Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 853 del 6/2/2001
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Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

(Richiesta avvio procedimento disciplinare nei confronti di magistrati)

PRESIDENTE. Cominciamo con le interpellanze Giovanardi n. 2-02416 e n. 2-02464 (vedi l'allegato A - Interpellanze e interrogazioni sezione 1), le quali, vertendo sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente.
L'onorevole Giovanardi ha facoltà di illustrarle.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, a Modena si è verificata una situazione senza precedenti negli annali della giustizia e nel rapporto fra la giustizia e l'opinione pubblica. In un processo inquietante per pedofilia, il quale presenta risvolti di cui parlerò in seguito, è stata richiesta la pena di quattordici anni di carcere nei confronti di un parroco modenese, don Giorgio Govoni, il quale, dopo la richiesta dei pubblici ministeri, è stato stroncato da un infarto.
Nella sentenza successivamente emessa dal tribunale di Modena il parroco è stato riconosciuto colpevole di gravissimi reati, ma il vescovo, la curia, la diocesi, i parroci della zona ed i fedeli lo considerano un santo. La curia ha rilasciato una dichiarazione senza precedenti in cui afferma di accettare formalmente la sentenza, ma di respingerla totalmente nella sostanza, difendendo in maniera assoluta la dignità e l'onore di questo sacerdote.
Con la mia interpellanza chiedo l'avvio di un procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, perché, quando è morto il parroco, uno dei giudici ha dichiarato ad un giornale che, comunque, la morte non avrebbe modificato assolutamente le convinzioni che aveva già maturato sul processo prima ancora che intervenissero gli avvocati difensori. Tuttavia, vorrei dire sinceramente che non avrei voluto trovarmi nei panni dei giudici che hanno avuto a che fare con una


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vicenda che ha visto una decina di bambini coinvolti in un giro di pedofilia insieme alle loro famiglie - alcuni genitori sono stati accusati di pedofilia -; sembra vi siano state messe nere tenute nei cimiteri in cui sono stati compiuti di violenza nei confronti dei minori. Alcuni bambini hanno dichiarato di aver assistito ad uccisioni, a tagliamenti di teste, a smembramenti di cadavere e hanno fatto i nomi dei bambini che sono stati uccisi, fatti a pezzi e il cui sangue è stato bevuto dopo che erano stati squartati e appesi ai ganci: di tutto ciò, tuttavia, non si è mai trovato traccia. Uno dei bambini ha dovuto cambiare continuamente scuola perché non si adattava ed ha accusato il vescovo di Crema, che si era recato a benedire la scuola in cui si trovava in quel momento, di essere uno dei pedofili che lo accompagnava nelle orge che si svolgevano nei cimiteri.
È una situazione alla base della quale vi sono sicuramente violenze effettuate sui bambini e sulla quale è stato in seguito costruito un castello accusatorio all'interno del quale bisogna distinguere il vero dal falso.
Gli stessi giudici scrivono che su don Giorgio non sono consentite interpretazioni che non siano estreme: o si è trattato di un personaggio diabolicamente astuto, perversamente dedito alla pedofilia, nascostamente eretico che ebbe il controllo delle famiglie dei bambini, o di una persona realmente cristiana e caritatevole, vittima di accuse infamanti e laceranti nella loro disumanità ed in questo caso il giudizio sarebbe sbagliato; questo è scritto nella sentenza. Quindi, o don Giorgio era un demonio o i giudici hanno sbagliato giudizio. Purtroppo, nella conclusione della sentenza - anche se don Giorgio nel frattempo era deceduto e, a quanto pare, giuridicamente non può essere proposto appello se la parte è deceduta prima del giudizio - i giudici scrivono chiaramente che gli atti del processo impongono un accertamento di reità dell'imputato per i reati a lui ascritti che avrebbero portato ad una pronuncia di condanna; affermano cioè che, se il sacerdote non fosse morto, sicuramente lo avrebbero condannato, riferendosi ad una condanna nei confronti di una persona che non si può più difendere.
Ebbene, dal punto di vista politico, vorrei difendere don Giorgio in questa sede, sottolineando l'atipicità del modo in cui questo sacerdote è stato coinvolto nella vicenda. Ieri, io stesso ho fatto alcune verifiche su aspetti del processo che mi sembravano assolutamente incredibili. Negli atti si legge che i bambini sono credibili quando dicono alcune cose; sono umanamente incredibili quando parlano di uccisioni, decapitazioni, riti orgiastici, accuse rivolte non solo al vescovo di Crema, ma a moltissimi altri sacerdoti. Leggo che, dal punto di vista umano, queste dichiarazioni sono incredibili, ma che sono compatibili dal punto di vista psicologico, perché i bambini sono sempre sinceri. Comincio ad avere alcuni dubbi, specialmente quando in tutto il processo le uniche persone che accusano don Govoni sono i bambini: non c'è un adulto che confermi le accuse. Attraverso la teoria del disvelamento progressivo, gli assistenti sociali e gli psicologi spiegano che i bambini hanno fatto il nome di don Govoni uno, due o tre anni dopo essere stati allontanati dalle famiglie perché prima non se la sentivano di accusare il demonio, colui che nelle cerimonie sarebbe stato il grande maestro dei riti satanici; quindi, solo nel corso degli anni sono arrivati a liberarsi del peso, svelando il nome di don Giorgio. Tuttavia, chi legge la sentenza, si accorgerà che il primo bambino parlava di un medico, di un sindaco, mai di un prete e che, in qualche modo, il nome Giorgio gli è stato suggerito. C'è un gioco fatto dagli assistenti sociali e, in particolare, dalla signora Donati, magari in perfetta buona fede, seguendo la teoria che l'affidatario e i servizi sociali devono arrivare a far dichiarare ai bambini il nome del capo della setta per liberarli del peso; così, quando il bambino parla del medico o del sindaco, gli viene suggerito il nome del prete. Un altro affidatario con un altro bambino fa il gioco dei nomi: Giovanni, Gian, poi


