Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 829 del 19/12/2000
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(Dichiarazioni di voto finale - A. C. 7459)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, il senso e la ratio di questo provvedimento non sono altro che una ricetta illusoria e controproducente rispetto ai problemi reali su cui, invece, non sono state date le risposte necessarie ed adeguate, che pure abbiamo proposto.
Mi limito a rilevare che, dopo il tentativo fatto all'inizio di questa legislatura di mettere a punto un programma complessivo di riforma della giustizia che coniugasse maggiore efficienza con maggiori garanzie, che sta dando risultati positivi - ricordo i dati che ho esposto nel corso della discussione degli emendamenti -, purtroppo, questo provvedimento ritorna alla logica dell'emergenza e, a mio avviso, rappresenta il diapason di una logica criticabile e non condivisibile. Si tratta di un'inammissibile ed inaccettabile inversione di tendenza che Rifondazione comunista non può condividere. È forte il rischio che con questo provvedimento, di cui apprezziamo i miglioramenti apportati nel corso della discussione serena e costruttiva che si è avuta in Commissione, si incida negativamente su quelle riforme di cui, sia pure lentamente e faticosamente, si stanno vedendo i risultati positivi. Ricordo la depenalizzazione dei reati minori, il giudice unico di primo grado, la modifica dell'articolo 111 della Costituzione e tante altre ne potrei aggiungere.
Non intendo soffermarmi sui singoli articoli di questo provvedimento, anche perché lo abbiamo già fatto in sede di discussione generale e ho già espresso l'orientamento di Rifondazione comunista durante la discussione degli emendamenti. Posso dire solo che vi sono poche luci e pochi elementi positivi, mentre vi sono numerosi elementi negativi. Vorrei sottolineare le luci di questo provvedimento. In primo luogo, vi è la norma che prevede il cumulo delle misure cautelari non detentive in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini, che rappresenta chiaramente una maggiore garanzia per la sicurezza dei cittadini; vi è poi la modifica della legge Simeone, ma solo rispetto alla notifica e alla consegna a mano dell'ordine di carcerazione per la possibile sospensione, a richiesta dell'interessato, dell'ordine di carcerazione. Del resto, a questo proposito, vi era già una proposta di legge dell'onorevole Saraceni e dell'onorevole Simeone, da me sottoscritta; altro argomento sicuramente positivo è la proroga delle indagini per i reati gravissimi di strage, precedenti all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Ricordo, in particolare, il processo e le indagini per la strage di Brescia che si stanno avviando a conclusione; senza questa proroga si sarebbe determinata una discovery che avrebbe sicuramente danneggiato l'accertamento finale della verità. Infine, sono assolutamente condivisibili alcune norme sull'ordinamento giudiziario e sul personale amministrativo, anche se si sarebbe potuto fare ben di più su questa materia che tende ad un migliore funzionamento dell'amministrazione della giustizia.
Rifondazione comunista ha cercato di dare un contributo costruttivo e migliorativo del testo iniziale ma, nonostante gli sforzi fatti in Commissione, devo sottolineare che i passi in avanti sono stati pochi


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ed i passi indietro troppo numerosi. Ecco perché concludo dicendo con amarezza - e, consentitemi di dire, anche con un profondo senso di delusione - che non posso che dichiarare il voto contrario di Rifondazione comunista.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Copercini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI COPERCINI. Signor Presidente, signor ministro, signor sottosegretario, colleghi, il Governo è intervenuto all'indomani di alcune scarcerazioni che hanno provocato grandi polemiche e giudizi severi nel paese: sono usciti dalle patrie galere imputati eccellenti per fatti e reati di inaudita gravità. D'altronde, la cosa era già avvenuta nel recente passato: questa volta era nell'aria, ce l'aspettavamo, così come altre ce ne aspettiamo nel prossimo futuro.
Le riforme epocali e strutturali che pure vi sono state, con esiti avversi ad avviso della Lega nord Padania, in questi cinque anni di legislatura non hanno sortito effetto per quel che concerne uno degli aspetti più significativi: abbreviare il tempo dei processi rendendone ragionevole la durata, come esprime un principio costituzionale, un principio diretto a rendere vera giustizia al cittadino. Ecco allora il coniglio tirato fuori dal cappello del prestigiatore: si emana un decreto-legge che, sull'onda dell'emotività derivante dalle notizie delle scarcerazioni facili e sulla base di altre considerazioni relative all'effettività della pena nel nostro paese, riporti un po' di consenso su un Governo boccheggiante e su una maggioranza sconcertata ancorché divisa, facendo intendere che con il medesimo decreto-legge si sia veramente risolto il problema. In realtà, sono stati semplicemente spostati i «termini» (nel senso di «confini»), senza incidere sulle problematiche patologiche e terminali del sistema giustizia.
La decretazione d'urgenza è un'attività dell'esecutivo sostitutiva del potere legislativo, conferito dalla Costituzione al Parlamento, con un'importante mediazione, che noi della Lega nord Padania intravediamo, del terzo potere, del potere giudiziario, che non è indifferente, specialmente in questi tempi di vacatio politica, a ciò che avviene nel suo settore di competenza.
Dove si possono ravvisare motivi di necessità ed urgenza? Dopo anni di monitoraggio del sistema e di mancato intervento per riequilibrarlo a tutti i livelli, non ne vedo. Leggo ad ogni fine anno le relazioni del procuratore generale e le diverse statistiche e se cinque anni or sono il malato giustizia era grave, ora è in coma profondo ed irreversibile. Il decreto-legge in corso di conversione gli dà ossigeno e morfina per farlo sopravvivere qualche giorno, fino all'approvazione della finanziaria e, probabilmente, al lancio completo della campagna elettorale, dove anche un'arma spuntata come questa potrà essere utilizzata, anche se penso che certe toghe ed il potere effettivo esistente nel paese e nei palazzi abbiano in serbo ben altri proiettili da sparare (le avvisaglie di questi giorni mi sembrano significative).
Questo decreto-legge è solo funzionale alla campagna elettorale? No, direi proprio di no, magari così fosse. Infatti, esso è anche pericolosamente dannoso, è un intervento inutile, parziale e marginale, frutto della necessità di dare una risposta (non importa di che tipo, di quale sostanza) a cittadini sempre più esposti all'ondata crescente della criminalità e ad un'opinione pubblica sconcertata di fronte alle continue scarcerazioni di criminali per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Oltretutto, il decreto-legge arriva tardi; è inutile ricordare, infatti, che un intero pacchetto sicurezza giace ormai dimenticato in Parlamento da oltre due anni e che la maggioranza ha avuto ben cinque anni per intervenire con riforme strutturali, delle quali noi parliamo da sempre, senza avervi provveduto. Il decreto-legge arriva tardi anche perché la giustizia italiana è ormai veramente al collasso: sta emergendo una situazione completamente esplosiva e contraddittoria. Sicuramente,


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le norme raffazzonate e contenute un po' qui un po' là in diverse proposte di legge all'esame della Commissione giustizia da diverso tempo, messe insieme in questo decreto-legge, non riusciranno ad invertire tale tendenza.
Per quanto riguarda i termini di custodia cautelare - introduciamo qualche fattore positivo - viene introdotta la possibilità di recuperare i termini che non sono stati consumati nelle fasi precedenti, lasciando però inalterati gli attuali termini complessivi e finali della custodia. È evidente, però, che le proroghe all'infinito dei tempi di custodia cautelare non risolvono in modo efficace questa grave disfunzione, anche perché il nocciolo del problema non consiste tanto nella brevità dei termini della custodia (da noi si può rimanere in carcere preventivo per anni e poi essere riconosciuti innocenti: caso unico e raro nei paesi cosiddetti civili), quanto nella generale lunghezza del processo penale, tanto che la sentenza definitiva interviene sempre con un ritardo che è vergognoso rispetto alla commissione del fatto o all'inizio delle indagini, quando ormai la giustizia praticamente non serve più! Da questo punto di vista, sarebbero state necessarie riflessioni di più ampio respiro, come quella di rimeditare il sistema delle impugnazioni per evitare che siano ridotte a strumenti di manovre esclusivamente dilatorie oppure incentivando i riti alternativi per ridurre la durata media dei processi.
In tema di processi per reati gravi, si interviene tentandone un'accelerazione, con la separazione dei processi ed il trattamento prioritario di chi si trovi in custodia cautelare; ma la soluzione, che in apparenza sembra rendere più celere la definizione dei processi stessi per le persone ritenute più pericolose, finirà con il determinare ulteriori inciampi e ingarbugliamenti del processo, aumentando a dismisura il carico di lavoro dei magistrati che saranno costretti a celebrare più processi invece di uno solo e a redigere più sentenze al posto di una. Sappiamo bene che ciò creerà ulteriori difficoltà in ordine alla possibilità di provare fatti attraverso le dichiarazioni di coloro che sono coinvolti nelle indagini per tutta una serie di problemi, che qui è inutile ricordare perché sono stati a lungo richiamati in altre sedi istituzionali.
Come si farà a separare le varie posizioni processuali nei maxiprocessi per mafia e criminalità, dato che le medesime sono intrecciate e deve essere dimostrata l'associazione a delinquere, ad esempio? Perché non scegliere di processare per direttissima alcuni imputati di processi più complessi, quali quelli per reati associativi, con gli imputati in carcere e senza pericolo di decorrenza dei termini della custodia cautelare?
Che dire, poi, in tema di rafforzamento dei controlli nei confronti di soggetti scarcerati per decorrenza dei termini, per i quali si prevede la contestuale applicazione di misure cautelari già previste dalla legge, quali l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria o l'obbligo di divieto di dimora? Pensiamo a boss pericolosi che, diligentemente, si presenteranno una volta al giorno alla stazione dei carabinieri e a come sarà facile in simili condizioni che si diano alla latitanza!
Un altro punto critico che è stato messo in luce nell'esame dell'impianto emendativo riguarda l'introduzione dei processi itineranti, con la questione della ricerca della disponibilità di aule protette. Ed al riguardo viene fornita la solita risposta: mancano i soldi! Noi rispondiamo invece che manca la volontà politica!
È pressoché inutile anche la previsione del deposito frazionato della motivazione della sentenza per alcuni reati, che non risolve il problema legato ai tempi con cui i giudici depositano le motivazioni. Sarebbe meglio mettere i giudici nelle condizioni di rispettare i termini previsti dalla legge per il deposito e, nel contempo, far scattare il procedimento a carico del magistrato che non rispetta i termini (pare che sia una cosa impossibile in questo paese!).
Tuttavia, alcune parti del provvedimento sono condivisibili, come quelle che...


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PRESIDENTE. Onorevole Copercini, lei ha superato di venti secondo il tempo a sua disposizione.

PIERLUIGI COPERCINI. Presidente, proprio adesso che stavo arrivando alla parte di condivisione...

PRESIDENTE. Lei ha già esaurito interamente i dieci minuti a sua disposizione; quindi, deve concludere.

