Commissioni Riunite II e VI - Resoconto di marted́ 10 luglio 2001


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SEDE REFERENTE

Martedì 10 luglio 2001 - Presidenza del presidente della VI Commissione Giorgio LA MALFA. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Michele Vietti.

La seduta comincia alle 13.45.

Delega al Governo per la riforma del diritto societario.
C. 969 Fassino, C. 1137 Governo.
(Esame e rinvio).

Le Commissioni iniziano l'esame dei provvedimenti all'ordine del giorno.

Francesco BONITO (DS-U) ricorda che in sede di ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi vari parlamentari dell'opposizione hanno segnalato l'opportunità di procedere alla designazione dei relatori per il provvedimento in esame nominando un relatore tra i deputati della maggioranza ed uno tra quelli dell'opposizione, analogamente a quanto avvenuto nella scorsa legislatura. Pur nella consapevolezza dell'assoluta insindacabilità delle decisioni assunte dai presidenti delle Commissioni, rileva che ragioni di opportunità politica e motivi legati al buon andamento dei lavori avrebbero consigliato di adottare una soluzione analoga, accogliendo l'invito dell'opposizione. Ritenendo che la decisione assunta sia comunque suscettibile di essere modificata in corso d'opera, invita i presidenti delle Commissioni giustizia e finanze a voler riesaminare la questione.

Giorgio LA MALFA, presidente della VI Commissione, relatore per la VI Commissione, ribadita l'assoluta insindacabilità delle decisioni assunte a norma dell'articolo 79, comma 3, del regolamento, prende atto della richiesta del deputato Bonito ed illustra il provvedimento in esame.
L'avvio, nell'odierna seduta, dell'esame degli abbinati progetti di legge nn. 969, a prima firma dell'onorevole Fassino e 1137 del Governo, rappresenta la dimostrazione più evidente del punto avanzato cui è pervenuto il confronto sulle problematiche connesse alla riforma del diritto societario. In particolare, si registra un consenso pressoché generale in ordine all'esigenza di pervenire ad una complessiva riforma della materia che porti a compimento il lavoro avviato nella precedente legislatura con il testo unico sull'intermediazione finanziaria. L'orientamento delle varie forze politiche trova riscontro nelle diffuse sollecitazioni


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provenienti dal sistema delle imprese e dal mondo economico in generale, oltre che dalla più avanzata dottrina, di cui costituisce una significativa testimonianza la raccolta di memorie acquisite dalle Commissioni riunite giustizia e finanze nel corso della XIII Legislatura.
Merita inoltre sottolineare che anche in forza dell'approfondito lavoro di analisi e di confronto sui diversi profili è stato possibile raggiungere una larga coincidenza di giudizi e valutazioni su buona parte delle questioni da affrontare. Significativo, al riguardo, appare il fatto che il Governo abbia inteso riproporre pressoché integralmente il testo del cosiddetto disegno di legge Mirone nell'ambito della manovra dei 100 giorni, includendo la riforma del diritto societario fra le questioni di importanza prioritaria da affrontare nella prima fase della sua attività, in coerenza con gli impegni assunti al momento della costituzione del Governo e che sia stata attivata, dai gruppi di opposizione, la procedura d'urgenza relativamente alla pdl n. 969.
Proprio la diffusa consapevolezza della necessità di pervenire entro tempi rapidi ad una riforma del diritto societario e l'ampio consenso registrato su molte delle questioni prospettate nei provvedimenti all'ordine del giorno lo induce, in qualità di relatore della VI Commissione finanze, a contenere questo intervento introduttivo entro dimensioni limitate, circoscrivendolo a poche ma particolarmente significative questioni, per rinviare alla fase ulteriore dell'esame delle proposte emendative gli approfondimenti su aspetti specifici.
In linea generale, osserva che l'esigenza di una organica riforma del diritto societario discende in primo luogo dalla consapevolezza, derivante dagli elementi di valutazione offerti dall'esperienza di più di mezzo secolo, che l'assetto definito nel codice civile richiede necessariamente un aggiornamento, alla luce delle considerevoli evoluzioni registratesi nel frattempo nel sistema produttivo. Allo stesso tempo, si è rafforzata, specie nell'ultimo decennio, l'incidenza della accentuata competizione nei mercati internazionali, che sollecita il sistema produttivo italiano a valutare attentamente le esperienze di altri paesi che si sono esercitati sul terreno della riforma del diritto societario.
È opinione largamente condivisa tra gli esperti della materia quella per cui la competizione si gioca, oltre che sulle capacità degli imprenditori, sulla idoneità dei rispettivi ordinamenti giuridici a offrire alle imprese un quadro normativo favorevole. In questo senso, il lavoro già svolto negli scorsi anni nel nostro paese, pur apprezzabile, in particolare laddove ha incentivato il positivo processo di crescita e di qualificazione del sistema finanziario, non appare tuttavia ancora sufficiente. Esemplari, in proposito, sono i dati relativi alla quota di investimenti stranieri che l'Italia riesce ad acquisire sul totale mondiale: la capacità di attrazione del nostro sistema produttivo rimane ancora troppo bassa e a questo può non essere estraneo il quadro normativo e le sue connotazioni.
Si tratta, quindi, di intervenire sui diversi fattori che possono disincentivare gli investitori stranieri a insediarsi in Italia. In tal senso, oltre alla variabile tributaria, un'importanza evidente riveste la disciplina dell'attività di impresa, e in particolare di quella svolta in forma societaria. Da questo punto di vista, l'ispirazione di fondo dei due progetti di legge all'ordine del giorno, vale a dire la riduzione del carico normativo complessivamente gravante sul sistema produttivo, che assicuri un ampliamento dell'autonomia negoziale, risulta evidentemente condivisibile.
Allo stesso tempo, merita apprezzamento l'impegno, che traspare nella formulazione dei testi in esame, di assumere le esigenze dell'impresa e l'obiettivo di facilitarne l'attività, quale parametro decisivo nella definizione degli interventi di riforma da adottare. In sostanza, si tratta di coniugare la prospettiva tipicamente giuridica con una più prettamente economica per cui la disciplina dei diversi istituti deve fondarsi sull'obiettivo di incentivare lo sviluppo dell'imprenditoria, eliminando quegli ostacoli e quegli intralci


