Commissione parlamentare per l'infanzia - Marted́ 27 luglio 2004


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ALLEGATO

RELAZIONE ALLE CAMERE SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE 28 AGOSTO 1997, N. 285 RECANTE «DISPOSIZIONI PER LA PROMOZIONE DEI DIRITTI E DI OPPORTUNITÀ PER L'INFANZIA E L'ADOLESCENZA»

Premessa.

La Commissione parlamentare per l'infanzia ha compiti di indirizzo e di controllo sulla concreta attuazione della legislazione relativamente ai diritti e allo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Negli ultimi anni la legge italiana che più ha inciso e determinato le politiche per l'infanzia e l'adolescenza nel Paese, a livello centrale e, soprattutto, delle comunità locali è stata la legge 28 agosto 1997, n. 285 «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza».
In questa prospettiva è parso doveroso che la Commissione parlamentare per l'infanzia, al termine del secondo triennio di attuazione della legge 285/97, analizzasse le modalità di applicazione e realizzazione, valutasse l'impatto reale delle politiche e dei servizi attivati sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza, approfondisse le prospettive possibili della legge in un contesto normativo mutato (con riferimento all'approvazione della legge 328/00 e alla riforma del Titolo V della Costituzione) che non ha però abrogato la legge 285/97 e in una situazione di evoluzione dei bisogni e delle esigenze dell'infanzia e dell'adolescenza.
Nell'ambito della verifica dell'attuazione della legge 285/97, in relazione alle lettere d) e e) del comma 1 dell'articolo 3, ed in connessione con l'indagine conoscitiva in corso sull'adozione internazionale, la Commissione parlamentare per l'infanzia ha ritenuto necessario approfondire anche la questione dello stato e delle prospettive del processo di deistituzionalizzazione dei minori in atto nel nostro Paese, anche in vista della chiusura degli istituti entro il 31 dicembre 2006, disposta dal comma 4 dell'articolo 2 della legge 184/83 «Diritto del minore ad una famiglia» (novellata dalla legge 149/01).
Obiettivi della presente relazione sono, di conseguenza:
esaminare e rappresentare le modalità di realizzazione della legge 285/97 sul territorio nazionale evidenziando aspetti positivi e punti critici, anche in relazione a tre aspetti specifici, individuati come strategici dalla Commissione stessa: rapporto tra applicazione della legge 285/97 e garanzia dei diritti dei minori sanciti dalla legge 176/91 (ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo); ruolo della legge 285/97 per l'acquisizione diffusa di una logica di piano nella progettazione e nella gestione integrata di interventi e servizi per l'infanzia e l'adolescenza; relazione tra l'applicazione della legge 285/97 e il processo di attuazione della legge 328/00;
tratteggiare le prospettive possibili di evoluzione nell'applicazione della legge 285/97 indicando al Parlamento, al Governo e alle Regioni e Province autonome sia le «pratiche adeguate» che si sono sperimentate, sia i percorsi possibili per consolidare gli effetti positivi della legge e per eliminare criticità e disfunzioni;
esaminare il processo di deistituzionalizzazione dei minori e indicare priorità nelle azioni da intraprendere per garantire una corretta attenzione ai «minori fuori dalla famiglia» e adeguate modalità di intervento a livello di amministrazione centrale e decentrata.


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Per raccogliere gli elementi conoscitivi necessari a conseguire tali obiettivi è stato predisposto e realizzato un programma di lavoro che, nella sua applicazione operativa, ha impegnato la Commissione parlamentare per l'infanzia dal gennaio al luglio del 2004
La Commissione ha realizzato due missioni e quattro sessioni di audizioni per incontrare esperienze di «pratiche adeguate» della legge 285/97 e risposte possibili ai bisogni di accoglienza residenziale dei minori; per garantire una ricognizione omogenea e coerente dei contributi dei soggetti coinvolti da missioni e audizioni sono state predisposte tracce differenziate sui temi affrontati.
In particolare le audizioni e le missioni (due di meno rispetto a quelle inizialmente programmate a causa della concomitanza con la campagna elettorale per le elezioni europee ed amministrative) sono state predisposte in modo da incontrare diversi soggetti (distribuiti nei diversi territori del Paese e con appartenenze politiche differenti) protagonisti dell'applicazione della legge 285/97 e del processo di deistituzionalizzazione
In particolare si sono incontrati:
responsabili politici e amministrativi di livello regionale (Abruzzo, Lombardia, Veneto e Umbria), provinciale (Teramo e Viterbo) e comunale (Teramo, Pescara, Macerata, Pesaro, Palermo, Siracusa, Caltanissetta, Gela, Arezzo e La Spezia - queste ultime due in quanto città premiate per Ecosistema bambino);
il terzo settore (Cooperativa sociale di Milano e Coordinamenti nazionali di strutture residenziali per minori).

1. La realizzazione della L. 285/97 sul territorio nazionale: analisi delle fonti ed esame dei contributi raccolti.

Le fonti utilizzate per redigere il presente capitolo sono:
l'attività istituzionale di monitoraggio (ai sensi dell'articolo 10 della legge 285/97);
le ricerche e gli approfondimenti «specifici» e «locali» (con riferimento al monitoraggio di Regioni e Ambiti territoriali e alle attività di Università e altri enti di ricerca);
i contributi raccolti dalla Commissione durante la missione e le audizioni.

1.1. Cosa è la legge 285/97.

L'approvazione della legge 28 agosto 1997, n. 285 «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza» ha segnato un cambiamento nelle politiche e nei servizi per l'infanzia e l'adolescenza in quanto tra le sue le caratteristiche fondamentali ci sono:
l'istituzione di un fondo nazionale per promuovere i diritti, la qualità della vita, lo sviluppo individuale e sociale dei bambini e degli adolescenti (circa 150.000.000 euro all'anno per le prime due triennalità);
la definizione di indirizzi e finalità generali delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, affermando la centralità del minore nell'ambito della famiglia e del rapporto genitori/figli, indicate a livello centrale e contestualizzate ed integrate a livello regionale e locale;
l'individuazione dell'Ambito territoriale come spazio omogeneo della dimensione adeguata ad un intervento orientato alla sussidiarietà;
l'utilizzo del «piano territoriale triennale» come strumento partecipato di progettazione sociale, ratificato dall'«accordo di programma» tra gli enti pubblici sottoscrittori al fine di garantirne l'attuazione;
l'indicazione della strategia delle connessioni, da privilegiare per mettere insieme tutte le forze sociali e istituzionali che si occupano di minori sul territorio
la scelta dell'orizzonte della normalità, favorendo la promozione dell'agio


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oltre agli interventi sul disagio, individuando direttrici di servizi ed interventi per l'infanzia e l'adolescenza che coprono i vari aspetti della vita: i diritti dei minori e lo sviluppo urbano sostenibile1[1], le opportunità per un tempo libero di qualità[2], il sostegno a significative relazioni genitori/figli e alla prima infanzia[3], il contrasto alla povertà, al disagio e alla violenza[4];

[1] Nell'ambito dell'Articolo 7 "Azioni positive per la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza" i progetti realizzati hanno riguardato prevalentemente: Progettazione urbana partecipata; Eventi di informazione e sensibilizzazione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza; Esperienze di educazione alla solidarietà; Consigli comunali dei ragazzi e delle ragazze; Città amiche dei bambini e delle bambine; Piste ciclabili..
[2] Nell'ambito dell'Articolo 6 "Servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero" i progetti realizzati hanno riguardato prevalentemente: Laboratori di creatività; Centri educativi diurni; Ludoteche; Ludobus; Centro educativo per preadolescenti; Centri di aggregazione giovanile...
[3] Nell'ambito dell'Articolo 5 "Innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia" i progetti realizzati hanno riguardato prevalentemente: Nuovi servizi per la prima infanzia; Servizi di sostegno alla genitorialità; Formazione genitori; Spazi bambine e bambini; Spazi famiglia; Centri per famiglie...
[4] Nell'ambito dell'Articolo 4 "Servizi di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali" i progetti realizzati hanno riguardato prevalentemente: Interventi di ascolto e sostegno adolescenti; Assistenza domiciliare; Affidamento familiare; Interventi per il minimo vitale; Interventi di mediazione familiare; Interventi per l'integrazione dei minori stranieri; Interventi per l'integrazione dei minori disabili nello studio, nel lavoro, nel gioco e nello sport; Pronta accoglienza residenziale; Sostegno alle famiglie affidatarie; Prevenzione e assistenza nei casi di violenza sessuale e maltrattamento; Prevenzione del disagio psicologico dei minori...

l'attenzione all'innovatività e alla sperimentazione di più adeguati servizi e interventi per l'infanzia e l'adolescenza.

Nel primo triennio di attuazione della legge nelle 15 città riservatarie e in 245 ambiti territoriali si sono realizzati quasi 3000 progetti che hanno portato a circa 7.000 interventi, dei quali il 60 per cento nella fascia 6/14 anni. Nella seconda triennalità il numero di ambiti è cresciuto mentre si sono consolidati i progetti (oltre 2.500).

1.2. Lo stato dell'arte di una legge nazionale/federalista.

La relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 285/97 per l'anno 2002 presentata dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali «tracciando una prima analisi nel secondo triennio di finanziamento, delinea un bilancio positivo sull'applicazione della legge 285/97, sull'attuazione dei suoi principi e sui risultati raggiunti. La relazione coglie tutte le difficoltà connesse a un quadro normativo mutato (Titolo V della Costituzione e legge 328/00) che impegna gli enti coinvolti nella progettazione degli interventi in un compito difficile ma foriero di opportunità per lo sviluppo e la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.» (pag. 8).
D'altra parte fin dalla sua approvazione la legge 285/97 è stata, correttamente, definita come una legge al tempo stesso «nazionale» in quanto indirizzata a garantire su tutto il territorio del Paese diritti e opportunità per l'intera fascia di cittadini minorenni e «federalista» perché fortemente orientata a contestualizzare politiche, servizi e interventi per l'infanzia e l'adolescenza nei diversi territori, favorendo partecipazione e coinvolgimento di istituzioni locali, formazioni sociali, famiglie e cittadini.
Dal punto di vista «temporale» il momento attuale (luglio 2004) dovrebbe corrispondere al secondo anno dopo le due triennalità complete (la prima triennalità dal 1997 al 1999 e la seconda dal 2000 al 2002) ma il condizionale è d'obbligo in quanto la situazione sul territorio nazionale è molto differenziata (poiché in alcune aree regionali è stata appena avviata la programmazione per la seconda triennalità) a causa di fattori generali e particolari che hanno condizionato la prosecuzione dell'attuazione della legge 285/97.
Tra i fattori «generali» vanno evidenziati:
l'accumulo di slittamenti dal primo triennio di attuazione per una oggettiva difficoltà di attivare procedure e modalità «innovative» delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza;
la concomitanza con l'approvazione di leggi (legge 328/00 e legge Costituzionale 3/01) che possono aver disorientato le Amministrazioni regionali nel dare continuità alla programmazione.

