IX Commissione - Venerd́ 29 luglio 2005


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ALLEGATO 1

Modifiche all'articolo 36 del decreto legislativo n. 285 del 1992, concernenti l'istituzione del piano urbano di mobilità. Nuovo testo C. 4995 Rosato.

EMENDAMENTI ED ARTICOLO AGGIUNTIVO

ART. 1.

Al comma 1, capoverso 1, sostituire le parole da: sulla base fino a: Bollettino ufficiale della regione con le seguenti: sulla base di leggi regionali che individuano gli ambiti territoriali, le linee fondamentali delle politiche da attuare, la disciplina di adozione e dei casi di mancato adempimento.
1. 1. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 1, capoverso 1, sopprimere le parole: sulla scelta e.
1. 2. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 1, capoverso 1, dopo le parole: della distribuzione delle merci nelle città inserire il seguente periodo: Le autorizzazioni legislative di spesa, da individuare con il regolamento previsto al comma 4 dell'articolo 22 della legge 24 novembre 2000 n. 340, recanti limiti di impegno decorrenti dall'anno 2006 e concernenti fondi finalizzati da leggi settoriali in vigore alla costruzione e sviluppo di singole modalità di trasporto e mobilità, sono iscritte, a decorrere dall'anno finanziario medesimo, in apposito fondo dello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
1. 3. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 1, capoverso 1, sopprimere le parole: di breve e medio periodo.
1. 4. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 1, capoverso 1, sostituire le parole: la dotazione infrastrutturale esistente e costituisce la prima fase di attuazione del piano urbano di mobilità che con le seguenti: la dotazione infrastrutturale esistente; il piano urbano di mobilità.
1. 5. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 1, capoverso 1, aggiungere, in fine, il seguente periodo: Il suddetto piano è adottato nel rispetto dei piani di tutela paesistica e in raccordo con le normative comunitarie in materia di tutela ambientale.
1. 6. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.


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Al comma 1, dopo il capoverso 1, inserire il seguente:
1-bis. Le modalità di erogazione delle risorse per le finalità della presente legge sono quelle previste dai commi 2, 3, 4, 5 dell'articolo 22 della legge 24 novembre 2000 n. 340.
1. 8. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Dopo il comma 1, inserire il seguente:
1-bis. Il regolamento di cui al comma 4 dell'articolo 22 della legge n. 340 del 2000 è adottato entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge.
1. 7. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Sostituire il comma 3 con il seguente:
3. Al comma 3 dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 285 del 1992, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, dopo le parole: «con gli altri enti proprietari delle strade interessate» sono inserite le seguenti: «e con i comuni che hanno già predisposto il piano urbano di mobilità»;
b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le province, di concerto con la regione e d'intesa con i comuni interessati, possono inoltre individuare gli ambiti intercomunali ove promuovere la formazione dei piani della mobilità di area vasta, proponendo i documenti preliminari di indirizzi e promuovendo i relativi accordi di programma».
1. 18.Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 4, lettera a), sopprimere le parole: l'incremento della capacità ed.
1. 9. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 4, lettera a), sostituire le parole: car pooling o il car sharing con le seguenti: car pooling, il car sharing e il taxi collettivo.
1. 10. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 4, lettera a), dopo le parole: congestione nelle aree urbane aggiungere le seguenti: la regolazione della sosta, la distribuzione delle merci nelle città.
1. 11. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 4, sostituire la lettera c) con la seguente:
c)
all'ultimo periodo, le parole: «Il piano urbano del traffico prevede» sono sostituite dalle seguenti: «Il piano urbano di mobilità e il piano urbano del traffico prevedono».
1. 19.Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Al comma 5, sostituire le parole: almeno ogni 5 anni e le parole: almeno ogni 2 anni rispettivamente, con le seguenti: almeno ogni 5 anni e: almeno ogni 5 anni.
1. 12. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.


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Al comma 6, capoverso 6, dopo le parole: di cui al presente decreto aggiungere le seguenti: e previa consultazione degli utenti.
1. 13. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Sopprimere il comma 7.
1. 14. Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.

Dopo l'articolo 1, inserire il seguente:

Art. 1-bis.
(Fondo per il finanziamento degli interventi previsti dai piani urbani della mobilità).

1. L'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 22 della legge 24 novembre 2000, n. 340, è sostituito dai seguenti: «Per il finanziamento degli interventi previsti dai piani urbani della mobilità e dai piani della mobilità di area vasta è istituito un apposito fondo presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la cui dotazione, per ciascuno degli anni del triennio 2005-2007, è pari a 1 milione di euro. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, determina, con proprio decreto, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i criteri di riparto delle risorse del fondo, nei limiti delle disponibilità di cui al precedente periodo, graduando la decorrenza della fruizione dei benefici e l'entità dei medesimi».
2. All'onere derivante dall'attuazione del comma 1, pari a 1 milione di euro annui per ciascuno degli anni 2005, 2006 e 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2005-2007, nell'ambito dell'unità previsionale di base di conto capitale «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2005, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
3. A decorrere dall'anno 2008, al finanziamento del Fondo di cui al comma 1 si provvede ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera f), della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.
1. 01.Raffaldini, Duca, Albonetti, De Luca, Mazzarello, Panattoni, Rognoni, Susini, Tidei, Rosato.


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ALLEGATO 2

DL 144/2005: Misure urgenti per il contrasto al terrorismo internazionale. C. 6045 Governo.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La IX Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni,
esaminato il disegno di legge di conversione del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale» (C. 6045 Governo, approvato dal Senato),
delibera di esprimere:

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti osservazioni:
a) all'articolo 7, comma 3, vista la natura derogatoria della disciplina prevista, sembra opportuno prevedere che siano mantenute ferme le disposizioni del codice delle comunicazioni elettroniche, nonché le attribuzioni degli enti locali in materia, aggiungendo la specificazione «in quanto compatibili»;
b) al medesimo articolo 7, comma 4, appare opportuno specificare con maggiore chiarezza se le misure da adottare con decreto ministeriale debbano avere o meno efficacia limitata nel tempo, analogamente a quanto previsto al comma 1 per l'apertura dei pubblici esercizi o dei circoli che offrano servizi di comunicazione anche telematica;
c) in merito al contenuto dell'articolo 9-bis, appare opportuno chiarire se sussista o meno in capo all'ENAC un ruolo nella individuazione degli interventi da finanziare per la sicurezza degli aeroporti.


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ALLEGATO 3

Indagine conoscitiva sull'assetto del settore portuale.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

1. PREMESSA

L'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni), ha convenuto sull'opportunità di svolgere un'indagine conoscitiva sull'assetto del settore portuale, sulla quale è stata acquisita, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del regolamento, l'intesa con il Presidente della Camera. L'indagine conoscitiva è stata quindi deliberata dalla Commissione nella seduta del 23 ottobre 2003 ed il relativo termine di conclusione è stato fissato, dopo la deliberazione di talune proroghe, al 15 luglio 2005.
L'indagine conoscitiva si è concretamente avviata l'11 novembre 2003 con l'audizione di rappresentanti delle Capitanerie di porto - Guardia costiera ed è quindi proseguita, il 4 dicembre 2003, con l'audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, Altero Matteoli. Sono state quindi svolte le audizioni di rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome (12 febbraio 2004), di Assoporti (9 marzo 2004), della Guardia di Finanza (16 marzo 2004), delle organizzazioni sindacali (23 marzo 2004), di Confindustria (30 marzo 2003), del Comitato nazionale di coordinamento degli utenti e degli operatori portuali (20 aprile 2004), di Assologistica e di Assiterminal (6 maggio 2004), di ANCI, UPI, UNCEM (13 maggio 2004), di Ancst-Legacoop (8 luglio 2004), di Confitarma e Fedarlinea (7 ottobre 2004), di Fedepiloti, Angopi e Assorimorchiatori (13 ottobre 2004), di ANCIP (13 ottobre 2003), di Unioncamere (27 ottobre 2004), di FISE-Uniport (27 ottobre 2004) e di Federagenti (27 ottobre 2004).
Sono state infine svolte le audizioni del Sottosegretario all'interno, Alfredo Mantovano (18 gennaio 2005), del Viceministro all'economia e alle finanze, Miccichè (26 gennaio 2005), del Sottosegretario alla difesa, Bosi (26 gennaio 2005), della società RAM Spa (7 luglio 2005) e del Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Mario Tassone (7, 19 e 27 luglio 2005).
La Commissione ha promosso lo svolgimento dell'indagine conoscitiva per approfondire in particolar modo, insieme ai numerosi soggetti ed operatori portuali competenti, tenuto conto del contesto normativo e comunitario in cui si inserisce il settore portuale, le maggiori questioni che sono emerse in questi dieci anni di attuazione della legge n. 84.
Nel corso dell'indagine sono state altresì svolte, da parte di delegazioni della Commissione, importanti missioni di studio nei porti europei di Valencia e di Rotterdam, in molti porti italiani sede di Autorità portuale (Genova, Trieste, Ravenna, Ancona, Napoli, Taranto, Catania, Augusta, Gioia Tauro e Cagliari), nonchè al porto di Shanghai ed ai principali porti della Corea del Sud.
Le risultanze di tali missioni (pubblicate, rispettivamente, nei resoconti parlamentari delle sedute della IX Commissione del 21 ottobre 2004, del 31 maggio 2005 e del 14 luglio 2005) hanno quindi costituito un importante contributo di approfondimento e di riflessione nell'ambito dell'indagine conoscitiva, anche ai fini della predisposizione del documento conclusivo.


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2. CONTESTO NORMATIVO NAZIONALE E COMUNITARIO DEL SETTORE.

Il settore portuale, come molti altri importanti settori produttivi, è stato interessato - nell'ultimo quindicennio - da processi di liberalizzazione e privatizzazione a livello nazionale ed internazionale.
Ciò ha condotto all'adozione di modelli di organizzazione portuale più o meno accentuatamente privatistici: a seconda dei paesi accade, infatti, che soggetti privati non solo gestiscano i servizi portuali di terminale ed accessori, ma detengano altresì la proprietà del suolo e delle infrastrutture portuali (company port); che gestiscano i servizi, ma non abbiano la proprietà del suolo, né la competenza a gestire il territorio e le infrastrutture (landlord port); che gestiscano alcuni servizi portuali, quelli di terminale, restando i servizi accessori controllati invece dal soggetto pubblico (tool port); o può accadere, infine, che non vi sia stata privatizzazione né del suolo né della gestione dei servizi, ma che i porti siano stati in qualche modo riorganizzati secondo il modello aziendale (service port). In generale, il modello della piena gestione pubblica del porto, in quanto servizio pubblico e di interesse collettivo, appare recessivo, pur restando vivo in alcuni paesi europei, in particolare in Francia.
In Italia, la legge 28 gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni, recante «Riordino della legislazione in materia portuale», ha fortemente innovato il precedente modello organizzativo, basato su porti interamente pubblici, che era divenuto inadeguato alle esigenze dell'industria del trasporto marittimo e intermodale e della portualità in generale, introducendo al suo posto il modello del landlord port authority, caratterizzato dalla separazione tra le funzioni di programmazione e controllo del territorio e delle infrastrutture portuali - che sono affidate al soggetto pubblico - e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali, che sono privatizzate, ferma la proprietà pubblica dei suoli e delle infrastrutture. Con l'istituzione delle Autorità portuali, concepite quali enti pubblici regolatori, sono state inoltre uniformate e razionalizzate le preesistenti forme di gestione portuale. Importanti innovazioni hanno poi riguardato il mercato del lavoro, con la cessazione del monopolio dell'offerta del lavoro portuale da parte delle compagnie e dei gruppi portuali.
Come evidenziato nel corso dell'indagine, la riforma del 1994 ha consentito ai porti italiani di intercettare i sempre più consistenti traffici in transito nel Mediterraneo, assicurando tassi di crescita sensibilmente più alti di quelli della maggior parte dei concorrenti mediterranei, e ha reso possibile per l'Italia attrarre il consistente flusso di investimenti esteri realizzati dai maggiori operatori internazionali del terminalismo portuale e del trasporto marittimo. I porti italiani hanno così svolto un ruolo che può definirsi primario nella crescita della quota di mercato dei porti sud-europei rispetto a quelli nord-europei.
Alle autorità portuali, come evidenziato dal Vice Ministro Tassone, è stato attribuito un ruolo assolutamente innovativo nel panorama amministrativo-istituzionale italiano, trattandosi di un ruolo caratterizzato da una particolare poliedricità e dalla compresenza di diversi livelli di governo e di pubblico e privato, con un modello particolarmente avanzato e coerente con l'impostazione comunitaria.
Nel frattempo, la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione - attuata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 - ha significativamente mutato il quadro delle competenze istituzionali in materia portuale. In particolare, il nuovo dettato dell'articolo 117 della Costituzione include i «porti e le grandi reti di trasporto e di navigazione» tra le materie di legislazione concorrente dello Stato e delle regioni, nel contempo riservando alla legislazione esclusiva dello Stato la disciplina di materie oggettivamente connesse a queste ultime, quali la sicurezza, le dogane e la tutela dell'ambiente; riservati alla legge dello Stato sono altresì l'ordinamento e l'organizzazione degli enti pubblici


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nazionali, nel cui ambito vanno annoverate le Autorità portuali. Il nuovo articolo 118, a sua volta, ha sancito il principio di sussidiarietà (verticale ed orizzontale), conferendo nuovo rilievo alle autonomie territoriali e ai privati. Alla luce di tale nuovo assetto costituzionale dei poteri, il bilanciamento delle competenze, in materia portuale, tra amministrazione dello Stato, autorità portuali, regioni ed enti locali appare, anche sotto il profilo costituzionale, particolarmente delicato.
L'orientamento delle regioni, rappresentato nel corso dell'indagine conoscitiva, è nel senso di ritenere superata la legge n. 84 in più punti significativi, alla luce del nuovo articolo 117. Le regioni ritengono che il nuovo titolo V le chiami ad un'azione più significativa nella portualità, anche per assicurare l'integrazione tra gestione del sistema portuale e assetto territoriale generale, rispetto al quale le regioni sono divenute titolari di un'ampia competenza legislativa. In particolare, le regioni chiedono un nuovo ruolo decisionale e una responsabilità più diretta e concreta nella pianificazione portuale, ritenendo che la portualità non riguardi soltanto il territorio del comune nel quale è sito un porto, ma interessi un sistema infrastrutturale ed economico più esteso, soprattutto quando la regione è sede di più porti di rilievo. Ritengono inoltre che la classificazione dei porti di rilevanza nazionale e internazionale debba avvenire d'intesa con le regioni, in considerazione dell'importanza dei porti per il territorio, e che la classificazione dei porti di rilevanza regionale debba competere alle regioni stesse, nell'ambito di principi stabiliti con la normativa nazionale. La legislazione portuale andrebbe, in tale direzione, rivista alla luce del conferimento alle regioni delle funzioni di gestione dei beni demaniali marittimi nei porti di competenza regionale e dovrebbe valutarsi l'assegnazione alle regioni stesse dei proventi derivanti dalle concessioni demaniali riferite agli ambiti portuali di rilevanza internazionale, nazionale e regionale.
Nel corso dell'audizione di rappresentanti di Assoporti è stato peraltro evidenziato come, in realtà, l'assetto di competenze delineato con la legge n. 84 non debba ritenersi tout court superato a seguito della riforma del titolo V: che i porti siano tra le materie di legislazione concorrente non implica infatti che la legge n. 84 debba essere necessariamente rivista quanto piuttosto che debba ritenersi legge ordinamentale di riferimento dalla quale desumere i principi fondamentali nella materia portuale; ciò in primo luogo tenendo conto del fatto le autorità portuali sono qualificate come enti pubblici nazionali - e la loro disciplina spetta dunque in via esclusiva allo Stato - e in secondo luogo perché sarebbe sbagliato ricondurre i grandi porti nazionali ed internazionali alla dimensione regionale. Il loro ambito di innervazione è infatti assai più ampio, trattandosi di infrastrutture che si pongono al servizio di un hinterland e di un bacino di utenza di portata assai più ampia del territorio della regione in cui sono situate. Per gli stessi motivi sono state espresse perplessità in ordine all'ipotesi di attribuire alle regioni il gettito dei canoni demaniali, che, allo stato, sono per le autorità portuali la principale fonte di entrate per la gestione ordinaria.
Un discorso a parte merita la posizione di Unioncamere, per la quale la riforma del titolo V implica un rafforzamento del ruolo delle Camere di commercio, in quanto autonomie funzionali. La clausola di sussidiarietà orizzontale stabilita dal nuovo articolo 118, comma 4, della Costituzione comporterebbe infatti un riconoscimento indiretto del ruolo delle autonomie funzionali, imponendo che per l'esercizio delle funzioni non esercitabili al meglio in regime privatistico debbano preferirsi gli enti pubblici morfologicamente più vicini agli ambiti sociali cui le funzioni stesse si rivolgono in maniera diretta.
Al riguardo, come evidenziato da ultimo dal Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Mario Tassone, nel corso dell'audizione del 7 luglio 2005, vi è l'esigenza di fare in modo che il diritto dello Stato di esercitare, in determinati ambiti, le proprie competenze esclusive venga giustapposto - anzichè contrapposto - rispetto


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agli ambiti di competenza regionale ed alle esigenze di integrazione Stato-regioni. Da ciò deriva la richiesta di interpretare la portualità come struttura puntiforme e poliedrica, favorendo l'affermazione del concetto di sistema portuale ed evitando forme di concorrenze tra porti o la volontà di ciascuno di svolgere ogni tipi di funzione, che va a detrimento dell'intero sviluppo della portualità italiana in una fase in cui è quanto mai importante presentarsi sul mercato internazionale con assetti competitivi.
Per quanto concerne poi il quadro normativo comunitario, va in primo luogo ricordato che la Commissione europea, facendo seguito all'indirizzo del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, ha presentato il 13 ottobre 2004 una proposta di direttiva (COM(2004)654) per l'istituzione di un quadro normativo comunitario per l'accesso al mercato dei servizi portuali, dopo che una precedente proposta di direttiva sulla materia era decaduta.
La nuova proposta - che sarà esaminata secondo la procedura di codecisione e su cui la IX Commissione potrà esprimere i propri orientamenti ed indirizzi intervenendo nella cosiddetta «fase ascendente» di formazione del diritto comunitario - mantiene fermi i principi e gli obiettivi della precedente e tiene conto, nel contempo, di quanto emerso nel corso del suo esame. La proposta ha la finalità di portare ad un «migliore funzionamento del mercato comunitario dei trasporti, al completamento del mercato interno nel settore dei trasporti, con la creazione di condizioni eque di concorrenza fra i porti, e alla creazione di nuovi posti di lavoro nel pieno rispetto delle regole in materia sociale e di lavoro». Al riguardo, nella relazione che accompagna la proposta, si sottolinea il carattere «neutro» delle norme che propone rispetto alle regole comunitarie e nazionali in materia di lavoro e di condizioni sociali, anche in risposta alle preoccupazioni espresse in occasione del dibattito sulla precedente proposta, soprattutto per quanto riguardava il rischio di dumping sociale (l'uso di contratti di lavoro diversi per prestazioni identiche) connesso all'organizzazione della fornitura dei servizi portuali. La direttiva proposta si applicherebbe solamente ai porti il cui volume di traffico marittimo totale equivalga a quello di un porto marittimo internazionale di categoria A, come definita dalla decisione n. 1692/96/CE sugli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete transeuropea di trasporto, salva per gli Stati membri la facoltà di applicare le norme proposte anche agli altri porti. È previsto il pieno rispetto della legislazione sociale degli Stati membri, soprattutto per quanto riguarda le disposizioni applicabili in materia di sanità, sicurezza e condizioni di lavoro, nonché il pieno rispetto dei diritti e degli obblighi degli Stati membri in materia di ordine pubblico, sicurezza nei porti e tutela ambientale. I criteri relativi al rilascio delle licenze devono essere obiettivi, trasparenti, non discriminatori, pertinenti, proporzionati e pubblici. Altri principi stabiliti dalla proposta di direttiva sono l'imparzialità dell'autorità competente a limitare il numero dei fornitori di servizi; l'imparzialità, la trasparenza e pubblicità delle procedure di selezione; l'obbligo di motivazione delle decisioni degli Stati membri che introducono limiti al numero dei fornitori di servizi per uno o più servizi portuali; l'obbligo per l'ente gestore del porto di garantire la trasparenza della contabilità.
È prevista, per i fornitori di servizi portuali, la possibilità di praticare, previa autorizzazione, l'autoassistenza (mediante ricorso al proprio personale di terra per le operazioni legate alle merci e ai passeggeri), che può essere estesa ai servizi regolari di trasporto marittimo autorizzati e offerti nel quadro di servizi di trasporto marittimo a corto raggio o delle autostrade del mare: in questo caso le società che intendono praticare l'autoassistenza possono avvalersi non soltanto del personale di terra, ma anche del personale navigante che presta servizio sulle navi utilizzate. I servizi di pilotaggio sono inclusi nel campo di applicazione della direttiva, tuttavia, tenuto conto degli aspetti connessi alla sicurezza marittima e agli obblighi di


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servizio pubblico, è consentito agli Stati membri di stabilire le regole di organizzazione che ritengono più adeguate e di fissare criteri più rigidi per il rilascio delle autorizzazioni riguardanti l'esercizio di questo tipo di servizi. La fornitura dei servizi portuali deve in ogni caso essere subordinata al rilascio di un'autorizzazione e le autorizzazioni rilasciate prima della data di entrata in vigore della direttiva proposta dovranno essere riesaminate. La durata della validità delle autorizzazioni deve essere fissata in funzione degli investimenti effettuati dai fornitori di servizi. A tutti i porti o sistemi portuali che rientrano nel campo di applicazione della proposta di direttiva è previsto che si applichi la direttiva 80/723/CEE, e successive modificazioni, sulla trasparenza finanziaria delle relazioni tra autorità pubbliche e imprese pubbliche o incaricate di pubblici servizi.
Si prevede infine l'obbligo, per la Commissione europea, di elaborare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della direttiva proposta, orientamenti in materia di aiuti di Stato ai porti, che rappresenta un aspetto di particolare rilievo visto il ruolo strategico del settore per l'intera economia europea.