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che non rispondano a interessi meritevoli di tutela, ma che siano esclusivamente il portato di un eccesso di dettaglio da parte del legislatore. Questa stessa logica deve ispirare il lavoro che le Commissioni riunite, e successivamente, l'Assemblea dovranno svolgere nel prosieguo dell'esame dei progetti di legge. In altri termini, occorre adottare una sorta di analisi costi/benefici per una accurata valutazione del merito delle disposizioni recate dai provvedimenti e delle eventuale modifiche da apportare agli stessi. Si deve, quindi, evitare l'introduzione di vincoli che non rispondano a reali esigenze, privilegiando comunque l'obiettivo di promuovere l'attività di impresa e di tutelare i diversi soggetti coinvolti, vale a dire i cosiddetti stakeholders.
La stessa logica dovrà ispirare il legislatore per quanto concerne la riforma del diritto fallimentare che, pur non investendo direttamente la competenza della Commissione finanze, ha assunto, nel giudizio degli esperti, oltre che del sistema imprenditoriale, i caratteri di assoluta urgenza.
Più in particolare, mentre sono numerosi gli aspetti sui cui i due progetti di legge registrano una sostanziale coincidenza, persistono alcune differenze. Gli elementi comuni alle due proposte di legge sono rappresentati da:
la previsione di una disciplina specifica delle Srl per distinguerla più marcatamente da quella prevista per le Spa. Al riguardo, ritengo tuttavia che si debba valutare attentamente l'opportunità di una eccessiva divaricazione che si muova nel senso di privilegiare in misura particolarmente marcata le Srl. Occorre infatti evitare il rischio di introdurre un elemento distorsivo, tale da interferire nella autonoma determinazione degli imprenditori della forma societaria che essi ritengono più adeguata alle proprie esigenze. Si tratta, quindi, di valutare se non si debba attenuare, sia pur parzialmente, la portata delle differenze fra le due forme societarie; allo stesso tempo, occorre forse accentuare l'aspetto più significativo del modello della Srl consistente nel rilievo che in esso assume la figura del socio, piuttosto che fare riferimento all'ampiezza della compagine sociale;
la previsione, per quanto concerne la Spa, di un allargamento dell'autonomia statutaria per quanto concerne la definizione degli assetti degli organi di governo e di controllo, anche sulla base delle esperienze di altri Paesi. Sempre con riferimento alla Spa, se appare condivisibile l'ipotesi di riservare tendenzialmente tale modello alle società «aperte», occorre valutare se non si debba precisare più dettagliatamente l'espressione «ricorso al mercato di capitali», obiettivamente generica per fare riferimento, più precisamente, all'emissione di azioni e di altri strumenti di partecipazione al capitale. Più in generale, mi sembra che si debba valutare se il criterio della differenziazione degli adempimenti a carico delle società con riferimento al fatto che esse si rivolgano o meno al pubblico risparmio, non debba trovare più coerente traduzione in alcuni principi di delega. È infatti evidente che taluni obblighi di trasparenza e di informazione, la cui previsione è sicuramente giustificata per le società che si rivolgono al pubblico risparmio, non possono essere posti anche a carico di quelle che invece intendano autofinanziarsi ovvero utilizzare il credito bancario;
la previsione di rilevanti modifiche alla disciplina del bilancio per evitare una sovrapposizione tra logiche tributarie e quelle civilistiche e per ampliare le ipotesi di ricorso a forme semplificate di rappresentazione dell'andamento contabile;
la previsione di una significativa e apprezzabile semplificazione procedurale di alcune operazioni straordinarie.

Da ultimo, richiama le disposizioni volte a prevedere una disciplina organica del fenomeno dei gruppi, allo scopo di recuperare il notevole ritardo che, in materia, contraddistingue il nostro ordinamento.
Quanto agli elementi di differenziazione, su cui appare necessario procedere


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con una particolare attenzione, segnalo in primo luogo la previsione, contenuta nella sola pdl n. 969, della fattispecie di Spa semplificata, che tuttavia non sembra comportare significativi vantaggi sotto il profilo degli adempimenti procedurali e degli assetti organizzativi. Proprio l'idea della flessibilità delle forme societarie e della possibilità di consentire un adeguamento programmatico di esse suggerisce di non ampliare il numero delle forme tipiche delle società.
Un ulteriore aspetto da approfondire attiene alla previsione della riforma della disciplina delle società cooperative, che costituisce un fenomeno di particolare importanza nell'esperienza del nostro paese. In questo caso, si tratta di procedere in termini tali da non determinare ingiustificati vantaggi competitivi a favore delle cooperative nelle quali il requisito della mutualità assuma una valenza limitata. Per questo motivo, sottolinea l'esigenza di definire chiaramente la nozione di mutualità in modo da corrispondere all'obiettivo, esplicitamente affermato nel disegno di legge governativo, di distinguere tra le cooperative protette e le altre.
Alla luce degli elementi richiamati, ritiene quindi opportuno proporre che sia adottato quale testo base il ddl governativo A.C. 1137, dichiarando, al tempo stesso, la sua disponibilità, quale relatore della VI Commissione finanze, a valutare approfonditamente le proposte emendative che saranno presentate, nell'auspicio che esse intendano muoversi nel senso di perseguire l'obiettivo prioritario di semplificare la vita delle imprese.
Venendo più dettagliatamente ai vari articoli che compongono il ddl n. 1137, desidera sottoporre all'attenzione dei colleghi e del rappresentante del Governo alcune questioni specifiche su cui potrebbe risultare opportuno provvedere ad una parziale riformulazione del testo.
Quanto all'articolo 1, si potrebbe valutare l'ipotesi di ampliare il termine di 40 giorni a disposizione delle competenti Commissioni parlamentari per l'espressione del parere sugli schemi di decreti legislativi, come peraltro prospettato dalla pdl n. 969. Appare inoltre opportuno sopprimere la previsione per cui il parere parlamentare deve essere motivato.
Quanto all'articolo 2, segnala la possibilità di integrare i principi generali cui dovrebbe attenersi il legislatore delegato mediante l'inserimento di una lettera aggiuntiva che preveda l'adozione di misure volte ad agevolare la trasformazione della forma societaria adottata da ciascuna impresa, in modo da corrispondere alle mutate esigenze della stessa, mediante una consistente semplificazione dei relativi procedimenti. Si potrebbe, quindi, prospettare l'opportunità di una parziale riformulazione della lettera f) allo scopo di assicurare una più stretta corrispondenza con gli obiettivi previsti in entrambi i progetti di legge. In altri termini, si tratterebbe di favorire la crescita delle imprese senza che ciò comporti l'attivazione in via automatica e vincolante di una specifica forma (quella della Spa). A tal fine potrebbe risultare utile assumere il principio direttivo di cui alla lettera r), del comma 2 dell'articolo 3 della proposta di legge n. 969. Quanto alla lettera i) dello stesso articolo 2, ritengo che il relativo principio di delega potrebbe trovare più opportuna collocazione nell'ambito di un provvedimento organico di riforma delle procedure concorsuali e fallimentari.
Relativamente all'articolo 3, anche alla luce di quanto richiamato in precedenza circa la necessità di evitare che la crescita dell'impresa implichi necessariamente l'adozione della forma di Spa, si potrebbe valutare se non sia opportuno riformulare parzialmente la lettera a) del comma 1 richiamando, quale ulteriore criterio di differenziazione tra Spa e Srl, al fatto che si faccia o meno ricorso al pubblico risparmio. Le stesse considerazioni valgono con riferimento al comma 1 dell'articolo 4.
Sempre con riferimento all'articolo 3, andrebbe chiarita la portata del principio di delega di cui alla lettera c), a tal fine potendosi valutare le esperienze di altri Paesi nelle quali l'elemento personalistico risulta particolarmente marcato, nell'ambito della Srl Segnalo, inoltre, per quanto concerne la semplificazione dei procedimenti