Tra i fattori «particolari» in alcuni Ambiti territoriali si sono registrate:
difficoltà nell'implementazione delle procedure relative ai bandi di gara o ad altre procedure ad evidenza pubblica (collegate, in qualche caso, alla ricerca di una «continuità» tra progettazione e gestione degli interventi);
sovraccarico di compiti e responsabilità per funzionari degli enti locali, spesso legato alla mancanza di personale amministrativo;
difficoltà a lavorare in modo realmente integrato tra le istituzioni pubbliche e le formazioni coinvolte;
l'incertezza dell'entità, la disponibilità effettiva, la continuità dei contributi assegnati per dare avvio e stabilità alle azioni.


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Indipendentemente dalla diversa situazione nei territori ci sono alcuni elementi che permettono di avviare un primo significativo bilancio, complessivo seppur differenziato della legge 285/97:
la legge è stata comunque avviata in tutte le Regioni e le Province autonome anche nel secondo periodo con un conseguente «aggiustamento» di obiettivi, priorità, metodi e organizzazioni;
le attività di monitoraggio e di verifica, previste per legge, sono state avviate ed hanno prodotto molteplici documenti;
la legge 285/97 ha lasciato «tracce» evidenti in recenti atti legislativi e programmatori di livello nazionale andando a definire una forma ed una modalità di pianificazione sociale territoriale abbastanza identificabile e analizzabile, definibile come «modello 285».

Per la Commissione la differente situazione nell'applicazione della legge 285/97 non appare problematica in sé ma lo diventa in relazione alla crescente difficoltà di raccordare in maniera unitaria le azioni e le politiche delle Regioni e delle Province autonome e degli Ambiti territoriali col rischio che diventi sempre più difficile verificare il raggiungimento e il mantenimento di uno degli obiettivi principali della legge 285/97, quello di «accorciare» l'Italia; cioè di offrire pari opportunità, uniforme tutela dei diritti e equivalenti occasioni di promozione e di crescita a tutti i minorenni presenti nel Paese.
D'altra parte la dimensione «federalista» della legge 285/97 non può essere compressa o mortificata anche se, anticipando un auspicio finale della Commissione, è necessario recuperare l'aspetto della comunicazione, della circolarità delle informazioni, della «solidarietà» tra i territori (ed in particolare tra le Regioni) che ha costituito, probabilmente, il maggiore fattore di successo della prima fase di attuazione della legge, come hanno testimoniato anche molti soggetti sentiti nelle audizioni e nella missione.
La progettualità della legge 285/97, pur nelle innegabili diversità territoriali, ha generalmente rappresentato un elemento forte e positivo in quanto sono rimasti significativamente alti per tutto il periodo intercorso dall'approvazione della legge al momento attuale e, anzi, hanno spesso registrato significativi incrementi, alcuni elementi qualificanti come: la copertura territoriale garantita dai progetti presentati, il livello degli investimenti, il coinvolgimento di professionalità competenti e sensibili, la partecipazione attiva dei soggetti del terzo settore alle diversi fasi di applicazione della legge.
La Commissione ha potuto verificare concretamente come l'effetto «volano» della legge 285/97 abbia mantenuto la sua efficacia e abbia permesso di dare sicurezze ai servizi innovativi avviati con i fondi della legge e con i cofinanziamenti richiesti dalle Regioni; dalle relazioni di Regioni e città riservatarie si coglie che:
il «modello 285» sta diventando un riferimento costante per tutta la progettualità sociale nei confronti dell'infanzia e dell'adolescenza e non solo;
il numero di progetti approvati rimane alto anche nella seconda triennalità e se diminuisce è, spesso, solo per evitare frammentazioni e dispersioni di risorse;
fino a quando c'è stato il fondo del governo dedicato specificatamente all'area dei minori le Regioni lo hanno valutato come un'ulteriore conferma dell'impegno del Governo a riconoscere il lavoro prodotto e a sostenere le varie scommesse delle Regioni e degli Ambiti territoriali; un impegno che è continuato, ad esempio, con l'ampliamento della percentuale di cofinanziamento ai diversi livelli di realizzazione della legge, con l'aumento dei soggetti firmatari gli accordi di programma, con il consolidamento e la «messa a regime» di tanti nuovi servizi;
l'attività di formazione, garantita dalla riserva di legge che molte Regioni hanno mantenuto, è stata proseguita in modo diffuso e differenziato, anche se è


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«rallentata» quella nazionale, tanto che più soggetti incontrati dalla Commissione hanno fatto un positivo riferimento allo stile e all'efficacia delle prime esperienze di formazione avviate dal Centro nazionale e hanno rilanciato l'idea di una formazione cogestita tra più Regioni limitrofe per favorire lo scambio e la reciprocità tra gli operatori.

Dai riscontri che la Commissione ha potuto avere sul territorio, anche l'analisi della tipologia delle attività progettuali collegate alla legge 285/97 sembra aver mantenuto un andamento di significativa qualificazione nel corso di questi anni di attuazione. Nella prima triennalità la scelta di attivare questo o quell'intervento è stata spesso dettata da fattori non collegati ad una corretta, approfondita e coerente, lettura della condizione dell'infanzia e dell'adolescenza; la prevalenza di interventi che afferivano ad un'area operativa piuttosto che ad un'altra era riconducibile (per ammissione degli stessi Ambiti territoriali nelle relazioni di monitoraggio) a scelte di opportunità o di maggiore «facilità» nella realizzazione.
La redistribuzione dei progetti e degli interventi previsti dai piani territoriali all'interno delle diverse aree operative possibili indicate dagli articoli della legge, ha risposto in molte situazioni alla necessità di adeguare le azioni ai bisogni reali della maggior parte della popolazione nella fascia di età tra 0 e 18 anni Nel corso degli anni si è quindi sviluppata una maggiore attenzione all'orizzonte della «normalità», per garantire un livello di sicurezza e di una quantità di opportunità a tutta l'infanzia e l'adolescenza presente in un territorio. Questa «evoluzione» non ha penalizzato gli interventi per i minorenni più deboli e più fragili, quelli con problemi e in sofferenza in quanto le azioni specifiche e «specialistiche» si caratterizzano sempre più per essere articolazioni di interventi complessivi, evitando ghettizzazioni e isolamenti dei «servizi» destinati a limitate categorie di soggetti.
Questa tendenza, abbastanza costante e estesa a molti Ambiti territoriali, sembra dar ragione alla «scelta editoriale» fatta dal primo manuale di progettazione della legge 285/97 pubblicato dal Centro nazionale di Firenze, in cui l'ordine di presentazione dei progetti possibili in base ai quattro articoli della legge che indicavano le attività finanziabili, è stato invertito, mettendo nelle prime pagine le azioni orientate a sensibilizzare e a dare garanzia ai diritti per l'infanzia e l'adolescenza e allo sviluppo sostenibile, urbano e non solo (articolo 7 della legge 285/97), seguite da tutte le opportunità collegate al tempo libero e all'extrascuola (articolo 6), dagli interventi per la prima infanzia e per il sostegno alla genitorialità (articolo 5), dalla lotta alla povertà e all'esclusione sociale dei minori e delle loro famiglie (articolo 4).
Secondo il Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza «la valutazione complessiva relativa al passaggio dal primo al secondo triennio risulta positiva, sia che se ne faccia una lettura unicamente connessa alla legge stessa, sia che, invece, si prenda in esame la relazione con il processo di messa in opera della legge 328/00 e della riorganizzazione più generale delle politiche sociali territoriali. Il processo di progettazione territoriale, poi, che la legge 328/00 propone di realizzare attraverso lo strumento del piano di zona, è assolutamente in armonia con il modello di progettazione previsto dalla legge 285/00.»
Anche i soggetti sentiti dalla Commissione confermano che la capacità progettuale afferente alla legge 285/97 rimane inalterata anche nel secondo triennio. Anzi, viene evidenziato un miglioramento qualitativo nella costruzione dei nuovi piani; soprattutto negli ambiti dove è stata effettuata una valutazione complessiva dell'andamento del primo triennio e dove il piano territoriale della legge 285/97 si è progressivamente connesso a tutta la politica per l'infanzia e l'adolescenza il secondo triennio ha permesso di migliorare la progettazione


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e la realizzazione dei piani sulla base delle eccellenze e delle criticità riscontrate. Alcuni indicatori di questo processo di consolidamento sono stati:
la diminuzione del numero di progetti in ogni Piano (segno di una maggiore organicità e integrazione fra le azioni);
la minore presenza di «campanilismi» a favore di una logica di piano più presente ed esplicitata, con attenzione maggiore alla complessiva dimensione territoriale e alla trasversalità degli interventi;
la prosecuzione di progetti dalla prima triennalità non in termini di proroga ma come esito di una riflessione ed un confronto che portasse alla loro armonizzazione con i nuovi servizi attivati dai Piani di zona dei servizi sociali;
a presenza di elementi di discontinuità con il primo triennio che tende a privilegiare l'innovatività, ad accentuare la legittimazione ed il protagonismo dei soggetti attivi sul territorio, a valorizzare la sussidiarietà nel rapporto tra le istituzioni e tra queste ed il privato sociale.