3. LE AUTOSTRADE DEL MARE E GLI INTERVENTI PER UNA EFFETTIVA INTEGRAZIONE MODALE DEI TRASPORTI. LA VALORIZZAZIONE DELLA RETROPORTUALITÀ E DELLA LOGISTICA.

L'espressione «autostrade del mare» è stata utilizzata di recente per indicare più specificatamente il trasporto effettuato su quei percorsi, in parte «tracciati» (tratte terrestri) ed in parte «non tracciati» (tratte marittime), in una logica di trasporto in grado di offrire maggiore competitività rispetto alla modalità terrestre oggi già congestionata e ormai vicina al punto di saturazione, attraverso investimenti contenuti e con una ricaduta economica più immediata e un impatto ambientale di gran lunga inferiore.
Tale modalità di trasporto risponde, inoltre, alla domanda della moderna logistica e deve essere inquadrata - come evidenziato dal Vice Ministro Tassone nel corso della sua audizione - in una visione di sistema integrato dall'inizio al termine del viaggio: in particolare, ciò significa che tutte le componenti di questo servizio e non solamente la tratta marittima, tra loro coordinate e/o integrate, devono poter generare un valore complessivo superiore alla somma di quello producibile da ogni singola componente, realizzando quindi un flusso di trasporto che si snoda con soluzione di continuità per tutto il percorso.
Le componenti di questo sistema sono rappresentate da infrastrutture e da attività di produzione e organizzazione del servizio di trasporto.
In particolare, per quanto attiene alle infrastrutture, le vie di accesso ai punti di imbarco e sbarco dei veicoli devono poter garantire la massima scorrevolezza dei flussi di traffico da e per l'hinterland del porto, nel quale dovranno essere presenti piattaforme logistiche adatte a facilitare l'aggregazione dei carichi ed a sviluppare altri servizi logistici.
Le infrastrutture portuali devono avere, inoltre, caratteristiche adeguate sia per soddisfare le esigenze dell'autotrasporto sia per rendere veloci ed economiche le operazioni di imbarco e sbarco delle navi. Ove richiesto dal mercato, le infrastrutture ferroviarie devono poter consentire la realizzazione del trasporto trimodale: strada-ferrovia-mare.
Per quanto riguarda, invece, la produzione e l'organizzazione del servizio di trasporto, in particolare nell'ambito del cabotaggio marittimo, sono state al momento individuate innovazioni tecnologiche sia per quanto attiene alle caratteristiche della nave, sia per ciò che riguarda il coordinamento con le infrastrutture portuali per l'attivazione delle operazioni di imbarco e sbarco e si sta realizzando, un programma di interventi per lo sviluppo del cabotaggio finalizzato a potenziare il sistema di trasporto combinato strada-mare sul versante sia tirrenico


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sia adriatico, anche in funzione delle possibili connessioni con gli altri paesi mediterranei.
Va altresì ricordato come anche il nuovo piano generale dei trasporti e della logistica abbia collocato tra le proprie priorità lo sviluppo del cabotaggio marittimo riconoscendo, tra gli elementi essenziali per la riqualificazione ed il potenziamento della portualità italiana, la realizzazione di una rete di terminali di cabotaggio destinati al traffico ro-ro, quindi ai traffici combinati strada-mare, ed all'utilizzo delle cosiddette autostrade del mare come alternativa economica al congestionamento delle autostrade, considerando in tale quadro, il cabotaggio non solo come un rimedio alla congestione del traffico terrestre ed un correttivo ai problemi di inquinamento atmosferico, ma come un sistema avanzato di trasferimento delle merci mediante tecniche specifiche in grado di offrire all'utenza uno standard di servizio in linea con la richiesta che viene sia dal mondo del trasporto generico, sia dall'universo della logistica industriale.
Un tema di particolare rilievo, nel corso dell'indagine, è stato infatti quello della natura «nodale» del porto, inteso non soltanto come una struttura circoscritta sul territorio ma, soprattutto, come un nodo fondamentale della rete dei trasporti ed una cerniera tra mare e terraferma. In quanto interfaccia intermodale, snodo tra trasporto marittimo e trasporti stradali, ferroviari ed aerei, il porto serve ed è vivo solo se è ben collegato con il sistema complessivo dei trasporti di persone e merci. La sua funzione non può quindi essere valorizzata se non è intesa appieno, e non è intesa se il porto viene considerato astrattamente ed avulso dal sistema infrastrutturale globale e delle esigenze di traffico delle merci e di spostamento delle persone proprie del mondo contemporaneo. Il ruolo degli scali portuali in un'economia globalizzata e transnazionale è, d'altra parte, tanto più importante in un paese come l'Italia, i cui confini sono principalmente sul mare, in una lunghissima costa.
Il sistema italiano dei porti, che è tra quelli di maggior rilievo in ambito europeo, soffre tuttavia di carenze che afferiscono sì al porto come infrastruttura puntuale (servizi offerti, spazi attrezzati, eccetera), ma soprattutto al porto come elemento del tessuto infrastrutturale e del sistema logistico. Le frizioni nei passaggi intermodali - ed il porto è un fondamentale varco intermodale - determinano però rallentamenti o addirittura ostruzioni nel trasporto, con conseguenze in termini di costi, e quindi di competitività complessiva, che si ripercuotono su tutta l'economia nazionale. È particolarmente importante, quindi, che i porti siano adeguatamente collegati con il territorio circostante, tramite infrastrutture capaci di movimentare le merci o i viaggiatori in transito, secondo la specifica vocazione economica dell'area servita. L'infrastrutturazione deve necessariamente tenere conto della natura bifronte del porto, che su un versante dà sul mare - e deve perciò essere strutturato ed attrezzato in modo tale da poter accogliere il tipo di nave che percorre la rotta - e sull'altro versante si immette sulla terraferma, evitando quanto più possibile «soffocamenti» dei collegamenti viari e ferroviari tra il porto e l'entroterra da parte di adiacenti insediamenti urbani che rischiano di ostacolare la funzione osmotica del porto. Si aggiunga che, com'è noto, i porti sono un elemento essenziale in un progetto di riequilibrio intermodale nel trasporto delle merci e che lo spostamento dei traffici dalla gomma al mare è indispensabile per non frenare la crescita economica - atteso che il sistema viario non potrebbe comunque crescere senza limite - e per garantire adeguati livelli di sicurezza stradale e di sostenibilità ambientale.
Va inoltre posta una particolare attenzione - come emerso nel corso dell'audizione di rappresentanti di RAM Spa - ai fattori che concorrono a determinare i comportamenti dell'offerta e della domanda, alle esternalità presenti nel sistema che rallentano di fatto lo sviluppo delle autostrade del mare valorizzando gli obiettivi da raggiungere per l'ottimizzazione


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del ciclo portuale (potenziamento delle infrastrutture, innalzamento del livello tecnologico, la sicurezza e la fluidità del ciclo), individuati in particolare nel Master Plan recentemente elaborato dalla società RAM.
La profonda innervazione del porto nel territorio che serve porta inoltre il luce la questione della competenza alla pianificazione sul territorio in cui è compreso il porto (si veda, al riguardo, il paragrafo 8). Come emerso nel corso dell'indagine, i grandi porti italiani sono oggi chiamati ad inserirsi in un sistema infrastrutturale che sempre più è progettato su scala europea, se non addirittura mondiale: la posizione dell'Italia nel Mediterraneo, infatti, fa sì che i suoi porti siano vitali non solo per il paese, ma per tutta l'Europa. In conseguenza dell'allargamento dell'Unione europea ad est e della crescita dell'interscambio con il sud-est asiatico e con l'Estremo oriente, in particolare con la Cina, l'Italia sarà chiamata nel prossimo futuro ad un ruolo di «porta meridionale dell'Europa» - in analogia con la porta settentrionale del sistema nord-europeo (Rotterdam, Anversa, Amburgo, Le Havre) - nell'ambito di una prevedibile forte crescita dei volumi di traffico transitanti nel Mediterraneo. Né va trascurato che l'attivazione, entro il 2010, di un nuovo partenariato tra l'Unione europea e gli Stati mediterranei non membri dell'Unione comporterà la creazione di una zona di libero scambio destinata a coinvolgere assai significativamente l'Italia, che, per la posizione geografica e per il numero di porti, è nelle condizioni di ambire ad un ruolo preminente nel sistema economico delle relazioni euromediterranee.
Anche alla luce di tali considerazioni l'Unione europea, nell'ambito del programma Quick start, ha collegato ai principali porti del nostro Paese alcuni dei grandi corridoi europei del trasporto, ponendo le premesse per un recupero di centralità dei porti italiani e sud-europei in generale rispetto a quelli nord-europei. Il programma Quick start è il cardine dell'Iniziativa europea per la crescita (adottata dal Consiglio europeo il 5 dicembre 2003), che si propone lo sviluppo delle reti transeuropee del trasporto, dell'energia e delle telecomunicazioni (Trans-European Networks, TEN). Nell'ambito dei trasporti il programma individua, com'è noto, 29 progetti prioritari per la realizzazione di altrettante reti transeuropee destinate a costituire le fondamentali direttrici di traffico (cosiddetti corridoi) all'interno dell'Unione europea e in raccordo con gli Stati confinanti. La novità non sta soltanto nella scala del sistema infrastrutturale (non nazionale ma europea), ma nell'attenzione rivolta ai punti di ingresso e di uscita del sistema stesso. Tutti i corridoi europei del sistema TEN sfociano nelle grandi città portuali, che sono i veri centri di movimentazione dei traffici di merci di scala intercontinentale. Il progetto europeo punta, in altre parole, ad ottimizzare la funzionalità dei punti di ingresso e di uscita continentali, così da collegare l'Europa agli altri continenti.
Al tempo stesso, il programma europeo «Autostrade del Mare (Motorways of the Sea)» - inserito nella Quick start list durante il semestre di Presidente italiana dell'Unione europea - si fonda su una logica di sistema integrato di trasporti, attraverso il quale accrescere l'efficacia e la competitività della modalità di trasporto combinata strada-mare, compatibilmente alla tutela dell'ambiente ed al decongestionamento delle strade, in un'ottica di sviluppo eco-sostenibile. A tal fine, sono previsti specifici finanziamenti ed interventi lungo le quattro direttrici: Nord-est (Mar Baltico); Nord-Ovest (Europa occidentale); Sud-Ovest (Mediterraneo-Tirreno); Sud-Est (Mediterraneo-Adriatico). Le autostrade del mare ricompresse nei due rami del Mediterraneo - quello occidentale e quello orientale - costituiscono per l'Italia la possibilità di potenziare ed integrare con la piattaforma continentale le due direttrici, tirrenica ed adriatico-ionica, con i grandi flussi di traffico marittimo provenienti da oltre Suez e da Gibilterra, che si intersecano con i crescenti flussi d'interscambio Mediterraneo.


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Come ricordato da ultimo nell'ambito dell'audizione di rappresentanti della società Rete Autostrade Mediterranee (RAM), a livello nazionale sono state adottati finora numerosi interventi per dare attuazione al progetto comunitario delle Motorways of the Sea. Tra questi vanno ricordati in particolare - oltre all'istituzione della medesima società RAM, proprio con lo scopo di promuovere e coordinare a livello europeo le azioni per la definizione del master Plan Mediterraneo, finanziato con la legge n. 311 del 2004, assumendo il ruolo di «facilitatore di sistema» e svolgendo un importante ruolo di promozione e valorizzazione della diffusione delle informazioni e della comunicazione in generale - anche i finanziamenti disposti con le leggi n. 166 del 2002 e n. 413 del 1998, gli incentivi all'autotrasporto per il trasferimento di traffico dal tutto-strada al combinato strada-mare con l'introduzione dl cosiddetto Ecobonus (legge n. 265 del 2002) ed il potenziamento degli impianti e della piattaforme logistiche portuali disposto con la legge obiettivo.
Alla promozione ed alla valorizzazione delle autostrade del mare anche il DPEF per gli anni 2006-2009 dedica una particolare attenzione, richiamando le maggiori criticità ravvisate per un loro effettivo rilancio, inclusi i «colli di bottiglia» che rallentano il processo di sviluppo dei porti e diminuiscono l'efficienza del trasporto merci, e riepilogando il quadro delle esigenze finanziarie idonee a dare risposte concrete alle domande del settore. Al tempo stesso, nel citato DPEF si evidenzia l'opportunità di una proposta organica in materia di Piastre Logistiche che dovrà necessariamente caratterizzare il nuovo tessuto connettivo infrastrutturale del Paese in un quadro comunitario in cui apparirà sempre più evidente il ruolo dell'Italia quale ruolo di cerniera tra il Mediterraneo e l'area centrale dell'Europa, anche in considerazione dei distretti produttivi ubicati lungo il Corridorio n. 1, il Corridoio n. 5, il Corridoio dei due mari ed il Corridoio n. 8.
In definitiva, posto che il Mediterraneo diventerà ancor più in futuro il naturale snodo dei traffici commerciali sulle linee che collegano l'America all'Oriente, occorre mettere i porti italiani in condizione di affrontare la nuova sfida, con la realizzazione di nuovi hub portuali che possano ricevere le grandi navi porta-container e prestare i servizi logistici e di spedizione delle merci verso l'Europa. Come ricordato nel corso dell'audizione di rappresentanti di RAM Spa, inoltre, non va trascurato il ruolo dell'Italia come paese di transito dei flussi di traffico che utilizzano collegamenti marittimi provenienti dal Mediterraneo Orientale, in particolare da paesi come la Grecia e la Turchia, che è invece di primaria importanza in un'ottica comunitaria.
Questi scenari possibili impongono scelte strategiche che portino alla creazione di un sistema di bacini portuali di livello continentale in Italia, dotati di servizi efficienti e infrastrutture e dotazioni tecnologiche adeguate, al riequilibrio intermodale e allo sviluppo di soluzioni atte ad abbattere i costi della logistica. In particolare, per raggiungere l'obiettivo di ridurre il trasporto delle merci su gomma e la circolazione dei mezzi pesanti sulle strade, l'Unione europea - com'è noto - ha previsto la realizzazione delle «autostrade del mare» e delle «autostrade viaggianti», che dovrebbero indurre lo spostamento del traffico delle merci dalla gomma al mare (traghetti) e al ferro (treni). Occorre pertanto trasformare incisivamente la portualità italiana, sotto il profilo infrastrutturale e sotto quello organizzativo, per renderla capace di svolgere tale nuova funzione.
Va poi ricordato come la modalità di trasporto ro / ro mostri una forte crescita e conquista nuove quote di mercato. Il miglioramento della qualità dei trasporti marittimi (in termini di velocità, confort e sicurezza), con la conseguente riduzione del costo, il crescente interesse degli operatori nazionali ed esteri per il trasporto combinato multimodale e le politiche nazionali di riequilibrio modale dei trasporti sono elementi che portano in primo piano


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la necessità di potenziare il sistema portuale italiano. Le autostrade del mare rappresentano un'opportunità, ma occorrono investimenti importanti in infrastrutture e servizi: è indispensabile, in tale ambito, assicurare la diretta e funzionale connessione dei porti ad uno o più caselli autostradali e ad uno o più parchi ferroviari idonei, nonché la costruzione banchine con spazi adeguati per il trasbordo dei mezzi pesanti.

