III Commissione - Mercoledì 29 settembre 2004


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ALLEGATO 1

5-03424 Calzolaio: Arresto immotivato di Rafique Al Islam, attivista nel campo dei diritti umani in Bangladesh.

TESTO DELLA RISPOSTA

La notizia della liberazione di Rafique al Islam, rappresentante in Bangladesh della Campagna Internazionale per la messa al bando delle mine anti persona, è stata confermata il 20 settembre dalla rappresentante italiana della stessa Organizzazione.
Tale liberazione è stata ottenuta grazie alle pressioni internazionali; lo stesso Governo italiano, insieme a tutti gli altri partner dell'Unione Europea, si è attivato nei confronti delle autorità bengalesi al fine di garantire il rispetto dei diritti umani e l'equità giudiziaria.
Il caso di al Islam era stato seguito fin dall'inizio dai Capi Missione dell'Unione a Dhaka e aveva formato oggetto di discussione nei competenti Gruppi di Lavoro a Bruxelles, mentre la Presidenza dell'Unione Europea richiedeva specifiche informazioni sul caso al Ministero degli Esteri locale ed esprimeva preoccupazione, esortando le autorità bengalesi al rispetto dei diritti umani. La pressione sulle autorità bengalesi è stata esercitata con continuità, fino alla liberazione dell'attivista. Prima della liberazione la Presidenza dell'Unione Europea aveva comunque avuto notizia che egli era autorizzato a incontrare i suoi familiari e il suo avvocato, che era adeguatamente rifornito di cibo e medicinali e che non esistevano indizi di maltrattamenti nei suoi confronti.
Sulla situazione generale dei diritti umani in Bangladesh desidero ricordare che - sebbene il Paese non abbia formato oggetto di alcuna risoluzione di condanna nel corso della 60a Sessione annuale della Commissione per i Diritti Umani di Ginevra - vengono segnalate da parte di organizzazioni umanitarie violazioni ed abusi in alcuni settori. Nonostante la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti - principio sancito anche dalla Costituzione bengalese - secondo alcune importanti ONG (Amnesty International e Human Rights Watch), abusi continuerebbero ad essere praticati dalle forze di polizia e da altre forze dell'ordine. Inoltre, Amnesty International, nel suo Rapporto 2004 sullo stato dei diritti umani nel mondo, riferisce di frequenti segnalazioni di casi di impunità in relazione ad episodi di violenza domestica ai danni delle donne.
Per quanto riguarda la libertà di stampa e di informazione, la Costituzione bengalese prevede libertà di parola, di espressione e di stampa eccetto per «limitazioni ragionevoli» nell'interesse della sicurezza, delle relazioni con altri paesi, dell'ordine pubblico, della moralità e della decenza, per impedire atti di diffamazione o incitamento a trasgredire le leggi. Tuttavia, i giornali più importanti del Paese manifesterebbero una certa propensione all'autocensura su questioni particolarmente scottanti per evitare possibili ritorsioni. La radio e la televisione pubblica sono controllate dal Governo che permette solo limitatamente l'uso di tali strumenti da parte dell'opposizione.
Si segnala infine che nel rapporto 2004 intitolato «La pena di morte nel mondo» pubblicato dall'ONG Nessuno Tocchi Caino, il Bangladesh è annoverato tra i Paesi che mantengono la pena capitale: sono reati puniti con la pena di morte l'omicidio, la sedizione ed il traffico


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di droga. Inoltre, il 13 marzo 2002, il Parlamento ha approvato una legge che prevede l'istituzione di tribunali speciali e processi «veloci» (da celebrare entro 90 giorni dalla denuncia) che possono emettere sentenze di condanna a morte per atti gravi di violenza contro donne e bambini. Le condanne punite con la pena capitale sono notevolmente aumentate a seguito dell'introduzione di tali tribunali speciali. In un anno e mezzo di attività, sarebbero stati affrontati 183 casi conclusisi con la condanna a morte di 274 persone.


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ALLEGATO 2

5-03480 Landi di Chiavenna:
Violazione fedi religiose nella Repubblica popolare cinese.