PIERLUIGI COPERCINI. Rinuncio ad indicare le parti condivisibili, che pure vi sono, ben conoscendole il ministro e il sottosegretario e gli addetti ai lavori, e dandole per scontate.
Per i motivi suesposti personalmente voterò contro questo provvedimento, perché giudico iniqua la metodologia utilizzata nella genesi di questo provvedimento e nella sua trattazione. Lascerò viceversa al gruppo della Lega nord Padania l'alternativa tra il votare contro o astenersi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecorella. Ne ha facoltà.

GAETANO PECORELLA. Signor Presidente, avremmo voluto che la maggioranza avesse compreso lo sforzo che stavamo compiendo per far sì che un provvedimento sbagliato nelle forme di attuazione, ma che tendeva ad un fine giusto qual era quello di rendere la giustizia più efficiente e più efficace, potesse raggiungere tale obiettivo attraverso norme che non avrebbero lacerato il tessuto costituzionale e la nostra coscienza individuale.
La maggioranza ha voluto adottare una forma - mi sia consentito di dirlo, anche se non uso di solito espressioni pesanti - ottusa di contrapposizione per ragioni di principio, nel senso di far passare comunque il testo che si voleva attribuire al merito della maggioranza medesima.
Allora, non posso non dire che non andiamo al di là di un manifesto elettorale per tutte quelle parti che sono negative ma hanno un effetto esterno, di messaggio, e che invece avranno una conseguenza grave sul funzionamento della giustizia.
Il decreto-legge al nostro esame andrebbe misurato sotto il profilo dell'efficacia e dell'efficienza che comporta. L'efficacia e l'efficienza è possibile migliorarle in qualche limitatissima parte; è una specie di isola qua e là in un mare che ci vede assolutamente naufraghi per quanto riguarda la giustizia nel suo complesso. Per queste isole felici mi riferisco alle modifiche che in fondo sono state portate avanti proprio dalla Casa delle libertà. Mi riferisco alla notifica del decreto di carcerazione, alla proroga dell'articolo 41-bis. Su queste misure si può essere d'accordo o in disaccordo dal punto di vista dei principi ideali, ma che in questo momento richiedono necessariamente le soluzioni che la Camera peraltro stava già esaminando e portando avanti. Viceversa, non si può non considerare che vi saranno effetti profondamente negativi proprio sull'efficienza e sull'efficacia del sistema giudiziario per quanto riguarda le modifiche della custodia cautelare, la separazione dei procedimenti e il giudizio abbreviato.
Vi è ormai una rincorsa tra la durata della custodia cautelare e la durata dei processi. Allunghiamo la durata della custodia cautelare e allunghiamo i processi e subiamo ripetutamente le condanne in sede europea. Ciò avrà comunque un ulteriore effetto che sarà quella di allungare i processi basandoci sul fatto che comunque la custodia cautelare durerà di più, ma non sarà mai sufficiente e faremo un'altra legge per allungare ancora la custodia cautelare. L'altro effetto negativo sarà che quello che diceva il grande Vassalli alcuni anni fa: il giorno della condanna sarà il giorno della liberazione, perché avremo consumato con il meccanismo dei saldi e degli anticipi tutto ciò che vi è a disposizione per tenere in carcere una persona e più ci avvicineremo alla sentenza definitiva e meno vi sarà la possibilità di una custodia cautelare in atto.


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Gli effetti negativi ancora maggiori derivano da questo sistema scriteriato di separazione dei procedimenti. Pensiamo alla moltiplicazione dei fascicoli, alla moltiplicazione dei giudici, alla moltiplicazione delle difese. Tutto questo non è una risposta ai maxiprocessi perché la risposta è quella di evitare il maxiprocesso e non frantumarlo una volta che viene iniziato. Quindi occorre incidere sulla connessione e non incidere, una volta che il processo è unitario, sulla separazione, su questi fragmenti, quasi che si trattasse d'una specie di frammentazione di cellule che via via si riproducono. Infine, per quanto riguarda l'abbreviato, nell'ipotesi di reati puniti con l'ergastolo, esso aveva dato un ottimo risultato, come ricordava l'onorevole Pisapia. È vero che eventualmente veniva applicata la pena di trent'anni anziché la pena dell'ergastolo, ma veniva applicata tempestivamente e poi il più delle volte, in sede di esecuzione, poteva addirittura trasformarsi di nuovo in ergastolo attraverso la somma di pene diverse superiori ai ventiquattro anni. Ebbene, a questo si è preferito, invece, il seguente messaggio: noi vogliamo la pena perpetua, siamo per il carcere sino alla morte; tutto questo, però, a danno appunto di una maggiore rapidità della giustizia.
Soprattutto, comunque, credo che la coscienza di ciascuno di noi, almeno di chi ha dedicato in qualche modo la propria vita a certi valori ai quali non è disposto a rinunciare, non possa non ribellarsi all'idea di far passare per norma interpretativa quella che in realtà è una norma con effetti retroattivi a sfavore dell'imputato. Credo che, in questo momento, ci dovremmo vergognare di violare gravemente, di lacerare la nostra Costituzione ed valori ideali che sono stati mantenuti anche sotto il fascismo: i valori dell'irretroattività e della certezza del diritto. È veramente un passo verso l'inciviltà giuridica, sul quale chi abbia libertà di coscienza, di pensiero, di valutazione, al di là degli effetti sul piano dei messaggi elettorali, non può che trovarsi in disaccordo.
Per tale ragione, concludendo il mio rapido intervento, osservo che le mostruosità di questo decreto-legge sono talmente tante ed evidenti che non è necessario andare oltre, e tuttavia vi sono anche elementi positivi che spesso, nel corso delle votazioni, ci hanno indotto ad astenerci anziché a votare contro. Dunque, l'indicazione sulla votazione finale del gruppo di Forza Italia, proprio per gli aspetti positivi, è l'astensione: io personalmente ho creduto e credo in determinati valori che non sono disposto a cancellare o a mettere sotto i piedi perché vi sono esigenze di immagine o politiche. Quindi, rispetto al disegno di legge di conversione in esame, in considerazione degli aspetti positivi, l'indicazione di Forza Italia è l'astensione; la mia considerazione personale è che non sono disposto a votare favorevolmente anche su una sola norma che rappresenti una ferita per la nostra Costituzione (Applausi del deputato Vito).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Parenti. Ne ha facoltà.

TIZIANA PARENTI. Signor Presidente, premetto che intervengo a titolo personale in dissenso dalla componente dei Socialisti democratici italiani che voterà a favore del provvedimento emergenziale in esame. Si è fatto appena riferimento ad elementi positivi nel provvedimento in esame: ora, al di là di quelle che sono misure di carattere assolutamente amministrativo in materia di personale, che non credo dovessero rientrare in un provvedimento d'urgenza, e di qualche correttivo sull'esecuzione della pena, mi pare che gli elementi a favore non vi siano.
Dal decreto-legge in esame, invece, emerge che in un mese si è distrutto praticamente quello che in oltre quattro anni si era cercato di costruire in termini di certezza del diritto, di prova, di applicazione del giusto processo. Se in così breve tempo, nell'arco di un mese, si arriva a tanto, evidentemente, ciò fa presupporre che vi sia un'ampia statistica ed un'ampia documentazione che induce a


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ritenere che il provvedimento sia urgente e assolutamente necessario. Ebbene, credo che, al di là di un fatto di cronaca che si era verificato (per quanto drammatico, trattasi pur sempre di un fatto di cronaca), a noi manchi assolutamente un'ampia statistica per ritenere che i termini di custodia cautelare siano assolutamente insufficienti o inadeguati, così come li ha previsti fino ad adesso il codice; che il giudizio abbreviato, come osservato già in precedenza, con la vita di un anno, o meglio di sei mesi nella norma transitoria, sia assolutamente da cancellare; ancora che, se moltiplichiamo i processi, gli stessi siano statisticamente più celeri. Questo avrebbe dovuto essere l'iter logico da seguire, senza fare riferimento ad un fatto di cronaca, per quanto drammatico.
Tra l'altro, per vari motivi non risulta che il Ministero disponga di queste statistiche e d'altra parte sarebbe molto curioso pensare che, separando i processi, i tempi si abbrevierebbero o che prevedendo una custodia cautelare più o meno flessibile, che può essere lasciata all'interpretazione giurisprudenziale, o aumentando o meno i termini massimi, i tempi dei processi si ridurrebbero; ancora meno esiste una statistica che ci dica che i giudizi abbreviati andavano assolutamente cancellati.
È stata fatta un'operazione di cui, a mio avviso, non vi era né l'urgenza né la necessità, adottando un decreto-legge. Essendo noi i legislatori, dovremmo quanto meno attenerci alla Costituzione, visto che poi pretendiamo dai cittadini che essi si attengano alla legge ed alle norme costituzionali. I decreti-legge vengono usati, invece, per incidere in materia di libertà personale: ormai questo è un fatto ricorrente di cui non si meraviglia più nessuno, come se disattendere la Costituzione possa essere una prassi lecita in quanto lo facciamo sempre.
Ritengo, inoltre, che questo decreto-legge complichi ulteriormente la situazione. Affidiamo ancora allo strumento formale, che dovrebbe disciplinare e regolare i processi, ciò che il diritto sostanziale ogni volta contraddice.
Non possiamo pensare che i processi siano separati successivamente alla riunione, salvo casi eccezionali. Sappiamo che i processi alla criminalità organizzata, come ho già detto nella discussione generale, sono governati da collaboratori di giustizia e spesso si basano esclusivamente su riscontri di dichiarazioni e non di fatti, prove o indagine.
Allora, o incidiamo sul diritto sostanziale, visto che questo codice accusatorio presuppone un diritto sostanziale completamente diverso, oppure ogni volta rimescoliamo un diritto formale che finisce con il creare un gioco da bari. Noi, infatti, fissiamo delle regole e sei mesi dopo le cambiamo, creando quindi una situazione di assoluta e totale incertezza sulle regole con le quali accertare una responsabilità.
In questo modo annulliamo le basi di uno Stato di diritto, che vuole che le regole attraverso le quali si svolge un processo siano chiare, ferme e alla fine siano uguali per tutti. Noi stabiliamo, invece, che alcune regole sono uguali per alcuni ed altre sono uguali per altri, in una confusione costante in cui ciascuno dipende dal tempo, dall'ora e dalle situazioni in cui si viene a trovare.
È quanto di più devastante vi possa essere sapere che lo Stato, facendo un po' il gioco delle tre carte, riesce a cambiare le carte mentre si sta giocando e la totale sfiducia che da ciò deriva non riguarda solo le istituzioni, ma il mondo nel suo complesso, poiché non si sa mai quale carta estrarrà alla fine il legislatore, con la quale annullerà tutto il gioco precedente per ricominciare inesorabilmente da capo, con danno della libertà personale dei cittadini e di coloro che, anche innocenti, sono coinvolti nei processi.
Quando facciamo riferimento a queste norme, quando adottiamo questo tipo di normativa, abbiamo in mente una, due, tre o dieci persone, ma il mondo coinvolto da queste norme è molto più vasto e in esso vi sono i colpevoli e gli innocenti, i quali vedono comunque manifestarsi a loro danno situazioni normative che non dovrebbero neppure riguardarli. Vi è questa presunzione di colpevolezza, in un


