Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 841 del 19/1/2001
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(Discussione sulle linee generali - A.C. 7351)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Il relatore, onorevole Vannoni, ha facoltà di parlare.

MAURO VANNONI, Relatore. Signor Presidente, il presente disegno di legge interviene sulla disciplina della valorizzazione e gestione del patrimonio immobiliare pubblico, la quale è stata oggetto negli ultimi anni di reiterati interventi legislativi, i quali peraltro non hanno sortito gli effetti sperati. La gestione del suddetto patrimonio è stata infatti per decenni caratterizzata da un elevato grado di inefficienza che ha finito per vanificare una parte significativa delle potenzialità di produzione di reddito o comunque di benessere collettivo che un patrimonio immobiliare così esteso indubitabilmente presenta. Accanto ai costi diretti, derivanti dagli oneri finanziari a carico del bilancio dello Stato e degli altri enti pubblici, sostenuti ad esempio per la manutenzione degli immobili o per il reperimento degli immobili destinati allo svolgimento delle pubbliche funzioni, la collettività ha anche subìto rilevanti oneri indiretti derivanti dalla mancata valorizzazione di un patrimonio di notevole consistenza.
Il disegno di legge, recando disposizioni in materia di sviluppo, valorizzazione ed utilizzo del patrimonio immobiliare dello Stato, nonché altre disposizioni concernenti gli immobili pubblici, interviene su una materia attualmente disciplinata da una serie di disposizioni normative, contenute in molteplici provvedimenti. In particolare, si tratta della legge n. 579 del 1993, recante norme per il trasferimento agli enti locali ed alle regioni di beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato non utilizzati in conformità alla propria destinazione pubblicistica. Tale legge ha anche dettato specifiche disposizioni relative all'alienazione di singoli beni immobili dello Stato.
Successivamente, nella materia in esame, sono intervenute le disposizioni della legge n. 662 del 1996 e dell'articolo 14, comma 12, della legge n. 449 del 1997. Quest'ultimo ha stabilito, tra l'altro, che l'alienazione dei beni a trattativa privata da parte dell'amministrazione finanziaria possa essere effettuata soltanto qualora il valore di mercato degli stessi non superi 300 milioni. La legge n. 127 del 1997 ha introdotto all'articolo 17, comma 65, un'ulteriore disposizione che rimanda ad un regolamento, da adottare ai sensi della legge n. 400 del 1998, l'individuazione dei casi e delle modalità con le quali beni immobili dello Stato possono essere ceduti a titolo gratuito agli enti locali e alle regioni. Tale regolamento, peraltro, non è stato ancora adottato.
Il contenuto del provvedimento in esame apporta in primo luogo, all'articolo 1, una serie di rilevanti modifiche alla disciplina delle procedure di dismissione dei beni immobili dello Stato di cui all'articolo 19 della legge n. 448 del 1998.
In particolare, il comma 1 individua tre distinte procedure per la valorizzazione e l'utilizzo del patrimonio immobiliare dello Stato. La prima procedura prevede che l'amministrazione dello Stato, i comuni e gli altri soggetti pubblici e privati possano proporre al Ministero delle finanze e - dal momento della sua piena operatività - all'agenzia del demanio specifici progetti diretti allo sviluppo, alla valorizzazione e all'utilizzo di determinati beni o complessi immobiliari appartenenti allo Stato. A tal fine si prospetta, alla lettera c), la costituzione di un'apposita società il cui capitale è attribuito nella misura del 51 per cento ai comuni nel cui territorio ricadono i beni, se il relativo progetto è presentato dai comuni stessi. Se l'attuazione dei progetti di sviluppo e valorizzazione in questione implica decisioni di competenza di amministrazioni pubbliche diverse da quella proponente, si dispone l'intervento di un'apposita conferenza dei servizi, convocata da un commissario straordinario del Governo appositamente nominato.
