Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 865 del 22/2/2001
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(Controlli sulla produzione e sul commercio delle farine animali)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Paissan n. 2-02890 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
L'onorevole Procacci, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di illustrarla.

ANNAMARIA PROCACCI. Abbiamo presentato questa lunghissima interpellanza riguardante una materia attuale e scottante, ossia quella relativa alla vicenda BSE e alla gestione del rischio.
Per noi la sicurezza alimentare rappresenta indubbiamente una priorità nella politica del Governo. Abbiamo avuto modo più volte - e non solo noi - di lamentare come da parte delle strutture preposte alla gestione del rischio non vi sia stata in questi anni una sufficiente attenzione ma, al contrario, una costante sottovalutazione di quelli che potevano essere i pericoli che purtroppo oggi viviamo. Mi riferisco ai pericoli che hanno corso e corrono tutti coloro che consumano carni di animali infetti da BSE e mi riferisco anche alla traumatica condizione che vive oggi la zootecnia del nostro paese.
Nel nostro lunghissimo documento abbiamo citato, in modo articolato e circostanziato, una serie di fatti, alcuni dei quali vissuti direttamente dai parlamentari verdi. Desidero riepilogarli in modo molto sintetico.
Abbiamo fatto riferimento all'indagine conoscitiva sulla sicurezza alimentare che la XII Commissione affari sociali ha voluto avviare ma che purtroppo non ha ancora concluso. Nel corso di tale indagine noi abbiamo posto ripetutamente il problema della BSE e del rischio ad essa collegato, con riferimento al nostro paese.
Voglio ricordare le insoddisfacenti risposte avute anche dai rappresentanti del Ministero della sanità. Anche i colleghi di altri gruppi avevano formulato quesiti in ordine all'incidenza in Italia del fenomeno della BSE.
Nella seduta del 9 marzo 2000 il professor Romano Marabelli, direttore del dipartimento prevenzione del Ministero della sanità, fece una rappresentazione assolutamente irrilevante del rischio BSE nel nostro paese, al contrario di quanto ci si poteva attendere da chi da tempo, da anni, rivestiva un incarico di tale responsabilità con riferimento anche a quella che in Europa era una vera e propria emergenza, a cominciare dai noti casi verificatisi in Gran Bretagna sin dal 1986. Audizioni parlamentari a parte, ci siamo dovuti confrontare ripetutamente anche con la vicenda delle farine animali. Voi sapete che le farine animali sono la prima causa di scatenamento dell'encefalopatia bovina spongiforme; esse rappresentano la violenza del profitto sulla natura, la trasformazione di animali che certamente in natura non si nutrono di carne in consumatori di carne, per ragioni di produzione di mangimi a basso prezzo e di eliminazione di residui e rifiuti (animali un po' come discariche, come macchine).
Il divieto di somministrazione di farine ai ruminanti da parte dell'Unione europea data lontano nel tempo (1994). Noi, pochissimo tempo fa, abbiamo suscitato l'interesse del paese a causa di ciò che intorno a Natale è avvenuto nel porto di Ravenna (mi riferisco all'interpellanza del collega Galletti), dove venivano tranquillamente scaricate farine animali provenienti, ovviamente, da altri paesi. Lo ripeto, dal 1994 l'Unione europea ha vietato il ricorso alle farine animali nei mangimi.
Credo che tale episodio, sul quale si sono accesi anche i riflettori delle televisioni nazionali, sia stato rivelatore non di una politica eccezionale, ma di una serena carenza di controlli nel nostro paese, nonostante un'emergenza acclarata. È questo il modo in cui il Ministero della sanità ha assicurato i controlli nel tempo?
Siamo stati carenti anche relativamente ad altri aspetti. Desidero ricordare che i dati ufficiali degli istituti zooprofilattici (si tratta, quindi, di valutazioni competenti e responsabili) hanno rivelato che nel 1998 la presenza di farine animali nei mangimi per bovini, nonostante il divieto fosse scattato nel 1994, era ancora


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del 20 per cento: chissà quanti italiani hanno mangiato carni di bovini nutriti nel corso del tempo con farine animali, nonostante i divieti dell'Unione europea.

PRESIDENTE. E allora, che succede?

