1. INTRODUZIONE
La Commissione parlamentare per l'infanzia ha avviato il 4 dicembre 2001 un'indagine conoscitiva sull'abuso e lo sfruttamento dei minori, nell'ambito della quale ha svolto numerose audizioni, fra le quali alcune dedicate al tema degli adeguamenti legislativi opportuni ai fini di più efficace tutela del minore. In particolare, sono stati auditi il dottor Rosario Priore, direttore generale del Dipartimento giustizia minorile del Ministero della giustizia (5 dicembre 2001), l'avvocato Gianfranco Dosi, presidente dell'AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e i Minori) e l'avvocato Alessandro Santori, presidente dell'AIAF - Regione Veneto (20 febbraio 2002).
Si è quindi svolta il 13 marzo 2002 l'audizione del Ministro della giustizia Roberto Castelli, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera. Tale audizione ha coinciso con la presentazione da parte del Ministro stesso di due disegni di legge di riforma della giustizia minorile: n. 2501 (Modifiche alla composizione ed alle competenze del tribunale penale per i minorenni), presentato l'8 marzo 2002, e n. 2517 (Misure urgenti e delega al Governo in materia di diritto di famiglia e dei minori), presentato il 14 marzo 2002.
Successivamente, sono proseguite le audizioni svolte nell'ambito dell'indagine conoscitiva, in particolare del dottor Piero Tony, presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, e della dottoressa Caterina Chinnici, procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni di Caltanissetta (19 marzo 2002), della dottoressa Livia Pomodoro, presidente del Tribunale dei minorenni di Milano (10 aprile 2002), del dott. Giuseppe Magno, consigliere della Corte di cassazione (18 aprile 2002), di rappresentanti dell'Associazione Amici dei bambini (Ai.Bi.), dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (ANFAA), del Centro italiano aiuti all'infanzia (CIAI), del Centro informazione e educazione allo sviluppo (CIES), dell'ECPAT Italia, di Save the children e dell'UNICEF-Italia (26 settembre 2002) che hanno avuto come oggetto specifico le riforme presentate dal Ministro Roberto Castelli.
La Commissione ha quindi costituito, il 16 luglio 2002, un gruppo di lavoro sulla giustizia minorile, che, nel programma delle sue attività, ha effettuato un sopralluogo nell'Istituto penitenziario minorile «Cesare Beccaria» a Milano e si accinge a effettuarne uno nell'Istituto penitenziario minorile di Airola (Benevento).
È stato inoltre approntato un questionario, che è stato inviato a tutti presidenti dei Tribunali per i minorenni e a tutti i procuratori della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni, che ha inteso acquisire alcuni dati relativamente al periodo 30 giugno 2000 - 30 giugno 2002, sui seguenti punti: numero dei procedimenti definiti nella fase delle indagini preliminari, trattati all'udienza preliminare e trattati in udienza dibattimentale; numero di messe alla prova (con relativi esiti) e tipologia dei reati per i quali la prova è stata concessa; numero dei procedimenti definiti per irrilevanza del fatto e tipologia dei reati per i quali è stata adottata tale formula; numero dei procedimenti iscritti al registro, dei procedimenti definiti nella fase delle indagini preliminari e dei procedimenti passati alla fase successiva (con tipologia di richiesta del procuratore della Repubblica); numero dei procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità iscritti (suddivisi per tipologia di definizione),
numero dei procedimenti iscritti al registro adozioni relativamente alle adozioni nazionali e a quelle internazionali, con ulteriori specificazioni. I dati comunicati nelle risposte ricevute sono contenuti in allegato (1) e sono stati utilizzati anche per elaborare le riflessioni che seguono.
2. CONSIDERAZIONI GENERALI
2.1 Premessa.
La Commissione parlamentare per l'infanzia ritiene di dover svolgere alcune considerazioni generali ed una riflessione più specifica per quanto concerne gli aspetti penali e civili delle riforme proposte dal Ministro della giustizia.
Cinque, in estrema sintesi, sono i punti qualificanti i due disegni di legge:
1) Trasferimento di tutte le competenze civili in materia di famiglia e minori ad una sezione specializzata «per la famiglia e per i minori» presso il Tribunale ordinario, per la quale non è prevista esclusività di funzioni;
2) Mantenimento delle sole competenze penali minorili in capo al Tribunale per i minorenni;
3) Azzeramento negli affari civili dell'attuale componente onoraria; dimezzamento (da due ad uno) della componente onoraria con riferimento agli affari penali;
4) Ridimensionamento del ruolo dei servizi sociali del territorio nel procedimento civile minorile; ripristino in materia civile della competenza dei servizi sociali del Dipartimento della Giustizia Minorile;
5) Inasprimento dell'intervento penale sui minori.
Le relazioni illustrative dei due progetti danno conto delle ragioni di tali proposte
(1) L'allegato concernente l'elaborazione dei dati preventivi alla Commissione è in via di realizzazione, non essendo ancora giunte tutte le risposte.
di riforma. In particolare risultano esplicite le finalità di superare le disfunzioni che traggono origine dalla estrema parcellizzazione delle competenze in materia civile e dal deficit di specializzazione e, con riferimento alla previsione della composizione completamente togata della sezione, di rispondere alla diffusa ed avvertita necessità di recuperare interamente alla magistratura professionale il momento del giudizio che le è istituzionalmente proprio.
Anche in materia penale - accanto all'urgenza di fronteggiare una devianza minorile diversa per natura e consistenza da quella presa in considerazione dal legislatore dell'88 - viene sottolineata la finalità di fornire risposte alle diffuse critiche di progressivo allontanamento dalla giurisdizione e di garantire dunque una costante prevalenza del profilo giurisdizionale dell'organo giudicante la cui maggioranza deve in ogni caso rispecchiare una specializzazione di carattere giuridico, pur riconoscendo l'opportunità di non privarlo del tutto dell'apporto di discipline specialistiche (assicurato attraverso la componente onoraria), atteso un più accentuato profilo di specificità del settore penale minorile rispetto a quello civile.
Desta tuttavia perplessità l'ipotesi che gli obbiettivi di unificazione delle competenze e di maggior specializzazione possano essere raggiunti assegnando ad organi diversi le competenze penali e civili, non garantendo l'esclusività delle funzioni dei giudici delle sezioni specializzate ed azzerando o riducendo la componente onoraria, laddove tali interventi sembrano invece avere direzione ed effetti esattamente opposti.
È altresì difficile credere che l'attività del giudice penale minorile presenti un più accentuato profilo di specificità rispetto a quella del giudice civile dei minori e della famiglia e quindi necessiti, diversamente da quest'ultimo, di una - seppur ridotta - presenza di esperti; del pari non si comprende perché in materia civile per raggiungere l'obbiettivo di maggior giurisdizionalizzazione non sia stato ritenuto sufficiente
- come in materia penale - il dimezzamento della componente onoraria.
Poiché, poi, è inevitabile che saperi extragiuridici condizionino la decisione del giudice dei minori e della famiglia, vi è da chiedersi se l'obbiettivo di maggior giurisdizionalizzazione sia assicurato più efficacemente da un giudice togato «spurio» un po' giurista, un po' psicologo ed un po' assistente sociale, oppure mantenendo nell'organo giudicante distinti i contributi dei diversi saperi rispetto al sapere giuridico. Si ritiene al riguardo che la presenza di esperti nel collegio consenta al giudice togato, in materie fortemente (ed inevitabilmente) condizionate da altri saperi, di meglio rivendicare, in un confronto dialettico, le ragioni del diritto e svolgere appieno il suo ruolo.
La sensazione è che i disegni di legge sopra richiamati in materia di giustizia minorile abbiano raccolto l'istintivo atteggiamento di rifiuto della gente verso un sistema che in nome del superiore interesse del minore consente alle istituzioni di incidere anche in modo significativo nel tessuto famigliare e verso ogni intervento di verifica, protezione e tutela, visto come intollerabilmente invasivo.
Tale atteggiamento di rifiuto in effetti esiste ed è ciclicamente enfatizzato da vicende di rilievo massmediatico.
Esiste peraltro, concreto ed ineludibile, il problema di dare risposta adeguata e tempestiva a situazioni di abbandono, abuso e maltrattamento fisico e psicologico del minore.
Occorre pertanto trovare un punto di equilibrio tra la tutela della libertà nelle relazioni famigliari e dei genitori di svolgere il loro ruolo e la tutela del minore quale soggetto debole, evitando «derive privatistiche» e «deregulation».
La strada per trovare tale punto di equilibrio sembra quella di offrire al processo minorile modelli procedurali agili, ma conformi alla nuova formulazione dell'articolo111 della Costituzione, che consentano un reale contraddittorio ed un reale esercizio della difesa dinnanzi ad un giudice terzo e quindi diano spazio e garanzie a tutti i soggetti coinvolti ed in particolare al minore garantendone l'ascolto e la piena rappresentanza processuale secondo quanto stabilito nella Convenzione di Strasburgo del 1996 sull'esercizio dei diritti dei bambini, firmata dall'Italia anche se ancora in via di ratifica.
In conclusione, sebbene sia urgente ed indispensabile rivisitare il complesso sia civilistico, sia penalistico della disciplina del Tribunale dei minorenni, esigenze di effettività della tutela del minore nel rispetto dei diritti degli adulti coinvolti richiedono che non ci si limiti all'aspetto ordinamentale - pur importante - ma prioritariamente si affronti il profilo processuale, per dare completa attuazione all'articolo 111 della Costituzione e per adeguare la legislazione alla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei bambini (Strasburgo il 25 gennaio 1996) e alle altre numerose convenzioni in materia di rispetto dei diritti dei minori, tra le quali la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989), i cui protocolli aggiuntivi sono stati di recente ratificati con legge n. 46 del 2002.
