Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 869 del 28/2/2001
Back Index Forward

Pag. 1


...
Informativa urgente del Governo sulla vicenda dell'acquisto di una quota di capitale della Telekom Serbia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del ministro degli affari esteri sulla vicenda dell'acquisto di una quota del capitale della Telekom Serbia.
Dopo l'intervento del ministro degli affari esteri, potranno intervenire rappresentanti di ciascun gruppo, per un tempo massimo di trenta minuti, nonché rappresentanti delle componenti del gruppo misto.
Ha facoltà di parlare il ministro degli affari esteri, onorevole Lamberto Dini.

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la recente inchiesta giornalistica sulle telecomunicazioni serbe non meriterebbe da parte del Governo e, a maggior ragione, da parte di questa Assemblea, la benché minima attenzione. Sennonché sui risultati di quell'inchiesta si è voluto imbastire un florilegio di illazioni e di deduzioni, oltreché di errori, per sostenere che, dietro all'acquisizione di una partecipazione nella Telekom Serbia da parte della STET si nascondeva un perverso disegno del Ministero del quale sono titolare, quello di aver fornito scientemente, attraverso la relativa operazione finanziaria una boccata di ossigeno al regime di Milosevic. Nulla di più falso, nulla di più fuorviante. Una simile forzatura interpretativa non è soltanto contraria al senso comune, ma è negatrice della realtà storica, senza riguardo, come dirò fra poco, a circostanze di tempo e di luogo e questa forzatura è incompatibile con gli stessi indirizzi della nostra azione nei Balcani, quali sono stati definiti da questo Parlamento e che io stesso, onorevoli colleghi, attraverso ventisei interventi in aula o di fronte alle Commissioni esteri della Camera dei deputati e del Senato, ebbi occasione di illustrarvi tra il 1996 e il 1999 nelle sue articolazioni attuative.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, per me è motivo di orgoglio ripercorrere


Pag. 2

in quest'aula le diverse fasi, talvolta tormentate e sofferte, della politica italiana nei Balcani; il fatto, poi, che a fornire l'occasione di questa mia rivisitazione davanti a voi sia un insieme di insinuazioni circa un nostro doppio gioco, motivato da chissà quali oscuri tornaconti, non mi turba più di tanto perché a smentire certe ricostruzioni ci sono i fatti che sono più eloquenti delle parole. Si tratta anzitutto di fatti specifici. Da più parti è stato affermato che il contratto per l'acquisizione di Telekom Serbia da parte di STET, attraverso la società controllata STET International Netherlands era stato stipulato in pendenza di sanzioni contro la Repubblica federale jugoslava e che, quindi, il Governo italiano avrebbe dovuto intervenire per impedirne la conclusione. Ma, onorevoli colleghi, sapete bene che nel giugno del 1997, allorché la STET prese una partecipazione, peraltro minoritaria, in Telekom Serbia, le sanzioni adottate dall'Unione europea e dagli Stati Uniti contro la Repubblica federale jugoslava erano state tolte ormai da un pezzo. Vi ricordo altresì che, a seguito degli accordi di Dayton del 21 novembre 1995, che sancivano, con il benestare di Belgrado, il nuovo assetto costituzionale della Bosnia Erzegovina, Milosevic era tornato ad assumere il ruolo di interlocutore, anche se problematico, dell'Occidente, Stati Uniti in testa.
Sul piano giuridico, il 1o ottobre 1996, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva revocato le sanzioni economiche e il provvedimento era stato recepito nell'ordinamento italiano e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 258 del 4 novembre 1996, cioè più di sei mesi prima della conclusione del contratto STET-Telekom Serbia. Il 27 aprile 1997, poi, il Consiglio degli affari generali dell'Unione europea aveva addirittura deciso di ripristinare nei confronti della Repubblica federale jugoslava le cosiddette preferenze commerciali generalizzate.
In altri termini, tutti - dico tutti - in quegli anni muovevano dalla convinzione che era legittimo pensare ad impostare con Belgrado le relazioni per un futuro non troppo lontano di normalizzazione. Non si può dunque parlare in tale contesto di cinismo politico, perché diffusa era invece la convinzione che, dopo la fine della guerra in Bosnia, si poteva imboccare con la Repubblica federale jugoslava la via del negoziato.
Non deve dunque stupire il fatto che, nel contesto del programma di privatizzazioni lanciato nel paese tra il 1996 e il 1997, molte imprese occidentali, europee e americane, avessero iniziato trattative con Belgrado. Fu il caso dell'industria del cemento, oggetto di frenetici negoziati, anche se poi rivelatisi inconcludenti, ai quali parteciparono imprese francesi, greche e italiane. Fu il caso delle telecomunicazioni, ove per Telecom Italia si dischiusero prospettive concrete di investimenti; prospettive legittime che già avevano formato oggetto di studi negli anni precedenti e che, tuttavia, non era stato possibile condurre in porto o finalizzare proprio a causa del regime sanzionatorio.
Dalle ricostruzioni da noi effettuate risulta che i negoziati tra l'ente serbo delle telecomunicazioni e STET non dovettero essere semplici. Ad essi si oppose l'ala più radicale dei partiti dell'opposizione a Milosevic, mentre un'altra frangia di quegli stessi partiti sembrò sostenere le posizioni ostruzionistiche di alcune aziende europee concorrenti. Mi riferisco alla tedesca Siemens e alla francese Alkatel, imprese queste che temevano, proprio a causa di un'eventuale presenza italiana nella telefonia jugoslava, una pericolosa erosione della rendita di posizione da esse acquisita negli anni precedenti, e in violazione delle sanzioni, con la conclusione di contratti di fornitura di materiali e di tecnologie nel settore telefonico. Il valore complessivo di tali contratti ammontava ad oltre 300 milioni di marchi.
Con queste mie affermazioni non penso, onorevoli colleghi, di rivelare alcunché di nuovo. Lo stesso quotidiano La Repubblica, in un articolo pubblicato il 6 giugno 1997, dopo aver ricordato che varie società europee «gironzolavano intorno alla Telekom serba», riportava i commenti di circoli diplomatici secondo i


Pag. 3

quali: «se Roma avesse posto il veto alla STET, altre capitali avrebbero offerto a Milosevic una bombola di ossigeno».
Aggiungo, per connessione di argomento, che il 17 ottobre 1997, cioè dopo che STET aveva raggiunto con Telekom Serbia l'accordo del 9 giugno, l'ambasciata degli Stati Uniti si rivolgeva a noi per chiedere i buoni uffici di Telecom Italia per sbloccare una trattativa in corso con Telekom Serbia sull'attivazione di un nuovo impianto di telecomunicazioni via satellite presso l'ambasciata americana a Belgrado, richiesta che venne esaudita con risultato positivo.
Sui contorni tecnici dell'operazione mi attengo a quanto la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero del tesoro hanno accertato sulla base di una verifica dello stato degli atti e reso noto con un comunicato stampa del 22 febbraio scorso che, cioè, agli atti del Tesoro non risulta alcuna corrispondenza né comunicazione verbale tra la società ed il Ministero riguardo all'acquisizione dell'operazione né l'invio di comunicazioni in proposito risulta agli atti di Telecom.
In particolare, numerosi ed approfonditi riscontri mostrano che all'azionista Tesoro non fu data, né preventivamente, né successivamente all'esecuzione dell'operazione in questione, alcuna comunicazione. Per i suoi limitati profili strategici si trattava di un'acquisizione di quote non di controllo nonché per il livello che la società acquirente aveva nel gruppo STET (era infatti una controllata di secondo livello) non era necessario darne comunicazione all'azionista né ciò è stato fatto.
Ciò che invece mi preme di farvi osservare è che il rapporto contrattuale stretto con Telekom Serbia fu il risultato di una decisione intervenuta nell'ambito dell'assoluta autonomia in cui si muovono le aziende nei nostri sistemi economici. Non c'erano, per le ragioni che ho detto poc'anzi, giustificazioni per un intervento del Governo volto a far desistere la STET dall'acquisizione di una partecipazione in Telekom Serbia.
Le fonti di informazione del Ministero degli affari esteri furono essenzialmente i giornali serbi, in particolare Nin e Nasa Borba, che ne parlarono nel febbraio del 1997, e le indicazioni di massima che la stessa STET fornì, sempre nel febbraio del 1997, alla nostra direzione generale degli affari economici. Che l'informativa - e soltanto l'informativa - ci fosse pervenuta nel corso delle ultime fasi del negoziato emerge chiaramente da una comunicazione del nostro ambasciatore a Belgrado che nel febbraio del 1997 faceva stato di voci che egli riferiva con riserva circa l'eventuale conclusione dell'acquisto da parte della STET di una quota dell'ente serbo delle telecomunicazioni. Insomma, né le autorità di Belgrado né la STET ebbero mai ad intrattenere me personalmente né il Ministero sulla condotta di trattative, che furono invece portate avanti direttamente dalla sole parti interessate.
Nell'operazione STET-Telekom Serbia il Governo italiano, non essendo intervenuto, non ha acquistato né meriti né demeriti; però, quando io seppi che questo accordo era stato concluso, me ne rallegrai proprio perché un'azienda italiana aveva prevalso sulle altre concorrenti.
Non mi pare che debba essere passata sotto silenzio la circostanza che, una volta concluso questo accordo, l'azionista italiano in Telekom Serbia, pur non potendo influire sulla gestione finanziaria dell'azienda mantenuta sotto il diretto controllo del management serbo, fu determinante, a differenza dell'azionista greco, nell'impedire l'assunzione alla presidenza e all'entrata in consiglio di amministrazione di esponenti del partito dell'ultranazionalista Seselj, alleato di Milosevic. Per tale fermo atteggiamento le attuali autorità di Belgrado non hanno mancato di esprimere il loro apprezzamento positivo.
Consentitemi a questo punto una considerazione di carattere generale, suggerita indirettamente dalla vicenda di cui stiamo parlando. Non posso nascondere, alla luce di talune subdole vociferazioni, un certo disagio tutte le volte che il Ministero degli affari esteri viene chiamato a prestare assistenza alle aziende


Pag. 4

italiane operanti all'estero. Ripeto: questa riflessione non si applica all'operazione STET-Telekom Serbia che, per le ragioni che vi ho illustrato, si è sviluppata al di fuori di qualunque coinvolgimento dell'amministrazione degli esteri.
Ma su questo tema va fatta la più grande chiarezza perché la creazione di condizioni volte a favorire una presenza più incisiva della nostra imprenditoria sui mercati esteri non è un compito lasciato - per così dire - al buon volere o meno dei diplomatici, essa rientra invece nei compiti istituzionali del Governo ai quali esso non può certo permettersi il lusso di sottrarsi ogni qual volta si tratta di perseguire obiettivi leciti e rientranti nelle priorità generali. Si tratta di un'azione che tutti i nostri partner svolgono con un'intensità forse maggiore rispetto alla nostra. E ciò perché altri Governi, sorretti anche da strumenti più adeguati, interpretano il ruolo della diplomazia moderna correttamente in tutte le sue sfaccettature, compresa quella attinente alle attività economiche, commerciali e finanziarie.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, farei un torto a questo Parlamento se, nel richiamarmi ad una vicenda su cui si sono innestate squallide speculazioni, sottacessi il complesso contesto in cui questa si è svolta e, più in generale, la cornice entro la quale si è concretizzata la nostra presenza nell'area balcanica: una presenza attiva, dettata da motivazioni elevate e sorretta da obiettivi rispondenti ad esigenze di stabilità, di sicurezza e di tutela dei diritti umani fondamentali; una presenza che vede impegnati a tutt'oggi funzionari dell'amministrazione civile ed un importante contingente militare, il più consistente dopo quello degli Stati Uniti d'America.
Gli obiettivi centrali che guidarono l'azione dell'Italia, sia individualmente che nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'Unione europea, dell'OSCE, del Consiglio d'Europa e della NATO, rispondevano ad una serie di esigenze precise: occorreva, innanzitutto, attenuare le tensioni che avevano raggiunto in certi momenti - prima in Bosnia e poi in Kosovo - livelli altissimi; occorreva assicurare, in circostanze talvolta drammatiche, la tutela delle minoranze etniche e religiose; occorreva utilizzare margini di flessibilità per misurarsi di volta in volta sulle istanze vere provenienti dagli stessi protagonisti della crisi; occorreva, in tutto questo, puntare all'interesse prioritario dell'Italia e a quella che in sintesi definirei una stabilizzazione democratica della regione, costringendo Milosevic a cambiare i suoi metodi e, al contempo, incoraggiando le forze democratiche del cambiamento; occorreva, ancora, attuare un serrato raccordo con tutti i nostri partner, in particolare nell'ambito dell'Unione europea, creando sinergie e agendo di comune accordo.
Alcuni passaggi contenuti nelle mie dichiarazioni di quegli anni in Parlamento - nel periodo tra il 1996 e il 1999 - mi paiono significativi dell'assoluta coerenza e dell'altrettanto assoluta trasparenza della nostra condotta politica. Non starò qui a dilungarmi su di essi; mi limiterò a dire che essi furono e sono espressione di una politica dal respiro ampio e globale, di una genuina propensione, in nome degli interessi superiori dell'Italia e in costante raccordo con i nostri partner, alla stabilità e alla pace: una pace fondata sui valori di cui la società italiana è portatrice e, quindi, sul sostegno alla domanda di democrazia, alle riforme, alle dinamiche sociali verso standard di convivenza, di collaborazione, di tolleranza, di dialogo, di sicurezza collettiva e di sviluppo.
Sostenere, dunque, come taluni fanno impropriamente per non so quali fini, che l'Italia ebbe in quegli anni una posizione favorevole a Milosevic significa operare una semplificazione storicamente e politicamente inaccettabile dei problemi che avevamo davanti a noi perché agimmo, allora, in nome di una stabilità che non ci facesse deviare dalle considerazioni umanitarie e dal rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo e lasciasse aperta, fino ai limiti del ragionevole e del sopportabile, la porta del dialogo. E quando questo dialogo si rivelò impossibile non esitammo,