La seconda procedura è applicabile ai beni immobili dello Stato non adibiti ad uso governativo, per i quali non siano


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presentati progetti di valorizzazione o gestione, ma che siano compresi in piani di sviluppo, valorizzazione o utilizzo predisposti da comuni, province e regioni sul cui territorio insistano. L'approvazione di tali piani è rimessa ad un'apposita conferenza dei servizi istruita da un commissario straordinario del Governo e convocata dal Presidente del Consiglio dei ministri. La Commissione ha ritenuto necessario prevedere che tale commissario sia scelto preferibilmente tra i componenti della giunta regionale competente per territorio. I beni immobili di cui ho appena parlato sono trasferiti agli enti locali, che predispongono i piani con un'apposita convenzione che ne determina condizioni e modalità di trasferimento, nonché le quote di partecipazione dello Stato alla fruizione dei proventi derivanti dalle successive valorizzazioni, gestioni o dismissioni dei beni.
La terza procedura, a carattere residuale, riguarda i beni immobili cui non siano applicabili le due procedure sopra richiamate. I beni immobili in questione possono essere assegnati in concessione o in locazione ai soggetti interessati anche a titolo gratuito, secondo le modalità fissate da un apposito regolamento di delegificazione. Il comma 2 dell'articolo 1, infine, detta disposizioni volte alla razionalizzazione della disciplina dell'alienazione di beni appartenenti al patrimonio immobiliare della difesa.
L'articolo 2 contiene, invece, una serie di disposizioni relative alla dismissione di specifiche categorie di beni immobili. In particolare, il comma 1, modificato dalla Commissione, dispone il trasferimento a titolo gratuito alle università statali dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, già concessi in uso alle università stesse, per le proprie finalità istituzionali; ciò anche ai fini dell'eventuale attuazione dei progetti di valorizzazione dei beni trasferiti, salvo che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il comune sul cui territorio insiste l'immobile manifesti la volontà di presentare apposito progetto per lo sviluppo, la valorizzazione o l'utilizzo dell'immobile ai sensi dell'articolo 1. In tale ipotesi non si fa luogo al trasferimento a favore dell'università e si applica l'articolo 1 ove, entro i due anni successivi alla manifestazione di volontà del comune, venga presentato il progetto di cui all'articolo 19, comma 1, della legge n. 448 del 1998, introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera a), della presente legge. I suddetti termini sono perentori e il loro inutile decorso comporta l'obbligo del trasferimento alle università, ai sensi del primo periodo del presente comma.
Il comma 3 dell'articolo 2 stabilisce la destinazione - ad aree prioritarie di reperimento di riserve naturali - dei beni immobili compresi nelle saline già in uso all'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e all'ente tabacchi italiano, non più necessari in tutto o in parte alla produzione del sale.
La Commissione, anche alla luce dell'attività istruttoria, svolta con missioni a Bari, Manfredonia e Margherita di Savoia, ha inserito un periodo aggiuntivo in cui si prevede che i beni immobili di cui allo stesso comma 3, in quanto non rientranti nella riserva naturale, siano trasferiti a titolo gratuito, con decreto del ministro delle finanze, di concerto con il ministro dell'ambiente, ai comuni sul cui territorio i medesimi insistono.
Il comma 4 reca una norma interpretativa delle disposizioni che prevedono la facoltà di riscatto degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, chiarendo che in caso di decesso del soggetto avente titolo al riscatto dell'alloggio, che abbia presentato la domanda nei termini, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere nei confronti degli eredi.
Il comma 5 stabilisce che i beni immobili appartenenti allo Stato, adibiti a luoghi di culto, con le relative pertinenze, vengano concessi al medesimo titolo gratuitamente e senza applicazione di tributi agli enti ecclesiastici che ne hanno l'uso.
Il comma 6 dispone, al fine di agevolare la realizzazione di programmi quinquennali per la costruzione, l'ammodernamento o l'acquisto di immobili da destinare a sedi di uffici unici del Ministero


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delle finanze, che le risorse occorrenti per la realizzazione di tali programmi siano assicurate attraverso la stipula di convenzioni con una o più imprese e non più soltanto con le banche, come previsto dalla normativa vigente.
Quanto alle questioni sollevate nei pareri espressi dalle altre Commissioni, desidero precisare che il recepimento soltanto parziale delle stesse da parte della Commissione finanze discende esclusivamente dall'esigenza di verificarne accuratamente la portata e non già da una scarsa attenzione. Alcune delle osservazioni e delle condizioni contenute nei pareri attengono a questioni che investono anche delicati profili di coordinamento con la normativa vigente e di riparto di competenze tra le varie amministrazioni dello Stato. Preannuncio comunque che, in qualità di relatore, mi farò carico di predisporre per l'esame del Comitato dei nove alcune proposte emendative, volte in particolare a recepire i suggerimenti avanzati dalle Commissioni difesa e ambiente, avendo riscontrato al riguardo un'ampia disponibilità di tutte le forze politiche.