TESTO DELLA RISPOSTA

1. In occasione della 17a sessione del dialogo strutturato EU-Cina sui diritti umani, tenutasi sotto presidenza irlandese a Dublino, l'Unione Europea ha reiterato le sue preoccupazioni per le misure repressive adottate dal Governo cinese contro alcuni gruppi religiosi. In questo ambito è stato segnalato nuovamente il caso del Vescovo cattolico Su Zhimin, ripetutamente arrestato dalla polizia cinese. Anche nel discorso generale sullo stato dei diritti umani nel mondo, pronunciato in occasione della 60a Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (CDU) di Ginevra, la Presidenza UE ha espresso forte preoccupazione per il persistente diniego, da parte della Cina, delle libertà di espressione, di culto, di associazione e delle continue violazioni dei diritti umani a danno di attivisti politici e di appartenenti a minoranze religiose. Sempre nel corso della citata sessione della CDU, gli Stati Uniti hanno presentato un Progetto di Risoluzione di condanna della Cina per le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali; l'Italia e gli altri partners membri della commissione hanno votato contro l'iniziativa procedurale cinese (no action motion), poi effettivamente adottata dalla CDU, volta ad impedire che il testo statunitense venisse discusso in sede di assemblea plenaria.
La Cina aveva recentemente accettato, grazie anche alla pressione dei Paesi dell'Unione Europea e dopo lunghi e difficili negoziati attivati proprio nel corso del semestre di Presidenza dell'Italia, la visita del Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione e dello Special Rapporteur della Commissione dei Diritti Umani sulla tortura. Da parte del Governo cinese è stata tuttavia presentata una richiesta di rinvio ad ottobre prossimo per quest'ultima visita, sulla base di ragioni definite «non politiche» ma legate a «difficoltà tecniche».
L'Italia e l'Unione Europea sono determinate a seguire con estrema attenzione la situazione della libertà religiosa in Cina, cogliendo ogni occasione utile di confronto sulla materia con le Autorità di Pechino: proprio durante la sessione del Dialogo strutturato che si è tenuta a Pechino la settimana scorsa, è stato esplicitamente previsto uno specifico punto dell'agenda dedicato alla libertà di culto, per sottolineare come la garanzia del rispetto della libertà religiosa, così come di ogni altra libertà fondamentale e, più generalmente, dei diritti umani, rappresenti un elemento fondamentale delle relazioni tra l'UE e la Cina. In occasione di questo incontro, la Presidenza ha consegnato una lista di casi individuali con richiesta di elementi, nella quale sono stati inseriti i nominativi dei sacerdoti e dei fedeli cristiani che sono stati sottoposti a misure restrittive della libertà personale e della libertà di culto.
In sede di Unione Europea, è comunque in corso di svolgimento una valutazione complessiva del dialogo strutturato UE-Cina al fine di procedere ad un attento esame dei metodi che possono portare ad un suo rafforzamento, anche in termini di risultati più tangibili, con la conseguente richiesta alla Cina di condividere le modifiche ritenute necessarie.
2. L'embargo alla vendita di armi alla Repubblica Popolare Cinese - deciso dall'Unione


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Europea nel 1989 dopo i fatti di Tienammen - è una problematica seguita da, parte italiana con particolare attenzione, anche nel quadro del partenariato strategico tra l'Unione Europea e Cina, che abbiamo contribuito a finalizzare durante il nostro semestre di Presidenza UE.
All'interno dell'Unione Europea - ove la Francia ha tradizionalmente esercitato, ed esercita, sulla questione un ruolo trainante - il consenso dei principali partners, tra cui in particolare la Germania e la Spagna, sta progressivamente e sempre più consolidandosi a favore dell'abrogazione dello stesso embargo. Tale abrogazione dovrebbe essere peraltro accompagnata da una revisione del Codice di Condotta europeo sull'esportazione delle armi, in modo tale da renderlo più efficace; le eventuali modifiche sono attualmente allo studio dei competenti organismi dell'U.E. Va anche notato come il codice di condotta preveda che ogni decisione sull'esportazione di armi da parte di un paese membro dell'U.E., sia soggetto ad un insieme di criteri, tra cui la valutazione della situazione dei diritti umani. In tale senso è anche la posizione italiana.
Sulla questione dell'embargo si è direttamente espresso con le controparti cinesi il Presidente Berlusconi - evocando la prospettiva futura di una possibile cancellazione dell'embargo - sia in occasione del Vertice UE-Cina dell'ottobre 2003 a Pechino, sia da ultimo durante l'incontro con il Primo Ministro cinese Wen Jiabao, tenutosi a Roma lo scorso 7 maggio.
Il Consiglio Europeo del 17/18 giugno scorsi, riaffermando il proprio impegno a sviluppare ulteriormente il partenariato strategico con la Cina, ha invitato il Consiglio a continuare a prendere in esame l'embargo sulle armi nel contesto della relazioni globali dell'UE con la Cina, adottando pertanto una formulazione equilibrata, che ha evitato di menzionare date per una decisione definitiva in materia.


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ALLEGATO 3

5-03493 Cima: Addestramento militare esercito iracheno.

TESTO DELLA RISPOSTA

Al Vertice Atlantico di Istanbul (28-29 giugno), gli Alleati hanno deciso di accogliere la richiesta del Primo Ministro iracheno Allawi di un'assistenza della NATO per l'addestramento delle forze di sicurezza irachene.
Approvata sulla scia della Risoluzione 1546 (adottata all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU) e di una ritrovata coesione transatlantica, la Dichiarazione sull'Iraq di Istanbul ha permesso di definire per la NATO un importante ruolo di capacity building nel settore della sicurezza, a beneficio della stabilizzazione dell'Iraq nel suo complesso. Grazie a tale decisione, la NATO potrà infatti dare un contributo significativo a quel processo di «irachenizzazione» delle forze di sicurezza che l'intera Comunità internazionale ha auspicato e che il Governo italiano ha caldeggiato. Riteniamo che, attraverso tale processo, l'Iraq potrà compiere un passo importante verso il pieno recupero della sovranità nazionale.
Il contributo della NATO si inquadra pertanto in una strategia di ampio respiro, che coinvolge sia la Comunità Internazionale sia le Autorità irachene. In tale contesto, caratterizzato da solidi riferimenti in ambito multilaterale, l'Italia ha dato la propria disponibilità a partecipare all'addestramento delle forze irachene, secondo modalità ancora da concordare, nell'ambito dell'Alleanza Atlantica, con il Governo del Primo Ministro Allawi.