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di costituzione, di cui alla lettera a) del comma 2, che le relative disposizioni andranno coordinate con le novità apportate, in materia di omologazione, dalla legge n. 340 del 2000. Relativamente alla lettera b), si potrebbe valutare l'opportunità di fissare in termini quantitativi la misura minima del capitale assumendo a parametro una frazione della misura prevista per la Spa, analogamente a quanto previsto nella proposta di legge n. 969. Da ultimo, sembra opportuno valutare se non si debba pervenire ad una formulazione più puntuale del principio di delega di cui alla lettera h), in materia di controllo legale dei conti.
Per quanto concerne l'articolo 4, segnala ai colleghi la possibilità di recepire la previsione, di cui all'articolo 5 della proposta di legge n. 969, per cui nell'atto costitutivo non sarebbe richiesta l'indicazione della durata della società. Quanto alla previsione della possibilità di azione sociale di responsabilità da parte di una minoranza, di cui al n. 2 della lettera a) del comma 2, occorre procedere con la necessaria attenzione, contemperando l'esigenza di assicurare agli azionisti di minoranza adeguati strumenti di controllo con la necessità di evitare l'insorgenza di controversie che innescherebbero una conflittualità esasperata, tale da penalizzare l'operatività dell'impresa. A tal fine, si potrebbe stabilire una soglia quantitativa tale da rendere qualificata la minoranza che intendesse promuovere l'azione, posto che la misura del 5 per cento del capitale, prevista dal TUF per le società quotate, potrebbe risultare troppo bassa, se riferita alla generalità delle società. Relativamente al comma 6, sembra opportuno chiarire adeguatamente la portata del principio di delega di cui alla lettera a), precisando se si intenda fare riferimento al caso delle cosiddette azioni senza valore nominale, definite «improprie», già conosciute nell'ordinamento tedesco.
Quanto alla materia dei patti parasociali, di cui alla lettera c) del comma 7, occorre valutare se non sia preferibile adottare una disposizione che escluda quelli di durata illimitata piuttosto che prevedere l'applicazione di un limite di durata.
Relativamente all'articolazione degli organi societari, di cui, in particolare, alla lettera d) del comma 8, auspica una accurata valutazione delle ricadute sugli assetti organizzativi e sulla operatività delle imprese deriverebbero dalla adozione di modelli mutuati da esperienze straniere.
Da ultimo, con riferimento alle problematiche concernenti la disciplina del diritto di recesso, di cui alla lettera d) del comma 9, occorre valutare molto attentamente i rischi di un'esasperata conflittualità tra i soci che la disposizione potrebbe generare. Analoghe considerazioni valgono con riferimento al principio di delega di cui alla lettera d) dell'articolo 9, il quale dispone l'individuazione dei casi in cui riconoscere adeguate forme di tutela del socio, compreso eventualmente il diritto di recesso, al momento dell'ingresso e dell'uscita della società dal gruppo.
Per quanto attiene alla disciplina delle società cooperative, di cui all'articolo 5, si potrebbe valutare l'opportunità di introdurre, in sede di esercizio della delega, disposizioni volte a favorire, mediante la previsione di un regime transitorio agevolato, la trasformazione delle cooperative di maggiori dimensioni, la cui attività non risulti riconducibile al principio della mutualità, in Spa. Occorre comunque valutare attentamente la coerenza della disposizione di cui alla lettera f) del comma 2, la quale consente di derogare alla regola generale del voto capitario, con il principio mutualistico che in sede di esercizio della delega dovrebbe trovare più puntuale disciplina.
Qualche attenzione dovrà essere apportata agli articoli 6 e 7, recanti la disciplina del bilancio e delle operazioni di trasformazione e di fusione; infine, relativamente alla disciplina dei gruppi, di cui all'articolo 9, richiama l'attenzione dei colleghi sulla necessità di valutare con la massima attenzione il rischio che il principio di delega di cui alla lettera b), il quale prevede l'obbligo di motivare le decisioni conseguenti ad una valutazione dell'interesse


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del gruppo, possa comportare un eccessivo aggravio degli adempimenti a carico degli organi societari.
Come ha detto in precedenza, il testo del Governo è, nel complesso, una buona base di partenza, rappresentando il punto finale di confluenza del lavoro svolto nella passata legislatura.
Si riserva, al termine dell'esame preliminare, di valutare gli emendamenti dei colleghi e di predisporre lui stesso emendamenti al testo. Si augura infine che il lavoro delle Commissioni sia proficuo e che contribuisca alla realizzazione di una riforma da lungo tempo attesa.

Gaetano PECORELLA, presidente della II Commissione, relatore per la II Commissione, osserva che i rilievi che si appresta a fare, con riguardo particolarmente agli articoli 10 e 11 del disegno di legge n. 1137 ed agli articoli 22 e 23 del disegno di legge n. 969, riprendono in gran parte le argomentazioni contenute nella relazione di accompagnamento al disegno di legge governativo della XIII legislatura: tale relazione non è stata riprodotta con l'attuale disegno di legge, ma costituisce un indispensabile punto di riferimento, visto che ne rappresenta una illuminante chiave di lettura.
Terrà conto, altresì, delle considerazioni svolte a suo tempo dagli onorevoli Agostini e Mantovano, che ebbero il compito di illustrare in Commissione il disegno di legge n. 7123 nella XIII legislatura, riferendo che la loro valutazione del testo, le loro critiche e i loro suggerimenti siano del tutto condivisibili ed attuali.
Infine, non pochi spunti sono contenuti nelle audizioni degli operatori sociali, in documenti da loro fatti pervenire e nell'intervento in Commissione dell'allora ministro della giustizia.
Tutto ciò farà sì che ben poco vi sarà di originale rispetto ad una elaborazione dei temi fondamentali che ha caratteri di completezza e di alta professionalità.
Rappresenta il postulato dell'intero discorso, anche di natura penalistica, l'affermazione, particolarmente sviluppata nella relazione dell'onorevole Agostini, secondo cui il modello normativo di società commerciale deve corrispondere alle dimensioni economiche della stessa, agli interessi che entrano in gioco, di pochi o di numerosi soggetti, alla diffusività, o meno, del suo azionariato. Si legge, infatti, in tale relazione: «Lo sforzo di modernizzazione di queste proposte va letto lungo il profilo imperatività-autonomia. In presenza di società più grandi, ad ampio azionariato e a capitalizzazione diffusa, ancorché non quotate, maggiori debbono essere gli elementi imperativi fino a vedere trasfusi in essa alcuni istituti mutuati dal testo unico di finanza (ad esempio a garanzia delle minoranze). Sull'altro versante c'è, invece, la società di azionariato ristretto o ristrettissimo, alla quale va riconosciuta la più ampia autonomia statutaria, temperata soltanto dalla presenza di alcuni presidi a garanzia dei terzi (lavoratori, fornitori)».
Del resto, all'articolo 4, dettando le regole riguardanti le società per azioni, il disegno di legge stabilisce che la disciplina legislativa «prevederà un modello di base unitario e le ipotesi nelle quali le società saranno soggette a regole caratterizzate da un maggiore grado di imperatività in considerazione del ricorso al mercato dei capitali».
Sennonché, la distinzione tra società che ricorrono, o meno, al mercato dei capitali non trova poi alcuna applicazione nel settore penalistico del disegno di legge, che ignora la differenza degli effetti, sul piano patrimoniale, ovvero del mercato, a secondo che la violazione riguardi pochi soci, ovvero un azionariato diffuso. Così, per le società ad azionariato ristretto (e cioè per le società non quotate), in non pochi casi potrebbe apparire opportuna la perseguibilità a querela, posto che i soci potrebbero preferire non portare all'esterno irregolarità che avrebbero l'effetto di danneggiare l'immagine commerciale dell'impresa.
Per altro verso è evidente che, ove si aderisse alla tesi da più parti sostenuta, secondo cui i reati societari dovrebbero trasformarsi in reati di danno, anziché di pericolo presunto, diversi potrebbero essere i beni giuridici oggetto della lesione a