Pag. 5

in piena intesa con gli alleati occidentali, a imboccare la sofferta via del ricorso alla forza.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'assoluta necessità di chiarire il significato della nostra azione e, conseguentemente, di sbugiardare (come si dice dalle mie parti) alcune ricostruzioni arbitrarie e fantasiose, mi porta (e me ne scuso anticipatamente con voi) a tornare sui momenti più significativi della politica italiana nei Balcani.
Tra il 1996 e il 1997, le iniziative della comunità internazionale si concentravano su Milosevic per indurlo ad innescare, dopo gli accordi di Dayton, il processo di democratizzazione della Serbia.
La prima delle mie due missioni a Belgrado, quella del 12 dicembre del 1996, aveva come obiettivo quello di convincere Milosevic ad accettare la venuta in Serbia di una missione dell'OSCE per un controllo dei voti elettorali resosi necessario a causa delle contestazioni mosse dall'opposizione dei risultati delle elezioni amministrative. La missione ebbe successo e spianò così la via all'arrivo a Belgrado dell'inviato speciale dell'OSCE, Felipe Gonzales, che portò all'insediamento di nuovi sindaci in tutte le municipalità rivendicate dai partiti dell'opposizione.
Ricordo che nel corso di quella visita incontrai anche i tre leader di Zajedno - Draskovic, Djindijc, oggi Primo ministro della Serbia, e Vesna Pesic - proprio per sottolineare il sostegno italiano nei confronti dei movimenti di opposizione. La mia visita non rappresentò un episodio isolato, tanto è vero che nel gennaio successivo l'allora sottosegretario agli esteri Piero Fassino si recava nella capitale serba per incontrare oltre che Milosevic e Milutinovic, gli esponenti di Zajedno e rappresentanti del mondo studentesco, della società civile e dei mezzi di informazione indipendenti.
Fassino era latore di due miei messaggi. Nel primo, indirizzato a Milosevic, sottolineavo l'urgente necessità di attuare il rapporto Gonzales in tutte le sue parti, anche per quanto riguardava il municipio di Belgrado per il quale ancora sussistevano esitazioni da parte delle autorità federali; e invitavo queste ultime, anche in vista delle elezioni politiche del settembre del 1997, a intraprendere un dialogo costruttivo con l'opposizione in tema di libertà di stampa, di legge elettorale e di altri aspetti della vita sociale in Serbia.
Nel secondo messaggio, indirizzato all'opposizione, nell'esprimere apprezzamento per la condotta dei leader politici del movimento e per l'andamento pacifico delle dimostrazioni in corso a Belgrado, confermavo il pieno sostegno del Governo italiano nel perseguimento dell'obiettivo delle riforme, in vista, in particolare, della scadenza elettorale di settembre.
In coerenza con queste linee, accolsi a Roma, il 17 gennaio del 1997, i tre leaders di Zajedno: la capitale italiana fu una delle primissime capitali ad accogliere Draskovic, Dijndijc e Vesna Pesic e ad offrire loro, in una affollatissima conferenza stampa congiunta alla Farnesina, una visibilità internazionale.
Sul medesimo tema dell'appoggio alle forze del cambiamento in Serbia, organizzammo il 31 gennaio del 1997 a Roma una riunione del gruppo di contatto, in cui, oltre a un esame della situazione in Bosnia, studiammo i modi per un sostegno più puntuale a Zajedno e per attivare nel paese un dialogo sulle riforme.
È appena il caso di ricordare che ai lavori del gruppo di contatto, in cui l'Italia era stata pienamente inclusa a partire dal 1996, demmo un importante impulso, dato che lo ritenemmo indispensabile vuoi come luogo di formazione del consenso tra Europa, Stati Uniti d'America e Russia, vuoi come sede che ci consentiva di svolgere un ruolo costruttivo in un'area per noi di prioritario interesse.
Nel settembre del 1997 ebbero luogo in Serbia le elezioni politiche, i cui risultati furono ancora a favore di Milosevic.
Tornai la seconda volta a Belgrado il 15 dicembre del 1997. Nel mio incontro con Milosevic, insistetti per una opera di moderazione sull'ala radicale dei serbi di Bosnia-Erzegovina, alla luce dei rischi di destabilizzazione derivanti dai risultati delle elezioni bosniache del novembre del


Pag. 6

1997; per quanto riguarda il Kosovo, manifestai il mio disaccordo sulla decisione di Belgrado di abbandonare i lavori della «Peace Implementation Conference» di Bonn e insistetti per un dialogo con il leader politico kosovaro Rugova, segnatamente per la fissazione di una data per l'apertura dell'Università interetnica di Pristina.
Ricordo che Rugova fu invitato a Roma in varie riprese, in particolare il 3 giugno del 1998, per sottolineare l'appoggio italiano al progetto di ampia autonomia della regione e la nostra piena solidarietà alla causa dei diritti umani, al metodo pacifico di lotta che caratterizzava il movimento, al disegno politico complessivo ispirato alla determinazione ma anche alla gradualità nel perseguimento degli obiettivi.
Nella primavera del 1998 riuscimmo, grazie alla nostra azione, a fare accettare a Belgrado un «documento di principi» volti a favorire un negoziato tra Markovic, delegato di Milosevic, e Rugova. Negoziato basato, da un lato, sul rispetto dei principi dell'OSCE, del Consiglio d'Europa e delle Nazioni Unite e, dall'altro, sul riconoscimento della violenza quale «strumento non accettabile per il conseguimento di obiettivi politici». In occasione della riunione del gruppo di contatto, che convocammo a Roma il 29 aprile 1998, adottammo un documento nel quale gli Stati Uniti, la Russia, il Regno Unito, la Francia, la Germania e l'Italia, «premessa la ferma contrarietà del gruppo all'ipotesi dell'indipendenza del Kosovo, come la continuazione del status quo», condannavano fermamente l'uso della forza da parte dell'esercito federale iugoslavo ed invitavano le parti ad avviare urgentemente il dialogo nel quadro di un «pacchetto di stabilizzazione» basato su alcuni principi fondamentali, quali la cessazione della repressione da parte delle autorità di Belgrado, la riapertura degli uffici dell'OSCE in Jugoslavia, incluso il Kosovo, e concrete misure fiduciarie intercomunali.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, purtroppo l'episodio del massacro di Racak del 20 gennaio 1999, su cui riferii alle Commissioni congiunte esteri e difesa della Camera dei deputati e del Senato il giorno dopo, interruppe bruscamente la difficile opera di ricucitura del negoziato.
Tra il febbraio e il marzo 1999 il gruppo di contatto tentò di esperire fino in fondo a Rambouillet la via della trattativa delle parti in causa, sulla base di una piattaforma che prevedeva per il Kosovo una larga autonomia nel quadro della Repubblica federale di Jugoslavia, per un arco di tempo transitorio e a condizione di un monitoraggio NATO nella regione. Il negoziato fallì, perché, da un lato, i kosovari non volevano accettare uno statuto temporaneo di autonomia senza la certezza dell'indipendenza e, dall'altro, i serbi rifiutarono una presenza militare della NATO come garanzia dell'applicazione delle intese. Tuttavia, i kosovari si indussero in extremis, dietro strenue pressioni americane, a firmare i testi, procedendo al contempo a una dichiarazione interpretativa unilaterale in cui si contestava l'ambiguità della formula finale relativa allo svolgimento di un referendum popolare dopo un periodo transitorio di tre anni.
Tentammo, insieme ad altri europei ed al negoziatore dell'Unione europea, l'ambasciatore Petrisch, di convincere la parte serba a comportarsi in modo analogo, accettando quantomeno il testo politico dell'accordo con una dichiarazione interpretativa che lasciasse aperte le modalità di attuazione.
Diversamente da tutto quello che si è detto e speculato sugli eventi di Rambouillet, il mio personale intervento nei confronti della parte serba in tale occasione fu rivolto a far accettare all'allora presidente serbo Milutinovic, presente in loco a fianco della delegazione guidata da Markovic, i termini di una presenza militare internazionale di garanzia nel corso dell'intero periodo di attuazione del negoziando accordo. L'intervento era del tutto in linea con le posizioni degli altri europei e dei russi, anch'essi animati dalla preoccupazione di non lasciare nulla di intentato in un'assise che si percepiva essere ultimativa.


Pag. 7


Ogni altra speculazione comparsa sulla stampa deve considerarsi falsa e dettata, verosimilmente, da quanti, in quello stesso momento e con responsabilità diverse rispetto a quelle di Governo, perseguivano obiettivi divergenti da quelli convenuti di una soluzione consensuale e pacifica della crisi kosovara. Voglio qui ricordare che il segretario di Stato americano, la signora Albright, mi ha pubblicamente espresso le sue scuse per le illazioni e le dichiarazioni rilasciate alla stampa da taluni suoi collaboratori.
La trattativa di Rambouillet si concluse, come riferii in Parlamento, il 23 marzo 1999, con una scarna dichiarazione in cui i due copresidenti, miei colleghi, Robin Cook e Hubert Védrine, si limitavano a prendere atto, da un lato, della firma kosovara sui testi di quello che avrebbe dovuto essere un accordo e, dall'altro, che Belgrado opponeva resistenza a procedere nello stesso senso. Di questa dichiarazione veniva data notifica a Milosevic in una breve lettera equivalente sostanzialmente ad un ultimatum e in cui, su richiesta dei russi e nostra, veniva omessa la data di scadenza in modo da lasciare a Belgrado un ulteriore spiraglio per la firma.
L'azione da me condotta in quel momento, assieme ad altri ministri europei, puntava a sfruttare tutti i possibili margini di negoziato tra le due parti, come era logico che fosse prima di procedere ad un intervento diretto militare della NATO, che, in assenza di un accordo, si sarebbe poi dimostrato inevitabile.
La prova che non vi erano divergenze sugli obiettivi da perseguire è data dal fatto che l'americano Holbrooke, che aveva negoziato a Dayton e, poi, per il Kosovo, si recò a Belgrado il 23 marzo del 1999 dopo la riunione di Rambouillet. Egli, facendo leva sull'influenza che aveva saputo esercitare sul dittatore serbo ai tempi delle trattative sulla Bosnia Erzegovina, cercò di convincere Milosevic a venire a più miti consigli, senza, tuttavia, riuscire nell'intento che tutti, nell'ambito del gruppo di contatto, condividevano senza riserve.
Il nostro dialogo con Belgrado cessò immediatamente dopo Rambouillet. Una volta deciso l'intervento militare della NATO, l'Italia fece pienamente la sua parte nell'operazione «Allied Force», durata più di ottanta giorni, mettendo a disposizione dell'alleanza le nostre forze militari, i nostri porti, aeroporti, risorse umane e tecnologiche.
Iniziata l'operazione militare, cercammo, sempre in sintonia con i nostri alleati, di creare le condizioni per mettere fine ai bombardamenti e di ricercare una soluzione politica. Tale soluzione si tradusse, il 10 giugno del 1999, nella risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, adottata con il contributo determinante della Russia. Tale risoluzione prevedeva, fra l'altro, in vista di un assetto di ampia autonomia del Kosovo nell'ambito della Repubblica Federale di Jugoslavia, l'immediato ritiro delle ruppe serve e lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza e civile con una sostanziale partecipazione militare della NATO.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, giunto al termine di questo excursus, che ho cercato di contenere in un lasso di tempo non troppo fastidioso, penso che anche coloro che nutrivano dubbi magari in buona fede debbano rendersi conto dell'evidenza e cioè che la coerenza e la trasparenza sono stati i soli criteri che guidarono sempre, anche nei momenti più difficili, l'azione italiana confortata dall'appoggio, mai venuto meno, di questo Parlamento.
Certamente mi rendo conto che la complessità e le difficoltà che hanno accompagnato in questi ultimi anni la nostra politica, come quella dei nostri partner nei Balcani, sono state all'origine di incomprensioni e di equivoci.
Nel caso della Serbia, il gruppo di contatto si trovò a dover ricercare un equilibrio tra la difesa dei principi democratici, portati avanti dalla opposizione a Milosevic, e il tentativo di non vanificare gli sforzi volti a convincere le autorità serbe che l'unica via da percorrere era quella delle riforme democratiche.


Pag. 8


Sul piano più generale, soprattutto l'Italia si fece carico, negli ultimi anni e per intuibili ragioni di carattere geo-strategico, di delicati compiti e pesanti oneri anche finanziari legati alla stabilizzazione dell'intera area balcanica. Penso, in particolare, all'Albania e agli impegni che assumemmo inaugurando e guidando l'operazione «Alba» nel momento in cui il collasso che minacciava il paese rischiava di avere ripercussioni su tutta la regione.
In un quadro così complesso, a fronte della dissoluzione di un intero paese e delle sue drammatiche conseguenze, non può esserci spazio - in un'analisi seria - per interpretazioni semplicistiche o ricostruzioni di comodo. Altro sarebbe interrogarsi sulla congruità dei mezzi della diplomazia tradizionale a fronte delle sfide degli ultimi anni, dei passaggi epocali che l'Occidente e l'Oriente si sono trovati a vivere improvvisamente, all'inizio quasi senza rendersene conto, come il personaggio di Stendhal che si ritrova a Waterloo quando la battaglia è già finita.
Restando al contesto che ho descritto, basti oggi osservare, e qui concludo, quanto sia stato fuori luogo l'aver voluto insinuare che, in un'area così nevralgica come quella balcanica, l'impegno e la proiezione della nostra politica estera - politica portata avanti dal Governo con il conforto e con il consenso del Parlamento - possano essere stati influenzati da una operazione finanziaria condotta da una delle nostre aziende: operazione su cui, alla luce delle conoscenze del Governo, sono lieto di aver potuto riferire a questa Assemblea. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo e Rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Taradash, che dispone di quattro minuti. Ne ha facoltà.

MARCO TARADASH. Signor Presidente, signor ministro, lei avrebbe dovuto riferire su quest'operazione commerciale ma, in realtà, non lo ha fatto. Lei ha fatto un intervento di alta politica estera ed io non ho il tempo di replicare; vorrei soltanto dirle che la mia opinione in materia di politica estera è diametralmente opposta alla sua. Ritengo che l'interesse dell'Italia e del mondo democratico sia quello di globalizzare la democrazia e di fare i passi necessari in questa direzione. Ritengo che il Governo da lei rappresentato, in politica estera abbia generalmente scelto la strada opposta e che il capitolo, secondo me molto triste, delle nostre relazioni con Milosevic si inserisca all'interno di una politica degli affari e della «realpolitica» che ha danneggiato - e non avvantaggiato - la possibilità di azione internazionale del nostro paese.
Detto questo, vorrei però richiamarla agli argomenti in discussione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI PETRINI (ore 9,42)

MARCO TARADASH. Stiamo discutendo - e avremmo voluto da lei informazioni che non ci ha dato da nessun punto di vista - sul merito di un'operazione commerciale compiuta da due aziende di Stato, Telekom Serbia e Telecom Italia, allora di intera proprietà pubblica, avvenuta nel 1997 all'indomani del trattato di Dayton, nel momento in cui Milosevic forse appariva in occidente un interlocutore possibile, in quanto prostrato o fiaccato. Quell'accordo, facendo affluire nelle casse del Governo serbo molti miliardi di lire, consentì a Milosevic di sanare innanzitutto alcuni suoi piccoli problemi di pagamenti di pensioni per il popolo serbo, di stipendi per i militari, di benzina per i tank militari e gli offrì una possibilità di ripresa che, altrimenti, non avrebbe avuto.
Signor ministro, è possibile che lei riduca un accordo di questo genere, con i 700 milioni di marchi pagati in contanti nelle ventisei ore successive alla stipula, soltanto ad un'operazione commerciale sulla quale il Governo non aveva nulla da dire né da sapere? Lei ci dice che non sapevate nulla e che l'operazione non vi


Pag. 9

riguardava: questo secondo me è un atteggiamento falso e, quantomeno, irresponsabile. Lei avrebbe dovuto sapere di questo accordo, avrebbe dovuto conoscerne i particolari perché esso coinvolgeva la politica estera italiana e le relazioni internazionali dell'Italia. Se non lo seppe fu perché non volle; ciò è altrettanto grave del fatto che lei avesse saputo e fosse stato a conoscenza dei particolari dell'operazione che oggi lei avrebbe avuto il compito di illustrare, ma non l'ha fatto. Non ci ha spiegato perché dal 1995 in avanti la Telecom fosse stata investita della proposta di acquisto e avesse valutato come inaccettabili le condizioni; perché improvvisamente, invece, l'accordo sia stato reso possibile addirittura con una supervalutazione da parte della società di consulenza italiana rispetto alla società di consulenza serba, vicenda che giustifica - e che, invece, lei avrebbe dovuto smentire - l'esistenza di una tangente del 3 per cento. Non ci ha spiegato dove sia finita questa tangente, perché l'accordo sia stato coperto dal segreto di Stato in Serbia, perché in Italia neppure il consiglio di amministrazione della Telecom ne sia stato a conoscenza, perché il presidente successivo della Telecom in via di privatizzazione, Bernabè, abbia disposto un'inchiesta che ha poi messo in luce che vi erano più punti oscuri che trasparenza all'interno dell'accordo. Tutte queste domande - ed altre che non ho il tempo di porre - le erano state già poste attraverso varie interpellanze, compresa la mia; lei ci ha parlato di politica estera: è stato un modo per eludere la politica estera.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor ministro, questo argomento le ha consentito di parlare di politica estera.