In ultimo, desidero richiamare l'attenzione dei colleghi sul fatto che è stata da più parti prospettata alla Commissione l'esigenza di inserire nel provvedimento una disposizione diretta ad aggiornare il riferimento alla professione dei periti agrimensori, sostituendola con quella degli agrotecnici, ai fini delle procedure di aggiornamento del catasto. Trattandosi di un problema di evidente interesse per l'erario, sollecito il Governo ad un'attenta valutazione dello stesso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

BRUNO SOLAROLI, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, farò alcune brevissime considerazioni su questo disegno di legge che prevede una serie di norme dirette allo sviluppo, alla valorizzazione e all'utilizzo del patrimonio immobiliare dello Stato, oltre ad altre disposizioni. Il legislatore che si pone un obiettivo di questa portata dovrebbe sicuramente immaginare e tradurre in un'apposita norma un sistema di interventi che sia il più snello possibile, elastico e confacente al perseguimento delle finalità.
Come ricordava nella sua relazione il collega Vannoni - che ringrazio per il lavoro svolto in Commissione in maniera solerte e puntuale -, vi è una serie di norme che non hanno potuto trovare applicazione e quindi è venuta meno l'efficacia della norma rispetto all'obiettivo che si prefiggeva il legislatore. Ricordo tra l'altro come il gruppo di Forza Italia, al quale appartengo, sia sempre stato protagonista, fin dall'inizio della legislatura, nello sforzo di pervenire ad una normativa realmente adeguata alle esigenze che si sono sempre poste in questo settore.
Per come è strutturata, la normativa proposta appare, per la verità, un po' farraginosa e di difficile applicazione. Sembrerebbe quindi non del tutto confacente agli obiettivi che ci siamo prefissi.
Deve essere svolta una riflessione su quanto previsto dall'articolo 2 per quanto riguarda i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato concessi in uso alle università per le proprie necessità istituzionali. Su tale argomento in Commissione si è svolto un ampio dibattito in cui è stato evidenziato che, per come è strutturata la norma, si sarebbero potute verificare situazioni paradossali. Infatti, importanti complessi immobiliari potrebbero essere trasferiti gratuitamente alle università che hanno sede in un luogo diverso di quello di ubicazione degli immobili: ciò comporterebbe inevitabilmente il difficile utilizzo da parte del comune del bene stesso. È stato apportato qualche correttivo alla norma e ciò dimostra l'attenzione nei confronti di questo provvedimento da parte di tutte le componenti politiche presenti in Commissione finanze. La modifica apportata in Commissione al testo approvato dal Senato non può essere


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considerata del tutto risolutiva, ma possiamo dire di essere su una buona strada.
Altre considerazioni vanno svolte in ordine al trasferimento di beni immobili compresi nelle saline. Ritengo questa una norma di buonsenso e ormai necessaria, alla luce di quanto sta accadendo, dal punto di vista normativo, in materia di decentramento e di federalismo. Bene quindi è stato prevedere la possibilità che gli immobili e le aree dismesse compresi nelle saline già in uso all'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, oggi ETI, vengano trasferiti ai comuni interessati. Vorrei far rilevare che un emendamento in tal senso da me presentato in Commissione è stato approvato dalla Commissione e dal Governo. Ci sono situazioni, quale ad esempio quella di Margherita di Savoia, in cui alcune cittadine vengono penalizzate dalla presenza delle saline perché, strette tra il mare e le saline, non hanno possibilità di sviluppo dal punto di vista urbanistico, e non solo. In questo modo potranno avere una sorta di risarcimento per la situazione a cui sono state costrette in questi anni.
Pertanto, posso affermare che il mio gruppo considera benevolmente questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pace. Ne ha facoltà.