2.2 Profilo ordinamentale.
2.2.1 Assoluta imprescindibilità del trattamento unitario della situazione del minore.
Il punto di partenza fondamentale è che il minore rappresenta un soggetto politicamente e psicologicamente più debole rispetto al quale è dovere imprescindibile dello Stato approntare un trattamento di favore che non può essere disgiunto dall'esame complessivo della sua posizione giuridica nell'ambito dell'ordinamento.
È quindi auspicabile l'unificazione dinnanzi ad un unico giudice delle competenze in materia di minori e famiglia - ora irragionevolmente frammentate tra il Tribunale per i minorenni, il Tribunale Ordinario ed il Giudice Tutelare.
Sono del resto tutti d'accordo sulla necessità di creare un giudice capace di
incidere contemporaneamente sui problemi del minore e su quelli della famiglia.
In questa prospettiva, diversamente da quanto previsto nel disegno governativo ed in altre proposte di riforma della materia, dovrebbero restare fuori da tale accorpamento alcuni procedimenti, già di competenza dell'AG ordinaria, dove non entra in gioco l'interesse del minore. Ci si riferisce, per esempio, ai procedimenti aventi ad oggetto separazione e divorzio di coppie senza figli, interdizione ed inabilitazione di adulti, assenza e morte presunta, formazione e rettificazione degli atti dello stato civile (fatto salvo il caso di cui all'ultima parte dell'articolo 100 del decreto del Presidente della Repubblica 3.11.2000 n. 396 relativo al minore straniero adottato), gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori di competenza dell'autorità giudiziaria.
L'inclusione di tali competenze può infatti rendere assai complesso il tentativo di unificare le procedure dinanzi all'istituendo giudice dei minori e della famiglia in non più di due o tre modelli.
L'esclusione delle stesse inoltre è più coerente con l'idea di istituire un giudice della famiglia e dei minori e non tanto un giudice per la famiglia e la persona.
Si deve poi considerare che l'unificazione delle competenze deve riguardare non solo la materia civile, ma anche quella penale ed amministrativa.
Merita al riguardo ribadire l'ovvietà della stretta interdipendenza fra gli interventi civili, amministrativi e penali ed in altre parole fra prevenzione, punizione e recupero. L'esperienza infatti dimostra che la devianza minorile è per lo più frutto del disagio maturato in ambito famigliare, con conseguente necessità di una lettura unitaria dell'una e dell'altro e di un intervento coordinato. Inoltre norme - non ancora abrogate - danno conto di tale interdipendenza: l'articolo 32 co 4 decreto del Presidente della Repubblica 448/88 (in caso di urgente necessità il GUP con separato decreto può adottare provvedimenti civili temporanei a protezione del minore), l'articolo 2 decreto del Presidente della Repubblica 272/89 (nei tribunali per i minorenni l'assegnazione degli affari è disposta in modo da favorire la diretta esperienza di ciascun giudice nelle diverse attribuzioni della funzione giudiziaria minorile) e gli ultimi due commi dell'articolo 26 del RDL n. 1404/34 (che prevedono l'adozione di provvedimenti amministrativi sia nel caso in cui il minore si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 333 cc, sia quando al medesimo sia stato concesso il perdono giudiziale o la sospensione condizionale della pena).
La stessa modifica all'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 22.9.88 n. 448 (cppmin), opportunamente prevista nel disegno di legge governativo, consentendo anche al GIP di adottare provvedimenti temporanei ed urgenti (ovviamente civili o amministrativi) a protezione del minore, da ratificarsi nel termine di trenta giorni, sottolinea la stretta correlazione esistente tra le materie civili, amministrative e penali in campo minorile.
2.2.2 Dislocazione sul territorio.
È pure sentito il bisogno che il giudice dei minori e della famiglia sia dislocato sul territorio con maggior diffusività e secondo i criteri di una «giurisdizione di prossimità». Del resto l'auspicata unificazione delle competenze impone necessariamente di raccordare gli attuali ambiti territoriali di competenza del Tribunale Ordinario e del Giudice Tutelare (ambiti circondariali) con quelli del TM (ambiti distrettuali).
Le soluzioni astrattamente prospettabili sono tre: 1) la costituzione di Tribunali per la famiglia ed i minori con una maggior diffusività sul territorio; 2) l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia ed i minori così come proposto nei disegni di legge in commento; 3) l'istituzione di un Tribunale per la famiglia ed i minori distrettuale e di sezioni distaccate dello stesso in ambito circondariale.
Ogni decisione al riguardo dovrà tuttavia essere preceduta da opportune verifiche di costi e d'impatto considerati i bacini d'utenza, i carichi di lavoro e le necessità degli organici.
2.2.3 Specializzazione del giudice.
Il giudice della famiglia e dei minori deve indubbiamente essere un giudice specializzato.
Sul punto concorda lo stesso Governo che, anzi, nella relazione illustrativa rimarca la necessità di ovviare a carenze in tal senso. L'esigenza di specializzazione è irrinunciabile in materia, non tanto per la complessità o specificità del dato normativo, quanto per la peculiare natura dell'accertamento demandato al giudice, accertamento che riguarda una molteplicità di elementi fisici, psichici, emotivi, relazionali, ambientali e sociali e le loro complesse interrelazioni, e per la peculiare natura della decisione che il giudice deve adottare, ancorata alla valutazione degli anzidetti elementi ed interrelazioni e diretta alla formulazione di complessi giudizi prognostici ed all'assunzione di provvedimenti aventi spesso contenuti precettivi e progettuali, in un contesto di ampia discrezionalità, laddove le norme indicano in modo generico l'oggetto dell'accertamento, i parametri di giudizio ed i contenuti dei provvedimenti.
Il sapere giuridico dunque da solo è insufficiente e deve essere inevitabilmente integrato da altri saperi extragiuridici.
Di certo la situazione descritta non è dissimile da quella che caratterizza l'attività della AG di Sorveglianza.
Ebbene per tale attività la legislazione vigente prevede che il competente organo giudiziario sia dotato di elevata autonomia organizzativa e di competenza esclusiva ed operi sia in composizione monocratica, che in composizione collegiale mista, con la presenza di due componenti onorari.
Il giudice della famiglia e dei minori dovrebbe allora ispirarsi ad un modello simile, che ne esalti la specializzazione.
Non può dirsi, infatti, specializzato un giudice privo di una sua autonomia organizzativa e soprattutto di competenza esclusiva - che debba, dunque, occuparsi anche degli affari ordinari.
Proprio la specializzazione richiede inoltre che il sapere giuridico sia integrato da altri saperi e quindi appare necessaria la presenza della componente onoraria, quantomeno in relazione a quegli affari la cui trattazione maggiormente richiede il contributo di quei saperi.
Il disegno di legge governativo riconosce del resto la necessità di non privare l'organo giudicante dell'apporto di discipline specialistiche diverse da quella giuridica e quindi della componente onoraria, ma lo fa solo con riferimento agli affari penali.
Peraltro le ragioni che inducono a riconoscere tale necessità in ambito penale sono essenzialmente le stesse che dovrebbero indurre a riconoscerne la necessità anche in ambito civile. Non appare infatti ragionevole ritenere che l'apporto di discipline specialistiche sia utile per decidere la sorte di un minore che delinque e non anche per stabilire quale sia la tutela più opportuna per un minore abusato o oggetto di grave contesa.
Se, poi, la preoccupazione è quella di garantire la prevalenza del profilo giurisdizionale dell'organo giudicante anche in materia civile, tale preoccupazione può essere superata limitandosi a dimezzare la presenza della componente onoraria così come previsto in materia penale, anziché azzerandola del tutto.
Un'altra possibile soluzione al problema anzidetto può essere quella di mantenere inalterata la presenza della componente onoraria (soluzione che consente la compresenza nel collegio di una pluralità di saperi estragiuridici), prevedendo, tuttavia, che in caso di parità di voti prevalga il voto del presidente del collegio (così come avveniva per il Tribunale di Sorveglianza ).
Occorre poi considerare che la necessità della presenza della componente onoraria non deve considerarsi assoluta.
È infatti opportuno che, a seconda degli affari trattati, il giudice della famiglia e dei minori possa operare o in composizione monocratica o in composizione collegiale mista (ma anche, in composizione collegiale solo togata).
La scelta operata nel disegno di legge governativo nel senso della necessaria collegialità dell'organo giudicante appare
forse eccessiva, specie con riguardo alle materie già di competenza del giudice tutelare.
Appare inoltre in contrasto con la riforma relativa al giudice unico di primo grado, fondata appunto sulla distinzione tra le materie destinate alla monocraticità e quelle riservate alla collegialità.