4. IL RUOLO DELLE AUTORITÀ PORTUALI E LA PROCEDURA DI NOMINA DEI PRESIDENTI DELLE AUTORITÀ.

Ad oltre dieci anni dalla approvazione della legge n. 84 del 1994, recante Riordino della legislazione in materia portuale, che ha previsto l'istituzione delle autorità portuali, è stato diffusamente affermato come siano certamente ascrivibili risultati positivi all'applicazione di tale legge, il cui elemento caratterizzante è quello di aver riservato lo svolgimento delle attività economiche e commerciali a soggetti di diritto privato, riservando a nuovi soggetti pubblici, le autorità portuali appunto, l'attività di programmazione e di elaborazione delle strategie di sviluppo e le attività amministrative e di regolazione del settore. È stato altresì generalmente riconosciuto che dalla legge n. 84 e dall'istituzione della autorità portuali è derivato un nuovo slancio per la portualità nazionale, con un rilevante recupero del gap che separava i porti nazionali da quelli del nord Europa.
Appare utile richiamare preliminarmente i compiti istituzionali delle autorità portuali, che ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 84 del 1994 sono: l'indirizzo, la programmazione, il coordinamento e il controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali esercitate nei porti, con poteri di regolamentazione e ordinanza anche in riferimento alla sicurezza; la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni, compresi i fondali, attraverso apposite convenzioni con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'affidamento e il controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti di servizi di interesse generale, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha provveduto ad individuare con propri decreti.
Nell'ambito del dibattito concernente il ruolo delle autorità portuali e l'attuazione della legge n. 84 del 1994, la problematica relativa alla nomina dei presidenti e degli organi delle Autorità portuali ha assunto - soprattutto negli ultimi anni - una particolare rilevanza. Tale problematica è stata oggetto di approfondimento in varie sedi parlamentari (in particolare, nell'ambito dell'esame delle proposte di nomina a presidente di autorità portuali, del disegno di legge S. 2757, di riforma della legislazione in materia portuale, di atti di sindacato ispettivo e di documenti di indirizzo), ed è emersa ripetutamente nel corso delle audizioni nelle quali si è articolata l'indagine conoscitiva, specie nella fase anteriore a quella della approvazione del decreto-legge n. 136 del 2004, con il quale si è provveduto a modificare ed integrare per alcuni rilevanti aspetti la disciplina sulla nomina del presidente. Nella fase successiva all'approvazione del predetto decreto-legge, la riflessione si è concentrata per lo più sulla corretta applicazione della nuova disciplina, e su eventuali elementi di ambiguità che ancora possono presentare le relative norme.
In numerose audizioni è stata dunque segnalata in vario modo l'applicazione problematica della disciplina sulle nomine recata dalla legge n. 84 del 1994, in particolare con riguardo al raggiungimento dell'intesa tra il Ministero e la regione interessata, agli effetti della mancata intesa, nonché rispetto al commissariamento dell'autorità, intervenuto in svariati casi, anche per tempi piuttosto lunghi.
Un'esigenza di carattere generale particolarmente avvertita è stata quella di assicurare il massimo coinvolgimento di regioni ed enti locali, individuando al tempo stesso soluzioni che consentano di superare situazioni di «impasse» - nel caso della mancata intesa - rispettose dei ruoli dei vari soggetti coinvolti. Se le


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situazioni di «impasse» appaiono di per se stesse dannose per il funzionamento delle autorità è stata altresì sostenuta da più parti l'esigenza di evitare il ricorso al commissariamento, che comunque limita gli enti all'ordinaria amministrazione, e limita parallelamente le reali prospettive di sviluppo dei porti.
È emerso comunque nel corso delle audizioni anche un orientamento secondo cui rimane la validità dell'impianto della legge n. 84 del 1994, anche con riguardo alle procedure di nomina, ritenendo che alcuni rilevanti problemi verificatisi nella sua attuazione - peraltro, essenzialmente negli ultimi tre anni - siano dovuti a fattori contingenti, specie politici, più che alla legge di per sé considerata. Si è in ogni caso evidenziata l'esigenza di rafforzare i principi relativi alla definizione delle designazioni, cioè la comprovata esperienza, la competenza e la conoscenza del territorio su cui insiste il porto, così come la necessità di individuare meccanismi che «costringano» le istituzioni coinvolte alla concertazione.
Prima di procedere nella illustrazione delle principali osservazioni prospettate in materia dai soggetti auditi, appare utile ricostruire brevemente la normativa attualmente vigente.
Ai sensi dell'articolo 7 della legge 84/1994 sono organi dell'autorità portuale il presidente, il comitato portuale, il segretariato generale e il collegio dei revisori dei conti.
La disciplina del procedimento di nomina dei presidenti delle autorità portuali è dettata dall'articolo 8 della legge 84/94, modificato dall'articolo 6 del decreto-legge n.136/2004.
Secondo le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 8, il presidente dell'autorità portuale deve essere nominato, previa intesa con la regione interessata, con decreto ministeriale, nell'ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale, designati rispettivamente dalla provincia, dai comuni e dalle camere di commercio competenti sul territorio. La terna è comunicata al Ministro dei trasporti tre mesi prima della scadenza del mandato. Il Ministro, con atto motivato, può chiedere di comunicare entro trenta giorni dalla richiesta una seconda terna di candidati nell'ambito della quale effettuare la nomina. Qualora non pervenga nei termini alcuna designazione, il Ministro nomina il presidente, previa intesa con la regione interessata, comunque tra personalità che risultano esperte e di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale.
Il presidente ha la rappresentanza dell'autorità portuale, resta in carica quattro anni e può essere riconfermato una sola volta.
Per completezza si ricordano i compiti del presidente dell'autorità, definiti dai commi 2, 2-bis e 3 dell'articolo 8. Il presidente dell'autorità portuale: presiede il comitato portuale; sottopone al comitato portuale, per l'approvazione o l'adozione, il piano operativo triennale, il piano regolatore portuale, gli schemi di delibere riguardanti il bilancio preventivo e le relative variazioni, il conto consuntivo e il trattamento del segretario generale, nonché il recepimento degli accordi contrattuali relativi al personale della segreteria tecnico-operativa; propone al comitato portuale gli schemi di delibere riguardanti le concessioni; provvede al coordinamento delle attività svolte nel porto dalle pubbliche amministrazioni, nonché al coordinamento e al controllo delle attività soggette ad autorizzazione e concessione, e dei servizi portuali; amministra le aree e i beni del demanio marittimo compresi nell'ambito della circoscrizione territoriale, sulla base delle disposizioni di legge in materia, esercitando alcune competenze sentito il comitato portuale; esercita le competenze attribuite all'autorità portuale dagli articoli 16 e 18 in materia di autorizzazioni e di concessioni e rilascia, sentito il comitato portuale, le autorizzazioni e le concessioni di cui agli stessi articoli quando queste abbiano durata non superiore a quattro anni, determinando l'ammontare dei relativi canoni; promuove


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l'istituzione dell'associazione del lavoro portuale; assicura la navigabilità nell'ambito portuale e provvede, con l'intervento del servizio escavazione porti, al mantenimento ed approfondimento dei fondali, sulla base di progetti sottoposti al visto del competente ufficio speciale del genio civile per le opere marittime, nel rispetto della normativa sulla tutela ambientale, anche adottando, nei casi indifferibili di necessità ed urgenza, provvedimenti di carattere coattivo. Ai fini degli interventi di escavazione e manutenzione dei fondali può indire, assumendone la presidenza, una conferenza di servizi con le amministrazioni interessate; esercita i compiti di proposta in materia di delimitazione delle zone franche, sentite l'autorità marittima e le amministrazioni locali interessate; esercita ogni altra competenza che non sia attribuita dalla legge agli altri organi dell'autorità portuale.
Con l'approvazione del decreto-legge 28 maggio 2004, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 2004, n. 186, che ha introdotto il nuovo comma 1-bis nell'articolo 8 della legge n. 84/94, è stata espressamente prevista una procedura volta a superare il mancato raggiungimento dell'intesa con la regione interessata e ad evitare il ricorso alla nomina di commissari straordinari nel caso in cui l'intesa non venga raggiunta. La disposizione è stata oggetto di approfondito esame da parte delle Commissioni parlamentari, che hanno apportato modifiche al testo originario dell'articolo 6 del decreto-legge n. 136, in particolare affidando un ruolo rilevante al presidente della Giunta regionale.
La disposizione infine approvata - basata sul parere espresso sul disegno di legge di conversione dalla IX Commissione della Camera - ha stabilito che «...una volta esperite le procedure di cui al comma 1, qualora entro trenta giorni non si raggiunga l'intesa con la regione interessata, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti indica il prescelto nell'ambito di una terna formulata a tal fine dal Presidente della Giunta regionale, tenendo conto anche delle indicazioni degli enti locali e delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura interessati. Ove il Presidente della Giunta regionale non provveda alla indicazione della terna entro trenta giorni dalla richiesta allo scopo indirizzatagli dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, questi chiede al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri, che provvede con deliberazione motivata».
Con un ordine del giorno (n. 9/5150/10), accolto dal Governo nella seduta della Camera dei deputati del 27 luglio 2004, nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione del DL n. 136 del 2004 (A.C. 5150), si impegnava altresì l'Esecutivo a non ricorrere a nomine non pienamente rispettose della disciplina vigente (così come integrata con il decreto-legge), né a procedere, in futuro, in occasione dei rinnovi delle autorità portuali, ad ulteriori commissariamenti di autorità portuali.
Peraltro, con l'approvazione presso la IX Commissione della risoluzione n. 8-00109, avvenuta il 27 dicembre 2004, sottoscritta da rappresentanti di tutti i gruppi presenti in Commissione (la quale richiamava anche l'ordine del giorno appena citato), è stato tra l'altro evidenziato come vi siano stati dei casi in cui, anche dopo la definizione della procedura relativa alla mancata intesa, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non ha provveduto a formulare proposte di nomina ed a trasmetterle alle competenti Commissioni parlamentari per l'espressione dei pareri di competenza, nonostante i presidenti delle regioni interessate avessero trasmesso, nei termini previsti dalla legge, le terne dei nominativi.
Già in una delle prime audizioni, quella del Ministro per l'ambiente Altero Matteoli, svoltasi il 4 dicembre 2003, era stata sottolineata l'esigenza di una revisione del sistema di nomina del presidente dell'autorità portuale, che si era dimostrato farraginoso e comunque tale da creare situazioni di stallo, in grado di mettere in difficoltà lo svolgimento delle ordinarie funzioni da parte delle autorità portuali. Era stata inoltre richiamata l'attenzione


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sulla assoluta necessità di affidare la presidenza a soggetti dotati di idoneo profilo professionale, senza privilegiare il profilo politico.
Nella audizione del Viceministro Mario Tassone, svoltasi nella fase conclusiva dell'indagine, il 7 luglio 2005, è stato offerto un quadro molto articolato relativamente ad un «bilancio» dell'attuazione della legge n. 84 del 1994, alla attuale situazione delle autorità portuali, all'evoluzione della normativa e dell'assetto del sistema portuale, nonché a possibili prospettive di miglioramento della disciplina e di sviluppo di tale sistema.
Dopo aver sottolineato i risultati positivi indubbiamente ascrivibili all'applicazione della legge n. 84, il Viceministro ha comunque riconosciuto che il modello proposto dalla legge, a dieci anni di distanza ed anche in considerazione del forte sviluppo della portualità avvenuto in questi anni, necessita di alcuni aggiustamenti ed affinamenti che, nel rispetto dell'impostazione di fondo della riforma del 1994, ne consolidino la validità e l'affidabilità, al fine di adeguarne la capacità di stabilizzare e migliorarne la performance di sistema.
L'esigenza di una rivisitazione della disciplina appare, tra l'altro, necessaria in ragione del mutato quadro costituzionale di riparto delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative, consolidatosi a seguito della legge di riforma della seconda parte del Titolo V della Costituzione, che ha inserito la materia dei «porti» tra quelle a legislazione concorrente. Per tale motivo le regioni, sul finire della legislatura regionale, hanno elaborato un documento di proposte che tiene conto delle nuove competenze regionali in materia. Come già evidenziato in precedenza, sussiste una forte esigenza di integrazione Stato-regioni, che - secondo quanto affermato dal Viceministro - si riconnette al diritto incomprimibile dello Stato ad esercitare, in taluni porti (appunto quelli sede di autorità portuale) le proprie competenze esclusive. Un diritto che va giustapposto e non contrapposto a quello delle regioni di costruire un sistema portuale regionale fortemente integrato con la portualità nazionale. Occorre favorire l'affermazione del concetto di sistema portuale, evitando di esasperare la concorrenza interna tra porti, che rischia di penalizzare il sistema paese, interpretando invece a portualità come sistema complesso e integrato in grado di competere adeguatamente sul piano internazionale.
Alle autorità portuali è stato attribuito un ruolo assolutamente innovativo nel panorama amministrativo-istituzionale italiano, un ruolo caratterizzato da una complessità e da una poliedricità che si riflettono in primo luogo nella struttura dell'autorità portuale stessa, la quale presenta, anche per le funzioni decisionali, non solo ad una compresenza di diversi livelli di governo e di amministrazione pubblica (Stato, regione, enti locali), ma anche di pubblico e privato, grazie alla presenza in comitato portuale di alcuni dei protagonisti della vita economica, commerciale e sociale della realtà «porto».
Il ruolo di gestore globale della vita istituzionale, amministrativa ed economica del porto ha due piani di espressione: uno endoportuale, con l'autorità portuale centro di riferimento per gli interessi relativi alla vita portuale, e l'altro extraportuale, con l'autorità portuale portatrice, all'esterno del porto, degli interessi della comunità portuale.
Il rappresentante del Governo ha altresì sottolineato la particolare vicinanza del modello italiano a quello europeo, che vede un organismo pubblico preposto all'elaborazione della strategia, alla funzione amministrativa e alla regolazione delle attività, mentre l'attività commerciale è esclusivamente svolta da soggetti privati.
In conclusione il Viceministro, in ordine al ruolo svolto dalle autorità portuali, ha affermato che nel complesso esse hanno conseguito un significativo grado di efficienza ed efficacia, dando nuovo slancio alla portualità nazionale, considerato che in questo decennio i porti nazionali hanno fortemente recuperato i gap che li separavano dai porti del nord Europa. Non è stata comunque esclusa l'opportunità di una riconsiderazione, in prospettiva,


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del ruolo e delle funzioni delle autorità portuali, nel medio e lungo termine, per assicurarne una ancora e migliore funzionalità ed efficacia, ai fini di un costante sviluppo della portualità italiana, in un contesto ormai caratterizzato da una forte competitività tra i porti dei vari paesi e da una marcata globalizzazione dell'economia marittima.
Tale riconsiderazione dovrebbe riguardare, a riforma ormai consolidata, le funzioni da affidare all'ente di gestione del porto, a seconda che si ritenga prevalente il ruolo di realizzatore di infrastrutture, di regolatore del «mercato» portuale, di integratore della logistica o quello di coordinatore dei traffici portuali di una macro-zona. Potrebbero altresì essere ripensate la struttura istituzionale e lo status stesso delle autorità, non essendoci pregiudiziali sulla possibilità di trasformarle in società per azioni, in authority in senso puro, in autorità di sistema portuale, o altro.
È stato poi rilevato che, se appare assodato che le autorità portuali debbono svolgere, come già accennato, un ruolo molto attivo per quanto concerne la regolazione delle attività di servizio che si svolgono all'interno dei porti, non appare del tutto condivisibile il conferimento di un'autonomia totale ed assoluta per quanto concerne la programmazione e la realizzazione degli interventi infrastrutturali. La frammentazione, infatti, sul territorio nazionale di funzioni che devono essere svolte con una logica complessiva aderente alle globali esigenze dell'interscambio marittimo del nostro paese potrebbe comportare il rischio di «tendenze centrifughe», che porterebbero ad una crescita disordinata e non omogenea dei porti nazionali, in una logica di concorrenza fra porti che non gioverebbe all'efficacia e competitività complessiva della portualità italiana.
Con specifico riguardo alla nomina dei presidenti delle autorità portuali, è stata innanzitutto richiamata l'evoluzione della normativa, avvenuta in particolare con il già ricordato articolo 6 del decreto-legge n. 136 del 2004, con il quale si è inteso completare, in senso maggiormente partecipativo ed al contempo acceleratorio, il complesso procedimento di nomina già previsto dal comma 1, che aveva in precedenza posto problemi di ordine interpretativo ed applicativo.
Il rappresentante del Governo ha sottolineato peraltro le differenze tra l'originaria formulazione della disposizione introdotta dal decreto-legge e quella approvata con la relativa legge di conversione. Secondo la prima, una volta esperite le procedure già stabilite dall'articolo 1, comma 8 della legge n. 84 del 94, «qualora entro trenta giorni non si raggiunga l'intesa con la regione interessata, il ministro può chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri, che provvede con deliberazione motivata». Tale norma ha trovato concreta applicazione unicamente per la nomina del presidente dell'autorità portuale di Trieste, avvenuta nel corso dei lavori parlamentari di conversione in legge del decreto legge in questione.
La nuova formulazione del comma 1-bis dell'articolo 8 della legge 84 del 1994, come modificato dalla legge 27 luglio 2004, n. 186, di conversione del decreto legge n. 136, ha comportato che solo nel caso in cui il presidente della giunta regionale non provveda alla indicazione della terna entro trenta giorni dalla richiesta allo scopo indirizzatagli dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, questi chiede al Presidente del Consiglio dei ministri di sottoporre la questione al Consiglio dei ministri, che provvede con deliberazione motivata.
Rispetto a tale soluzione, il rappresentante del Governo ha manifestato talune perplessità, anche sulla base di quanto evidenziato dal Consiglio di Stato, nel parere espresso nella adunanza della II sezione del 16 febbraio 2005, in merito alla interpretazione dell'articolo 8, comma 1-bis della legge 84 del 1994. Il procedimento di nomina dei presidenti delle autorità portuali, anche con le integrazioni apportate con la novella del 2004, continuerebbe infatti a presentare alcuni margini


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di incertezza. Il Consiglio di Stato ha in particolare segnalato che, sia nel caso in cui la regione sia rimasta silente che nel caso in cui la stessa regione abbia provveduto ad esternare la propria terna, il Ministro, nell'esercizio del suo potere di nomina, potrà discrezionalmente avvalersi anche («tenendo conto») delle proposte degli enti locali; nel caso di terna regionale le indicazioni degli enti locali potranno costituire parametro, seppure non vincolante, di scelta ministeriale.
È stato poi osservato che il potere di investire della «questione» il Consiglio dei ministri presuppone solo l'ipotesi omissiva, non anche quella di dissenso tra Ministro e regione. Questa limitazione, intesa probabilmente ad evitare rilievi di incostituzionalità in relazione a possibili lesioni delle sfere di attribuzione regionale, ha finito per conferire alla regione un ruolo predominate. Ciò in particolare in relazione alla potestà regionale di designazione della terna, ed al fatto che al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non è concessa la possibilità di discostarsene. Sembrerebbe inoltre preclusa la facoltà di chiedere una seconda terna di canditati, anche laddove il Ministro non ritenga alcuno dei tre designati dalla regione idoneo a ricoprire l'incarico.
Il rappresentante del Governo ha quindi rilevato come l'attuale procedura di nomina dei presidenti delle autorità portuali, scaturente dalla recente modifica normativa, non appaia sufficientemente equilibrata, rispetto alla necessaria partecipazione dei due principali organi interessati, considerata la sostanziale prevalenza del ruolo della regione rispetto a quello del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Ad ogni modo, tale questione è stata ricollegata a quella - di carattere più generale - relativa al rapporto che si va profilando tra Stato e regioni, con riguardo a diversi aspetti della vita istituzionale ed economica del paese. Sul rapporto tra Stato e regioni nella materia dei porti, un contributo di assoluto rilievo potrà sicuramente derivare dalla decisione della Corte costituzionale che riguarda lo specifico caso del contrasto insorto in ordine alla nomina del presidente dell'autorità portuale di Trieste.
Si ricorda in proposito che, anteriormente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 136 del 2004, é stata approvata una legge regionale del Friuli-Venezia Giulia (legge regionale 24 maggio 2004, n. 17, recante Riordino normativo dell'anno 2004 per il settore degli affari istituzionali, entrata in vigore in data 26 maggio 2004) nella quale è stata inserita una disposizione che ridefinisce la procedura di nomina del presidente dell'Autorità portuale di Trieste, attribuendo sostanzialmente al presidente della regione, che tra l'altro promuove l'intesa con il Ministro, il potere di nomina del presidente dell'autorità portuale (sia pure a seguito di una procedura di concertazione più ampia, che coinvolge anche gli enti locali). Contro tale legge regionale del Friuli-Venezia Giulia è stato deliberato un ricorso per legittimità costituzionale dal Consiglio dei ministri in data 3 giugno 2004, con il quale si lamenta che la disposizione di cui all'articolo 9, comma 2 e 3 della legge eccede la competenza legislativa regionale, poiché la materia dei porti non è attribuita dallo Statuto alla potestà legislativa regionale e l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione - che può ritenersi applicabile alla Regione Friuli-Venezia Giulia in base all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3/2001 - attribuisce alla regione la competenza legislativa concorrente; pertanto, si sostiene che l'articolo 8 della legge 84/1994 deve considerarsi norma di principio, non derogabile dalla regione. La pubblicazione della decisione della Corte costituzionale sulla questione, attesa per il mese di luglio 2005, sembra ormai prossima.
Nel corso delle audizioni di ANCI, UPI e UNCEM, svoltesi in data 13 maggio 2004, sono state affrontate numerose questioni, relative allo sviluppo e alle prospettive della portualità, alla complessa integrazione tra «porto» e territorio circostante, anche in relazione ai diversi livelli di governo coinvolti, al funzionamento ed alla struttura delle autorità portuali.