Una legge «significativa» come la legge 285/97, capace di determinare un «discrimine» tra due periodi e tra due «approcci» alle politiche ed ai servizi all'infanzia e all'adolescenza nel nostro Paese, presenta dimensioni diverse e variegate che la Commissione ha cercato di esaminare analiticamente, distinguendo tra gli aspetti qualificanti, gli elementi critici e i fattori di incertezza che si sono determinati.
Un'importante premessa a questa analisi è l'opinione della Commissione che la prevalenza di una o un'altra dimensione in un territorio, cioè la riuscita o il fallimento della legge 285/97, non sia stata data dai convincimenti politici e ideologici delle amministrazioni pubbliche, ma dal loro maggiore o minore orientamento verso la logica dei diritti dei cittadini in crescita, contro una prospettiva di intervento di tipo assistenziale, custodialististico, emergenziale. Non si vuol dire che non esistono differenze tra politiche sociali per l'infanzia e l'adolescenza di «destra» o di «sinistra», ma si da testimonianza del fatto che la Commissione, quando l'attenzione era centrata sulla promozione, sulla prevenzione e sulla integrazione di interventi e servizi, ha ritrovato significative convergenze in realtà diversamente orientate politicamente e indicative «continuità» in luoghi dove c'è stato un cambio di maggioranza nelle amministrazioni locali; la «trasversalità» della legge 285/97 riguarda anche l'aspetto politico.

1.3. Dimensioni qualificanti.

Le dimensioni qualificanti della legge 285/97 che la Commissione intende sottolineare in quanto ha potuto rilevare come esse siano quelle più diffuse sul territorio nazionale possono essere raccolte all'interno di tre piani di analisi: quello culturale-sociale, quello programmatico-progettuale e quello organizzativo-gestionale.

a) piano culturale-sociale.

La prima e forse più importante dimensione, testimoniata dai diversi soggetti incontrati dalla Commissione, è il riconoscimento della preminenza della logica dei diritti e del benessere dell'infanzia e dell'adolescenza e, quindi, del valore promozionale della legge 285/97 che ha voluto privilegiare interventi innovativi diretti a tradurre in possibilità di crescita e di sostegno permanenti per i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, e le loro famiglie, ampliando ed integrando il sistema dei servizi esistenti.
Una seconda dimensione è la esplicitazione di nuova cultura nella programmazione e gestione dei servizi sociali destinati all'infanzia e all'adolescenza fondata su aspetti qualificanti come: conoscenza, informazione/comunicazione, raccordo intra ed inter istituzionale, coinvolgimento della comunità territoriale, costituzione di gruppi di coordinamento delle politiche e dei servizi, integrazione dei servizi formazione, monitoraggio/verifica/valutazione.


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Ognuno di questi aspetti qualificanti, più o meno presenti nei diversi territori e declinato in modo diverso anche per la necessaria contestualizzazione delle politiche, fa comunque riferimento ad una concezione della programmazione sociale come sintesi di diversi approcci e contributi provenienti dall'ambito istituzionale e dalle esperienze del mondo associativo. Questa nuova cultura nella programmazione e gestione dei servizi sociali esalta: l'utilità del lavoro per progetti; l'utilità e funzionalità del decentramento; la necessità della messa a punto di regole e protocolli operativi per una corretta programmazione concertata tra i diversi soggetti.
In questa prospettiva una terza dimensione culturale di rilevanza assoluta è l'integrazione, che è trasversale alle politiche, alle responsabilità, ai servizi, alle professionalità, alle competenze, alle risorse economiche e finanziare...

b) piano programmatico-progettuale.

A livello programmatico-progettuale è proprio la logica di piano a rappresentare la dimensione più qualificante. La Commissione ha incontrato territori in cui la legge 285/97 ha funzionato bene in quanto si è operato per costruire un piano di sviluppo e non un assemblaggio di interventi assistenziali; ci si è trovati d'accordo con quegli amministratori che hanno variamente declinato il concetto che «l'importante non era realizzare servizi ma costruire insieme un metodo di lavoro». L'obiettivo dei piani di intervento «migliore» non è stato tanto, quindi, il servizio in quanto tale, ma la promozione di azioni positive per favorire opportunità e tutelare i diritti dell'infanzia e l'adolescenza.
In seconda battuta la dimensione qualificante più significativa rilevata dalla Commissione è stata la sussidiarietà, cioè il legame e la qualità che ad esso collettivamente si riesce a dare: legame tra pubblico e privato nei termini della sussidiarietà orizzontale, legame tra istituzioni pubbliche o della sussidiarietà verticale, legame tra adulti e bambini; quindi la valorizzazione di tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione delle politiche per i minori. La necessità e la pratica di una collaborazione e di una concertazione interistituzionale ha determinato la creazione di strumenti di partecipazione e di analisi finalizzati alla definizione dei contenuti dei programmi ed alla valutazione degli esiti che hanno costituito un importantissimo valore aggiunto della legge 285/97.
Collegata alla sussidiarietà, sul piano programmatico-progettuale, va rimarcata la dimensione qualificante della partecipazione; qualificante perché innovativa nello sforzo di coinvolgere tutti gli attori delle politiche e dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza in una risignificazione dei propri ruoli, delle proprie responsabilità, competenze, legami. Tale dimensione ha avviato un radicale processo di cambiamento culturale (ovvero del proprio senso in relazione ad un obiettivo legato ad uno specifico contesto ed uno specifico tempo) trasversale. La partecipazione è diventata essa stessa il percorso metodologico che ha attraversato la consultazione, la concertazione, la coprogettazione, l'organizzazione, il monitoraggio e la valutazione delle azioni di progetti e piani, con sinergie e interconnessioni tra le diverse forze sociali presenti nella comunità di riferimento.

c) piano organizzativo-gestionale.

Sul piano organizzativo-gestionale la dimensione della «conoscenza», cioè della importanza del «sapere» sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza, si è rilevata un elemento qualificante preliminare e indispensabile. Le esperienze incontrate dalla Commissione mostrano come le azioni, pur se differentemente attivate, realizzate nell'ambito della legge 285/97 si siano progressivamente strutturate su una base dinamica composta del progressivo processo di conoscenza e consapevolezza critica del territorio.
Un'altra dimensione centrale per l'organizzazione della legge 285/97 si è rivelata la la centralità dell'Ente locale (in genere i Comuni associati) e la sua funzione di regia della gestione delle risorse, intesa sia come informazione/coinvolgimento


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della comunità territoriale, sia come capacità di mantenere finanziariamente le esperienze attivate, a partire dalla legge 285/97, ma anche «oltre» la legge 285/97. La Commissione ha potuto verificare, anche negli incontri con il terzo settore, che nei territori dove l'Ente locale ha predisposto una «cabina di regia», partecipata anche ai rappresentanti della società civile, che dà stabilità e coordinamento al gruppo di lavoro territoriale anche l'attività del privato sociale è stata favorita, non in quanto surrettizia o subordinata ma proprio in una corretta logica di sussidiarietà.
Per ultima, ma non ultima, va citata come dimensione qualificante della legge 285/97 l'attività di monitoraggio e di valutazione sviluppata a tutti i livelli di applicazione della legge. La consapevolezza diffusa dell'esigenza di monitorare e valutare gli esiti dei progetti al fine di rendere efficace la programmazione triennale degli interventi è risultata determinante nel successo della legge 285/97 che è stata la prima legge del sociale che chiedeva un monitoraggio e una valutazione costanti.

1.4. Dimensioni critiche.

Nell'applicazione della legge 285/97 non sono mancate anche le dimensioni critiche riferibili sia ad alcune incongruità nell'impianto legislativo che ad un'applicazione non adeguata della legge stessa da parte dei vari soggetti, istituzionali e non, chiamati a renderla operativa nei territori.
Burocratismi e ostilità (almeno iniziali) allo spirito innovativo della legge 285/97 sono la dimensione critica prevalente che la Commissione ha potuto rilevare nel suo lavoro di approfondimento. Ancora attualmente la permanenza di resistenze mette in difficoltà sia il forte cambiamento culturale stimolato dalla legge 285/97 che la corretta prosecuzione delle attività previste dalla legge; resistenze di «amministratori» che si nascondono dietro alla «lettera» delle norme per non attivare i processi innovativi suggeriti dallo «spirito» della legge; resistenze di «operatori amministrativi» nel cercare strade «nuove» di applicazione delle norme in considerazione della specificità del sociale rispetto ad altri settori del pubblico; resistenze di «operatori sociali» che fanno fatica a comprendere come la ricerca di procedure amministrative coerenti con i contenuti dei progetti è elemento indispensabile per il successo e la stabilità di un intervento.
Sostanzialmente tutti i soggetti incontrati dalla Commissione hanno espresso il concetto che, con la mancanza del vincolo dei fondi per la legge 285/97 (e comunque per l'infanzia e l'adolescenza), non si ha più la sicurezza che l'infanzia e l'adolescenza rimangano fuori dalla logica dell'emergenza e della residualità dell'intervento sociale. La confluenza delle risorse per l'infanzia e per l'adolescenza nel fondo unico e indistinto per il sociale fa temere che oltre al rischio di una maggiore discontinuità nei tempi dei finanziamenti o di maggiori ritardi nell'accreditamento dei fondi, ci sia anche quello, più grave, che le Regioni attuino una riduzione delle risorse destinate a questa fascia di età e, in particolar modo, alle risorse destinate alle «opportunità», alla promozione e alla prevenzione.
Una terza dimensione critica nell'applicazione della legge 285/97 si è dimostrata il «rapporto» tra servizi per l'infanzia «vecchi» e «nuovi». Il problema della «messa a regime» dei servizi innovativi e del loro inserimento coerente nel sistema integrato territoriale dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza, già posto dalle Regioni nelle prime relazioni sullo stato di attuazione, ha assunto una rilevanza forte (anche in relazione all'avvento della legge 328/00). La legge ha sollecitato notevolmente le energie e le risorse (del pubblico ma, prevalentemente del terzo settore) a generare il «nuovo» nei servizi per l'infanzia e l'adolescenza. Laddove il «nuovo» c'è stato è stato spesso costretto a convivere (in maniera sperimentale e spesso con fragilità) con una considerevole presenza di «vecchio»; il riferimento non è ai servizi e agli interventi «tradizionali»