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viene fuori Giorgio, ma il bambino non pronuncia mai direttamente quel nome; vi è sempre un processo che porta il bambino a parlare, ma a parlare di cosa? Il bambino descrive questo personaggio in una certa maniera, che può richiamare anche la figura di don Giorgio Govoni, ma afferma che aveva sempre le scarpe con i tacchi. Ebbene, don Giorgio Govoni non ha mai avuto le scarpe con i tacchi; sono andati in canonica ed hanno trovato un paio di scarpe con i tacchi che, come afferma la sentenza, erano però di tre numeri inferiori rispetto alla misura di don Giorgio. Quelle scarpe erano lì perché frutto di una delle tante raccolte della parrocchia. Un altro bambino lo descrive alto e senza occhiali; un altro ancora dice che era lui il capo, ma che era sempre con il cappuccio in testa. Quindi, quest'ultimo bambino non aveva mai visto il prete, ma ha dichiarato di averne riconosciuto la voce mentre diceva messa nella chiesa di Massa Finalese: don Giorgio Govoni aveva cambiato parrocchia da dieci anni e non diceva più messa nella parrocchia di Massa Finalese. Non solo: ad un certo punto, poiché si parlava di violenze sui bambini, magari in maniera un po' tardiva, la difesa ha prodotto una perizia: il prete era affetto da diabete mellito, diagnosticato la prima volta nel 1976, e non poteva assolutamente avere rapporti sessuali per impossibilità assoluta di avere erezioni; di conseguenza, le accuse di violenza carnale erano assolutamente infondate. Le perizie testimoniano questo, ma i medici sostengono che, se sicuramente don Giorgio non poteva avere rapporti sessuali, non è detto che qualche anno prima la sua malattia non gli permettesse di averne: «Non si può ritenere accertato o accertabile, quindi, che nel dicembre 1996 l'imputato fosse affetto dalla totale impossibilità di avere erezioni; si può ritenere certo assai meno ovvero che vi era un danno vascolare periferico non valutabile (...) che poteva avere riflesso o ridurre la capacità di erezione, senza escludere la possibilità che, malgrado la grave malattia, potesse avere reazioni di questo tipo».
Abbiamo sempre e soltanto dichiarazioni di bambini, sempre e soltanto indotte dai «grandi». Abbiamo, poi, prove «principi»: si dice che questo prete, non dieci anni fa ma l'anno scorso, nel 2000, prima del processo, sarebbe andato con due complici una volta a Pegognaga ed un'altra a Quattro Castella, da due bambini diversi. A Pegognaga, don Giorgio avrebbe sequestrato un bambino, lo avrebbe portato a Massa Finalese a mangiare in un ristorante e poi in un cimitero dove, davanti a due tombe, lo avrebbe minacciato, per poi riportarlo a Pegognaga. I giudici scrivono, nero su bianco: «Massa Finalese dista pochi minuti da Pegognaga» e, pertanto, da mezzogiorno e un quarto (prelievo) alle 2 (ritorno) avrebbero fatto tutte queste cose.
Tuttavia, vi sono alcuni problemi. La maestra, una certa Rita Spinardi, di Pegognaga, che non ha nulla a che vedere con Massa Finalese (il bambino era stato mandato là dopo essere stato allontanato dal paese di provenienza), è una persona irreprensibile, una maestra integerrima stimata da tutti. Ella sostiene di non aver mai consegnato questo bambino a nessuno. Il bambino afferma che sono stati i bidelli a far entrare il gruppo che ha prelevato il bambino, ma i bidelli replicano che non hanno mai fatto entrare nessuno. Come si risolve, allora, il problema relativo al fatto che la maestra nega? Si dice una cosa molto inquietante, che desidero sottolineare e che leggo testualmente: «La Spinardi è persona credente, legata comunque ad ambienti ecclesiali di credenti. Frequenta molti preti e nelle sue conversazioni parla della Caritas e del Papa. Nella vicenda in esame è stata costante, richiamata dalla stessa difesa, la solidarietà ricevuta privatamente e pubblicamente da don Giorgio Govoni dagli ambienti ecclesiastici; persino dal pulpito del duomo di Modena da parte del vescovo è stata pubblicamente dichiarata la falsità delle accuse all'imputato». Si dice, insomma, che vi è stata grande solidarietà da parte di tutto il mondo cattolico nei confronti di questo prete. «In questo contesto, non è più un'illazione ma