LAPO PISTELLI. È il ministro degli affari esteri!

MARIO TASSONE. Onorevole Pistelli, lei è molto cresciuto nella sua storia politica e comprende ciò che intendo dire, ovviamente.

BEPPE PISANU. Anche le tangenti sono internazionali!

RENATO CAMBURSANO. Ha una grande esperienza!

MARIO TASSONE. Quando abbiamo esaminato i disegni di legge di conversione dei decreti-legge sull'Albania e sui Balcani, più volte abbiamo chiesto un'informativa completa da parte del Governo e del ministro degli affari esteri; essa ci viene fornita a fine legislatura, sotto la spinta di una vicenda particolare ed inquietante. A lei non sfuggirà, ovviamente, che ci troviamo di fronte ad una situazione anomala, soprattutto perché in politica estera vi è sempre stata la corale adesione, il corale sostegno e la corale deliberazione del Parlamento.
Su tale vicenda, signor Presidente e signor ministro, a dire il vero, ritengo che bisogna evitare speculazioni e strumentalizzazioni; per la seconda volta in due giorni, da parte di un rappresentante del Governo, sento invocare, evocare o rappresentare in quest'aula lo spauracchio della strumentalizzazione e della speculazione. Affinché non vi siano né l'una né l'altra, è necessario seguire un filo coerente e logico.
Ciò che il paese intende conoscere, signor ministro, è il vero rapporto ed il vero accordo, che non ha soltanto natura commerciale, che vi è stato fra gli enti di Stato Telekom Serbia e Telecom Italia e la realtà della Serbia stessa. Quel che vuole conoscere il Parlamento, ed attraverso di esso il paese, è la linea conduttrice e coerente seguita dal Governo italiano.
Ciò che inquieta tutti noi, signor ministro, è la sua affermazione che i fatti li ha conosciuti in ritardo oppure che non li ha conosciuti. Non è che non le creda, per carità - ho molto rispetto nei suoi confronti, lei lo sa, e non ho elementi per non crederle -, ma è inquietante che una vicenda di così grosse proporzioni che ha riguardato la Serbia non sia conosciuta


Pag. 10

dai nostri responsabili della missione diplomatica in quel paese, anche perché lei ha fatto riferimento ad un'informativa segreta e riservata dell'ambasciatore.
Credo che vi sia un altro dato da rilevare ed evidenziare. La politica del nostro paese nei confronti di Milosevic è stata intermittente, alterna; gli episodi che lei ha riferito al Parlamento molte volte sfuggono ad una costruzione logica e ad una visione strategica di politica estera. Non c'è dubbio, signor Presidente, signor ministro - concludo -, che vi sono stati rapporti anomali tra il nostro paese, il nostro Governo ed alcuni circoli della Serbia; si pone, pertanto, il problema di Milosevic, che forse richiama altre responsabilità ed altri alleati. Visto che lei ha voluto rendere un'informativa di politica estera, forse questa doveva essere più completa, più veritiera, più rigorosamente attinente alla realtà ed alle vicende che hanno interessato alcuni alleati autorevolissimi del nostro paese nel rapporto con Milosevic.
Signor ministro - ho finito veramente, Presidente -, la sua informativa non rimuove ovviamente le preoccupazioni e le perplessità e non credo possa avere un'autorevolezza tale da fugare le parti oscure e le ombre che permangono tutte intere sul comportamento del Governo italiano in questa particolare vicenda riferita alla Serbia (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CDU, di Forza Italia e misto-CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Liotta. Ne ha facoltà.

SILVIO LIOTTA. Signor Presidente, signor ministro, la sua informativa non ha fugato alcuno dei dubbi né ha risposto ad alcuno degli interrogativi posti alla sua attenzione da diversi strumenti ispettivi presentati alla Camera, anzi la sua relazione è andata fuori tema perché non le si chiedeva una conferma della politica estera dell'Italia rispetto ai problemi dei Balcani ma le si chiedeva di rispondere chiarendo se gli accordi della Telekom Serbia rappresentassero o potessero rappresentare l'aspetto più evidente di una politica bifronte messa surrettiziamente in atto dal Governo italiano che, da una parte, da un punto di vista ufficiale, concorre agli accordi di Dayton, mentre, da un punto di vista commerciale, li smentisce, facendo passare in sordina un accordo come quello stipulato con la Telekom Serbia. Che non fosse un accordo di poco conto, signor ministro, lo ha fatto intendere lei stesso, quando ha parlato dell'informativa che ha ricevuto dall'ambasciata del paese balcanico, anche se lei ha riferito in termini di: «si dice».
L'operazione della Telekom Serbia non è un fatto isolato. Per questo è impensabile che la direzione generale degli affari economici del Ministero degli affari esteri non avesse potuto e dovuto prestare particolare attenzione all'argomento, perché dal 1990 al 1997 tutta una politica delle partecipazioni della Telecom e della STET non dico che avesse messo in allarme ma avrebbe dovuto certamente porre all'attenzione del Governo italiano gli accordi che, a macchia d'olio, la Telecom e la STET avevano realizzato: 13 partecipazioni in Europa relative a 9 paesi; 17 partecipazioni nell'America latina relative ad 8 paesi. Tra quelle dell'Europa, vi era anche quella della Telekom Serbia. Quindi, non era un fatto insussistente che potesse sfuggire all'attenzione del Governo italiano. Se è sfuggito all'attenzione o se non è stata valutata appieno la segnalazione fatta dall'ambasciata della Serbia, ciò è avvenuto perché lo si è voluto in quel momento, visto che una politica bifronte da un lato condannava l'azione di Milosevic, che prostrato, firmava gli accordi di Dayton, e dall'altro, invece, lo aiutava perché potesse riacquistare peso all'interno del suo paese e potesse disporre di nuovi mezzi.
A ciò si collegano il falso in bilancio e la corruzione. Su questi temi nessuno ha voluto dire oggi una parola. È pur vero che è in corso un'indagine dell'autorità giudiziaria ma non siamo chiamati a sostituire il verdetto dell'autorità giudiziaria: noi siamo qui per dare un giudizio politico su un fatto di gravissima rilevanza internazionale che si è verificato. Torno a dire,


Pag. 11

infatti, che non è stato un fatto isolato: era una politica generale delle partecipazioni nella quale quella della Serbia si inseriva; una politica, torno a dirlo, pericolosa che si presta a un doppio giudizio.
Presidente, non possiamo condannare a priori una politica delle partecipazioni che le grandi aziende italiane realizzano nel nostro paese.
È molto strano che nel parlare di Telekom Serbia il ministro non abbia voluto dire che la politica di quell'azienda si inserisse nel quadro complessivo di una politica di espansione della stessa nel mercato internazionale. Lei, signor ministro, da una parte dice che non sapeva e da un'altra precisa di essersi poi complimentato per l'operazione che era stata conclusa perché l'azienda italiana aveva sconfitto gli altri pretendenti: ma non c'erano altri pretendenti. I pretendenti erano solo due: l'Italia e un altro che lei non ha voluto citare.
Lei, signor ministro, non ha parlato dell'altro concorrente né della maggiore somma che, operando una sovrastima, Telecom Italia ha offerto a Telekom Serbia. Il suo intervento, signor ministro, è stato lacunoso. Lei riteneva di aver fugato i nostri dubbi. Essi invece rimangono integri e completi e anzi noi ci ripromettiamo, per quanto riguarda la politica delle partecipazioni che fanno riferimento a tutto il periodo in cui l'azionista pubblico era determinante per il capitale della Telecom e della STET, di chiedere nella sede della Commissione bilancio un approfondito dibattito affinché questa politica possa venire chiaramente alla luce. La sua relazione di oggi, per le cose che le abbiamo chiesto, ci sembra fuori tema, signor ministro, e non possiamo approvarla (Applausi dei deputati del gruppo misto-CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.

RAMON MANTOVANI. Signor presidente, signor ministro, lei dice che il Governo non conosceva e non sapeva dell'intenzione e poi della trattativa della Telecom per intervenire nel processo di privatizzazione di Telekom Serbia. Ne prendiamo atto. Sicuramente abbiamo tutti saputo che la Telecom italiana aveva comprato una quota consistente della Telekom serba ben prima che ci fosse la guerra, e io non ricordo di aver udito, né in Commissione esteri, né in quest'aula, nessuna contestazione da parte di chicchessia su quella operazione; nemmeno noi la facemmo, sebbene fossimo avversi a qualsiasi processo di privatizzazione tanto in Jugoslavia quanto in Italia. Tuttavia, ritenemmo che fosse normale nel contesto politico di quel momento, che il Governo di Milosevic aprisse alle privatizzazioni (almeno questa era la sua intenzione dichiarata all'indomani degli accordi di Dayton) e che importanti aziende pubbliche e private volessero partecipare a quel processo di privatizzazione.
Voi, che gradite tanto il bipartisan, l'inciucio sulla politica estera, avete dato buona prova di voi - parlo all'opposizione di destra - perché avete inciuciato, avete taciuto, caso mai aveste al tempo delle riserve o dei dubbi sulla politica estera del nostro paese. Del resto, cari colleghi della destra, dovreste ricordare che il Governo Prodi non esitò a svolgere presso uno dei regimi più sanguinari che esistevano sulla faccia del pianeta, quello dell'Indonesia, una visita ufficiale, preceduta da una visita ufficiale del ministro della difesa che vi si recò con uno stuolo di imprenditori, produttori di armi italiane, a vendere armi all'Indonesia poche settimane prima che quel regime cadesse travolto dagli scandali e dal crack finanziario al quale aveva condotto il paese. Avete taciuto anche allora; siete stati zitti! E allora, certe accuse che oggi vengono fatte al Governo hanno molto il sapore della strumentalità. Noi invece abbiamo buon diritto a criticare alcune cose che il Governo ha fatto, soprattutto quelle che seguono il processo di privatizzazione di Telekom Serbia.
Non so se siano state pagate tangenti. Penso di sì, a leggere le ricostruzioni che vengono riportate sui quotidiani. Mi rallegro


Pag. 12

che vi sia un'inchiesta della magistratura. Spero che finiscano in prigione quelli che hanno fatto questa operazione con le tangenti, se l'hanno fatta. Ed essendo entrambe imprese pubbliche, se vi sono politici, uomini di Governo, deputati che hanno in qualche modo svolto il ruolo di intermediari, fatto raccomandazioni o che si sono sporcati le mani in questo processo, spero, mi auguro che vadano in prigione anche loro.
Ma qui stiamo parlando di un'altra cosa: stiamo parlando del fatto - o ve lo siete dimenticato, colleghi? - che i nostri bombardieri hanno bombardato proprietà italiane. Non vi siete accorti che i bombardieri della NATO hanno bombardato, come obiettivo prioritario, il sistema di telecomunicazioni serbo posseduto al 49 per cento da un'industria italiana, per giunta parzialmente pubblica? Non vi siete accorti che la Zastava era partecipata dalla Fiat, che ha concorso al processo di privatizzazioni in Jugoslavia e ha comprato quote consistenti di imprese jugoslave?
Credo che ci sia una cosa che il Governo debba chiarire ma che non chiarirà, perché non lo ha mai fatto. Io lo chiedo da quando siedo in questo Parlamento: la SACE, signor ministro degli esteri, ha assicurato questo investimento della Telecom? Perché la SACE è un luogo di malaffare, lo dico esplicitamente. Finché il Parlamento italiano non potrà sapere quali sono le coperture assicurative, come e con quale logica sono decise, continuerò a dire - e voglio essere smentito - che quello è un luogo di malaffare, perché dove non vi è trasparenza e girano migliaia di miliardi sicuramente vi è malaffare. Ma tutti i Governi che si sono succeduti alla guida di questo paese, almeno negli ultimi dieci anni, hanno voluto sempre tacere su questo punto della SACE, che anche voi dovreste chiedervi come sia stata gestita.
Sulle questioni politiche sollevate dal ministro vorrei invece ricordare che, all'epoca, gli Stati Uniti definivano Milosevic interlocutore credibile e l'UCK - sono documenti del Dipartimento di Stato - organizzazione terroristica. È chiaro? La svolta in Jugoslavia avviene quando l'UCK viene incoraggiata ad intraprendere azioni armate. E mentre in Kosovo, negli anni precedenti, vi era una fortissima lotta per rivendicarne l'indipendenza, che era stata però sempre condotta in modo pacifico, ad un certo punto si perde il controllo della situazione perché la guida passa nella mani di chi propugna la lotta armata. E quella lotta armata viene foraggiata, viene buttata benzina sul fuoco. È stato fatto tutto in modo scientifico per arrivare ad una crisi, alla controrisposta dei serbi con la pulizia etnica, che è stata una nefandenzza da ogni punto di vista. Ma tutto è stato costruito per poter giustificare un intervento militare della NATO contro le Nazioni Unite e per far chiudere quella guerra, ma non dal Consiglio di sicurezza, signor ministro. Lei dovrebbe infatti ricordare che quella guerra fu chiusa da una riunione del G8: fu lì che fu decisa la mediazione che pose fine ai bombardamenti. È come dire che i sette paesi più ricchi del mondo, che rivolgono inviti a seconda delle circostanze che fanno loro comodo, decidono dei destini del mondo. Questa la chiamo dittatura! Il mondo è retto da una dittatura, perché il G8 è una dittatura, in quanto possiede anche la forza militare per imporre il proprio volere. La guerra nel Kosovo è stata la prima tappa della costruzione di questo nuovo ordine mondiale, e il Governo italiano, in un primo momento, si è assoggettato, in un secondo momento, con la Presidenza D'Alema, ha pretesto di essere protagonista di questo processo, tanto che vergognosamente, per la storia della sinistra, abbiamo avuto un Presidente del Consiglio di sinistra - o sedicente tale - che si è vantato di aver aumentato il prestigio dell'Italia nel mondo facendo sventolare la bandiera nei balcani (la bandiera che è venuta al seguito del bombardamenti, del 93 per cento delle vittime civili, dell'uranio impoverito e di tutti i disastri che sono stati combinati!).
E a proposito di che cosa, voi tutti che avete sostenuto quella guerra entusiasticamente


Pag. 13

venite oggi a fare critiche speculative e strumentali, che hanno le gambe corte perché sono bugiarde? Dovreste chiedervi, invece, che cosa si dovrebbe e potrebbe fare oggi per impedire che si torni ad un altro conflitto, per il quale vi sono tutti i presupposti, visto che la pulizia etnica sta continuando dalla parte opposta e che, con tutta evidenza, le truppe NATO non sono lì per garantire la pace ma per mantenere la situazione nell'instabilità.
Finché non ci sarà una ripresa della stabilità, della pace, delle relazioni normali fra i paesi balcanici, l'Europa sarà sempre più schiava della potenza americana, sarà sempre più assoggettata ad una politica estera fatta di bombardieri, sarà sempre pronta a sacrificare anche i suoi interessi più profondi. Visto che il Governo ha le mani legate dalla sudditanza nei confronti degli Stati Uniti - perché è così - dovrebbe essere compito del Parlamento pronunciare parole di verità, ma, purtroppo, le parole di verità vengono non se si agitano strumentalmente le questioni, ma solo se si ha il coraggio di muovere critiche serie (Applausi dei deputati del gruppo di misto-Rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Veltri. Ne ha facoltà.