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A parte quanto già segnalato in altra parte di questo documento, per quanto qui rileva direttamente la questione di una revisione del procedimento di nomina del presidente è stata posta in relazione con l'esigenza - di carattere generale - di rafforzare il rapporto tra realtà portuale e collettività locale, completando il processo di riforma iniziato dieci anni fa.
È stato quindi richiamata l'attenzione sul modello proprio dei porti del nord Europa, in cui il porto è sostanzialmente espressione della collettività locale. In particolare è stata richiamata l'esperienza del porto di Anversa (un'azienda dell'amministrazione comunale), del porto di Rotterdam (società controllata dall'amministrazione comunale), nonché quella dei porti tedeschi di Brema e Amburgo, pur rispondendo ad un modello diverso, fanno riferimento alla città dal punto di vista del governo, e dunque sostanzialmente è la collettività locale che in qualche modo esprime il governo del porto.
È stata quindi delineata un'articolazione delle competenze a livello europeo, nazionale, regionale, e locale, secondo il quale il livello regionale dovrebbe occuparsi essenzialmente della programmazione territoriale complessiva, mentre le questioni gestionali dovrebbero più propriamente essere di pertinenza delle collettività locali di riferimento: comune, provincia o una pluralità di comuni, a seconda delle dimensioni del porto.
Peraltro, rispetto ai citati modelli del Nord Europa, sono state segnalate perplessità da parte di alcuni commissari, anche in relazione alla difficoltà di trasferire e nel nostro ordinamento un'esperienza sorta e sviluppatasi in condizioni storiche ed economiche molto diverse da quelle attuali, nonché in relazione alla normativa europea in corso di elaborazione, che sembra non favorire situazioni di tal genere (pur non incidendo direttamente sugli assetti proprietari dei porti).
Venendo poi all'esperienza del procedimento di nomina del presidente di varie autorità, è stata sottolineata la particolare negatività di quelle esperienze nelle quali si è determinata l'impossibilità di procedere alle nomine dei presidenti, spesso a causa di contrasti non risolti tra i diversi livelli di governo, ovvero dei casi di commissariamento, decisi lontano dal territorio di riferimento, che difficilmente sono stati risolutivi dei problemi del porto.
Al di là delle varie proposte avanzate per trovare un equilibrio adeguato tra i vari soggetti coinvolti nel procedimento di nomina, è stata particolarmente sottolineata l'esigenza che la procedura di nomina sia tale da essere compatibile con la rapidità, la razionalità e le esigenze dei porti. Inoltre, sia pure con accenti diversi a seconda degli interventi, è emerso prevalentemente come punto chiave quello dell'equilibrio tra le regioni ed il Governo, considerato che, nell'esperienza concreta, è stato spesso questo il momento di raccordo più complesso.
Quanto alla soluzione specifica, è stato espresso da più parti l'orientamento volto ad attribuire un ruolo decisivo, in particolare in situazioni di «stallo», alla regione. Altri hanno sottolineato come la nomina del presidente debba necessariamente scaturire da un'intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione, la provincia, i comuni e la camera di commercio, in una sede idonea, dove il tavolo di concertazione scelga il nominativo degno di rappresentare quell'autorità portuale, di quel porto e di quel territorio.
Al di là della soluzione specifica, è stata comunque rappresentata l'esigenza di individuare meccanismi in forza dei quali non sia possibile che alcuni soggetti istituzionali non adempiano rigorosamente a quanto previsto dalla legge, magari non provvedendo a richiedere l'intesa o non provvedendo a respingere o accogliere l'intesa richiesta. Su questa linea, è stato da taluno proposto l'inserimento di meccanismi di silenzio-assenso o di silenzio-rifiuto.
Anche nell'ambito dell'audizione dei rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, svoltasi il 12 febbraio 2004, tra le questioni principali era emersa l'esigenza di rivedere il sistema di nomina dei presidenti di autorità portuale, essenzialmente


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nel senso di consentire alla regione di concorrere direttamente con il Governo per la segnalazione e la nomina dei presidenti; era stato peraltro precisato come si ritenesse di spettanza della regione il compito di approfondire e guidare la consultazione sul territorio per addivenire alla scelta conclusiva.
A fronte di alcune obiezioni che riguardavano la effettiva partecipazione degli enti locali ad una procedura di nomina così delineata, è stata sottolineata in primo luogo l'esigenza generale di recuperare un significativo ruolo di pianificazione e di programmazione in capo alla regione, in quanto il ruolo e lo sviluppo della portualità superano il rapporto diretto con la città sulla quale insistono, e riguardano un sistema infrastrutturale molto più ampio, che si riconnette ai corridoi intermodali promossi dalla Comunità europea. In quest'ottica, è stato poi precisato che la nomina, di competenza dell'autorità centrale, dovrebbe essenzialmente fondarsi sulla segnalazione della regione (anche mediante una terna di nomi), evitando passaggi ulteriori.
Nell'ambito della audizione di Assoporti, svoltasi il 9 marzo 2004, è stato d'altra parte segnalata in particolare l'esigenza di valorizzare la soggettività istituzionale ed il ruolo nazionale alle autorità portuali, che gestiscono nodi essenziali del sistema dei trasporti.
Prima di illustrare aspetti più specifici, è opportuno far presente che, partendo da un giudizio complessivamente positivo sulla legge n. 84 e sui risultati dalla stessa prodotti, Assoporti ha affermato l'esigenza di una riconsiderazione della legge su alcuni punti essenziali, in specie il coordinamento con le novità istituzionali intervenute negli ultimi tempi, in particolare con le modifiche al titolo V della Costituzione, approvate nella scorsa legislatura.
A fronte delle modifiche che hanno portato nel campo delle competenze concorrenti materie quali grandi reti di comunicazioni, porti e aeroporti, Assoporti ha espresso alcune perplessità, in particolare in considerazione della assoluta rilevanza nazionale della portualità maggiore italiana, che rappresenta un elemento essenziale del sistema-Italia, del comparto complessivo della logistica e dei trasporti del nostro paese. In proposito, nel sottolineare l'esigenza di una valorizzazione del ruolo delle autorità portuali, quali enti pubblici nazionali, è stato richiamato il secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, che attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato l'ordinamento, l'assetto e le funzioni dei grandi enti pubblici di rilievo nazionale.
Se da un lato è stata quindi richiamata la necessità di escludere una «regionalizzazione» delle autorità portuali, è stata dall'altro prospettata la necessità di forme di cooperazione istituzionale, nonché di forme di coordinamento a livello regionale. A tale approccio si riconnette, come corollario inevitabile, l'autonomia finanziaria delle autorità portuali si veda il paragrafo 6), sulle cui prospettive si sono soffermati i rappresentanti di Assoporti. Nell'ambito di una condivisa esigenza di revisione dell'assetto istituzionale delle autorità portuali, e in considerazione di alcune tensioni generate dalle procedure di nomina dei presidenti, legate al mancato raggiungimento di un'intesa tra regione e Ministero, i rappresentanti di Assoporti hanno prospettato un «ritocco» delle procedure di nomina con, ad esempio, la previsione di una clausola di chiusura del sistema, in virtù della quale, in mancanza dell'intesa, al fine di evitare il commissariamento del porto, il Governo si assume la responsabilità di una scelta, da sottoporre all'approvazione del Parlamento. In tal caso, il parere che le Commissioni parlamentari già esprimono sulla nomina dei presidenti potrebbe assumere una forza maggiore, divenendo vincolante.
Tale soluzione è stata posta in relazione al fatto che in particolare per grandi porti, quali Livorno o Trieste, la precarietà dell'organo istituzionale (a differenza del presidente, che dura in carica quattro anni, il commissario, per definizione, è un organo precario), incide notevolmente sulla funzionalità dei porti stessi.
Va infine ricordato che nel corso di talune audizioni - e nell'ambito delle


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missioni ai porti italiani svolte dalla Commissione sui temi dell'indagine - è stata da più parti evidenziata l'opportunità di prevedere che i termini del mandato, rispettivamente, del presidente e del segretario generale dell'autorità portuale non siano coincidenti nella durata, in modo da assicurare una migliore funzionalità dell'organismo e di mantenere linee di continuità nel tempo.

5. IL COMITATO PORTUALE E LA COMMISSIONE CONSULTIVA A DIECI ANNI DALLA LEGGE N. 84 DEL 1994.

L'articolo 9 della legge 84/1994 individua, com'è noto, composizione e procedura di nomina del comitato portuale, che consta di ventuno membri. Il comitato è attualmente composto: dal presidente dell'autorità portuale, di cui è stata già descritta la procedura di nomina; dal comandante del porto sede dell'autorità portuale; da un dirigente dei servizi doganali della circoscrizione doganale competente, in rappresentanza del Ministero delle finanze; da un dirigente del competente ufficio speciale del genio civile per le opere marittime, in rappresentanza del Ministero dei lavori pubblici; dal presidente della giunta regionale o da un suo delegato; dal presidente della provincia o da un suo delegato; dal sindaco del comune in cui è ubicato il porto, qualora la circoscrizione territoriale dell'autorità portuale comprenda il territorio di un solo comune, o dai sindaci dei comuni ricompresi nella circoscrizione medesima, ovvero da loro delegati; dal presidente della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio o, in sua vece, da un membro della giunta da lui delegato; da sei rappresentanti delle seguenti categorie, designati ciascuno dalle rispettive organizzazioni nazionali di categoria ad eccezione del rappresentante degli autotrasportatori che è designato dal comitato centrale dell'albo degli autotrasportatori, e nominati dal presidente dell'autorità portuale (armatori; industriali; imprenditori di cui agli articoli 16 e 18 della legge n. 84; spedizionieri; agenti e raccomandatari marittimi; autotrasportatori operanti nell'ambito portuale); da sei rappresentanti dei lavoratori, dei quali cinque eletti dai lavoratori delle imprese che operano nel porto ed uno eletto dai dipendenti dell'Autorità portuale; tutti vengono nominati dal presidente dell'autorità portuale; un rappresentante delle imprese ferroviarie operanti nei porti, nominato dal presidente dell'Autorità portuale.
I componenti nominati dal presidente durano in carica per un quadriennio dalla data di insediamento del comitato portuale, in prima costituzione o rinnovato. Le loro designazioni devono pervenire al presidente entro due mesi dalla richiesta, avanzata dallo stesso due mesi prima della scadenza del mandato dei componenti. La nomina dei nuovi componenti il comitato portuale spetterà in ogni caso al nuovo presidente dopo la sua nomina o il suo rinnovo. Decorso inutilmente il termine per l'invio di tutte le designazioni, il comitato portuale è validamente costituito nella composizione risultante dai membri di diritto e dai membri di nomina del presidente già designati e nominati. I membri nominati e designati nel corso del quadriennio restano in carica fino al compimento del quadriennio stesso.
I compiti demandati al comitato portuale sono molteplici. In particolare esso: approva il piano operativo triennale, soggetto a revisione annuale, concernente le strategie di sviluppo delle attività portuali e gli interventi volti a garantire il rispetto degli obiettivi prefissati, e adotta il piano regolatore portuale; approva la relazione annuale sull'attività promozionale, organizzativa ed operativa del porto, sulla gestione dei servizi di interesse generale e sulla manutenzione delle parti comuni nell'ambito portuale, nonché sull'amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo ricadenti nella circoscrizione territoriale dell'autorità portuale, e la invia entro il 30 aprile dell'anno successivo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; approva il bilancio preventivo, obbligatoriamente in pareggio o in avanzo, le


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note di variazione e il conto consuntivo; delibera in ordine alle concessioni relative alla manutenzione delle parti comuni nell'ambito portuale e delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali; delibera, su proposta del presidente, in ordine alle autorizzazioni e alle concessioni di durata superiore ai quattro anni, determinando l'ammontare dei relativi canoni (mentre esprime parere al presidente per le autorizzazioni e le concessioni quando queste abbiano durata non superiore a quattro anni); delibera, su proposta del presidente, la nomina e l'eventuale revoca del segretario generale; delibera, su proposta del presidente in materia di accordi contrattuali, personale; approva, su proposta del Presidente, il regolamento di contabilità.
Il comitato si riunisce, su convocazione del presidente, di norma una volta al mese, e ogni qualvolta lo richieda un terzo dei componenti. Per la validità delle sedute è richiesta la presenza della metà più uno dei componenti in prima convocazione e di un terzo dei medesimi in seconda convocazione. Le deliberazioni sono assunte a maggioranza dei presenti. L'attività del comitato è disciplinata da un regolamento.
Le deliberazioni del comitato portuale, adottate con il voto favorevole dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche competenti, a norma delle vigenti leggi, ad adottare intese, concerti e pareri nelle materie oggetto delle deliberazioni medesime, tengono luogo dei predetti atti ad eccezione del piano regolatore portuale.
L'articolo 15 della legge 84/1994 reca poi la disciplina delle commissioni consultive.
In ogni porto deve essere istituita con decreto del Ministro dei trasporti una commissione consultiva locale composta: da cinque rappresentanti dei lavoratori delle imprese che operano nel porto; da un rappresentante dei dipendenti dell'Autorità portuale o dell'organizzazione portuale; da sei rappresentanti delle categorie imprenditoriali, designati ciascuno dalle rispettive organizzazioni nazionali di categoria.
La designazione dei rappresentanti dei lavoratori delle imprese e delle categorie imprenditoriali deve pervenire al Ministro dei trasporti entro trenta giorni dalla richiesta. Nei porti ove non esista Autorità portuale i rappresentanti dei lavoratori delle imprese sono in numero di sei. La commissione è presieduta dal presidente dell'Autorità portuale o dal comandante di porto ove questo non sia sede di autorità portuale.
Le commissioni hanno funzioni consultive in ordine al rilascio, alla sospensione o alla revoca delle autorizzazioni e delle concessioni, nonché in ordine all'organizzazione del lavoro in porto, agli organici delle imprese, all'avviamento della manodopera e alla formazione professionale dei lavoratori.
La commissione consultiva centrale, da istituirsi con decreto del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, è composta: dal direttore generale del lavoro marittimo e portuale del Ministero dei trasporti, che la presiede; da sei rappresentanti delle categorie imprenditoriali; da sei rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello nazionale; da tre rappresentanti delle regioni marittime designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province Autonome di Trento e di Bolzano; da un dirigente del Ministero dei trasporti; da un ufficiale superiore del Comando generale del corpo di capitaneria di porto; da un dirigente del Ministero del lavoro e della previdenza sociale; da un dirigente del Ministero della sanità; dal presidente dell'Associazione porti italiani.
La designazione dei membri deve pervenire entro trenta giorni dalla richiesta; l'inutile decorso del termine non pregiudica il funzionamento dell'organo.
La commissione centrale ha compiti consultivi sulle questioni attinenti all'organizzazione portuale ed alla sicurezza e igiene del lavoro ad essa sottoposte dal


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Ministro dei trasporti ovvero dalle Autorità portuali, dalle autorità marittime e dalle commissioni consultive locali.
In occasione dell'audizione del 7 luglio 2005, il Viceministro per le infrastrutture ed i trasporti ha segnalato che, per quanto riguarda gli organismi consultivi in sede locale, sulla base dell'esperienza maturata in applicazione della legge n. 84 del 1994, il comitato portuale e la commissione consultiva locale hanno svolto un compito sicuramente positivo nel coinvolgimento dei vari operatori all'interno della logica complessiva di gestione delle attività commerciali del porto.
Occorre comunque tener conto dell'evoluzione del quadro economico complessivo in cui la portualità è chiamata ad operare, che suggerisce l'opportunità di una semplificazione nella composizione e nelle modalità procedurali di funzionamento di tali organismi, in linea con i principi di semplificazione dell'attività amministrativa affermatisi nel vigente ordinamento.
Secondo il rappresentante del Governo, un adeguamento in particolare della composizione e delle funzioni del comitato portuale potrebbe riflettersi positivamente sull'impulso e sulla speditezza delle procedure. In proposito potrebbe rivelarsi opportuna l'istituzione di un nuovo organo, con partecipazione limitata alle figure istituzionali presenti in porto, cui affidare l'attività esecutiva, lasciando al comitato portuale il potere di indirizzo, programmazione e coordinamento. È stata altresì proposta l'introduzione di una maggioranza qualificata sia per la validità delle sedute che per l'approvazione della delibere, enfatizzando nel contempo il ruolo delle componenti pubbliche del comitato.
Sono emerse inoltre valutazioni più nettamente critiche in ordine alla composizione e in generale all'esperienza del Comitato portuale e della Commissione consultiva. Da parte dei soggetti auditi è molto diffuso il rilievo relativo alla pletoricità del comitato portuale, nonché all'inadeguatezza di una sede in cui vengono parificati il peso di istituzioni che rappresentano la comunità (soggetti eletti direttamente dall'elettorato, e quindi espressione democratica della volontà popolare, come il sindaco, il presidente della provincia, il presidente della regione) e quello dei rappresentanti di particolari categorie, quali quelle di terminalisti e armatori (sul punto, tra le altre, l'audizione di ANCI, UPI e UNCEM, svoltasi in data 13 maggio 2004).
Sempre con riguardo alla composizione e alle modalità di decisione del comitato portuale, nell'ambito dell'audizione di ANCI, UPI e UNCEM è stata ipotizzata una differenza di voto fra enti pubblici, comuni, province, regione e camera di commercio, e gli altri operatori che fanno parte della comunità, in occasione di decisioni su particolari aspetti, ad esempio sulle concessioni, in quanto in tali situazioni si verificherebbe una sorta di «conflitto di interessi» da parte dei diretti interessati, che fanno parte dell'organismo chiamato a decidere. Un'altra soluzione prospettata è stata quella della costituzione di un'apposita giunta che si occupi di tale genere di decisioni.
Sempre con riguardo a possibili conflitti di interessi, ed all'esigenza di modificare la composizione, ovvero di incidere sul diritto di voto nel comitato portuale, è stato poi in varie occasioni evidenziato come all'interno di tale organo siano rappresentate categorie economiche che hanno interessi molto spesso in contrasto con lo sviluppo della programmazione portuale; tuttavia tali soggetti sono chiamati a decidere sulla pianificazione analogamente ai comuni, al sindaco che li rappresenta e al presidente della provincia, che hanno competenze istituzionali in materia.
Anche in occasione dell'audizione di rappresentanti Assoporti è stata evidenziata la pletoricità dei comitati portuali, la molteplicità delle rappresentanze degli interessi in campo, e la presenza di una forte rappresentanza sindacale, segnalando l'opportunità di un «alleggerimento» dei comitati portuali. Assoporti ha posto anche il problema dell'equilibrio tra la rappresentanza degli interessi (legittimi)


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presenti nelle comunità portuali ed il ruolo d'imparzialità e terzietà dell'autorità portuale, richiamando l'esperienza di Genova, dove per anni è rimasta bloccata l'assegnazione di un terminal multipurpose, perché tutti i pur leciti interessi in atto hanno paralizzato l'assegnazione di un'importante porzione del porto. Occorre, dunque, trovare un equilibrio tra funzione di terzietà ed imparzialità dell'autorità portuale (che deve essere salvaguardata), e momento decisionale, che deve essere scevro da condizionamenti di interessi. Allo stesso tempo, è necessario che la rappresentanza dei diversi interessi trovi sbocco nei comitati portuali. È stata dunque prefigurata una nuova articolazione delle competenze tra comitati portuali e presidente, con un maggior ruolo di garanzia da parte dell'organo monocratico; l'esigenza di una nuova articolazione delle competenze è avvertita in particolare per il rilascio delle concessioni, settore ove occorre rafforzare il ruolo d'imparzialità proprio delle autorità portuali, in quanto soggetti istituzionali.