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costituisce un'ipotesi fondata ritenere che Rita Spinardi sia stata avvicinata e convinta in buona fede ad intervenire in aiuto del sacerdote, ingiustamente infamato e calunniato, e che abbia anteposto il proprio convincimento e la propria solidarietà ai propri doveri ed alla sua responsabilità di insegnante». Rita Spinardi è stata condannata a due anni di galera per concorso in sequestro, perché la sua versione non è stata creduta.
Ieri ho telefonato alla polizia stradale, perché so che Pegognaga si trova lungo l'autostrada del sole e che Massa Finalese è nel basso modenese. Ho chiesto alla polizia stradale i dati ufficiali, che ieri ho presentato: percorrenza Massa Finalese-Pegognaga, un'ora e 5 minuti. Per il percorso di andata e ritorno sono dunque necessirie 2 ore e 10 minuti, a cui bisognerebbe aggiungere, secondo il racconto del bambino, il pranzo al ristorante di Massa Finalese e le minacce al cimitero. Secondo l'accusa, tutto ciò è avvenuto da mezzogiorno e un quarto (quando il bambino era a scuola) alle 2 (quando il bambino era a scuola con un'altra maestra), in un'ora e tre quarti: impossibile. Questa maestra ha subito la condanna a due anni di galera per non aver avallato una cosa impossibile.Ma don Giorgio sarebbe andato da un'altra bambina, a Quattro Castella. Anche in questo caso, incredibile, i giudici scrivono: «A mezzogiorno gli imputati erano in aula, nel centro storico di Modena (tribunale di Modena). All'1 agevolmente potevano essere davanti alla scuola di Quattro Castella», località che, però, è nel reggiano, nella pedemontana, vicino Parma. Ieri, quindi, ci ho messo un'ora e cinque minuti solo per arrivare a Quattro Castella. Ebbene - attenzione - all'una e cinque quei soggetti riescono a prendere la bambina davanti a tutti, la schiaffeggiano (la bambina, infatti, ha detto di essere stata presa a schiaffi), la portano dietro alla scuola nel cortile, la spogliano, la sodomizzano e la violentano con una frasca; poi, dal cortile rientrano nella scuola e, poiché non sanno dove abiti l'affidatario, la bambina stessa in macchina li riporta a casa dell'affidatario entro l'una e venti. Infatti, la sentenza dice che arrivarono alla casa della bambina prima del pulmino, che era partito all'una e cinque quando loro avevano sequestrato la bambina! Quindi, loro hanno percorso 200 metri e si sono nascosti; dopodiché hanno spogliato la bambina, l'hanno sodomizzata, sono tornati alla scuola e la bambina stessa li ha riaccompagnati a casa, arrivando all'una e venti a casa prima del pulmino. La sentenza, naturalmente, dice che questo avviene perché il cortile della scuola è isolato non essendovi delle case vicine. Ieri mi sono recato in quella zona ed ho constatato che vi è una casa a trenta metri ed un'altra a quaranta metri, vi è il retro della scuola, vi è il parcheggio: insomma, si tratta di una zona visibilissima da tutti!
I due episodi dimostrano che in tutti e due i casi i bambini, dopo alcuni anni, hanno sostenuto che nelle due macchine vi era anche don Giorgio, che avrebbe contribuito a quei due episodi che sono assolutamente incredibili, fuori da ogni fondamento logico e da ogni verifica di tempi e di luoghi.
Mi rendo perfettamente conto che siamo di fronte a situazioni complessivamente inquietanti; mi rendo perfettamente conto che il rapporto tra assistenti sociali, tribunali dei minorenni e giustizia penale è un qualcosa di estremamente difficile da leggere dall'esterno; mi rendo conto purtroppo che, seguendo questi avvenimenti, la stessa certezza delle violenze sui bambini viene messa in discussione, perché sono intervenuti due periti (una certa Maggione e Bruni di Milano che vengono chiamati sempre dai tribunali per effettuare quelle perizie) che hanno certificato la cosiddetta compatibilità. Ho imparato che l'esame della questione non si basa sul fatto che vi sia stata o meno la violenza sui bambini, ma sul fatto che vi sia una compatibilità che dimostri che probabilmente vi è stata violenza e che l'analisi fatta sui bambini è compatibile con il fatto che vi sia stata violenza!