È tuttavia essenziale che l'organo giudicante operi in composizione collegiale mista quantomeno con riferimento ai giudizi di adottabilità ed ai giudizi che comportano decisioni sulla potestà genitoriale, ivi compresi quelli di separazione e divorzio, e ciò per la particolare rilevanza che assume negli anzidetti procedimenti l'interesse del minore e per la complessità degli accertamenti e delle decisioni largamente coinvolgenti saperi extragiuridici. Al riguardo è corretto sottolineare l'omogeneità delle questioni dibattute nel procedimento di separazione e divorzio e di quelle trattate nel procedimento sulla potestà, se si considera che lo scioglimento del vincolo è aspetto secondario (e di fatto automatico) rispetto alle questioni dell'affidamento e del diritto di visita in relazione alle quali il giudice ordinario ha poteri istruttori ufficiosi ed atipici (ricorso all'attività di indagine e valutativa dei servizi sociali del territorio, ascolto del minore) e poteri di intervento «limitativi della potestà» del tutto simili a quelli del TM (affidamento del minore ai servizi sociali, a terzi, collocamento in comunità, allontanamento del genitore abusante o maltrattante); anche i provvedimenti fisiologici ad un giudizio di separazione e divorzio quali affidare all'uno o all'altro genitore il minore o disporne l'affidamento congiunto incidono sulla potestà genitoriale e comunque comportano l'individuazione del genitore più idoneo ad esercitarla); anche dal punto di vista processuale il giudice della separazione e del divorzio utilizza sia il modello ordinario che quello camerale.
3. IL SISTEMA PROCESSUALE PENALE
Il progetto di riforma in materia penale (progetto di legge n. 2501) si presenta in un'ottica di immediata modifica delle norme e si articola in quattro differenti prospettive:
1) ordinamentale (articoli 1-3) incentrata nella riduzione dei componenti non togati del collegio;
2) sostanziale (articolo 4), relativa alla modifica dell'articolo 98 del Codice penale;
3) processuale (articoli 5-14);
4) penitenziaria (articoli 15 e 16).
Nel complesso, sembra che il progetto risenta di un clima di tensione venutosi a creare in occasione di alcuni eventi particolari e presupponga la necessità di intervenire con un'urgenza che, dagli approfondimenti svolti dalla Commissione, non emerge invece con particolare evidenza.
Le proposte di riforma delle norme ordinamentali (articoli 1-3) possono, però, accentuare alcune problematiche in materia di incompatibilità nascenti dall'interpretazione costituzionale dell'articolo 34 del Codice di procedura penale - specialmente nella parte in cui prevedono la presenza di due magistrati togati nell'udienza G.U.P., sebbene, stante l'unificazione dei ruoli che la moderna società ha portato fra uomo e donna, ben si possa ritornare al sistema originale del 1934 che prevedeva un solo esperto. Non risulta però necessario prevedere la presenza di due magistrati togati nel collegio del Giudice dell'udienza preliminare: infatti, se il motivo di tale presenza consiste nella necessità di garantire la formazione della decisione a maggioranza con prevalenza della componente togata, occorre notare che il risultato si può raggiungere più semplicemente mediante l'attribuzione di un voto prevalente al componente togato; tale soluzione consentirebbe di impegnare un numero inferiore di giudici togati, con un risparmio prezioso, nell'attuale situazione di ristrettezza di organici e di regime di incompatibilità accentuato (come quello dell'articolo 34 del Codice di procedura penale).
Una diversa impostazione avrebbe potuto complessivamente adeguare il sistema al giudice monocratico o, meglio, al giudice di pace, atteso che ai sensi dell'articolo 63 della legge 274 del 2000 («Norme applicabili da parte di giudici diversi»): «1. Nei casi in cui i reati indicati nell'articolo 4, commi 1 e 2, sono giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace, si osservano le disposizioni del titolo II del presente decreto legislativo, nonchè, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli articoli 33, 34, 35, 43 e 44; 2. Nei certificati del casellario giudiziale rilasciati a norma dell'articolo 689 del codice di procedura penale non sono riportate le iscrizioni relative ai reati di cui al comma 1; si osservano, altresì, le disposizioni dell'articolo 46». A tale proposito, si osserva che alcune delle sanzioni previste per i reati di competenza del giudice di pace sembrano di minore gravità rispetto a quelle applicabili ai minorenni per i medesimi reati, e perciò nulla esclude che siano le prime ad essere applicabili anche ai minorenni in base al principio del favor rei e all'espresso richiamo contenuto nella legge.
L'articolo 4 affronta il problema delle riduzioni della pena. A tale proposito, sembra necessario osservare che il problema centrale non consiste tanto nello stabilire rigidamente quale debba essere la riduzione della pena applicabile al minore imputabile, bensì nella questione del trattamento da riservare ai minori non imputabili o dichiarati immaturi, che è un tema rilevante nel dibattito minorile degli ultimi anni. Occorre immaginare altre misure (quasi penali o amministrative ovvero di contenimento educativo), applicabili sia ai minori non imputabili che siano riconosciuti autori di un fatto previsto dalla legge come reato, sia ai minori dichiarati immaturi. Si tratterebbe di misure obbligatorie a contenuto educativo che non assumano la forma di restrizione, ma che valgano ad orientare il minore. Inoltre il problema delle riduzioni di pena dovrebbe più opportunamente essere trattato in sede di riforma del codice penale unitamente a quello relativo all'imputabilità.
Per quanto concerne la riforma dell'istituto della messa alla prova (articolo 11) si deve osservare che già l'interpretazione corretta della norma attualmente in vigore portava a ritenere la prescrizione del reato sospesa durante il periodo di messa alla prova. La necessità di una riforma di dell'istituto della messa alla prova è ampiamente condivisa, sia perché esso appare abbastanza vago nei presupposti, sia perché il periodo di tre anni appare incongruo non tanto in relazione alla natura del reato, quanto in riferimento alla valutazione del processo di rieducazione del minore in particolari casi. Tuttavia, la prospettata riforma lascia inalterato il termine di tre anni, limitandosi ad escludere l'applicabilità dell'istituto per alcuni reati ritenuti particolarmente gravi e precludendo così la possibilità della messa in prova, ad esempio, agli indagati del delitto di cui all'articolo 416-bis del Codice penale, rispetto ai quali occorrerebbe invece tenere conto che spesso la partecipazione del minorenne al reato de quo è marginale, ovvero dettata da condizionamenti ambientali o familiari molto più che in altri casi; ciò non appare coerente col valore educativo del processo penale minorile, che pure espressamente si conferma non modificando l'articolo 1 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988. Sarebbe preferibile prevedere un periodo più lungo di prova (ad esempio cinque anni) e subordinare la sua applicabilità rispetto a determinati reati all'allontanamento dell'imputato dal contesto socio-ambientale che ha reso possibile il reato stesso ovvero da quello in cui risiede la vittima dei reati particolarmente odiosi. Inoltre, in ordine agli autori di quei delitti che il disegno di legge ha escluso dalla messa alla prova, è necessario intervenire con un preciso progetto di rieducazione, sottoponendoli ad idoneo programma terapeutico o di sostegno, che hanno un'alta probabilità di esito positivo, ma che non hanno possibilità di riuscita in ambito carcerario. Vi è pertanto la necessità di prevedere anche per i delitti che l'opinione pubblica giudica efferati - naturalmente con possibilità di scelte giudiziarie
e non come regola - la messa alla prova, che però dovrà essere particolarmente rigorosa e non avrà termine se non al momento dell'accertamento di un completo recupero dell'autore del reato. Inoltre si deve osservare che l'attuale normativa non lascia alla discrezionalità del giudice una causa di estinzione del reato, bensì la valutazione, sulla base di tutte le acquisizioni processuali, di concedere o meno all'imputato di impegnarsi, con l'osservanza del programma di «prova», per guadagnarsi una formula assolutoria di estinzione del reato, solo se tale programma è stato rispettato ed il minore può ritenersi con rigore socialmente reinserito. Naturalmente, se la messa alla prova fallisce, il processo penale prosegue il suo corso fino alla decisione definitiva.
La prospettata riforma dell'articolo 129 del Codice di procedura penale (articolo 13) pone qualche problema sotto il profilo della valenza educativa del procedimento minorile nella parte in cui impone al giudice di applicarlo «in ogni stato e grado del procedimento» per le ipotesi di dichiarazione di irrilevanza del fatto (articolo 27 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988), rendendo così impossibile l'attuale procedura di convocazione delle parti in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 127 del Codice di procedura penale, che costituisce una valida remora e diventa una sorta di «avviso solenne» all'imputato e alla famiglia.
Appare opportuna, invece, la norma circa l'obbligo di interrogatorio (articolo 14): se è vero infatti che il processo minorile si basa sull'anamnesi sia del fatto, sia della personalità dell'imputato, appare inopportuna la previsione di facoltatività attuale. Tuttavia, il meccanismo introdotto rischia di prolungare i tempi dell'indagine preliminare, in quanto si può verificare la necessità di utilizzare tutto il termine per le indagini e solo alla scadenza determinarsi sulla richiesta da formulare. Sarebbe meglio introdurre sì l'obbligatorietà dell'interrogatorio finalizzato all'esame della personalità dell'imputato, così come consentito in dibattimento, ma mediante l'avviso previsto dall'articolo 415-bis del Codice di procedura penale (fase di chiusura delle indagini), col quale il pubblico ministero invita, in ogni caso, l'imputato a comparire per l'interrogatorio, con avvertimento che trattandosi di interrogatorio finalizzato all'esame della sua personalità, potrà essere disposto l'accompagnamento. Una previsione in tal senso avrebbe il vantaggio di rendere evidente che l'interrogatorio ha lo scopo di accertare la personalità dell'indagato e non quello di farlo deporre coattivamente sui fatti oggetto del procedimento penale.