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(assolutamente necessari a creare il sistema) ma a vecchie logiche orientate all'assistenzialismo, al controllo dei comportamenti, alla episodicità. Una delle fatiche maggiori della legge 285/97 è stata quella di innervare anche i «vecchi» servizi con la nuova impostazione centrata sull'attenzione e l'ascolto dei bisogni di benessere delle bambine e dei bambini, dei ragazzi e delle ragazze.
Un'ultima criticità della legge 285/97 si è evidenziata nella diversità delle modalità e dei tempi delle progettualità territoriali: sociali, sanitarie, educative, culturali... La difficoltà, già riscontrata a partire dall'esperienza di diversi territori nel gestire e coordinare i due piani legge 285/97 (quello del primo triennio e quello del secondo triennio) che, per un arco di tempo, si sono sovrapposti e non si sono succeduti «in sequenza», si è manifestata più pesantemente in seguito, quando le Regioni hanno progressivamente richiesto (anche se con modalità diverse) di collocare i progetti e gli interventi della legge 285/97 dentro alla cornice del piano di settore per l'infanzia e l'adolescenza nel piano di zona. I tempi e i modi diversi di tutta la programmazione territoriale: Piani di intervento della legge 285/97, Piani di Zona della legge 328/00, Piani comunitari per la salute, Programmi delle attività distrettuali, Piani dell'Offerta Formativa, Piani di applicazione del Fondo Nazionale Lotta alla Droga... spesso impediscono, o comunque ostacolano, una reale integrazione delle politiche e dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza. Questa criticità, che la legge 285/97 ha contribuito ha svelare, rappresenta probabilmente l'elemento più preoccupante nell'evoluzione degli interventi per l'infanzia e l'adolescenza e non solo.

1.5. Dimensioni incerte.

Con il termine «incerte» ci si riferisce a quelle dimensioni dell'applicazione della legge 285/97 dall'esito ancora indefinito, indeterminato o di difficile interpretazione in quanto dipendente da fattori in via di risoluzione.
La portata innovativa della legge 285/97 ha richiesto e richiede da parte di tutti i soggetti interessati un salto culturale nella lettura della condizione dell'infanzia e dell'adolescenza e nella prassi operativa, intesa sia come modelli di intervento che come contenuti delle azioni. In questo contesto il problema principale che la legge 285/97 ha dovuto e deve ancora affrontare è stato certamente culturale. Non si può dire che la sfida culturale lanciata dalla legge 285/97 sia stata, definitivamente, vinta. Anche le realtà territoriali più «attrezzate» ed organizzate incontrate dalla Commissione hanno ribadito il concetto che il processo di consolidamento delle conquiste della legge 285/97 è ancora in corso e che questo periodo di incertezza rischia di determinare equivoci culturali che possono tradursi sul piano dell'azione di governo locale, in disimpegno, in distorsioni dell'intervento, in carenze di strutture, di mezzi, di energie.
Una seconda dimensione di incertezza nell'attuazione della legge 285/97 è costituita dal fatto che il percorso di sussidiarietà, verticale e orizzontale, avviato dalla legge deve trovare rafforzamento e stabilizzazione. Allo stato attuale la Commissione ha verificato come servano scelte coraggiose e costanti che permettano di superare la difficoltà di attuare, nella pratica, i principi che richiedono un decentramento e autonomizzazione dei soggetti, reali e sostanziali.
L'indicazione esplicita, in genere da parte delle Regioni, delle modalità previste per la prosecuzione dei servizi/interventi attivati dalla legge 285/97, una volta cessato il finanziamento della legge è un'altra di queste dimensioni incerte. La Commissione ha potuto verificare come questa incertezza sia abbastanza diffusa e riguardi diversi aspetti: dai criteri di selezione dei servizi/interventi ritenuti meritevoli di essere inseriti nei «sistemi integrati territoriali» dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza, alla già citata questione dei finanziamenti, da come garantire la necessaria continuità degli operatori per non perdere il patrimonio di conoscenza,


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esperienza e professionalità accumulato in questi anni, a come definire gli standard (strutturali, funzionali, organizzativi...) indispensabili a «regolarizzare» servizi che, pur mantenendo una prospettiva sperimentale, non possono rimanere in un limbo di indefinitezza.
La stabilità e il consolidamento del gruppo di lavoro territoriale che ha rappresentato la «cabina di regia» della legge 285/97, e che spesso delinea il nucleo del coordinamento di tutte le politiche per l'infanzia e l'adolescenza in un Ambito territoriale, non possono essere dati per scontati. La concomitante presenza di soggetti decisori e programmatori diversi nelle politiche e nei servizi destinati a questa fascia di età rappresenta un potenziale pericolo per una struttura, spesso agile ed operativa, che va opportunamente integrata ma ha dato segni di utilità nell'implementazione della legge 285/97.

2. La legge 285/97 e i diritti dei minori sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo.

I diritti sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo si sviluppano rispetto a tre direttrici: Protezione e tutela dal disagio - Promozione della persona per la crescita dell'identità individuale e sociale - Partecipazione alla vita sociale attraverso interventi, servizi e opportunità. La legge 285/97 «nasce» dalla volontà di rendere esigibili questi diritti.
La Commissione si è posto l'obiettivo di verificare impatto ed effetto della legge 285/97 sull'attuazione dei diritti della Convenzione ONU, identificando modalità di azione specifiche e fattori di successo.

2.1. Opportunità e contributi offerti dalla legge 285/97.

Garantire i diritti all'infanzia e all'adolescenza sanciti dalla Convenzione ONU di New York significa, in buona sostanza, migliorare la condizione di vita dei minorenni in Italia, quindi la Commissione ha cercato di appurare, tra audizioni e missioni, se e come la legge 285/97 abbia contribuito a questo miglioramento.
Un riscontro diffuso è stata la conferma che la legge 285/97 ha determinato una più grande e più concreta attenzione della società tutta rispetto alla vita dell'infanzia e dell'adolescenza nei vari territori. Un'attenzione ad un maggior benessere e ad una più intensa lotta alla emarginazione e all'esclusione sono già una discreta indicazione che l'infanzia e l'adolescenza in Italia, grazie all'applicazione della legge 285/97, complessivamente vive un po' meglio e, probabilmente, è più garantita rispetto a diritti stabiliti dalla Convenzione ONU di New York e ratificati dall'Italia con la legge 176/91.
Entrando nel merito della distinzione «tra» i diritti è possibile sintetizzare come segue i contributi raccolti dalla Commissione:
Protezione - La legge 285/97 è la legge delle «opportunità» che ha permesso di superare una logica di «cura» e una prospettiva solo «emergenziale» degli interventi per l'infanzia e l'adolescenza; d'altra parte l'articolo 4 della legge indica la necessità di attivare «Servizi di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali». In questo senso la legge 285/97 ha, in generale, promosso i diritti di «protezione» collocandoli (nelle situazioni territoriali in cui si sono sviluppate «buone pratiche») all'interno di un sistema integrato di servizi e interventi rivolti a garantire la «sicurezza» (sociale, educativa, sanitaria...) per tutta l'infanzia e l'adolescenza. In effetti l'esperienza della legge 285/97 ha contribuito a creare maggiore sensibilità ed attenzione nei confronti di specifici settori di tutela dei minorenni, per cui sono nate altre leggi di tutela delle fasce deboli nell'infanzia e nell'adolescenza che, nel corso degli anni, stanno completando il «quadro» delle norme di «protezione» ai sensi della legge 176/91 (cfr. ad esempio: Legge 3 agosto 1998, n. 269 «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione,


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della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù»; Legge 5 Aprile 2001, n. 154 «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»; Legge 20 marzo 2003, n. 77 «Ratifica ed esecuzione della Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996»).
Promozione - Sicuramente è la direttrice dei diritti su cui si sono concentrate le maggiori risorse, economiche e professionali, rese disponibili dalla legge 285/97. I contenuti di parte dell'articolo 5, dell'articolo 6 e dei commi a) e b) dell'articolo 7 sono stati i filoni operativi privilegiati in quasi tutti gli Ambiti territoriali. Questo ha dato, come già sottolineato, un forte impulso all'orizzonte della «normalità» e alla costruzione di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza nel Paese; sono aumentati i servizi e gli interventi per il tempo libero, per l'aggregazione, per il sostegno alla genitorialità, per una migliore vivibilità dell'ambiente urbano e questo ha sicuramente contribuito a migliorare la condizione dell'infanzia e dell'adolescenza.
Partecipazione - Il comma c) dell'articolo 7 della legge è quello che risulta essere sia quantitativamente che qualitativamente il meno sviluppato dall'applicazione della l. 285/97; le «misure volte a promuovere la partecipazione dei bambini e degli adolescenti alla vita della comunità locale, anche amministrativa» sono state quelle che hanno maggiormente scontato un ritardo culturale di amministratori, operatori e cittadini, coinvolti nel processo di cambiamento culturale avviato dalla legge 285/97 ma ancora troppo spesso legati ad una visione «adultocentrica», che non riconosce al «minore cittadino» i suoi diritti e le sue capacità di contributo alla vita pubblica e lo relega, magari a volte anche inconsapevolmente, a «cittadino minore».

2.2. La situazione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia dopo la legge 285/97.

Il Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza ha attivato un «sondaggio» presso gli enti istituzionali preposti alla gestione regionale della legge 285/97 denominato «Il polso della 285». Da una delle rilevazioni emergono alcune interessanti indicazioni sul «ruolo» della legge 285/97 nel favorire la «felicità» dei minorenni. Le dimensioni che hanno registrato una percentuale di risposta attorno al 20 per cento della modalità «moltissimo» sono state: «più ascoltati», «più gioco», «protagonisti», correlabili direttamente agli articolo 12, 31 e 13-14-16 della legge 176/91.
Già il secondo rapporto dell'Italia all'ONU sull'attuazione della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia anticipava gli effetti positivi che la legge 285/97 avrebbe, probabilmente, portato nell'ambito della garanzia dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. La Commissione ha potuto riscontrare che, anche se in modo disomogeneo sul territorio nazionale, la situazione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia dopo la legge 285/97 è migliorata. Ma questo rilievo ha senso solo se si progredisce nella garanzia dei diritti ed è proprio la direttrice della «partecipazione» dei minorenni alla conoscenza, alla gestione, alla verifica della vita sociale e politica del Paese, risultata la meno coperta dall'applicazione della legge 285/97, quella su cui si auspica che si intensifichino gli sforzi delle amministrazioni dello Stato, a livello centrale e decentrato.