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mondo così diversificato in cui vi sono processi che durano cinque anni e quattro mesi che poi si risolvono con l'assoluzione di uno e la condanna dell'altro, in una strana ed incredibile logica, o assenza di logica, di chi fa i processi.
Ciò non fa altro che recare danno a coloro che aspettano di sapere finalmente in base a quali regole saranno giudicati e non lo sapranno mai fino alla fine, quando poi magari risulteranno innocenti, dopo aver scontato numerosi anni di carcere.
Dovremmo infatti fare riferimento anche a costoro, anche se non rappresentano un'emergenza, mentre sappiamo che la metà degli imputati viene assolta. Lo ripeto, questa per noi non costituisce un'emergenza, mentre quella vera per noi è rappresentata dalla lentezza dei processi, dal mancato rispetto dei tempi delle udienze, nonostante il codice prescriva che un processo si rimanda ad un'udienza nel giorno immediatamente successivo. È questa una circostanza che credo non si sia mai verificata nella storia di questo paese dove tutti hanno una motivazione per tutto (noi abbiamo le nostre per i decreti d'urgenza, gli altri per allungare il più possibile i processi) e dove tutto appare lecito mentre in realtà è infirmato da una illegittimità, quella cioè di non rispettare il dettato costituzionale, quella di non chiamare ciascuno, a cominciare dal legislatore e dalla massima istituzione della magistratura, ad applicare i principi di responsabilità quando l'introduzione del codice penale tarda troppo creando una grave discordanza tra il codice sostanziale e quello formale.
Tutto ciò manterrà la situazione nello stato attuale, forse addirittura la peggiorerà, una situazione in cui permarranno le contraddizioni tra i principi fondamentali di civiltà di rieducazione del condannato, dettati dalla Costituzione. La decisione finirà per essere «rimangiata» fra sei mesi e noi ci ritroveremo di nuovo nella incivile situazione in cui la pena non deve rieducare nessuno ma deve servire esclusivamente da controllo sociale, di cui nessuno può disconoscere l'importanza.
Forse perché avete paura di esprimere principi di civiltà, preferite ancorarvi ai decreti d'urgenza ed è per questo che il mio voto sarà contrario, perché sono contraria ai principi che avete espresso con questo decreto-legge. All'inizio della legislatura si era detto che decreti-legge non ve ne sarebbero più stati, mentre quello di cui ci stiamo occupando di fatto vanifica gli sforzi legislativi per condurre noi stessi e l'istituto del processo verso uno Stato di diritto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho seguito la genesi di questo provvedimento con grande attenzione. Esso nasce da una situazione di emergenza, una delle tante che si registrano nel nostro paese, la scarcerazione per decorso dei termini di presunti criminali incalliti. Si tratta di un allarme sociale forte, avvertito dalla comunità nazionale, per cui il provvedimento tenta di ricomporre gli equilibri che sono venuti meno dando una risposta allo stato di disagio in cui si trova l'opinione pubblica.
Non vorrei ripetere considerazioni già espresse dai colleghi che mi hanno preceduto nella discussione, ma occorre fare una valutazione con molta pacatezza. Non mi elevo a giudice né ritengo di avere la bacchetta magica, quindi gli strumenti risolutori per un settore così delicato ed importante per la vita nazionale, ma vorrei chiedere al Governo, oltre che a me stesso, se i provvedimenti cosiddetti di emergenza, soprattutto nel settore della giustizia, riescano a risolvere i problemi della giustizia, anche perché quello in discussione è stato, per così dire, venduto all'opinione pubblica come risolutore di una situazione insostenibile e non più accettabile.
Per alcuni versi il provvedimento in esame ha focalizzato, in fondo, un solo aspetto: è passato alla storia come il decreto-legge sui braccialetti elettronici! Così è stato, almeno in una certa opinione pubblica e nei mass media.


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Mi pongo il seguente interrogativo: il provvedimento che stiamo per votare riuscirà a risolvere i problemi della giustizia, oppure, nel tentativo di comporre (o di contrastare) una situazione di forte lacerazione, può determinare un vulnus rispetto ai principi costituzionali di garanzia nel nostro paese? Oppure (il che è peggio) il provvedimento in questione può forse dimostrare che alcune situazioni possono essere risolte, mentre resta irrisolto il grande problema della gestione della giustizia. Anche la rimodulazione dei termini di custodia cautelare non risolverebbe il problema di fondo: quello di una giustizia che deve essere rapida e deve essere amministrata in termini reali, non solo sull'onda delle dichiarazioni e delle buone intenzioni, assicurando una sentenza agli imputati e comminando le condanne. Mi riferisco ad un sistema in cui l'estensione dei termini di custodia cautelare non possa essere un dato di riferimento sostanziale rispetto all'obiettivo dell'amministrazione della giustizia e delle sentenze.
Si tratta di un problema antico, che non si risolve con il provvedimento che stiamo per votare, ma che, per ironia della sorte, può esserne complicato. Tale provvedimento, infatti, complica il percorso verso il raggiungimento degli obiettivi, altera i termini delle garanzie ed i principi costituzionali: la certezza del diritto diventa labile e con la separazione dei processi (anche nella fase iniziale) si entra nella relatività della gestione della giustizia. Un'ulteriore situazione di relatività nell'amministrazione della giustizia mi sembra un dato grave e pericoloso, che dobbiamo sottolineare.
Certamente, nessuno di noi nega gli aspetti positivi del provvedimento, né voglio negare la volontà in fondo positiva che lo accompagna. Come dicevo poc'anzi, nessuno di noi pretende di avere la bacchetta magica o la ricetta per risolvere i problemi di questo comparto fondamentale per la vita del paese. Tuttavia, il provvedimento non può essere contrabbandato come risolutorio: lo ripeto, perché ciò crea una situazione di confusione e dei ritorni che, a lungo andare, saranno negativi.
Avrei voluto mostrare un atteggiamento diverso rispetto al provvedimento che stiamo per votare. Tra l'altro, per quanto concerne la mia cultura e la mia sensibilità, sono contro i mezzi elettronici.

FABIO DI CAPUA. La palla di ferro al piede del condannato!

MARIO TASSONE. Sono contrario a strumenti che possano creare un vulnus alla persona e alla sua dignità. Sono contrario per principio e mi dispiace che colleghi della Commissione giustizia, che stimo profondamente, non abbiano posto in evidenza tale aspetto, che riguarda la persona umana e la sua dignità, ma che coinvolge anche il problema del controllo del territorio. Tale controllo, infatti, si deve effettuare in termini diversi, altrimenti dovremmo contrastare la criminalità con mezzi diversificati e disporre di una serie di strumenti elettronici per controllare le persone, non solo coloro che sono sottoposti alla custodia domiciliare. Ritengo che sia un dato sul quale occorre riflettere.
Sul mercato, tra l'altro, questi mezzi elettronici mancano: noi li abbiamo «venduti» all'opinione pubblica senza che questi mezzi siano sul mercato. Comunque, al di là di questo, ripeto che sono contrario per principio e mi appello ai colleghi che hanno la mia stessa sensibilità. E pensare che questo decreto è stato presentato all'opinione pubblica soltanto per tale aspetto! Ciò è incredibile e nessuno ha detto cose diverse o ha ridimensionato questo aspetto, almeno nel confronto che è stato ampiamente riportato dai mass media e che ha avuto grande eco.
Allora, signor Presidente, avrei voluto assumere un atteggiamento molto più duttile, ma non ritengo di poter votare a favore di questo provvedimento e neppure di potermi astenere. L'astensione, cari colleghi, è una posizione di equilibrio per alcuni versi, ma di squilibrio per altri: se si è contrari, si deve essere contrari fino


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in fondo e ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Le eccessive duttilità certamente non creano chiarezza e trasparenza.
Il CDU vota contro questo provvedimento, pur valutando lo sforzo dei colleghi della Commissione giustizia, del suo presidente e del relatore. Noi votiamo contro per le interpretazioni che sono state date e soprattutto per le risposte che questo provvedimento non dà (Applausi dei deputati del gruppo misto-CDU).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marino. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i problemi della giustizia vengono ancora una volta affrontati sotto l'incalzare di situazioni di particolare emergenza, seguendo una via che, almeno per la materia di cui trattasi, è certamente anomala e comunque inadeguata. Del resto, il Comitato per la legislazione, nel trasmettere il suo parere alla Commissione giustizia, si è così espressa: «rilevato che interventi normativi a carattere emergenziale nella materia processualpenalistica non appaiono strumenti idonei a garantire il pieno conseguimento degli obiettivi di potenziamento dell'efficacia e dell'efficienza dell'amministrazione della giustizia (...)», dopo di che esprime una serie di perplessità, anche se alla fine conclude con un parere favorevole. Ciò che ho or ora letto, però, è sintomatico di come l'uso costante del decreto-legge che è stato fatto dal Governo in tutti questi anni non può assolutamente essere condiviso.
Vedete, ci troviamo ora di fronte ad una nuova modifica del codice di procedura penale, che ha più o meno dieci anni. Eppure, in questi dieci anni il nuovo codice, che è stato salutato con entusiasmo un po' da tutte le parti, che introduceva il rito accusatorio in Italia, ha subito aggressioni, modifiche e manipolazioni veramente incredibili, tant'è che noi per frenare il dilagare di alcune decisioni che, appunto, sconvolgevano il tessuto stesso del codice, siamo stati costretti a costituzionalizzare alcuni principi.
Oggi siamo di fronte ad un nuovo decreto-legge, i cui requisiti di necessità ed urgenza a mio avviso vengono ravvisati dal Governo in maniera superficiale, includendo nelle norme del decreto alcune situazioni che nulla hanno a che vedere con la necessità e l'urgenza.
Noi abbiamo attentamente esaminato il provvedimento, in Commissione giustizia, attraverso uno studio però - mi si consenta - molto affrettato, perché bisognava agire celermente, a causa dei termini iugulatori della conversione - i famosi 60 giorni -, cosicché la Commissione si è dovuta riunire anche alle otto del mattino, con una partecipazione a volte consistente a volte no, ma comunque con una partecipazione sempre attenta dei vari commissari. La discussione è stata vivace, ma non ci sono stati scontri particolari, perché in questa Commissione mi sembra vi sia sempre un clima, pur nella contrapposizione delle varie posizioni - vi prego di consentirmi questo bisticcio di parole -, di massima compostezza nella dialettica parlamentare. Il merito di ciò deve essere riconosciuto non solo ai commissari, ma soprattutto al presidente della Commissione, che, con molta signorilità, riesce sempre ad evitare che esplodano conflitti e a riportare le eventuali contrapposizioni nell'ambito della dialettica tra le parti.
Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte ad una serie di norme che incidono profondamente sul sistema processuale penale e che concernono più aspetti del nostro codice di procedura penale: vi sono infatti norme che riguardano la separazione dei processi, altre che riguardano i termini di custodia cautelare, quelle relative alla sede dei processi qualora non vi siano aule adeguate e le norme concernenti il rito abbreviato, l'ergastolo e la proroga dell'articolo 41-bis.
Abbiamo registrato con favore alcune norme, mentre altre hanno suscitato in noi profonde perplessità. Ferma restando, da parte nostra, la condanna al ricorso allo strumento del decreto-legge, perché le