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Un mese fa ho avuto modo di leggere su un giornale che un pubblico ministero di nome Siciliano, del tribunale di Milano ha affermato che Maggione e Bruni sono due incapaci, due incompetenti, due persone in malafede che non dovrebbero più mettere piede in tribunale per la loro incapacità e per la loro superficialità professionale. Anche questo fatto, naturalmente, mi inquieta e mi preoccupa perché vorrei capire se fin dall'inizio, quando si mettono in moto quei meccanismi, vi sia o meno certezza dei fatti. Naturalmente, poi, i giudici sostengono che, avendo già subito troppi traumi, i bambini non possono essere visitati nuovamente; pertanto ci si deve fidare della prima diagnosi effettuata da questi medici, che poi dei giudici di altri tribunali hanno valutato completamente incapaci e incompetenti!
Allo stesso modo, si afferma che non possono essere nuovamente sottoposti a controinterrogatori.
Presidente, le prime vittime di queste situazioni sono i bambini, i quali, però, sono vittime se hanno effettivamente subito degli abusi. Sono comunque delle vittime perché poi, a seguito di questi fatti e nel caso, ad esempio, di tre o quattro fratellini, sono stati separati e «sbattuti» da una parte all'altra d'Italia; quindi, questi bambini non solo non hanno più rapporti con i genitori, ma neanche tra di loro! Devo dire che purtroppo la teoria del «disvelamento progressivo» è una teoria fallimentare, perché, una volta che hanno fatto il nome di «questo Giorgio», lungi dal tranquillizzarsi, i bambini hanno fatto come a «Sette e mezzo»: hanno sballato, hanno continuato e rilanciato con racconti sempre più incredibili e fantasiosi, coinvolgendo sempre più persone e raccontando episodi sempre più truci con ammazzamenti e squartamenti sempre più truculenti!
Quei bambini sono sicuramente delle vittime, ma don Giorgio a mio avviso è vittima di un meccanismo infernale che lo ha stritolato. Signor Presidente, noi siamo tutti maggiorenni e vaccinati e sappiamo che, quando una persona è chiacchierata, lo si sa... Devo dire però che non si è mai visto un sacerdote che, in tutta la sua esperienza dal seminario fino alla morte, non si sia visto attribuire qualche sospetto da qualcuno.
Concludo dicendo che vittime in qualche modo sono anche quei giudici che si sono dovuti trovare ad affrontare questa situazione, perché purtroppo l'impressione che si ha è che i fatti si siano assommati e che si sia sollevato un tale polverone che, a questo punto, andare a discernere la verità dalla fantasia in casi come questi, diventa assolutamente difficile!