3. La legge 285/97 per la progettazione e gestione integrata di interventi e servizi per l'infanzia e l'adolescenza in una logica di piano.

L'approvazione e l'applicazione della legge 285/97 ha determinato cambiamenti importanti e positivi sia sul piano della concezione «politica» delle politiche e dei servizi per l'infanzia per l'adolescenza che sul piano della cultura «progettuale e gestionale» nei territori, «nei» e «tra i» servizi.
La «coprogettazione integrata territoriale degli interventi per i minori» rappresenta, probabilmente, la dimensione


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che sintetizza il contributo prioritario della legge 285/97 al cambiamento normativo specifico, che privilegia un approccio unitario e globale all'attenzione verso l'infanzia e l'adolescenza, e complessivo, determinato dall'approvazione della legge 328/00.

3.1. Il patrimonio acquisito e le condizioni per mantenerlo.

La Commissione ha potuto verificare come siano diversi i settori in cui l'applicazione della legge 285/97 ha determinato l'acquisizione di un patrimonio importante per il miglioramento della progettazione e della gestione integrate di interventi e servizi per l'infanzia e l'adolescenza in una logica di piano.
Un primo settore è la riflessione attivata ed il cambiamento in atto nelle istituzioni pubbliche: dalla gestione alla attivazione di risorse, potenzialità e relazioni; dall'approccio burocratico alla promozione della progettualità sociale, del monitoraggio, della valutazione.
Un secondo settore è stata la sperimentazione, avviata dalla legge 285/97, di strumenti concreti di cambiamento nelle politiche e nei servizi: il ruolo potenziale e sostanziale dell'accordo di programma; la funzione pedagogica ed operativa del Piano territoriale degli interventi; l'effetto generatore del cofinanziamento; la positività di tanti «tavoli interistituzionali e di lavoro interassessorile»; l'indispensabile contributo degli «staff di coordinamento» e delle «cabine di regia» territoriali; l'apporto di cultura, competenza, umanità dei gruppi di lavoro misti, interistituzionali e interprofessionali...
Collegato a questo va ricordato anche il settore che ha portato ad utilizzare strategie innovative per realizzare l'effettiva partecipazione e il pieno coinvolgimento dei soggetti «portatori di interessi» (tra progettazione, gestione e monitoraggio).
Un ulteriore ambito è stato ed è lo sviluppo delle logiche promozionali accanto alle logiche riparatorie ed assistenziali (e verso il loro superamento), che la legge 285/97 ha previsto dal punto di vista normativo e che, negli Ambiti territoriali dove si sono sviluppate le migliori pratiche, ha costituito al tempo stesso la priorità e l'orizzonte degli interventi.
Un ultimo settore strategico nella prospettiva della «logica di piano» è la formazione, sia degli operatori (con percorsi integrati che vedono insieme operatori pubblici e privati, di diverse professionalità e specializzazioni) che degli amministratori (ai vari livelli, e con confronti tra il livello tecnico e livello politico), con opportunità aperte a tutti i «portatori di interessi» sull'infanzia e sull'adolescenza.
Dagli incontri della Commissione con i soggetti coinvolti a vario titolo nell'applicazione della legge 285/97 è risultato spesso evidente come le condizioni per mantenere questo patrimonio siano legate essenzialmente a tre fattori:
culturale, in quanto l'integrazione tra i sistemi e tra gli organismi nell'ambito del sociale, dell'educativo, del sanitario (per citare i tre aspetti che maggiormente riguardano l'infanzia e l'adolescenza) è un processo che necessita di essere alimentato dalla circolarità delle conoscenze e delle esperienze, dal confronto e dalle riflessioni partecipate, dallo studio e dal ragionamento di quanti, ognuno secondo le proprie responsabilità istituzionali e competenze professionali, sanno andare oltre l'attenzione al proprio specifico nell'interesse dell'infanzia e dell'adolescenza;
strutturale/istituzionale, perché pur nel mutato quadro dei rapporti tra le diverse istituzioni venga mantenuta e perseguita tenacemente la scelta di individuare, a tutti i livelli istituzionali, un «luogo» unitario di raccordo e di coordinamento di tutte le politiche per l'infanzia e per l'adolescenza, rivolte sia alla promozione dell'agio che alla lotta al disagio;
economico/finanziario, dato che, seppur in una situazione di carenza di risorse economiche, spendere dei fondi per la progettazione e gestione integrata di interventi e servizi per l'infanzia e l'adolescenza vuol dire «investire» in un settore, quello che sviluppa la «logica di piano»,


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in grado di garantire risparmi, in termini di minori sprechi e di migliore utilizzo delle risorse, e guadagni sociali molto alti.

3.2. I rischi e le possibilità.

Il dato congiunturale e la difficoltà di tenere insieme in una prospettiva unitaria le diverse istituzioni che si occupano di infanzia e adolescenza rappresentano dei possibili rischi per il mantenimento della prospettiva di una progettazione e gestione integrata degli interventi per l'infanzia e l'adolescenza. Ma proprio il decentramento amministrativo ed il federalismo solidale possono diventare una reale opportunità di sviluppo di questa logica.

4. La legge 285/97 e il processo di attuazione della legge 328/00.

Quanto riportato nel capitolo precedente assume ulteriore importanza rispetto ad un altro aspetto che la Commissione ha voluto approfondire nella sua attività di controllo dell'andamento della legge 285/97.
Conoscere i fattori di successo e di difficoltà della legge 285/97 è importante anche per comprendere lo stato dei processi di applicazione della Legge 8 novembre 2000, n. 328 «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» in relazione alla prosecuzione dell'attenzione ai diritti e ai bisogni dell'infanzia e dell'adolescenza nel Paese.

4.1. L'attuazione della legge 328/00 e le scelte delle Regioni.

La realizzazione della legge 328/00, per diversi motivi, ha avuto finora un impatto piuttosto ridotto sulla realtà dei servizi ed interventi sociali in Italia. Non ultimo il fatto che dopo pochi mesi dalla approvazione della legge c'è stata la riforma del Titolo V della Costituzione che attribuendo, fra l'altro, alle Regioni competenza esclusiva in materia di politiche sociali ha fatto perdere alla legge quadro buona parte del suo carattere vincolante e, di conseguenza, della sua «potenza».
Diverse ricerche e riflessioni indicano come si sia trattato di un impatto ridotto sia rispetto agli obiettivi posti dalla legge, che rispetto alle aspettative sollevate in fase di elaborazione della legge stessa.
Il dato attualmente più rilevante sull'attuazione della legge 328/00 è che i Piani di zona sono stati avviati nella maggior parte del paese anche se le Regioni hanno scelto strategie e «intensità» diverse.
Secondo una ricerca del Formez del 2003 sono quattro i livelli di «intensità» nella realizzazione dei Piani di zona riscontrabili tra le Regioni italiane. Ad un primo livello, di «alta intensità», si trovano quelle Regioni che hanno anticipato la realizzazione del Piani di zona e, quindi, l'approvazione della legge quadro per cui sono arrivate o stanno arrivando ad una seconda edizione di tali strumenti; seguono, ad un livello di «discreta intensità», Regioni che, dopo l'approvazione della legge 328/00 hanno adottato abbastanza tempestivamente le indicazioni della riforma, le hanno integrate con proprie linee di indirizzo e hanno approvato i primi Piani di zona; ci sono poi le Regioni che, anche se avevano adottato alcuni atti di recepimento di quanto suggerito dalla 328/00 in materia di Piani di zona, solo recentemente o attualmente hanno attivato i processi per la predisposizione dei Piani di zona; rimangono quelle Regioni che antecedentemente al 2000 hanno realizzato una pianificazione territoriale in campo sociale, da raccordare con quella indicata dalla legge 328/00.
Dalla stessa ricerca risulta come anche le scelte strategiche sul governo regionale della programmazione sociale sono risultate diverse: alcune Regioni hanno assunto nei confronti degli Ambiti una funzione di stimolo e promozione alla realizzazione dei Piani di zona esercitando controlli e verifiche funzionali alla logica di accompagnamento di una esperienza sperimentale; in qualche caso sono state previste forme di coinvolgimento degli enti intermedi


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(Province, ASL) in una prospettiva di accompagnamento e supporto degli Ambiti territoriali; altre Regioni hanno assunto nei confronti degli ambiti una funzione più prescrittiva, di indirizzo, indicando alcuni criteri e contenuti da inserire nei Piani di zona, ed esercitando controlli e verifiche per presidiare l'omogeneità delle scelte territoriali in coerenza con gli indirizzi regionali.
Non è possibile stabilire delle correlazioni certe tra le modalità ed il livello di applicazione della legge 285/97 e le scelte operate dalle stesse Regioni in materia di legge 328/00; d'altra parte negli incontri attivati dalla Commissione è emerso come l'esperienza della legge 285/97 ha influenzato, in un modo o nell'altro, le scelte regionali sull'attuazione della legge 328/00. A conferma di questo nella Relazione sullo stato di attuazione della legge 285/97 per il 2002, predisposta dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza si legge: «Dalla lettura delle diverse relazioni sullo stato di attuazione della legge 285/97 appare sempre più chiaramente come l'influsso della legge 328/00 prima, e della modifica del Titolo V della Costituzione poi, abbiano, in alcune Regioni, particolarmente agevolato lo svilupparsi di un forte raccordo tra la programmazione della legge 285/97 secondo triennio e la normativa regionale sia essa sociale che di settore. Le indicazioni della legge 328/00 pur essendo state «ridotte» con l'emanazione della legge costituzionale 3/01, sembrano comunque essere state recepite da parte delle realtà regionali e delle Province autonome, come utili ad un generale ripensamento e riordino del sistema dei servizi e degli interventi sociali ai fini di una integrazione reale delle risorse e dei servizi stessi per un miglioramento delle risposte ai bisogni del territorio».