ELIO VELTRI. Signor Presidente, signor ministro, lei ha esordito dicendo che non varrebbe la pena di parlare di questa questione: vale la pena eccome! Stiamo parlando di un affaire internazionale, nell'ambito del quale sono corse decine di miliardi di tangenti. Questa è la situazione, signor ministro.
Lei ha affermato che, nel 1997, Milosevic era l'interlocutore privilegiato, ma l'operazione di cui stiamo parlando è cominciata nel 1994 e ciò è stato detto al magistrato da Maslovaric, un supertestimone privilegiato, il quale ha confermato che, alla festa, Milosevic avrebbe detto: «Quei mafiosi di italiani si prendono il 3 per cento di tangenti». Lei ci deve rispondere su questo, signor ministro, e non ci può dire che non ne sa nulla; non dico che lei sappia chi ha preso le tangenti - lo escludo nella maniera più assoluta - ma credo che lei ci debba rispondere sull'affare. Lei ci deve dire, ad esempio, perché il contratto sia stato secretato e perché il presidente di Telecom Italia sia stato tenuto all'oscuro di tutto; ci deve dire perché l'advisor sia stato pagato addirittura da Telecom Italia, il che significa che i soldi depositati sono tornati in Italia sotto forma di tangenti.
Signor ministro, tutto ciò è grave e la riguarda personalmente come ministro degli affari esteri, per due ragioni. In primo luogo, le dichiarazioni rese dal collaboratore della Albright nei suoi confronti sono di una gravità inaudita; io non so se lei lo abbia querelato o meno, ma - ripeto - ritengo siano di una gravità inaudita. Il collaboratore Filippo Di Robilant riferisce che l'Albright avrebbe detto: «Mi vergogno di ripetere quello che Dini sta dicendo alle nostre riunioni». Questo fatto riguarda lei, ma anche il nostro Governo, l'Italia, questo Parlamento e noi tutti. Tutto ciò va chiarito e va chiarito fino in fondo.
In secondo luogo, signor ministro, la prego di tenere in considerazione il seguente aspetto: di fronte all'Europa stiamo facendo una figura incredibile. Le leggo alcuni titoli di giornali stranieri. Il Wall Street Journal parla di «scandalo politico» e di «affaire Telecom Italia-Telekom Serbia», Le Figaro parla di «affaire di Belgrado», ma un giornale tedesco parla di corruzione e titola: «Il ministro degli esteri italiano coinvolto in un caso di corruzione pilotato da Milosevic». E lei ci dice che non vale la pena di parlarne? Di fronte all'Europa che figura facciamo? Vi sono anche altri giornali che fanno riferimento all'argomento, ma non ho il tempo di continuare con le citazioni.
Si tratta, quindi, di un problema che riguarda la corruzione e la magistratura e parlare di tangenti in questo Parlamento non è difficile perché vi sono veri specialisti, signor ministro; ancora una volta abbiamo imparato che non è vero che pecunia non olet: pecunia olet! Altro che,


Pag. 14

il denaro profuma o puzza a seconda delle circostanze. La questione riguarda il ministro degli esteri e il Governo, perché di fronte all'Europa e ai nostri alleati facciamo una figura terribile (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Pagliarini.

GIANCARLO PAGLIARINI. Signor ministro Dini, nel suo excursus, come lei lo ha definito, ha parlato di tante cose, ma non ha affrontato le questioni per le quali è venuto in quest'aula.
Lei doveva rispondere a tre domande ben precise che sono su tutti i giornali. La prima domanda è la seguente: perché il Governo Prodi, utilizzando i quattrini dei contribuenti, ha aiutato il regime di Milosevic? La seconda domanda è: le tangenti che sono state ipotizzate in modo esplicito da alcuni giornali ci sono state oppure no e, se ci sono state, sono rientrate in Italia oppure sono rimaste in Jugoslavia? La terza domanda è la seguente: perché il Governo Prodi in due anni ha portato dall'8 per cento del patrimonio netto consolidato di tutto il gruppo Telecom fino al 35 per cento, quindi ad oltre un terzo, le partecipazioni di minoranza in Serbia, a Cuba, in Argentina e in Brasile? Lei è venuto qui per rispondere a queste tre domande e non per farci una lezione, che ho comunque apprezzato, ma che non c'entrava niente con i motivi per i quali lei è in quest'aula.
Veniamo ai tre punti. Primo: è un dato di fatto che ciò che è successo è una mossa di politica estera che ha oggettivamente evitato il collasso della Serbia e del regime di Milosevic. È un dato di fatto che il regime ha comperato la pace sociale e ha rilanciato la pulizia etnica in Kosovo con i soldi che l'Italia gli ha dato. È un dato di fatto che quel denaro italiano ha salvato il regime. È un dato di fatto che l'Italia manteneva rapporti cordiali con l'opposizione, ma poi faceva affari con il regime. È un dato di fatto che quei 1.500 miliardi hanno tenuto a galla Milosevic per altri tre anni. È un dato di fatto che Milosevic ha trasformato il denaro italiano in consenso politico e benzina per i tanks nelle operazioni di pulizia etnica nel Kosovo.
Lei è venuto qui stamattina e ci ha detto: «se Roma avesse fermato la STET, altre capitali avrebbero offerto a Milosevic una bombola di ossigeno». La domanda è: perché Roma ha offerto una bombola di ossigeno al Governo Milosevic? Lei ha detto: «agli atti del Tesoro non risulta niente su questa operazione». Allora chiudiamo il Tesoro, prevediamo qualcos'altro, mettiamoci qualcuno che lavori veramente, perché non è possibile che su una questione così significativa non risultino atti.
Lei ha detto che questa acquisizione ha limitati profili strategici. Abbiamo salvato un Governo e questo è un limitato profilo strategico! Ha detto che non c'erano giustificazioni per un intervento del Governo. Allora cambiamo Governo, perché una cosa del genere non sta né in cielo né in terra! Ha detto - lo ha ricordato anche il collega - che nel febbraio 1997, tre mesi prima, l'ambasciatore a Belgrado ha riferito di voci di una possibile acquisizione. Allora, se c'erano queste voci, ammesso e non concesso che non sapevate niente, dovevate darvi da fare ed intervenire, perché non era una questione da niente.
Lei ha anche parlato di tutela dei diritti umani fondamentali. Ma quei soldi sono stati usati per la pulizia etnica nel Kosovo. Alla faccia della tutela dei diritti umani fondamentali! Lei stesso oggi, parlando di Milosevic, lo ha identificato come il «dittatore serbo». Allora perché il Governo Prodi ha aiutato un dittatore? Questo è un dato di fatto, signor ministro.
Nel giugno del 1997 il Governo Milosevic era alla bancarotta ed è stato oggettivamente salvato dai soldi che ha incassato da una società che avrebbe dovuto essere controllata dal Governo italiano. Lei stesso ha ricordato che poco dopo, nel mese di settembre del 1997, Milosevic ha vinto le elezioni.


Pag. 15


In conclusione, siamo in presenza di un vero e proprio aiuto del Governo Prodi al Governo Milosevic. La prima delle tre domande a cui lei non ha risposto è proprio questa: perché il Governo Prodi ha aiutato il Governo Milosevic e ne ha oggettivamente consentito la sopravvivenza, tra l'altro all'insaputa di tutti e utilizzando soldi dei contribuenti per comprare infrastrutture che pochi mesi dopo abbiamo bombardato?
È davvero molto difficile credere che il ministro degli esteri del Governo Prodi abbia dichiarato di essere venuto a conoscenza di questa situazione solo dai giornali. Se questo fosse vero, la circostanza sarebbe sicuramente ancora più grave che se l'operazione fosse stata tutta, fin nei minimi particolari, gestita dalla Farnesina.
La seconda domanda, che lei ha tralasciato completamente: queste tangenti, che sono state ipotizzate in modo estremamente esplicito dai giornali, ci sono state oppure no? E se ci sono state, i quattrini sono rientrati in Italia o sono rimasti in Jugoslavia?
Il quotidiano la Repubblica - e lei non poteva non commentarlo in aula - fa capire senza tanti giri di parole che in quell'operazione ci sono state delle tangenti. Anche ieri, martedì 27 febbraio, sono state pubblicate queste dichiarazioni: «I magistrati sono molto interessati a sapere che fine abbiano fatto le tangenti: sono rientrate in Italia o sono rimaste in Jugoslavia, nelle tasche di qualche boss di regime più astuto ancora di Milosevic?». Lei di questo non ha parlato e mi sembra veramente grave. A questo punto, cosa è venuto a fare qua (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia)?
Dagli articoli del quotidiano la Repubblica risulta che i soldi pagati per comperare il 29 per cento della Telekom Serbia sono stati in totale 893 milioni di marchi. Il pagamento è descritto dettagliatamente: 684 milioni subito (il 10 giugno 1997) ad Atene dove c'è un ministro serbo che li ha ritirati in contanti, li ha infilati in sacchi di juta e li ha portati in fretta e furia a Belgrado e poi con quei soldi - lo sappiamo perché è un dato di fatto - Milosevic è riuscito a salvare il suo regime che in quel momento era sommerso da debiti e al collasso finanziario; altri soldi sono stati pagati in altri tempi. Sappiamo che negli stessi giorni altri soldi sono stati versati sul conto n. 6501680000 della banca Paribas di Francoforte e sul conto n. 60949191 della Barclays di Londra.
La domanda è molto semplice e lei non poteva non venire qua e non poteva venire e non dirci niente: a chi sono stati dati i soldi versati alla banca Paribas di Francoforte e alla Barclays di Londra e perché sono stati versati? E perché, commentando questi versamenti, il ministro per le privatizzazioni Milan Beko avrebbe detto - sempre secondo il quotidiano la Repubblica che «il 3 per cento è abituale pagarlo in Occidente ed è doveroso quando si fanno affari con gli italiani» e perché Milosevic avrebbe detto - sempre secondo la Repubblica - «quei mafiosi di italiani ci hanno costretto a pagare 32 milioni di marchi»? Lei avrebbe dovuto dire che querela il quotidiano la Repubblica perché sono affermazioni di una gravità inaudita (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)!

ALESSANDRO CÈ. Sei andato fuori tema, Dini!

GIANCARLO PAGLIARINI. La terza domanda riguarda i movimenti di Telecom nei due anni del Governo Prodi. Noi siamo qui a parlare dell'investimento di Telekom Serbia, che all'origine è stato di circa 825 miliardi, ma questo non è stato l'unico investimento di minoranza in società sulle quali non si può esercitare il controllo in assemblea, quindi in società dove non si conta niente o dove si conta meno di niente. Lo ripeto, non è stato l'unico investimento fatto da Telecom in quei due anni del Governo Prodi.
Per essere chiari - signor ministro, lei lo sa benissimo ma molti colleghi forse non lo sanno - l'intero patrimonio netto consolidato in tutto il mondo del gruppo Telecom, al 31 dicembre 1996, quando il


Pag. 16

Governo Prodi ha cominciato a operare, era di circa 30 mila miliardi e questi strani investimenti in partecipazioni di minoranza non consolidate, dove non si conta niente, erano pari a circa 2.200 miliardi e, cioè, circa l'8 per cento del patrimonio netto consolidato. Signor ministro, nei due anni del Governo Prodi non abbiamo investito 800 e rotti miliardi in Serbia, ne abbiamo investiti 10.226 - lo ripeto: 10.226 - dei quali 800 e rotti in Serbia. Questa cifra in percentuale sul patrimonio netto - che intanto era salito di qualche migliaio - è diventata il 35 per cento. Ciò significa che più di un terzo del patrimonio di una società che era o avrebbe dovuto essere controllata dal Governo Prodi è stato investito in partecipazioni di minoranza a Cuba, in Brasile, in Serbia, eccetera, e qui lei ci viene a dire che nessuno sa niente, «madama la marchesa». Non è possibile! Se nessuno sa niente, cambiamo mestiere (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)!
I ragionamenti sono collegati: si parla di tangenti, e lei non commenta; poi si va a vedere che il problema forse - se è vero che ci sono le tangenti - non è su 800 miliardi ma su 10 mila miliardi investiti da un'azienda che doveva essere controllata dal Governo Prodi in quei due anni.
Apparentemente, per l'investimento effettuato in Serbia, sono state pagate tangenti: così è stato scritto e lei sarebbe dovuto venire qui a dire che non è vero.

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. Io non lo so.

GIANCARLO PAGLIARINI. Se non sapeva se fosse vero o meno, si sarebbe dovuto dare da fare; si sarebbe dovuto organizzare e sarebbe dovuto venire qui ad informarci; oppure, ci avrebbe potuto dire che non sarebbe venuto ad informarci, in quanto non a conoscenza dei fatti, e ci saremmo potuti vedere la settimana ventura. Signor ministro, lei si sarebbe potuto informare (come mi sta suggerendo il collega che mi sta dietro).
Il fatto è che apparentemente sono state pagate tangenti o comunque (se non si trattava di tangenti) sono stati pagati soldi che Milosevic ha affermato fossero destinati «a quei mafiosi di italiani». Signor ministro, l'abbiamo chiamata affinché lei ci parlasse di ciò e non di altro!
A questo punto, si rende assolutamente necessaria un'indagine assai approfondita per accertare che i pagamenti denunciati da un giornale e riconducibili a 820 miliardi spesi in Serbia (siano tangenti o consulenze d'oro) non si siano verificati anche per l'intera somma dei 10.226 miliardi, spesi negli anni dal 1996 al 1998, quando il gruppo Telecom era (o avrebbe dovuto essere) controllato direttamente o indirettamente dal Governo Prodi: questo è uno dei punti al quale lei non ha nemmeno accennato!
Signor ministro, lei non ha fugato il dubbio che ci siano state tangenti o movimenti strani; tale dubbio ci rimane e, dunque, chiederemo che sia istituita una Commissione d'inchiesta. Saremmo stati, invece, molto felici se lei avesse risolto i nostri dubbi: purtroppo, alla fine della mattinata, rimangono interrogativi assai pesanti che preferiremmo non avere (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Chiappori. Ne ha facoltà.