ANNAMARIA PROCACCI. Noi parliamo, quindi, di un grande e colpevole peccato di omissione, perché la rete di controlli non è quella che il Ministero della sanità ha dichiarato in questi anni attraverso i suoi dirigenti. Tale rete di controlli - spesso abbiamo avuto il desiderio di illuderci che fosse come descritta - non vi è stata, nonostante l'Italia, contrariamente ad altri paesi europei, avesse la fortuna di un esercizio del controllo sulla pubblica alimentazione da parte del Ministero della sanità e non dell'agricoltura (in altri paesi è l'agricoltura che controlla se stessa, sulla base di una misura assolutamente paradossale).
Ancora in relazione alla rete di controlli, in questi anni abbiamo dovuto registrare una carenza di verifiche anche a causa della strutturazione dei controlli stessi. Le piccole unità periferiche UVAC (uffici veterinari per gli adempimenti CE) dipendono direttamente dal Ministero.
Per gli scambi commerciali dai paesi extraeuropei, abbiamo gli uffici periferici per il controllo della merce (PIF). Ebbene, tali organismi non hanno potuto assicurare un esercizio di controllo come quello che non solo avrebbe richiesto la tutela della salute degli italiani, ma che veniva richiesto anche dall'Unione europea, la quale ci chiedeva anche un esercizio statistico anno per anno dei controlli.
Se si sono verificate maglie larghe, disattenzioni, omissioni, trascuratezza anche in tempi recenti a proposito delle farine animali, noi dobbiamo confrontarci anche con problemi di incompatibilità. Vorrei fare riferimento - come abbiamo fatto nell'interpellanza - con nome e cognome al professor Romano Marabelli, che ha nelle sue mani un incarico di così grande responsabilità come quello di direttore del dipartimento dei servizi veterinari del Ministero della sanità e che è anche responsabile, per quanto riguarda il WTO, dell'Organizzazione mondiale per le malattie animali (OIE). Vi è uno strano intreccio di compiti e di ruoli, a nostro parere, non compatibili; tanto più non compatibili quando i parlamentari Verdi hanno potuto leggere qualche anno fa su Internet che lo stesso professor Marabelli faceva parte del comitato di saggi di una casa produttrice di polli.
Senza volermi addentrare nella severa normativa in vigore negli Stati Uniti sulle incompatibilità, mi chiedo se anche una semplice considerazione di opportunità non avrebbe potuto condurre il Ministero a sciogliere questa stratificazione di incarichi. Non credo che a nessuno possa far piacere che un controllore reciti anche la parte del controllato, o viceversa!
Nel 1998 abbiamo presentato un'interrogazione, alla quale naturalmente non è mai stata data una risposta, proprio su questa vicenda.
Le incompatibilità devono rappresentare un elemento sempre presente al Governo se vogliamo davvero fare una politica più seria e più rigorosa!
Lasciandoci alle spalle le incompatibilità (sulle quali ascolterò con molto interesse la risposta della sottosegretaria Labate), vorrei ricordare la vicenda delle bovine provenienti dalla Svizzera come un altro errore - non irrilevante - che è stato commesso e che risale a tempi abbastanza recenti. Ricordo che proprio in quest'aula io stessa discussi un'interpellanza con la sottosegretaria Fumagalli Carulli su questo argomento.
Ricordo che la Svizzera è un paese a rischio BSE, nei confronti del quale vi è l'adozione da parte nostra di una misura praticamente di embargo. Nel luglio dello scorso anno era stata predisposta una bozza di decreto per porre fine a tale embargo, con la possibilità di far entrare nel nostro paese 4.800 bovine da latte. Quando noi, deputati Verdi, denunciammo il rischio di una misura del genere fummo smentiti dal Ministero della sanità. Ci fu detto che non era vero e che non rispondeva a verità quanto avevamo pubblicamente paventato, tranne che noi avessimo


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la possibilità di dimostrare che quel documento - già quasi perfezionato - si riferisse proprio a quell'apertura di frontiere. Questa vicenda delle bovine svizzere poi cadde solo grazie al clamore sollevato e fu sconfessata dal Governo: ricordo infatti che la sottosegretaria Fumagalli Carulli disse che quella misura non rappresentava affatto la volontà del Governo. Questo episodio fu pertanto un altro tassello, in questo quadro del tutto insoddisfacente, nella gestione del rischio da parte delle burocrazie del Ministero della sanità, alle quali nessuno di certo vuol togliere la competenza, ma alle quali certamente ognuno di noi ha il diritto di rimproverare tutta una serie di sbagli, di sottovalutazioni e di ambiguità che si sono fin qui susseguiti e che sono per noi inaccettabili.
Noi abbiamo presentato al Senato una mozione affinché il professor Marabelli non possa più esercitare il ruolo che oggi ha ricoperto. Non voglio poi ricordare tutte le polemiche che vi sono state sui giornali o i fatti che sono stati riportati nell'interpellanza e che per brevità non voglio citare. Nella nostra interpellanza noi chiediamo al Governo cose assai precise: quale sia il suo giudizio sull'operato del professor Marabelli e sulle compatibilità o incompatibilità dei suoi incarichi; quali siano oggi - e quanti - i controlli sulla produzione e sul commercio di farine animali, soprattutto dopo questo pandemonio, anche in relazione alle difficoltà di smaltimento delle farine stesse. Vogliamo sapere se il Ministero della sanità non intenda avviare almeno un'indagine amministrativa per fare luce sugli errori, sulle sottovalutazioni di questi anni. Tornando al problema delle incompatibilità, vogliamo sapere se il Ministero non voglia andare a verificare altre situazioni di incompatibilità sulle quali abbiamo presentato altre interrogazioni di altri funzionari pubblici, che magari esercitino le loro competenze anche per quanto riguarda attività di privati e altro.
Chiudo con la considerazione che ha fatto un magistrato che sta indagando sulla questione del rischio della BSE nel nostro paese, il procuratore della Repubblica di Torino, che ha detto che abbiamo perso almeno cinque anni in silenzi, errori e soprattutto omissioni per quanto riguarda la cosiddetta «mucca pazza». Potrei sottoscrivere questa affermazione e ricordare come ancora poco tempo fa il nostro paese andava sponsorizzando una linea permissiva in relazione al problema scottante delle farine animali, sostenendo che la presenza di farine animali nei mangimi, nonostante fossero messe al bando da tempo, poteva essere considerata fisiologica almeno in una certa percentuale. Credo che la difesa della salute dei cittadini non sia un'opinione.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la sanità ha facoltà di rispondere.

GRAZIA LABATE, Sottosegretario di Stato per la sanità. Credo sia giusto sottolineare che non è corretto, con riguardo alle farine animali, associarne il divieto di somministrazione ai ruminanti, adottato anche dall'Italia sin dal 28 luglio 1994, con la possibilità di importazione, atteso che le stesse potevano essere somministrate a specie animali diverse dai ruminanti. In particolare, le stesse farine di origine animale irlandesi richiamate nell'interpellanza, non sono mai state oggetto di disposizioni comunitarie restrittive che ne impedissero la commercializzazione in altri Stati. Ciò non di meno, poiché con provvedimento del ministro dell'agricoltura della Repubblica d'Irlanda, notificato all'Italia in data 18 marzo 1997, tale Stato aveva adottato misure nazionali restrittive circa l'utilizzo di materiali a rischio (cranio, cervello, occhi, midollo spinale, derivati da animali della specie bovina, ovina e caprina) nella produzione delle farine di carni o ossa, in data 21 marzo 1997, il Ministero della sanità disponeva il divieto di introduzione nel territorio nazionale di tali prodotti in attesa di ricevere dalle autorità della Repubblica d'Irlanda specifiche garanzie relative alle partite eventualmente spedite verso l'Italia.


