ordinamento penale in materia, che offrano adeguate risposte a questi fenomeni. Del resto, analoga esigenza era stata, in tempi recenti, avvertita dal legislatore anche in materia di diritto penale ordinario, che aveva indotto ad approvare il cosiddetto "pacchetto di sicurezza", nel quale peraltro non avevano trovato spazio interventi specificamente mirati al settore minorile.
        Tuttavia, proprio in tale ambito, si rendevano urgenti dei correttivi che tenessero conto del mutato clima sociale e della stessa natura e consistenza dei fenomeni di devianza minorile, che presentano oggi degli aspetti affatto estranei ed assenti rispetto a quelli considerati in sede di approvazione del processo penale minorile, che com'è noto risale al 1988.
        L'occasione di una rivisitazione dei meccanismi procedurali maggiormente sensibili, sul piano del contrasto alla criminalità, non poteva poi non essere anche estesa ad un ripensamento dell'assetto ordinamentale della giustizia minorile in campo penale, anch'esso posto in crisi o risultante non più adeguato rispetto ai recenti episodi di criminalità.
        La scelta operata in questa sede è stata quella di confermare e salvaguardare l'impianto complessivo sia della organizzazione della giustizia penale minorile come anche del relativo processo penale, a differenza di quanto si propone - con separato disegno di legge - in materia di competenza civile minorile: a tali differenti conclusioni inducono, da un lato, distinte esigenze di funzionalità dell'ordinamento, atteso che solo in campo di legislazione civile è sempre più avvertita la necessità di concentrare in capo ad un solo organo giudiziario le competenze oggi ripartite tra più sedi decisionali; dall'altro, che le raccomandazioni e gli impegni assunti in ambito internazionale inducono a preservare un più accentuato profilo di specificità del settore penale minorile, pur dovendosi, anche in tale ambito, fornire risposta a quelle diffuse critiche che ne segnalano il progressivo allontanamento dalla "giurisdizione", desumibile dal tenore di diverse pronunce.
        Gli articoli 1, 2 e 3 del presente disegno di legge mirano a introdurre una costante prevalenza del profilo giurisdizionale dell'organo giudicante, pur non privandolo dell'apporto di discipline specialistiche di carattere sociale, tradizionalmente assicurato attraverso la partecipazione dei componenti privati dei tribunali per i minorenni, che tuttavia vengono ridotti da due ad uno, in modo che la maggioranza rispecchi in ogni caso una specializzazione di carattere giuridico. Peraltro, non può farsi a meno di considerare che la componente togata dei tribunali per i minorenni è già essa stessa portatrice di una specializzazione non solo in campo di legislazione minorile, ma anche necessariamente in materia di discipline sociali, tradizionalmente confluenti nella formazione di un giudice minorile, oltretutto a sua volta affinata nel confronto continuo con i componenti privati, che da tempo caratterizza questo settore dell'ordinamento. Anche sotto quest'ultimo riguardo, quindi, la proposta di riforma rappresenta un adeguamento dell'ordinamento alla mutata realtà.
        L'articolo 4 del presente disegno di legge non ha inteso affrontare il delicato tema dei limiti della imputabilità. Si tratta di una precisa scelta, dettata dal convincimento che si tratta di tematica di rilievo primario dell'intero ordinamento penale, che più appropriatamente deve trovare la sua sede di approfondimento e di rielaborazione in ambito di riforma del codice penale per la quale, com'è noto, è stata da poco insediata un'apposita commissione ministeriale.