GIACOMO CHIAPPORI. Signor Presidente, vorrei intervenire, anche se è difficile aggiungere qualcosa a quanto già è stato detto. Signor ministro, questa non è una tegola, bensì un vero e proprio crollo e credo che lei non abbia molto da sorridere! Lei è venuto qui dicendo che si fanno insinuazioni, squallide affermazioni ed intimidazioni vergognose (come ha fatto scrivere anche su alcuni giornali, sui quali, infatti, si legge: «Dini insiste: il Ministero è estraneo alla trattativa»). Lei oggi ci ha informati su una piccola parte (dunque, era a conoscenza di tutta l'operazione) e, successivamente, ha fatto un excursus della sua politica estera.
Qualche furbone, qui dentro, si è riferito a quelle persone definendole «amici nostri». Signor ministro, come gruppo noi


Pag. 17

abbiamo seguito una precisa linea di politica estera e abbiamo detto «no» a quella guerra; contestualmente, abbiamo aiutato la gente che stava soffrendo in Kosovo; per tali motivi, siamo stati tacciati da qualche furbone di essere amici di Milosevic. Signor Presidente, gli amici di Milosevic si vedono: sono qui; sono quelli che trattavano per la guerra e sotto sotto facevano affari!
Si è parlato della trattativa STET come di un contratto per acquistare una partita di caffè; vi ricordo che si sta parlando di una trattativa internazionale che, se fosse stata fatta dal sottoscritto, avrebbe anche potuto avere risvolti gravi e delle quali sarebbero state evidenziate le lacune; al contrario, solo poiché è stata condotta da voi, non ha avuto lacune!
Signor ministro, esaminiamo i fatti. I cosiddetti americani hanno reso ai giornali alcune affermazioni. Il portavoce della Albright ha affermato di vergognarsi di ripetere quel che il ministro Dini diceva nelle loro riunioni: una tale affermazione - importante e significativa - non è stata da lei mai smentita.
Sul giornale la Repubblica è scritto: «quei mafiosi di italiani ci hanno costretti a pagare 32 milioni di marchi: perché proprio a noi e non alla loro Telecom?». Tutta la stampa europea ci ha svergognati (per non usare altre parole). Questo Governo e questo Stato (da voi governato) sono diventati ridicoli agli occhi del mondo: lo dico proprio a voi, che vi vantate tanto di aver condotto una importante politica estera e di aver portato l'Italia alle prime posizioni!
Il quotidiano la Repubblica, dunque, scrive certe affermazioni. A questo punto, vorrei fare una riflessione: se la Repubblica fosse un organo di partito quale La Padania, si potrebbero fare alcune obiezioni. Invece, caro ministro, la Repubblica scrive per voi ed ha sempre scritto per voi; forse (come suggerisce qualche amico) è stata anche pagata da voi: mi domando per quale motivo, ora, scriva contro di voi. Dunque, la Repubblica, definisce quell'affare un «bidone»: avete preso un «bidone» e lo avete strapagato! Signor ministro, queste cose non le dico io, ma sono scritte su la Repubblica.
Andiamo avanti: si parla di tangenti per 30 miliardi di marchi e così via. Si va avanti all'infinito dicendo cose vergognose, recuperando le frasi dette su Rambouillet per il fatto che Dini - il Governo di centrosinistra - in quell'occasione andò velocemente e direttamente a Belgrado subito dopo il bombardamento. In quell'occasione il centrosinistra rimase zitto, fedele esecutore delle decisioni dell'America: pare che, forse, qualcuno avrebbe potuto fare una forzatura sul Ministero degli affari esteri italiano e, quindi, che fosse per cui è meglio star zitti perché ne sarebbe potuto venir fuori di più.
Arriva, allora, Bernabè e immagina che qualcosa non funzioni tra l'azienda e la Serbia: fa, dunque, andare avanti Guido Rossi, che però non risponde e poi dà un incarico a qualcuno, che è stato zitto prima e oggi parla sui giornali. La situazione ha dell'incredibile: tutti per un certo periodo tacciono, ma poi cominciano a parlare; La Repubblica, il vostro giornale amico, che scrive sempre dei vostri grandi meriti, oggi vi tira un siluro. Non si sa e non si capisce il perché ed io continuo a non capirlo. Allora facciamo delle riflessioni ad alta voce. Mi dica: o lei sapeva tutto e non vuole parlare...

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. Ma no!

GIACOMO CHIAPPORI. ...e questa magari non è una tegola ma è un crollo, che in questo momento per voi già particolarmente negativo a causa dell'avvicinarsi della scadenza elettorale rappresenterebbe la disfatta, o lei sta proteggendo qualcuno. Muoia Sansone con tutti i filistei, caro ministro! Dica cosa c'è dietro questa vicenda e non si rifugi in operazioni di strategia estera. Venga qui e ci parli delle tangenti, ci parli del contratto, ci dica cosa è successo, ci spieghi perché quei soldi sono stati dati e a cosa sono serviti. Faccia ad alta voce le riflessioni che le abbiamo chiesto, altrimenti rimarranno


Pag. 18

dei buchi neri e lei forse pagherà - penso che qualcuno debba pagare - per un silenzio: secondo me dietro c'è qualcosa di più, forse un «tiro» al Prodi di allora e a quello di oggi. Mi pare comunque che vi siano dei buchi da riempire nei suoi discorsi. Credo che lei debba farlo come ultimo atto di una vera politica estera, anche se non credo che riuscirà a farlo questo Governo. Forse un domani, con altre politiche e con altri sistemi, si potrà riaccreditare questo nostro paese che avete portato talmente in basso da rendergli difficile riprendere quota. Però magari qualcuno domani lo farà.
Lei comunque, signor ministro, deve fare chiarezza per la sua posizione e per farci sapere cosa c'è dietro e cosa vogliono fare. Soprattutto non dica che qui qualcuno fa illazioni, insinuazioni o altro: noi siamo stati fermi e ci siamo mossi quando gente sua e giornali suoi hanno tirato fuori questo discorso sul quale non abbiamo montato una campagna elettorale. Abbiamo solo preso atto di ciò che si scriveva non solo sulla stampa nazionale ma anche su quella europea, che ci ridicolizza.
Alla luce dei fatti viene da chiedersi se la mafia sia qua da noi, forse in questo Parlamento, come ha detto qualcuno, oppure no. Dov'è? Ce lo dica. Ci piacerebbe saperlo. Lei non deve tirarsi indietro, ma deve parlare esclusivamente della vicenda Telekom: non parli della sua politica estera, che conosciamo e che, per un certo periodo, non abbiamo condiviso in assoluto (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Selva. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, signor ministro Dini, peccato che accanto a lei non sia presente il ministro della pubblica istruzione De Mauro, perché le avrebbe dato un voto negativo dal momento che lei è andato completamente fuori tema. Cercherò di riportarla all'argomento per il quale le abbiamo chiesto di venire questa mattina a riferire a questa Camera.
Signor ministro, per una sola cosa le rivolgo politicamente un rimprovero: quella di non essersi occupato della vicenda Telekom, in quanto essa si è svolta in un'aerea molto delicata dal punto di vista geopolitico. Questo è il motivo per cui nascono i dubbi di cui lei si è amaramente lamentato e perché nasce il sospetto che la cosa dovesse rimanere nascosta, visto che si trattava di un'operazione di carattere finanziario e politico che non poteva essere fatta alla luce del sole.
Da qualunque parte la si guardi, onorevole ministro Dini, quella di Telekom Serbia è una bruttissima storia; è una storia di oscure operazioni. Lei ci ha solo detto di non saperne nulla e di non averne saputo nulla, perché ministro degli esteri di un altro paese. Lei ha detto una cosa molto saggia, vale a dire che ci sono paesi che si occupano molto più di quanto non abbia i poteri per fare l'Italia della penetrazione dell'industria del proprio paese nel mondo; ma lei, in un'aerea strategica così delicata, in cui si sarebbero svolte operazioni militari che avrebbero coinvolto addirittura l'Alleanza atlantica, non si è occupato di oscure manovre finanziarie, di tangenti miliardarie. Onorevole ministro, lei non ha ricordato minimamente i trenta miliardi che ufficialmente sono stati considerati delle semplici mediazioni.

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. Se ne occupa la magistratura!

GUSTAVO SELVA. Vi sono stati compromessi politici - quello principale è con Milosevic - dai contorni nebulosi, che chiamano in causa la responsabilità del Governo: in quell'epoca, la STET era al 100 per cento di proprietà dello Stato e lei sborsava i soldi dei contribuenti italiani (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)!
Ricostruiamo la vicenda. La storia è iniziata nel 1995, anno cui risalgono i primi contatti per gettare le basi dell'affare consistente nell'acquisizione, da parte della nostra STET, del 29 per cento di


Pag. 19

Telekom Serbia. Fra il 1995 e il 1997 non si contano gli incontri che lei, ministro Dini, e l'allora sottosegretario per gli affari esteri, Fassino, avete avuto con esponenti del regime di Milosevic. Si parla di un numero imprecisato di viaggi aerei: bisognerà indagare a fondo per saperne di più.
I misteri di questa storia, come vedremo, sono altri. L'agenzia jugoslava Tanjug ne riferì ampiamente in una serie di dispacci - come quello del 18 novembre 1996 - con precisi riferimenti al memorandum di intesa sottoscritto proprio quel giorno a Belgrado dal sottosegretario Fassino e dal ministro degli esteri della Repubblica federale di Jugosalvia, Jovanovic, in cui si parlava chiaramente all'articolo 2 «dell'impegno italiano per l'assistenza in vari settori e a collaborare nel programma di privatizzazione delle imprese in modo specifico per le telecomunicazioni e i trasporti».
Come faceva a non sapere niente il suo sottosegretario Fassino se poi veniva inclusa nel comunicato ufficiale la stessa definizione di telecomunicazioni?
L'intesa si colloca temporalmente proprio nel mezzo delle trattative per l'acquisizione di Telekom Serbia. Il fatto decisivo si verifica con la nomina di Tomaso Tommasi di Vignano ad amministratore delegato della Telecom avvenuta nel gennaio 1997.
Tommasi è un uomo cresciuto come manager all'ex SIP, diventato poi alla STET amministratore delegato; si adoperò subito per accelerare la conclusione della trattativa. Tomaso Tommasi di Vignano è uomo, come si usa dire con terminologia giornalistica, del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Micheli.
Tutto si svolgeva, signor ministro, a sua insaputa e non si sapeva assolutamente niente di tutto questo. Lei l'ha letto sui giornali e ce lo ha detto stamane. Un affare di queste proporzioni come poteva essere gestito solamente da Tommasi? Aggiungo che quest'ultimo ha fatto un'esilarante dichiarazione. Leggo il passo riportato su Panorama: «Per quanto possa sembrare paradossale, fra i tanti oggi che giurano di non aver saputo nulla dell'affare Telekom, c'è persino Tomaso Tommasi di Vignano, l'amministratore delegato della STET che il 9 giugno acquistò il 29 per cento della società telefonica». In un'intervista a Il Piccolo di Trieste dove oggi amministra l'Acegas, la municipalizzata dei servizi in procinto di approdare in Borsa, l'altro giorno così ha dichiarato: «Che quel giorno a Belgrado abbia firmato oltre all'accordo anche una clausola di segretezza né lo confermo né lo smentisco. Non ne so proprio nulla».
Insomma chi lo ha fatto questo contratto? Il Presidente del Consiglio non ne sa nulla. Il ministro degli affari esteri viene qui a dirci candidamente che non ne ha saputo nulla. Tommasi di Vignano dice che anche lui non ne sa nulla di questa clausola di segretezza che costituisce l'aspetto più delicato.

SERGIO COLA. L'ha fatta Berlusconi!

ANTONINO MANGIACAVALLO. Non ci sarebbe da meravigliarsi!

GUSTAVO SELVA. Forse.
La Farnesina - lei lo ha detto stamane con grande enfasi e con grande amarezza - è stata coinvolta, a suo giudizio, in una vicenda che l'amareggia. La capisco ma allora perché non se ne è occupato politicamente? Forse se ne è occupato in un altro modo.
Vengono tenuti all'oscuro i buoni rapporti felicemente stabiliti con quell'accordo con Milosevic, che ha comportato l'esborso dei soldi per l'acquisto del 29 per cento. Come ha detto stamane il collega Taradash, Milosevic avendo ricevuto il versamento nelle proprie casse di questo fiume di denaro, ha pagato i militari (erano gli arretrati di quei militari che avrebbero combattuto contro il Kosovo) e le pensioni. Come fate allora a dire che quei soldi non sono serviti a nulla? Come fate a smentire l'affermazione che la riguarda personalmente, onorevole ministro, dell'attuale vicepremier serbo Zarco Korac, che ha dichiarato


Pag. 20

riferendosi a lei, che il suo è un «caso di cinismo politico» (la Repubblica del 16 febbraio)?

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. L'ho smentito!

GUSTAVO SELVA. Ma il ministro Dini continua ad affermare che la vicenda gli era ignota. Gli tiene compagnia l'allora sottosegretario Piero Fassino, con delega specifica per i Balcani, che cade dalle nuvole. Interrogato durante la trasmissione televisiva Porta a Porta ha dichiarato che lui si interessava di grandi strategie. Capisco che Fassino abbia naturalmente aspirazioni molto ampie, ma delle grandi strategie non credo che in quel momento ne abbia avute, a meno che lei non gli volesse affidare l'incarico di occuparsi della Telekom.
Abbiamo riletto i resoconti stampa dei viaggi del sottosegretario Fassino (lei si è riferito particolarmente alla stampa e adesso glieli ricorderò). A proposito dei viaggi di Fassino, si scopre che in tutti i paesi da lui visitati, prima con la qualifica di sottosegretario per gli affari esteri e poi di ministro del commercio con l'estero, vi è sempre stato il tema delle telecomunicazioni. Cito, tra gli altri paesi, il Marocco, la Turchia e l'Egitto.
Quando i retroscena dell'affare sono stati rivelati grazie all'inchiesta giornalistica de la Repubblica, quotidiano - ci vorrà consentire - che non è proprio vicino all'alleanza di centrodestra della Casa delle libertà, sono sorte spontaneamente le seguenti domande: che cosa è stato l'affare Telecom? Un'acquisizione aziendale, che ha permesso a Telecom Italia di infilare il piede nella porta del mercato dell'est europeo, oppure una mossa di politica estera che, nell'interesse dell'Italia, ha evitato cinicamente il collasso della Serbia e del regime di Milosevic? È inutile, signor ministro, che ci venga a dire che lei incontrava anche i rappresentanti dell'opposizione, se poi dava i soldi a Milosevic (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)!
Signor ministro, ho già spiegato come lei in un'area geopolitica così delicata avrebbe avuto il dovere di occuparsi della vicenda. Non può essere una giustificazione affermare che lei non ne sapeva nulla. O, forse, il suo atteggiamento è l'una e l'altra cosa insieme: da un lato, una cinica operazione da tenere nascosta e, dall'altro, un modo per tenere molto nell'ombra i protagonisti di questo pasticcio politico, finanziario ed affaristico.
Sembrava che il capitolo tangenti - i magistrati, per la verità, ci hanno messo abbastanza in guardia su questo permanente pericolo - fosse destinato ad essere chiuso. L'affare Telecom, ad opera di una società che a quel tempo era ancora di proprietà dello Stato, ha riaperto di fatto la triste stagione del malaffare: 30 miliardi - questa sarebbe la cifra finita in mano agli intermediari - spariti dove? Lei non ci ha detto nulla. Ma andiamo avanti. Il 10 giugno 1997, in un ricevimento a Belgrado, improvvisato per festeggiare il buon esito delle trattative, Milosevic esclamò di fronte a testimoni: «Quei mafiosi di italiani!». Notate bene che io non do un grande credito a Milosevic - e gliene do sicuramente meno di lei, signor ministro, questo è sicuro -, ma resta pur sempre questa dichiarazione che dimostra che era stata estorta una tangente che egli avrebbe preferito non pagare, come si legge ne la Repubblica del 16 febbraio scorso.