Complessivamente, le norme contenute negli articoli 5-14 sono compatibili con un'applicazione minimale delle Regole di Pechino, ma non appaiono in armonia con la tendenza ad un trattamento di favore dell'imputato minorenne, né completamente compatibili con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. Non sembrano, inoltre, completamente idonee a risolvere i problemi evidenziati nella relazione ed appaiono in contrasto con il dovere educativo che la Corte costituzionale ha riconosciuto al processo penale minorile con più sentenze, da ultima la n. 192 del 16 maggio 2002 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 32 comma 1 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 «nella parte in cui, in mancanza del consenso dell'imputato, preclude al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento di responsabilità») e, anzi, applicano il principio del consenso (articolo 12) anche al secondo comma dell'articolo 32, introducendo una norma che probabilmente non potrà reggere al vaglio di costituzionalità.
Dopo tredici anni di applicazione del sistema processuale introdotto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 (c.d. processo penale minorile) appariva certamente opportuno un ripensamento dello stesso in primis per consentire l'adeguamento all'articolo 111 della Costituzione ed alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. A tale riguardo, è da considerare auspicabile una rivisitazione sistematica dell'intero processo
in modo da farne un processo «del minore» e non un processo al minore. Si deve peraltro rilevare che la prospettata riforma non tiene conto della posizione della vittima, né dei modi alternativi di risoluzione dei conflitti penalmente rilevanti (mediazione penale) raccomandati in materia minorile sia dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, sia dalla più recente Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei bambini (1996). Infatti, la posizione della vittima del reato commesso da imputato minorenne appare solo formalmente maggiormente tutelata dall'inasprimento del meccanismo sanzionatorio e dall'esclusione di alcuni istituti che consentano la fuoriuscita anticipata dal processo, mentre essa, in alcuni casi (quello della riforma dell'articolo 129 Codice di procedura penale), appare depotenziata. In una prospettiva confacente agli obblighi scaturenti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali, il processo minorile necessita di una riforma mirante non tanto a potenziare la posizione formale di difesa dell'imputato (adeguamento all'articolo 111 della Costituzione), bensì a tutelare maggiormente la vittima e ad immaginare dei meccanismi di mediazione idonei a ricomporre il conflitto socio-ambientale generato dal reato. In quest'ottica sarebbe opportuno pensare anche nel campo penale ad una competenza unica in materia di minori e famiglia, attraendo alla competenza del Tribunale per i minorenni non solo i reati commessi dai minori, ma anche quelli commessi in danno dei minori, quanto meno nelle ipotesi di cui al titolo XI del libro secondo del Codice penale (reati contro la famiglia) ed in quelle dei reati c.d. di violenza sessuale e/o prostituzione minorile. In tale modo si tutelerebbe il minore (vittima o imputato) in modo più efficace e si rafforzerebbe la tutela della famiglia nel suo complesso, attribuendo la competenza unica ad un organo specializzato che abbia presenti tutte le varie fasi di crisi familiari e possa così decidere in modo conforme ai principi costituzionali di tutela della famiglia.
Rimane irrisolto il problema dei reati commessi da minorenni in concorso con i maggiorenni, al quale va aggiunto quello relativo alla competenza del Tribunale per i minorenni (e per esso - in sede di indagini - al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni) in ordine ai reati di cui all'articolo 51 comma 3-bis del Codice di procedura penale. In tali casi non vi è alcun collegamento (tranne quello molto labile della procedura per le indagini congiunte o collegate) tra il procedimento a carico di imputati maggiorenni e quello a carico di imputato minorenne con evidente scoordinamento nei tempi di emissione di provvedimenti (cautelari, interdettivi, di chiusura delle indagini, discovery ecc.) e con possibili contraddizioni tra sentenze anche definitive. Un'attenta analisi della situazione ed una risistemazione generale del processo minorile suggerisce un accorpamento presso il Tribunale per i minorenni delle competenze dei reati associativi, o commessi in concorso proprio tra maggiorenni e minorenni, che vedano coinvolti sia i maggiorenni che i minorenni. In questo modo si eviterebbero i problemi di coordinamento e di possibile contrasto tra giudicati e si potrebbe meglio verificare la posizione del minorenne. L'attrazione di competenza - già prevista dall'abrogato Codice di procedura penale presso il Tribunale ordinario - fu dichiarata illegittima dalla Corte costituzione non perché in astratto inammissibile, ma unicamente perché sottraeva il minore al suo giudice specializzato, per cui nessun ostacolo di ordine costituzionale insorgerebbe rispetto ad una simile costruzione.
Gli articoli 15 e 16 pongono finalmente mano all'ordinamento penitenziario, che l'articolo 79 della legge 254 del 1975 aveva lasciato sospeso. La rivisitazione della liberazione condizionale del minorenne (articolo 16) o una sua diversa collocazione nell'ambito del sistema penitenziario (articolo 15) andrebbero però inquadrate nell'ottica complessiva della riforma del sistema penitenziario minorile, attualmente lasciato alla regolamentazione di istituto ed all'iniziativa dei magistrati di sorveglianza.
Tale riforma dovrebbe rispondere ai criteri stabiliti dalle Regole di Pechino, in particolare a quelle contenute negli articoli 26-29 e, prima ancora a quelle contenute negli articoli 23-25 che riguardano, rispettivamente il trattamento in stato di detenzione e quello in stato di libertà. Le regole citate impongono un trattamento in libertà, che contenga l'estensione di quello in captivis, e cioè assicuri un'assistenza e un livello educativo, che favoriscano il reinserimento del minore nella società, attraverso la mobilitazione di volontari, di privati, di istituzioni locali ed altri servizi comunitari. Per quanto riguarda il trattamento in istituzione le stesse Regole stabiliscono gli obiettivi del trattamento indicandoli nell'assistenza, protezione, educazione e competenza professionale al fine specifico di consentire ai minori di assumere nella società libera un ruolo costruttivo e produttivo e ribadiscono che il trattamento deve svolgersi in istituzioni separate dagli adulti. In coerenza con il principio di non istituzionalizzazione dei minori si prospettano soluzioni idonee a favorire l'uscita dal circuito anche nella fase esecutiva, quale la liberazione condizionale, fermo restando il sostegno del personale dei servizi e delle istituzioni, attuabile attraverso la creazione di centri di accoglienza e di sostegno, di comunità socio-educative, di centri di formazione professionale e altre strutture atte al regime di semilibertà. Appare pertanto opportuna la sollecitazione contenuta nel disegno di legge, ma essa dovrebbe indurre ad una completa, funzionale ed organica rivisitazione della materia attraverso una legge delega che «costruisca» il sistema penitenziario minorile.
Vi sono, infine, alcuni aspetti che non compaiono nella riforma prospettata, e che sarebbero invece meritevoli di attenzione. Innanzitutto, non compaiono riferimenti espliciti al coordinamento con la riforma che ha introdotto nel sistema per i maggiorenni il tribunale in composizione monocratica (specialmente per quanto concerne la possibilità di applicazione delle disposizioni di cui al Libro VIII - Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica - del Codice di procedura penale), né alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 28 agosto 2000 n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468). Inoltre, non appare risolto il problema dell'applicabilità dei riti alternativi (in particolare il c.d. patteggiamento) ai reati di competenza del Tribunali per i minorenni nell'ipotesi in cui, nelle more del giudizio, l'imputato stesso sia diventato maggiorenne: nessuna logica né educativa né processuale induce a ritenere l'attuale esclusione, sebbene più volte la Corte costituzionale abbia riaffermato l'inapplicabilità del rito, rifacendosi ad una presunta posizione differenziata esistente tra il minorenne ed il maggiorenne, ma sostanzialmente rispettando i criteri della delega del 1987 che imponeva una tale esclusione.
4. IL SISTEMA PROCESSUALE CIVILE
La Commissione parlamentare per l'infanzia ritiene che la vera priorità sia quella di offrire al processo minorile modelli procedurali conformi alla nuova formulazione dell'articolo111 della Costituzione, che consentano un reale contraddittorio ed un reale esercizio della difesa dinanzi ad un giudice terzo, nel rispetto dei principi 24 e 32 della Costituzione, che consentano altresì di applicare la Convenzione europea sull'ascolto del minore, con l'individuazione di meccanismi processuali che comportino la sua partecipazione, anche mediata, ad ogni fase o stato del processo. Un modello processuale che in definitiva si ispiri ai seguenti principi:
1. Garanzia effettiva del diritto di difesa del minore anche in contrapposizione con l'interesse di uno o di entrambi i genitori;
2. Individuazione e previsione di idonei istituti volti a garantire quanto indicato
al punto 1 (difesa d'ufficio del minore, difensore civico dello stesso, curatore, ecc.);
3. Accorpamento delle competenze in materia civile in testa ad un unico organo specializzato;
4. Assoluta terzietà del giudice con conseguente negazione allo stesso del ruolo di «garante dell'interesse del minore» e attribuzione di quest'ultimo al pubblico ministero anche in contrasto o contrapposizione con l'interesse dei genitori;
5. Individuazione e regolamentazione di una specifica procedura che possa essere applicata a tutti i casi nei quali viene in discussione l'interesse prevalente del minore (ad esempio: separazione e divorzio, limitazione o ablazione della potestà genitoriale, adozione, ecc.);
6. Costituzione di un organo istituzionale espressione della comunità di appartenenza del minore che ne rappresenti gli interessi, assicurando la piena attuazione dei suoi diritti;
7. Previsione espressa che tutte le materie che coinvolgano l'interesse prevalente del minore vengano attratte dall'organo specializzato, ivi comprese le materie del lavoro e dell'attuazione del piano o dei piani «per l'infanzia e l'adolescenza».