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modifiche devono essere apportate con legge in modo da consentire un'approfondita riflessione e un esame adeguato senza fretta, ma soprattutto senza essere spinti dall'emergenza ad approvare determinate norme. Vorrei sottolineare gli aspetti positivi che abbiamo rilevato in questo provvedimento.
In primo luogo, la proroga dell'articolo 41-bis. Come sapete, il gruppo di Alleanza nazionale ha presentato ormai da tempo una proposta di legge sulla questione - primo firmatario l'onorevole Gasparri -, nell'imminenza della scadenza al 31 dicembre 2000 dell'applicazione delle norme di cui all'articolo 41-bis di cui si chiede la proroga. Il Governo fino a qualche settimana fa ha dormito e si è risvegliato improvvisamente emanando un decreto-legge, in quanto si era reso conto che la scadenza era imminente.
Per quanto riguarda le modifiche all'articolo 656 del codice di procedura penale, concernente l'esecuzione delle sentenze, va detto che qualche passo in avanti è stato fatto. Abbiamo infatti notato, attraverso l'originaria stesura di queste norme, che vi erano difficoltà che determinavano complicazioni serie e che costituivano un «inceppamento» della regolare esecuzione delle pene. Le modifiche apportate con questo provvedimento rappresentano un correttivo di un certo valore: pertanto possiamo registrare un miglioramento su questo versante.
Per quanto riguarda invece il braccialetto, voglio chiarire che noi siamo favorevoli al suo utilizzo. Non sono così scandalizzato come lo è l'onorevole Tassone, anche se bisogna vedere come verrà applicata in concreto la normativa relativa. Siamo pertanto favorevoli all'uso del braccialetto, ma nutriamo perplessità relativamente alle norme che ne regolano l'utilizzo.
Passo ora ad esaminare gli aspetti del provvedimento che suscitano in noi maggiori preoccupazioni. In primo luogo, la questione della redazione delle sentenza. Mi sembra si sia fatto un pasticcio straordinario, perché il magistrato che si occupa di un processo con dieci o quindici imputati può stabilire quali motivazioni debbano essere redatte prima e quali dopo e ciò in relazione a particolari criteri. Non vorrei essere nei panni di quel magistrato che deve procedere alla redazione di una serie di sentenze a singhiozzo, prima quelle per gli imputati che stanno per essere scarcerati o condannati per i reati più gravi e poi per gli altri. Mi sembra con ciò che questo decreto-legge crei un vero e proprio pasticcio.
Per quanto riguarda la sede di celebrazione dei processi, qualcuno ha fatto riferimento all'istituto della legittima suspicione: sono due cose diverse e non devono essere confuse. In questo caso, infatti, si tratta di considerare che, qualora in una sede giudiziaria non vi sia un'aula adeguata, bisogna svolgere il processo nell'aula di un'altra sede giudiziaria. Le conseguenze di questa norma sono state evidenziate chiaramente da alcuni colleghi del gruppo di Alleanza nazionale sia in sede di discussione generale sia in sede di esame degli emendamenti.
Che dire, poi, dell'utilizzo dei termini di custodia cautelare? Cari colleghi, mi pare che vi sia qualcosa che non funzioni o comunque che rischi di creare complicazioni. Si dice infatti che i termini validi per il primo grado possano essere utilizzati nel secondo grado oppure che nel secondo grado si possa usufruire dei termini non utilizzati nel primo grado; insomma, mi pare proprio che questo sia un discorso estremamente complicato.
Si pone poi il problema del rito abbreviato e dell'ergastolo. Su questo problema Alleanza nazionale ha idee molto chiare. Voi sapete benissimo che noi siamo contrari all'abolizione dell'ergastolo. La nostra è una posizione assolutamente chiara. Non è possibile svicolare in un senso o nell'altro allorché si vuole veramente parlare di condanne che possono costituire un serio ostacolo al dilagare della criminalità. Si è detto che la pena dell'ergastolo spegne qualsiasi speranza per il condannato, e, lo seppellisce. Questa è una cosa sbagliata perché nel nostro sistema penale il terzo comma dell'articolo 176 del codice penale prevede: «Il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale


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quando abbia scontato almeno 26 anni di pena». Dunque non viene uccisa la speranza, perché chi è condannato all'ergastolo, se si comporta bene, se dà veramente segni di un effettivo ravvedimento, può godere della liberazione condizionale ed eventualmente di altri benefici.
Si tenga presente che oggi l'ergastolo è l'unico strumento che può servire a scoraggiare criminali incalliti a proseguire sulla strada del malaffare e delle costanti violazioni delle norme penali. Abbiamo ripetuto questi concetti perché riteniamo opportuno essere molto chiari in proposito.

PRESIDENTE. Onorevole Marino, ha esaurito il tempo a sua disposizione!

GIOVANNI MARINO. Concludo subito, signor Presidente.
Pur manifestando tali perplessità, Alleanza nazionale ritiene di non poter ostacolare l'entrata in vigore di alcune norme che hanno comunque un valore positivo. Pertanto, annuncio il voto di astensione di Alleanza nazionale, augurandomi che non si faccia più ricorso ai decreti-legge.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONITO. Presidente, se si dovesse valutare in sede di giudizio di legittimità la pregevole esposizione del collega Marino, dovremmo affermare che vi è una contraddittorietà della motivazione rispetto al dispositivo. Se poi la valutazione la facessimo in relazione al tipo di opposizione che correttamente Alleanza nazionale ha espresso in Commissione e in aula, questo difetto di contraddittorietà della motivazione diventerebbe vieppiù conclamato ed evidente.
Poiché però le posizioni politiche vanno valutate appieno nel loro momento conclusivo, cioè quando si preme un tasto per esprimere un «sì» o un «no», prendiamo atto con soddisfazione del voto che esprimerà Alleanza nazionale. Non possiamo comunque fare a meno in questa sede di evidenziare una palese contraddizione nelle posizioni dell'opposizione parlamentare.
Mi pare che Forza Italia dia una valutazione assolutamente diversa del provvedimento al nostro esame; peraltro anche all'interno di Alleanza nazionale abbiamo registrato posizioni estremamente diversificate, se è vero come è vero, che una serie di emendamenti di autorevoli colleghi di Alleanza nazionale non erano condivisi da altri colleghi, altrettanto autorevoli, del medesimo gruppo, fino al punto che è venuta meno anche quella collaborazione all'interno del gruppo per la quale un collega generalmente fa propri gli emendamenti presentati dai colleghi del suo gruppo, assenti in quel momento. Non è avvenuto nemmeno questo in sede di Commissione! Voglio ricordare tutto ciò non per alimentare una polemica che, in questo momento, non avrebbe alcuna ragion d'essere, attesa anche la grande considerazione che ho per tutti i miei colleghi di Commissione, sia di maggioranza sia d'opposizione; tuttavia, il discorso mi torna utile per sottolineare la difficoltà di affrontare certi problemi e le responsabilità che abbiamo come gruppo politico di maggioranza nel dare risposte concrete alle grandi questioni che si agitano nel paese.
L'abbiamo già detto, ma giova ricordarlo ancora: il Governo si è mosso - e la maggioranza ha apprezzato le sue decisioni - all'indomani di scarcerazioni che hanno suscitato nell'opinione pubblica grandissima preoccupazione e forti perplessità. Erano stati messi in libertà delinquenti matricolati, imputati di reati gravissimi e ciò era accaduto perché erano scaduti i termini di carcerazione preventiva. So bene che questo fa parte della fisiologia del sistema, ciò non di meno una classe politica che ha la responsabilità del Governo di un grande paese, come il nostro, non può certamente far finta di nulla. A fronte di un problema di questa


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rilevanza, che è così sentito nella società italiana, il Governo aveva il dovere di intervenire.
A questo proposito, ribadisco quanto è già stato detto e osservo che dal Governo sono venute proposte articolate, rispetto alle quali le opposizioni hanno assunto posizioni diversificate, tuttavia, spesso non abbiamo avuto il piacere di ricevere soluzioni alternative. Infatti, una forza di opposizione non può soltanto dire che una cosa non va bene, se il problema c'è e viene riconosciuto, ma avrebbe anche il dovere di sostenere tesi alternative, se le proposte della maggioranza e del Governo non appaiono pienamente soddisfacenti.
Sul piano di una valutazione politica generale, intendo dare una risposta cortese, come cortese è stato il rilievo, al collega Tassone che sosteneva - a mio avviso, ben a ragione - che questo provvedimento certamente non è risolutivo della grande questione giustiziale che si agita nel paese. Nessuno ha mai avuto questa pretesa e nessuno ha mai sostenuto una tesi contraria, cioè che questo decreto-legge sia lo strumento attraverso il quale risolviamo i problemi della giustizia italiana. Sarebbe troppo bello che ciò fosse anche solo astrattamente possibile, ma così non è. La questione è un'altra: a fronte di una crisi acutissima del nostro sistema giudiziario, da cinque anni stiamo cercando di dare un contributo di idee e normativo; ribadisco una tesi che ho sempre sostenuto: ritengo che in nessuna legislatura della storia repubblicana vi sia stato uno sforzo così massiccio per dare una risposta alla grande questione della giustizia nel nostro paese.
Ciò significa che, nel momento in cui in questi anni abbiamo approvato riforme rivoluzionarie di evidente natura strutturale, non avremmo potuto negare la necessità di interventi che taluno chiama di natura emergenziale e che io definisco di natura congiunturale. Era assolutamente ineludibile che, accanto allo sforzo strutturale, vi fosse di volta in volta un intervento episodico del Governo e del Parlamento per mettere a punto la macchina che stiamo costruendo. Voglio ripetere la figura retorica cui spesso ho fatto ricorso: stiamo agendo su una macchina che non si può fermare - la macchina della giustizia -, che deve correre e che noi vorremmo fosse sempre più veloce; su una macchina che cammina e che non si può fermare, cambiamo le ruote, il motore, avvitiamo i bulloni e stringiamo le viti. Questa è la grande difficoltà del nostro lavoro politico che dovrebbe avere, proprio per il coraggio che dimostra, un diverso apprezzamento. Vorrei dire al collega Tassone che non si tratta di interventi risolutivi, ma necessari e - lo ripeto - congiunturali ed ineludibili.
Relativamente ai diversi punti che abbiamo già trattato in Commissione ed in sede di discussione sulle linee generali, voglio rapidamente ricordare al collega Marino che affermare la contrarietà alla separazione dei processi, nella disciplina riformulata dall'intervento novellatore del Governo, ed alla rimodulazione dei termini di custodia cautelare mi sembra un discorso un po' astratto. Vorrei che ci confrontassimo, invece, sui casi concreti. Ad esempio, di fronte alle scarcerazioni gravi ed importanti che hanno destato tanto allarme, se fosse stato possibile rimodulare i termini di carcerazione preventiva per impedirle, facendo ricorso ai termini propri del giudizio di terzo grado, ossia prendendo in prestito o accaparrandosi (anche in via definitiva) i sei mesi (o parte di essi) che la legge in astratto prevede per tale grado di giudizio, tutto ciò sarebbe stato scandaloso? Non vi sarebbe stato un largo consenso popolare? Alleanza nazionale non sarebbe stata del tutto d'accordo su una soluzione di questo tipo, se riferita a quel caso concreto?
Quando diamo una valutazione giuridica e politica delle norme astratte, cerchiamo anche di configurarci le ipotesi concrete alle quali i principi astratti devono essere applicati.
Anche per quanto riguarda le norme sulla separazione dei processi, sulle quali, caro Marino, hai espresso le riserve del tuo gruppo, ti sembrerebbe così scandaloso e grave che nell'ambito di un maxiprocesso