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seconda del tipo, delle dimensioni, della diffusività dell'azionariato della società.
Gli articoli 10 e 11 individuano i criteri per disegnare il sistema sanzionatorio e la competenza a dirimere le controversie relative al settore societario. Di questi, come ho anticipato, specificamente mi occupo.
I provvedimenti in esame sono caratterizzati da una sostanziale omogeneità di fondo, in quanto entrambi, attraverso lo strumento della delega, sono diretti a modificare l'attuale assetto del diritto societario, al fine di adeguarne la disciplina alla realtà economico-sociale del paese. Tale obiettivo è perseguito attraverso la valorizzazione dell'autonomia statutaria, senza tuttavia trascurare le fondamentali esigenze di trasparenza dell'amministrazione della società e di tutela degli interessi dei terzi. Alla semplificazione della normazione, che attualmente rischia di soffocare le imprese, imbrigliando le forze del libero mercato, si contrappone, per quei soli istituti la cui disciplina vigente è stata sinora caratterizzata da gravi conflitti interpretativi, una normativa più dettagliata. Le differenze più importanti tra i provvedimenti in esame riguardano principalmente l'introduzione nell'ordinamento della società per azioni semplificata da parte della proposta di legge Fassino.
Come si è prima accennato, la vigente disciplina del diritto societario, oltre a non poter più essere considerata adeguata alle esigenze delle società commerciali, si è prestata a sempre più frequenti dubbi interpretativi da parte della giurisprudenza e della dottrina, che hanno determinato una situazione di grave incertezza, che si è poi riversata sempre più negativamente sull'attività della società, pregiudicandone la competitività interna ed internazionale. Il settore penale è emblematico di questa situazione di incertezza normativa, che è dovuta proprio alla mancata corrispondenza tra assetto normativo e realtà concreta.
Sotto il profilo penale, i due provvedimenti in esame riprendono il contenuto del testo del disegno di legge governativo presentato nella scorsa legislatura (cosiddetto testo Mirone). Essi sono identici nella parte sanzionatoria, mentre si differenziano nelle disposizioni giurisdizionali solamente per quanto attiene ai criteri di individuazione delle sedi delle sezioni di tribunale specializzate. Su questo punto ci si soffermerà quando saranno esaminate in dettaglio tali disposizioni.
La riforma della disciplina penale delle società commerciali contiene la elencazione delle fattispecie da emanarsi con i provvedimenti delegati da parte del Governo. Sinteticamente, i criteri direttivi riguardano:
a) la previsione dei seguenti reati ed illeciti amministrativi:
1. falsità in bilancio, nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali;
2. falso in prospetto;
3. falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni della società di revisione;
4. impedito controllo;
5. omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi;
6. formazione fittizia del capitale;
7. indebita restituzione dei conferimenti;
8. illegale ripartizione degli utili e delle riserve;
9. illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante;
10. operazioni in pregiudizio dei creditori;
11. indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori;
12. infedeltà patrimoniale;
13. corruzione;
14. indebita influenza sull'assemblea;
15. omessa convocazione dell'assemblea;
16. aggiotaggio
b) l'armonizzazione e il coordinamento delle ipotesi sanzionatorie riguardanti falsità nelle comunicazioni alle autorità


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pubbliche di vigilanza, ostacolo allo svolgimento delle relative funzioni, e omesse comunicazioni alle autorità stesse;
c) l'abrogazione della fattispecie della divulgazione di notizie sociali riservate (articolo 2622 del codice civile) e la sua allocazione, come aggravante, nell'ambito del reato di rivelazione di segreto professionale (articolo 622 del codice penale); l'abrogazione delle fattispecie speciali relative agli amministratori giudiziari e ai commissari governativi, nonché quella del mendacio bancario: le ragioni di tali abrogazioni sono sostanzialmente da attribuire ad una loro pressoché totale non applicazione di fatto;
d) la previsione di circostanze attenuanti o aggravanti, in relazione alla tenuità o meno dell'offesa arrecata, dei reati di cui alle precedenti lettere a) e b);
e) l'equiparazione ai soggetti che svolgono determinate funzioni in quanto ne sono anche formalmente titolari di coloro i quali le esercitano in assenza di formale investitura (cosiddetti amministratori di fatto); la previsione che l'esercizio di fatto delle funzioni sia rilevante solo qualora l'attività svolta presenti elementi di continuità nel tempo e di significatività rispetto alla gestione complessiva;
f) la previsione dell'obbligatorietà della confisca dei beni in determinati casi;
g) la riformulazione delle norme sui reati fallimentari, limitatamente a quelli che richiamano reati societari;
h) la previsione, in tema di responsabilità delle persone giuridiche, di una responsabilità di natura amministrativa della società stessa, alla quale verrebbe applicata una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di reati commessi nel suo interesse sia dal cosiddetto management (amministratori, direttori generali o liquidatori) sia da soggetti non apicali sui quali il management non abbia svolto un'adeguata vigilanza. L'abrogazione delle norme incompatibili, nonché il coordinamento e l'armonizzazione delle norme sanzionatorie da emanare con quelle vigenti.

La relazione governativa al disegno di legge n. 7123, presentato nella scorsa legislatura, enunciava i principi ispiratori di questo settore della riforma. Appare utile ricordarli anche perché gli stessi non sono contenuti nella legge delega, mentre una loro esplicita enunciazione costituirebbe una guida sicura per il legislatore delegato ed un rigoroso criterio di controllo per il legislatore delegante. Queste, dunque, sono le direttive di cui si dà conto nella relazione al disegno di legge n. 7123, che reca oggi il numero dell'atto Camera 1137:
1. riduzione del numero e dell'ambito di applicazione delle fattispecie criminose;
2. rispetto dei principi di determinatezza e precisione dell'illecito penale, in modo da definire con chiarezza il precetto penalmente sanzionato e da realizzare una semplificazione dei modelli punitivi;
3. adozione del principio di sussidiarietà, in modo da escludere l'intervento penalistico là dove altri rimedi appaiono sufficienti a garantire una efficace tutela del bene giuridico e da evitare, in ogni caso, il ricorso alla sanzione penale qualora sia in gioco l'osservanza di regole di natura puramente disciplinare;
4. rispetto del principio di offensività, in modo da circoscrivere la punibilità alle sole condotte concretamente offensive dell'interesse protetto;
5. individuazione dei beni giuridici nel patrimonio della società, la regolarità ed affidabilità dei mercati finanziari, la correttezza della amministrazione dell'impresa.