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Giovanardi.
Il sottosegretario di Stato per la giustizia ha facoltà di parlare.

FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, credo che l'impressione, comune a tutti coloro che hanno ascoltato l'onorevole Giovanardi sia quella di trovarci di fronte ad un caso assai intricato e assai difficile. In esso si scontrano delle ragioni che probabilmente risultano difficili da districare, se è vero, come ha detto l'onorevole Giovanardi, che in questo caso la sua comprensione è piena e totale anche per l'attività dei giudici.
Le due interpellanze (la risposta, come l'illustrazione, è unica) si riferiscono ad una vicenda giudiziaria che - voglio ricordarlo - è ancora in corso nel senso che nel giugno del 2000 vi è stata una sentenza di condanna (vi sono state condanne gravi e pesanti per gli imputati), ma si è trattato di una condanna in primo grado.
L'onorevole Giovanardi si è soffermato sulla posizione di don Giorgio Govoni, sacerdote che era imputato e che è deceduto per infarto dopo la requisitoria in aula del pubblico ministero che chiedeva per lui quattordici anni di pena. Il prelato è morto prima della conclusione del processo di primo grado. Sull'esito della vicenda processuale riguardante il sacerdote, non dico che vi siano dei dubbi, ma mi pongo qualche interrogativo che naturalmente può interessare anche il Presidente. Infatti i difensori hanno chiesto


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non che non si dovesse più procedere per estinzione del reato ...

PRESIDENTE. ... in morte del reo.

FRANCO CORLEONE, Sottosegretario di Stato per la giustizia. ... in morte del reo, ma hanno chiesto una pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto per una interpretazione del secondo comma dell'articolo 129 del codice di procedura penale. Il tribunale ha accettato questa richiesta, essendo in una fase conclusiva del processo (mancavano solo le arringhe dei difensori) e adesso si pone il problema della possibilità o no dell'impugnazione da parte dei difensori della sentenza e della possibilità di partecipare, da parte dei difensori, al processo d'appello con l'imputato non più vivo. È una questione che mi pare che abbia qualche elemento di complessità e mi sembra che qualche interrogativo si ponga. In ogni caso, non è questa la sede per affrontare nel merito una vicenda di questo genere che presenta profili di delicatezza, di complessità, e molti altri elementi. Penso che noi dobbiamo riaffermare che spetterà alla magistratura, presto ai giudici di appello e poi eventualmente alla Corte di cassazione, pervenire all'accertamento definitivo in ordine ai fatti contestati anche sulla base di elementi e prove discriminanti che potranno essere presentate.
Personalmente, ho una posizione che ritengo condivisibile, e che ho ripetuto più volte. L'attenzione critica dell'opinione pubblica, della società e dei politici sull'operato della magistratura, e anche nei confronti delle sentenze, non solo è legittima, ma è anche utile in un sistema democratico.
Certo, anche i vescovi possono esprimersi liberamente, come hanno fatto in questa occasione, giurando sull'innocenza di un imputato. È altrettanto pacifico, invece, che il Governo in quanto tale non possa esprimere valutazioni sul merito di un processo penale; al Governo spetta esclusivamente verificare se, nel corso del procedimento, vi siano stati atti o comportamenti dei magistrati titolari rilevanti sul piano disciplinare.
L'onorevole Giovanardi, al di là delle critiche sul merito della vicenda giudiziaria, a mio parere, non ha indicato comportamenti suscettibili di valutazione disciplinare, tranne uno: l'unico fatto astrattamente valutabile sul piano disciplinare è la dichiarazione che uno dei membri del collegio avrebbe rilasciato ad un giornale all'indomani della morte del sacerdote. Mi sono procurato il giornale che ha riportato queste dichiarazioni: al riguardo, devo osservare che il giornalista non indica il nome del magistrato e si riferisce genericamente ad un giudice, riportando alcune frasi virgolettate, anche molto contraddittorie. Da una parte, infatti, si esprime dolore e partecipazione rispetto alla disgrazia di questa morte, dall'altra parte si esprime una valutazione sul processo affermandosi che mai si era assistito ad un processo del genere; infine, quel giudice afferma di restare comunque fermo nelle sue convinzioni.
Ritengo che, in via generale, sarebbe auspicabile che i magistrati evitassero di esprimere sugli organi di stampa valutazioni o commenti sul merito di procedimenti loro assegnati, in particolare in un momento delicato come la vigilia del giudizio. In questo caso, però, la situazione ha qualche aspetto da approfondire, quanto meno, perché, come ho ricordato, venivano riportate fra virgolette delle frasi attribuendole ad uno dei membri del collegio in forma anonima, senza indicare il suo nome, per cui siamo di fronte non all'intervista di un magistrato, come in altri casi è capitato, ma ad un altro tipo di attività giornalistica. Penso, quindi, si possa affermare che vi è incertezza sull'attribuzione della frase all'uno o all'altro dei componenti il collegio. Le affermazioni sono generiche, contraddittorie: a mio avviso, non possono essere ritenute con certezza prova di pregiudizio o anticipazione di giudizio, e suscettibili, solo su questa base, di un'indagine per una valutazione di carattere disciplinare.
Tuttavia, le interpellanze presentate ed illustrate dall'onorevole Giovanardi (già in passato avevamo affrontato questo caso, o altri simili) dovrebbero servire al