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(tu li conosci bene perché vieni da una terra come la mia, dal Mezzogiorno, che sul piano della delinquenza organizzata, purtroppo, soffre quotidianamente la realtà storica) nel quale stiano per scadere i termini di carcerazione preventiva, perché il processo è stato complesso e ha imposto l'utilizzazione di molti mesi ed anni, si abbia la possibilità di tenere in carcere l'imputato di tre-quattro omicidi perché - concludo, Presidente - è possibile scrivere immediatamente la sentenza sulla detenzione di anni, che farebbe scattare i termini della seconda fase?
So che sul piano concreto tu saresti d'accordo, così come la forza politica alla quale appartieni. Valutiamo concretamente, allora, i risultati del nostro sforzo normativo e, se esso non fosse adeguato, proponete soluzioni alternative. Questo vi chiediamo pressantemente, giacché mi pare che nel merito saremmo tutti d'accordo, anche se poi, quando usciamo da questa sede e parliamo magari con i commercianti, come ha fatto il presidente Berlusconi, proponiamo soluzioni che collimano esattamente con quelle che noi proponiamo in quest'aula, ma che quella forza politica, naturalmente, in quest'aula nega alla radice.
Il tempo è terminato, avrei bisogno di dire qualche altra cosa. Mi consenta almeno, Presidente, di annunciare il voto convintamente favorevole del mio gruppo sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carotti. Ne ha facoltà.

PIETRO CAROTTI. Signor Presidente, vorrei partire da una considerazione sulla moralizzazione della scelta legislativa, che è stata messa in discussione nella quasi totalità degli interventi degli esponenti dell'opposizione.
Sostanzialmente, la posizione critica si articolava su due versanti: il primo è ricorrente, è una specie di stereotipo argomentativo retorico messo in campo ogni volta che vi è un decreto-legge da convertire, dimenticando che il fenomeno che dobbiamo disciplinare, su sollecitazione di esponenti autorevolissimi delle stesse opposizioni, viene definito emergenziale e che si segnala l'urgenza, l'ineludibilità e l'impossibilità di far scivolare nel tempo una risposta normativa. Incredibilmente, poi, sulla base di considerazioni astratte, di esercitazioni ginniche mentali, si mettono in discussione le condizioni che giustificano l'emanazione del decreto-legge, che ha proprio la funzione di intervenire in maniera immediata come terapia di contrasto di fenomeni sociali di criminalità di fronte ai quali, naturalmente, il Governo ed il Parlamento non possono essere sordi.
L'ulteriore argomentazione che ho ascoltato - per la verità, era l'unica condivisibile - nell'intervento dell'onorevole Tassone (lo dico con affetto e stima nei confronti del collega Tassone: peraltro, le restanti parti del suo discorso non le condividevo affatto, ma anche «l'orologio fermo» una volta al giorno dice la verità) era relativa all'impossibilità di considerare risolutivo il testo di legge che oggi ci avviamo a varare. Il discorso è talmente condivisibile che non meriterebbe argomentazione alcuna: nessuno, infatti, ha la pretesa di risolvere i problemi della giustizia con questo decreto-legge! Corrisponde però al vero che, nei principi generali, proprio l'evoluzione delle norme e la possibilità di dare un'interpretazione evolutiva alle norme - che ci veniva insegnata nelle università - sono il sintomo di un passaggio che è in continuo movimento. Non esisterà mai, quindi, un punto di arrivo determinato a proposito soprattutto della disciplina della giustizia penale.
Il decreto-legge era quindi reso non opportuno, ma indispensabile dal fenomeno che siamo chiamati a governare: quello di evitare scarcerazioni facili; quello soprattutto di fare in modo che vi sia una risposta tempestiva e un'utilizzazione e un controllo del territorio che in qualche modo investissero anche dei supporti


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tecnici. Infatti, non si può dichiarare ai giornali che, tutte le volte che si registra un reato di una certa gravità, questo viene sistematicamente commesso in alta percentuale da persone che sono agli arresti domiciliari e poi opporsi - sulla scorta di una pretesa perfezione formale - ad una disciplina che demanda al Governo e al Ministero l'utilizzabilità di strumenti che consentono di controllare sul territorio coloro i quali, pur avendo certamente tutti i diritti degli altri cittadini, sono in una fase di «compressione» della propria libertà, così come previsto dalla legge e su provvedimento del magistrato.
L'aver ridotto l'intera panoramica delle argomentazioni ad una specie di contraddizione formale, rispetto alla sostanza, è una scelta forse valida a produrre l'ennesimo «instant book». Poi, si vuole addirittura dare dignità di statuto, di fatto giuridico, al mancato ricorso all'emergenza quando il fenomeno è «emergente», per renderlo una specie di categoria analitica nella disamina di tutti i contenuti del provvedimento. Questo, a mio avviso, è un vizio formale che incide sulla sostanza.
Il problema era invece quello di confrontarci all'interno di quelli che sono i contenuti dell'articolato che il Governo, a mio avviso molto opportunamente, ci ha presentato.
Colgo l'occasione per aggiungere il mio ringraziamento agli altri rivolti al presidente Finocchiaro Fidelbo che ha disciplinato i lavori della Commissione con la sua consueta brillantezza e con il suo garbo, che ha consentito all'onorevole Marino di fare delle affermazioni condivise anche dalla maggioranza! Vorrei evidenziare il fatto che noi lavoriamo in un clima di serenità e di assoluta dialettica proprio perché in Commissione non vi è un confronto aspro e di pregiudiziale politica.
Allo stesso modo, vorrei ringraziare il relatore, onorevole Borrometi, che, con la sua preparazione ed il suo acume giuridico, è riuscito spesso a trovare dei punti di sintesi che hanno raccolto delle indicazioni che venivano anche dai colleghi delle opposizioni.
Quindi, il decreto-legge che andiamo a convertire si iscrive in una logica che non è emergenziale, ma che è una logica di risposta ad un fenomeno che è sì emergenziale e che naturalmente non può non tener conto «dell'essere coda» rispetto ad un processo riformatore che, iniziato nel 1996, ha avuto un lunghissimo percorso, che viene successivamente aggiustato anche in considerazione della dimensione dell'innovazione che abbiamo portato a tutto «l'ordigno processual-penalistico».
Riguardo allo scandalismo, alla presa di distanza, al «velo verginale» sul ricorso alla separazione dei processi, vorrei porre all'onorevole Marino i seguenti quesiti. Non era questo che si diceva prima del 1987, prima della legge delega? Non si chiedeva che i processi fossero molti, assolutamente ristretti e contenuti come numero degli imputati e come qualità e quantità delle imputazioni? Non si era previsto che la riunione, per un singolo imputato, slittasse alla fase esecutiva proprio in considerazione del fatto che un rito accusatorio, spurio ed ambiguo come quello che abbiamo introdotto, non era un «contenitore sufficiente» per poter arrivare alla celebrazione dei maxiprocessi?
Se noi abbiamo enfatizzato una separazione che era prevista (e quindi certamente compatibile anche con il tessuto costituzionale già nella previsione del 1987 che era contenuta nella delega e poi nel codice di procedura penale), credo che molto opportunamente il Governo abbia adottato un decreto-legge che incide sul fenomeno perché il maxiprocesso è foriero di attrazione in fase di allungamento del processo anche di posizioni che sono facilmente definibili.
Quindi, il problema viene risolto tecnicamente in maniera realmente brillante - secondo me - perché non c'è nessuna compressione dei diritti. Spesso ho sentito evocare l'articolo 3 della Costituzione, a mio avviso, a sproposito perché non si può ricorrere sempre a questa specie di ombrello che in qualche modo deve anche


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fare i conti con le necessità normative, fermo restando che occorre rispettare il principio di uguaglianza, che occorre che la libertà sia considerata, come è, un bene primario. Infatti, occorre che la giustizia sia resa in tempi compatibili e che il meccanismo che è previsto a tutela dell'intera popolazione venga attivato in maniera che dia un prodotto soddisfacente (uso un termini che non mi piace, ma è quello che rende meglio il mio pensiero).
Parimenti, per quanto riguarda la separazione e la redistribuzione dei termini all'interno delle fasi e dei gradi di giudizio, credo sia principio di fisica elementare, almeno di quella euclidea, che fa riferimento ai vasi comunicanti, la distribuzione del tempo necessario - perché naturalmente si tratta di una immoralità necessaria, come veniva definito nell'ottocento - e il ricorso alla custodia cautelare cercando di utilizzarla proprio in quei segmenti di processo penale all'interno dei quali serve. Quindi, aver sacrificato la parte relativa al giudizio di legittimità, aver addensato i termini nel primo grado in maniera preponderante rispetto al secondo grado di giudizio, mano a mano che si affievolisce il principio di presunzione di non colpevolezza, è cosa che secondo me non solo non contrasta con un principio di uguaglianza, ma che risponde alla logica aristotelica prima ancora che alla logica giuridica.
Quindi, sarebbe stato certamente censurabile - ma nessuno lo ha proposto né lo avrebbe condiviso - un provvedimento che avesse inciso sulla durata complessiva, perché questo ci avrebbe posto in contraddizione con delle scelte che ormai credo siano irrinunciabili da parte di tutti i gruppi politici che compongono la maggioranza e anche da parte dell'opposizione.
Quindi, la modulazione, cercando di soccorrere quei punti nei quali era indispensabile una rimodulazione della durata della custodia cautelare, è opera di razionalizzazione giuridica e non è un'opera di lacerazione dei principi di uguaglianza perché questo significa ricorrere allo stereotipo di tipo retorico e di tipo argomentativo sotto il profilo della comunicazione mediatica.
Poiché ascolto il campanello del Presidente, vi risparmio la mia opinione sul rito abbreviato. Non ne faccio un problema di interpretazione personale perché sarebbe veramente riduttivo. Il legislatore ha il diritto-dovere di interpretarsi tutte le volte in cui vi è una difforme decisione e opinione da parte di coloro che sono deputati ad applicare la legge; ciò detto, ringrazio coloro che mi hanno ascoltato e annuncio il voto favorevole del mio gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Se fossero rispettati i dieci minuti di tempo per le dichiarazioni di voto saremmo anche in grado di chiudere in tempi ragionevoli.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Capua. Ne ha facoltà.

FABIO DI CAPUA. Signor Presidente, intervengo brevemente; non essendo un addetto ai lavori non ho argomentazioni di ordine tecnico da portare in questa dichiarazione.
Per quello che ho potuto capire nella lettura e nella discussione del testo, dichiaro il voto favorevole su questo decreto-legge, ma il Governo consentirà qualche piccola riflessione sul problema giustizia nel suo complesso ed anche sulle ragioni che hanno portato a questo provvedimento.
Si è detto che non è un provvedimento emergenziale ma congiunturale. Non credo sia possibile fare una grande differenza. È comunque un provvedimento adottato per far fronte ad una situazione che si è venuta a creare nel paese, che ha indignato una parte di esso e ha costretto le forze politiche e il Governo ad assumere conseguenti iniziative.
Credo che questo non sia confutabile e purtroppo non è la prima volta che in sede di Governo si rincorrono gli eventi: è uno dei problemi sui quali dobbiamo brevemente riflettere per cercare di trovare una soluzione di lungo periodo.