Tuttavia, i principi affermati in astratto non sempre hanno trovato una concreta attuazione nelle disposizioni del disegno di legge delega. Così, ad esempio, si deve segnalare, rispetto alla sussidiarietà, che in realtà numerosissime sono le fattispecie penali previste dall'articolo 10: pressoché tutte quelle oggi previste dal codice civile, o dalle leggi complementari, a cui sono aggiunte altre originali.


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Peraltro, il disegno di legge utilizza due tipi di sanzioni: rarissimamente quella amministrativa della pena pecuniaria, per tutti gli altri casi la sanzione della reclusione. Opportuno sarebbe, viceversa, ricorrere a sanzioni alternative, oggi previste come pene accessorie, o ad altre sanzioni, diverse dal carcere, che appaiono di maggiore efficacia: si pensi alla sospensione dagli albi professionali, o alla radiazione, ovvero all'interdizione dall'esercizio di attività commerciali, per le quali non potrebbe concedersi la sospensione condizionale.
L'eccesso di fattispecie penali pone un problema di scelte politiche tra un sistema che lascia più libertà d'azione, ed interviene solo in presenza di condotte illecite, ovvero un sistema caratterizzato da controlli tali da ridurre l'autonomia della società, ma anche da prevenire la commissione di reati. Il disegno di legge ha scelto la prima strada che risponde all'idea della semplificazione, ma trasferisce poi nella fase della sanzione il governo dell'economia. Osservava l'onorevole Mantovano nella sua relazione: «È fonte di quotidiana difficoltà per gli operatori il panpenalismo che abbraccia tanti settori della vita economica e sociale. Non vi è soltanto l'aspetto del maggior carico sui ruoli degli inquirenti e dei giudicanti, e della qualità del lavoro che viene loro richiesto, dal momento che un processo per un illecito societario è ben più impegnativo di altri. Vi è prima ancora il limite di sottoporre al vaglio del giudice penale, spesso non adeguatamente attrezzato (le sezioni specializzate sono previste dall'articolo 11 esclusivamente per il contenzioso civile) questioni che un filtro di altro genere, posto più a monte, consentirebbe di limitare».
Sempre in ordine al complesso delle fattispecie, e delle relative sanzioni, è necessario tener presente un altro criterio che è stato opportunamente richiamato nella relazione al disegno di legge n. 7123, ma che è stato, altrettanto inopportunamente, del tutto ignorato nel settore penalistico. Si legge in quella relazione che «la revisione del diritto societario appare indispensabile per garantire parità competitiva alle nostre imprese rispetto a quelle estere: questa condizione, considerati gli attuali ritmi della produzione e della innovazione, va assicurata nel più breve tempo possibile». Se così è, è doveroso allora tener d'occhio, ad esempio, quale sia l'entità, il tipo e la concreta applicazione delle sanzioni nelle altre nazioni europee per evitare che pene troppo elevate scoraggino gli investimenti nel nostro paese, ovvero sanzioni troppo miti richiamino i «corsari» del capitalismo internazionale.
Anche rispetto alla determinatezza delle fattispecie appare necessario uno sforzo di maggiore precisione sotto diversi profili. Così l'ultimo periodo del comma 1, lettera a) n. 1 dell'articolo 10 delega l'esecutivo a «regolare i rapporti della fattispecie (del falso in bilancio) con i delitti tributari in materia di dichiarazione», senza ulteriori specificazioni, e dunque senza indicare i criteri per differenziare le due fattispecie. Sarebbe opportuno, perciò, che si dicesse con chiarezza ciò che la prevalente giurisprudenza già afferma, e cioè che il fine di frodare il fisco esclude la sussistenza dell'elemento psicologico del falso in bilancio. La finalità della disposizione civile, infatti, non è quella di tutelare le ragioni del fisco, che possiede ben altri strumenti per conoscere la verità e per sottoporre il reddito al tributo.
Carente di determinatezza è anche la fattispecie del falso in bilancio laddove non definisce quali siano, a parte i bilanci e le relazioni, le «altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico»: la tassatività della fattispecie imporrebbe che fossero precisati gli atti per i quali è configurabile un falso rilevante. Peraltro, la situazione economica della società si cristallizza nel bilancio, illustrato dalle relazioni, motivo per cui la disposizione potrebbe limitarsi a far riferimento a tali documenti. È, in ogni caso, materia di riflessione per le Commissioni.
Il disegno di legge in esame lascia irrisolta un'altra questione che ha affaticato dottrina e giurisprudenza: quella della falsità nelle valutazioni. C'è chi sostiene,


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come l'Antolisei, che una valutazione può essere non corretta, ma mai falsa, visto che il falso consiste nella mancata corrispondenza tra un fatto e la sua descrizione. Perciò sarebbe opportuno sciogliere questo nodo.
Tra le innovazioni relative al falso in bilancio vi è, anzitutto, la sostituzione dell'avverbio «fraudolentemente» con l'avverbio «intenzionalmente» che viene collegato con il «fine di conseguire un ingiusto profitto». È opportuno se non ripercorrere tutto il dibattito che si è svolto in dottrina e in giurisprudenza sulla portata dell'avverbio «fraudolentemente», ricordare che è comunque pacifico che del reato si risponde unicamente a titolo di dolo, per cui è indispensabile la consapevolezza della volontà della falsità, non essendo invece punibile, sotto il profilo penale, il falso derivante da errori di fatto. Nell'elemento psicologico si riscontrerebbe, in ogni caso, una volontà di ingannare (animus decipiendi), mentre risulta controversa l'incidenza dell'intento di provocare ad altri un danno ingiusto (animus nocendi), così come dell'intento di conseguire un vantaggio, in termini di ingiusto profitto (animus lucrandi). Al riguardo, va ricordato che la Cassazione ha in un primo momento affermato che non è comunque indispensabile che vi sia l'obiettivo di trarre un profitto, essendo sufficiente che l'agente abbia previsto la possibilità del danno e, ciò nonostante, abbia compiuto il reato, mentre successivamente ha accolto tesi più garantiste, che riconducono l'elemento psicologico al dolo specifico. Secondo questo orientamento, il delitto di falso in bilancio prevede un dolo specifico, che risulta dal ricorso all'avverbio «fraudolentemente», il quale sussiste quando il soggetto attivo ha agito con la volontà di trarre in errore i soci o i terzi in ordine all'effettiva situazione patrimoniale della società, accompagnata dal proposito, a sé stante, di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, senza peraltro che occorra il proposito di cagionare un danno, essendo sufficiente la previsione di questo come correlativo al profitto (Cass. 9 marzo 1988).
La nuova formulazione del reato di falso in bilancio, secondo quanto previsto dai principi e criteri direttivi di delega contenuti nei provvedimenti in esame, dovrebbe ricalcare tale interpretazione giurisprudenziale, fugando qualsiasi dubbio sulla sua correttezza. Per quanto l'elemento della intenzionalità sia già rinvenibile, come si è visto, nella vigente formulazione, la circostanza che la delega la preveda comunque espressamente e che la falsità sia correlata al conseguimento del profitto ingiusto, depone per una precisa scelta a favore del dolo specifico: scelta che si condivide pienamente.
Sono note, peraltro, le mai sopite discussioni sulla natura del profitto, se possa essere di qualsivoglia natura, ovvero patrimoniale o esclusivamente economico. Anche su questo punto sarebbe preferibile un chiarimento. La disposizione sul falso in bilancio non fa esplicito richiamo al principio di offensività richiedendo sì il dolo specifico dell'ingiusto profitto, ma non includendo tra gli elementi della fattispecie anche l'evento di danno.
Secondo la giurisprudenza della Cassazione, il delitto in esame ha natura plurilesiva, in quanto offende sia l'interesse generale al regolare funzionamento delle società commerciali nell'ambito dell'economia del paese, sia gli interessi patrimoniali dei soci e dei terzi, che entrano in rapporto con la società. Sulla base di tale circostanza, la giurisprudenza e la dottrina hanno ricostruito il delitto di falso in bilancio in chiave di pericolo. Consegue, da tale configurazione, che la sussistenza del delitto prescinde dal verificarsi e dall'accertamento di un danno concreto, essendo sufficiente la idoneità della falsa rappresentazione a trarre in inganno ovvero la semplice possibilità del verificarsi di tale inganno per i soci o per i terzi, senza che abbia rilevanza alcuna l'avvenuta diffusione o meno del contenuto delle comunicazioni sociali e senza che sia necessaria l'effettiva lesione dell'interesse protetto. Si tratta, pertanto, di un vero e proprio reato di pericolo astratto, poiché il pericolo stesso sarebbe implicito nella realizzazione della condotta, così come descritta