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Parlamento per una valutazione su questioni drammatiche. Sulla pedofilia, in questi ultimi tempi, vi è stato un insorgere di orrore e di emozione e si è arrivati a richieste di leggi e pene molto pesanti, anche per i reati compiuti via Internet (di cui si occupa la legge votata dal Parlamento), con il fine di svolgere un'azione di contrasto molto forte. Penso che la tutela dell'interesse dei minori sia un fatto di civiltà, un principio da difendere con cura e preoccupazione; tuttavia, proprio perché parliamo della vita dei più deboli, dei soggetti che devono avere uno sviluppo e una crescita equilibrati, occorre anche uno scrupolo straordinario per non aggiungere vittime attraverso una rappresentazione dei fatti che descrive mostri da gettare nell'arena, da mettere alla gogna, con rischi prima del giudizio.
È chiaro che è difficile non essere presi dall'emotività di fronte a descrizioni di violenze sui minori, ma occorre tenere presente che le ragioni umanitarie devono riguardare la società tutta intera. Sono rafforzato in questo convincimento dalle cronache, anche recenti, che danno notizia di casi contraddittori. Sappiamo che esistono le violenze verso i minori, in primo luogo in famiglia, dove si registra la percentuale più alta, e vi sono dati molto interessanti sulla responsabilità delle violenze sui minori, tuttavia - come ricordato anche dall'onorevole Giovanardi - è da tenere presente anche il ruolo dei periti. Ricordo il caso di un magistrato di Milano, il dottor Forno, e le polemiche sorte, ma non voglio entrare nel dettaglio delle collocazioni culturali, anche se sicuramente non si tratta di un esponente dell'anticlericalismo. Comunque, i casi di cronaca che hanno avuto esiti processuali diversi da quelli profilati dall'accusa devono renderci tutti più prudenti in una materia che finalmente è stata sottoposta alla sensibilità del Parlamento, delle forze politiche, della società, ma che deve essere trattata con la delicatezza che merita.

PRESIDENTE. L'onorevole Giovanardi ha facoltà di replicare.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, desidero ringraziare il sottosegretario Corleone per l'attenzione con la quale ha seguito la vicenda e per le parole pronunciate. Sono soddisfatto della risposta, ma sono sempre più angosciato e preoccupato della realtà dei fatti. Mentre stiamo parlando della vicenda di don Giorgio Govoni, che mi sta particolarmente a cuore perché è deceduto e non può più difendersi, la signora Lorena Morselli si trova in Francia dove ha partorito il suo quinto figlio, che adesso ha otto mesi, perché, se lo avesse fatto in Italia, gli sarebbe stato tolto, come gli altri quattro. Ho cominciato a interessarmi a questa vicenda disperata a seguito di una lettera dei due coniugi che si sono rivolti a me, in qualità di parlamentare, perché improvvisamente una mattina erano stati loro tolti i figli essendo stati inizialmente accusati di scarsa vigilanza sui figli stessi, che sarebbero stati coinvolti in un giro di pedofili; poi, come il sottosegretario ricorderà, ventiquattro ore prima della risposta in aula alla mia interrogazione, arrivò loro l'avviso di garanzia perché, a loro volta, dopo un colloquio tempestoso con l'assistente sociale, uno dei figli disse che anche i genitori li violentavano.
Vi sono state anche trasmissioni televisive. La signora Lorena Morselli è una maestra d'asilo, stimata da tutti, che ha risposto alle domande e la stessa intervistatrice ha detto: abbiamo davanti un demonio o un angelo?
Fatto sta però che è in Francia con il suo bambino di otto mesi mentre gli altri quattro figli, dai cinque agli undici-dodici anni, sono in giro per l'Italia, ognuno separato dagli altri, senza più un contesto familiare. Sono situazioni drammatiche, perché non so chi potrà ridare a questi bambini un minimo di serenità e di equilibrio, nel momento in cui la famiglia è stata disgregata in maniera così traumatica.
Ripeto che queste vicende - in particolare quelle avvenute nella bassa modenese, relative a questo processo - non si possono spiegare da un punto di vista razionale.