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Ancora più grave è quando questi eventi si verificano, magari, per provvedimenti assunti dagli stessi soggetti: allora, la lettura non è più emergenziale o congiunturale, ma è schizofrenica. Spesso, infatti, si è costretti a rimangiarsi posizioni assunte e a rivedere provvedimenti definiti non molto tempo prima sulla scorta di umori, non dico di sondaggi ma di percezioni, dell'opinione pubblica non sempre vicina ai risultati attesi da chi ha adottato i provvedimenti.
È necessario, quindi, che su questi temi le forze politiche indichino quale sia la posizione di cui si assumono la responsabilità, perché non è possibile adottare provvedimenti e poi ridiscuterli e rivederli alla luce di fatti nuovi, anche gravi, che accadano nel paese. L'opinione pubblica non è più in grado di individuare e di leggere correttamente le posizioni specifiche delle singole forze politiche e dei diversi schieramenti. Mi chiedo perché si sia intervenuti sul piano emergenziale in questo settore e non, per esempio, per un allungamento dei tempi di prescrizione dei reati di corruzione politica: è un problema che è stato più volte denunciato. La grande maggioranza dei reati in questo ambito è stata ormai «ripulita» dalla prescrizione (abbiamo recenti ed illustri esempi), senza che nessuno si sia minimamente preoccupato di aprire un dibattito sull'opportunità di allungare determinati tempi che consentano di mantenere in piedi processi per reati che l'opinione pubblica considera gravissimi, forse molto più di quanto non li consideri questo ramo del Parlamento.
Passando ad un altro punto, quello delle scarcerazioni facili, credo che l'opinione pubblica faccia differenza tra la scarcerazione di una persona in attesa di giudizio e la scarcerazione, invece, di condannati in modo definitivo, che, per un'interpretazione molto personale e soggettiva di qualche magistrato, continuano a reiterare i propri reati a danno dei cittadini. È questo secondo caso, vi posso garantire, che indigna maggiormente l'opinione pubblica: al riguardo, poco ho sentito anche nel dibattito sul provvedimento d'esame.
Per quanto attiene a riti abbreviati, procedure, velocizzazione, è possibile che si possa pensare una giustizia rapida per alcuni e lenta o assente per molti? Il problema da affrontare con energia e decisione è quello di velocizzare le procedure per l'esercizio di questo strumento in maniera equa, corretta e universalmente applicata. Non è possibile ritenere che possa esservi una procedura abbreviata, magari affidata anche alla discrezionalità di qualcuno.
Da ultimo, si parla sempre più spesso di reati più o meno gravi, anche nell'ambito del dibattito sull'indulto e sull'amnistia. Mi chiedo se abbiate mai interpellato le vittime dei reati prima di dare un giudizio sulla loro gravità: è un problema che indigna veramente moltissimi, perché i reati contro la libertà di iniziativa, la libertà personale, il patrimonio personale sono considerati gravissimi dalle vittime! Nessuno ha il diritto, quindi, di considerare meno gravi reati che ledano o tocchino profondamente la libertà di ogni individuo. Vi era un provvedimento che probabilmente poteva riuscire a sollecitare una riflessione al riguardo, il cosiddetto pacchetto sicurezza, ormai sepolto chissà dove e in quale aula di questo edificio, che non è stato più affrontato e non è stato più oggetto di attenzione.
Per concludere, signor Presidente, rinnovando la dichiarazione di voto favorevole sul provvedimento in esame, rinnovo un appello per una giustizia certa, rapida, ben bilanciata tra rigore e garanzie ma, mi si permetta, soprattutto sottratta alla dialettica elettorale e politica opportunistica!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.

MARCO TARADASH. Signor Presidente, in primo luogo, penso che con un decreto-legge non si dovrebbe intervenire in materia di libertà personali e, quindi,


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già da questo punto di vista il provvedimento in discussione mi pare negativo.
In secondo luogo, il collega Bonito ha detto che non si tratta di emergenza, ma di un provvedimento congiunturale. Ricordo che, quando ero ragazzo e l'economia italiana non andava, si era sempre dentro la «congiuntura». Allo stesso modo, in Italia si è sempre dentro l'emergenza, che, grazie alla capacità lessicale della sinistra, si può sempre ribattezzare come «congiuntura», ma le cose non cambiano, se è vero ciò che dice il collega Bonito: si tratta di stringere le viti e di dare qualche colpo di martello ad una macchina che deve pur andare avanti e chiunque si troverebbe in questa condizione. Non è così: le soluzioni debbono essere pensate, perché non si può passare da un provvedimento di congiuntura, o di emergenza, all'altro senza preoccuparsi di adottare, invece, provvedimenti che possano evitare queste situazioni.
Il collega Bonito ha detto che con questo provvedimento si fa fronte alla congiuntura di criminali patentati che sarebbero stati scarcerati a seguito della decorrenza dei termini. Non so se siano tutti criminali patentati; ne sono stati scarcerati 74 e molti di essi erano criminali matricolati - forse non ancora patentati -, ma forse qualcuno era innocente. Questo «forse» dovremmo conservarlo non soltanto nel nostro cuore, ma anche nelle regole dello Stato di diritto, secondo le quali esiste la presunzione di non colpevolezza. Invece, per gli imputati di certi reati noi tendiamo a stabilire una presunzione di colpevolezza.
Naturalmente non è così neppure negli indici statistici della Cassazione, perché, se andiamo a vedere il numero delle assoluzioni, anche nei maxiprocessi, possiamo scoprire che alcuni dei presunti criminali matricolati in realtà erano innocenti rispetto a reati che erano stati loro attribuiti e per i quali avevano goduto del beneficio, non richiesto né auspicato da nessuno, della scarcerazione preventiva per decorrenza dei termini.
Ma fra loro vi sono degli innocenti e, quindi, un paese in cui vigono le regole dello Stato di diritto dovrebbe preoccuparsi del fatto che per tutti gli imputati, innocenti o colpevoli che siano, vi siano regole certe e che occorre pensarci qualche volta prima di tenere un innocente in galera, senza sentenza, per poter tenere in galera il colpevole. Invece, noi andiamo in un'altra direzione, quella appunto del doppio binario per cui per determinati reati vale comunque la presunzione di colpevolezza, perché l'allarme sociale e la giusta esigenza delle vittime dei reati di vedere i colpevoli in condizioni di non nuocere devono venire prima delle esigenze dello Stato di diritto, che impone di verificare se una persona sia colpevole o meno, partendo dal presupposto che l'accusa deve essere dimostrata in giudizio. Questo principio non vale più secondo i criteri che sono stati esposti da chi ha sostenuto il provvedimento.
Per quanto riguarda le soluzioni, ora vi sono i maxiprocessi con la separazione dei processi al loro interno. Personalmente ritengo che il maxiprocesso sia un errore, qualcosa che ha reso molto più disarmata la capacità di repressione del crimine e di accertamento della verità giudiziaria. Credo che dovremmo abolire i reati di concorso ed anche quelli di concorso esterno, che non sono neppure previsti nei codici, ma sono stati introdotti nella giurisprudenza, colpendo invece i reati specifici. Questa è una strada che già nel 1989 aveva indicato il dottor Falcone, ritenendo che la strada dei maxiprocessi non potesse portare quei benefici che pure in una certa fase aveva portato.
Oggi, a distanza di tanti anni, ci troviamo ancora a combattere con le stesse difficoltà. Ecco che si inserisce la novità rappresentata da questo decreto, modifichiamo le regole di valutazione dei tempi della custodia cautelare e anticipiamola alle fasi in cui è più necessaria. Significa che daremo un maggiore spazio «mentale» alle magistrature, anche si vi saranno ritardi maggiori, ma alle fine verrà esaurito il tempo della custodia cautelare all'interno delle fasi di primo e


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di secondo grado e non ne resterà più per la Cassazione. Di conseguenza avremo le scarcerazioni facili ritardate. A quel punto o si allungheranno i tempi della carcerazione cautelare o si passerà ad altro provvedimento congiunturale, vale a dire all'esecutività della sentenza dopo il secondo grado di giudizio. Questo è nella logica del provvedimento in esame. Di fronte alla realtà degli imputati condannati perfino in secondo grado che dovrebbero essere scarcerati in vista della sentenza di legittimità, nessuno potrà osare dire di no e quindi si avrà una nuova congiuntura. Si arriverà a questo non perché si è fatto un percorso giuridico che porta l'introduzione di questi principi nel nostro ordinamento ma per motivi di emergenza; non sarà una scelta ma una costrizione.
Le soluzioni ci sarebbero, ma bisognerebbe pensarci. Per esempio, la separazione delle carriere, che comporterebbe automaticamente l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale, darebbe la possibilità di ridurre il numero dei procedimenti in questo paese e di colpire i crimini che si ritengono più allarmanti e nocivi (anche perché crimini allarmanti e nocivi non sempre sono sinonimi, ma in questo caso specifico certamente sì) per la comunità nazionale. Questa è una strada che non si vuole percorrere. Si potrebbe anche aumentare il numero dei magistrati. Da non so quanto tempo si parla di concorsi, della necessità di altri mille, diecimila o centomila magistrati, ma fatto sta che la corporazione dei magistrati non vuole altri magistrati perché non vuole che vengano estesi benefici che alla lunga non potrebbero comprendere tutti e di conseguenza restiamo con il numero di magistrati che abbiamo.
Quanto poi all'informatizzazione del sistema della giustizia italiana, siamo lontanissimi da qualunque criterio di informatizzazione, così come siamo lontani da processi di privatizzazione di alcuni segmenti dell'ordinamento giudiziario (non lo si può fare in nome del mito dello Stato che deve gestire direttamente tutto ciò che riguarda determinati settori).
Infine c'è l'ergastolo. Io sono a favore dell'abolizione di tale pena, ma so che nel nostro paese l'ergastolo non c'è, perché anche per i condannati a questa pena vi è la possibilità di uscire dopo un congruo numero di anni. Quindi non è in discussione l'ideologia, la pena di morte, la pena di vita, eccetera; oggi è in discussione un provvedimento che avrebbe consentito di sanzionare definitivamente entro tempi certi imputati riconosciuti colpevoli di reati gravissimi ma, grazie all'allarme sulla scarcerazione facile, si è preferito rischiare di non arrivare alla carcerazione definitiva, anche se non all'ergastolo ma a trent'anni, perché in nome dell'allarme sociale si reintroducono i riti non abbreviati che comportano il rischio delle scarcerazioni facili, le situazioni congiunturali e tutti i provvedimenti di cui si parla.
Mi pare un ennesimo grande pasticcio di fronte al quale l'opposizione decide di astenersi secondo un criterio ormai abbastanza diffuso per cui, di fronte a certi problemi, è meglio l'unità nazionale. L'astensione significa che nelle vostre condizioni avremmo fatto la stessa cosa: non siamo in grado di guardare oltre, non siamo in grado di pensare a quali cambiamenti strutturali si possano fare per far sì che il sistema di giustizia italiano sia equiparabile a quello francese, inglese, tedesco o americano, tutti ordinamenti diversi questi ma tutti più o meno efficaci ed efficienti, a differenza del nostro.
Noi invece stiamo sempre ad alzare la bandiera delle nostre specificità, dell'indipendenza della magistratura nel nostro paese, dell'obbligatorietà dell'azione penale e così via. Così facendo, qualcuno dice al mondo che abbiamo sconfitto la mafia, qualcun altro dice che non è vero; qualcuno dice che Provenzano deve essere ancora catturato, ma qualcun altro dice il contrario: insomma, non si capisce più niente.