CARLO PACE. Signor Presidente, la relazione del collega Vannoni ha chiarito, in modo puntuale, come il provvedimento al nostro esame si innesti ed integri una serie di precedenti provvedimenti volti a una diversa modalità di utilizzo dei beni del demanio pubblico.
Vi sono ragioni di fondo che ci inducono, sul piano generale, anche in questa fase di esame del provvedimento - come del resto è avvenuto in sede di esame presso la Commissione finanze -, a non considerare con avversione la modifica della disciplina che questo provvedimento intende attuare.
In effetti, abbiamo registrato una serie di mutamenti di cui, prima o poi, occorreva prendere atto, superando quella cristallizzazione nelle modalità di utilizzo dei beni demaniali che derivava proprio dal modo in cui la caratteristica demaniale era interpretata e considerata a norma di legge. Questi mutamenti riguardano anzitutto i requisiti. Immobili nati per certe destinazioni potevano anche essere adattati ad altri scopi in un'epoca in cui le modalità costruttive e di distribuzione sul territorio erano diverse da quelle odierne.
In altri termini, è comprensibile come dei conventi siano stati trasformati in tribunali o in preture, ma vi sono state due profonde trasformazioni. La prima riguarda una organizzazione diversa, l'esigenza di spazi diversi e diversamente collocati per poter assolvere alle funzioni dell'amministrazione della giustizia. La seconda concerne il mutamento nell'organizzazione della giustizia dal punto di vista dei vari organi giudiziari. Il concentramento delle preture, la riduzione notevolissima del loro numero ed anche la loro soppressione in molti comuni italiani hanno reso inutile la destinazione di tutta una serie di locali.
Basterebbe riflettere su questi aspetti per comprendere come, dal punto di vista dell'inadeguatezza funzionale e per quanto attiene alle strutture nate per altri scopi e in altra epoca, rispetto alle esigenze dei diversi scopi odierni, e per effetto, come dicevo, del mutamento nella distribuzione della presenza dello Stato sul territorio, sia opportuno rivedere in maniera abbastanza approfondita la tematica dell'utilizzo dei beni del demanio dello Stato.
A tutto ciò va aggiunta la rivoluzione del sistema dei trasporti. Quando per spostarsi da una località ad un'altra occorrevano molte ore, come avveniva alla fine dell'ottocento e anche agli inizi del novecento, prima della rivoluzione copernicana dei trasporti, ma anche fino agli anni cinquanta, prima che vi fosse la diffusione della motorizzazione di massa, è chiaro che raggiungere gli uffici pubblici era cosa estremamente difficile a meno che non vi fosse stata una loro larga diffusione sul territorio.


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Credo che queste ragioni siano sufficienti per comprendere come non si possa pensare di fermare il tempo, anche se il tempo era stato fermato per quanto attiene all'utilizzazione dei beni demaniali. Il tempo è come l'acqua, è inutile cercare di fermarlo con le mani perché non ci si riesce. Il tempo implica cambiamenti e quelli che ho esemplificato non erano stati recepiti nelle modalità di utilizzo dei beni demaniali; in questi ultimi anni se ne sta prendendo atto e quindi si adeguano le modalità di utilizzazione alle esigenze determinate da questi cambiamenti.
Vorrei però aggiungere che in tutto questo c'è un'ulteriore considerazione da fare ed è quella relativa alla modifica della presenza della Stato. Lo Stato centralista è andato assottigliandosi per essere sostituito quanto meno dallo Stato decentrato. Inoltre in una prospettiva che ancora politicamente non sembra prossima a realizzarsi perché i provvedimenti proposti sono stati considerati da noi largamente insufficienti, si avrà una diversa organizzazione dello Stato allorquando verranno inserite, in un modo di gran lunga più significativo rispetto a quanto è avvenuto finora, delle componenti di federalismo.
Tutto questo spiega l'atteggiamento che sul piano generale il gruppo di Alleanza nazionale ha assunto nei confronti del provvedimento in esame.