        Pur tuttavia, si ritiene che - a prescindere dalle conclusioni che si dovranno assumere su tale tema generale - le conseguenze sanzionatorie, previste all'articolo 98 del codice penale vigente, possano e debbano sin d'ora essere diversificate, tenendo conto che i fenomeni di devianza che suscitano maggiore allarme hanno più spesso interessato la fascia di età compresa tra i 16 e i 18 anni e che, d'altro canto, proprio in questa stessa fascia di età si attenuano le motivazioni che inducono a prevedere delle misure di riduzione della pena, posto che si tratta di soggetti più vicini al completamento del processo di formazione e maturazione, che l'ordinamento attuale fissa nel compimento del diciottesimo anno di età. Appare, dunque, corretto prevedere - anziché un'unica ed indiscriminata riduzione di pena fino ad un terzo, come avviene oggi - un diverso regime per i soggetti compresi tra i 16 e i 18 anni, per i quali si potrà ridurre la pena fino ad un quarto, mantenendo inalterata la diminuente per i minori degli anni 16.
        L'articolo 5 ha inteso maggiormente garantire un'attività, quella del sostegno dell'esercente la potestà dei genitori, che nell'economia processuale assume un rilievo di notevole portata.
        Ad analoghe esigenze di garanzia dell'interesse del minore si ispira la norma contenuta nell'articolo 6 del presente disegno di legge, che estende il potere oggi attribuito dall'articolo 32, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, al giudice dell'udienza preliminare, anche al giudice per le indagini preliminari, innanzi al quale è maggiormente concreta l'evenienza che si presenti una situazione di urgente necessità tale da imporre provvedimenti immediati a tutela del minore.
        Gli articoli 7, 8, 9 e 10 contengono proposte di modifica che incidono sul sistema delle misure cautelari previste per i minorenni, riducendo i margini di discrezionalità del giudice - tenendo conto che l'eccessiva latitudine di tale potere, nel sistema attuale, ha dato talora luogo a differenze applicative spesso incomprensibili - e incrementando la durata dei termini della custodia cautelare, differenziata secondo le due fasce di età che evidenziano distinti livelli di devianza, che tiene conto del crescente fenomeno di scarcerazioni per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
        Con specifico riguardo all'articolo 9, deve segnalarsi l'introduzione dell'ipotesi del pericolo di fuga nell'ambito dei criteri da porre a base dei provvedimenti di adozione di misure cautelari restrittive, che ristabilisce un parallelismo con quanto prevede il codice di procedura penale per i soggetti maggiorenni, in armonia con l'originario impianto del processo penale minorile sul quale, com'è noto, ha inciso la Corte costituzionale, ma unicamente sulla base di rilievi di carenza di delega sul punto da parte del legislatore del 1988.
        Pur tuttavia, la specificità minorile è stata sottolineata con un più alto livello di pena prevista (tre anni, anziché i due anni del codice di procedura penale) e mediante un'ulteriore specificazione, che fa leva sulla considerazione della "condotta di vita dell'imputato".
        Nello stesso articolo 9 particolare rilievo assume anche l'intervento integrativo, operato nei casi per i quali è prevista la custodia cautelare che, da un canto, colma una lacuna determinatasi con gli ultimi interventi di riforma dell'articolo 380, comma 2, del codice di procedura penale (legge 26 marzo 2001, n. 128) - ai quali si è inteso porre rimedio con un richiamo testuale della nuova norma - e, dall'altro, con un'espressa elencazione di delitti di particolare allarme sociale che, nel testo attuale, non esistevano quando fu approvato il processo penale minorile (articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale). Quanto al delitto di resistenza aggravata, si intende offrire strumenti adeguati di risposta alle Forze dell'ordine che - in situazioni identiche di disordini che compromettano l'ordine pubblico - si trovano a dover affrontare interventi difficilmente differenziabili rispetto a gruppi di soggetti omogenei, anche per fascia d'età, ma dei quali taluno risulti minorenne.
        E' appena il caso di aggiungere che questi ultimi correttivi hanno diretta incidenza anche sui casi nei quali, nell'ambito minorile, è possibile procedere all'arresto in flagranza, atteso l'espresso richiamo dell'articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, contenuto nell'articolo 16 del medesimo decreto.