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Pertanto, per una corretta ricostruzione dei fatti, non si può e non si deve sottacere che solo a seguito: primo, dell'avvenuta approvazione da parte degli organi comunitari del piano presentato all'Irlanda relativo alle misure da attuare nei confronti della BSE comprendente l'eliminazione del citato materiale a rischio dalla catena alimentare umana e animale; secondo, della ricezione delle garanzie sanitarie espressamente richieste dall'Italia a tale Stato sulle farine di tale origine eventualmente spedite verso il nostro paese; terzo, dell'entrata in applicazione, a partire dal 1o aprile 1997, della decisione della Commissione europea (documento 96449 della Comunità) che dispone l'obbligo di sottoporre a specifico trattamento i rifiuti di origine animale ed i mammiferi, con temperature superiori a 100 gradi centigradi e a 3 bar di pressione per almeno venti minuti, trattamento che in base a studi scientifici dell'Unione europea era ritenuto in grado di inattivare anche l'agente della BSE.
Solo in riferimento a questi tre fondamentali passaggi, questo Ministero disponeva, con il provvedimento del 16 aprile 1997, la revoca delle misure adottate in precedenza ed in via unilaterale sulle farine irlandesi.
Si ribadisce in conclusione che ad eccezione delle citate misure unilaterali, e perciò stesso temporanee, adottate dall'Italia sulle farine irlandesi e revocate solo successivamente all'avverarsi delle richiamate condizioni, ancora oggi nessuna misura restrittiva degli scambi intercomunitari di farine irlandesi è stata proposta o adottata dalla Commissione europea.
Non corrisponde al vero né sotto il profilo sostanziale né sotto quello giuridico-formale che i controlli alle importazioni da paesi dell'Unione europea siano affidati agli uffici veterinari periferici (quelli che in sigla tutti chiamiamo Uvac) del Ministero della sanità e non già alle strutture veterinarie regionali. I ruoli e le competenze di entrambi risultano infatti essere ben definiti e distinti, poiché la funzione attribuita in via normativa agli Uvac non consente che essi effettuino materialmente i controlli veterinari sulle merci, ancorché di provenienza comunitaria, controlli che sono invece espletati in via esclusiva - in aderenza alla previsione normativa riguardante il riparto di competenze, funzioni e compiti tra Stato, regioni ed altri enti territoriali esistenti in Italia - dai servizi veterinari delle aziende sanitarie, dipendenti dalle regioni sia sotto il profilo funzionale che di indirizzo e di verifica.
Le funzioni espletate dagli Uvac attengono invece al diverso aspetto di coordinamento delle modalità di controllo veterinario con riguardo agli aspetti di interesse comunitario al fine di garantire, in primo luogo, l'uniformità degli stessi controlli delle merci di origine comunitaria, in modo da assicurare la non discriminatorietà degli stessi in dipendenza della provenienza delle merci sottoposte a controllo e, in secondo luogo, l'assistenza e la collaborazione amministrativa alle autorità degli Stati membri dell'Unione europea - cosiddetta clausola della mutua assistenza - in caso di problematiche relative a merci comunitarie, principi ed obblighi imposti da specifiche direttive comunitarie (la n. 89608, la n. 89662, la n. 90425) e dai relativi provvedimenti legislativi di attuazione interna.
Non può pertanto corrispondere al vero che gli Uvac siano, come affermato nell'interpellanza, la catena debole che non garantiva efficacemente i controlli sulla BSE in quanto, come detto, tali uffici non sono legittimati ad effettuare materialmente i controlli veterinari sul territorio nazionale. Non corrisponde al vero che i controlli veterinari sulle importazioni da paesi extra Unione europea - paesi terzi - eseguiti dai posti di ispezione frontaliera (che in sigla chiamiamo PIF) abbiano maglie più larghe e che tali uffici non operino solo secondo le regole dell'Unione europea, seguendo anche i parametri detratti dal WTO, l'Organizzazione mondiale del commercio.
L'affermazione non considera che le regole relative ai controlli veterinari, sia negli scambi intracomunitari sia nelle importazioni da paesi extra Unione europea,