Questi beni, i beni pubblici, i beni del demanio statale, sono considerati componenti il patrimonio pubblico ma, come l'economia ammonisce, il patrimonio è qualcosa che si definisce in funzione dei frutti che è in grado di dare. Un patrimonio pubblico che dà così pochi frutti da non consentire neanche la manutenzione ordinaria, come dimostra il fatto che molti edifici pubblici sono allo sfascio, testimonia una scarsità accentuata di risorse. Se vogliamo veramente conservare un patrimonio che abbiamo ereditato, se vogliamo che questo coacervo di immobili sia veramente un patrimonio, non possiamo trascurare le attività idonee a favorire la loro fruttificazione; altrimenti, avremo alberi sterili che non possono essere considerati patrimonio; beni immobili non utilizzati o male utilizzati non costituiscono, sul piano economico, alcun bene patrimoniale.
Se così stanno le cose, ne viene una conseguenza: ben venga la possibilità di valorizzazione anche da parte di soggetti diversi dallo Stato centrale e, addirittura, diversi da soggetti pubblici; ben venga la possibilità di utilizzo di questi beni in base ad un progetto di valorizzazione. Tuttavia, desidero sottoporre all'attenzione dei colleghi alcune esigenze che mi parrebbe opportuno prendere in considerazione. Come possono le conferenze di servizio giudicare della capacità di valorizzare beni immobili del patrimonio demaniale sul piano economico, perché in ciò consiste la valorizzazione? Le soluzioni possibili sono due: o si procede alla costituzione di un nucleo unitario di valutazione e allora il giudizio delle conferenze di servizi sarebbe un giudizio di fattibilità e un concorso all'istruttoria, restando il giudizio di valorizzazione di pertinenza del nucleo di valorizzazione; oppure, si forniscono le conferenze di servizio di criteri e di valutazione. Se non si procede a dare criteri e metodi di valutazione uniformi, andremo incontro ad un processo irrazionale di valorizzazione. Ricordiamoci che vi è un requisito non smentito da alcuno, neanche nei più illuminati tentativi di legittimare sul piano razionale l'organizzazione delle economie collettiviste - mi riferisco, ad esempio, al tentativo operato da Oskar Lange negli anni quaranta -, non vi è, infatti, nessuna possibilità di sfuggire al criterio fondamentale costituito da un'unitarietà di criteri di valutazione. Se si adottano criteri di valutazione difformi, abbiamo l'utilizzo delle risorse, qualunque esse siano - nel caso di specie, si tratta di risorse immobiliari -, che non obbedisce al canone della perfetta razionalità che deriva dai livellamenti prospettici dei tassi di rendimento dei vari beni nei vari impieghi.
Da questo punto di vista, le vie possono essere due: integrare il provvedimento prevedendo un organo centrale di valutazione, ma in Commissione mi sono astenuto


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dal suggerire di presentare un emendamento in questo senso, per evitare che si pensasse ad un rigurgito di centralismo o ad un tentativo di reinserimento di un organo centrale. L'altro modo, invece, è mettere le conferenze di servizi, che dovranno procedere al vaglio delle proposte di valutazione, e, in un certo senso, i soggetti che appronteranno tali proposte in condizione di seguire una corretta metodologia, fondata su criteri unitari.
In materia, mi permetto di richiamare semplicemente due precedenti. Il primo, il più antico, è il libro verde che il Governo federale degli Stati Uniti approntò e pubblicò alla fine degli anni trenta per un caso di specie abbastanza limitato, ossia la valutazione dei costi-benefici dei progetti pubblici, soprattutto di irrigazione.
Vi è, poi, un secondo precedente di portata più ampia sia sul piano della sua applicazione territoriale sia su quello del contenuto dei progetti. Esso è costituito da due volumi pubblicati dalle Nazioni Unite, intitolati Materiale per la valutazione economica dei progetti di investimento. Tali volumi sono stati messi a disposizione di tutti i paesi. I paesi che hanno desiderato o cercato l'accesso a risorse della Banca mondiale o, comunque, degli organismi internazionali di cooperazione - è il caso della questione di cui ci siamo occupati qualche giorno fa in materia di sviluppo economico - hanno dovuto adottare tale metodologia, in modo da garantire l'impiego migliore delle risorse.
In Italia qualcosa del genere è stata fatta dal nucleo di valutazione presso il Ministero del bilancio e della programmazione economica, qualche anno fa (penso 15-20 anni addietro), quando, iniziando l'attività di detto nucleo, fu necessario approntare una sorta di manuale da distribuire a coloro che intendevano attingere ai fondi del FIO e che, pertanto, dovevano presentare progetti che venissero unitariamente giudicati.