Ciò che è evidente nell'attuale sistema è che il processo minorile è pressoché privo di forme legalmente predeterminate (la legge 149/2001 ha apportato modifiche al modello camerale in materia di adottabilità e potestà, ma la loro applicabilità è sospesa sino al 30.6.2003).
Invero la magistratura minorile ha tentato di ovviare a tale carenza. Tuttavia, come si è detto, la regola processuale non può essere rimessa alla discrezionalità del giudice: la riforma processuale dunque si palesa urgente - certo più di quella ordinamentale.
Si tratta quindi di colmare un vuoto legislativo predisponendo uno o più modelli procedurali.
A tale riguardo possono distinguersi tre situazioni rilevanti.
procedure nelle quali si pone solo un problema di gestione di un interesse, di un affare del minore, nei quali il giudice effettua una valutazione di mera opportunità di quell'affare senza incidere su diritti altrui (cfr. 84 cc, 90 cc, 371 cc.... ); trattasi di funzioni che il legislatore potrebbe nella sua discrezionalità attribuire ad autorità amministrative;
procedure nelle quali l'aspetto preminente è sicuramente la gestione dell'interesse del minore che tuttavia finisce per incidere su diritti e status, in particolare quelli dei genitori, ma anche dello stesso minore (330, 333, 334, procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore L.184/83, procedimento di separazione e divorzio in presenza di minori);
procedure tipicamente contenziose nelle quali, pur entrando in gioco l'interesse del minore, preminentemente si dibatte di diritti e status (artt. 274 cc - che potrebbe essere abrogato -, 269cc, 250cc) e che si concludono con provvedimenti decisori e dunque non modificabili e revocabili.
Nel primo caso può ritenersi sufficiente una procedura camerale caratterizzata da estrema semplicità di forme ( 737 e seguenti cpc), da svolgersi dinnanzi al giudice in composizione monocratica, con previsione per le parti private della facoltatività della difesa tecnica e che si conclude con decreto motivato reclamabile.
Nel secondo caso si sente invece la necessità di una procedura più garantita.
Lo strumento funzionalmente più idoneo per tutelare situazioni soggettive indisponibili è certamente il procedimento camerale non tanto per la celerità o sommarietà dello stesso (nel senso che - se necessario - può avere tempi lunghi e comportare accertamenti molto approfonditi), ma per la maggior libertà di forme, l'assenza di decadenze e preclusioni, la possibilità di assumere prove atipiche (le
cd informazioni) e per i poteri istruttori ufficiosi del giudice, caratteristiche queste coerenti con il fatto che la tutela in tal caso è sottratta alla volontà delle parti nel senso che viene perseguita indipendentemente da questa e dunque non può essere soddisfatta attraverso la mera contesa processuale fra le stesse.
Peraltro l'incidenza della decisione su diritti e/o status impone il rispetto degli elementi fondamentali che caratterizzano la giurisdizione e dunque la previsione di correttivi a tale modello processuale nella convinzione che la tutela del minore non possa legittimare il sacrificio di garanzie costituzionali quali il diritto di difesa, il principio del contraddittorio e la terzietà ed imparzialità del giudice.
Un modello camerale «garantito» rappresenta il punto di equilibrio fra le due anzidette esigenze.
Infine la preminenza della valutazione dell'interesse del minore impone che in tali casi l'organo giudicante operi in composizione collegiale mista.
Per i procedimenti previsti nel terzo caso il modello camerale garantito dinanzi al collegio a composizione mista potrebbe essere anche utilizzato. Infatti sia la Corte Costituzionale che la Corte di cassazione sezioni unite hanno affermato la legittimità del ricorso al modello camerale in situazioni tipiche di giurisdizione contenziosa aventi ad oggetto diritti e status e/o destinate a concludersi con provvedimenti decisori, a condizione che siano rispettate determinate garanzie processuali. In questo caso la procedura potrebbe tuttavia essere - senza difficoltà alcuna - quella ordinaria dinanzi al giudice in composizione solo togata.
Si pone, per quanto detto, l'esigenza di definire un modello processuale camerale garantito, integrando l'attuale modello camerale per adeguarlo ai principi dell'articolo 111 della costituzione.
Qualche indicazione può essere fornita in merito all'anzidetta integrazione.
Occorre attribuire l'iniziativa del procedimento al PM ed alle parti private con rafforzamento della posizione di terzietà del giudice; in altre parole venendo meno l'iniziativa officiosa del Giudice, viene assicurata la sua piena terzietà in attuazione dei principi del giusto processo.
Le segnalazioni di pregiudizio od abbandono del minore dovranno pertanto essere indirizzate esclusivamente al PM. In materia di segnalazione il progetto governativo - ultimo comma articolo 8 - utilizza una formula ( «i servizi sociali sono tenuti a segnalare al PM i casi che ritengono meritevoli di valutazione da parte del suo ufficio» ) dove ambiguamente l'obbligo dell'«essere tenuti», si accompagna alla discrezionalità del «ritenere meritevoli di valutazione». Sembra più chiara la previsione dell'articolo 9 della Legge 149/2001 relativa alla segnalazione dell'abbandono. Ebbene tale norma potrebbe essere riproposta anche per le segnalazioni di pregiudizio. A ben vedere, infatti, salve le situazioni di abbandono assolutamente eclatanti, il discrimine fra mero pregiudizio ed abbandono non è nelle fasi iniziali dell'accertamento così netto. L'articolo 9 anzidetto prevede che «chiunque» abbia la «facoltà» di segnalare e che «i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio e gli esercenti un servizio di pubblica necessità», invece, debbano riferire di quelle situazioni di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio.
Ricevuta la segnalazione è necessario che il PM svolga una prima attività informativa al fine di accertarne la fondatezza tramite il servizio sociale, le forze dell'ordine ed anche la propria polizia giudiziaria. Al riguardo merita valutare la necessità di fissare un termine di durata a tali preliminari accertamenti. Gli anzidetti preventivi accertamenti assumono un'importanza fondamentale attesa la necessità di ridurre l'intervento giudiziario in materia. Al giudice infatti si deve ricorrere solo quando è necessaria una modifica del regime giuridico del minore. Spesso, invece, le segnalazioni dei servizi sociali dipendono esclusivamente da loro mere difficoltà operative a svolgere i loro compiti in favore del minore e dei suoi famigliari, dalla difficoltà di ricercare il loro consenso e da una certa burocratizzazione della loro attività. Ma ciò non giustifica il
ricorso a scorciatoie autoritarie, per lo più illusorie. La ricerca del consenso del minore e dei suoi famigliari in relazione agli interventi sociali, pedagogici e terapeutici ritenuti necessari può essere molto complessa, ma a volte è l'unica strada efficacemente praticabile. Spesso il ricorso al giudice è per i servizi un «commodus discessus», dietro al quale si nasconde una realtà di carenza di risorse umane e materiali. Spesso quella stessa carenza vanifica l'intervento del giudice.
L'ampliato ruolo del PM in materia civile induce a ritenere necessario un potenziamento della Procura competente e della relativa sezione di polizia giudiziaria, mantenendone la specializzazione. Il disegno di legge governativo al riguardo opera - coerentemente all'impostazione di base - uno sdoppiamento, prevedendo che l'attuale Procura minorile sopravviva solo per le competenze penali rimaste affidate ai Tribunali per i minorenni e che le competenze in materia civile siano esercitate «da magistrati assegnati all'ufficio specializzato per la famiglia e per i minori costituito presso le procure della Repubblica presso i Tribunali ordinari dove sono istituite le sezioni specializzate», prevedendo altresì che a tali magistrati possa essere affidata anche altra attività giudiziaria. L'effetto complessivo sembra dunque essere quello di un sostanziale depotenziamento, posto che l'intera manovra dovrebbe avvenire ad organici invariati, e di una riduzione di specializzazione.
Si pone il problema del controllo del giudice sulla decisione del PM di non procedere e di tutti i conseguenti meccanismi processuali.
L'atto introduttivo del giudizio è il ricorso, che deve essere depositato nella cancelleria del giudice.