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sono frutto di una legislazione comunitaria armonizzata che, in quanto tale, è stabilita solo dall'Unione europea ed è valida ed applicata in tutti i quindici Stati membri aderenti alla medesima. I posti di ispezione frontaliera, infatti, sono uffici veterinari che operano non in funzione dei singoli Stati membri, ma dell'intera Unione europea poiché esistono ed operano presso tutte le frontiere estreme dell'Unione, effettuano controlli su partite che possono anche essere destinate a uno Stato membro diverso da quello al quale appartengono, sono riconosciuti abilitati all'effettuazione dei controlli veterinari solo previa ispezione della Commissione europea, nonché oggetto di frequenti ispezioni periodiche da parte della medesima istituzione, oltreché dalle singole autorità nazionali, anche successivamente all'avvenuta abilitazione di un ufficio PIF.
Quarto: applicazione delle procedure, delle modalità di controllo veterinario e delle normative stabilite solo dalla Commissione europea. Per ciò che concerne l'incarico di presidente dell'Organizzazione internazionale per le epizozie (OIE), riconoscimento internazionale di indiscutibile valore, e quello di direttore dei servizi veterinari del Ministero della sanità, ricoperti dal dottor Marabelli, si sottolinea l'assoluta inesistenza di qualsivoglia incompatibilità. Si deve ricordare, inoltre, che l'OIE, fondata nel 1924, è l'organizzazione intergovernativa con maggiore competenza nel campo della sanità animale e che essa esprime i propri pareri attraverso una serie di comitati scientifici rappresentativi di tutti i continenti, senza che il presidente, pur essendo la carica più importante sul piano rappresentativo, abbia poteri di indirizzo eccettuati quelli organizzativi. Le decisioni vengono assunte unicamente dall'assemblea alla presenza di tutti i membri delegati e a seguito di un lavoro istruttorio della Commissione amministrativa composta da otto Stati membri di tutti i continenti.
Occorre anche smentire l'affermazione secondo la quale il dipartimento dei servizi veterinari ha autorizzato l'importazione dalla Svizzera di quattromila mucche da latte; una tale autorizzazione non è stata mai rilasciata e non è mai avvenuta l'importazione di un solo capo di tali animali. Le autorità elvetiche avevano invece chiesto al dipartimento di valutare una simile possibilità dichiarando, peraltro, che «L'eventuale importazione avrebbe riguardato esclusivamente animali originari da allevamenti nei quali non si era mai riscontrato un solo caso di BSE». La fattibilità di una tale importazione era stata inoltre sottoposta dalle stesse autorità elvetiche al preventivo vaglio dei organi comunitari con esito positivo. A fronte della richiesta ufficiale avanzata dalle autorità elvetiche, il dipartimento ritenne necessario approfondirne tutti gli aspetti sanitari sottoponendo l'ipotesi anche alla valutazione delle regioni, le quali non l'hanno ritenuta fattibile. Per contro si deve ricordare ed evidenziare che l'Italia è tra i pochi stati dell'Unione europea ad aver adottato e a mantenere tuttora il divieto di importazione di bovini vivi dalla Svizzera, provvedimento che, invece, non è mai stato preso dalla stessa Commissione europea.
Occorre smentire, inoltre, l'affermazione secondo la quale il divieto di destinare al consumo umano il cervello e il midollo spinale, quali parti considerate a rischio per BSE, è stato introdotto dal dipartimento dei servizi veterinari con quattro anni di ritardo, letteralmente «solo dal 1o ottobre 2000».
Una tale affermazione, qualora fosse vera, non dovrebbe formare oggetto dell'interpellanza, ma di immediati esposti alla procura della Repubblica.
Si ribadisce pertanto che non vi è stato alcun ritardo da parte delle autorità sanitarie italiane nell'adozione del divieto in questione, poiché anch'esso, come la totalità dei provvedimenti di promanazione comunitaria, è stato discusso e approvato in tale sede su proposta presentata dalla Commissione europea secondo le regole comuni e predeterminate note sin dalla fondazione della Comunità medesima, che anche l'Italia ha sottoscritto e accettato di rispettare.


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Per la corretta ricostruzione degli avvenimenti occorre invece ricordare che la Commissione europea nel luglio del 1997 aveva presentato una proposta di decisione, divenuta la decisione 97/534 del 30 luglio 1997, che prevedeva l'eliminazione del materiale specifico a rischio BSE, la cui applicazione però è stata più volte rinviata sia dalla stessa Commissione che dal Consiglio dei ministri dell'Unione europea. Per contro, in presenza di tale situazione, sin dal 1996 l'Italia ha adottato misure cautelari, ancora una volta unilaterali, nei confronti degli Stati nei quali si erano manifestati focolai autoctoni di BSE: si tratta delle ordinanze del Ministero della sanità del 26 marzo, 16 aprile e 24 dicembre 1996. Tali misure unilaterali sono state implementate con le ordinanze del 25 febbraio, 11 luglio, 6 maggio e 9 ottobre 1997 e ulteriormente rafforzate con le ordinanze del 15 giugno 1998 e del 16 marzo 2000, vigenti fino all'avvenuta sostituzione ad opera del decreto del ministro della sanità del 29 settembre 2000.
Le misure di armonizzazione comunitaria, in base alle quali tutti gli Stati membri hanno l'obbligo di procedere all'asportazione e alla distruzione del materiale specifico a rischio di BSE, sono state applicate solo a seguito della decisione 200418 della Comunità, che ha previsto tale obbligo a partire dal 1o ottobre 2000. In relazione a quest'ultimo provvedimento, nonostante si trattasse, come detto, di un atto avente la forma di decisione e come tale obbligatorio in tutti i suoi elementi per le autorità che lo devono applicare e far rispettare, tra le quali vi sono principalmente, in ragione dei compiti ad essi demandati, i servizi veterinari delle aziende sanitarie dipendenti funzionalmente dalle regioni, il dipartimento dei servizi veterinari ha ritenuto necessario: in primo luogo comunicare in anticipo anche alle autorità regionali l'imminente adozione delle misure contenute in quegli atti; in secondo luogo, predisporre un decreto di formale adeguamento, al fine di uniformare le modalità di applicazione nazionale delle complesse misure sanitarie previste (decreto del ministro della sanità del 29 settembre 2000, modificato dal decreto del 15 gennaio 2001, a seguito dell'ulteriore decisione comunitaria 2001/2).
Non è corretta la ricostruzione effettuata in relazione ai controlli a campione relativi agli animali con sintomatologia nervosa o morti misteriosamente. Il sistema di sorveglianza epidemiologica della BSE, istituito a livello comunitario nel 1998, con la decisione 98/272 della Comunità, prevede il monitoraggio annuale su animali appartenenti anche alle categorie definite a rischio come uno degli aspetti di un più ampio processo finalizzato a consentire una complessiva valutazione circa la situazione della BSE sul territorio degli Stati membri.
Sul versante della normativa di settore, già dal 1991 in Italia la malattia era stata inclusa tra quelle soggette a denuncia obbligatoria, ai sensi del regolamento di polizia veterinaria. La necessità di un approccio complessivo era stata già fatta propria dall'Italia, che già con decreto del ministro della sanità del 29 gennaio 1997 ha emanato misure integrative per la sorveglianza delle encefalopatie spongiformi degli animali, tra le quali l'istituzione di una rete di esperti in tutto il territorio nazionale, riuniti in unità di intervento da attivare presso tutti gli istituti zooprofilattici sperimentali, sotto la supervisione guida dell'unità centrale presso il centro di referenza nazionale di Torino.
Lo stesso decreto demanda quest'ultima unità centrale, oltre alla predisposizione di un sistema di sorveglianza, alla formazione tecnico-scientifica e all'informazione. Su tale base normativa, già dal febbraio 1997 e con un'apposita convenzione con il Ministero della sanità, il centro di referenza nazionale di Torino ha avviato una serie di corsi di formazione che hanno coinvolto veterinari del Ministero, degli istituti zooprofilattici, delle regioni, delle aziende sanitarie locali (nove sessioni già tenute dal febbraio 1997 al gennaio 1998). Nel luglio 1998 il centro di referenza ha distribuito a tutti gli istituti zooprofilattici i protocolli diagnostici per