Ripeto, mi sono guardato bene dal proporre una riedizione del FIO, per evitare il centralismo e che si creassero «colli di bottiglia» che rallentassero l'intero processo. Tuttavia, mettere a disposizione... Al riguardo non ci vuole una legge ma l'attenzione del Governo, vero sottosegretario Solaroli? Per farlo ci vuole l'attenzione del Governo, vero sottosegretario Solaroli? L'attenzione deve essere prestata non su quel che sto dicendo io, ma sull'argomento. Dicevo che non chiedo che vi sia un intervento legislativo che stabilisca criteri o istituisca un nucleo di valutazione come quello che venne creato per il FIO, ma credo sia opportuno che il Governo metta a disposizione di tutti una sorta di manuale, che indichi procedure, metodi e criteri che consentano la razionalizzazione dell'impiego delle risorse.
Scusate se continuo ancora per qualche istante, ma mi sembra che l'argomento sia rilevante. Intendo riferirmi ora alla questione della difesa della parte del demanio statale che attiene al demanio artistico-culturale. Voi ricorderete - io lo ricordo, perlomeno - che in sede di esame della legge finanziaria feci un tentativo di «tutela peculiare» nel caso dei beni appartenenti al demanio della difesa, rilevando come l'utilizzo per la difesa di certi beni abbia assicurato la salvaguardia degli stessi da numerosi scempi. Citai il caso della Sardegna - visto che il relatore sul disegno di legge finanziaria, tra l'altro, poteva intendermi conoscendo la propria terra - richiamando il fatto che i maggiori patrimoni paesaggistici di quella regione che erano rimasti intatti erano proprio quelli che erano sottoposti alla servitù per la difesa! Sarebbe assurdo se, nel momento in cui affrontiamo tali questioni, non mi facessi carico anche di questo argomento. Dico questo innanzitutto perché vorrei che nel manuale di istruzioni fosse prestata una particolare attenzione alle modalità di comportamento per evitare la distruzione dei connotati culturali che ogni patrimonio ereditato presenta. Teniamo presente poi che una parte cospicua di tale patrimonio lo abbiamo ottenuto grazie alle leggi eversive dei patrimoni religiosi: sono edifici che, dal punto di vista formale, hanno ormai così tanti anni da essere considerati tout court beni facenti parte


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del patrimonio monumentale italiano indipendentemente dalle loro caratteristiche formali.
Sarebbe necessario se in quel manuale - auspico che il Ministero del tesoro lo possa mettere a punto prima di passare a qualcun altro la piena gestione del tutto - fosse previsto che un domani l'agenzia per il demanio, di concerto con gli altri Ministeri e in particolare con quello dei beni culturali, debba provvedere a questo tipo di iniziative.
Relatore Vannoni, Presidente e amico Leone, non so se siamo stati distratti, ma non so - mi pongo tale interrogativo - se la normativa sia applicabile e se sia rispettosa delle diversità istituzionali che si registrano in tutto il territorio. Quando noi pensiamo che la tutela possa essere assicurata inserendo nella conferenza dei servizi un soggetto che rappresenti il Ministero dei beni culturali, credo che tale previsione possa andare bene dappertutto. Mi chiedo che cosa avverrà, però, in quelle regioni a statuto speciale nelle quali le sovrintendenze dello Stato siano state sostituite da quelle regionali, dove, in sostanza, lo Stato non avrà più un organo periferico di riferimento. Avremmo dovuto forse inserire a quel punto una dizione più comprensiva della realtà effettiva. Il fatto è però che la maggior parte di noi in materia non ha il pensiero rivolto ai casi speciali; ma, quando legiferiamo, pensiamo al caso generale! Tuttavia, i casi speciali esistono in Italia e nel caso di specie esistono ed hanno un rilievo che non può essere trascurato!
Vorrei evidenziare tre ultimi argomenti.