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dall'articolo 2621 del codice civile. Il giudice, quindi, non è tenuto a procedere ad alcun accertamento della pericolosità della condotta, essendo sufficiente che si limiti al riscontro formale della conformità di questa alla fattispecie astratta. È noto a tutti il dibattito, che da anni si sta svolgendo sulla legittimità costituzionale di questo tipo di reato, che, secondo molti, si pone in contrasto con i principi costituzionali di offensività e di colpevolezza. L'assoggettamento alla sanzione penale, infatti, non deriverebbe dalla circostanza che sia stato leso un particolare bene giuridico protetto, bensì dal fatto che vi sia stata una mera violazione di un'astratta regola di obbedienza alla legge. La stessa Corte costituzionale, peraltro, non ha mancato di sottolineare i problemi che i reati di pericolo astratto suscitano sotto il profilo dell'offensività. Il giudice costituzionale ha espressamente affermato che «le incriminazioni di pericolo presunto non sono incompatibili in via di principio con il dettato costituzionale», ma ha anche riconosciuto «che è riservata al legislatore l'individuazione sia delle condotte alle quali collegare una presunzione assoluta di pericolo sia della soglia di pericolosità alla quale far riferimento, purché, peraltro,» - ed è questo il passo fondamentale della sentenza - «l'una e l'altra determinazione non siano irrazionali od arbitrarie, ciò che si verifica allorquando esse non siano ricollegabili all'id quod plerumque accidit».
È innegabile che le incriminazioni di falso in bilancio effettuate sulla base della normativa vigente non sempre sembrano essere razionali sotto il profilo della offensività. Coerente con i principi appare, dunque, l'espressa indicazione del danno come elemento della fattispecie. È vero che il requisito della offesa potrebbe ricavarsi non solo dai principi enunciati nella originaria relazione, ma dalla stessa attenuante prevista alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 10, secondo cui la pena andrebbe ridotta quando gli illeciti di cui alle lettere a) e b) abbiano recato una «offesa di particolare tenuità». È ovvio, infatti, che al di sotto della soglia della particolare tenuità, viene meno la configurabilità del reato. Non di meno è consigliabile evitare ogni ambiguità, anche perché la natura dell'evento andrebbe differenziata a seconda del tipo di società ad azionariato diffuso, o meno, quotata o non quotata. Del resto si tratta solo di rendere evidente ciò che era tra le righe, se il ministro Fassino, nel corso della sua audizione, il giorno 8 novembre 2000, ebbe a dichiarare: «Per quanto riguarda il falso in bilancio credo che questa legge delega consenta finalmente di uscire da una situazione di indeterminatezza e di ambiguità che è stata causa di non piccoli problemi giuridici e politici negli ultimi anni in Italia. Infatti, come sappiamo, attorno a questo reato si sono verificati scontri di carattere non solo giuridico, ma anche politico. Mi sembra che la formulazione così come definita consenta una determinazione del reato, l'individuazione di una tipologia precisa, una considerazione attenta dell'esistenza del dolo e del danno eventualmente prodotto e subito». E più oltre, in sede di replica: «Il cosiddetto danno in concreto credo sia evidente, se però si vuole specificare ulteriormente non ho problemi, perché è un punto rilevante del provvedimento».
Conviene ancora segnalare la proposta formulata, a suo tempo, dal ministro del tesoro e della Banca d'Italia secondo i quali le informazioni mendaci dovrebbero essere «significative e tali da alterare sensibilmente» la rappresentazione della situazione economica o finanziaria della società. Come ricordava l'onorevole Mantovano, «si tratta di quella clausola della minima rilevanza, così definita dalla dottrina, da parametrare su base oggettiva, ovvero in proporzione al fatturato o al reddito».
Concludendo sul punto, rileva che le Commissioni dovranno valutare se non sia opportuno formulare la fattispecie del falso in bilancio in maniera tale che sia data rilevanza alla lesività del fatto, in riferimento alla complessiva situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, escludendo dalla sanzione penale la falsità di notizie assolutamente