4.2. Gli aspetti qualificanti e quelli critici.

Rispetto al rapporto tra applicazione della legge 285/97 e attuazione della legge 328/00 la Commissione ha potuto rilevare come ci siano elementi di linearità e di discontinuità; in genere sono punti «nodali» che possono rappresentare, in base agli sviluppi possibili e al senso che viene dato loro, aspetti qualificanti o critici.
Un primo tema, comune alle due leggi, è la necessità di coniugare l'unitarietà della persona con le forme ed i modi di integrazione necessaria tra sanitario e sociale, tra sociale ed educativo/formativo, tra sociale e ambiente; la legge 285/97 ha saputo dare, in molti territori, delle risposte che possono essere riprese positivamente nell'ambito dell'applicazione della legge 328/00.
È stato più volte sottolineato in questa relazione come la sussidiarietà verticale e orizzontale sia stata sperimentata, anche se non sempre in modo coerente ed efficace, dalla legge 285/97; alcune piste possono però esser ripercorse dalla legge 328/00 e qualche soggetto incontrato dalla Commissione lo ha evidenziato, per esempio facendo riferimento anche al secondo manuale di progettazione della legge 285/97 predisposto dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza «Il calamaio e l'arcobaleno».
La stessa sfida del collegamento tra innovatività e consolidamento dei servizi, che pure per la legge 285/97 ha rappresentato un terreno di non sempre facile praticabilità (come è stato evidenziato in altra parte della presente relazione), è un elemento comune alle due leggi in cui la legge 328/00 può avvalersi, se non altro, delle fatiche della legge 285/97 nella conciliazione tra «vecchio» e «nuovo».
Anche la «lettura del territorio» alla base dei piani di intervento legge 285/97 può costituire (ed in molti casi, come riscontrato dalla Commissione, ha costituito) un supporto ed un riferimento anche per la legge 285/97; addirittura in più situazioni le sperimentazioni della legge 285/97 hanno rappresentato un contributo alla definizione e alla integrazione dei «livelli essenziali dei servizi» per l'infanzia e l'adolescenza dei piani di zona.


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4.3. Elementi di continuità e di integrazione.

La Commissione parlamentare è convinta che debba essere mantenuta la priorità dell'attenzione ai bisogni dell'infanzia e dell'adolescenza «avviata» con l'approvazione e l'applicazione della legge 285/97 anche nell'attuazione della legge 328/00 che sviluppa le politiche per infanzia e adolescenza di «seconda generazione».
In questa prospettiva auspica che: da un lato il Governo emani i rimanenti decreti attuativi della legge esplicitando ed evidenziando i riferimenti al miglioramento della condizione di vita dell'infanzia e dell'adolescenza; dall'altro le amministrazioni regionali sappiano far tesoro degli elementi positivi sperimentati nel processo di applicazione della legge 285/97 ed estendibili all'interso sistema integrato di servizi sociali.

5. I percorsi per favorire una corretta deistituzionalizzazione dei minori.

Il comma e) dell'articolo 4 della legge 285/97 indica come attività realizzabili con i fondi erogati «l'accoglienza temporanea di minori, anche sieropositivi, e portatori di handicap fisico, psichico e sensoriale, in piccole comunità educativo-riabilitative». La Commissione parlamentare per l'infanzia rispetto alla questione dei «minori fuori dalla famiglia» ha già avviato un'attività conoscitiva centrata sulla questione dell'adozione internazionale.
Il tema dell'accoglienza residenziale dei minori rappresenta quindi per la Commissione un ulteriore focus di indagine, collegato alla L. 285/97 ma reso ancor più urgente dalla scadenza del 2006 per la chiusura degli istituti per minori, come previsto dalla L. 149/01.
La Commissione ha consapevolezza che questo obiettivo del processo di deistituzionalizzazione ormai avviato da anni nel Paese rappresenta una forte opportunità ma, al tempo stesso, presenta anche rischi rispetto agli «scopi» che si intende raggiungere, alle «modalità» con cui si possono effettivamente conseguire, agli «strumenti» che si intende mettere in campo.
La stesura di un «Piano di interventi per rendere possibile la chiusura degli istituti per minori entro il 2006», previsto dal Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, pur attivando un confronto ampio sulla questione non ha sciolto tutti i dubbi, non ha dato indicazioni operative sempre coerenti e non ha disposto risorse adeguate per qualificare l'accoglienza residenziale dei minori; una questione che interpella fortemente i soggetti istituzionali che hanno responsabilità specifiche, gli operatori coinvolti, le realtà che promuovono e gestiscono strutture di accoglienza residenziale socio-educativa, le famiglie.

5.1. La situazione generale dell'accoglienza ai minori fuori dalla famiglia con particolare attenzione al ricovero in istituto e in situazioni anomale.

Dopo la ricerca del 1998 con cui il Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza ha riavviato il monitoraggio dei minori accolti nelle strutture residenziali socio-educative, l'ISTAT ha ripreso la conduzione di un'indagine periodica, annuale. I numeri di queste rilevazioni non riescono sempre a fotografare la situazione effettiva in quanto, da una parte il fenomeno è costituito anche da una quota fluttuante collegata all'emergenza e alla pronta accoglienza (in prevalenza di minori stranieri), dall'altra non è sempre agevole individuare se c'è una completa appropriatezza nella collocazione dei minori in strutture adeguate al loro bisogno. In particolare, poiché la indagine dell'ISTAT riguarda tutte le tipologie di strutture residenziali socio-assistenziali, cioè destinati a varie tipologie di soggetti: minori, portatori di handicap, anziani, disagio adulto, difficoltà psicologiche... si verificano casi in cui il minorenne viene accolto in una struttura non adeguatamente conveniente per dare una risposta corretta ai suoi bisogni. Ad esempio ci possono essere strutture residenziali per adulti o, addirittura


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per anziani in cui siano accolti dei minori o delle strutture per handicap dove sono accolti minori per i quali la disabilità non è certamente la dimensione prevalente e, comunque, non è tale da giustificare un ricovero in una residenza socio-sanitaria.
Quindi, prima ancora della questione «ricovero dei minori in istituto» la Commissione intende porre all'attenzione del Governo, del Parlamento, delle Amministrazioni regionali e della Magistratura minorile la questione delle «accoglienze residenziali anomale» dei minori, che vanno quantificate ed approfondite dal punto di vista qualitativo.
In questi ultimi anni il numero di minori ospitati negli istituti presenti sul territorio nazionale è in costante diminuzione. Erano circa 7.500 nel 2000 (dati ISTAT) e sono 2.652 nel 2003. Il dato emerge dalla ricerca «I bambini e gli adolescenti negli istituti per minori» condotta dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza e presentata al convegno del marzo 2004, a Torino, «Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia», organizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con la regione Piemonte.
Per approfondire e ragionare sul numero dei minori in istituto, mettendoli in relazione con le altre tipologie di «minori fuori dalla famiglia» (accoglienza in comunità educative[5], comunità familiari[6], affidamento familiare...) appare necessario soffermarsi in via preliminare sulla definizione stessa di istituto.

[5] Presidi in cui l'assistenza è fornita da educatori professionali che esercitano in quel contesto la loro specifica professione in forma di attività lavorativa.
[6] Si caratterizzano per la convivenza continuativa e stabile di un piccolo gruppo di minori con due o più adulti, che assumono le funzioni genitoriali.

Nel «Piano di interventi per rendere possibile la chiusura degli istituti per minori entro il 2006» si indica come rispetto alla definizione di strutture residenziali per minori «un lessico comune è ancora da condividere»; ma questo non vale soltanto per le realtà riconducibili alle «comunità di tipo familiare» ex legge 184/83 (novellata dalla legge 149/01) in quanto anche nella definizione di istituto la confusione è abbastanza diffusa.
Nel decreto ministeriale 308/01 si fa riferimento ad una classificazione dei presidi residenziali socio-assistenziali adottata dall'ISTAT per la sua rilevazione sulla presenza dei minori in tali presidi, per cui il l'Istituto per minori viene definito come: presidio residenziale socio-educativo, in grado di accogliere un alto numero di minori. Le prestazioni fornite sono prevalentemente educative, ricreative e di assistenza tutelare; in quello stesso decreto ministeriale si indica anche che la Comunità educativa accoglie un numero di minori «generalmente inferiore a 12».
Un riferimento precedente è della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano che nella Relazione del gruppo di lavoro Stato-Regioni, istituito dalla stessa Conferenza, del 13 novembre 1997 indica che per Istituto «si intende una struttura socio-educativa residenziale di tipo assistenziale di grosse dimensioni che accoglie un alto numero di minori», e rispetto alla Comunità educativa si specifica che il numero dei minori è «comunque entro i 12», per cui si deduce che va considerata Istituto una struttura con più di 12 posti letto per minori.
La recente ricerca del Centro nazionale ha, in generale, tenuto conto di questo riferimento ma con qualche difformità sul territorio nazionale; in qualche caso le Regioni hanno segnalato come istituti le strutture con un numero abbastanza più alto di posti letto rispetto ai 12 e, soprattutto, non sono state spesso considerate le strutture «miste», dove cioè il numero di minori è sotto i 12 ma ci sono altre persone accolte per un totale ben superiore.
Per cui la riduzione delle strutture residenziali definite «istituti per minori» (che nel 1999, secondo l'ISTAT erano 475) appare leggermente meno significativa di quanto risulterebbe al 30 giugno del 2003, con 202 istituti e, probabilmente sono meno di 7 le Regioni che non hanno alcuna struttura di questo tipo.
La ricerca del Centro nazionale è comunque importante in quanto indica chiaramente come la situazione più «difficile» è al sud, soprattutto in Sicilia, dove sono stati identificati 55 istituti, e in Puglia, Calabria e Campania, con circa 30 istituti


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in ogni Regione e va sottolineato come è proprio in queste Regioni che si concentra anche la maggiore percentuale della quota del 33 per cento dei bambini e adolescenti che era presente in tali strutture a causa di problemi economici della famiglia.
La ricerca del Centro nazionale rileva comunque come il processo di riconversione per diventare comunità familiare o comunità educativa sta già coinvolgendo tre quarti degli istituti censiti, anche se è risaputo che la trasformazione di un istituto in comunità non è solo un fatto strutturale, o di semplice adesione a una normativa ma richiede un progetto educativo e figure professionali specifiche.
È quindi possibile stimare il circa 3.000 il numero di minori attualmente in istituto per minori. Per avere il dato complessivo dei «minori fuori dalla famiglia» è necessario aggiungere a questo numero la quota di minori accolti nelle comunità (familiari ed educative) che possono essere stimati tra i 15.000 ed i 20.000 (anche in riferimento ai ricoveri «anomali») ed il numero dei minorenni in affidamento familiare che nel 1999 in Italia erano 10.200, di cui 5.280 in affidamento intra-familiare e 4.668 in affidamento etero-familiare (per 252 soggetti non è stata fornita l'informazione sulla tipologia di affidamento), in base alla ricerca, sempre condotta dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza.