6. L'AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE AUTORITÀ PORTUALI.

Nel corso dell'indagine è stata evidenziata da più parti l'importanza del riconoscimento in capo alle autorità portuali di una piena ed effettiva autonomia finanziaria.
Attualmente, le autorità portuali hanno entrate proprie costituite dalle tasse portuali (corrispettivo dei servizi generali prestati all'utenza), nonché dai canoni dovuti dalle imprese per le autorizzazioni e le concessioni demaniali loro rilasciate (le autorità hanno piena discrezionalità nel graduare e stabilire l'entità di questi canoni).
A tale disponibilità le autorità chiedono di poter aggiungere una piena, diretta ed effettiva partecipazione alle entrate tributarie di ogni natura (diritti doganali, IVA, eccetera) che maturano in ciascun porto, considerando tale forma di autonomia finanziaria come il solo strumento adeguato per completare il processo di riforma avviato con la legge n. 84 del 1994.
Com'è noto, già con l'articolo 100 della legge 21 novembre 2000, n. 342, peraltro mai attuato, si autorizzava il Governo ad emanare, un regolamento, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, volto a riformare il sistema delle tasse e dei diritti marittimi di cui alla legge 9 febbraio 1963, n. 82, e successive modificazioni, al decreto-legge 28 febbraio 1974, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 aprile 1974, n. 117, ed alla legge 5 maggio 1976, n. 355, nel rispetto dei seguenti criteri direttivi: a) semplificazione del sistema di tassazione in modo da ridurre il numero delle tasse anche mediante il loro accorpamento o soppressione; b) semplificazione delle procedure di riscossione; c) definizione della quota da attribuire al bilancio delle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni, anche al fine di fare fronte, senza ricorso all'utilizzazione di fondi disponibili sullo stato di previsione del Ministero dei lavori pubblici, ai compiti di manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell'àmbito portuale, ivi compresa quella per il mantenimento dei fondali; d) individuazione di un sistema di autonomia finanziaria delle autorità portuali, fermi restando i controlli contabili e amministrativi previsti dall'ordinamento vigente per il finanziamento delle opere infrastrutturali contenute nei piani regolatori e nei piani operativi triennali approvati dai Ministri vigilanti; e) abrogazione espressa delle norme vigenti divenute incompatibili con la nuova disciplina ed in particolare del capo II del titolo II della legge 9 febbraio 1963, n. 82, recante revisione delle tasse e dei diritti marittimi.
Ampia attenzione è stata dedicata nel corso dell'indagine - e delle missioni svolte dalla Commissione in tale ambito - ai temi dell'autonomia finanziaria delle autorità portuali, con particolare riguardo alle audizioni di rappresentanti di Assoporti


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e degli enti locali, in cui ci si è diffusamente soffermati sui variegati profili connessi a tale disciplina, anche in comparazione con i modelli organizzativi adottati negli altri paesi europei.
Come emerso nel corso dell'indagine, quindi, la piena responsabilizzazione per la gestione delle risorse è da considerare elemento determinate per una più rapida realizzazione degli interventi infrastrutturali: l'autonomia finanziaria consentirebbe, infatti, a ciascuna autorità portuale, anche nel medio-lungo periodo, di contare sulla certezza e sulla continuità dei flussi finanziari e, quindi, di calibrare la programmazione degli investimenti infrastrutturali.
È stato in particolare evidenziato - nell'ambito delle audizioni svolte - che i trasferimenti periodici da parte dello Stato, disposti attraverso leggi finanziarie e collegati, costituiscono una forma di finanziamento che, in termini assoluti, ha conferito anche risorse importanti ai porti italiani. Pertanto, la rivendicazione di una maggiore autonomia finanziaria non ha natura quantitativa, sostanziandosi esclusivamente in un problema di metodologia dei flussi finanziari, ritenendosi necessario contare sulla certezza degli stessi.
In tale ottica si colloca l'esigenza di una compartecipazione delle autorità portuali al gettito delle entrate doganali: in tal modo il gettito erariale prodotto nel porto finirebbe per restare in loco, alimentando, pertanto, le attività presso lo stesso e, conseguentemente, i programmi di infrastrutturazione.
Il sistema andrebbe, comunque, corredato di apposite misure che realizzino una forma di perequazione a livello nazionale, in modo da consentire un'armonica distribuzione delle risorse fra tutti i porti italiani e, quindi, un equilibrato sviluppo delle infrastrutture portuali.
Come chiarito dal rappresentante del Governo, mentre non è indubbio che le autorità portuali debbano svolgere un ruolo molto attivo per quanto concerne la regolazione delle attività di servizio che si svolgono all'interno dei porti, non appare del tutto condivisibile il conferimento di un'autonomia totale ed assoluta per quanto concerne la programmazione e la realizzazione degli interventi infrastrutturali. La frammentazione, infatti, sul territorio nazionale di funzioni che devono essere svolte con una logica complessiva aderente alle globali esigenze dell'interscambio marittimo del nostro Paese potrebbe comportare il rischio di «tendenze centrifughe», che porterebbero ad una crescita disordinata e non omogenea dei porti nazionali, in una logica di concorrenza fra porti che non gioverebbe all'efficacia e competitività complessiva della portualità italiana.
Se, quindi, appare condivisibile l'esigenza di preservare un certo grado di autonomia finanziaria per le autorità portuali, non può pensarsi ragionevolmente ad un sistema nel quale manchi il coordinamento della programmazione e della realizzazione delle opere infrastrutturali necessarie nelle varie realtà portuali, dovendosi, tra l'altro, incentivare la propensione dei porti tra di loro vicini a «fare sistema», piuttosto che operare al di fuori di un contesto programmatorio di carattere più generale.
Pertanto, come chiarito dal Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, non esistono assolute pregiudiziali ad affrontare il tema di una più marcata autonomia finanziaria delle autorità portuali, purché questa risulti bilanciata da una adeguata perequazione tra porti più e meno «ricchi», nonché dal porre in capo allo Stato un potere di verifica della coerenza degli strumenti strategici dell'autorità portuale (piano regolatore portuale e piano operativo triennale, che oggi non sono approvati dallo Stato) con le linee generali di sviluppo dei trasporti e delle infrastrutture di livello nazionale. In tale ottica, il Governo ha proposto come punto di riferimento il sistema spagnolo, nel quale le autorità portuali hanno un'autonomia finanziaria simile a quella richiesta dalle autorità nazionali, ma i loro documenti strategici vengono approvati da


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Puertos del Estado, sorta di agenzia nazionale dipendente dal Ministero dello sviluppo.
Una verifica attenta ed uno studio preventivo - anche attraverso simulazioni dei risultati - potrebbe in ogni modo consentire di disporre di un quadro informativo più completo per comprendere appieno l'impatto che avrebbe sul complesso sistema portuale nonchè sui bilanci delle singole autorità portuali, l'introduzioni di misure volte a valorizzare l'autonomia finanziaria di tali organismi.

7. INVESTIMENTI E REGIME FISCALE.

Partendo da un quadro riepilogativo della situazione attuale degli investimenti relativi al settore portuale, richiamata da ultimo dal Vice Ministro delle infrastrutture nel corso dell'audizione del 7 luglio 2005, va ricordato in primo luogo che l'articolo 9 della legge n. 413 del 1998, al fine di una concreta riqualificazione del sistema portuale italiano ha previsto un programma straordinario di investimenti a cura dell'allora Ministero dei trasporti e della navigazione, che lo ha attuato tramite le autorità portuali di cui alla legge n. 84 del 1994, che hanno provveduto alla progettazione ed all'affidamento dei relativi lavori.
Il citato articolo 9 della legge n. 413 del 1998 ha previsto per le predette finalità uno stanziamento di 1.500 miliardi (cento miliardi in limiti di impegno quindicennali), cui ha corrisposto - a seguito di operazione di mutuo stipulata a livello centrale, tramite la gestione commissariale del Fondo istituti contrattuali dei lavoratori portuali - una sorte capitale di 1.023 miliardi di lire assegnati alle autorità portuali con decreto ministeriale del 27 ottobre 1999; dette risorse sono state finalizzate alla realizzazione di opere individuate dal decreto stesso come prioritarie, sulla base delle indicazioni fornite da un'apposita commissione interministeriale formata da rappresentati dei ministeri dei trasporti e della navigazione, lavori pubblici, Tesoro e regioni.
Successivamente, le leggi 23 dicembre 1999 n. 488 (legge finanziaria 2000) e 23 dicembre 2000 n. 388 (legge finanziaria 2001) hanno rifinanziato il ricordato articolo 9 della legge n. 413 del 1998, rispettivamente per 1.290 miliardi di lire (86 miliardi in limiti di impegno quindicennali di cui quota parte da riservare alle autostrade del mare) e per 1.125 miliardi di lire (75 miliardi sempre in limiti di impegno quindicennali).
Rispetto alle procedure adottate per la prima assegnazione di dette risorse la prosecuzione degli interventi ha tenuto conto di alcuni elementi innovativi che possono così sintetizzarsi: l'amministrazione è stata impossibilitata a stipulare a livello centrale un'unica operazione di mutuo, non essendo essa abilitata a farlo direttamente ed essendo stata, nel frattempo, definitivamente sciolta la predetta gestione commissariale; l'articolo 100 della legge 21 novembre 2000, n. 342 (collegato alla legge finanziaria 2000) ha fissato i criteri di riforma del sistema delle tasse portuali e dei diritti marittimi con l'obiettivo di rendere operativo il sistema di autonomia finanziaria delle autorità portuali; la legge quadro sui lavori pubblici, con riferimento agli enti pubblici non economici (tra cui rientrano le autorità portuali), ha previsto l'obbligo di redigere piani triennali (da aggiornare annualmente) delle opere da realizzare a cura degli stessi; infine, accanto alle autorità portuali sono state riconosciute come destinatarie dei finanziamenti, in particolare per le autostrade del mare, anche le aziende speciali per i porti delle camere di commercio di Chioggia e Monfalcone.
Quanto sopra ha portato alla richiesta delle autorità portuali di procedere alla ripartizione delle nuove risorse dell'articolo 9 della più volte citata legge n. 413, sotto forma di finanziamento da parte del Ministero dei rispettivi piani triennali, e non già con la indicazione delle singole opere da realizzare. Tale richiesta ha trovato riscontro nel decreto ministeriale 2 maggio 2001 di ripartizione dei fondi di cui trattasi.


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Per quanto concerne specificatamente le risorse volte alla creazione di infrastrutture orientate a favorire lo sviluppo delle autostrade del mare, il decreto stesso ha previsto, pertanto, non più l'individuazione delle singole opere da realizzare, ma unicamente criteri per l'utilizzazione delle risorse stesse, rimettendo ai singoli enti la formulazione ed attuazione dei relativi progetti e riservando all'amministrazione le funzioni di monitoraggio e controllo.
Nella stessa ottica si inquadra la ripartizione delle risorse recate dall'articolo 36 della legge 1o agosto 2002, n. 166, che ha ulteriormente rifinanziato la legge n. 413 del 1998, operata con decreto ministeriale del 3 giugno 2004.
Per quanto riguarda i cofinanziamenti comunitari, nell'ambito del quadro comunitario di sostegno 2000-2006 (PON trasporti) è stata avanzata la richiesta di cofinanziamento di progetti di investimento da realizzare nei porti sede di autorità portuali, situati nelle regioni che presentano ritardi nello sviluppo attraverso il Fondo strutturale europeo di sviluppo regionale (FESR). Tale cofinanziamento da parte dell'Unione europea è attualmente in corso.
Da ultimo giova ricordare che il piano operativo nazionale trasporti (PON trasporti), documento attuativo del quadro comunitario di sostegno, che è stato approvato dai competenti uffici della Comunità in data 14 settembre 2001, ha stanziato per la misura III.1 (potenziamento e riqualificazione di infrastrutture portuali a servizio dei traffici commerciali, dei collegamenti di cabotaggio a breve raggio), la somma di 55.750.680 euro (corrispondente al 27 per cento del totale della citata misura III.1, che ammonta complessivamente a 206.484.000 euro), di cui è in corso la ripartizione tra i vari porti.
Quanto alla realizzazione di opere infrastrutturali di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione dei porti, in generale l'attività del Ministero è stata diretta al miglioramento, all'ampliamento ed alla riqualificazione delle infrastrutture portuali nazionali, per far fronte ai problemi di competitività della portualità nazionale rispetto a quella del nord Europa e più recentemente dei grandi hub portuali del Mediterraneo.
La grande opera di infrastrutturazione attivata fin dall'anno 1997 con un programma straordinario di opere infrastrutturali da finanziare nei porti sede di autorità portuale (lire 740 miliardi) è così proseguita negli anni successivi. È noto peraltro che, a fronte di un'evidente capacità di programmazione degli investimenti sul piano della loro realizzazione sono state incontrate talune difficoltà (soprattutto ambientali, ma anche progettuali e di contenzioso) che hanno impedito il pieno assorbimento delle risorse disponibili; ma è altresì da tener conto che l'operatività non è mai venuta meno e sono stati comunque conseguiti ottimi risultati, come dimostrato dai dati di traffico degli ultimi anni. Del resto, al fine di minimizzare l'impatto delle varie cause idonee a rallentare la realizzazione delle infrastrutture portuali in questione, il programma di opere marittime è sempre stato elaborato «a scorrimento», per evitare che impedimenti di vario genere (contenziosi, criticità progettuali) potessero limitare o rallentare l'operatività del Ministero nel dare impulso alle opere stesse; annualmente sono state pertanto finanziate le opere via via divenute cantierabili, ad esaurimento delle relative procedure amministrative e dei fondi disponibili.
In sede di ogni nuova programmazione sono state (e sono tuttora) esaminate nuovamente tutte le opere non attivate, alla luce anche di nuove sopravvenute esigenze, ai fini dei finanziamenti disponibili nell'anno di programmazione. Le risorse economiche utilizzate per tali finalità, come ricordate dal Viceministro Tassone nel corso dell'audizione, che riguardano gli impegni e le assegnazioni di fondi per la realizzazione di opere marittime risultano nel 1999 pari a 71,5 milioni di euro; nel 2000 ari a 113,7; nel 2001 pari a 117,6; nel 2002 pari a149,3; nel 2000 pari a165,6; nel 2004 pari a 212,7.


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Un impatto di rilievo sulle questioni relative agli investimenti delle autorità portuali hanno avuto da ultimo le previsioni del comma 57 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004 (1), (legge finanziaria per il 2005), che hanno introdotto specifici limiti di spesa per tutti gli enti pubblici non territoriali, ivi incluse le autorità portuali. A parziale revisione di tale disposizione è poi intervenuto l'articolo 14 del decreto-legge 115/2005 (2) che, al comma 2, dispone l'esclusione per l'anno 2005 della citata regola incrementale delle spese di investimento effettuate dalle Autorità portuali e relative al programma di ammodernamento e riqualificazione dei porti di cui all'articolo 36 della legge n. 166 del 2002 (3).

(1) Il comma 57 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311), prevede che, gli enti pubblici non territoriali, tra i quali rientra anche le Autorità portuali, possono incrementare per l'anno 2005 le proprie spese, al netto delle spese di personale, in misura non superiore all'ammontare delle spese dell'anno 2003 incrementato del 4,5 per cento.
(2) Decreto-legge 30 giugno 2005, recante Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione. Il decreto risulta attualmente in corso di conversione presso la Camera dei deputati, dopo essere stato esaminato dal senato.
(3) Il comma 2 dell'articolo 36 della legge 166/2002 citato ha autorizzato ulteriori limiti di impegno quindicennali di 34.000.000 di euro per l'anno 2003 e di 64.000.000 di euro per l'anno 2004 per il proseguimento del programma di ammodernamento e riqualificazione delle infrastrutture portuali di cui all'articolo 9, comma 1, della Legge 30 novembre 1998, n. 413 e all'articolo 1, comma 4, lettera d della Legge 9 dicembre 1998, n. 426.

Al riguardo, va ribadito quanto già evidenziato nel parere espresso in sede consultiva sul citato decreto-legge dalla IX Commissione, con cui si sottolinea - con riferimento alla disposizione di cui all'articolo 14 - la necessità di assumere ogni possibile iniziativa per consentire che l'esclusione dai limiti di spesa, recate dal comma 57 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004, ricomprenda anche le spese basate su impegni contrattuali precedentemente assunti - in modo da consentire alle autorità portuali di dare seguito ad impegni di carattere giuridico - e tutte le spese per investimenti. Al tempo stesso, vi è l'esigenza di rivedere tali limiti anche con riferimento agli anni 2005 e 2006, vista l'esigenza fondamentale di tenere conto dello specifico ruolo che le autorità portuali sono chiamate a svolgere per il rilancio della competitività del sistema portuale nazionale in una fase di crescente integrazione dei traffici marittimi.
Per quanto riguarda la disciplina fiscale delle autorità portuali, una questione di particolare rilievo emersa sia nel corso delle audizioni sia nell'ambito delle missioni di studio svolte presso taluni porti italiani, ha riguardato il regime fiscale delle opere di infrastrutturazione dei porti. La normativa vigente, infatti, scaturente dal combinato disposto dell'articolo 9, n. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e dell'articolo 3, comma 13, del decreto-legge n. 90 del 1990 (convertito dalla legge n. 165 del 1990), prevede un'esenzione dall'applicazione dell'IVA in caso di opere di «rifacimento, completamento, ampliamento, ammodernamento, ristrutturazione e riqualificazione degli impianti già esistenti».
Come riferito dal Vice Ministro Tassone nel corso dell'audizione svolta, nel 1990, a seguito di una richiesta di parere in merito all'applicabilità delle citate norme formulata dall'allora Ministero dei lavori pubblici, il Ministero delle finanze comunicò di ritenere non imponibili le seguenti tipologie di opere: le riparazioni e le manutenzioni; i lavori, anche di costruzione, che attengono al rifacimento o all'ampliamento di impianti già esistenti; i lavori di edilizia demaniale; i lavori relativi al disinquinamento degli specchi acquei; chiarendo, viceversa, l'esclusione del beneficio fiscale di tutti i «lavori di costruzione di impianti ex novo (come ad esempio la costruzione di un bacino, l'escavazione di una diga foranea, la fornitura di beni destinati al servizio dei moli e delle banchine)».
A fronte delle difficoltà interpretative insorte in merito all'applicazione delle disposizioni in esame, lo stesso rappresentante


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del Governo ha prospettato l'opportunità di pervenire ad una modifica normativa tendente a risolvere in senso univoco la questione dell'applicabilità dell'IVA sulle opere di infrastrutturazione realizzate nei porti che, come noto, sono prevalentemente finanziate con risorse statali o comunque pubbliche. Occorrerebbe, in altri termini, far rientrare la presente proposta nella fattispecie delle opere di ampliamento di qualunque infrastruttura realizzata nei porti già esistente in conformità dei piani regolatori vigenti: il porto è, cioè, da ritenere un unicum il cui assetto finale è definito dal piano regolatore e la cui realizzazione, ottenuta attraverso l'esecuzione di opere anche innovative, viene considerata come attività di completamento dell'impianto porto già esistente. La norma, oltre che dirimere i casi di incerta qualificazione, ridurrebbe i costi dei lavori pubblici realizzati nei porti consentendo, a parità di finanziamenti disponibili, la realizzazione di maggiori opere.

8. IL PIANO REGOLATORE PORTUALE E GLI ASPETTI CONNESSI ALLA GESTIONE DEL TERRITORIO NELLA DIREZIONE DI UN SEMPRE MAGGIORE SNELLIMENTO NELLE PROCEDURE, CERTEZZA DEI TEMPI ED INTEGRAZIONE TRA PORTI E CITTÀ.