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marginali. In sostanza, proprio in base al principio di offensività, sarebbe necessario che la fattispecie di falso in bilancio fosse modulata in riferimento al tipo di società, la cui situazione patrimoniale e economica-finanziaria è falsificata.
Passa quindi ad esaminare sommariamente le disposizioni che introducono fattispecie che presentino un qualche aspetto di novità.
Il n. 2 della lettera a) del comma 1 dell'articolo 10 introduce in forma autonoma il delitto di «falso in prospetto», consistente nella condotta di chi, nei prospetti richiesti ai fini della sollecitazione all'investimento o dell'ammissione alla quotazione dei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle Opa o delle Ops, espone intenzionalmente a fine di profitto informazioni false. Questa disposizione va coordinata con quanto prevede l'articolo 174 del TUF, che punisce chi espone false informazioni sulle comunicazioni alla Consob, relative, fra le altre, agli obblighi degli offerenti e alle Opa. Problemi di coordinamento, vista la quasi completa sovrapposizione delle relative disposizioni, derivano ancora di più dal confronto fra quanto prevede il n. 3 della lettera a) del comma 1 dell'articolo 10 e l'articolo 175 del TUF, relativamente all'attestazione, da parte degli amministratori e dei soci responsabili della revisione, del falso o alla esposizione di fatti non rispondenti al vero o all'occultamento di fatti concernenti le condizioni economiche della società nell'ambito delle relazioni e delle comunicazioni riguardanti la società assoggettata a revisione: è necessario decidere quale delle due norme deve sopravvivere, per evitare confusioni. Qualche modifica alla disciplina in vigore si riscontra con riferimento all'impedito controllo - n. 4 della lettera a) del comma 1 dell'articolo 10 - che prende in considerazione anche l'occultamento di documenti o altri idonei artifici, realizzato dagli amministratori per impedire o per ostacolare il controllo o la revisione legalmente attribuite ai soci, ad altri organi sociali o alle società di revisione; e con riferimento alla omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi, disposizione che è stata modificata rispetto all'attuale articolo 2626 codice civile, essendo stato istituito il registro delle imprese (n. 5).
Senza sostanziali novità sono le disposizioni poste a tutela della effettività e della integrità del capitale sociale.
Sono previste novità, invece, in ordine alla corruzione. Al fine di difendere il patrimonio sociale sono previste figure di reato finora proprie del pubblico ufficiale. Viene punita la condotta di amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori e responsabili della revisione che compiono o omettono atti in violazione degli obblighi del loro ufficio commessi a seguito della dazione o della promessa di utilità, con conseguente pericolo di nocumento per la società. Come tutte le novità, anche questa apre il terreno a non poche problematiche: in primo luogo, quella di coordinare questa ipotesi con quella della infedeltà patrimoniale.
L'articolo 11 del disegno di legge n. 1137 e l'articolo 23 della proposta di legge C. 969 delegano il Governo ad emanare nuove norme sulla giurisdizione, allo scopo di assicurare una più rapida ed efficace definizione dei procedimenti vertenti su materie che richiedono un elevato tasso di conoscenze specifiche nei settori dell'economia, del commercio e della finanza. Viene quindi prefigurata una competenza giurisdizionale specializzata e deroghe al rito in funzione della particolarità della materia delle liti societarie.
Il comma 1 dell'articolo 11, in particolare, delinea la struttura, la competenza ed i criteri di selezione dei componenti del nuovo organo giudicante. La scelta è stata quella di prevedere l'istituzione (lettera a), presso i tribunali delle città sedi di corte d'appello, di sezioni specializzate nella trattazione dei procedimenti sopra citati, con conseguente attribuzione al presidente della sezione specializzata delle competenze che le leggi vigenti riservano al presidente del tribunale. Viene espressamente stabilito che l'istituzione delle sezioni non comporta oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato, né incrementi di dotazioni


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organiche. L'articolo 23 della proposta di legge n. 969 si differenzia dal testo governativo prevedendo l'istituzione di sezioni specializzate non solo, come già previsto, presso i tribunali delle città sedi di corte d'appello, ma anche presso altri tribunali che dovranno essere individuati sulla base di criteri oggettivi ed omogenei, che tengano conto della estensione del territorio di competenza, del volume del contenzioso in essere nella materia societaria e del numero delle imprese iscritte presso le camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura del circondario. Nel corso dell'audizione del ministro della giustizia Piero Fassino, svoltasi presso le Commissioni riunite II e VI l'8 novembre 2000, il ministro sottolineava come le norme sulla giurisdizione contenute nell'articolo 11 (attualmente riprodotte nell'articolo 11 del disegno di legge C. 1137 e nell'articolo 23 della proposta di legge n. 969 in esame) avessero suscitato un dibattito tra le diverse categorie economiche e professionali, emerso soprattutto nel corso delle audizioni informali di queste ultime presso le Commissioni medesime: mentre la categorie economiche più grandi invocavano una forte specializzazione della giurisdizione a livello del capoluogo del distretto, le sollecitazioni del mondo forense e di una parte del mondo dell'impresa e dell'associazionismo di impresa andavano verso l'istituzione di una competenza a livello del circondario. In quella sede veniva quindi preannunciato che l'orientamento del Governo sarebbe stato quello di accedere alla modifica della giurisdizione in direzione della sede circondariale.
Dubbi sulla previsione delle sezioni specializzate sono emersi durante lo scorso dibattito parlamentare, specialmente da parte di chi riteneva che l'esigenza della maggiore specializzazione da parte dei giudici non si dovesse ripercuotere negativamente sui cittadini, che avrebbero visto sempre più allontanarsi il servizio giustizia dal territorio. In effetti, la scelta del Governo comporta un accentramento delle sezioni sulla base di parametri oggettivi, ma che tengono poco conto di quella che è la realtà industriale dei territori (è sintomatico l'esempio del Veneto e della Sicilia: nel primo vi sarebbe una sola sezione specializzata, nella seconda ve ne sarebbero quattro. Altre critiche alla previsione di sezioni specializzate sono dettate dall'affievolimento di professionalità dei giudici che operano nei tribunali che non sono sede di tali sezioni e, forse è questa la critica da vagliare con maggior attenzione, la concentrazione della cognizione del diritto societario e, quindi, di decisioni estremamente rilevanti per zone territorialmente estese, ad una ristretta cerchia di giudici. Non mancano certamente anche aspetti positivi, che potrebbero far propendere per l'istituzione delle sezioni specializzate. La specializzazione degli organi giudiziari consentirebbe, secondo alcuni, di rendere più rapida ed efficiente la giustizia civile in una materia, quale quella societaria, che è caratterizzata principalmente dalla velocità del funzionamento del mercato.
Per quanto attiene al contenuto specifico delle disposizioni sulla giurisdizione:
La lettera b) (nn. 1-5) del comma 1 definisce la competenza per materia del nuovo giudice, nell'ambito delle materie attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario e quindi, essenzialmente, nei casi in cui siano coinvolti diritti soggettivi salve le eccezioni espressamente previste dalla legge. Si tratta, quindi, dei procedimenti in materia di diritto societario (n. 1), comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali, di tutti o alcuni dei procedimenti nelle materie disciplinate dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, e dal decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (n. 2), nonché delle questioni (n. 3) in materia di concorrenza, brevetti e segni distintivi dell'impresa (nel rispetto degli impegni comunitari ed internazionali).
Si è poi ritenuto di comprendere nella competenza delle sezioni specializzate anche la materia concorsuale, la cui trattazione