5.2. Tendenze rispetto ai «nodi» del processo di deistituzionalizzazione.

La Commissione parlamentare per l'infanzia, in riferimento a queste cifre sottolinea con rammarico che il «diritto di tutti i minori alla famiglia» si scontra con un fenomeno dei «minori fuori dalla famiglia» ancora consistente, seppur in diminuzione quantitativa.
Il «Piano di interventi per rendere possibile la chiusura degli istituti per minori entro il 2006» tratteggia alcune linee di sviluppo del processo di deistituzionalizzazione che, però, per essere effettivamente cogenti devono trovare riscontro sia in un supporto finanziario ed un accompagnamento formativo/consulenziale adeguati, che in un monitoraggio «stringente» e continuo da parte delle Amministrazioni regionali.
Solo attraverso un forte impegno collettivo delle istituzioni centrali e territoriali ed una grande responsabilità degli enti titolari e gestori delle strutture residenziali per minori si potranno evitare forme di neoistituzionalizzazione che si nascondano dietro riconversioni solo formali o, peggio, nell'attivazione di nuovi servizi che solo esteriormente sono «comunità».
Negli incontri avuti con importanti realtà associative che si occupano di accoglienza residenziale di minori la Commissione ha avuto modo di riscontrare che l'attuale superamento, concettuale e di fatto, degli istituti per minori non può negare una storicizzazione della loro funzione; in questo senso la chiusura prevista entro il 2006 secondo qualcuno rappresenta «un invito all'attenzione e a ricordare che tutte le soluzioni, prima o dopo, sono superate dal mondo che cambia e che non esiste niente che è valido una volta per tutte o sempre per tutti»[7].

[7] Dall'audizione in Commissione con il Coordinamento Nazionale Comunità per Minori.

La Commissione è convinta che il contrasto non vada orientato «solo» all'istituto ma alla istituzionalizzazione i cui tratti perversi e i cui danni alla crescita dei bambini potrebbero sopravvivere anche al chiusura degli istituti.
Per questo appare indispensabile che venga attivata e mantenuta in tutte le Regioni una valutazione multidimensionale delle comunità per minori (familiari ed educative) per garantire un'alta qualità nell'accoglienza residenziale per i minori.
Anche il percorso evolutivo di un minore che è stato allontanato dalla propria famiglia è la risultante di una serie di forze che possono non agire tutte coerentemente e/o contemporaneamente nella direzione di una «emancipazione» da una situazione di difficoltà; la lettura dei risultati del percorso in comunità non può essere disgiunta da una valutazione di tutto il sistema che ha in carico il minore o che con lui interagisce, in un'ottica


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valutativa multidimensionale. La coerenza dell'intervento complessivo può portare a risultati di maggiore efficacia e l'individuazione delle aree di criticità in un determinato percorso facilita la formulazione di azioni correttive.
È opinione della Commissione che, oltre la chiusura degli istituti, il «futuro» delle comunità residenziali per minori (sia educative che familiari) si gioca tra integrazione territoriale e specializzazione.
La comunità per minori deve diventare sempre di più «servizio tra servizi» entrando correttamente nel sistema integrato dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza del territorio e, soprattutto, superando quella autoreferenzialità ancora presente in troppe situazioni delle strutture di accoglienza residenziale per minori; una «chiusura» che porta a scommettere più sulla necessità di perpetuarsi come «struttura» piuttosto che sulla volontà di adeguarsi ai mutamenti nei bisogni e nelle esigenze per dare risposte appropriate e idonee. Per quanto riguarda se e come le comunità per minori «specializzate» l'opinione prevalente raccolta dalla Commissione è che debbano essere limitate a dare risposte più mirate a particolari esigenze (le comunità terapeutiche per il disagio psichico, quelle per minori tossicofili, quelle per minori vittime di abuso, quelle per minori stranieri, quelle per minori soggetti a provvedimenti penali) evitando una diffusione dell'offerta superiore al bisogno reale (che genererebbe un uso improprio) e valorizzando il più possibile le risposte comunitarie «normali», centrate sulla dimensione esistenziale, educativa, affettiva.
La Commissione riconosce che le comunità per minori devono essere accompagnate a trovare una propria ricollocazione, difficile oggi, in un contesto di forte cambiamento normativo; tra timori e speranze c'è il rischio di rifugiarsi in nostalgie rassicuranti che non aiutano a cercare risposte adeguate ai bisogni dei minori e che non danno garanzie per il futuro o a percorrere strade «specialistiche» di sanitarizzazione dei bisogni e di medicalizzazione delle risposte.
È necessario, quindi, vivere e governare il cambiamento. Un modo corretto per far questo sembra essere ribadire la centralità della relazione interpersonale nell'accoglienza residenziale del minore in difficoltà cercando di conciliarla con le norme (che regolano la struttura residenziale e la vita sociale), riconoscendo ad esse funzioni e limiti da valutare responsabilmente.
La Commissione, nell'ottica di una reale prospettiva di sussidiarietà anche in quanto settore, appoggia la proposta ad alcune organizzazioni del privato sociale di costituire un tavolo nazionale permanente di verifica e controllo della reale praticabilità delle politiche di chiusura degli istituti e di garanzia delle risposte di tipo familiare alle situazioni di temporaneo allontanamento da casa dei bambini, dei ragazzi e delle ragazze; a questo tavolo nazionale devono corrispondere analoghe modalità di confronto e di lavoro nelle Regioni.
Negli incontri che la Commissione ha avuto su questi temi un punto ribadito da diversi soggetti è stato l'attenzione particolare da avere nei confronti dei ragazzi tra i 18 ed i 21 anni accolti in quanto «all'interno delle comunità si rileva sempre più spesso la necessità di accompagnare i ragazzi, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, in un percorso di progressiva autonomia; lo sbarramento dei diciotto anni, infatti, non sempre presuppone il raggiungimento della maturità e il compimento di un percorso»[8].

[8] Dall'audizione in Commissione con l'UNEBA.

5.3. Le prospettive possibili e le priorità.

Tra le modalità di riconversione degli istituti per minori e di individuazione di procedure di accoglienza e di standard (strutturali/educativi/organizzativi...) della residenzialità per i minori le strade percorribili possono essere diverse.
Uno dei soggetti incontrati dalla Commissione ha evidenziato alcuni criteri di idoneità delle comunità di accoglienza che suggeriscono di integrare l'utilizzo di pa
rametri


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di tipo strutturale con la costruzione di indicatori verificabili relativi a diverse dimensioni:
esistenza effettiva di processi di vita comunitaria e di rapporti significativi tra adulti e minori e all'interno del gruppo dei pari;
effettiva sussistenza dei rapporti quotidiani di scambio positivo con il territorio;
formulazione ed effettiva realizzazione di progetti educativi individualizzati;
identificazione, caso per caso, di adeguate forme di coinvolgimento della famiglia d'origine nell'intervento educativo;
adeguata formazione di base e permanente degli operatori;
esistenza di una metodologia di lavoro definita con precisione e adeguata;
esistenza di positivi e corretti rapporti di collaborazione con la rete dei servizi e con l'ente locale competente.»[9]

[9] Dall'audizione in Commissione con il Coordinamento Nazionale Comunità Accoglienza.

Questo è comunque un compito che spetta alle forme locali di governo, attraverso: adeguate modalità di investimento anche economico, una precisa definizione delle caratteristiche di queste strutture, la promozione di eventi formativi interdisciplinari tra operatori territoriali degli enti pubblici e operatori educativi delle comunità; la predisposizione di adeguate procedure di controllo e di sostegno.
Rispetto al ruolo e alle prospettive dei diversi strumenti orientati a sostenere il processo di deistituzionalizzazione dei minori, oltre a valorizzare l'affidamento familiare e, per quanto possibile, l'adozione nazionale, molti dei contributi raccolti dalla Commissione indicano come gli interventi di «vicinato sociale» e l'affido diurno, strumenti della «normalità», devono essere tenuti nella debita considerazione e adeguatamente promossi.
La Commissione reputa di particolare interesse seguire gli sviluppi delle esperienze sperimentali in atto: Famiglie professionali, Bed & Breakfast Protetto, Adozione mite...
In particolare appare importante accompagnare lo sviluppo delle Reti di famiglie accoglienti (a questo proposito va citato un recente bando della regione Veneto che eroga finanziamenti per sviluppare questa specifica esperienza), per: permettere il consolidamento dell'esperienza, favorire un riconoscimento formale da parte delle istituzioni locali con l'inclusione delle reti all'interno dei gruppi di lavoro per la predisposizione dei piani di zona e, comunque, l'inserimento dell'esperienza delle reti all'interno della rete dei servizi pubblici e privati per l'infanzia e l'adolescenza, e come forma organizzativa privilegiata per la gestione dell'affido familiare.
Tra le modalità da privilegiare per favorire un approccio comprensivo ai «minori fuori dalla famiglia» all'interno del sistema integrato dei servizi e degli interventi per l'infanzia e per l'adolescenza la Commissione condivide le proposte di:
prevedere che un apposito tavolo di lavoro permanente sull'infanzia e sull'adolescenza sia attivato in tutti gli Ambiti territoriali in relazione alla elaborazione e alla gestione dei Piani di zona, così come previsti dalla legge 328/00;
chiedere ai singoli Comuni di predisporre un progetto di «comunità accogliente» che permetta di attivare forme di sostegno reale alla famiglia d'origine e soluzioni di accoglienza articolata e rispettosa del minore che coinvolga i vari soggetti presenti sul territorio, dalla scuola alla parrocchia, dai consultori familiari alle biblioteche, dalle associazioni sportive ed educative alle aggregazioni spontanee.