        L'istituto della sospensione del processo e della messa alla prova - che com'è noto è una delle figure che caratterizzano il processo minorile - merita di essere confermato nella sua sostanziale validità, che l'esperienza di questi anni ha evidenziato. Pur tuttavia, tale istituto deve essere ripensato nella sua definizione normativa, soprattutto per impedire taluni eccessi che la pratica applicativa ha posto in luce. Non sembra, infatti, ipotizzabile che per delitti che evidenziano una pericolosità ed un allarme sociale di massimo livello possa lasciarsi alla discrezionalità del giudice una causa di estinzione del reato, che finisce per sacrificare pressoché integralmente le esigenze di tutela della collettività ed in particolare le aspettative delle persone offese dal reato.
        D'altro canto, anche laddove si ritiene di mantenere l'operatività dell'istituto, si rende necessario conferire allo stesso quel carattere di rigore e di obiettività, che solo una durata adeguata del periodo di prova può consentire. Risponde, pertanto, a tale ultima esigenza l'estensione della durata non superiore a tre anni della sospensione del processo, oggi prevista solo per i reati di maggiore gravità.
        Con l'articolo 12 si prevede che l'imputato ed anche il difensore munito di procura speciale prestino il consenso alla definizione del processo, trattandosi di una procedura che conduce ad una sentenza di condanna, sia pure ad una pena (pecuniaria o misure sostitutive) diminuita. Si tratta, dunque, di una estensione delle garanzie dell'ordinamento minorile, che riequilibra comunque l'impianto complessivo del sistema, destinato ad un maggior rigore applicativo, per effetto delle presenti proposte.
        Alla stessa preoccupazione, di assicurare una massima operatività del sistema delle garanzie processuali che presidiano l'interesse del minore, sono rivolte le norme contenute negli articoli 13 e 14.
        Con la prima, si è inteso richiamare l'esperienza maturata nel periodo transitorio di passaggio al nuovo processo minorile, allorché una specifica norma (articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 123) testualmente aveva previsto: "Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto prevista all'articolo 27 del citato testo approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, può essere pronunciata in ogni stato e grado del procedimento".
        In questo modo, si è ritenuto di estendere l'applicazione dell'istituto previsto dall'articolo 27 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, ad ogni stato e grado del procedimento, così da assicurare un trattamento omogeneo a situazioni processuali equivalenti.
        La garanzia centrale del sistema processuale minorile, come riformato attraverso i correttivi sin qui sintetizzati, è apparsa poi quella di prevedere che le indagini preliminari, che coinvolgono un soggetto minorenne, non possono in ogni caso prescindere da un contatto diretto con l'interessato, in funzione di stabilire un rapporto con il suo ambiente di provenienza, atteso il necessario coinvolgimento dell'esercente la potestà genitoriale, che in questo modo viene anche immediatamente responsabilizzato e sensibilizzato.
        Con gli articoli 15 e 16 si è poi affrontato, quale logico corollario degli interventi sul processo, anche il tema dell'esecuzione minorile, che peraltro attende da lungo tempo un proprio organico ordinamento, che non può trovare spazio in questo ambito.
        Quello che si ritiene di poter correggere nell'immediato è senz'altro il problema posto dall'attuale previsione dell'articolo 24, comma 2, del decreto legislativo n. 272 del 1989, che coinvolge direttamente la sicurezza degli istituti penali per i minorenni. La presenza, infatti, degli ultradiciottenni incide in maniera rilevante sul piano del trattamento, dal momento che spesso gli stessi rappresentano un modello imitativo per i minorenni. D'altro canto, i soggetti che hanno già vissuto un'esperienza detentiva nelle case circondariali per adulti contestano il ritorno al settore minorile, assumendo atteggiamenti di grande passività e opposizione, con inevitabili ripercussioni negative sul piano del trattamento degli altri minori ristretti.
        I limiti della normativa attuale, sintetizzabili in un'eccessiva rigidità del sistema, si ritiene vadano, pertanto, corretti nel senso di escludere l'operatività del principio sancito al comma 1 dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 272 del 1989, nei casi nei quali siano intervenute condanne di non lieve entità, per reati compiuti da maggiorenni, che rendano incompatibile il soggetto con lo speciale trattamento previsto per i minorenni.
