della «Barclays Bank» di Londra, dove furono accreditati rispettivamente circa 16 milioni di marchi tedeschi a beneficio della banca «Natwest securities limited» e circa un milionesettecentomila marchi alla «Weil Gotshall&Manges»: tutto denaro versato dalla Stet, la finanziaria pubblica dell'Iri che controllava Telecom prima della privatizzazione, benché, stando al comunicato della Presidenza del Consiglio del 22 febbraio 2001, non vi fosse «alcuna competenza diretta del Consiglio d'amministrazione della Stet in ordine all'acquisizione», effettuata, secondo lo stesso comunicato, da «Stet International Netherlands», società di diritto olandese controllata da «Stet International» a sua volta controllata da «Stet Società Finanziaria Telefonica», all'epoca posseduta com'è noto dall'Iri, controllato dal Tesoro: dunque fu utilizzata una società d'infimo livello per portare a termine un'operazione di primaria importanza e d'eccezionale impatto sulla politica estera italiana;
di interrompermi affermando che non si trattava di questioni inerenti all'azienda. Erano così poco "inerenti all'azienda", che nel bilancio dell'anno successivo del gruppo telefonico, il 1999, la partecipazione in Telekom Serbia viene valutata in appena 200 milioni di dollari (circa 400 miliardi di lire), contro i 900 miliardi del costo dell'accordo concluso un anno prima»;
al di là delle comunicazioni rese il 28 febbraio 2001 e alla luce del dibattito seguitone, a presentare immediatamente alla Camera una relazione scritta che precisi quanto segue:
premesso che:
il 16, 17, 18 febbraio 2001 il quotidiano La Repubblica ha pubblicato una documentata ricostruzione dell'affaire Telecom Italia-Telekom Serbia;
la smentita del Ministro degli esteri Dini, pubblicata da La Repubblica del 16 febbraio 2001 («Non mi sono mai occupato, né nessuno mi ha mai parlato di questo affare.... Lo appresi a contratto firmato, dai giornali») appare francamente incredibile, considerato che si trattò di una gigantesca transazione internazionale tra due aziende di Stato, operanti per giunta in un settore strategico. Peraltro il ministro Dini ha successivamente dichiarato alla Camera, contraddicendosi palesemente:
«Le fonti di informazione del Ministero degli esteri furono essenzialmente i giornali serbi, in particolare Nin e Nasaborba, che ne parlarono nel febbraio del 1997, e le indicazioni di massima che la stessa Stet fornì, sempre nel febbraio del 1997, alla nostra direzione generale degli affari economici. Che l'informativa - e soltanto l'informativa - ci fosse pervenuta nel corso delle ultime fasi del negoziato emerge chiaramente da una comunicazione del nostro ambasciatore a Belgrado che nel febbraio del 1997 faceva stato di voci che egli riferiva con riserva circa l'eventuale conclusione dell'acquisto da parte della Stet di una quota dell'ente serbo delle telecomunicazioni».
lo stesso onorevole Dini, di fronte ad un rapporto della Cia dell'aprile 1999 che sollevava la questione dell'affare Telecom, accusò l'Agenzia americana di «cercare di screditare chi sostiene a volte posizioni negoziali diverse da Washington»;
tale transazione è stata compiuta in ispregio della posizione internazionale ufficiale dell'Italia, quasi ponendo in essere una opposta e dissimulata linea strategica nei confronti della ex Jugoslavia;
la transazione stessa non sembra essere stata dettata dagli interessi economici dell'Italia, anche a prescindere dai diritti degli azionisti, ma dal perseguimento di occulti interessi politici, sotto la spinta di forti pressioni lobbistiche;
il sospetto che la transazione nascondesse anche tangenti a favore di vari soggetti variamente implicati o a vantaggio personale del dittatore comunista Milosevic oppure celasse comunque un indiretto aiuto al rafforzamento del suo regime, fu chiaramente prospettato da importanti organi di stampa e da autorevoli parlamentari mediante interrogazioni e dichiarazioni coeve alla nascita del primo Governo D'Alema;
la ridda di voci, accuse, smentite, precisazioni, innescate dagli articoli de La Repubblica e coinvolgenti ormai le più alte cariche italiane e serbe, è tale da chiamare pesantemente ed intollerabilmente in causa la credibilità, se non addirittura la moralità, del Governo italiano e del suo Ministro degli esteri;
l'affaire ha ormai assunto rilievo penale, dal momento che la procura della Repubblica di Torino starebbe indagando per falso in bilancio, corruzione e peculato, giacché i dirigenti della Telecom erano effettivamente pubblici ufficiali o almeno incaricati di pubblico servizio ed il denaro impiegato nell'operazione era denaro pubblico, nonché di azionisti privati;