PRESIDENTE. Onorevole Taradash, deve concludere.

MARCO TARADASH. Sto per concludere, signor Presidente. Come dicevo, non


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si capisce più niente, ma questa è la grandezza e la straordinarietà dell'alterità del nostro paese rispetto agli altri. L'opposizione, dunque, si astiene, mentre la maggioranza va avanti con le sue congetture. Pochi (tra questi anch'io) esprimeranno un voto contrario.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Saraceni. Ne ha facoltà.

LUIGI SARACENI. Signor Presidente, cercherò brevemente di motivare il mio voto di approvazione critica del provvedimento. Innanzitutto vorrei dire che, dal mio punto di vista, con il lavoro svolto in Commissione sono stati apportati miglioramenti. Debbo per forza riferirmi, innanzitutto, all'articolo 10, con il quale (grazie alle modifiche approvate in Commissione) abbiamo evitato di ripristinare il carcere per ceto, come sarebbe stato inevitabile se fosse stato approvato il testo originario del decreto-legge.
Poi, abbiamo recuperato l'accordo delle parti sulla questione delle ipotesi atipiche di separazione ed altri miglioramenti sui quali non sto ad insistere, ma per i quali mi richiamo all'intervento del collega Pisapia.
Restano, tuttavia, alcune perplessità; in particolare, mi costa sollevare una perplessità in ordine all'articolo 16: perché mai ripristinare automaticamente la custodia cautelare anche in caso di violazione minima degli arresti domiciliari? Si sa come vanno le cose: a volte, il condannato agli arresti domiciliari (cito dai casi presi dalla vita) scende in cortile per aiutare la moglie a portare la borsa della spesa; si trova, magari, a passare il poliziotto, il quale gli contesta la violazione della misura cautelare. Dunque, ripristinare la custodia cautelare in tal modo è iniquo, per le ragioni esposte.
Voglio sorvolare sugli altri motivi di perplessità; vorrei soltanto dire (ma ritengo che il relatore interverrà al riguardo) che l'interpretazione dell'articolo 2-bis deve essere nel senso che lo sfondamento si abbia soltanto rispetto ai tetti dei termini di fase della custodia cautelare e non rispetto al tetto complessivo. Ma, come ho detto, più autorevolmente di me interverrà il relatore.
Veniamo al punto più dolente: mi riferisco alla questione dell'ergastolo. In via di principio sono contrario all'ergastolo. Non credo di avere un'opinione peregrina, ma di essere in ottima compagnia, addirittura confortato da un testo approvato da uno dei due rami del Parlamento e da un progetto di codice che sta procedendo. Pertanto, il ripristino di un'ipotesi di ergastolo che era stata eliminata per via di giudizio abbreviato mi dovrebbe trovare nettamente contrario. Inoltre, credo che abbia ragione (bisogna essere leali) chi si è chiesto come si sarebbe risposto a coloro che, avendo approvato la legge Carotti (che ripristinava il giudizio abbreviato anche in caso di ergastolo) avrebbero chiesto se tale misura si fosse dovuta estendere anche alle ipotesi di ergastolo plurimo ai sensi del comma 1 dell'articolo 72 o a ergastolo cumulato con pena superiore a 5 anni (ipotesi prevista dal comma 2 dello stesso articolo). L'onorevole Copercini mi fa segno di non essere tra coloro. Ebbene, a tale domanda avremmo tutti risposto che effettivamente volevamo la conversione dell'ergastolo anche in tale ipotesi: su questo non c'è dubbio.
Detto questo, occorre valutare la norma ripristinatoria in termini reali. Intanto, cominciamo con il dire che non è vero che è stata sempre eliminata la possibilità di convertire l'ergastolo in pena detentiva a 30 anni con lo strumento del giudizio abbreviato: infatti, nel caso di ergastolo singolo, tale possibilità rimane. Anzi, la possibilità di procedere con il giudizio abbreviato rimane sempre, anche nel caso di contestazione di imputazioni di ergastolo plurimo o di ergastolo cumulato con pena superiore a 5 anni.
La norma più iniqua prevista nel vecchio sistema era la seguente: l'esclusione del giudizio abbreviato si faceva sulla base dell'imputazione, non sulla base della condanna ritenuta in sentenza. Ciò creava grande iniquità; ebbene, la soluzione che


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stiamo per approvare non riproduce tale iniquità; forse, ne riproduce un'altra. Probabilmente però un intervento, per la via dell'interpretazione autentica o per quella della modifica, era necessario, altrimenti forse sarebbe scoppiato un altro caso, quello di una ingiustificata disparità di trattamento a seconda che la situazione di cumulo di reati da ergastolo - o di cumulo di reati da ergastolo più la reclusione superiore a cinque anni - si fosse verificata in un procedimento unitario o in procedimenti separati. Avremmo avuto questa situazione assolutamente ingiustificata: se la pena dell'ergastolo per imputazioni plurime da ergastolo - o imputazioni plurime da ergastolo più custodia cautelare - fosse stata irrogata in un solo processo, con il giudizio abbreviato avremmo avuto automaticamente la conversione in trent'anni e tale sarebbe rimasta la pena anche in sede esecutiva; se invece questa stessa situazione si fosse presentata in giudizi separati, avremmo avuto la conversione in trent'anni più, magari, una pena di ventiquattro anni che in sede esecutiva tornava ad essere ergastolo.
Francamente, nessuno di noi aveva ipotizzato una situazione di questo tipo, quando abbiamo ripristinato quel testo, mentre avremmo avuto il dovere di farlo: ora lo fa il Governo e conseguentemente noi che convertiamo il decreto. Forse si sarebbe potuto trovare una soluzione diversa, ma non c'è dubbio che la norma in questione ha quel pregio, bisogna riconoscerlo. Anche nei casi di imputazioni plurime, un'accorta difesa dell'imputato può tuttavia continuare a scegliere il processo abbreviato, se ha la ragionevole aspettativa di vederlo assolto da uno dei reati da ergastolo, perché a quel punto la riduzione di un terzo della pena gli spetta ugualmente. Si tratta, quindi, di una situazione che desta qualche perplessità perché in via di principio ripristina un'ipotesi di ergastolo che sembrava esclusa, ma sul piano concreto probabilmente non porterà gravi iniquità, ed è questa la ragione per cui, vincendo certe mie perplessità, esprimerò un voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lucchese. Ne ha facoltà.

FRANCESCO PAOLO LUCCHESE. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, noi siamo chiamati a convertire in legge del decreto-legge n. 341 del 2000 che reca disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia. Non c'è dubbio che noi siamo a favore dell'efficienza e dell'efficacia dell'amministrazione della giustizia, ma soprattutto vogliamo certezza della giustizia, una certezza che non è scarcerazione dei colpevoli e neanche carcerazione degli innocenti.
L'opinione pubblica vuole capire cosa significhi questa certezza, perché non vuol vedere il delinquente messo in libertà il giorno successivo alla condanna né vuole assistere ad errori giudiziari. Per fare questo, però, bisogna approfondire molto il problema: noi stiamo trattando il cosiddetto pacchetto giustizia, il cui iter però si è interrotto, mentre il Governo interviene con questi provvedimenti che sono chiamati, alternativamente, di emergenza o di congiuntura. Praticamente, cambiando l'ordine dei fattori il prodotto rimane lo stesso: siamo sempre nella stessa situazione di urgenza che impone un decreto e l'urgenza, naturalmente, non ci consente di approfondire e di dare una certa motivazione alle nostre posizioni. Noi, quindi, non possiamo condividere alcuni aspetti di questo decreto-legge, che pure era giusto intervenisse in questo momento particolare. L'impossibilità, quindi, di approfondire certi argomenti non ci consente di esprimerci a favore della conversione, pur condividendo la necessità che il Parlamento si occupi del problema giustizia e dia certezza ai cittadini.
Pertanto, per le motivazioni esposte, ci asterremo nella votazione del provvedimento.


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Marotta. Ne ha facoltà.

RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non avrei preso la parola se non avessi avvertito la necessità di rispondere alle accuse di contraddizione, nelle quali sarebbe caduto il centrodestra. Io personalmente, Alleanza nazionale ufficialmente siamo favorevoli al mantenimento dell'ergastolo. La contraddizione non riguarda noi, ma il centrosinistra. Quest'ultimo, infatti, ha voluto la legge Carotti, che aboliva il giudizio abbreviato; è il centrosinistra che si riconosce nel progetto di riforma del codice penale del professor Grosso e quest'ultimo prevede, appunto, l'abolizione dell'ergastolo. Cosa resterebbe, dunque, se il progetto fosse già in vigore? Proprio nulla. La contraddizione, quindi, è tutta vostra, siete voi che vi dovete difendere. Quando il collega Di Capua parlava del «pacchetto sicurezza», non so a quale norma si riferisse, ma l'intero pacchetto è acqua fresca e contiene solo una norma odiosa: quella che consentirebbe l'arresto dopo appena due sentenze. Tutto ciò in maniera schizofrenica perché la cosiddetta legge Simeone-Saraceni non consente di arrestare nemmeno chi è stato condannato in via definitiva: bisogna sospendere l'esecuzione, dare la possibilità di ricorrere al tribunale di sorveglianza e di avere misure alternative di cui alla legge.
La schizofrenia e le contraddizioni non sono nostre, ma vostre. Ho preso la parola proprio per difendere la mia parte da questa accusa. Personalmente mi asterrò perché per il 60, 70 per cento condivido il provvedimento. Siete voi che, a parti invertite, forse, non potete condividerlo, specialmente l'onorevole Carotti che contraddice se stesso. Si tratta dell'ennesimo intervento legislativo sul processo penale, determinato dalla perenne necessità di velocizzare la celebrazione dei processi: volete capire oppure no che non è questione normativa, ma di mancanza di strutture reali e di personale? Potete fare tutte le leggi che volete, ma tutto sarà inutile se i magistrati non sono in grado di operare, per tante e tante ragioni, compresa questa farragine, questa sovrapposizione continua. Non sappiamo nulla della legge Carotti, non conosciamo gli aggiornamenti del codice: questa è la verità! Stiamo rendendo ingestibile il processo penale, ma occorre stare attenti perché è ora di finirla: non è possibile cambiare le norme dopo uno, due, tre o quattro mesi.
Ripeto, condivido il provvedimento per il 60 per cento perché, effettivamente, rende ancora possibile l'applicazione dell'ergastolo anche con il ricorso a giudizio abbreviato in alcuni gravissimi casi. Questa è la verità e coincide anche con quanto affermato dall'onorevole Marini.
Il punto critico del provvedimento è la separazione nella fase dell'emissione della sentenza. Per l'amor di Dio, noi aggraveremmo la situazione - come giustamente diceva l'onorevole Saraceni, con la sua nota ironia - perché nessun giudice si servirà della separazione. Ma allora, per quale motivo dobbiamo fare una norma che non serve a niente, anzi complica le cose? Immaginate un processo con venti imputati, detenuti o non detenuti, per il quale si procede ad una separazione in venti processi: quante difficoltà per la cancelleria, in sede di impugnazione, contrarietà tra i giudicati e quant'altro. Quando la sentenza è unica, molte volte vi è un vizio di contraddizione: immaginate cosa accadrà domani quando lo stesso giudice dovrà stendere venti motivazioni. Noi consentiamo la separazione nel periodo precedente alla sentenza: mi chiedo allora come sia possibile portare avanti un procedimento fino alla sentenza per poi separarlo, solo perché si deve motivare prima la sentenza di condanna di un detenuto. La questione è che dobbiamo dare il tempo necessario ai magistrati. Noi rendiamo ingestibile anche la successiva fase dell'impugnazione. Mi auguro pertanto che il Senato provveda a modificare questo provvedimento.
È stato modificato il principio generale di cui all'articolo 523 del codice di procedura penale che è successivo all'articolo