Il ricorso introduttivo deve essere tempestivamente comunicato/notificato - in busta chiusa o con altre modalità che garantiscano la privacy - alle altre parti legittimate; l'essere informati dell'inizio del procedimento e sul suo oggetto costituisce infatti la condizione minima per la difesa in giudizio;
Strettamente collegato al principio del contraddittorio ed al diritto di difesa è poi il diritto della parte privata di nominare un proprio difensore che possa assisterla e rappresentarla durante tutto il corso del processo. La legge 149/2001 ha innovato in materia rispetto ad un sistema ispirato al principio della facoltatività della difesa tecnica e che riconosceva alle parti la facoltà di autodifesa. In particolare la legge anzidetta con riferimento al procedimento di adottabilità ha al comma 4o dell'articolo 8 stabilito l'obbligatorietà della difesa tecnica stabilendo espressamente «il procedimento di adottabilità deve svolgersi sin dall'inizio con l'assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti, di cui al comma 2o dell'articolo 10.» Inoltre con la legge citata tale obbligatorietà è stata estesa anche ai procedimenti ex artt. 330, 333 cc, stabilendo l'articolo 37 che «per i provvedimenti di cui ai commi precedenti i genitori e il minore sono assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge». Non solo: la legge 149/2001 al comma 2o dell'articolo10 ha previsto - invero solo per il procedimento di adottabilità - la nomina di un difensore d'ufficio per il caso in cui i genitori o i parenti non vi provvedano (testualmente: «all'atto dell'apertura del procedimento, sono avvertiti i genitori o, in mancanza, i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore. Con lo stesso atto il Presidente del Tribunale per i minorenni li invita a nominare un difensore e li informa della nomina di un difensore d'ufficio per il caso che essi non vi provvedano»). Occorre in relazione a tali norme precisare che la loro applicabilità è sospesa per effetto dei decreti legge 24.4.2001 n. 150 e 1.7.2002 n. 126 sino a non oltre il 30.6.2003 per la rilevata necessità di «disciplinare la difesa d'ufficio ed il patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili minorili», laddove peraltro con legge 29.3.2001 n. 134 (trasfusa nel testo unico decreto del Presidente della Repubblica 30.5.2002 n. 115) era già stato istituito il patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili ed amministrativi (compresi espressamente
gli affari di volontaria giurisdizione), - legge che tuttavia non pare aver abrogato la previsione di cui all'articolo 75 L.184/83 secondo la quale «l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato comporta l'assistenza legale alle procedure previste ai sensi della presente legge» -. Da questi brevi accenni si ricava la sensazione che un aspetto così delicato della procedura sia stato un po' sottovalutato. Ci si chiede, infatti, leggendo le norme dinanzi citate: - perché l'articolo 37, modificando l'articolo 336 cc, non preveda l'obbligatorietà dell'assistenza legale per i parenti che pure sono legittimati a proporre ricorso; - perché l'articolo 10 non preveda la nomina del difensore d'ufficio per il minore, ma solo per i genitori o i parenti; perché preveda che l'avviso di inizio del procedimento sia indirizzato solamente ai genitori o ai parenti e non al minore; - perché l'articolo 37, modificando l'articolo 336 cc, non preveda la nomina di difensore d'ufficio per alcuno. E poi v'è da chiedersi quanti difensori d'ufficio occorra nominare: uno per la madre ed uno per il padre o uno solo per la coppia genitoriale o a discrezione del giudice, valutata la situazione rappresentata in ricorso; e, una volta che si ritenga la nomina necessaria anche per i minori, in caso di più fratelli, quanti dovranno essere i difensori d'ufficio? Uno o più? o anche in tal caso a discrezione del giudice? E che ruolo avrà il difensore d'ufficio di un genitore irreperibile e/o del tutto disinteressato alle sorti del minore? Quale sarà la sua autonomia difensiva? Quali ragioni potrà far valere? Ed invece un genitore interessato e non indifferente alle sorti del processo non sarà sufficientemente tutelato dalla possibilità - in caso di bisogno - di accedere in tempi rapidi e senza eccessi di formalismi al difensore a spese dello Stato? E se, come sembra ormai assodato, anche il minore, in quanto titolare di veri e propri diritti, ha diritto di intervenire nel procedimento - seppur non di iniziarlo - e dunque di essere avvertito al pari delle altre parti, non sembra più corretto nominargli sempre un curatore che, avvertito, lo rappresenterà nelle scelte processuali (e non da ultima quella di costituirsi), anziché nominargli direttamente un difensore d'ufficio? In altre parole sembra più in linea con la nostra tradizione processualcivilistica (evitando contaminazioni processualpenalistiche) prevedere l'obbligatorietà della difesa tecnica intesa quale necessità per la parte privata di essere assistita e rappresentata da un difensore, nel caso in cui intenda costituirsi nel procedimento, ferma la possibilità per la stessa di non costituirsi affatto. In quest'ottica la nomina di un curatore al minore all'atto del deposito del ricorso consentirà di avvertire il predetto dell'avvio del procedimento ed allo stesso di attuare le scelte processuali più consone. In conclusione, depositato il ricorso, al minore (o ai minori) deve essere nominato un curatore (che potrà essere scelto fra i difensori specializzati ai sensi dell'articolo 15 Dl 28.7.89 n. 272); al curatore anzidetto deve essere notificato il ricorso introduttivo con avvertimento che se vuole costituirsi deve farlo con il ministero di un avvocato. Analogo avvertimento deve essere rivolto alle altre parti private.
È essenziale, per garantire l'effettività del diritto di difesa, assicurarne la gratuità per i non abbienti e per il minore. Le parti private debbono essere sin dall'inizio avvertite della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato.
L'intervento del PM nel procedimento deve essere obbligatorio; infatti la tutela dell'interesse del minore e dei suoi diritti non può attuarsi in un procedimento che veda solo parti private in conflitto. In particolare appare veramente inopportuno attribuire al minore e per lui al suo curatore un ruolo pregnante di parte in conflitto (ruolo che maggiormente verrebbe sottolineato con la nomina di un difensore d'ufficio); occorre infatti evitare contrapposizioni fra il minore e i genitori in situazioni che potrebbero non richiederlo affatto.
Deve essere garantito uno spazio temporale sufficiente alle parti per predisporre le proprie difese, prevedendo un termine di fissazione della prima udienza congruo, nel senso che non renda eccessivamente
difficile l'esercizio del diritto di difesa (ed eventualmente richiedere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato).
Deve essere nominato un giudice relatore, essenzialmente con compiti di riferire al collegio e redigere i provvedimenti. Infatti la struttura del procedimento camerale non prevede un giudice istruttore così come quella del giudizio ordinario. La trattazione, la discussione e la decisione debbono essere riservate alla competenza del collegio che pertanto assumerà le decisioni istruttorie e di merito - provvisorie e definitive. Questa è anche l'impostazione seguita nella legge 149/2001 (cfr. articolo 10 ). Del resto la collegialità si pone quale elemento essenziale che fonda ed assicura la stessa specializzazione dell'organo giudicante, garantendo la pienezza di ruolo del Giudice onorario. Quanto, invece, all'assunzione delle prove ammesse deve darsi facoltà al collegio di delegarla al giudice relatore nominato o a componente onorario del collegio o, in casi particolari, ad entrambe congiuntamente o disgiuntamente. Al giudice relatore deve essere riservata la competenza - in composizione monocratica - di vigilare e seguire l'esecuzione dei provvedimenti cautelari o di tutela definitiva emessi dal collegio, con possibilità di emettere anche senza formalità i provvedimenti opportuni di carattere meramente attuativo ed esplicativo.
Deve essere garantito il diritto della difesa di presentare istanze istruttorie ed il diritto della difesa e della parte personalmente - purché costituita - di partecipare alla trattazione e discussione (di regola orali) del processo.
Deve essere garantito il diritto del difensore e della parte personalmente - anche non costituita - di prendere visione di tutti gli atti del procedimento che sono diretti a formare il convincimento del giudice. L'articolo 76 delle disposizioni di attuazione al cpc da conto di tale diritto. Peraltro il potere di secretazione sembra conservato nella legge 149/2001, laddove la stessa, con riferimento al solo procedimento per la dichiarazione di adottabilità, prevede un regime autorizzativo al rilascio delle copie e dunque implicitamente la possibilità che tale rilascio sia negato. Alla luce di quanto previsto dall'articolo 111 della Cost. è tuttavia inevitabile che per il principio della parità delle parti private e del PM (articolo 111 Cost) il giudice non possa utilizzare per le sue decisioni materiale probatorio non conosciuto in egual misura dalle stesse; sembra parimenti inevitabile che per il principio dell'imparzialità del giudice (articolo 111 Cost) quest'ultimo non debba nemmeno poter visionare materiale probatorio siffatto. Il problema, si sa, sussiste particolarmente con riferimento agli atti di indagini penali ancora coperti dal segreto e relativi a condotte abusanti attuate su minori. De jure condendo, una soluzione potrebbe essere quella di consentire (ampliando la previsione di cui all'articolo 609-decies c.p.) al PM titolare dell'indagine di attuare una discovery anche parziale al solo fine di attivare gli interventi civili di tutela del minore. Sempre «de jure condendo», la circostanza che la segnalazione di abuso - al pari delle altre - debba essere indirizzata al PM minorile potrebbe consentire a quest'ultimo di trattenere presso di sé gli atti - nel rispetto dei termini indicati dalla legge - se ciò si rivelasse necessario proprio per il miglior esercizio dei suoi poteri di iniziativa. Infine è bene non confondere la secretazione degli atti del procedimento dalle vere e proprie limitazioni alla potestà genitoriale quale, per esempio, la mancata comunicazione ai genitori del luogo dove si trovano i minori allontanati per motivi di sicurezza e tutela di questi ultimi.