le polemiche non riguardano solo l'Italia, ma anche la Grecia, che tramite l'Ote acquistò insieme a Telecom Italia il 49 per cento di Telekom Serbia, subordinandosi però alla trattativa gestita in termini sostanzialmente privatistici dal dittatore Milosevic e dal direttore generale di Telecom Italia, Tomaso Tommasi di Vignano;
sono già state disposte dalla magistratura torinese le rogatorie per accedere ai conti della «Paribas» di Francoforte e
sui suddetti conti bancari la greca Ote avrebbe versato altro denaro e per tale versamento starebbero indagando i giudici di Atene;
l'Espresso del 7 dicembre 2000, anticipando di settanta giorni La Repubblica, pubblicò un lungo articolo nel quale ricordava che i dettagli dell'acquisto della quota di Telekom Serbia erano stati concordati il 15 gennaio 1997 in un incontro riservato, tenuto a Belgrado tra il direttore generale della Telecom, Tomaso Tommasi di Vignano (che appena due settimane dopo sarà nominato amministratore delegato al posto di Ernesto Pascale) e Milosevic;
al vertice di Rambouillet il segretario di Stato USA, signora Albright, diede al ministro Dini dell'«Oudini dei serbi», accusandolo di scambiare documenti con la delegazione di Belgrado;
Boris Tadic, attuale Ministro delle telecomunicazioni serbo, ha dichiarato che «le trattative furono a tal punto nascoste agli occhi dell'opinione pubblica che perfino oggi facciamo fatica a recuperare informazioni sui momenti chiave della vicenda»; e inoltre che «Milosevic utilizzò il denaro incassato con Telecom per mantenere la pace sociale. E lo spese fino all'ultima moneta. Oggi nelle nostre casse non è rimasto un solo marco del miliardo e 568 milioni di marchi incassati allora (circa 1.568 miliardi di lire)»;
secondo lo stesso Tadic, inoltre, sarebbero numerose le prove o gli esempi di corruzione tuttora in atto attraverso le forniture alla Telekom Serbia da parte di Telecom Italia, che riservatamente lo avrebbe messo a parte di «timori per l'incolumità personale dei manager italiani presenti a Belgrado»;
risulta avviata dal Governo di Belgrado un'inchiesta ufficiale sui possibili comportamenti finanziari scorretti di Telekom Serbia. L'inchiesta durerà un mese, ed alla fine il Governo serbo non esclude di chiedere un arbitrato internazionale. In proposito, il vice premier serbo Vuk Obradovic, che è anche capo della commissione di controllo delle privatizzazioni nelle imprese di Stato, ha dichiarato che saranno esaminate attentamente tutte le procedure per questa privatizzazione e verranno resi pubblici «molto presto tutti gli atti criminali nel settore economico e finanziario serbo negli ultimi dieci anni»;
in una dichiarazione, rilasciata il 19 febbraio 2001, l'europarlamentare onorevole Benedetto della Vedova ha affermato: «Il 14 dicembre del 1998, durante il dispiegamento delle forze di Milosevic in Kosovo (amministratore delegato di Telecom Italia è Franco Bernabé, presidente Bernardino Libonati: siamo in piena gestione Ifil del gruppo delle telecomunicazioni), all'assemblea degli azionisti, insieme con Gianfranco Dell'Alba, chiedo formalmente conto della partecipazione in Telekom Serbia, partecipazione, dico, che rappresentava una gravissima compromissione della società con il regime di Milosevic e che poteva creare un grave danno a una azienda internazionalizzata come Telecom. Bernabé non proferisce parola sull'argomento e Libonati cerca continuamente
la vicenda Telecom Italia-Telekom Serbia dimostra che la cosiddetta diplomazia degli affari può procurare anche cattivi affari e peggiore politica, e talvolta affondare nella corruzione e nell'intrigo perché il fatto di finanziare Milosevic, quando il regime era alla bancarotta, ricavandone discredito e danno, costituisce una gravissima responsabilità per i ministri implicati e per il Governo di cui facevano parte,
1) per quali ragioni un'operazione di così grande portata economica e di così gravi implicazioni politiche sia stata affidata, come hanno ammesso il Presidente del Consiglio ed il Ministro del tesoro alla «Stet International Netherlands, società di diritto olandese controllata da Stet International spa, a sua volta controllata da Stet Società Finanziaria Telefonica, all'epoca controllata dal Tesoro e successivamente fusa con Telecom Italia»;
2) chi furono i percettori finali dei versamenti effettuati dalla Stet sui conti della Paribas di Francoforte e della Barclays Bank di Londra, a quale cifra ammontavano esattamente ed a quale titolo furono realmente disposti;
3) quali attività svolse la Ubs di Zurigo ed in base a quali elementi, in veste di advisor, avrebbe stimato circa 900 miliardi di lire il valore, sicuramente inferiore, del 29 per cento di Telekom Serbia acquistato da Telecom Italia;