Il primo riguarda la destinazione delle risorse. A tale riguardo, non dobbiamo dimenticare che, se riusciremo a recuperare risorse, ad esempio, dalla dismissione di determinate strutture, dovremo pensare, come ogni buon padre di famiglia, a ridurre i debiti, perché si è allentata l'attenzione che abbiamo avuto negli anni scorsi nei confronti del risanamento della finanza pubblica e della riduzione del debito. Dalla lettura del provvedimento al nostro esame, infatti, possiamo constatare che le risorse verranno erogate alle varie amministrazioni di appartenenza e ciò significherà che non avremo una tendenza alla contrazione della spesa, ma al finanziamento della stessa! In corrispondenza di tali risorse, dovremmo quanto meno pensare ad una proporzionale riduzione delle assegnazioni alle amministrazioni che fruiscono di flussi consistenti di risorse per effetto di questo processo, ad una parallela e proporzionale riduzione delle assegnazioni di bilancio.
Infatti in caso contrario finiamo con il dismettere dalla sfera della proprietà pubblica risorse che sono come le piante di ciliegio che danno frutti oppure direttamente come le ciliegie. Sono quindi risorse patrimoniali o risorse reddituali, che viceversa potrebbero essere portate a concorrere a quell'opera di riduzione del debito pubblico che è ancora lungi dall'essere compiuta, com'è normale per la circostanza, dato che l'entità del debito era tale che esso non poteva essere assorbito dallo sforzo, pur notevole, che i cittadini hanno compiuto nell'arco di pochi anni. Per troppi anni si è speso molto di più di quanto le nostre risorse avrebbero consentito; non si può pensare che in pochi anni si riesca a colmare il buco che allora si fece. Proprio per questo motivo, dobbiamo cercare di non dimenticare, in ogni circostanza, anche in quelle modeste, che danno luogo a recuperi modesti di risorse, che su di noi incombe quel macigno, che tra l'altro ci impedisce di avere mani libere nelle politiche di bilancio e ci impone di adottare soltanto politiche di bilancio restrittive, ma che costituisce un caveat, se non un divieto assoluto di ricorso a politiche di bilancio espansive.
Vorrei rilevare infine che con questo provvedimento, abbiamo un favor graduato nei confronti dell'università, settore che mi è caro perché vi ho speso la mia vita, perché, se nel caso di specie un comune presenta un suo progetto di diversa utilizzazione dei locali, noi diamo la precedenza al comune. Lasciatemi dire che le università sono state sacrificate negli spazi.


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Ho professato nell'università italiana che aveva il maggior numero di studenti (e lo ha tuttora) e forse nella facoltà più affollata. Tenevo lezioni in un'aula con 800 posti a sedere e 1.200 studenti. La testa degli studenti delle file non vicine mi appariva della dimensione di una capocchia di spillo. Il rapporto con gli studenti, nonostante ogni buona volontà, era reso difficile da tali contingenze. Pur disponendo di molti collaboratori, non riuscivo ad organizzare più di tre corsi di esercitazione di un'ora alla settimana. Quando cominciai la carriera, da assistente, eravamo in due e tenevamo ciascuno cinque corsi di esercitazioni; avevamo 200 studenti e questo significava che facevamo esercitazioni a gruppetti di 20 studenti. Ma perché avveniva questo? Perché da due assistenti e 10 corsi di esercitazioni, siamo passati ad una situazione nella quale io, che ero privilegiato essendo titolare della prima cattedra di economia politica della facoltà di giurisprudenza, per tradizione la più dotata di risorse, e potevo contare almeno su una decina di collaboratori, riuscivo a tenere soltanto tre corsi di esercitazione? Perché non c'erano aule disponibili; perché le nozze con i fichi secchi non si possono fare. Dunque, una grandissima difficoltà nelle università è rappresentata dalla disponibilità degli spazi. Prendetene atto! Facciamo in modo che le università non siano considerate il second best (prima viene il comune, se ha qualche fantasia, e poi l'università). Facciamo in modo da ristabilire un minimo di gerarchia perché, alla fine, il sapere che viene dato ai giovani di oggi è la ricchezza dell'Italia futura.