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491, il quale disciplina le questioni preliminari relative all'unione o alla separazione dei processi. Questo è assurdo! Tale eccezione avrebbe potuto essere giustificata in base alla natura del procedimento, ma non vi era alcun bisogno di modificare l'articolo 523 che detta principi generali ed è successivo all'articolo 491 concernenti le questioni preliminari relative alla separazione o alla riunione dei procedimenti. In questo modo stiamo complicando le cose.
Il problema, contrariamente a quello che si ritiene, non è di carattere normativo, ma è legato alla mancanza di strutture reali e personali: mi riferisco alla carenza di magistrati e di personale ausiliario. Se non risolviamo questo problema indicendo concorsi o velocizzando quelli in corso, non è possibile risolvere i problemi della giustizia, perché vi sono ancora alcuni posti in organico scoperti.
La nostra proposta alternativa è proprio quella di munire gli uffici giudiziari delle necessarie strutture e del relativo personale. I processi sul lavoro, ad esempio, si svolgono per anni, ma la questione non è dovuta alla carenza di norme, perché nel 1973 è stata approvata una legge sul processo del lavoro. Così facendo stiamo rendendo ingestibile il processo penale e lo sa molto bene chi è a contatto con magistrati e avvocati, che non sanno quali siano le norme da applicare, perché vengono modificate da un giorno all'altro e durano lo spazio di un mattino.
Il decreto-legge al nostro esame è motivato dal fatto che è imminente la scadenza dei termini di custodia cautelare e, come diceva l'onorevole Taradash, dovremmo decidere se prorogare tali termini o se arrestare le persone dopo la prima sentenza.
Annuncio che mi asterrò dal voto sul disegno di legge di conversione di questo decreto-legge, perché ritengo necessario mantenere, almeno nei casi più gravi, anche con il ricorso al rito abbreviato, la pena dell'ergastolo. Siete voi che dovete mettervi d'accordo con voi stessi, perché non volete l'ergastolo. Allora a cosa serve questo provvedimento? Non possiamo approvare leggi che durino lo spazio di un mattino. I codici che hanno governato la nostra vita hanno avuto una vita di 60-70 anni, ma noi non sappiamo fare una legge che duri più di 6 mesi. È per questo che i processi non si fanno: li stiamo complicando oltre misura. L'onorevole Saraceni, con la sua nota abilità si è salvato, ma ha detto che dovrebbe essere egli stesso contrario all'ergastolo. Non è una questione di retroattività della legge, perché la legge sarebbe retroattiva...

PRESIDENTE. Onorevole Marotta, ha esaurito il tempo a sua disposizione.

RAFFAELE MAROTTA. Stavo dicendo che il problema vero è un altro. Ci dobbiamo mettere d'accordo con noi stessi, dobbiamo rendere gestibile il processo. Caro Carotti, sei proprio tu il responsabile. La norma l'hai proposta tu (Commenti del deputato Carotti)!

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Marotta.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Simeone. Ne ha facoltà. Avverto i colleghi che, subito dopo l'intervento del collega Simeone, si passerà al voto.

ALBERTO SIMEONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in verità rimango estremamente perplesso - e ricorro ad un eufemismo - nel sentire le dichiarazioni dei colleghi appartenenti alla maggioranza sulla validità del cosiddetto decreto antiscarcerazione.
Rimango perplesso perché voci raccolte in sedi diverse dall'aula riportano considerazioni, osservazioni e chiose completamente diverse, addirittura nettamente contrastanti con quelle che ho ascoltato fino a pochi minuti fa. Questo certamente non è onesto da un punto di vista politico e intellettuale perché in questa sede contano solo ed esclusivamente i numeri a detrimento e ad offesa di un lavoro parlamentare che dovrebbe essere assolutamente serio e che tale non è.


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Aggiungo che è assolutamente vergognoso sostenere come valide certe modificazioni dell'impianto processualistico italiano, farle passare per norme di assoluta caratura, atte e valide a contrastare la criminalità, quando poi si sa bene che in altre sedi si è detto il contrario e sono state fatte altre considerazioni con dovizia di particolari assolutamente pregnanti da un punto di vista giuridico.
Eppure in quest'aula dovrebbe avvenire la sublimazione di quelle idee che dovrebbero essere a difesa delle garanzie del cittadino. Ma noi qui stravolgiamo tutto in base a considerazioni che partono solo ed esclusivamente dagli umori che provengono dalla piazza o dagli umori che sono sintetizzabili e sostanziabili in quello che è il sondaggio che vuole il parlamentare o il politico in senso generale, legato a quello o a quell'altro provvedimento che viene invocato come misura che rimuove tutti i guasti prodotti nel paese.
Questo non dovrebbe accadere in un paese autenticamente democratico, in un paese che ha un Parlamento dove oggettivamente le regole della democrazia possono e debbono trovare la loro autentica dignità e quindi la loro autentica sublimazione.
Devo annunciare il mio voto assolutamente contrario alla conversione in legge del decreto-legge in esame, anzitutto perché - debbo ribadirlo - vi è stata una espropriazione da parte del potere esecutivo nei confronti del potere legislativo. I decreti-legge non dovrebbero mai trovare attuazione in una democrazia parlamentare! Il potere legislativo è stato espropriato ed in parte è rientrato attraverso una potestà emendativa che, tuttavia, non è riuscita assolutamente ad intaccare le linee fondamentali del decreto-legge. Si tratta di un provvedimento assolutamente offensivo nei confronti della giustizia.
Il potere legislativo è legittimato alla produzione di leggi nel paese ed il potere esecutivo non si può ad esso sostituire. Al riguardo, devo tornare con il pensiero a quanto di verificò nel 1994...

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, ascoltate l'onorevole Simeone!

PIERLUIGI COPERCINI. Non ci interessa!

ALBERTO SIMEONE. ...con il famoso o famigerato, a seconda dei punti di vista, decreto Biondi, il cosiddetto decreto «salvaladri». Eppure, quel provvedimento era assolutamente contenuto rispetto alla legge che poi fu votata soltanto un anno dopo; nel frattempo, gli scenari politici erano cambiati, tant'è che sotto un nuovo Governo quel decreto Biondi ampiamente rimaneggiato, per alcuni versi, ed allargato a dismisura, per altri, trovava perfetto accoglimento. Ciò perché in Parlamento erano cambiati i numeri; vi era una maggioranza diversa ed ampia che poteva stravolgere la portata di un provvedimento di grande civiltà giuridica, ma che interveniva in un periodo in cui non vi era tranquillità nel paese, anzi essa veniva letteralmente, direi, geneticamente manipolata da una sinistra che riusciva a catalizzare gli umori della piazza. Il Governo fu costretto a ritirare quel decreto per evitare che la piazza erigesse patiboli - non solo in maniera metaforica - per il ministro della giustizia e per il Governo di allora, del 1994.
Quando si ripetono situazioni del genere, quando si ricorre al decreto-legge in una materia come quella della giustizia, viene inferto un colpo mortale non solo alla giustizia, ma alla democrazia del paese. Ecco perché dobbiamo invocare una via completamente nuova se vogliamo rendere la nazione veramente moderna e democratica e se vogliamo che la dialettica su temi di grandissima portata come quelli della giustizia possa trovare la sua compiuta espressione nelle aule parlamentari.
Onorevole Presidente, si era parlato tanto della grandezza del nuovo codice di procedura penale, che risale soltanto al 1989; si era celebrato il principio della separazione dei processi che avrebbe permesso di combattere seriamente e decisamente la malavita organizzata. Effettivamente, con la separazione si sarebbero


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avute possibilità notevoli di celebrare molti processi e di colpire in maniera seria la malavita organizzata. Ebbene, questo principio sacrosanto veniva ad essere accantonato ed il codice, che era nato come codice delle separazioni, diveniva il codice delle riunificazioni. Ed ancora: si tratta di un decreto-legge che incide in maniera profonda su una norma entrata in vigore soltanto qualche mese fa con l'escamotage dell'interpretazione autentica dell'articolo 442. Questi escamotage non sono assolutamente degni né di una maggioranza seria né di un Governo serio né di un paese civile e democratico.
Sono molti i punti di questo decreto-legge che non mi trovano d'accordo; valutiamo anche i risultati seguiti all'approvazione di emendamenti volti a modificare un'altra legge posta sotto accusa, quella denominata Simeone-Saraceni. Anche in questo caso, sono state apportate modifiche sostanziali, ma si è dimenticato quale fosse il «verbo» del Governo in materia; si doveva intervenire in maniera assai limitata, si è intervenuti in maniera massiccia. Ebbene, tale intervento è un altro insulto alla giustizia, onorevole Presidente. Non possiamo procedere in questo modo. Oltretutto, si allungano i tempi.

PRESIDENTE. Onorevole Simeone...

ALBERTO SIMEONE. Presidente, mi avvio alla conclusione, mi conceda soltanto un minuto.

PRESIDENTE. Onorevole Simeone, il tempo a sua disposizione è già esaurito.

ALBERTO SIMEONE. Ma la separazione dei processi riferentisi all'articolo 416-bis o articolo 74 della legge del 1990 sulla droga comporterà un frazionamento non in assonanza e non in maniera organica con i principi ispiratori del codice del 1989. Ciò che conta, però, non è la produzione di leggi buone, non sono queste ultime a comandare: sono le leggi dei numeri a a comandare e che suonano offesa ad una produzione legislativa veramente degna di tal nome (Applausi di deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Avverto i colleghi che è presente in tribuna una delegazione somala, guidata dal primo ministro Ali Khalif Galaydh e dal ministro degli esteri Ismail Hurrè del Governo transitorio somalo (Generali applausi, cui si associano i membri del Governo).

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