ELIO VELTRI. Stavolta ci ha azzeccato!

GUSTAVO SELVA. La circostanza risulta anche dalla testimonianza di una personalità serba direttamente coinvolta, l'ex ambasciatore jugoslavo presso la Santa sede, Dojcilo Maslovaric, sentito dai magistrati della procura di Torino nella sede della direzione nazionale antimafia di Roma. Non penso che anche questa sia un'invenzione de la Repubblica.
Come ho detto, il regime jugoslavo aveva un estremo bisogno di denaro; con l'Italia era entrata in campo anche la Grecia, guidata da un altro Governo di sinistra, che si è aggiudicata un altro 20 per cento della cessione. Le cifre pattuite


Pag. 21

furono versate pronta cassa, in tutta fretta, e il trasporto, per quanto riguarda la parte che toccò alla Grecia, fu fatto con un aereo privato che portò nella capitale le banconote in sacchi.
Signor ministro Dini, l'ambasciatore jugoslavo presso la Santa sede non è stato avaro di particolari quanto è stato interrogato, lunedì scorso, dalla Direzione nazionale antimafia che sta fortunatamente indagando sulla vicenda e che ha ipotizzato i reati di falso in bilancio e di corruzione. Maslovaric, che all'epoca era l'uomo di fiducia della famiglia Milosevic - penso che almeno questa notizia le sia giunta all'orecchio, onorevole Dini - ha avuto una parte importante nell'operazione.
Ha confermato, poi, il ricevimento di Belgrado e le sprezzanti parole di Milosevic nei confronti degli italiani, «ai quali la Serbia» - disse Milosevic - «fu costretta a pagare 30 miliardi».
Da responsabile politico faccio altre piccole, quasi giornalistiche, considerazioni. Vi sono somme finite nelle tasche di altri intermediari coinvolti in questa storia, come l'ex ministro degli esteri inglese Douglas Hurd al quale, diventato dirigente della Natwest Market, banca d'affari collegata al Natwest Group, le autorità serbe avrebbero riconosciuto una provvigione pari a 10 milioni di dollari.
Come vedete, quando parliamo di fatti oscuri e pericolosi, vengono coinvolte personalità che in quel tempo hanno agito in questa storia. Bisogna credere alla sincerità di quelli che sostengono di essere stati tenuti all'oscuro? In primo luogo a lei, signor ministro, che questa mattina è venuto qui a farci una lezione storica sulle vicende del nostro intervento militare in Kosovo - per il quale credo che lei abbia ricevuto il consenso della nostra parte politica (su questo punto, pertanto, noi possiamo parlare chiaro) - mentre non ci ha detto assolutamente niente di questa operazione sospetta, che anzi si è cercato di mantenere il più possibile nascosta.
Una fonte ben informata e non smentita ha dichiarato a la Repubblica che il contratto firmato da Telecom Italia con i serbi era sconosciuto a tutti i vertici dell'azienda e della STET; dopo molte ricerche il contratto è «saltato fuori», sebbene privo delle firme dei contraenti e del cosiddetto closing memorandum, cioè del protocollo di chiusura dell'accordo con le istruzioni di pagamento.
Lei vorrà almeno esprimere un giudizio: va bene che ha questo britannico distacco da tale operazione di cui non sa assolutamente nulla, ma vuole esprimere almeno un giudizio, onorevole ministro, su queste operazioni che sono più degne, diciamo la verità, di quelle che, forse con qualche colpa da parte nostra, spesso definiamo «cose sudamericane» o «cose di tipo africano»? Un pezzo di Africa e di sud America si è introdotto anche in questa vicenda, onorevole ministro Dini (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)!
Signor ministro, indipendentemente dal fatto che sia stata imposta o semplicemente accettata dalle parti, questa segretezza concorre ad alimentare il sospetto che l'operazione dovesse essere occultata nei suoi dettagli al fine di impedire quella trasparenza sulle modalità concrete della conclusione dell'affare di cui lei questa mattina pare essersi dichiarato orgoglioso, tant'è vero che lei ha detto che l'unica operazione che ha compiuto dopo aver letto i giornali (si era limitato a far questo) è essersi congratulato con la Telecom. Mi sembra davvero che prima di congratularsi, se lei ci «avesse messo un po' il naso» e avesse visto com'erano andate le cose, con tutta probabilità avrebbe fatto una cosa più degna di un ministro della Repubblica italiana.
Non possiamo accettare le giustificazioni indifendibili circa la mancata conoscenza dei fatti invocata dal Governo e da lei ribadita questa mattina. Bisognerebbe ammettere che, per esempio, siano sfuggite, fra l'altro, ai nostri governanti le notizie di stampa che, nei giorni immediatamente precedenti l'accordo, ne anticipavano già i particolari, come l'inserto Finanza e mercati, unito a Il Sole 24 ore


Pag. 22

di sabato 7 giugno 1997, che pubblicava un articolo dal titolo: «Per lo sbarco in Serbia pronti 800 miliardi».
Anche il senatore Franco Debenedetti, che non è di Alleanza nazionale né della Casa delle libertà, nel corso di un'intervista a Radio radicale ha testualmente dichiarato che «l'operazione Telekom Serbia» è stata avallata da tutti i ministri competenti e dalla Presidenza del Consiglio e che sostenere che Palazzo Chigi non ne fosse a conoscenza è semplicemente incredibile. Queste sono le dichiarazioni a radio radicale di Debenedetti, il quale ha spiegato che questa sua convinzione viene dalla citazione di Tommasi di Vignano, l'amministratore delegato che oggi dice che non sapeva nulla, almeno per quanto riguarda la clausola di segretezza, e che non era possibile prescindere - dice ancora - da Dini, da Draghi, da tutti coloro che hanno avuto e che hanno responsabilità di politica estera, che in ultima analisi poi fa capo, secondo la nostra Costituzione, al Presidente del Consiglio.
Quello che, dunque, impressiona di più è la cappa di silenzio che è caduta sull'intero affaire. Se non ci fosse stata la nostra richiesta nella sede a ciò deputata, che è il Parlamento, di questo gli italiani non avrebbero saputo alcunché e la vicenda si sarebbe perduta nei meandri di una definizione di segreto di Stato.
Ci avete sempre parlato, e lei stamattina lo ha ripetuto, di trasparenza delle attività del centrosinistra; questa operazione è stata tenuta segreta per difendere il doppio gioco che lei ha fatto quando l'Italia partecipava come paese della NATO per riportare la pace in Kosovo, mentre operatori economici andavano a dare soldi a Milosevic: questo è il doppio gioco che lei ha fatto. La vicenda è stata tenuta segreta perché, a conservarla tale, dovevano essere gli intrallazzi, le tangenti, i percorsi obliqui, come quelli che ho segnalato, insieme con quelli della Grecia, che è l'altro ladro di Pisa, quelli che di notte, cioè nell'oscurità, rubano assieme e di giorno si dichiarano amici (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
Onorevole ministro, visto che lei non ci fa l'onore di venire spesso in quest'aula, nemmeno quando viene richiesto per lo svolgimento del question time, le rivolgo questa mattina una richiesta e le sottopongo un problema che esulano completamente, e forse non troppo, dalla questione che abbiamo illustrato. Mi riferisco ad un articolo dell'ambasciatore Sergio Romano, pubblicato questa mattina sul Corriere della Sera, intitolato: «La crociata belga danneggia l'Europa». Lei sa che il ministro degli esteri belga, signor Michel, un personaggio che Sergio Romano definisce uomo sanguigno e loquace, nello stile di quei personaggi belgi popolari che non hanno «peli sulla lingua», ha ribadito alcune preoccupazioni in ordine all'eventuale, e per noi naturalmente auspicabile, Governo di centrodestra, che susciterebbe dubbi circa la nostra democraticità, circa il nostro rispetto dei patti sottoscritti, in modo particolare, con l'Unione europea. Orbene, l'anno scorso, onorevole ministro Dini, quando analoghe affermazioni furono fatte dal cancelliere tedesco Schroeder - come racconta Sergio Romano, e io sottoscrivo parola per parola, perché sono fatti - il quale "disse a proposito dell'Italia ciò che Michel ha detto avant'ieri, il Presidente della Repubblica Ciampi e Massimo D'Alema, allora Presidente del Consiglio, gli ricordarono che \`tutti i partiti italiani sono democratici'. Schroeder capì e corresse subito il tiro. Nel caso del ministro belga" - questa è una notazione di Sergio Romano - "probabilmente non varrebbe la pena di sprecare troppe parole. Ma l'occasione può servire a ricordare che certe dichiarazioni danneggiano l'Europa molto più di quanto non danneggino l'Italia".
Io aspetto, onorevole ministro Dini, che lei anche questa volta, con la stessa responsabilità con cui fu affrontata la vicenda delle dichiarazioni del cancelliere Schroeder l'anno scorso, avvicini il suo collega e non faccia magari quell'operazione contraria che qualche volta temo -


Pag. 23

e proprio per questo sono preoccupato - compiano alcuni esponenti politici quando si recano a Bruxelles o a Strasburgo.
Noi non siamo più oggetto di esami; i nostri esami per l'Italia e per l'Europa li abbiamo compiuti e vogliamo essere rispettati. Ma di questo dovete essere responsabili anche voi (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia, della Lega nord Padania e misto-CCD - Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pisanu. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Mi scuso, signor Presidente, signor ministro e onorevoli colleghi, per la inevitabile frammentarietà del mio intervento reso peraltro disagevole dalle comunicazioni sorprendenti, elusive e fuorvianti che abbiamo appena udito dalla bocca del Governo. Se l'inchiesta, così ben documentata e puntuale, di la Repubblica non merita davvero nessuna attenzione, se ne dovrebbe dedurre, signor ministro, che essa è totalmente infondata e che le accuse pesantissime in essa contenute vanno respinte sdegnosamente e condannate senza pietà in ogni sede. E allora, perché non raccogliete l'invito di Pagliarini e querelate la Repubblica per diffamazione? Potreste ricavarne cifre enormi per danni, ma voi non querelerete nessuno.
La verità è che quella inchiesta, sostenuta da molti altri autorevoli organi della stampa nazionale e internazionale, suscita domande inquietanti a cui occorre dare risposte puntuali. Queste risposte le daranno sicuramente i magistrati italiani che stanno indagando per diverse fattispecie di reato. Le daranno le nuove autorità democratiche della Serbia che hanno aperto indagini anche con il proposito di rivedere alla radice il contratto di vendita in questione. Cercheremo di darle anche noi, con i mezzi che il Parlamento ci mette a disposizione, presentando immediatamente una dettagliata risoluzione sulla quale chiederemo il voto del Parlamento e lo faremo anche con la presentazione di una proposta di legge per la costituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta, pur sapendo che quella proposta decadrà con la legislatura, ma volendo dimostrare con questo che vogliamo andare fino in fondo e che ripresenteremo quella proposta immediatamente, con la nuova legislatura (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale) (Commenti del deputato Cambursano).
Noi non ne abbiamo mai fatti. Noi non facciamo prigionieri (Proteste dei deputati del gruppo di Forza Italia). I prigionieri in questo caso li farà l'amministrazione della giustizia (Vive e reiterate proteste dei deputati del gruppo di Forza Italia) in Serbia (Commenti del deputato Cambursano).

BENITO PAOLONE. Vergognati scemo!

RENATO CAMBURSANO. Scemo a me?

PRESIDENTE. Silenzio, per favore lasciate parlare il vostro collega.
Onorevole, non è da lei!

BEPPE PISANU. Si figuri se mi scompongo per un collega che considera la Commissione d'inchiesta uno strumento di coercizione. Si figuri! È la sua concezione della democrazia parlamentare, e gli lascio tutta intera questa splendida concezione (Commenti del deputato Cambursano).

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, per favore!

BEPPE PISANU. L'importante è che venga sottratto dal tempo assegnatomi quello occupato dalle interruzioni. Per il resto non mi turbo. L'impressione è che (Commenti del deputato Cambursano)...

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, la richiamo all'ordine.

BENITO PAOLONE. Scemo, stai zitto!


Pag. 24

BEPPE PISANU. Non fa nulla (Scambi di apostrofi tra l'onorevole Cambursano e l'onorevole Paolone).

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano, si segga.
Onorevoli colleghi, lasciate continuare.

BEPPE PISANU. Posso interrompere fino a quando non verrà somministrato un Tavor al collega!

PRESIDENTE. Non continuiamo nella provocazione, onorevole Pisanu!