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Signor Presidente, leggo un piccolo brano di una delle psicologhe intervenute, che fa riferimento alla dichiarazione di uno dei bambini, ma può applicarsi benissimo alle dichiarazioni di tutti i bambini. La psicologa dice: le dichiarazioni dei bambini sono invenzioni totali o suggestione totale, cioè cose che non sono mai accadute. Certo, inizialmente abbiamo compiuto un lungo percorso anche noi; abbiamo pensato per tanto tempo che queste cose fossero impossibili, perché sono proprio assurde, però in questo momento ci sentiamo di dire che queste cose, compresi gli omicidi e i rituali all'interno dei cimiteri, ci sembrano compatibili con un quadro di attendibilità, perché non riusciremmo a spiegare in altro modo il quadro clinico che abbiamo visto nel bambino. Da un punto di vista psicologico non sapremmo dare altra spiegazione a tutto quello che abbiamo potuto riscontrare dai test e dai colloqui clinici che abbiamo avuto con il bambino. Ciò come psicologi e non come persone, perché come persone ci viene da dire che quello che raccontano è impossibile; come psicologi ci viene da dire che è pienamente compatibile. Noi non riusciamo a trovare un'altra spiegazione psicologica. Quindi, per concludere, ci sentiamo di dire che la testimonianza di questo bambino - ma ciò vale anche per quella degli altri bambini - è compatibile con un quadro di attendibilità per tutto quello che ha detto nello specifico, senza guardare ai particolari, bensì alla sostanza. C'è stato oppure no un trauma specifico legato a sangue, morte, cimiteri e abusi sessuali? Noi riteniamo che questo trauma ci sia.
Rimango veramente allibito, perché ritengo che in un'aula giudiziaria si debba verificare se le cose esistano o non esistano, se le uccisioni ci siano state o non ci siano state. Questi bambini raccontano di una persona adulta di trent'anni e di aver fatto tagliare la testa ad una bambina; quando Marilena Bagni dice: le ho piantato io il coltello nel cuore, l'ho fatta a pezzi io, Marilena Bagni esiste o non esiste? Non esiste. Questa persona di trent'anni esiste o non esiste? Non esiste. Le decine di bambini squartati ci sono o non ci sono? Non ci sono. Il vescovo di Crema era uno dei violentatori o ha avuto solo la sfortuna di essere il vescovo che andava ad inaugurare la scuola? Questi poveri bambini fanno racconti che secondo gli psicologi sono incredibili; possono questi racconti ritenersi credibili quando parlano di Giorgio ed apparire incredibili quando parlano di assassini?
Una volta che ero in Valtellina ho letto gli atti dei processi alle streghe, contenuti nella biblioteca comunale, e mi sono messo nei panni dei giudici di allora che dicevano che poiché queste donne, dopo tre o quattro giorni di tortura, raccontavano tutte vividamente di essersi congiunte carnalmente con il demonio, che aveva due teste e quattro code e poiché i racconti erano tutti simili, le deposizioni apparivano credibili e, quindi, le condannavano al rogo. Alcune descrizioni fatte dai bambini sono molto vicine alle descrizioni che facevano le streghe quando le mettevano al rogo.
Allora, confermo che non avrei voluto essere nei panni dei giudici che hanno seguito questa vicenda, senza entrare nei casi specifici relativi alle varie situazioni processuali delle famiglie, perché a questo proposito non metto la mano sul fuoco per nessuno, in quanto è chiaro che vi sono state delle patologie; poi bisognerà scindere i vari casi, quello di Lorena Morselli e quelli delle altre famiglie: probabilmente qualcuno è colpevole, mentre sicuramente qualcuno è coinvolto nella vicenda senza avere alcuna responsabilità.
Per quanto riguarda, invece, il caso di Don Giorgio non posso non notare che tutto è stato utilizzato contro di lui, persino la carità cristiana. Infatti, ad un certo punto si parla di questo prete camionista - tutti nella zona sapevano che faceva il camionista -, un prete generoso, che aiutava tutti, una di quelle persone che fanno la carità agli altri senza mai chiedere nulla in cambio. Ad un certo punto i giudici si chiedono perché aiutasse quella famiglia di sciagurati, di disgraziati, anche perché lui stesso,