Il mutato contesto economico globale, peraltro in continua evoluzione, lo sviluppo esponenziale dei traffici marittimi registrato in questi ultimi anni soprattutto con i porti orientali, le innovate condizioni dell'industria portuale - sempre più caratterizzata da forme di gestione rivolte al mercato ed a modelli istituzionali e gestionali direzionati verso un livello crescente di privatizzazione e liberalizzazione - e la necessità, da più parti evidenziata nel corso dell'indagine, di fare in modo che l'insieme dei porti italiani agiscano realmente «facendo sistema» per poter essere efficacemente competitivi su scala mondiale, impongono la necessità di portare avanti strategie ed indirizzi per la pianificazione nel settore portuale che si articolino su tre livelli fondamentali.
In tal modo si potrà in particolare definire, a livello nazionale, la definizione degli indirizzi di carattere generale e di coordinamento delle diverse forme di trasporto, anche alla luce delle correlazioni e delle integrazioni con i progetti comunitari e con le reti europee di trasporto attribuendo, a livello regionale, la programmazione dell'offerta portuale integrata con la pianificazione territoriale di vasta area, ivi incluse forme di coordinamento tra i vari porti in modo da consentire ai porti limitrofi di «fare sistema» e di rafforzarsi vicendevolmente, valorizzando le rispettive specificità. Nel corso delle audizioni, infatti, è stata sottolineata, da parte delle regioni, l'esigenza di valorizzare e rafforzare il ruolo di gestione e coordinamento nel settore portuale in modo da integrare la gestione del porto con quella dell'assetto territoriale regionale, di poter disporre del coordinamento dello sviluppo e soprattutto della responsabilità pianificatoria. In tal modo si potrà programmare lo sviluppo del proprio sistema portuale sulla base degli indirizzi e degli obiettivi nazionali in una logica di pianificazione integrata territoriale e di programmazione negoziata con tutte le realtà produttive, del trasporto e della logistica, anche alla luce delle competenze concorrenti delle regioni dettate dall'articolo 117 della Costituzione. Al contempo, infine, occorre valorizzare il ruolo del comuni coinvolti anche nell'attuazione e nello sviluppo del Piano regolatore portuale (PRP) (con particolare riferimento, come prospettato dall'ANCI, a quanto attiene alla destinazione d'uso dello spazio, all'interfaccia porto-città, alla sostenibilità ambientale, al controllo dell'ente deputato alla gestione) in modo da evitare conflittualità tra porti e città - promuovendo piuttosto fondamentali sinergie - e tra porti e sviluppo del territorio circostante. È stata infatti rappresentata l'esigenza, da parte dell'ANCI, di ricondurre il governo del territorio utilizzato per la portualità - o in funzione della stessa - il più vicino possibile alla comunità che ospita il porto, anche in considerazione


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del crescente squilibrio geografico tra benefici diffusi e costi esterni localizzati del porto. Da parte dell'UPI, inoltre, è stata sottolineata l'opportunità di valorizzare il ruolo svolto dalle province in tale contesto, quale ente di governo di vasta area cui spettano importanti compiti di gestione del territorio sia dal punto di vista ambientale sia infrastrutturale, considerato altresì che il piano territoriale di coordinamento rappresenta la sintesi del lavoro di programmazione sul territorio. Ciò potrà essere accompagnato - come prospettato nel corso di talune audizioni - da strumenti più puntuali e dettagliati soprattutto a livello di pianificazione e programmazione su scala nazionale come per i piani nazionali e regionali dei trasporti ed i piani di coordinamento territoriale delle province ed i piani dei comuni. Nel corso dell'indagine è stata al contempo evidenziata l'opportunità che, per una più rapida progettazione e realizzazione delle opere del settore portuale si utilizzino anche gli strumenti della legge obiettivo.
In ordine alle più specifiche questioni attinenti alla pianificazione portuale, l'articolo 5 della legge n. 84 del 1984 disciplina, com'è noto, la programmazione e la realizzazione delle opere portuali affidando, in particolare, al PRP la funzione ed il compito di «delimitare e disegnare l'ambito e l'assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all'attività cantieristica ed alla infrastrutture stradali e ferroviarie, oltre all'individuazione delle caratteristiche e della destinazione funzionale delle aree interessate». Il comma 2 dell'articolo 5 prevede poi espressamente che «le previsioni del PRP non possono contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti» mentre i commi 3 e 4 individuano le procedure per l'approvazione del Piano stabilendo, in particolare, che - dove è istituita l'autorità portuale - lo stesso viene adottato dal comitato portuale previa intesa con il comune o i comuni interessati mentre negli altri porti tale funzione spetta all'autorità marittima sempre previa intesa con i comuni coinvolti. Si prevede, quindi, che il piano venga inviato per il parere al consiglio superiore dei lavori pubblici e che sia quindi trasmesso ai fini della procedura per la valutazione di impatto ambientale (VIA) per essere poi approvato dalla regione.
I profili del settore portuale connessi al governo del territorio investono quindi aspetti di particolare complessità e delicatezza, dove la ricerca di punti di equilibrio è uno dei maggiori e più difficili obiettivi da raggiungere. Vi sono infatti una pluralità di esigenze e priorità di cui tenere conto e bilanciare: la tutela dell'ambiente, il riconoscimento di un ruolo adeguato e compartecipe alle realtà locali nell'esercizio dell'attività pianificatoria ed al tempo stesso alle autorità portuali, ferma restando la necessità di procedure snelle, semplificate ed efficaci per consentire al nostro sistema portuale di essere realmente competitive sullo scenario mondiale. Come evidenziato da più parti nel corso dell'indagine, infatti, uno dei maggiori «punti deboli» emersi in questi dieci anni di applicazione della legge n. 84 è costituito proprio dalla «lunghezza e dalla frammentarietà della pianificazione» e, segnatamente, delle procedure per l'adozione e l'approvazione del PRP, caratterizzate in particolare per avere tempi non predeterminati soprattutto con riferimento alle singole fasi previste dalla legge. È quindi emersa la necessità di approfondire e di affrontare, con eventuali modifiche legislative, i profili attinenti alla gestione del territorio e in particolare le funzioni pianificazione territoriale e di programmazione dell'offerta portuale complessiva. Lo snellimento delle procedure di pianificazione e realizzazione delle infrastrutture portuali - unitamente ad un maggiore coordinamento tra le previsioni del PRP e gli altri strumenti di programmazione territoriale - è stata segnalata come una delle maggiori esigenze emerse in questi anni. Ciò fermo restando il fatto che una semplificazione per nelle procedure di adozione del piano non deve comunque andare a scapito di un concorso attivo degli enti locali interessati alla sua definizione e che debba essere adottato tenendo


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conto e rispettando le normative generali sull'urbanistica ed una adeguata tutela ambientale.
In particolare, per quanto riguarda le previsioni dell'articolo 5, sono stati prospettati alcuni spunti di riflessione per individuare possibili soluzioni anche di carattere normativo. Da una parte, vi sono: l'esigenza di stabilire tempi certi per le diverse fasi dell'iter di perfezionamento del PRP; l'introduzione di forme di semplificazione ivi incluso, ove possibile, l'istituto del silenzio assenso; il ricorso diffuso alla procedura della conferenza dei servizi in caso di mancata intesa tra autorità portuale e comune; la necessità di una marcata compartecipazione del comitato portuale, alle decisioni dell'autorità portuale, in cui siano presenti tutte le componenti istituzionali, economiche e sociali in grado di sviluppare approfondimenti tematici, contributi e proposte per contemperare gli interessi coinvolti. Infatti, considerato che il PRP si configura, di fatto, come variante dei piani di carattere generale e degli strumenti urbanistici è stata evidenziata la necessità di individuare forme e modalità idonee a salvaguardare la partecipazione degli enti locali al procedimento di approvazione ed il raggiungimento di contenuti condivisi a livello locale.
Dall'altra parte, è stata prospettata l'esigenza di rivedere le fasi dell'esame tecnico da parte del consiglio superiore dei lavori pubblici e la procedura di VIA, valutando in particolare la possibilità - delineata nel corso delle audizioni - di prevedere l'introduzione di una valutazione integrata tecnica e di impatto ambientale da svolgersi entro un limite temporale massimo dal momento del ricevimento della richiesta, effettuata da un'apposita commissione paritetica composta dai membri dello stesso consiglio superiore e dalla commissione VIA. Al riguardo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, nel corso della sua audizione, ha ricordato come da tutti sia sempre stato sostenuto come il futuro di un porto sia garantito dagli spazi che sa mettere a disposizione e da qui la forza di aver individuato quale soggetto principale l'autorità portuale come unico soggetto in grado di mettere a disposizione degli imprenditori gli spazi necessari attraverso gli strumenti dei PRP ed una corretta applicazione della VIA.
Più controverse sono apparse, nel corso dell'indagine conoscitiva, le questioni relative alla prospettata attribuzione alla previsioni del PRP di forza di variante degli strumenti urbanistici vigenti, seppur adottato previa intesa e con gli apporti degli enti locali e della regione interessata, ed alla possibilità di svincolare ogni manufatto da realizzare in ambito portuale da ulteriori permessi e autorizzazioni stabilendo comunque tempi certi per le diverse fasi dell'iter di perfezionamento del PRP. Le perplessità in ordine a tale ultima questione hanno riguardato in particolare il fatto che in tal modo si estenderebbe il limite della proprietà circoscrizionale a zone di proprietà privata ed economica per i proprietari di tali aree così apportando una sostanziale modifica all'articolo 33 del codice della navigazione che ne disciplina la fattispecie la realizzabilità solo in caso di limitata estensione e di lieve valore delle aree soggette ad «esproprio».
È stata inoltre prospettata la possibilità di prevedere che i progetti di opere di grande infrastrutturazione costituenti adeguamenti tecnico-funzionali di PRP approvati non vengano assoggettati alla procedura di VIA, come già indicato negli indirizzi espressi sulla materia dal consiglio superiore di LLPP. Al contempo, è stata prospettata, nel corso delle audizioni, la possibilità di delineare un doppio assetto, ovvero un assetto variabile dei piani regolatori, in cui la parte più propriamente portuale sia lasciata ad una decisione da parte delle autorità portuali mentre la parte che, invece, riguarda più direttamente il rapporto con i tessuti urbani e con le città sia realmente oggetto di una negoziazione che veda fortemente partecipi le amministrazioni locali e quelle degli enti territoriali.
Su tutti gli aspetti richiamati sono in corso di approfondimento e discussione


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varie soluzioni e proposte su cui occorrerà svolgere un'attenta riflessione con particolare riferimento alla necessità di una più precisa delimitazione e definizione della procedura per il raggiungimento dell'intesa nell'ambito delle procedure del PRP, tenendo conto del ruolo di sempre maggior rilievo svolto dagli enti locali in tale contesto. Al tempo stesso, occorrerà tenere conto anche di ipotesi che si propongono di valutare differenti soluzioni, individuando ad esempio meccanismi sulla base del modello del piano regolatore già predisposto dall'autorità portuale in virtù della sua autonomia pianificatoria, ovvero di fare riferimento al PRP come strumento di progetto attribuendogli quindi l'efficacia di uno strumento che poi diventa esecutivo, anche se in tal caso occorrerebbe poi definire le connesse questioni degli ampliamenti delle banchine e degli ammodernamenti in modo da individuare soluzioni affinché il PRP diventi poi autorizzativi.
Inoltre, per quanto concerne il delicato nodo dei rapporti tra ente territoriale ed ente di gestione, è stata sottolineata l'esigenza di affrontare tale aspetto in tutti i suoi profili, così da fare in modo che l'attività dell'autorità portuale sia correlata ad una fase di coinvolgimento a livello locale, in modo da porre un'attenzione prioritaria agli interessi ed ai riflessi sulla comunità locale in un rapporto che superi le conflittualità ma che sia posto in un'ottica di sinergia e di collaborazione nell'interesse del porto e dello sviluppo del territorio. È infatti sicuramente importante quanto emerso nel corso di talune audizioni in ordine alla necessità di raggiungere una forte ed organica integrazione tra porto e territorio, e quindi tra governo portuale ed ente territoriale locale per un migliore sviluppo del porto stesso e della realtà circostante.
È stata infine evidenziata l'esigenza di risolvere la questione relativa all'assegnazione delle concessioni con l'adozione di normativi che, all'interno dei criteri fissati dalla legge, individuino le modalità ed i termini di attuazione della concessione e l'auspicio di una maggiore trasparenza per quanto riguarda la pubblicità sull'assegnazione delle aree e delle banchine.
Per quanto riguarda infine la questione della realizzazione delle opere portuali, com'è noto è in corso di definizione in sede giurisprudenziale la questione della imponibilità IVA per le opere realizzate in ambito portuale. Nel corso dell'indagine, al fine di superare la situazione di incertezza normativa che si è venuta a creare alla luce delle divergenti interpretazioni date dai competenti soggetti istituzionali, è stata prospettata la possibilità di una introdurre una specifica norma interpretativa che, ai sensi e per gli effetti del comma 13 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 90 del 1990, convertito dalla legge 165 del 1990, equipari agli interventi di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione la realizzazione di opere e di impianti nuovi in porti già esistenti.
Dal punto di vista del governo del territorio, appare quindi quanto mai auspicabile individuare tutte le possibili forme di semplificazione delle procedure, accompagnate da certezze nei tempi, valorizzando al contempo la collaborazione, l'integrazione e la connessione tra i diversi ruoli istituzionali, amministrativi, economici e sociali che concorrono allo sviluppo ed alla vita del porto, al suo interno ed all'esterno.

9. LA DISCIPLINA DEL LAVORO PORTUALE. I PROFILI CONNESSI ALLA SPECIFICITÀ DEL SETTORE ED ALLA DIVERSA INTENSITÀ DEI TRAFFICI MARITTIMI: L'IMA E IL RUOLO DEL POOL DI MANODOPERA.

Come previsto nel programma dell'indagine conoscitiva, una specifica attenzione è stata posta alle questioni inerenti la prestazione dei servizi portuali e la disciplina del lavoro, al fine di assicurare che siano garantiti adeguati standard di affidabilità ed efficienza delle prestazioni e delle maestranze ivi impiegate, garantendone la coerenza con la disciplina comunitaria


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in materia (si veda al riguardo il paragrafo 2).
La legge n. 84 del 1994 ha infatti fortemente innovato la disciplina e l'assetto del mercato, nella direzione di una maggiore liberalizzazione e privatizzazione dell'industria portuale, come richiesto dalla forte concorrenza degli altri porti europei e del contesto economico in continua evoluzione, ponendo così fine alla concentrazione dell'offerta del lavoro portuale da parte delle compagnie e dei gruppi portuali. Com'è noto, infatti, la legge n. 84 affronta specificamente gli aspetti connessi al lavoro portuale agli articoli 17 (Disciplina della fornitura del lavoro portuale temporaneo) e 23 (Disposizioni in materia di personale) prevedendo, tra l'altro, che vi siano determinati soggetti giuridici autorizzati alla fornitura di lavoro temporaneo in ambito portuale.
Dalle audizioni svolte, è quindi emersa una valutazione sostanzialmente positiva in ordine alla disciplina introdotta dalla legge n. 84, ferma restando la necessità - evidenziata e ribadita da più parti - di dare certezza normativa alla questione della corresponsione dell'indennità di mancato avviamento (IMA) in favore dei lavoratori flessibili. È stato infatti auspicato che, in questa sede, vengano affrontati i problemi irrisolti - quale in particolare quello dell'IMA - senza peraltro che questo comporti uno stravolgimento dell'impianto normativo delineato dalla legge n. 84.
Con riferimento alla questione dell'IMA, in particolare, è emersa la necessità di fare in modo che vi sia una corretta e completa applicazione delle previsioni legislative ed un rispetto delle regole da parte di tutti i soggetti coinvolti assicurando al tempo stesso le necessarie misure di flessibilità e di «apertura al mercato». Ciò tenendo sempre presente la specificità del lavoro portuale, anche alla luce delle recenti previsioni della legge n. 276 del 2003 (articolo 86, comma 5), cosiddetta «legge Biagi».
Per risolvere l'annosa questione dell'IMA, in particolare, è stata evidenziata la necessità di riprendere i lavori del «tavolo» di discussione avviato tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le organizzazioni sindacali con uno sforzo comune di tutte le parti interessate ed in modo da risolvere le situazioni critiche sul versante occupazionale che tuttora si registrano in taluni scali. Nel corso delle audizioni è stato infatti sottolineato come lo strumento previsto dal comma 15 dell'articolo 17 non sia di fatto utilizzabile per fronteggiare le situazioni di mancato avviamento del lavoro portuale, attesa la natura di per sè temporanea delle prestazioni lavorative fornite dal soggetto di cui all'articolo 17.
Sono state quindi prospettate diverse soluzioni tra cui, in particolare, la possibilità di prevedere l'IMA come una modulazione della Cassa integrazione guadagni (CIG) ovvero di stabilire, come avviene in alcuni porti europei, una stima delle giornate di mancato avviamento all'inizio dell'anno sulla base dei dati pregressi. Nel corso di talune audizioni, peraltro, è stato evidenziato il rischio che l'IMA possa reintrodurre situazioni di privilegio prospettando piuttosto l'opportunità di prevedere l'estensione al settore portuale della disciplina che regola il lavoro interinale, ovvero di porre l'IMA integralmente a carico dello Stato attraverso il riconoscimento istituzionale del ricorso alla CIG ovvero, ancora, di individuare altre forme di finanziamento di tali misure che provengano dai gettiti delle tasse portuali.
I profili più delicati e controversi attengono quindi alla necessità di definire una congrua ed adeguata disciplina normativa del mancato avviamento dei lavoratori flessibili riuscendo, in particolare, a coniugare le esigenze di tutela e sicurezza dei lavoratori, di equilibrio del bilancio dello Stato e di tutela della concorrenza rispetto agli altri paesi nel caso in cui, come avviene in altri porti, si facciano gravare tutti o alcuni dei maggiori oneri sulle imprese.
È stata quindi evidenziata, nel corso delle audizioni, la necessità di procedere effettivamente ed in tutte le realtà portuali all'applicazione delle previsioni relative al pool di manodopera, superando i ritardi


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finora registrati. Ciò in quanto tale misura è stata definita dalla legge n. 84 proprio al fine di rispondere alle peculiari esigenze del lavoro portuale in cui, nei picchi di lavoro, è fisiologica l'esigenza di incrementare il personale e dove l'impresa non potrà di certo essere permanentemente autorizzata a coprire con personale proprio fabbisogni solo temporanei di manodopera. Per tali ragioni, quindi, è stato individuato, mutuandolo da altre esperienze europee, lo strumento del pool di manodopera cui l'impresa possa attingere secondo le regole e gli strumenti stabiliti comprese forme adeguate di tutela.
Risolvere quindi la questione della concreta applicazione delle previsioni dell'articolo 17 - tenendo conto delle peculiarità del lavoro portuale e della difficile applicazione allo stesso dell'istituto della CIG, per sua natura preventivabile e quindi difficilmente applicabile alla mutevolezza dei traffici marittimi e dei picchi di lavoro - è emersa come una delle maggiori questioni da affrontare per consentire un effettivo completamento del quadro normativo delineato dalla legge n. 84.
Da più parti è stata inoltre auspicata la piena applicazione della flessibilità operativa alle imprese portuali ai sensi degli articoli 16 e 18 della legge n. 84. In particolare, è stata evidenziata l'opportunità di non intervenire al fine di introdurre limitazioni all'utilizzo di tutti gli strumenti contrattuali volti ad assicurare maggiori forme di flessibilità del lavoro, recentemente introdotti dal precitato decreto legislativo n. 276 del 2003. Ciò anche alla luce del rapporto di tali disposizioni con quanto stabilito all'articolo 16 della legge n. 84 laddove si prevede che l'impresa portuale debba essere dotata di un organico alle proprie dirette dipendenze adeguato al programma operativo da svolgere senza indicare la forma di rapporto contrattuale con cui procedere all'assunzione di dipendenti.
Per quanto riguarda poi il ruolo svolto dai terminalisti, è stata evidenziata l'esigenza di poter provvedere ad una propria organizzazione (di mezzi e di personale) idonea a consentire lo svolgimento delle operazioni commerciali per le quali è stata ottenuta un'apposita licenza di impresa, ancorata alla concessione di un'aerea demaniale portuale, sottolineando come il terminal vada inteso come una realtà produttiva che offre servizi a terra. Per tali ragioni, nel corso delle audizioni è emerso come più che ai picchi di traffico occorrerebbe fare riferimento al concetto di flessibilità del lavoro, indispensabile per il terminalista, da articolare nell'arco temporale che va dal singolo turno a più mesi di lavoro così da poter integrare la propria organizzazione con soggetti strutturati - potendo utilizzare le imprese autorizzate dall'autorità portuale ai sensi dell'articolo 16 - ed utilizzare esclusivamente forza lavoro aggiuntiva, facendo riferimento alla manodopera temporanea dei pool o delle agenzie ai sensi dell'articolo 17. È stata quindi richiamata la novità delle previsioni dell'articolo 18, comma 7, della legge n. 172 del 2003 (legge sulla nautica da diporto) che «viene incontro alla domanda di flessibilità organizzativa da parte dei terminalisti prevedendo la possibilità per l'impresa concessionaria, ovvero per il terminalista, di appaltare ad altre imprese portuali autorizzate ai sensi dell'articolo 16 l'esercizio di talune attività comprese nel ciclo operativo». Con riferimento a tale norma, peraltro, è stata evidenziata da più parti l'esigenza di chiarimenti nel senso di precisare maggiormente che tale appalto riguarda un segmento chiaramente identificabile e rilevante del ciclo in questione e non il ciclo completo delle operazioni portuali.
Inoltre, per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro all'interno dei porti è stata prospettata anche la possibilità di valutare la previsione di una deroga al fine di consentire ai terminalisti, laddove fosse tecnicamente possibile, di svolgere le proprie attività in maniera non strettamente connessa alle zone in concessione.
Nel corso delle audizioni è stato quindi evidenziato come il sistema industriale valuta positivamente una modifica normativa volta a consentire il ricorso diretto, da parte delle imprese operanti in porto, alle società di lavoro interinale qualora l'Agenzia