Deve essere garantito il diritto del difensore e della parte personalmente - purchè costituita - di partecipare all'attività istruttoria disposta dal Tribunale (salva la facoltà del giudice di allontanare le parti nel caso di comportamenti disturbanti, minacciosi o condizionanti). Qualche problema al riguardo si pone con riferimento alle indagini richieste ai servizi socio-sanitari (indagini sociali, indagini psico-sociali, valutazioni psicodiagnostiche e delle dinamiche relazionali) ed alle strutture che ospitano i minori (comunità) e per lo più osservano le relazioni intercorrenti fra questi ultimi, i genitori ed i parenti in
visita. Un apporto istruttorio questo che, come abbiamo già visto, non sembra rinunciabile, né sempre sostituibile con il ricorso alla CTU. Un'attività istruttoria delicatissima e sempre rilevante che tuttavia rischia di sottrarsi al controllo endoprocessuale non solo delle parti, ma dello stesso giudice. Rischio a cui non può certo ovviarsi con una partecipazione diretta della difesa, della parte costituita, del PM e del giudice all'attività dei servizi, attesa la complessità e l'articolazione della stessa, ma che può essere fortemente limitato prevedendo che le sedute psico-diagnostiche e di osservazione delle relazioni siano adeguatamente documentate (video-registrate), che le parti ed il giudice possano disporre della relativa documentazione e dei protocolli dei test somministrati, che a richiesta delle parti o anche d'ufficio gli operatori socio-sanitari possano essere sentiti in udienza, al pari delle fonti terze interpellate dai servizi, che tali risultanze possano essere, se del caso, ulteriormente verificate tramite CTU - strumento certamente di maggior garanzia. Non pare, poi, fuor di luogo prevedere che le parti possano essere assistite nel corso del procedimento da CTP (consulenti tecnici di parte) e ciò indipendentemente dalla nomina di CTU. Appare qui evidente l'utilità della presenza nel collegio della componente esperta che potrà fornire un contributo specialistico proprio per una valutazione - terza ed imparziale tipica del ruolo del giudice - delle risultanze dell'attività dei servizi, eventualmente limitando, poi, il potere di nomina dei periti. Problemi si pongono, altresì, con riferimento alle modalità di ascolto del minore ed in particolare con riferimento alla possibilità del PM, delle parti personalmente - purché costituite - e della difesa di partecipare a siffatto importantissimo atto istruttorio; il rischio è infatti quello di rendere l'atto improduttivo o, peggio, dannoso. Al riguardo sembra opportuno che le modalità (dinnanzi al collegio, o a giudice onorario delegato, o al giudice relatore o a quest'ultimo e ad un giudice onorario, in aula o in un altro luogo, con la partecipazione delle parti - del solo difensore o del solo CTP - ed in tal caso con quali cautele, con quali strumenti di documentazione dell'atto istruttorio) siano stabilite dal giudice di volta in volta, valutata l'età del minore e la situazione, sentite le parti. Quel che è certo, peraltro, è che anche in tal caso deve essere rispettato il principio della parità delle parti dinnanzi al giudice.
Deve consentirsi al giudice di disporre attività istruttoria d'ufficio integrando, se ritenuto, quella richiesta dalle parti;
L'indisponibilità delle situazioni soggettive oggetto dei procedimenti esclude la possibilità di prevedere decadenze, preclusioni e limitazioni della prova.
Deve essere garantito l'ascolto delle parti (anche non costituite), da sole o congiuntamente, e del minore personalmente prima dell'adozione del provvedimento definitivo. In ordine all'ascolto del minore è possibile recepire l'indicazione contenuta nella legge 149/2001 che prevede venga sempre sentito il minore che abbia compiuto gli anni dodici ed anche il minore di età inferiore in considerazione della sua capacità di discernimento. In ogni caso dovrà essere sentito il curatore nominato.
Deve essere prevista la possibilità per il giudice di adottare in caso di urgente necessità, su istanza del PM o delle parti private, provvedimenti temporanei nell'interesse del minore, sia prima dell'inizio del procedimento, che in pendenza di questo.
Debbono ritenersi applicabili - atteso l'indubbio carattere cautelare di siffatti provvedimenti temporanei ed urgenti - le norme di cui agli artt. 669-bis e seguenti del codice di procedura civile - secondo le indicazioni contenute anche in recente sentenza della Corte Costituzionale.
In materia cautelare deve riconfermarsi la validità della previsione dell'articolo 403 cc consentendo cioè ai servizi sociali locali e agli organi di pubblica sicurezza, sussistendone l'assoluta urgenza, di collocare in luogo sicuro il minore che si trovi in una situazione di grave pregiudizio o da cui stia per derivare grave pregiudizio; deve peraltro prevedersi che di tale provvedimento sia data tempestiva comunicazione
al PM che, in termine breve prefissato, dovrà formulare le sue richieste al Giudice.
Il procedimento potrà concludersi con sentenza o con decreto in dipendenza del grado di stabilità della decisione.
Dovrà essere garantito un termine sufficiente per l'impugnazione di merito e di legittimità.
5. IL RUOLO DEI SERVIZI SOCIALI
Il disegno di legge governativo affronta tale problema con una norma nella quale si afferma:
che gli Uffici del Servizio Sociale del Dipartimento della Giustizia Minorile, o, in mancanza, quelli dipendenti dai comuni o con questi convenzionati, sono considerati ausiliari del giudice a norma dell'articolo 68 cpc ;
che ad essi possono essere devoluti compiti di 1) assistenza all'esecuzione dei provvedimenti di consegna dei minori; 2) vigilanza sull'osservanza degli obblighi di fare, contenuti nei provvedimenti di affidamento dei minori; 3) verifiche sui rapporti famigliari;
che i servizi sociali sono tenuti a segnalare al PM i casi che ritengono meritevoli di valutazione da parte del suo ufficio.
A tale riguardo, si deve ricordare che, in via di estrema semplificazione, tre sono i possibili interventi dei servizi sociali nell'ambito del procedimento minorile: 1) la segnalazione; 2) lo svolgimento di indagini sociali e psico-sociali e di vere e proprie valutazioni psicodiagnostiche finalizzate all'accertamento del pregiudizio o dell'abbandono ed alla formulazione di progetti per la famiglia ed il minore; 3) la vigilanza e la cooperazione nell'esecuzione dei provvedimenti giudiziali che vengono adottati nel corso del procedimento o a definizione dello stesso.
Le critiche maggiori si sono appuntate proprio sull'attività di informazione e propositiva di cui al punto 2) e ciò a motivo dei gravi e seri dubbi circa la compatibilità di siffatta attività istruttoria e valutativa con le regole del giusto processo ed in particolare con il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa. Trattasi infatti di attività svolta al di fuori del processo e quindi al di fuori del controllo del giudice e delle parti; di attività istruttoria che, come la consulenza tecnica, è volta a fornire al giudice la conoscenza di fatti rilevanti ai fini della decisione ed i criteri per la loro valutazione, ma che a differenza della consulenza tecnica si sottrae alle regole procedimentali ed alle relative garanzie.
Tali considerazioni hanno indotto taluno a proporre che le relazioni dei servizi sociali non siano utilizzabili dal giudice e che unico destinatario delle stesse possa essere l'ufficio del PM che da esse potrà desumere l'esistenza di fonti materiali di prova e la necessità di un approfondimento peritale di cui chiedere l'escussione e l'espletamento al giudice nel contraddittorio.
Ebbene il progetto governativo sembra ispirarsi a tale impostazione prevedendo che, ferma l'attività di segnalazione - diretta ovviamente al PM - il giudice possa avvalersi dei servizi sociali (in prima battuta di quelli del Dipartimento della giustizia minorile e, solo «in mancanza» di questi ultimi, di quelli del territorio«) per le attività sub 3) e dunque solo per la vigilanza e la cooperazione nell'esecuzione dei provvedimenti giudiziali che vengono adottati in corso di procedimento o a definizione dello stesso.
La Commissione ritiene che il processo minorile non possa rinunciare al prezioso contributo dei servizi sociali del territorio.
I servizi socio-sanitari del territorio - nelle loro varie articolazioni - sono infatti in grado di fornire la storia di un adulto o di un minore e della sua intera famiglia. Essi seguono nuclei famigliari problematici per anni con un'attività che spesso interessa più generazioni e che ricomprende approfondimenti conoscitivi, interventi di sostegno, precettivi e di controllo. Spesso a fasi caratterizzate dal consenso degli
utenti, si alternano senza soluzioni di continuo fasi ove è necessario l'intervento giudiziario. Anche l'esecuzione dei provvedimenti del giudice comporta da parte dei servizi (il più delle volte affidatari del minore) un intreccio di interventi della più varia natura, dove all'attività meramente attuativa del provvedimento si affiancano inevitabili aggiornamenti conoscitivi, valutativi e progettuali intesi ad un costante adeguamento degli interventi a situazioni per definizione mutevoli ed in evoluzione e dove il controllo si affianca al sostegno, l'imposizione alla costante ricerca del consenso, in una attività complessa ed unitaria che comporta la messa in campo di grandi risorse umane e materiali.
Queste considerazioni fanno comprendere come sia artificioso e schematico distinguere nettamente fra l'attività dei servizi socio-sanitari prima e dopo l'attivazione del giudice minorile non essendovi in tale attività soluzione di continuo e che è altrettanto artificioso e schematico considerare la segnalazione e le fasi ad essa successive (l'approfondimento conoscitivo, la formulazione del progetto, l'intervento per attuarlo ed il controllo) come momenti separati e distinti, scorporabili con un operazione normativa che assegni solo alcuno di questi alla competenza dei servizi. Tali momenti infatti rappresentano aspetti di una attività unitaria ed inscindibile; un'attività necessaria, non sostituibile per la sua complessità ed articolazione con quella del CTU (in grado quest'ultima di offrire solamente un'istantanea della situazione), ed a cui non è possibile rinunciare, nonostante l'indubbia difficoltà di ricondurla agli schematismi del processo.
Non si può, poi, omettere di considerare che gli attuali organici dei servizi sociali ministeriali sono dimensionati sul carico di lavoro dell'area penale e che pertanto appare irrealistico pensare che essi possano far fronte anche all'immane carico di lavoro dell'area civile.