BEPPE PISANU. L'impressione è che da diversi giorni si stia cercando di alzare un muro di gomma intorno a questa complessa vicenda politico-affaristico-giudiziaria. Le sue comunicazioni, signor ministro, confermano questa impressione, peraltro confermata dallo stesso defilarsi della maggioranza ulivista nell'odierno dibattito. Infatti, se mai ve ne fosse bisogno, le vostre dichiarazioni, come del resto i comunicati ufficiali del Governo sull'argomento, anziché chiarire i punti oscuri e dissipare i gravi dubbi sollevati da la Repubblica e da altri giornali, sono un'ulteriore prova del palese imbarazzo e della evidente incapacità del Governo a dar conto di comportamenti commissivi od omissivi - giudichi lei -, politicamente inammissibili e giuridicamente censurabili.
E allora, per venire al sodo, per semplificare e per non ripetere le cose egregiamente dette dai colleghi della Casa delle libertà, eccole, signor ministro, le prime dieci domande che le sue dichiarazioni hanno lasciato totalmente inevase.
Prima domanda: per quali ragioni una operazione di così grande portata economica e di così vaste implicazioni politiche è stata affidata ad una società di diritto olandese, controllata da STET International SpA, a sua volta controllata da STET Società finanziaria, all'epoca controllata dal Tesoro e, successivamente, fusa con Telecom? Insomma, si è affidata ad una società di infimo ordine un'operazione straordinaria e di eccezionale importanza.
Seconda domanda: chi furono i percettori finali dei versamenti effettuati dalla STET sui conti della Paribas Banque di Francoforte e della Bercley's Bank di Londra? A quale cifra ammontavano esattamente, e a quale titolo furono realmente disposti?
Terza domanda: quali attività svolse l'UBS di Zurigo ed in base a quali elementi, in veste di advisor, avrebbe stimato per circa 900 miliardi di lire il 29 per cento di Telekom Serbia? Una partecipazione che valeva molto meno e che, infatti, fu successivamente iscritta a bilancio per soli 400 miliardi! E si badi bene, onorevoli colleghi: a quel momento non avevamo ancora bombardato con i nostri aerei gli impianti che avevamo comprato con i nostri soldi (i soldi di Pantalone!).
Quarta domanda: si può sapere quale sia l'ammontare esatto delle somme sborsate direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo, da STET o da Telecom per l'acquisizione di Telekom Serbia e se le cifre stesse corrispondano a quelle iscritte a fronte nei bilanci delle società eroganti che hanno pagato?
Quinta domanda: per quali ragioni l'amministratore delegato di Telecom Italia, Tomaso Tommasi di Vignano, firmatario del contratto dell'acquisto di Telecom, disattese il rapporto della società di revisione Cooper e Laiband, che bocciò il primo bilancio della Telekom Serbia privatizzata perché vi si sovrastimavano gli utili e il capitale?
Sesta domanda: è ragionevole considerare una normale commissione per una «prestazione professionale» la parcella di 960 mila marchi, circa un miliardo di lire, riconosciuta al conte Gianni Vitali, compagno di caccia di Milosevic? Ho citato l'espressione del Wall Street Journal, ma, se l'amico Mancuso mi concede il copyright, potrei dire «compagno di merende» di Milosevic (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Settima domanda: esistono davvero clausole segrete del contratto Telecom Italia-Telekom Serbia rientranti in un giro


Pag. 25

di tangenti europee ideato dal regime di Belgrado nel 1997, come sostiene il giornale spagnolo La Vanguardia, anche dopo le rivelazioni de la Repubblica? Se esistono, qual è il loro contenuto? Per quali motivi i responsabili di STET e Telecom le hanno celate non solo agli organi societari, ma anche ai ministri competenti e controllanti?
Ottava domanda: qual è il ruolo svolto da Dojcilo Maslovaric, intermediario dell'affare Telecom al tempo in cui era ambasciatore di Milosevic presso la Santa sede, ambasciatore che lei, signor ministro Dini, ha dichiarato di non aver mai conosciuto?
Nona domanda: è vero che il Governo di Belgrado pose il segreto di Stato sul contratto di vendita? Per quali motivi lo fece? Quei motivi, comunque, avrebbero dovuto essere, per legge, notificati al Governo italiano. Possibile che nessuno ne sappia nulla?
Decima domanda: corrisponde a verità quanto dichiarato a Il Messaggero dall'ex ambasciatore jugoslavo Maslovaric, secondo il quale la tangente di 32 miliardi sarebbe stata pagata dai serbi a consulenti inglesi, mentre gli italiani avrebbero pagato all'UBS, in Svizzera?
Undicesima domanda: a chi si riferisce il Presidente jugoslavo Milosevic quando afferma, come riportato da la Repubblica, che il danaro della tangente fu destinato «A quei mafiosi di italiani»? Sottolineo che, stando ad indiscrezioni recenti, la circostanza sarebbe stata confermata nei giorni scorsi durante l'interrogatorio dell'ex ambasciatore Maslovaric da parte delle autorità giudiziarie italiane.
A parte le tangenti già individuate, comunque, che si possono far passare per compensi di carattere professionale - diciamo così - resta da vedere se non vi siano state tangenti ancor più ingenti che Milosevic e i suoi compari poterono prelevare direttamente, senza alcun rischio, dai sacchi che una banca greca riempì di marchi tedeschi.
Onorevoli colleghi, tra gli aspetti grotteschi e sconcertanti di questa vicenda, vi è anche questo: il pagamento dell'enorme cifra di 1500 miliardi di lire fu effettuato in contanti e fatto subito pervenire a Milosevic che lo spese fino all'ultimo marco. Lo spese per pagare che cosa? Le pensioni arretrate, i paramilitari e i militari della pulizia etnica in Kosovo oppure «quei mafiosi di italiani»?
Signor ministro, debbo chiederle ancora - le chiedo scusa, ma le domande non finiscono mai - se, comunque, a prescindere da tutto ciò, risulti agli atti della Presidenza del Consiglio o dei ministri competenti una qualche documentazione scritta, di qualsiasi natura che provi, come è dovuto per legge, che la Telecom o la STET informarono le autorità di Governo e se, a seguito di ciò, ricevettero eventuali risposte. Le risposte date finora da coloro che, a vario titolo, si sarebbero dovuti occupare del problema sono a dir poco sconcertanti.
Comincio citando sempre risposte virgolettate di Tomaso Tommasi di Vignano, amministratore delegato di STET, il quale ha detto: «di tangenti, di beghe internazionali, di problemi interni della Serbia io non so assolutamente nulla. Ho condotto una trattativa molto complessa durata circa tre anni e mezzo e della quale ho sempre reso conto a chi di dovere. Io non ho mai parlato dell'operazione al ministro Dini, ma con il Ministero degli esteri inteso come struttura». Lei, signor ministro Dini, lo ha contraddetto clamorosamente, dicendo invece: «Noi della Farnesina siamo completamente estranei. Né io né il Ministero ci siamo occupati di queste cose. Sono assolutamente all'oscuro. L'ho saputo dai giornali a contratto firmato e me ne rallegrai. Sono cose che possono chiarire solo i ministri dell'epoca. Io posso parlare per me, non di altri».
Guido Rossi, presidente della Telecom, si è limitato a dire, lapidario: «Sono sconcertato». A Prodi, Presidente del Consiglio del tempo, non risultava neppure la presentazione di interrogazioni parlamentari sull'argomento, che invece risultano regolarmente agli atti della Camera. Per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Micheli la transizione esulava totalmente dal suo ruolo e dalle sue competenze.


Pag. 26

Fassino, sottosegretario agli esteri con delega o comunque con particolare competenza per i Balcani, non ha saputo nulla, se non dai giornali.
Insomma, onorevoli colleghi, alle domande scomode il Governo risponde sempre allo stesso modo, come il più omertoso dei testimoni barbaricini: non ho visto e non ho sentito nulla (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Per non parlare dell'ultimo documento, della precisazione data dal Presidente del Consiglio Amato e dal ministro del Tesoro Visco. In quel comunicato si legge che la STET non aveva competenza diretta nell'acquisto della quota di Telekom Serbia, che ne discusse, dopo una semplice informativa, tra le «varie ed eventuali», come minutaglia, prendendone semplicemente atto. Addirittura vi si legge che il consiglio di amministrazione della STET non seppe neppure della conclusione dell'affare (almeno lei lo apprese dai giornali, loro invece neppure dai giornali) e che agli atti d'ufficio del Tesoro non risulta alcuna corrispondenza né comunicazione verbale tra le società e il Ministero riguardo all'operazione di acquisizione. Infine, incredibile dictu, l'invio di comunicazioni in proposito non risulta neppure agli atti della Telecom.
Se ne trae la conclusione che questo acquisto fu un'operazione fantasma. Ma allora, se l'acquisto, come recita il comunicato di palazzo Chigi, fu effettuato da STET International Netherlands, società di diritto olandese, controllata da STET International, a sua volta controllata da STET Finanziaria, all'epoca controllata dal Tesoro e successivamente fusa con Telecom Italia, per quale motivo si mandò addirittura il direttore generale di Telecom Italia a trattare niente meno che con il Capo dello Stato dell'ex Jugoslavia?
Perché non avete mandato l'amministratore fantomatico di questa fantomatica società della estrema periferia dell'impero Telecom situata nella piccola Olanda? Forse che un affaruccio di cui nessuno sapeva nulla - né il Governo né la struttura piramidale dell'IRI - meritava l'intervento di due personaggi di vertice aziendale e politico, come Milosevic e Tommasi? E perché mai la STET finanziaria tirò fuori i quattrini di un acquisto effettuato da una piccola remota controllata olandese? E perché mai, se tutto fu regolare, trasparente, corretto, convincente, perché non è rimasta neppure una sottilissima traccia nelle carte e negli atti della società, nelle carte e negli atti del Governo?
In conclusione, contro ogni evidenza e contro ogni pudore l'intera compagine di Governo, comportandosi come le tre scimmiette, non ha visto, non ha sentito e non parla! Ma il Governo in carica, espressione della stessa maggioranza di sinistra all'epoca dell'affare, non può, senza attentare alla Costituzione, coprire i suoi predecessori che furono o negligenti o conniventi; deve invece dissociarsene dicendo la verità al Parlamento oppure deve accollarsi la responsabilità politica dei fatti passati e la responsabilità politica ministeriale delle reticenze attuali, con tutte le conseguenze del caso, senza escludere l'intervento del tribunale dei ministri.
Questa vicenda ha due risvolti sui quali occorre indagare, uno interno ed uno internazionale. Il primo risvolto chiama in causa tutta la intricata e a tratti oscura vicenda della privatizzazione delle telecomunicazioni in Italia, una privatizzazione sempre e interamente governata dall'Ulivo e dai suoi massimi esponenti, a partire dalla scelta del nocciolo duro alla francese per finire con l'OPA dei «capitani coraggiosi». Mi limito a ricordare che quest'ultima operazione fu portata a termine con l'intervento diretto di Palazzo Chigi che, non a caso, si meritò in quei giorni l'epiteto bruciante di merchant bank coniato da un autorevole intellettuale della sinistra. Singolare destino di Telecom: arrivano i «capitani coraggiosi» ed il Governo interviene, intercede, intermedia e parla, anche quando non dovrebbe; arriva invece il boia dei Balcani ed il Governo si estrania, ignora e tace, anche quando non dovrebbe.
Il secondo risvolto chiama in causa la concreta gestione della politica estera del


Pag. 27

nostro paese, cui lei ha dedicato, volendo eludere il cuore del problema, tanta parte e tanta attenzione nelle comunicazioni odierne. La chiama in causa perché quella gigantesca transazione internazionale tra due aziende di Stato è parsa compiersi in spregio agli orientamenti di fondo della nostra politica estera, quasi ponendo in essere un'opposta e dissimulata linea strategica nei confronti della Jugoslavia. A tal punto, signor ministro Dini, essendo lei irritato da insistenti rilievi e insinuazioni, non ha esitato ad accusare la CIA di voler screditare posizioni negoziali diverse da Washington. Ma le gravi perplessità suscitate dalla sua condotta non furono solo della CIA: addirittura, il segretario di Stato americano, signora Albright (poi lei ci ha detto che l'episodio è stato chiarito), arrivò al punto da darle dell'«Houdini dei serbi», accusandola di scambiare documenti con la delegazione di Belgrado a Rambouillet. Peraltro, il sospetto che la transazione con Telekom Serbia nascondesse anche tangenti e costituisse comunque un aiuto al dittatore Milosevic, proprio nel momento in cui il suo regime dava segni di cedimento, fu chiaramente prospettato da importanti organi di stampa e anche da autorevoli parlamentari, mediante interrogazioni rimaste senza risposta e comunque coeve alla nascita del Governo D'Alema.
Signor ministro, la vicenda Telekom Serbia (credo che alla fine sia questa la verità) dimostra che la cosiddetta diplomazia degli affari può procurare anche cattivi affari e peggiore politica. Signor ministro, oggi non siamo in grado di stabilire quale parte lei e i suoi colleghi di Governo abbiate avuto in tale vicenda. Proprio per questo, mentre la magistratura segue il suo corso, ci sentiamo impegnati ad accertare la verità che spetta alla politica mediante gli strumenti che il Parlamento ci mette a disposizione. Comunque, se contro ogni ragionevole ipotesi (se ne renda conto, signor ministro) foste davvero del tutto estranei a questo enorme intrigo politico affaristico e giudiziario, allora sareste quanto meno colpevoli di una omissione così grande e così grave da rendervi del tutto inidonei a governare il paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania)!
In ogni caso, le pesantissime accuse contenute nell'inchiesta pubblicata su la Repubblica e l'inconsistente difesa contenuta nelle comunicazioni odierne confermano i peggiori sospetti e lasciano cadere su di voi l'ombra del discredito morale e politico: un'ombra che si potrà fugare solo con l'accertamento di tutte le responsabilità; questo è quello che vogliamo e quello che perseguiremo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania - Molte congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà. All'onorevole Rivolta ricordo che ha due minuti di tempo a disposizione.

DARIO RIVOLTA. Signor Presidente, due minuti sono effettivamente un tempo breve; pertanto, mi limiterò a citare alcuni fatti e a fare alcune domande al ministro, in aggiunta a quelle che sono state già formulate e alle quali anch'io (come l'onorevole Pisanu e altri colleghi) amerei avere delle risposte.
Signor ministro, mi chiedo se irresponsabilmente il Governo non sapesse nulla o se avesse commesso qualcosa non idoneo per un esecutivo in carica, poiché si trattava di società di Stato, almeno il Ministero del tesoro (che vi partecipava) avrebbe dovuto sapere e avrebbe avuto il dovere di sentire - su un argomento strategicamente così importante - anche l'opinione del Ministero degli affari esteri.
Se, invece, il Governo non ne sapeva nulla, le chiedo se - nella decina di viaggi che l'allora sottosegretario agli esteri Fassino sembra aver effettuato più o meno in quel periodo in Serbia, in un momento in cui sembrava che quel paese potesse essere oggetto anche di un aiuto europeo e internazionale per la ricostruzione - non sia stato mai toccato l'argomento dei contributi all'eventuale ricostruzione.
Signor ministro, non ritiene che la possibile iniezione di alcune migliaia di


Pag. 28

miliardi di marchi, potesse essere stato un argomento delle conversazioni?
Se questo non è l'argomento delle conversazioni, Fassino di cosa parlava quando si recava in Serbia anche a suo nome? Perché la Telecom ha acquisito il 49 per cento e poi rivenduto alla OTE il 20 per cento? Perché, come normalmente si usa - sono notizie di fonte serba -, i soci non partecipano tutti, o almeno i principali, alla trattativa iniziale? La vendita dalla società italiana, e dalla STET alla OTE è avvenuta quasi contemporaneamente, ma in trattativa separata. Perché lei non ha mai smentito quello che un giornale serbo, Nin, ha scritto nel dicembre 1997 e cioè che lei, o qualcuno del Ministero, avrebbe effettuato un viaggio in incognito, una notte, per partecipare alle ultime fasi della trattativa?

LAMBERTO DINI, Ministro degli affari esteri. È stato smentito!

DARIO RIVOLTA. Mi fa piacere.
Concludo formulando due domande, anche se ne avevo altre da proporre. Qual è il ruolo che secondo alcuni giornali serbi, in particolare il quotidiano Danasc e il settimanale Reporter, avrebbe svolto la comunità Sant'Egidio, tramite l'ambasciatore Maslovaric in questa trattativa? Perché secondo lei, signor ministro Dini, proprio La Repubblica, adesso, dopo che in Serbia lo scandalo è scoppiato, esce con queste notizie e la attacca direttamente?

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pistelli. Ne ha facoltà.