Lo dico soprattutto oggi, dato che sono uscito dall'università e sono ormai in pensione: ho scelto di andare anticipatamente in pensione, proprio per poter parlare delle questioni universitarie in maniera distaccata, dal punto di vista non sentimentale ma certamente degli interessi. Non sono portatore di alcun interesse perché sono uscito dall'università, parlo con piena limpidezza perché non sto tutelando alcun interesse, non ho in mente alcun caso di specie. Vorrei aggiungere, però: per qualche anno, in tema di università, abbiamo accarezzato l'idea di seguire il modello angloamericano del campus (modello, per la verità, più americano che inglese, poiché in quest'ultimo caso abbiamo il college). È un modello che comporta l'esigenza di disporre di ampi spazi, perché si tratta di costruire delle vere cittadelle, nelle quali dovrebbero operare gli studenti e i professori.
Quando abbiamo realizzato qualcosa del genere, abbiamo creato, in sostanza, come si usa dire, delle cattedrali nel deserto (non mi piace molto l'immagine, ma questo è l'uso): cito l'esempio di una realtà che ho visitato la settimana scorsa, l'università di Salerno. È una bella università totalmente distaccata dalla città: doveva essere un campus universitario, un'università residenziale, ma chiedo: è possibile immaginare che sia realizzato quel modello americano, in cui studenti e professori vivono sul posto, se accanto all'università non vi è la scuola elementare dove vanno i figli dei professori? Se non vi è un supermercato dove le famiglie e gli stessi studenti possano fare qualche acquisto? Vi è appena un bar e non vi è altro, neanche una libreria! Qualunque acquisto, compreso quello dei libri universitari, deve essere effettuato in città, con una difficoltà di accesso cospicua. Cosa intendo dire? Rivalutiamo gli immobili dei centri storici, che sono nati talvolta per essere scuole e che il numero calante degli studenti rende esuberanti rispetto alle destinazioni d'origine. Soprattutto, non consideriamo residuale la prospettiva di assegnazione di questi immobili alle università, ma conferiamole almeno rango pari rispetto a tutte le altre possibili destinazioni.
Quanto al comma 5 dell'articolo 2, esso prevede che i beni immobili appartenenti allo Stato adibiti a luogo di culto siano concessi gratuitamente e senza applicazione di tributi agli enti ecclesiastici: forse, dopo quasi 130 anni...

PRESIDENTE. Onorevole Pace, deve concludere.


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CARLO PACE. Sto per concludere, Presidente, d'altra parte siamo in sede di discussione generale e siamo «quattro gatti».
Forse, dicevo, signor Presidente, non sarebbe sbagliato ripensare al fatto che quei beni vennero avocati allo Stato e tolti alla destinazione che le collettività avevano voluto, perché, certo, erano frutto non della ricchezza degli ordini ma della generosità dei popoli; forse, allora, sarebbe il caso di compiere un'opera fattibile adesso che la politica è totalmente cambiata, adesso che si sostiene che non è più necessario un concordato e che, tutto sommato, le esigenze di garantire con beni immobili il debito pubblico che lo Stato aveva dovuto accumulare allo scopo dell'unificazione del paese non sono più esistenti. Forse, l'opera di giustizia di restituire questi beni non sarebbe impossibile. Sto pensando, per esempio, al convento dei frati minori di Comiso, nel quale fortunatamente, dopo un lungo periodo di allontanamento, i frati minori sono rientrati. Quel convento per tanti anni subì uno scempio perché fu adibito a caserma; ora è tornato ad essere un convento. Se si impone agli enti ecclesiastici di provvedere alla loro manutenzione, quale ragione vi è per non dare loro questi beni in proprietà, con tutti i vincoli che richiedono i beni culturali, così come merita di essere tutelato quel bene insigne per le opere che contiene?
Si tratta di operazioni che sarebbe possibile fare. Non vedo un trattamento differenziale in questo caso; negli altri casi si può effettuare un trasferimento di proprietà, mentre in questo si deve prevedere la mera concessione.
Torno a dire che nel caso di specie - lo cito a titolo di esempio e non perché vorrei per esso una norma particolare - si trattava di un convento di francescani, quindi di un convento che era stato costruito con le elemosine, con i frutti della generosità di un popolo, che certamente non era ricco, ma sapeva attribuire alle esigenze spirituali risorse economiche cospicue facendo sacrifici in nome della prevalenza dell'ordine spirituale rispetto a quello materiale.
Forse anche questo Parlamento potrebbe avere un moto di orgoglio e fare un salto di qualità. Sarei lieto se fosse il Governo a fare una proposta emendativa in questo senso.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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