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non fosse in grado di fornire la manodopera necessaria allo svolgimento del lavoro temporaneo.
Sono state inoltre richiamate la necessità e l'urgenza di provvedere all'adozione del decreto ministeriale di attuazione, previsto dal comma 5 dell'articolo 17, che disciplina l'istituzione ed il funzionamento dell'Agenzia che assicura la fornitura del lavoro portuale temporaneo nelle realtà in cui non sia stata individuata l'impresa secondo la procedura di cui al comma 2 per le imprese ex articolo 18. Al contempo è in attesa di definizione anche il regolamento per le imprese di cui all'articolo 18: l'adozione di entrambi gli atti è stata sollecitata con particolare vigore per consentire di disporre di un quadro completo ed efficiente delle procedure delineate dalla legge n. 84.
È stato quindi richiamato il ruolo che in tale ambito può essere svolto dalla previsione del contratto unico per le attività portuali. Solo da alcune parti e, in particolare, da parte del Comitato nazionale di coordinamento degli utenti e degli operatori portuali, è stata evidenziata l'esigenza di non intervenire per specificare l'unicità del contratto di cui al comma 13 evidenziando il fatto che lo stesso non può essere il contratto che si applica per legge ai lavoratori del pool e delle imprese. In ogni modo, con riguardo a tale questione è stato sottolineato, nel corso delle audizioni, come si sia in cerca - con il coinvolgimento di tutti i soggetti maggiormente interessati - di possibili soluzioni a seguito delle decisioni giurisprudenziali intervenute sulla materia. Com'è noto, infatti, il TAR ha rilevato come con il contratto collettivo di lavoro di cui all'articolo 17, comma 3, della legge n. 84 si possa regolare esclusivamente il lavoro portuale temporaneo, fornito dall'impresa autorizzata in ciascun porto, e non anche il rapporto di lavoro degli altri lavoratori dipendenti dalle imprese portuali private, così rivedendo il concetto di «unicità del contratto» per i porti. È stata tuttavia sottolineata l'importanza, nell'ambito di talune audizioni ed anche nel corso di ulteriori attività di sindacato ispettivo svolte dalla IX Commissione sulla materia, di considerare il ruolo che il contratto nazionale dei lavoratori portuali può svolgere quale riferimento normativo e retributivo di carattere unitario per regolare il rapporto dei dipendenti delle Autorità portuali e delle imprese ex articolo 16, 17 e 18 della legge n. 84 del 1994. Ciò sia al fine di evitare che la concorrenza tra imprese operanti nello stesso mercato di riferimento avvenga a scapito dei lavoratori del settore scaricandosi quasi esclusivamente sul costo contrattuale del lavoro, sia per superare qualsiasi rischio di dumping sociale che potrebbe sorgere nei confronti dell'affidamento ad imprese autorizzate di segmenti del ciclo operativo da parte del terminalista qualora i dipendenti del committente e dell'appaltatore non risultassero destinatari di un medesimo contratto collettivo di lavoro.
Per quanto riguarda il lavoro portuale va inoltre evidenziata la necessità di individuare soluzioni che assicurino che le imprese, pur tenendo conto delle esigenze di bilancio e promuovendo misure volte a rafforzare la competitività sul mercato, assicurino sempre una competizione fondata sulla qualità, in cui sia preservato un elevato livello di sicurezza ed il ricorso a personale certificato e qualificato, anche alla luce delle nuove competenze richieste per preservare un elevato livello di tutela della security nei porti.
Giova in fine ricordare come lo stesso Vice Ministro Tassone, nel corso dell'audizione del 7 luglio 205, ha ricordato in primo luogo come - per quanto riguarda le operazioni, i servizi portuali e il lavoro temporaneo - l'affidamento esclusivamente ad imprese private dello svolgimento delle operazioni nonché l'eliminazione del monopolio del lavoro in capo alle ex compagnie portuali abbiano costituito il cuore della riforma del 1994 e come, a dieci anni di distanza, siano peraltro rilevabili ancora dei punti di frizione che necessiterebbero di un definitivo aggiustamento, peraltro anche coerente con le sopravvenute novità di carattere generale in materia di organizzazione del lavoro. Per tali ragioni, il Vice Ministro


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ha evidenziato come una definitiva regolazione delle modalità di appalto di porzioni del ciclo operativo da parte delle imprese nonché delle modalità di retribuzione dei lavoratori interinali per i periodi di inattività condurrebbe alla chiusura di un cerchio che potrebbe garantire, nella necessaria pace sociale, ulteriori miglioramenti dell'economia portuale nazionale.

10. I SERVIZI TECNICO NAUTICI.

Ai sensi dell'articolo 16 della legge 84/1994, sono definite operazioni portuali il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell'ambito portuale; sono definiti quindi servizi portuali quelli riferiti a prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali.
I servizi ammessi sono individuati dalle autorità portuali, o, laddove non istituite, dalle autorità marittime.
Sull'espletamento delle operazioni portuali e dei servizi portuali, nonché sull'applicazione delle tariffe indicate da ciascuna impresa vigilano le autorità portuali o, laddove non istituite, le autorità marittime, riferendone periodicamente al Ministro dei trasporti.
L'esercizio delle attività sopradescritte, espletate per conto proprio o di terzi, è soggetto ad autorizzazione dell'autorità portuale o, laddove non istituita, dell'autorità marittima. L'autorizzazione riguarda lo svolgimento di operazioni portuali previa verifica del possesso da parte del richiedente dei requisiti richiesti (vedi infra), oppure di uno o più servizi portuali, da individuare nell'autorizzazione stessa. Le imprese autorizzate devono essere iscritte in appositi registri distinti tenuti dall'autorità portuale, o laddove non istituita, dall'autorità marittima e sono soggette al pagamento di un canone annuo e al deposito di una cauzione determinati dalle medesime autorità.
Con decreto del Ministro dei trasporti devono essere determinati: i requisiti di carattere personale e tecnico-organizzativo, di capacità finanziaria, di professionalità tra i quali la presentazione di un programma operativo e la determinazione di un organico di lavoratori; i criteri, le modalità e i termini in ordine al rilascio, alla sospensione ed alla revoca dell'atto autorizzatorio, nonché ai relativi controlli; i parametri per definire i limiti minimi e massimi dei canoni annui e della cauzione in relazione alla durata ed alla specificità dell'autorizzazione, tenuti presenti il volume degli investimenti e le attività da espletare; i criteri inerenti il rilascio di autorizzazioni specifiche - che non concorrono nella determinazione del numero massimo di autorizzazioni del porto - per l'esercizio di operazioni portuali, da effettuarsi all'arrivo o alla partenza di navi dotate di propri mezzi meccanici e di proprio personale adeguato alle operazioni da svolgere, nonché per la determinazione di un corrispettivo e di idonea cauzione.
Le tariffe delle operazioni portuali sono rese pubbliche e devono essere comunicate - come ogni variazione successiva - dalle imprese autorizzate all'autorità portuale o, laddove non istituita, all'autorità marittima.
La durata dell'autorizzazione è rapportata al programma operativo proposto dall'impresa ovvero, qualora l'impresa autorizzata sia anche titolare di concessione, è identica a quella della concessione medesima; può essere rinnovata in relazione a nuovi programmi operativi o a seguito del rinnovo della concessione. L'autorità portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima sono tenute a verificare, con cadenza almeno annuale, il rispetto delle condizioni previste nel programma operativo.
Le autorizzazioni sono soggette ad un limite numerico in relazione alle esigenze di funzionalità del porto e del traffico, determinato dall'autorità portuale o, laddove non istituita, dall'autorità marittima, sentita la commissione consultiva locale.
Le autorità portuali o, laddove non istituite, le autorità marittime, devono pronunciarsi sulle richieste di autorizzazione


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entro novanta giorni dalla richiesta, decorsi i quali, in assenza di diniego motivato, la richiesta si intende accolta.
In occasione dell'audizione svoltasi il 7 luglio 2005, il Viceministro per le infrastrutture ed i trasporti si è soffermato anche sull'assetto dei servizi portuali e dei servizi tecnico-nautici, sottolineando che tale assetto, come disegnato dal codice della navigazione e dalla legge n. 84 del 1994, si è rivelato fino ad oggi complessivamente efficace e rispondente alle esigenze del settore. È noto che la materia è stata oggetto di esame a livello comunitario, con l'obiettivo di conseguire l'effetto di una più spinta liberalizzazione ed apertura del mercato, con possibili effetti anche in termini di riduzione dei costi e conseguentemente di capacità competitiva del porto nel suo insieme.
Il progresso tecnologico che ha caratterizzato l'evoluzione della flotta e la stessa evoluzione delle strutture portuali ha introdotto elementi di innovazione di cui occorre tener debitamente conto, pur senza stravolgere l'impianto complessivo dei servizi offerti all'utenza in ciascuna realtà portuale.
Buona parte dei servizi in esame sono oggi regolamentati al fine di assicurare la tutela di alcuni interessi pubblici - prima di tutto la sicurezza della navigazione e delle strutture portuali - e di garantire l'efficienza dei porti stessi. Tenendo sullo sfondo questa fondamentale considerazione, occorre prendere atto che probabilmente sarà opportuno almeno un parziale adeguamento della relativa disciplina, al fine di conseguire ulteriori obiettivi di efficienza e competitività del sistema portuale nazionale. A titolo di esempio, è stato evidenziato come nel caso del pilotaggio, le moderne tecnologie consentono, in taluni casi ed in precise condizioni, una modalità semplificata di prestazione del servizio tramite collegamento VHF, opportunità oggi già permessa dall'attuale quadro normativo.
Al riguardo, essendo stato riattivato il dibattito in sede europea sulla direttiva concernente proprio i servizi portuali, il Governo ritiene opportuno ricondurre l'esame della problematica nel contesto di tale dibattito, essendo indispensabile un significativo ravvicinamento delle legislazioni europee, al fine di conseguire la più ampia omogeneità del quadro normativo in ambito europeo.
Per quanto riguarda le operazioni, i servizi portuali e il lavoro temporaneo, l'affidamento esclusivamente ad imprese private dello svolgimento delle operazioni nonché l'eliminazione del monopolio del lavoro in capo alle ex compagnie portuali hanno costituito il cuore della riforma del 1994 e - a giudizio del rappresentante del Governo - le ottime performance dei porti italiani in questi dieci anni danno conto della sostanziale riuscita di tale epocale trasformazione.
A dieci anni di distanza, sono peraltro rilevabili ancora dei punti di frizione che necessiterebbero di un definitivo aggiustamento, peraltro anche coerente con le sopravvenute novità di carattere generale in materia di organizzazione del lavoro. Al di là dunque degli interventi interpretativi operati dal Ministero e che pure hanno consentito consistenti passi in avanti, appare necessaria una definitiva regolazione delle modalità di appalto di porzioni del ciclo operativo da parte delle imprese nonché delle modalità di retribuzione dei lavoratori interinali per i periodi di inattività, anche al fine di favorire ulteriori miglioramenti dell'economia portuale nazionale.
Tra le ulteriori considerazioni emerse nel corso dell'indagine conoscitiva, si ricorda che il rappresentante di Fedepiloti (audito il 13 ottobre 2004) ha segnalato come nelle zone in cui il pilotaggio è obbligatorio non siano mai accaduti incidenti rilevanti. È stato altresì sottolineato l'interesse per tale servizio da parte di organismi di carattere europeo ed internazionale, nonché l'attenzione riservata dalla normativa comunitaria in itinere, considerato che questo è ritenuto un servizio di safety e security il quale, insieme agli altri servizi, gioca un ruolo importante per la sicurezza e lo svolgimento del regolare traffico lungo le coste e nei porti.


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In particolare con la normativa comunitaria in itinere, il cui obiettivo primario è di garantire nel trasporto marittimo l'assoluto rispetto degli standard di sicurezza, emerge la rilevanza di un'attività che, oltre ad essere un servizio per la manovra e per la sicurezza della nave e del porto, rappresenta anche un servizio «di vigilanza»: è infatti considerato uno strumento attraverso il quale l'autorità competente viene informata dei problemi che si possano riscontrare a bordo, consentendo quindi una sorta di preventiva valutazione per poi svolgere tutte le azioni previste sia nell'ambito del Port State Control sia in quello delle visite della security.
Il rappresentante dell'ANGOPI (audito sempre il 13 ottobre 2004) ha richiamato la discussione svolta in Parlamento sulla vicenda del traghetto Moby Prince, essendo emerso con evidenza, in quella sede, «l'utilità dei servizi tecnico-nautici per elevare gli standard di sicurezza della navigazione all'interno dei porti; si è definita la sicurezza marittima e portuale come un sistema da realizzare tanto a terra, quanto in mare, capovolgendo, quindi, la vecchia concezione indirizzata a considerarla un costo improprio, un accessorio, anziché una forma di investimento che offre garanzia di qualità al servizio». Peraltro, è stato riconosciuto che il Parlamento ha sempre mantenuto salde queste posizioni, anche nelle successive occasioni, compresa la discussione sulla legge n. 84 del 1994 e successive modificazioni, non accogliendo mai l'introduzione di norme che potessero in qualche modo disarticolare l'unitarietà dei servizi in questione.
È stato poi segnalato che la sicurezza richiede un preciso ed adeguato modello organizzativo di erogazione dei servizi tecnico-nautici, la presenza di competenze che consentano di intervenire con idonei comportamenti ed appropriate tecniche per ridurre e delimitare i rischi relativi alla navigazione in porto e negli specchi acquei adiacenti e alla permanenza delle navi negli spazi portuali, prevenendo e mitigando gli effetti e le conseguenze degli incidenti e dei sinistri che comunque accadono. La sicurezza è quindi una ottimizzazione in sé, un valore irrinunciabile intrinsecamente legato alla stessa efficienza del porto.
La specificità del servizio comporta che non si possa scindere l'operatività richiesta dal vettore marittimo dall'attività pubblica, considerato il carattere universale, continuo e qualificato, a tutela degli interessi generali, dell'attività svolta.
Peraltro, va sottolineato che solo sulla base di grande esperienza e professionalità è possibile intervenire con la massima efficacia possibile in tutte le situazioni che potrebbero definirsi anomale ed in tutti i casi di emergenza. Il servizio pubblico richiede che i soggetti che prestano tali servizi siamo in grado di svolgere ininterrottamente tutte le prestazioni che possono essere richieste dai vettori e quelle rese necessarie dalla presenza di navi in acque portuali.
Emerge dunque l'importanza dell'aspetto economico, caratterizzato da due fattori: il primo riguarda il contenimento dei costi immediati della nave; il secondo, l'esigenza di coprire le spese necessarie e connesse all'adeguamento professionale degli uomini, all'innovazione dei mezzi e degli strumenti utilizzati, alla crescita e alla modernizzazione del gruppo. Va sempre ricordato che una prestazione malfatta o un'operazione maldestra in circostanze impreviste determina costi aggiuntivi di entità inaspettate e spesso rilevanti a carico del porto, del vettore, comportando, a volte, anche gravi danni per la vita umana e per l'ambiente.
In proposito, sono stati richiamati due particolari provvedimenti. In occasione dell'ultimo procedimento (rispetto alla data dell'audizione) per la determinazione, porto per porto, delle tariffe, è stato inserito nelle rispettive ordinanze quanto segue: «considerati gli obblighi di servizio pubblico generali e specifici di cui il gruppo è tenuto a rispondere quali: controllo e intervento sulle navi ormeggiate nel porto per qualsiasi evenienza imprevista o straordinaria che le mettano a rischio; l'assistenza o soccorso a navi e


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persone in condizioni di pericolo; recupero di oggetti galleggianti pericolosi per la navigazione»; quindi, in tutti questi casi le prestazioni sono erogate senza alcun addebito di oneri. Il secondo evento concerne la consegna, da parte del Comando generale delle capitanerie di porto, di un security pass personalizzato ad ogni ormeggiatore barcaiolo operante nei porti italiani, anche in considerazione della elevata specializzazione.
Da ultimo, è stato sottolineata l'esigenza di non ridurre le responsabilità delle Capitanerie di porto nella regia e nella gestione di tutte le fasi della navigazione marittima, compreso l'approdo, e ciò soprattutto in quanto le modalità che debbono osservare i servizi tecnico-nautici, i quali sono, per loro natura intrinseca, servizi della sicurezza, non possono seguire norme che nascono e soddisfano esclusivamente esigenze localistiche, ma debbono rispondere a principi e criteri validi su tutto il territorio nazionale. Questa esigenza appare ancora più forte in Italia, dove le caratteristiche orografiche dei porti, gli spazi e i vincoli che caratterizzano i nostri scali incidono pesantemente sulla gestione della manovra e della navigazione negli ambiti portuali. Se è inevitabile che esistano delle differenze, queste vanno considerate e devono riflettersi sugli aspetti quantitativi riguardanti sia gli uomini, sia i mezzi; mentre non possono influire sulle modalità di fondo, perché potrebbero inficiare i parametri qualitativi necessari a tutelare una generale, efficiente e sicura transitabilità nautica, falsando in questo modo la concorrenza tra i porti attraverso forme di competizione al ribasso. È stata quindi sostenuta l'esigenza di un coordinamento ed un intervento penetrante degli organismi nazionali, cioè ministero e Comando generale delle capitanerie.
Per una ragione analoga è stata segnalata la necessità di una regia unitaria del Ministero delle infrastrutture in occasione di rinnovi o di modifiche complessive delle tariffe dei servizi, al fine di stabilire risultati quantitativi di contenimento dei costi che non riducano però le possibilità di migliorare qualitativamente gli standard operativi dei singoli gruppi, consentendo in questo modo un'articolazione attenta alle realtà locali e mantenendo il rispetto di equilibri assai delicati.
Non è stata peraltro esclusa dai soggetti auditi la necessità che tutto ciò avvenga con la partecipazione attiva delle autorità portuali e dell'Assoporti; occorre infatti stabilire regole e perseguire risultati che siano coerenti con gli obiettivi programmatici ed istituzionali che le stesse autorità perseguono per il potenziamento delle attività marittimo-portuali e per la realizzazione dei piani operativi triennali.

11. GLI INTERVENTI PER ASSICURARE UN ELEVATO LIVELLO SICUREZZA NEI PORTI DAL PUNTO DI VISTA DELLA SAFETY E DELLA SECURITY.