LAPO PISTELLI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, la maggioranza ha scelto di partecipare a questo dibattito con un solo intervento, il mio, a dimostrazione - contrariamente a ciò che pensa l'opposizione - di una compattezza e di una valutazione comune sulle vicende oggi oggetto del dibattito.
Devo dire, signor Presidente, signor ministro degli esteri, che dopo averla ascoltata potrei persino rinunciare all'intervento, stante la ricostruzione precisa, puntigliosa, degli eventi e del quadro in cui si colloca la nostra discussione odierna.
Invito i colleghi che hanno raggiunto l'aula successivamente al suo intervento a farsi carico di leggere le sue comunicazioni che, al contrario di ciò che sostiene il collega Pisanu, non sono né sorprendenti né fuorvianti, ma sono precise e analitiche.
La ringrazio, perché in un clima non favorevole ha risposto preventivamente ad allusioni ambigue ed irritanti che hanno provocato anche in me un certo disagio, un disagio di metodo. La politica è davvero in crisi, se abbiamo affrontato un dibattito parlamentare mettendo da un lato un'inchiesta documentata, ben scritta ma comunque sempre un'inchiesta giornalistica, e dall'altro una serie di eventi politici e diplomatici connotati da un'oggettività indiscutibile, e se l'unica nostra fonte di approvvigionamento per il dibattito diventano gli articoli della stampa italiana o, peggio ancora, perché questo rivela anche un dato di provincialismo, quegli articoli stranieri che vengono invocati, e che altro non sono che il riassunto che quei giornali fanno dai medesimi giornali italiani, per cui si moltiplicano gli specchi, ma la fonte è sempre la stessa. È un po' una legge di Gresham, dove la moneta cattiva scaccia quella buona.

GUSTAVO SELVA. Parlava d'altro.

LAPO PISTELLI. Io spero che la lettura della sua comunicazione di stamane riporti maggior serenità in coloro che comunque sono dovuti intervenire. Non basta, infatti, colleghi, l'enfasi sugli aggettivi; non basta l'enfasi dei toni per nascondere la povertà degli argomenti che si sono ascoltati questa mattina o per confondere la successione degli eventi. Sto alle divagazioni fatte nell'aula parlamentare e mi potrei limitare a dire che da parte del Ministero degli esteri, del tesoro e della Presidenza del Consiglio, appoggio e intervento diretto in questa operazione non ci fu e qui potrei fermarmi. Ma non lo faccio. Alcuni colleghi hanno enfatizzato,


Pag. 29

a riprova della bontà della tesi, l'ispirazione politica della fonte, il giornale La Repubblica. Non ci avevo pensato fino a che alcuni colleghi hanno sollecitato questa riflessione. Come lettore e come politico posso non condividere o dispiacermi, sul piano dell'opportunità, del tempo e del modo con cui questa inchiesta viene pubblicata; come democratico la considero un segno di forza e di libertà del sistema mediatico cosiddetto amico. Invito i colleghi dell'opposizione a riflettere su una questione: da democratico sarò ancora più lieto il giorno in cui un giornale qualsiasi, ad esempio Il Giornale, si occuperà in sei o sette pagine delle molte questioni che riguardano il suo proprietario e le sue architetture societarie e finanziarie (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari e democratici-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
Seguirò sinteticamente lo schema di esposizione seguito dal ministro Dini. Esistono vari livelli di discussione in questa vicenda. Il profilo delle cosiddette responsabilità aziendali: vorrei sottolineare il termine aziendale, perché l'onorevole Taradash ha chiesto al ministro degli affari esteri di rispondere sui passaggi del management di un'azienda che, seppure a partecipazione pubblica, ha sempre una sua autonomia nel sistema di economia di mercato che vige in questo paese.
Potrei - lo faccio per amore di ragionamento - opporre dati di fatto ad altri dati di fatto. Il ministro Dini ci ha ricordato nella sua relazione che dopo questa discussa operazione - come sostiene l'opposizione - gli Stati Uniti d'America chiesero i buoni uffici di Telecom Italia e di Telekom Serbia per facilitare l'installazione di proprie impianti a Belgrado. Potrei dire - anche questo è apparso sulla stampa - che il report Kleinwort Benson, cinque giorni prima dell'operazione STET, aveva invitato a comprare titoli della STET e aveva indicato questa operazione come una strategia aggressiva e competitiva molto più avanzata di altre società di telecomunicazioni. Potrei dire che su altrettante fonti internazionali, dopo la caduta del valore pari al 25 per cento dei titoli di quell'azienda, alla luce e all'indomani della tragica guerra del 1998-1999, tutti gli analisti di mercato avevano sottolineato che quel mercato fosse in espansione per ovvii motivi ricostruttivi. Potrei dire, come ha fatto il ministro Dini, che Telecom Italia sostenne la necessità di una composizione del consiglio di amministrazione di Telekom Serbia in cui non vi fossero rappresentanti dell'ala ultranazionalista Seselj, per limitare il controllo politico da parte di Milosevic. Potrei ricordare - è giusto farlo, visto che molti colleghi non erano qui questa mattina - che si è parlato di un'operazione avvenuta in spregio delle sanzioni internazionali e che invece, come è oggettivamente documentabile, il 1o ottobre 1996 tali sanzioni erano venute meno, e il 27 aprile 1997 - vale a dire tre mesi prima della firma del contratto - il consiglio degli affari generali dell'Unione europea aveva ripristinato nei confronti della Repubblica federale iugoslava il regime delle preferenze commerciali generalizzate.
Mi sorprende, invece, sempre per i dati di fatto che, per amore di discussione, vengono appoggiati agli altri dati oggetto del dibattito, che alcuni colleghi dell'opposizione chiedano al ministro degli affari esteri o al sottosegretario di Stato del tempo, Fassino, quale fosse l'offerta economica dei concorrenti Siemens e Alcatel in questa vicenda e se, come è lecito aspettarsi da parte loro, nei numerosi viaggi diplomatici volti ad accertare l'accettazione da parte del Governo di Milosevic della missione Gonzales, all'indomani della pace di Dayton e delle elezioni amministrative, avessero avuto notizie su questo importante affare.
Non so se questo sarà il livello della politica estera della Casa delle libertà il giorno in cui vincerà - se vincerà - le elezioni, ma il solo fatto di rivolgere queste domande...

PAOLO BECCHETTI. Kosovo! Albania!

PRESIDENTE. Onorevole Becchetti, la richiamo all'ordine.


Pag. 30

PAOLO BECCHETTI. Pensa al Kosovo!

PRESIDENTE. La richiamo all'ordine!

LAPO PISTELLI. ...al ministro degli affari esteri, chiedendo di sapere se fosse a conoscenza del contenuto di eventuali altre aziende europee, personalmente mi inquieta. Spero che la vostra politica estera domani voli comunque più in alto.
Detto questo, nella relazione svolta dal ministro Dini, in realtà, si risponde in merito alla responsabilità che intercorre tra Telecom, il ministero del tesoro e quello degli affari esteri. Si dice infatti che per i suoi limitati profili strategici, perché si tratta di un'acquisizione di quote non di controllo e di minoranza, nonché per il livello che la società acquirente aveva nel gruppo STET, controllata di secondo livello, non era necessario darne comunicazione all'azionista, né ciò è stato fatto. Questa è la ricostruzione degli eventi e ad essa mi attengo.
In conclusione, vorrei ricordare che abbiamo tutti preso atto che la magistratura ha ritenuto opportuno aprire un'inchiesta per valutare se esistano profili di rilevanza penale o amministrativa sul piano degli illeciti e, contrariamente ad altri settori di questo Parlamento, noi abbiamo sempre avuto fiducia nella magistratura: aspettiamo pertanto i risultati dell'inchiesta e ad essi ci atterremo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari e democratici-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
Vi è un secondo profilo del mio ragionamento che voglio sottolineare, in quanto il ministro Dini non era tenuto a trattarne nella sua relazione, ma io ritengo corretto, sul piano intellettuale e politico, che egli lo abbia fatto.
È quello relativo alle responsabilità del cosiddetto sistema Italia all'estero. Sempre nell'analisi, riportata in questi giorni da vari quotidiani nazionali ed internazionali, si è fatto riferimento tante volte alle capacità che ha il sistema paese, inteso come sistema politico e imprenditoriale, di penetrare, dal punto di vista contestuale sul piano politico, commerciale e imprenditoriale, negli scacchieri più delicati del nostro pianeta.
Recentemente, si è fatto riferimento, ad esempio, alle lamentele che proprio in quegli anni vi erano state sul fatto che il cancelliere Koll, all'indomani della dissoluzione della Federazione jugoslava, avesse sostenuto con forza la penetrazione imprenditoriale e commerciale tedesca in Croazia.
Debbo rivendicare a questo Governo e al suo ministro degli esteri di aver sempre avuto, in questi cinque anni, una diplomazia accorta ma non ambigua, prudente e realistica, che ha sempre accompagnato la stabilizzazione politica, la penetrazione economica e commerciale ma anche la crescita dei diritti civili e politici nelle aree più delicate. Rivendico al Governo italiano e al suo ministro degli esteri di essere stato in questi anni Governo battistrada non soltanto nel delicato scacchiere balcanico, ma anche in scacchieri che non sono oggetto della discussione odierna; penso alla Libia, all'Algeria, all'Iran, a paesi in cui abbiamo promosso la stabilizzazione politica, acquisito delle benemerenze e dei crediti per il nostro sistema economico; ciò lo abbiamo sempre subordinato ed accompagnato ad un incentivo al ripristino di un pieno godimento dei diritti civili e politici in quei paesi.
Cose diverse da atti di realpolitik e di altro segno che vi sono stati tra altre superpotenze; cito, a titolo personale - ma mi pare onesto farlo in questo dibattito - la posizione che gli americani hanno sostenuto in Cina all'indomani dei fatti di Tienamen, con grande fretta e rapidità.
Da parte di questo Governo e di questa maggioranza il pedale della stabilizzazione economica e politica e il pedale dei diritti umani e politici non sono mai stati schiacciati in modo disgiunto, e questo è un atto di onestà e di coerenza intellettuale che rivendico per il Governo ed in particolare per la Farnesina.
Un'ultima questione. Noi abbiamo sostenuto e condiviso la conduzione della politica estera italiana nella tormentata


Pag. 31

regione dei Balcani; una politica estera che è stata lineare ed unitaria nonostante l'avvicendamento di diversi Presidenti del Consiglio. Sotto il profilo politico debbo dire che il ministro Dini ha fatto bene - ed avrebbero fatto meglio gli amici dell'opposizione ad ascoltare le comunicazioni prima di giudicarle, ma avevano già scritto a priori i propri interventi - a fornire la cronologia e lo stato dei rapporti fra il nostro Governo e il nostro paese e la Repubblica Federale jugoslava ed i vari Stati che si sono creati dopo lo spezzettamento della Repubblica Federale jugoslava a seguito delle tre guerre avvenute negli anni novanta.
Anch'io voglio ricordare che nel 1996-1997, cioè nel tempo in cui avviene il negoziato tra Telecom Italia, STET e Telekom Serbia, Milosevic è per le diplomazie occidentali l'interlocutore che va aiutato all'indomani degli accordi di Dayton, e quindi dell'accordo per la pace in Bosnia Erzegovina, per ristabilire un regime di convivenza in quel delicato scacchiere. Non vi erano sanzioni in corso; le nostre ripetute missioni diplomatiche hanno teso, da un lato, a fare accettare la missione Gonzales, dunque la pacificazione politico-amministrativa, all'indomani delle elezioni, a far accettare la convivenza nelle zone che per prime avevano visto la guerra tra etnie di diversa origine, e che hanno cercato costantemente di mantenere anche aperto un dialogo con l'opposizione. Quell'opposizione che oggi è divenuta Governo del paese riconosce agli italiani di essere stati non soltanto per motivi geografici e geopolitici gli unici e più accreditati interlocutori di un canale di apertura di rapporto che non era né facile né scontato.
Amici della Casa delle libertà, vi debbo dire sinceramente che se c'è un intervento che stamane mi ha sorpreso lasciandomi sentimenti, da un lato, di vergogna e, dall'altro, di ridicolo, è stato l'intervento del collega Pagliarini, il quale si è scagliato nei confronti del regime comunista di Milosevic dimenticandosi che mentre questo Governo trattava con Milosevic il giorno in cui egli era interlocutore degli accordi di pace e non aveva esitazioni, nonostante pagasse più costi di altro paese dentro l'alleanza, nel partecipare ad una missione militare, il «duce» della Lega, l'onorevole Umberto Bossi, indicava Slobodan Milosevic (Proteste dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)...

PRESIDENTE. Onorevole Stefani!

LAPO PISTELLI. ...indicava Slobodan Milosevic campione dell'etnocentrismo e del nazionalismo al tempo in cui egli conduceva i massacri di pulizia etnica in Kosovo.
Se la lettura dei tempi aiuta i colleghi della Lega, in quel momento vi era da vergognarsi, in quel momento vi era da interrogarsi sull'attendibilità internazionale delle scelte della Casa delle libertà, altro che oggi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari e democratici-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Commenti dei deputati della Lega nord Padania - Applausi polemici del deputato Covre)! Invece di parlare d'altro, ascoltare oggi il collega Pagliarini che ci fa la morale su queste vicende fa vergogna, se non facesse ridere. Soltanto lo stupore di fronte a questa argomentazione ha impedito di andare a prendere i numerosi atti parlamentari in cui l'onorevole Bossi in quest'aula ha inneggiato all'etnocentrismo e al nazionalismo delle piccole patrie di Slobodan Milosevic, mentre questo Governo con l'appoggio dell'opposizione partecipava alle missioni militari della NATO.
Cari colleghi, la vicenda di Slobodan Milosevic - ha fatto bene il ministro Dini a ricordarlo stamattina - ha un'accelerazione in un tempo successivo, nel marzo 1998, quando iniziano le prime piccole azioni di pulizia etnica in Kosovo, periodo che si può dividere in tre tappe: l'ultimatum della NATO nel settembre 1998, l'inizio dei settantotto giorni di offensiva NATO il 24 marzo 1999 e l'avvio del procedimento nei confronti di Milosevic da parte del tribunale internazionale penale delle Nazioni Unite. Questo Governo, questa maggioranza e questo paese sono stati i primi in Europa a ratificare lo


Pag. 32

statuto. Se le cose stanno così, riconfermiamo il sostegno alla politica estera, alta, svolta da questo Governo nella regione balcanica, la quale ha avuto costantemente il sostegno anche dell'opposizione in questo e nell'altro ramo del Parlamento. La maggioranza del centrosinistra e dell'Ulivo attende serenamente le risultanze della magistratura, anche se esse dovessero mostrare profili di natura penale o amministrativa nelle società del gruppo STET; rifiuta, con prove suffragate da questo dibattito, le strumentalizzazioni maldestre che stamattina l'opposizione ha cercato di agitare in tempo di campagna elettorale, e conferma il sostegno e la condivisione all'iniziativa politica italiana nei Balcani di questi anni (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari e democratici-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, de I democratici-l'Ulivo, Comunista, misto-Socialisti democratici italiani e misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sulla vicenda dell'acquisto di una quota del capitale Telekom Serbia.
Sospendo brevemente la seduta.

Back Index Forward