Nel processo di deistituzionalizzazione la Commissione assegna un importante ruolo anche alle «comunità di accoglienza residenziale» per minori, sia comunità familiari che comunità educative:
nella prevenzione dell'allontanamento dalla famiglia di origine le comunità


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possono «mettere in campo» la conoscenza profonda delle dinamiche che portano alla rottura dei rapporti tra genitori e figli e, quindi, aiutare i servizi territoriali a perseguire tutti gli interventi di sostegno e aiuto per favorire il mantenimento in famiglia; in questo senso appare utile l'apporto che le comunità possono dare per organizzare iniziative di integrazione del servizio domiciliare educativo/assistenziale e il sostegno dell'«auto-aiuto» delle famiglie di origine...
nella presa in carico e nell'accompagnamento delle famiglie d'origine in quanto, come ha espresso uno dei soggetti incontrati dalla Commissione: «esse appaiono spesso abbandonate a se stesse, sia quando la gravità dei comportamenti agiti nei confronti dei figli (abuso, maltrattamento, grave incuria) precludono fin dall'inizio l'eventualità di un rientro in famiglia dei figli, sia quando non vi sono comportamenti tali da far ritenere necessaria la definitiva separazione. In questo senso continuare a pensare alle in termini di "alternativa" alla famiglia d'origine sembra condurre poco lontano, anche perché l'attaccamento di bambini e ragazzi alle loro famiglie è un dato osservabile, così come la loro duratura e piena appartenenza al sistema familiare, con i suoi orientamenti e le sue regole. Bisogna forse pensare allora a risorse "complementari" alla famiglia, il che implica la necessità di ricomprendere la famiglia all'interno dell'orizzonte degli interventi e nel novero dei "soggetti" degli interventi»; rispetto alla complementarietà le comunità residenziali possono fare molto.
nel supporto per il rientro in famiglia del minore, che è uno specifico delle comunità ed un «imperativo» in quanto devono attivarsi per rendere comunque «minimo» il tempo di permanenza in comunità.

6. Osservazioni conclusive e proposte della Commissione.

Nei diversi capitoli della presente relazione la Commissione parlamentare per l'infanzia oltre ad analizzare e valutare le differenti situazioni oggetto di conoscenza, studio e confronto ha già espresso indicazioni operative che «impegnano» i diversi soggetti coinvolti nelle politiche e nei servizi per l'infanzia e l'adolescenza a continuare e migliorare la loro assunzione di responsabilità.
A conclusione dell'attività di approfondimento svolta, la Commissione ritiene opportuno esprimere una valutazione sintetica complessiva sulla realizzazione della legge 285/97 e reputa necessario offrire al Governo, al Parlamento, alle Amministrazioni pubbliche territoriali (Regioni e Province autonome, Comuni) alcune indicazioni su «come accompagnare l'evoluzione della legge 285/97» e su «come tutelare il diritto dei minori alla famiglia».

6.1. Verifica e «valutazione» sulla realizzazione della legge 285/97.

La valutazione complessiva della Commissione parlamentare infanzia sulla realizzazione della legge 285/97 è ampiamente positiva perché territori diversi per cultura e tradizione rispetto ai servizi per l'infanzia e l'adolescenza hanno, comunque, tratto giovamento dall'applicazione della legge 285/97, non solo in termini di attivazione di servizi per l'infanzia e l'adolescenza ma anche in relazione alla metodologia di intervento e all'orizzonte complessivo di azione in funzione della promozione e della tutela complessiva dei «cittadini in crescita».
La Commissione accoglie e rilancia le preoccupazioni che hanno manifestato i soggetti incontrati sulla continuità che si potrà dare agli interventi determinati con la realizzazione della legge 285/97 e, soprattutto, alla impostazione culturale da cui sono derivati, caratterizzata dall'obiettivo di garantire diritti e opportunità per tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze.


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6.2. Come accompagnare l'evoluzione della legge 285/97.

Le Regioni e tutti i soggetti incontrati dalla Commissione parlamentare per l'infanzia hanno chiesto che il Governo rifinanzi per un triennio la legge 285/97, motivando in maniera articolata tale richiesta:
per assicurare lo sviluppo delle politiche e dei servizi per l'infanzia così positivamente avviate dalla legge 285/97 che rischiano, in mancanza di risorse certe, di far perdere il patrimonio acquisito e di vanificare la continuità delle opportunità per l'infanzia e l'adolescenza che deve essere offerta dalle politiche per infanzia e adolescenza di «seconda generazione»;
per consolidare il percorso culturale e metodologico di una programmazione integrata degli interventi e dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza negli Ambiti territoriali attualmente in una delicata fase di evoluzione;
per continuare a garantire che vengano destinati finanziamenti «certi» alla promozione di diritti e opportunità dell'infanzia e dell'adolescenza;
per favorire una corretta, progressiva, implementazione della legge 285/97 nell'applicazione della legge 328/00.

Attualmente il finanziamento del sistema integrato dei servizi sociali è regolato dalla legge 328/00 che, all'Articolo 9 assegna allo Stato, tra le altre, la funzione di «ripartizione delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali» secondo criteri, definiti dall'articolo 20, comma 7, che richiamano il Piano sociale e i livelli essenziali delle prestazioni sociali assistenza, «d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». Nell'ambito della Conferenza unificata, sulla scorta della proposta dei Presidenti delle Regioni, il «Fondo nazionale per le politiche sociali» è stato individuato in maniera indistinta, rispetto alle singole leggi di settore. Attualmente, quindi, il Governo non «vincola» quote del «Fondo nazionale per le politiche sociali» per attività specifiche.
La Commissione condivide le richieste dei soggetti, istituzionali e non, sull'opportunità di un rifinanziamento della legge 285/97 e, a tal proposito, rileva che:
non è stata abrogata la disposizione della legge 285/97 che prevede la costituzione di un «Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza»;
il decreto di riparto del Fondo nazionale per le politiche sociali 2004, in attesa di firma da parte del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, mantiene «distinti» i fondi destinati alle «città riservatarie» (tabella di riparto n. 6) individuate dalla legge 285/97 (il testo del decreto, con le tabelle di riparto, è pubblicato nel sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali).

La Commissione:
auspica che il Governo verifichi, prima della predisposizione del disegno di legge finanziaria, nell'ambito della Conferenza unificata, la volontà delle Regioni e delle Province autonome di rifinanziare per un triennio la legge 285/97;
raccomanda al Parlamento di prevedere, nella prossima legge finanziaria, che una quota del Fondo nazionale per le politiche sociali, pari almeno a 160.000.000 di euro all'anno, sia riservata al finanziamento degli interventi previsti dalla legge 285/97.

La Commissione raccomanda al Governo l'utilizzo di un ulteriore strumento per consolidare e rendere stabili le risorse economico-finanziarie in favore dell'infanzia e dell'adolescenza. Nella normativa sui «livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni sociali» previsti dalla legge 328/00, che ancora deve essere emanata dal Governo, va previsto un ampio capitolo riguardante l'infanzia e l'adolescenza che - come indicato anche dal comma 3 dell'articolo 22 della stessa legge 328/00 - riprenda i contenuti


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della legge 285/97 e li declini in livelli di prestazioni da garantire a tutti i cittadini nella fascia di età da 0 a 18 anni, per i quali vanno previsti specifici e adeguati finanziamenti. È auspicabile che le Regioni, a loro volta, attraverso i provvedimenti che dovranno garantire il rispetto dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni sociali, confermino ed anzi incrementino la qualità dei livelli stessi relativamente all'infanzia e all'adolescenza.
Infine la Commissione, sulla scorta delle pressanti indicazioni provenienti dai territori, invita il Governo, le Regioni e le Province autonome a promuovere continuative e concertate opportunità di scambio e formazione: tra gli operatori che si occupano di infanzia e di adolescenza e tra «rappresentanze» di bambini e bambine, di ragazzi e ragazze; sia a livello nazionale che interregionale; su temi generali e specifici, con la valorizzazione della circolarità di queste esperienze.

6.3. Come tutelare il diritto dei minori alla famiglia.

La Commissione parlamentare per l'infanzia auspica che tutte le Regioni e le Province autonome attuino la legge 328/00 in relazione ad autorizzazione e accreditamento delle strutture di accoglienza residenziale per i minori con particolare attenzione a criteri di qualità «alti» (personale qualificato, progetti educativi personalizzati, rapporto sinergico con i servizi pubblici territoriali, recupero della famiglia di origine...).
La Commissione raccomanda alle amministrazioni competenti di orientare fondi adeguati per favorire la costruzione e la manutenzione di un sistema integrato dei servizi ed interventi per i «minori fuori dalla famiglia» in ogni Ambito territoriale: équipes di operatori che sostengono il minore, équipes di operatori che sostengono la famiglia di origine, potenziamento dell'assistenza domiciliare educativa, servizi di sostegno alla genitorialità, valorizzazione dell'affidamento familiare vissuto all'interno di una dimensione associativa, rete adeguata di servizi residenziali (Comunità familiari, Comunità educative, Comunità di pronta accoglienza, Comunità di accompagnamento all'autonomia), promozione delle reti familiari di accoglienza (formali e informali), attivazione di interventi complementari per i minori devianti (comunità residenziali, messa alla prova, mediazione penale...).
In conclusione la Commissione parlamentare per l'infanzia auspica che possa continuare a svilupparsi un percorso integrato tra produzione normativa nazionale e locale ed applicazione delle leggi in grado di mantenere e incrementare la tutela e la promozione di diritti e opportunità per l'infanzia e l'adolescenza nel nostro Paese, impegnandosi a proseguire nella propria attività di monitoraggio e di controllo, collegandosi a tutte le realtà e le espressioni dei territori, dalle istituzioni pubbliche alle formazioni sociali, alle famiglie e ai cittadini, con particolare riferimento a quelli «in crescita».