        Ma, anche nel caso nel quale non sia intervenuto alcun fatto ostativo del genere, si attribuisce al giudice dell'esecuzione il potere di disporre - in via ordinaria - la prosecuzione dell'esecuzione in istituti per adulti, salvo che ragioni particolari - attinenti alla personalità del soggetto, alle esigenze inderogabili di continuità del trattamento o alla particolare esiguità della pena residua da espiare - inducano a confermare od a disporre l'esecuzione in istituti per minorenni.
        Da ultimo, la norma contenuta nell'articolo 16 affronta il problema posto dalla necessità di conferire maggiore rigorosità ai presupposti di operatività dell'istituto della liberazione condizionale, che oggi si presta ad applicazioni indiscriminate, che possono anche prescindere dall'espletamento di un percorso riabilitativo effettivo e concreto. La modifica proposta valorizza, da un canto, l'apporto specialistico dei servizi della giustizia minorile e, dall'altro, il momento della decisione che, pur restando essenzialmente discrezionale, viene ancorato a valutazioni di maggiore oggettività e corroborato da apposita consulenza tecnica.
        L'intervento, limitato alla modificazione delle norme regolatrici della materia, non comporta interventi su strutture o personale giudiziario e, conseguentemente, non comporta oneri finanziari a carico dello Stato.

ANALISI TECNICO-NORMATIVA

          L'àmbito dell'intervento normativo proposto incide sulla composizione del tribunale per i minorenni in materia penale e su alcune norme che disciplinano istituti di diritto minorile sostanziale e processuale.
          La formulazione normativa non incontra ostacoli nella compatibilità con l'ordinamento comunitario, né con i rapporti con le autonomie locali.
          Sono state infine rispettate le regole di drafting, essendosi mutuata la terminologia tecnica già in uso nel settore e verificata la piena coerenza degli inserimenti con il corpo normativo preesistente.
          Le abrogazioni sono state tutte redatte in forma espressa, onde evitare problemi di interpretazione e di concretezza.

ANALISI DI IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE

          L'àmbito dell'intervento normativo proposto incide sulla composizione del tribunale per i minorenni in materia penale e su alcune norme che disciplinano istituti di diritto minorile sostanziale e processuale.
          La modificazione ordinamentale prevede la riduzione da quattro a tre dei componenti del tribunale penale, praticata attraverso la previsione di una diversa composizione rispetto a quella disciplinata in via ordinaria dall'articolo 50 dell'ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12; in particolare, si riduce da due a uno il numero degli esperti.
          Le modificazioni sostanziali attengono ad una diversa gradazione delle conseguenze dell'imputabilità, perseguita attraverso una rimodulazione delle diminuenti di pena connesse all'età ed una più accurata regolamentazione dei poteri del tribunale in tema di concessione dei benefìci al minore imputabile, che spazia da un allungamento dei periodi di efficacia delle prescrizioni, ad una diversa gradazione delle misure coercitive, ad una casistica di esclusione per l'istituto della messa alla prova.
          A livello processuale si prevede un adeguamento del processo minorile alle garanzie di contraddittorio e di immediatezza della contestazione, previste dalle recenti riforme del processo penale a carico dei maggiorenni e, sotto altro profilo, una maggiore garanzia di efficacia dell'esecuzione dei provvedimenti limitativi della libertà personale.
          Infine, a livello di esecuzione delle sanzioni, si persegue una più certa definizione delle condizioni per la liberazione condizionale.
          L'intervento, che si inserisce nell'ambito di un impianto normativo completamente sperimentato, non ha elementi di criticità, tendendo anzi ad una più accurata definizione degli istituti oggetto della novellazione, di cui il processo penale minorile non potrà che giovarsi.




Frontespizio Testo articoli