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la BSE e le scrapie. Inoltre, dal 1997 il decreto del ministro della sanità 4 agosto 1997 aveva stabilito che in tutti i casi di sospetto clinico con sintomi nervosi riferibili alla malattia l'animale in questione doveva essere abbattuto e distrutto, previo campionamento ai fini della diagnosi, prevedendosi anche un indennizzo per il proprietario.
I risultati del programma di monitoraggio relativi all'anno 1998 sono stati raccolti a seguito di note diramate dal centro di referenza di Torino agli istituti zooprofilattici nel settembre 1998 e nel gennaio 1999. Il numero dei bovini esaminati in tale anno per BSE, inferiore alle attese (125 a fronte dei 235), è correlato ai seguenti fatti: la richiamata decisione è stata pubblicata alla fine del mese di aprile 1998; non vi era ancora stata una uniformità nelle modalità di raccolta dei dati al momento dell'accettazione dei campioni con conseguente difficoltà a collocare esattamente, nell'ambito delle categorie a rischio indicate dalla decisione, tutti i test eseguiti. Per esempio, per alcuni non era stata riportata l'età del capo esaminato; nel corso dell'anno, sei delle venti regioni italiane non avevano fornito nessun campione. Pur con le segnalate difficoltà, 120 degli animali esaminati rispondevano alle previste caratteristiche, essendosi esaminati prioritariamente animali con sintomi - inclusi quelli neurologici - e i casi di morte improvvisa.
A seguito di ulteriori richiami ed istruzioni per il campionamento, sia da parte del centro di referenza, compresa la predisposizione da parte di quest'ultimo di una scheda di raccolta per dati omogenei e funzionali, sia da parte del dipartimento, l'attività nel 1999 ha mostrato un miglioramento della qualità dei dati raccolti ed una maggiore attenzione dei servizi territoriali alla problematica. Sono stati esaminati 137 bovini di età superiore ai venti mesi, sia con sintomi neurologici (52 con questi sintomi), sia importati da paesi con BSE autoctona (53 capi), sia nati prima del 1994, anno di introduzione del bando delle farine di mammiferi ai ruminanti.
Con l'entrata in vigore del decreto del ministro della sanità del 7 gennaio 2000, provvedimento complesso che affronta la problematica della BSE in termini più ampi rispetto al solo campionamento, interessando anche il controllo dell'alimentazione animale e la trasformazione dei rifiuti animali, la situazione è nettamente migliorata. Per quanto riguarda il numero dei campioni esaminati, alla data del 13 dicembre 2000 sono stati esaminati 1.273 campioni di bovini, un numero addirittura superiore ai 1.200 previsti dal piano allegato al decreto stesso.
Si evidenzia inoltre che in sede comunitaria il sistema di campionamento esistente è stato radicalmente modificato (revisione della decisione 272/98 conclusasi nel mese di giugno) con l'adozione della decisione 2374 della Comunità anche con riguardo alle categorie a rischio individuate nella nuova decisione con gli animali morti in azienda e in quelli macellati d'urgenza.
Al fine di adeguare le attrezzature e il personale dei laboratori ai nuovi test richiesti dalla Comunità - i cosiddetti test rapidi - e per verificare le difficoltà in campo per il reperimento degli animali, il campionamento e la distruzione dei materiali a rischio, il centro di referenza ha avviato nella seconda metà dell'anno un progetto pilota, inizialmente limitato alla regione Piemonte successivamente esteso alla regione Lombardia, che ha portato all'effettuazione di 1.466 test rapidi al 31 dicembre 2000. Non corrisponde al vero, dunque, l'affermazione secondo la quale il direttore dei servizi veterinari italiani caldeggiò l'introduzione di un livello di tolleranza per la presenza di farine animali vietate nei mangimi (soglia dello 0,15 per cento). In proposito, gli atti ufficiali dimostrano che, pur in presenza di indicazioni espresse in tal senso in data 24 e 25 settembre 1998 dal comitato scientifico direttivo dell'Unione europea (che - come dovrebbe essere noto - è un organismo indipendente rispetto agli Stati membri) e in data 28 ottobre 1998 dal Consiglio superiore di sanità (organismo consultivo del ministro indipendente dal dipartimento),