4) se è vero che tale partecipazione sia stata iscritta in bilancio per 400 miliardi di lire, cioè meno della metà, e per quali motivi;
5) l'ammontare esatto delle somme sborsate direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo (per esempio: prezzo, consulenze, mediazioni, cambio, tasse) da Stet e/o da Telecom per l'acquisizione di Telekom Serbia e se le cifre stesse corrispondano a quelle iscritte a fronte nei bilanci Stet e Telecom;
6) per quali ragioni l'amministratore delegato di Telecom Italia, Tomaso Tommasi di Vignano, firmatario dell'acquisto di Telekom Serbia, disattese il rapporto della società di revisione Coopers & Lybrand che bocciò il primo bilancio della Telekom Serbia «privatizzata» perché vi si sovrastimavano gli utili e il capitale;
7) se debba considerarsi, secondo le affermazioni di Tomaso Tommasi di Vignano, «una normale commissione per una prestazione professionale» la parcella di 960 mila marchi riconosciuta al conte Gianni Vitali «compagno di caccia di Milosevic», come rivelato dal Wall Street Journal;
8)se esistano davvero delle clausole segrete del contratto Telecom ItaliaTelekom Serbia, rientranti in un giro di tangenti europee ideato dal regime di Belgrado nel 1997, come confermato dal giornale spagnolo La Vanguardia; quale sia il loro eventuale contenuto; se e per quali motivi i responsabili di Stet e Telecom le abbiano celate non solo agli organi societari, ma anche ai ministri competenti e controllanti;
9) il ruolo svolto da Dyocilo Maslovaric, intermediario dell'affare Telecom al tempo in cui era ambasciatore di Milosevic presso la Santa Sede, ma già interrogato dalla magistratura italiana;
10) se risponde a verità che il Governo di Belgrado pose il segreto di Stato sul contratto di vendita e quali ne furono i motivi che sicuramente dovettero essere notificati al Governo italiano;
11) se corrisponde a verità quanto dichiarato dall'ex ambasciatore jugoslavo presso il Vaticano, Maslovaric, secondo cui la tangente di 32 miliardi sarebbe stata pagata dai serbi a consulenti inglesi, mentre gli italiani «hanno pagato la Ubs svizzera»;
12) a chi si riferiva il presidente yugoslavo Milosevic, quando affermò, che il denaro della tangente fu destinato «a quei mafiosi di italiani». Circostanza questa ribadita, secondo indiscrezioni di stampa, dal Maslovaric nel corso del menzionato interrogatorio;
13) se risulta agli atti della Presidenza del Consiglio o dei ministeri competenti o dell'Iri o della Telecom una qualche documentazione scritta, di qualsiasi natura, comprovante, come dovuto per legge, che la Telecom e/o la Stet informarono le autorità di Governo e se ne ricevettero eventuali risposte;
14) come hanno potuto i responsabili politici e amministrativi, che avrebbero dovuto essere informati, chiamarsi fuori dalla vicenda, rendendo le seguenti dichiarazioni, sorprendenti alla luce dei fatti:
Tomaso Tommasi di Vignano (amministratore delegato di Telecom): «Di tangenti, di beghe internazionali, di problemi interni della Serbia, io non so assolutamente nulla. Ho condotto una trattativa molto complessa durata circa tre anni e mezzo e della quale ho sempre reso conto a chi di dovere... Io non ho mai parlato dell'operazione con Dini, ma con il Ministero degli esteri inteso come struttura»;
Lamberto Dini (Ministro degli esteri): «Noi della Farnesina siamo completamente estranei. Né io né il ministero ci siamo occupati di queste cose. Sono assolutamente all'oscuro. L'ho saputo dai giornali, a contratto firmato e me ne rallegrai ... Sono cose che possono chiarire solo i ministri dell'epoca. Io posso parlare per me, non di altri»;
Guido Rossi (Presidente di Telecom): «Sono sconcertato»;
Romano Prodi (Presidente del Consiglio): «Non risulta che sia mai stata presentata un'interrogazione a riguardo ... Confermo che agli atti non mi risulta alcuna interrogazione giacente perché a me risultava evasa»;
Antonio Maccanico (Ministro per le riforme istituzionali): «All'epoca dei fatti non avevo nessuna competenza nel settore telefonico né me ne sono mai occupato»;
Piero Fassino (Sottosegretario agli esteri): «Dell'affaire Telekom Serbia non ho mai saputo nulla, se non dai giornali»;
Enrico Micheli (Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio): «Non ho mai ricevuto notizia o qualsivoglia comunicazione dell'acquisizione di una quota di Telekom Serbia da parte di Stet International Netherlands, trattandosi di una questione di carattere aziendale, che come tale esulava totalmente dal mio ruolo e dalle mie competenze».
(1-00513)
«Pisanu, Selva, Pagliarini, Follini».