Per «sicurezza» in ambito portuale si intende, nell'accezione tradizionale, la tutela dell'incolumità delle persone in caso di incidenti sul mare o nei porti, nonché la prevenzione degli incidenti tipicamente connessi alle attività portuali e alla navigazione (sicurezza come safety). Sotto questo profilo la sicurezza - che è, con tutta evidenza, un obiettivo assolutamente prioritario nell'ambito delle politiche per il settore portuale - risulta perseguita con specifica attenzione con misure intraprese nel tempo, soprattutto per quanto attiene ai rischi durante la navigazione (Convenzione SOLAS). Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001, peraltro, la nozione di sicurezza si è estesa a comprendere anche la prevenzione contro gli atti terroristici (sicurezza come security), tanto più importante in quanto la progressiva apertura dei mercati internazionali e l'innovazione tecnologica hanno trasformato i porti in snodi fondamentali del sistema mondiale dei trasporti e dei traffici.
In particolare, il tema della security in ambito portuale ha acquisito rilevanza concreta con l'emanazione del codice ISPS (International Ship and Port Facility Security) dell'IMO (International Marittime


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Organization), che stabilisce misure di security da adottarsi sulle navi in navigazione internazionale. Rispetto al termine del 1o luglio 2004 previsto per l'applicazione delle norme del codice, peraltro, nel corso dell'audizione di rappresentanti dei Assoporti è stato evidenziato un grave ritardo dell'Italia, anche alla luce delle discrasie tra Ministero dell'interno, Guardia costiera e Autorità portuali in ordine alla titolarità delle competenze in materia di security. Al riguardo, da parte di Assoporti è stata prospettata l'opportunità che la complessiva gestione della security in ambito portuale sia attribuita al Ministero dell'interno e alla Guardia costiera, mentre alle Autorità portuali dovrebbe spetti la definizione dei piani di security nei porti, che presuppone l'approfondita conoscenza del territorio.
Una posizione affine ha espresso il Comitato nazionale di coordinamento degli utenti e degli operatori portuali, per il quale non solo i compiti di polizia e di sicurezza in ambito portuale devono essere lasciati all'autorità marittima (Guardia costiera) e al comandante del porto, ma dovrebbe evitarsi di prevedere che l'autorità marittima debba agire d'intesa con l'autorità portuale, atteso che la ricerca dell'intesa può determinare fatali ritardi nei frangenti di emergenza.
Rispetto all'ipotesi di attribuire alle autorità portuali le funzioni di security nelle strutture portuali (interfaccia nave-porto), la Guardia costiera ha sottolineato come altri paesi (USA, Regno unito, Grecia) si siano orientati in senso opposto ed ha espresso la convinzione che la gestione delle emergenze debba restare affidata ad organismi incardinati nell'amministrazione diretta dello Stato e svincolati da esigenze, come quella dell'equilibrio di bilancio, che possono far passare in secondo piano le priorità della sicurezza. Per quanto riguarda, invece, la divisione dei compiti tra Guardia costiera e amministrazioni dell'interno e della difesa, alla prima dovrebbero spettare le funzioni di valutazione tecnico-marittima e di collaudo delle navi sotto il profilo delle dotazioni di security, mentre alle seconde dovrebbe competere la concreta azione antiterroristica. Alle Capitanerie di porto, quindi, potrebbero attribuirsi funzioni di controllo tecnico-operativo di supporto agli organismi statali istituzionalmente competenti in materia di sicurezza pubblica e di difesa.
Attualmente, gli organismi statali preposti alla sicurezza in ambito portuale sono, ciascuno per le proprie attribuzioni, il Corpo delle capitanerie di porto, la Polizia di Stato e la Guardia di finanza.
La Polizia di Stato è presente nell'ambito delle strutture portuali con la polizia di frontiera, in dipendenza dalla Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere.
La Capitaneria di porto-Guardia costiera, in qualità di autorità marittima, esercita nel porto - ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 84 del 1994 - le funzioni di polizia di sicurezza della navigazione previste dal codice della navigazione e dalle altre leggi e norme del mare. Tali funzioni, non essendo la Guardia costiera una forza di polizia in senso stretto, non sono di tutela dell'ordine pubblico, bensì tecnico-amministrative finalizzate alla sicurezza rispetto ad incidenti (safety e non security). L'attività del Corpo è peraltro proiettata principalmente verso il mare e gli specchi d'acqua in generale, piuttosto che verso la terraferma e i porti, ed è finalizzata a garantire che le diverse attività che si svolgono in acqua non abbiano luogo in forme tali da mettere a repentaglio la vita umana, le risorse biologiche e marine o l'ambiente.
In sostanza, la Capitaneria di porto disciplina e organizza i servizi tecnico-nautici (pilotaggio, ormeggio e rimorchio), ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 84 del 1994, vigilando sulla sicurezza degli ormeggi e delle operazioni di movimentazione delle navi nei porti. Occorrono, infatti, cognizioni tecnico-nautiche per individuare le manovre e gli attracchi adeguati rispetto alle caratteristiche e dimensioni di ciascuna nave o alla natura della merce trasportata o per valutare l'idoneità degli spazi e dei pescaggi. È l'autorità portuale, tuttavia, ad assegnare le banchine


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alle varie componenti di movimentazione, a dare la concessione ai terminalisti e l'autorizzazione per le operazioni portuali. Al riguardo, l'ANGOPI, in particolare, ha espresso l'auspicio che la responsabilità nella gestione dell'approdo non sia sottratta alla Guardia costiera, sottolineando come i servizi tecnico-nautici siano servizi di sicurezza e debbano quindi conformarsi a principi validi su tutto il territorio nazionale e non rispondere a esigenze localistiche.
La Guardi costiera, inoltre, definisce e attua i piani di emergenza per il caso di incendio, di inquinamento, nonché (eventualità che peraltro attiene al profilo della security) di attacco nucleare, batteriologico, chimico o radioattivo (NBCR); disciplina al contempo la circolazione negli spazi comuni, interni al porto ma esterni alle aree assegnate in concessione ai singoli terminalisti, e vigila sulla circolazione dei mezzi terrestri negli spazi comuni del porto, nell'esercizio di funzioni di polizia stradale. L'organizzazione degli spazi, e conseguentemente la delimitazione degli spazi comuni, è stabilita dall'autorità portuale, che regolamenta anche le operazioni nelle aree in cui si eseguono le movimentazioni delle merci o in quelle assentite in concessione ai terminalisti.
La Guardia costiera, infine, effettua i collaudi e le ispezioni in stabilimenti e depositi costieri, quali i depositi di prodotti infiammabili, i distributori di carburante, le raffinerie situate anche in parte entro i limiti del demanio marittimo o collegate ad acque marittime. Il rilascio delle concessioni per l'impianto e l'esercizio di stabilimenti o di depositi costieri di sostanze infiammabili o esplosive spetta invece all'autorità portuale.
La legge n. 84 del 1994 non contiene disposizioni di diretto interesse per i profili istituzionali della Guardia di finanza, che peraltro contribuisce a garantire la sicurezza dei porti esercitando le tradizionali funzioni di polizia doganale e di frontiera, a contrasto del contrabbando, dei traffici illeciti internazionali, delle frodi comunitarie e del riciclaggio. L'amministrazione doganale è articolata in due strutture interconnesse e complementari: quella civile, formata dagli uffici dell'Agenzia delle dogane, cui sono affidati compiti di accertamento, ispezione, controllo ed espletamento delle formalità concernenti i movimenti internazionali di persone e merci; quella militare, costituita dai reparti del Corpo della Guardia di finanza, che svolgono le funzioni di polizia tributaria investigativa per la lotta al contrabbando e ai traffici illeciti internazionali. Le due istituzioni concorrono al conseguimento dell'obiettivo comune di garantire il controllo doganale nazionale, assicurando nel contempo il rispetto delle esigenze di rapidità e di fluidità dei transiti commerciali internazionali.
I militari del Corpo possono intervenire sia all'interno dei porti, in dipendenza funzionale dall'Agenzia delle dogane, sia, autonomamente, al di fuori degli spazi doganali (nelle cosiddette zone di vigilanza doganale terrestre e marittima, come pure nella restante parte del territorio). Nel contrasto al traffico di sostanze stupefacenti, poi, i militari del Corpo esercitano poteri autonomi di prevenzione e repressione anche all'interno dei porti (e degli spazi doganali in genere), coordinandosi con i funzionari doganali. Il dispositivo di vigilanza e contrasto è articolato su due linee interconnesse: la prima, stanziale e di controllo del territorio, è costituita dai reparti incaricati di assicurare la sicurezza in mare, lungo i confini e soprattutto nei porti, nonché su tutto il territorio nazionale; la seconda, investigativa, è formata dalle articolazioni operative incaricate di sviluppare ed approfondire le indagini di polizia giudiziaria su organizzazioni criminali, perseguendo anche i profili connessi al riciclaggio dei proventi illeciti ed alle frodi in danno del bilancio dell'Unione europea.
L'organizzazione del dispositivo di vigilanza all'interno delle aree portuali è - in base all'articolo 17 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e successive modificazioni) - prerogativa del capo della dogana, il quale vi provvede direttamente


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con il proprio ufficio ovvero avvalendosi della Guardia di finanza. Nell'espletamento del servizio, i militari del Corpo dipendono quindi funzionalmente dai responsabili doganali in turno e si attengono alle prescrizioni fissate in apposite consegne, redatte dal direttore dell'ufficio doganale d'intesa con il comandante provinciale territorialmente competente.
All'interno dei porti la Guardia di finanza svolge attività di vigilanza ed assistenza, con la missione primaria di impedire il compimento di sottrazioni, confusioni, sostituzioni o di operazioni comunque non permesse; cura altresì il «servizio di riscontro», che consiste nel verificare, dopo lo svincolo delle merci, la corrispondenza tra il carico ed i documenti doganali di scorta, al fine di attivare, nel caso di fondati sospetti d'irregolarità, l'ispezione delle merci (a tal fine è riconosciuta ai militari del Corpo un'ampia discrezionalità ed autonomia nella selezione dei controlli).
Con riferimento più specifico alla security in ambito portuale, i controlli della Guardia di finanza si sviluppano lungo tre direttrici: controllo delle merci nei containers, vale a dire il controllo della corrispondenza del contenuto con il manifesto di carico (l'operazione è condotta attraverso l'uso di scanner a raggi x o a raggi gamma e ha anche finalità doganali); controllo dell'eventuale presenza di esseri umani all'interno dei containers, effettuato attraverso sonde ad anidride carbonica (il controllo è nato per il contrasto all'immigrazione clandestina, ma è rilevante anche nella lotta al terrorismo); controllo dei passeggeri a bordo delle navi da crociera e dei traghetti, che si attua, in stretto coordinamento con l'autorità marittima locale, mediante procedure di segregazione, verifica di accessi, identificazione, ispezioni personali e dei bagagli effettuate con le metodologie e le strumentazioni in uso presso gli aeroporti. È stato peraltro sottolineato che non esistono ad oggi procedure vincolanti per il controllo dei passeggeri «a terra» (metal detector e raggi X non essendo obbligatori nei porti), mentre a bordo delle motonavi di linea non sono richiesti titoli di viaggio nominativi per passeggero.
Nell'ambito portuale - come lungo tutto il confine terrestre e marittimo - la Guardia di finanza svolge inoltre funzioni di polizia di frontiera, sotto la direzione dei funzionari di pubblica sicurezza. Fra le misure compensative dell'abolizione, a seguito dell'accordo di Schengen, dei controlli sulle persone e sulle merci alle frontiere interne all'area dell'accordo c'è l'intensificazione della cooperazione fra i servizi di polizia nazionali e il potenziamento dell'azione di vigilanza alle frontiere esterne, al fine di impedire l'ingresso nello «spazio Schengen» di immigrati clandestini attraverso i confini con paesi terzi.
La Guardia di finanza, quale forza di polizia a competenza generale in materia economico-finanziaria, proietta le propria azione di polizia doganale anche fuori dei porti, nel prospiciente contesto marittimo, avvalendosi di mezzi aeronavali, legittimati a intervenire in mare nell'ambito della zona di vigilanza doganale marittima.
Secondo quanto emerso nel corso delle audizioni, i controlli di sicurezza nei porti europei sono aumentati anche a seguito del varo dell'iniziativa Container Security Initiative (CSI), intrapresa dagli Stati Uniti quale misura antiterrorismo d'emergenza e consistente in accordi bilaterali con le amministrazioni doganali dei paesi comunitari. La CSI ha portato all'intensificazione dei controlli sulle merci che giungono negli Stati Uniti d'America provenendo dai principali porti dell'Unione europea, al fine di individuare armi di distruzione di massa o materiali utilizzabili per atti terroristici. Particolare attenzione viene posta al controllo delle merci cosiddette «a doppio uso», cioè quelle merci che in sé considerate non rappresentano una minaccia, ma che possono costituire o diventare componenti di armi. La dichiarazione di intenti italo-statunitense siglata il 7 novembre 2002 a Washington, inoltre, prevede il rafforzamento degli standard di sicurezza nei porti di partenza e il distacco in Italia di agenti


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della dogana statunitense (posti sotto la diretta supervisione dell'ambasciatore statunitense in Roma). I porti nazionali interessati dall'iniziativa nella fase pilota sono quelli di Genova e La Spezia, nonché quelli di Gioia Tauro e Livorno. L'iniziativa sarà successivamente estesa ad altri porti d'interesse.
Giova infine ricordare che, con riferimento alla necessità di adottare misure specifiche e costanti per assicurare adeguati livelli di tutela della security nelle Autorità portuali, soprattutto alla luce dell'attuale situazione internazionale e dei rischi di attentati terroristici, la IX Commissione ha approvato uno specifico atto di indirizzo il 6 luglio 2005 (n. 8-00130). Con la risoluzione approvata si impegna in particolare il Governo a realizzare prontamente tutti gli interventi necessari per assicurare un adeguato livello di security nei porti, alla luce della funzione strategica svolta dalle strutture portuali, articolandoli nell'ambito di un quadro unitario di finanziamenti e di una definizione chiara ed univoca delle competenze dei soggetti responsabili.

12. CONCLUSIONI. GLI INTERVENTI IN FAVORE DEL SETTORE PORTUALE QUALE ELEMENTO FONDAMENTALE DEL RILANCIO DELLA COMPETITIVITÀ DEL SISTEMA PAESE.

Nel 1994 la normativa in materia portuale è stata interessata da un esteso intervento di riforma, attuato con la legge 28 gennaio 1994, n. 84, e diretto ad adeguare la disciplina vigente alle mutate esigenze del settore, connesse con l'intensificarsi dei traffici marittimi, con la crescente competizione tra scali portuali nazionali ed internazionali, nonché con la necessità di favorire gli investimenti secondo logiche coerenti con gli obiettivi del piano generale dei trasporti e funzionali ad un equilibrato sviluppo del sistema portuale nazionale ed alla realizzazione del progetto «autostrade del mare». Con la legge 84 è stato quindi introdotto un modello basato sulla privatizzazione della gestione dei terminali, in un contesto di mantenimento della proprietà pubblica dei suoli e di programmazione e controllo pubblici dell'uso del territorio secondo un modello cosiddetto landlord. La legge 84 ha quindi innovato fortemente il modello istituzionale precedente, fondato su porti interamente pubblici, ed ha consentito ai porti italiani di «intercettare» i crescenti traffici in transito nel bacino del mediterraneo dando luogo a tassi di crescita rilevanti anche da un punto di vista comparativo con gli altri porti europei. Al tempo stesso, ha consentito di attrarre un consistente flusso di investimenti esteri da parte dei maggiori operatori internazionali del terminalismo portuale e del trasporto marittimo. Negli ultimi anni, tuttavia, il tasso di crescita del settore portuale nazionale non è andato di pari passo rispetto agli altri porti europei e, soprattutto, dei porti del Medio oriente in continuo, esponenziale sviluppo: una riflessione da parte del Parlamento sugli aspetti nevralgici della legge n. 84 al fine di superare le criticità registrate in questi anni - sentiti tutti gli operatori del sistema ed i soggetti istituzionali coinvolti - e di apportare tutti i possibili miglioramenti, è apparsa quindi di particolare importanza.
Dagli elementi conoscitivi acquisiti e dalle audizioni svolte nel corso dell'indagine è emerso, quindi, come - vista la positiva «tenuta» della legge n. 84 del 1994 nella sua impostazione generale - non vi è la necessità di procedere ad una modifica dell'impianto complessivo della legge bensì solo l'esigenza di un suo aggiornamento. Infatti, dopo dieci anni dalla sua entrata in vigore, vi è la necessità di adeguare il tessuto normativo alle nuove esigenze del settore con particolare riferimento alla crescente globalizzazione ed alla più marcata integrazione comunitaria dei traffici via mare. In tale contesto, l'esigenza prioritaria è quella di porre una sempre maggiore attenzione agli interventi volti ad un effettivo rilancio del settore - con il coinvolgimento di tutti i soggetti coinvolti - per riuscire a rispondere al


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meglio alle nuovo sfide connesse alla valorizzazione, anche in ambito europeo, delle autostrade del mare e del ruolo che l'economia marittima in generale - e in particolare lo sviluppo dei traffici portuali - può svolgere nel contesto nazionale ed internazionale.
Anche nel corso della missione, svolta da una delegazione della IX Commissione, sui temi oggetto dell'indagine conoscitiva, presso il porto di Shanghai e presso i maggiori porti della Corea del Sud, nel corso della quale sono stati svolti incontri con rappresentanti delle istituzioni, delle Port Authority e degli operatori privati di tali paesi, è stata sottolineata con particolare evidenza la necessità che l'Italia si doti di un sistema infrastrutturale di retroportualità in grado di consentire alle navi provenienti dall'Estremo oriente di «dirottare» una parte dei loro traffici nei diversi porti italiani, in maniera più diffusa di quanto viene fatto al momento (in cui si utilizzano prevalentemente i porto di Rotterdam, Anversa e Valencia). È stata infatti rappresentata l'esigenza, sia da parte cinese sia coreana - anche alla luce dell'apertura del canale di Suez che apre nuove rotte per i traffici marittimi - di poter disporre di realtà infrastrutturali articolate ed efficienti che consentano di trasportare nei vari mercati europei le merci che arrivano nei porti italiani: risulta pertanto evidente come occorra fare tutto il possibile affinchè il sistema Italia colga appieno di tutte le possibilità offerte da queste nuove opportunità rispondendo a adeguatamente tali esigenze. Al tempo stesso, è prioritario individuare, con particolare urgenza, tutte le possibili iniziative - anche valorizzando l'attività svolta dall'ICE e dalle Ambasciate d'Italia in tali paesi - finalizzate a favorire sempre maggiori sinergie ed integrazioni nei traffici commerciali tra i maggiori porti dell'Italia, della Cina e della Corea del Sud ed ogni opportuno intervento per lo sviluppo e la promozione di un settore di particolare rilievo, quale è quello portuale, soprattutto per le economie dei paesi confinanti con il mare, promuovere quanto prima - vista la disponibilità manifestata - la definizione di accordi e protocolli di intesa tra l'Italia, la Corea del sud e la Cina al fine di valorizzare ogni possibile iniziativa per una più stretta integrazione nei traffici marittimi e commerciali tra tali paesi.
Definire una cornice normativa chiara ed aggiornata alle nuove esigenze del settore, come ripercorse nell'ambito del documento conclusivo, rappresenta quindi un elemento di fondamentale importanza nell'ambito delle iniziative da assumere per il rilancio della competitività del sistema paese.
Particolarmente condivisibile appare infatti il concetto di porto sempre più come luogo della logistica dove si integrano le vari attività che possono qualificarne la funzione superando la logica di una concorrenza tra singoli terminal e tra singoli porti. In tale direzione è stato espresso l'auspicio - pienamente condiviso dal legislatore - di ricercare l'efficienza dei porti in una logica di sistemi portuali, così superando le forme di concorrenza interna e tra porti limitrofi, e di garantire un livello di occupazione qualificata nel pieno rispetto delle regole sulla sicurezza e sulla tutela del lavoro.
Presupposto fondamentale, da più parti evidenziato nel corso dell'indagine, appare infatti quello di considerare l'insieme dei porti italiani come «sistema» per poter essere efficacemente competitivi su scala mondiale, individuando la struttura portuale quale rete e non quale singolo di un complesso di realtà distribuite sul territorio. In tale contesto quindi andrà promossa ogni forma di sinergia e di cooperazione tra i diversi ruoli istituzionali, amministrativi, economici e sociali che concorrono allo sviluppo ed alla vita del porto, al suo interno ed all'esterno, ivi comprese le realtà locali, accanto alla definizione di procedure snelle, efficaci e competitive rispetto agli altri porti europei e mondiali.
Occorrerà al contempo individuare, in una logica di valorizzazione del sistema, una maggiore specializzazione dei porti italiani, distinguendo tra quelli la cui


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attività è focalizzata in traffico merci e al suo interno tra le varie tipologie (container, petroli eccetera) e tra traffico passeggeri e valutando la possibilità di una maggiore differenziazione dei modelli gestionali a fronte di una tripartizione di ruoli tra porti di transhipment, porti a scalo diretto e porti feeder regionali. In tale modo si potrà «puntare» sulle diverse peculiarità facendo in modo che tutte possano poi fare parte e concorrere allo sviluppo del sistema portuale italiano nell'ambito di una più complessiva strategia nazionale volta a valorizzare pienamente i nostri punti di forza ed il nostro livello di competitività per rispondere al meglio alle sempre maggiori sfide del mercato globalizzato.
Alla luce del trend di crescita esponenziale registratosi negli ultimi anni, in particolar modo nei traffici commerciali tra l'Europa ed il Medio Oriente, e del fatto che tali traffici si sono orientati prevalentemente attraverso la via mediterranea, la portualità italiana potrà infatti svolgere un ruolo strategico in tale contesto se saprà cogliere appieno tali possibilità valorizzando la propria posizione geografica ed uno sviluppo integrato delle reti di trasporto.