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nessuna tolleranza in materia è stata mai adottata. Pertanto, attualmente vige la regola del livello zero.
Con riferimento agli aspetti più generali, si ricorda che in Italia, già dal 1994, con una ordinanza del 28 luglio di quell'anno - correlata alla decisione comunitaria 381/94 - riguardante le misure di protezione in merito alla trasmissione dell'encefalopatia spongiforme bovina, sono vietate ai ruminanti le farine di carne derivanti da mammiferi.
A partire dall'entrata in vigore di tale ordinanza, gli organismi di controllo territoriali hanno provveduto ad integrare progressivamente i controlli eseguiti sulla base della normativa preesistente con quelli specifici, relativi alla verifica dell'ottemperanza al divieto di somministrare ai ruminanti proteine derivanti da tessuti di mammiferi previsto dalla decisione stessa.
Inoltre, in aggiunta alle ispezioni regolarmente condotte nell'ambito della normale attività di vigilanza, nella primavera del 1996 il Ministero della sanità ha richiesto agli organismi territoriali di vigilanza di procedere all'ulteriore intensificazione dei controlli mirati esclusivamente alla verifica degli adempimenti relativi all'ordinanza 28 luglio 1994, che ha attuato la decisione 381/94 del 27 giugno 1994. I controlli mirati alla verifica del rispetto del disposto della decisione comunitaria riguardano sia gli aspetti giuridico-amministrativi sia il prelievo di campioni di mangimi per le analisi di laboratorio. Le ispezioni vengono effettuate dal personale di vigilanza del servizio veterinario delle aziende sanitarie locali, coordinato dalle regioni e dagli agenti del comando dei carabinieri per la sanità dell'Arma dei carabinieri (i NAS).
I provvedimenti da adottare in caso di irregolarità comprendono il sequestro della partita. Tra l'altro, fino all'entrata in vigore di un'ordinanza ministeriale del 17 novembre 2000, concernente misure di protezione per quanto riguarda l'encefalopatia spongiforme bovina e la somministrazione con la dieta di proteine derivate da mammiferi, è prevista la destinazione ad uso diverso da quello alimentare, nel caso non sia riportata sulla confezione della partita la data di scadenza o non si conosca l'origine delle farine di carne utilizzate nell'impianto. Nel caso in cui fossero note le indicazioni sopraindicate, era possibile la destinazione ad uso zootecnico con esclusione dei ruminanti. Con l'entrata in vigore dell'ordinanza ministeriale citata, nel caso in cui fossero note le indicazioni relative alla data di scadenza e di origine delle farine di carne (ottenute da scarti di macellazione provenienti da animali riconosciuti idonei all'alimentazione umana), era possibile destinare tali mangimi all'alimentazione di animali non erbivori.
Dal 1o gennaio 2001, con l'entrata in vigore delle decisioni comunitarie 766/2000/ e 9/2001, tutti i mangimi contenenti proteine animali trasformate (farine di carne, ossa, sangue) non possono essere destinati in alcun modo all'alimentazione degli animali che producono alimenti destinati al consumo umano.
Gli altri provvedimenti da adottare in caso di irregolarità sono i seguenti: individuazione degli allevamenti ai quali i mangimi irregolari sono stati distribuiti; individuazione dei capi animali che hanno avuto accesso al mangime, con indicazione sul documento individuale e sul registro di stalla dell'etichettatura «animale a rischio per BSE», al fine di poter condurre i successivi controlli in fase di macellazione; indagine presso l'impianto per stabilire la causa delle irregolarità e la sua rimozione; nei casi più gravi è previsto il ritiro dell'autorizzazione alla produzione.
Sulla base dell'esperienza acquisita negli ultimi anni, relativa ai controlli nel settore, il dipartimento ha diramato le linee guida sulle modalità di ispezioni e ai servizi veterinari delle regioni e agli istituti zooprofilattici finalizzate alla verifica del rispetto dell'ordinanza 28 luglio 1994 e successivamente riproposte nella circolare n. 3 del 2 febbraio 2000 relativa al Piano nazionale di vigilanza e controlli sanitari sull'alimentazione animale.
Nell'ambito delle sopraccitate istruzioni diramate dall'autorità centrale è


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stato inserito anche il piano di campionamento dei mangimi utilizzati presso gli allevamenti bovini.
Infine, nel maggio dell'anno 2000 sono state distribuite a tutti gli operatori del settore zootecnico-mangimistico insistenti sul territorio italiano le linee guida per l'attuazione delle buone pratiche di fabbricazione e distribuzione dei mangimi per ruminanti.
Le istruzioni del dipartimento del Ministero della sanità destinate agli assessorati alla sanità delle regioni e province autonome hanno consentito, rielaborando le esperienze maturate ed i punti critici rilevati negli anni precedenti durante i controlli sul territorio, la razionalizzazione delle ispezioni attraverso l'individuazione di parametri fondamentali da rispettare nel corso dei controlli presso i mangimifici.
Le analisi sui mangimi sono effettuate dagli istituti zooprofilattici sperimentali su campioni di mangimi complementari di varia tipologia (per bovini da latte, per vitelli, per vitelloni, eccetera), mangimi completi e materie prime per mangimi, prelevati dal personale di vigilanza dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali e dagli agenti del comando dei carabinieri della sanità nel corso delle ispezioni di competenza sia presso gli stabilimenti di produzione che presso le aziende zootecniche. Altri campioni vengono prelevati dall'ispettorato repressioni frodi del Ministero delle politiche agricole, ai fini delle frodi merceologiche, sulla base di un piano coordinato di controllo che tra l'altro prevede di segnalare ai servizi veterinari delle unità sanitarie locali l'irregolarità riscontrata per i provvedimenti di competenza.
Durante il 1999 sono stati esaminati dagli istituti zooprofilattici sperimentali 613 campioni, di cui 27, pari al 4,4 per cento, sono risultati positivi alla presenza di tessuto osseo di mammifero.
Relativamente ai controlli effettuati da parte dei servizi veterinari nell'anno 1999, i campioni sono stati prelevati per il 43,9 per cento negli allevamenti, per il 29 per cento presso i mangifici e per il 26,9 per cento presso le rivendite.
Per quanto riguarda i controlli relativi all'anno 2000 - risultati non definitivi - su 1.306 campioni prelevati sono risultati positivi 47 campioni, pari al 3,6 per cento. A questo riguardo abbiamo chiesto agli uffici di approntare una specifica tabella, con tutti i dati relativi, che consegneremo agli onorevoli interpellanti.
I campioni analizzati sono riferiti ad alimenti destinati ai ruminanti, in prevalenza mangimi complementari nelle varie tipologie (per vacche da latte, per vitelli, per vacche e manze in asciutta, per vitelloni, eccetera), mangimi completi e mangimi composti prelevati presso aziende mangimistiche, rivendite ed aziende zootecniche.
Si ritiene, pertanto, che non vi siano state omissioni, anzi, di contro si ricorda che, su proposta del dipartimento, il ministro della sanità ha adottato come misura unilaterale, con ordinanza 30 aprile 1997, il divieto di somministrare ai ruminanti qualsiasi proteina derivata da tessuti animali, ivi comprese le farine di pesce, anche allo scopo di rendere più agevoli i controlli. Su tale divieto la Commissione europea ha però avviato una formale procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per violazione del diritto comunitario contraddistinta dal n. 2204 del 1997. In seguito a tale procedura, con decreto del ministro delle politiche agricole del 16 ottobre 1997, di concerto con il ministro dell'industria e della sanità, si è dovuto procedere all'abrogazione dell'ordinanza.
Nel luglio 2000 un'ulteriore richiesta di reintroduzione del divieto è stata ritenuta in contrasto con la normativa comunitaria ed affetta da vizio di illegittimità per eccesso di potere; solo il 17 novembre 2000, a seguito delle nuove indicazioni epidemiologiche sulla BSE scaturite dall'utilizzo dei cosiddetti test rapidi, è stato possibile introdurre con ordinanza ministeriale il divieto di somministrazione a tutti gli erbivori delle proteine derivanti da tessuti animali.
Non corrisponde inoltre al vero l'affermazione secondo la quale ci si sarebbe opposti alla abolizione delle farine animali nella alimentazione animale. Nell'ottobre