Inoltre è da tener presente la logica del decentramento, che ha caratterizzato sino ad oggi la materia dei servizi sociali, mentre i servizi sociali ministeriali sono distribuiti sul territorio su base distrettuale.
In conclusione la constatazione dell'esistenza di un problema reale rappresentato dall'ingresso nel processo dell'attività dei servizi sociali non può comportare la rinuncia al loro prezioso contributo.
La soluzione, appare quindi quella di definire un modello processuale che consenta di non rinunciare al contributo dei servizi sociali, rendendolo tuttavia il più possibile compatibile con le regole del giusto processo. Si rinvia, a tale riguardo, a quanto già detto nel precedente capitolo.
6. CONCLUSIONI
6.1 In materia penale.
In conclusione, per quanto concerne il sistema processuale penale, appare necessario attuare completamente le «Regole di Pechino», richiamate dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, ed in particolare:
1. Tutela del benessere del minore e della sua famiglia con lo scopo specifico di tenerlo lontano il più possibile dalla criminalità e dalla delinquenza; Va, infatti, messo in evidenza lo stesso collegamento tra alcuni fenomeni di tipo sociale (accattonaggio, nomadismo, immigrazione di minori) attualmente non sufficientemente contrastati che dovrebbe indurre a consentire all'organo giudiziario minorile nel suo complesso un'azione più incisiva sia ai fini dell'identificazione dei minori abbandonati o spuriamente accompagnati, sia al fine di una efficace collocazione degli stessi in centri educativi anche aperti, la cui frequentazione debba ritenersi obbligatoria. Ciò risponde peraltro ad un obbligo principale dello Stato, se si ritengono vincolanti per il legislatore le regole minime di Pechino per il trattamento dei minori - le quali all'articolo 30 impongono agli Stati che le hanno sottoscritte di «riconosce(re) la fluidità delle tematiche
riguardanti i minori, in genere, e quelli che delinquono, in particolare, e raccomanda studi e ricerche continue sulle tendenze, le cause e i problemi relativi alla delinquenza minorile e ai bisogni dei minori.
2. Previsione di strutture collegate con la funzione dell'amministrazione della giustizia minorile capaci di: a) rispondere alle varie esigenze di tali soggetti e b) di applicare effettivamente le regole, ad esempio potenziamento del servizi sociali ministeriali;
3. Soglia della responsabilità penale, tale da non essere troppo bassa, tenuto conto della maturità affettiva, mentale ed intellettuale;
4. Garanzie specifiche quali il diritto alla presenza del genitore o del tutore ovvero di altro organismo idoneo ad assicurare la copertura affettiva e legale;
5. Previsione di misure amministrative non coercitive, ma obbligatorie, applicabili ai minori non imputabili ed agli immaturi, previo accertamento sommario dell'attribuibilità materiale del fatto all'autore, con l'indicazione di una soglia minima, rispetto alla quale neanche tali misure possono essere applicate (ad es. prima dell'età della scuola dell'obbligo), e conseguente inasprimento delle sanzioni previste a carico dei genitori che risultino violare o agevolino la violazione di tale obbligo con attrazione della competenza per tale reato al Tribunale per i minorenni;
6. Diritto alla riservatezza, rafforzato in modo da evitare possibili danni causati da una pubblicità inutile e denigratoria;
7. Applicazione in senso migliorativo delle regole minime delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti e delle altre regole relative ai diritti dell'uomo riconosciuti dalla Comunità internazionale, che sono espresso substrato di ogni previsione penale e processuale relativa ai minori (con conseguente approvazione di un regolamento penitenziario specifico per i minorenni);
8. Espresso favore verso quegli istituti e quelle soluzioni ordinamentali e processuali che favoriscano l'uscita anticipata del minore dal circuito penale, sia prima, sia dopo il riconoscimento della responsabilità penale;
9. Previsione che tutti i reati di cui al Titolo XI - Dei delitti contro la famiglia - del Codice penale, ed ogni altro reato, anche commesso solo da maggiorenni, ivi compresi i reati previsti dagli articoli da 600 a 600-septies e da 609-bis a 609-decies del Codice penale, che abbiano come persona lesa un minorenne, siano dichiarati di competenza del Tribunale dei minorenni, nonché attrazione alla competenza del Tribunale per i minorenni dei reati commessi da questi in concorso proprio con i maggiorenni. In quest'ultimo caso appare evidente la non separabilità dei procedimenti anche in considerazione del fatto che per i reati previsti dall'articolo 51 comma 3-bis del Codice di procedura penale, ascrivibili a minorenni con il concorso di maggiorenni, sussistono notevoli difficoltà di indagini, non superabili con l'attuale sistema dei protocolli d'intesa auspicati dal Consiglio superiore della magistratura e patrocinati dal Procuratore nazionale antimafia.
6.2 In materia civile.
L'obiettivo che ci si pone è quello dunque di avere un procedimento camerale garantito, sufficientemente agile, ma scandito, diversamente da quello odierno, da udienze collegiali e monocratiche (istruttorie) che assorbirebbero interamente la trattazione, l'istruzione, la discussione e la decisione della causa, senza spazi o momenti sottratti al controllo delle parti e con una piena valorizzazione della componente onoraria.
Sarà un procedimento nel corso del quale potranno essere emessi con assoluta tempestività provvedimenti cautelari, anche inaudita altera parte; un procedimento i cui tempi, dilatati o ristretti a
seconda delle necessità, saranno imposti con l'indicazione della data di rinvio dell'udienza e nel quale gli spazi intermedi tra un'udienza e l'altra saranno gestiti - monocraticamente - dal giudice relatore che vigilerà - con poteri di intervento - sull'attuazione dei provvedimenti anche interinali e provvisori emessi dal collegio.
L'esecuzione del provvedimento emesso a definizione del procedimento (salvo il caso di dichiarazione di adottabilità) sarà seguita dal giudice originariamente nominato come relatore in una fase monocratica priva di formalità caratterizzata da poteri meramente attuativi, di vigilanza e di raccolta ordinata di tutte le successive comunicazioni ed informazioni e degli eventuali provvedimenti emessi dai giudici di secondo grado e di legittimità.
La priorità dunque è quella di fornire all'attuale giudice minorile un nuovo modello processuale.
E ciò al più presto e certamente rispettando la scadenza, che sembra ragionevole, del 30 giugno 2003.
Appare, invece, opportuno prendersi tempi più lunghi per definire la questione ordinamentale che presenta, come abbiamo visto, aspetti più complessi e di certo esige una più attenta valutazione d'impatto.
Al riguardo è possibile svolgere qualche considerazione di carattere pratico.
Dall'articolo 7 del disegno di legge n. 2517 e dalla relazione tecnica ad esso allegata risulta in buona sostanza che la riforma dovrebbe essere attuata senza variazione di organici e di fatto senza spese, anzi con un risparmio.
Tale valutazione appare tuttavia forse troppo ottimista.
La separazione delle competenze civili da quelle penali non può che comportare un'accresciuta esigenza di organici. Infatti l'attuale carattere promiscuo consente al giudice civile di formare il collegio penale, il collegio del riesame, il collegio della sorveglianza e di partecipare ai turni di convalida degli arresti ed al Gip/Gup di attendere agli affari amministrativi; orbene, venendo meno il carattere promiscuo dell'organo, tali aggiustamenti non saranno più consentiti e chi allora comporrà il collegio penale o il collegio del riesame ? Non certo i Gip/Gup per evidenti problemi di incompatibilità, ma nemmeno i giudici civili ormai separati.
La riforma inoltre prevede che il collegio GUP sia formato da due togati e non più da uno solo; determinando evidentemente una nuova esigenza di organico.
L'eliminazione della componente onoraria (valutata come un mero risparmio) produrrà, tuttavia, nel settore civile effetti paralizzanti, comportando il venir meno di una risorsa lavorativa - a basso costo - molto utilizzata per attività che dovrebbero altrimenti essere svolte dai giudici togati già oberati (ci riferiamo ad un gran numero di istruttorie - ai colloqui con le coppie per le adozioni internazionali - alla formazione delle equipes per gli abbinamenti ...).
Il ricorso massiccio, inoltre, alla figura dell'ausiliario del giudice - prevista dal disegno di legge - non è indolore poiché l'ausiliario deve essere pagato.
6.3 Per quanto concerne il sistema sostanziale e di assistenza: il difensore civico per l'infanzia.
L'esigenza che si prospetta è quella di organizzare un tavolo di lavoro idoneo ad individuare le materie interferenti sulle problematiche educative dei minori, predisporre un testo unico sia della normativa assistenziale e sociale, sia di quella sostanziale civile e penale ed individuare le linee direttive per la legge delega di istituzione da parte degli enti locali territoriali di un difensore civico per l'infanzia che abbia le seguenti caratteristiche:
1. sia costituito presso ciascuna regione (sia a statuto ordinario, sia a statuto speciale), nonché nelle province autonome di Trento e Bolzano;
2. abbia il compito istituzionale di assicurare la piena attuazione di tutti i diritti riconosciuti alle persone di minore età presenti sul territorio nazionale;
3. sia indipendente e imparziale;
4. l'ufficio regionale abbia delle dislocazioni a livello territoriale, almeno comunale;
5. siano previsti un coordinamento nazionale e un potere sostitutivo, rispettivamente, del Governo e del Presidente della Giunta regionale, in caso di mancata nomina;
6. siano individuati nell'interesse superiore del minore i diritti e gli interessi individuali e diffusi alla cui tutela è preposto il difensore civico.