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una volta che avevano messo il padre in galera, aveva detto: gli fa bene stare un mese in galera a quel buono a niente. Allora i giudici si chiedono: se era un buono a niente, se stava bene in galera, perché lui continuava ad aiutarne la famiglia? Gli stessi giudici lo dicono: o perché era un santo o perché era un demonio. Non si può dire però che li aiutava perché voleva congiungersi carnalmente con il loro bambino minorenne, non si può utilizzare un atteggiamento di carità verso tutti per arrivare a conclusioni tali per cui ogni tipo di testimonianza a favore, ogni evidenza clinica come quella del diabete vengono sottovalutate, mentre ogni atteggiamento ostile di vita viene maliziosamente usato contro di lui, così come è avvenuto per episodi impossibili come quelli di Pegognaga o di Quattro Castella, che certamente non possono essere veri nei termini descritti dalla sentenza. Mancano infatti le condizioni di luogo e di tempo e sarebbe stato sufficiente dotarsi di un orologio, salire in macchina, fare il percorso per rendersi conto che il racconto dei bambini in quei due casi era fuori da ogni realtà logica.
A questo punto mi spavento perché mi rendo conto che per sostenere la tesi di un bambino si condanna a due anni la maestra e non si tengono in conto le testimonianze dei bidelli, con la motivazione che la maestra è cattolica. Quindi l'unico appiglio per mettere in discussione le parole di una maestra stimata, che tutti considerano integerrima, è stato affermare che invece ha consegnato il bambino ad estranei, ne ha consentito il sequestro, perché cattolica come il prete. Mi pare che siano stati oltrepassati i limiti e che si sia data una interpretazione maliziosa dei fatti, mentre la giustizia deve essere garantita anche in processi difficili come questo.
Condivido la posizione dei difensori che hanno sottolineato la necessità di cercare riscontri reali che non siano le dichiarazioni dei bambini suffragate dalle deposizioni dei bambini o di altri bambini, perché tutti sono gestiti dalle stesse persone che per anni - e lo dicono esplicitamente - con la teoria della «disvelazione» progressiva sono partite dal preconcetto che i bambini comunque hanno qualcosa da dire e devono arrivare a fare il nome del capo. Anzi, fino a che non lo faranno, non saranno liberi dal punto di vista psicologico. È chiaro che c'è stato un gioco fra affidatari e servizi sociali per indurre i bambini a questa conclusione.
Mi chiedo se dal punto di vista giudiziario, non morale, sia possibile in appello sanare questa situazione, dal momento che questa persona viene ritenuta santa dai fedeli, dai parrocchiani, dall'opinione pubblica, dai suoi confratelli. Le accuse, peraltro, risultano non credibili. Mi preoccupa che la giustizia, che viene fatta in nome del popolo, arrivi a conclusioni che il popolo rifiuta, a sentenze ripugnanti agli occhi del popolo: il giudizio che è stato dato su una persona è talmente divergente che si crea una frattura preoccupante e terribile.
Ritengo che don Giorgio sia stato ampiamente riabilitato dal punto di vista morale grazie all'affetto e alla considerazione di tutti quelli che lo avevano conosciuto, ma rimane il problema giudiziario perché, da una parte, si è affermato che, se non fosse morto, sarebbe stato sicuramente condannato come capo della setta satanica, come uomo mostruoso che sotto le apparenze del sacerdote faceva cose terribili, e, dall'altra, si è fornita un'interpretazione incompatibile con i tratti della sua persona.
Anche dal punto di vista giuridico bisognerà trovare, nella sentenza d'appello, la possibilità di rimediare a quello che, secondo me, è stato un clamoroso errore giudiziario nei confronti di don Giorgio.

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