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2000, infatti, il dipartimento ha solo espresso alcune perplessità in ordine sia al contesto normativo nel quale tale divieto veniva ad essere introdotto sia al contenuto del divieto che, riguardando indistintamente tutte le proteine animali, avrebbe impedito anche l'impiego del latte e dei prodotti lattieri, indispensabili a soddisfare i fabbisogni fisiologici degli animali, in particolare quelli giovani delle specie bovina, ovina e caprina fino allo svezzamento, proteine che peraltro, allo stato delle attuali conoscenza scientifiche, sono esenti da rischi per BSE.
Non si comprende, inoltre, a chi gli onorevoli interpellanti si riferiscano quando citano che «è stato consentito al gruppo Cremonini di rastrellare le vacche a fine carriera». In ogni caso nessuna autorizzazione in tal senso è stata rilasciata dal dipartimento né d'altra parte ciò sarebbe stato possibile in base alla normativa vigente. Gli stabilimenti di macellazione e di prodotti a base di carne del gruppo in questione, autorizzati secondo la specifica normativa comunitaria sulla base di accertamenti ispettivi sia ministeriali sia delle regioni e delle aziende USL, sono stati nuovamente sottoposti a diverse verifiche anche ministeriali, da ultimo in data 28 ottobre 1999, dal 17 al 21 gennaio 2000, 1o febbraio 2000 e 8 giugno 2000.
Si ritiene, inoltre, necessario informare codesto eccellentissimo Parlamento e gli onorevoli interpellanti che, riguardo alle notizie riportate da taluni organi di stampa (di contenuto analogo a quello oggetto della odierna interpellanza), il dottor Marabelli ha provveduto a presentare querela alla procura della Repubblica a tutela della propria immagine e dell'attività svolta in sede istituzionale.
Poiché sulla base di quanto sopra esposto emerge che il competente dipartimento alimentazione, nutrizione e sanità pubblica veterinaria abbia correttamente assolto ai suoi compiti istituzionali, non si ritiene di dover avviare alcuna indagine amministrativa nei confronti né del dirigente generale allo stesso preposto, né nei confronti di dirigenti operanti nel dipartimento medesimo.

PRESIDENTE. L'onorevole Procacci ha facoltà di replicare.

ANNAMARIA PROCACCI. Signor Presidente, ringrazio la sottosegretaria Labate per l'esposizione lunga ed articolata rispetto alla quale, tuttavia, non posso esprimere soddisfazione.
Ritengo, infatti, che rimangano ancora alcune questioni oscure circa l'attività di controllo e di gestione del rischio esercitata dal Ministero in questi anni, e non solo in riferimento alle recenti vicende di cui abbiamo trattato questa mattina relative alla gestione del rischio negli ultimi mesi in merito all'encefalopatia spongiforme bovina.
Vorrei partire dalla vicenda dei controlli che è stata oggetto di attenzione da parte dei Verdi anche a livello parlamentare. Riteniamo, infatti, che i controlli non possano essere, da soli, la soluzione dei problemi della zootecnia italiana, soluzione che deve essere cercata anche nel cambiamento delle regole. Tuttavia, continua ad essere innegabile, a mio avviso, il fatto che i controlli non siano stati all'altezza delle necessità.
Sottosegretaria Labate, vorrei fare riferimento all'episodio verificatosi a Ravenna. Le operazioni di scarico del materiale contenente farine animali sono avvenute in una sorta di indifferenza generale, come testimoniano anche le riprese televisive effettuate.
Ciò è un po' lo specchio di una situazione che registra una grande diffusione delle farine sul nostro territorio, nonostante che queste siano ormai fuori legge anche a seguito delle decisioni adottate dall'Unione europea.
Questa nonchalance della diffusione delle farine è dovuta evidentemente ad una abbondante presenza delle farine anche dopo i divieti stabiliti dall'Unione europea; non credo che, a giustificazione di ciò, si possa portare il fatto che noi non possiamo stabilire un divieto di importazione per le farine animali provenienti dall'Irlanda.
Ritengo che dei fatti debba essere data una lettura che non può semplicemente