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richiede un elevato grado di comprensione dei problemi economici, finanziari e patrimoniali delle imprese. Si è quindi fatto riferimento (n. 4) a tutti i procedimenti previsti dalla disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270) alle relative controversie e a tutti i procedimenti connessi e consequenziali, ad esclusione dei procedimenti previsti dal capo I del IV del decreto legislativo citato (Estensione dell'amministrazione straordinaria alle imprese del gruppo - nel caso di gruppo di imprese -), per i quali viene stabilita la competenza del tribunale del luogo in cui ha sede l'impresa.
La competenza per materia della sezioni specializzate comprenderà, infine, le controversie in materia fallimentare e concorsuale in genere, con esclusione, tuttavia, della dichiarazione di fallimento e delle competenze gestorie del tribunale fallimentare, per le quali restano ferme le disposizioni ordinarie. Come si legge nella relazione al già citato disegno di legge C. 7123, quindi, da un lato si è ritenuto che fosse eccessivo e controproducente porre a carico delle istituende sezioni l'onere di fronteggiare l'ingente numero di istanze di fallimento da cui sono gravati i tribunali italiani e, dall'altro, è apparso inopportuno attribuire alle medesime sezioni anche i compiti gestori inerenti alle procedure concorsuali: sotto tale profilo, infatti, potrebbe essere intaccato il principio di terzietà del giudice qualora il magistrato che valuta l'opportunità di promuovere un'azione per il fallimento e il magistrato che su quell'azione è poi chiamato a giudicare facciano parte dello stesso organo giurisdizionale.
La lettera c) prevede l'istituzione delle sezioni specializzate citate anche presso le corti di appello e la Corte di cassazione, anche in tal caso senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato né incrementi di dotazioni organiche. In tal modo, ferma restando la diversificazione del regime di impugnazione in considerazione delle differenti esigenze di tutela coinvolte (che, in alcune ipotesi, hanno già determinato la previsione di un giudizio di merito di unico grado), si è voluto evitare il rischio di un giudice dell'impugnazione meno competente, in termini di professionalità specifica, rispetto a quello che ha emesso il provvedimento impugnato.
La lettera d) delinea l'ambito della competenza territoriale delle sezioni, estendendola all'intero distretto prevedendo, inoltre, che in una o più delle materie attribuite alla competenza delle predette sezioni il giudizio di merito si svolga in unico grado, anche eventualmente presso le sezioni specializzate della corte di appello. In tal modo verrebbero anche fatte salve le diversità di regime già esistenti, in proposito, tra giurisdizione contenziosa e volontaria.
La lettera e), infine, demanda al Governo di prevedere criteri di selezione dei giudici per l'assegnazione in via esclusiva alle nuove sezioni specializzate presso i tribunali, le corti d'appello e la Corte di cassazione, in modo da assicurare una specifica competenza professionale. Dovranno essere previsti altresì adeguati criteri di rotazione, evitando la dispersione delle competenze professionali acquisite e adeguati strumenti di formazione e aggiornamento professionale dei magistrati che compongono detti organi giurisdizionali.
Il comma 2 dell'articolo in esame detta alcuni criteri sulle regole processuali da applicare in tutti o alcuni dei procedimenti di competenza delle sezioni specializzate.
Oltre al riferimento alla concentrazione dei procedimenti ed alla riduzione dei termini processuali per le controversie nelle materie di competenza delle sezioni (a), è prevista, in particolare, l'introduzione di un giudizio monocratico (fatte salve eventuali riserve di collegialità), particolarmente celere ed ispirato al modello del procedimento cautelare, per provvedere su domande volte alla rimozione o alla cessazione degli effetti di atti negoziali già compiuti (b).
Vengono espressamente fatti salvi il principio del contraddittorio e quello della possibilità di presentare, avverso la pronuncia del giudice monocratico, reclamo ad un organo collegiale.


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Si tratta, in particolare, del tentativo di conciliare i tempi ordinari del processo con le esigenze di certezza degli atti e rapporti giuridici in campo economico; poiché in molti casi la fase decisiva delle controversie in tema di validità delle deliberazioni assembleari di società si concentra nell'eventuale provvedimento di sospensione della deliberazione impugnata (nel senso che la sospensione o la negazione della stessa rende poi molto difficile, a seconda dei casi, eseguire la deliberazione o rimettere in discussone gli effetti irreversibilmente prodotti dalla stessa), si è ritenuto opportuno introdurre un apposito procedimento d'urgenza, rapido e al contempo, articolato in modo da salvaguardare il diritto di difesa degli interessati.
Conseguentemente viene prevista (c) la facoltatività, a seguito della definizione del procedimento d'urgenza sopra citato, della successiva instaurazione del giudizio di merito, che potrebbe apparire superflua nelle ipotesi in cui le esigenze di tutela dell'interessato siano adeguatamente soddisfatte dalla pronuncia cautelare. Viene contestualmente stabilito che la pronuncia medesima produca effetti definitivi, sebbene non inquadrabili nell'ambito di un giudicato (incompatibile con i caratteri sommari del giudizio in questione): sarà quindi possibile rimettere in discussione ad altri fini la validità dell'atto impugnato, promuovendo ad esempio, un successivo giudizio ordinario avente ad oggetto eventuali pretese risarcitorie.
Viene poi prevista (d) l'introduzione di un giudizio sommario, non cautelare, particolarmente celere che, con il rispetto del principio del contraddittorio conduca all'emanazione di un provvedimento esecutivo, anche se privo di efficacia di giudicato. Le caratteristiche delineate, quindi, sembrano riportare al modello del procedimento di ingiunzione (articoli 633-656 codice di procedura penale), caratterizzato dall'esigenza di conseguire il più rapidamente possibile il titolo esecutivo e, dal punto di vista strutturale, dalla sommarietà della cognizione.
L'utilità dello strumento conciliativo nelle controversie in materia commerciale ha poi determinato la previsione della possibilità, per il giudice, di operare un tentativo preliminare di conciliazione (e), formulando concrete proposte in merito, assegnando, eventualmente, un termine per la eventuale rimozione delle ragioni di lite (per la modificazione o rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa) e, in caso di mancata conciliazione, tenendo conto dell'atteggiamento tenuto al riguardo dalle parti ai fini dell'attribuzione delle spese di lite.
La lettera f) consente poi l'introduzione, anche mediante la modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, di uno o più procedimenti in camera di consiglio che, estendendo le ipotesi attualmente previste, assicurino il rispetto dei principi del giusto processo senza compromettere la rapidità dei procedimenti medesimi.
Rappresenta una novità l'introduzione (g) di forme di pubblicità sui tempi medi di durata dei diversi tipi di procedimento trattati dalle sezioni specializzate, con la formulazione di previsioni per il periodo successivo e motivazioni dell'eventuale divario rispetto alle previsioni precedentemente formulate.
Il comma 3 dell'articolo in esame consente la possibilità di inserire negli statuti delle società commerciali clausole compromissorie per l'instaurazione di un giudizio arbitrale (articoli 806-840 codice di procedura civile) per tutte o alcune delle controversie societarie aventi ad oggetto materie di competenza delle sezioni specializzate anche in deroga alle limitazioni di cui agli articoli 806 e 808 del codice di procedura civile.
Come evidenziato nella relazione al disegno di legge, infatti, nella materia societaria sono spesso sorti dubbi circa la possibilità di ricorrere allo strumento arbitrale, perché non sempre è ben certo il confine tra l'area della disponibilità e quella dell'indisponibilità dei diritti dedotti in lite.
Osserva conclusivamente che i testi in esame, per la parte di cui agli articoli 10


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e 11, pressoché coincidenti, costituiscono una base di lavoro del tutto convincente, pur nella necessità di adeguati interventi sui punti già segnalati alle Commissioni, o su altri che emergeranno dal seguito della discussione.

Giorgio LA MALFA, presidente della VI Commissione, relatore per la VI Commissione, ricorda che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, delle Commissioni riunite ha deliberato che il termine per la presentazione degli emendamenti fosse fissato per venerdì 13 luglio 2001 alle ore 16. Tuttavia, a seguito di richieste di alcuni deputati, pare opportuno differire tale termine a lunedì 16 luglio, alle ore 16.
Rinvia il seguito dell'esame alla seduta di domani.

La seduta termina alle 15.