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passare attraverso il richiamo alla normativa ma non ad una applicazione intelligente della stessa. In altre parole, non è possibile far riferimento - come è avvenuto nella articolatissima e lunghissima risposta del rappresentante del Governo - al rispetto formale delle norme, perché noi vogliamo un rispetto sostanziale delle norme.
Credo sia causa di discredito per il nostro paese e fonte di una grande preoccupazione per i consumatori continuare a sentire che si fanno i sequestri - e per fortuna che ciò avviene - al fine di eliminare dal circuito distributivo le farine animali.
Evidentemente le farine animali hanno continuato ad avere un loro circuito distribuitivo, giovandosi di maglie molto larghe nei controlli. In tutti questi anni abbiamo invocato l'aumento del numero dei veterinari preposti ai controlli. Io stessa ho presentato diversi emendamenti ed ordini del giorno a molti provvedimenti, sia in Commissione che in aula; l'ho fatto perché consapevole che abbiamo bisogno di molti ed efficaci controllori. Per tale motivo abbiamo più volte chiesto i corsi di formazione professionale e avevamo ripetutamente invocato la collaborazione tra i Ministeri, in particolare, tra quello della sanità e quello delle politiche agricole al fine di un coordinamento delle loro azioni e delle intenzioni di portare avanti una politica comune.
Ed invece, anche quel provvedimento sulla certificazione delle carni italiane, sul quale noi Verdi ci siamo molto impegnati, che pure era stato in un certo senso l'antesignano nel cercare di garantire al consumatore la qualità di ciò che poteva consumare, quel provvedimento - stavo dicendo - ha avuto una vita difficilissima; per un anno è rimasto fermo a causa di conflitti tra Ministeri. Non credo certamente che ci si possa accontentare di aver scritto una norma quando quest'ultima non vive!
Certo, mi rendo conto che non è facile replicare ad una risposta che fa continuo riferimento a numeri di circolari. Noi vogliamo la verifica su ciò che è stato fatto in realtà. Vogliamo sapere se sia vero che, su un milione di polli, ne vengono controllati otto. In altre parole, su quanti animali vengono fatti i controlli? Dipende da questa risposta avere un piano di lettura soddisfacente sui controlli effettuati.
Non mi pare che nella risposta ci sia stata una smentita sul discorso sulle incompatibilità. Certamente nella risposta manca ciò che ci aspettavamo relativamente alla presenza di alti funzionari del Ministero della sanità, come consulenti, nel comitato dei saggi dei produttori di animali da macello.
Speravamo che questa fosse una buona occasione per avere una risposta, una parola di chiarezza, che credo possa fare bene veramente a tutti. Dobbiamo pretendere da parte degli alti funzionari dello Stato non soltanto la competenza, non soltanto la capacità, ma anche una totale trasparenza; anche qualora non vi fosse una norma scritta sulle incompatibilità, vi sono ragioni di opportunità a garanzia estrema dei consumatori stessi.
Ci siamo sempre riempiti la bocca celebrando la separazione, nel nostro paese, fra l'esercizio del controllo in materia di sicurezza alimentare, affidato alla sanità, e la produzione, affidata all'agricoltura; una celebrazione della quale sono sempre stata generosa protagonista; infatti, penso sia un'ottima scelta non affidare alle stesse mani la produzione ed il controllo, come avviene in altri paesi dove tutto è concentrato nel settore dell'agricoltura. Poi, però, dobbiamo essere conseguenti: se i controlli sulla sicurezza alimentare sono assicurati dalla sanità (ci siamo sempre battuti affinché tale meccanismo continui ad essere esattamente com'è), è necessario che i controllori siano rigorosamente ed esclusivamente controllori, senza alcuna possibilità che svolgano attività con i privati. Lo pretendiamo nella divisione fra i Ministeri, io lo chiedo per quanto riguarda i funzionari, tanto più se sono alti funzionari.
Per quanto riguarda le incompatibilità, a dire il vero non posso condividere le valutazioni espresse nella risposta relativamente


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alla WTO e all'OIE (l'Organizzazione mondiale per le malattie animali). Sappiamo tutti che la WTO è il grande organismo di libera circolazione, di globalizzazione, che tanti problemi ci pone relativamente ai controlli; non per niente, moltissime volte noi Verdi abbiamo posto all'attenzione di tutti i rischi che derivano alla salute dalla libera circolazione, dal libero esercizio dei mercati, soprattutto in relazione alle merci provenienti dai paesi del terzo mondo: hanno gli stessi parametri che pretendiamo per le merci italiane?
Presidente, non mi dica che ho già esaurito il mio tempo, sarò rapidissima. Credo si debba parlare di una opportunità di incompatibilità e, pertanto, non posso essere soddisfatta della risposta neanche su questo punto.
Mi permetta il sottosegretario Labate, e soprattutto il Presidente, di citare rapidamente due elementi che non condivido affatto nella risposta (non me ne voglia la sottosegretaria Labate). Anzitutto, faccio riferimento alla vicenda delle bovine svizzere. Abbiamo avuto tra le mani i documenti che indicavano come il processo di apertura delle frontiere, di fine dell'embargo, fosse stato ormai perfezionato. Siamo contentissimi che il Governo...

PRESIDENTE. Onorevole Procacci, la ascolto sempre molto volentieri, ma bisogna che concluda.

ANNAMARIA PROCACCI. Concludo, Presidente. Non sono soddisfatta e voglio ricordare che avremmo potuto scrivere altro sulla mancanza dei controlli da parte della sanità, sul lavoro svolto a livello di unità sanitarie locali, sull'anagrafe che non è stata mai realizzata, nonché sui decreti (come quello sui test BSE) che sono giunti in quest'aula e che noi parlamentari abbiamo dovuto perfezionare per la modestia e la carenza nei contenuti. Proprio da chi è preposto a preparare tali documenti ci si sarebbe potuti aspettare una maggiore capacità e garanzia per i consumatori.

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