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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
MARCO PEZZONI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame è di una straordinaria importanza perché con esso, finalmente, si dà respiro e si realizza una importante riforma che attiene ad una dimensione strategica della politica estera, quella delle politiche di cooperazione con i paesi in via di sviluppo e dell'aiuto pubblico allo sviluppo dei paesi del sud del mondo.
credo dovremmo rivolgerci tutti è quello di portare rapidamente a conclusione una riforma così significativa.
una nuova architettura istituzionale che renda protagonista l'intera società italiana (il volontariato, l'associazionismo, le autonomie locali), nel grande sforzo di costruire un nuovo rapporto di solidarietà tra il nord ed il sud.
del principio dello slegamento, ci hanno detto che ancora una volta l'Italia realizza un grande principio innovatore a livello internazionale, ma che rischia di essere la «prima della classe», se non l'unica. Per fortuna non è così, perché l'Unione europea si sta muovendo nella stessa direzione, ma noi abbiamo certamente detto e scritto in questa legge che allora occorrerà che il Governo italiano si impegni perché il principio dello slegamento sia un principio che sempre più si affermi nel contesto internazionale anche da parte degli altri paesi del nord del mondo.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
RINO SERRI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Calzavara. Ne ha facoltà.
FABIO CALZAVARA. Signor Presidente, stiamo accingendoci ad esaminare quello che io credo sia il provvedimento più importante della legislatura per quanto riguarda la Commissione affari esteri. È un provvedimento infatti che si attende da tempo, che purtroppo - lo debbo dire - ha avuto ultimamente un'accelerazione improvvisa alla Camera, dopo essere stato in discussione al Senato per più di un anno e mezzo, e per il quale abbiamo dovuto fare delle notturne nello stesso periodo della finanziaria per - diciamo - un sospetto desiderio di concludere per la fine dell'anno. È un provvedimento certamente importante, ma proprio perché tale era doveroso prestargli molta attenzione e predisporre una presentazione dignitosa al massimo grado delle nostre possibilità. Dico ciò perché anche nell'ultima Commissione si è accettata una proroga per avere la possibilità di terminare la discussione, di presentare emendamenti più consoni e più ponderati per un necessario miglioramento di quanto proposto dalla Commissione e dal relatore. Ringrazio in particolare quest'ultimo per la sua precisione, il suo impegno, il suo enorme lavoro, veramente encomiabile, nonché per il suo lodevole sforzo finalizzato a porre in sintonia le diverse posizioni emerse in Commissione.
PRESIDENTE. Onorevole Calzavara, siamo in aula!
FABIO CALZAVARA. Sì, signor Presidente, ma l'aula è deserta e sorda: siamo in quattro!
PRESIDENTE. Onorevole Calzavara, mi sono permesso soltanto di farle notare che siamo in aula.
FABIO CALZAVARA. Signor Presidente, intendevo fare riferimento al fatto che sono presenti pochissimi parlamentari in questa fase di discussione sul provvedimento più importante della legislatura per quanto riguarda la competenza della Commissione affari esteri e, comunque, importantissimo per il paese perché inquadra una strategia di collaborazione in tutto il mondo, con il relativo notevole dispendio di energie e risorse.
cooperazione decentrata, ma ciò era doveroso ed il prodotto, senza dubbio, è inferiore alle aspettative della nuova cultura federalista che dovrebbe permeare anche il provvedimento in esame, che, invece, prevede troppi vincoli e un controllo troppo rigido da parte del Governo e dei Ministeri.
fine nel più breve tempo possibile questo disegno di legge - per quanto riguarda le nomine che il provvedimento comporta. Si tratta di nomine importanti. Chiediamo al Governo l'impegno a non approfittare della condiscendenza manifestata da tutti i gruppi politici su questo provvedimento perché sarebbe poco serio e poco corretto e metterebbe a tacere quelle voci che fino ad ora non sono mai state smentite.
PRESIDENTE. Onorevole Calzavara, non può cumulare il tempo che non usa oggi, perché i tempi per la discussione generale e per l'esame degli articoli vengono calcolati separatamente. Ha ancora sette minuti e mezzo e può utilizzarli tutti. Le ripeto, quello che risparmia oggi non se lo ritroverà domani.
FABIO CALZAVARA. Ero stato informato che c'era questa possibilità e quindi pensavo di...
PRESIDENTE. Le hanno dato un'informazione sbagliata.
FABIO CALZAVARA. Utilizzerò i minuti che ancora mi rimangono per ribadire la posizione favorevole della Lega nord su questo provvedimento purché venga accettata l'istituzione di una Commissione di controllo bicamerale, da affiancare all'agenzia per la gestione della cooperazione, in modo che vi sia un efficace e snello organo di controllo diretto del Parlamento perché l'esperienza ha dimostrato che la cooperazione internazionale è stata al centro di fenomeni di corruzione.
legge a parte e debbano avere una programmazione diversa rispetto a quanto andiamo a stabilire riguardo alla cooperazione internazionale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.
GUALBERTO NICCOLINI. Signor Presidente, in Commissione abbiamo collaborato con il relatore - cui diamo atto del lavoro svolto - ad elaborare il testo. Tuttavia, premesso che il Senato ha tenuto il provvedimento in esame per quasi due anni, mentre la competente Commissione della Camera in pochi mesi ha praticamente riscritto il testo normativo, vorrei ricordare che alla fine è mancato il parere della Commissione bilancio. Fin qui passi. Vi è il fatto, però, che la Commissione bilancio ha formulato una serie di richieste di delucidazioni, chiedendo anche di poter esaminare la relazione tecnica del Governo. Poi è seguito uno scambio di lettere - di cui noi abbiamo avuto notizia solo nel corso dell'ultima seduta della Commissione - di chiarimento tra il presidente della Commissione esteri ed il presidente della Commissione bilancio. Di ciò prendiamo atto. A questo punto, però, ci siamo chiesti anche noi se, di fronte ad un progetto di legge completamente riscritto e, soprattutto, ad una serie di interrogativi non da poco posti dalla Commissione bilancio, non fosse il caso di rivedere un momento la relazione tecnica, come il regolamento consente di fare. Avevamo qualche dubbio sull'opportunità di iniziare la discussione generale oggi e soprattutto di chiuderla oggi, perché ritenevamo che di fronte a tali interrogativi fosse il caso di prenderci tutti un momento di riflessione.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Francesca Izzo. Ne ha facoltà.
FRANCESCA IZZO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è con grande soddisfazione che il gruppo dei Democratici di sinistra accoglie la presentazione in quest'aula del testo di riforma della cooperazione allo sviluppo. Dopo la legge sulla cancellazione del debito estero dei paesi in via di sviluppo, un nuovo importante tassello si aggiunge al disegno, perseguito
in questi anni dall'Italia, di irrobustire il suo profilo in campo internazionale e di operare più attivamente per un ordine mondiale più equo e solidale.
mondiale da buona allieva, raggiungendo uno degli ultimi posti nella graduatoria dei paesi OCSE.
rapidamente richiamare soltanto alcuni aspetti per noi qualificanti. Superando le ambiguità della legge n. 49 del 1987, la cooperazione allo sviluppo si colloca con nettezza nella dimensione politica. Definendola parte integrante della politica estera dell'Italia si esclude da essa il perseguimento di altre pur legittime finalità ed interessi di tipo economico o militare, come ad esempio l'internazionalizzazione delle imprese o la penetrazione commerciale o anche missione di peacekeeping o di polizia internazionale, che debbono essere perseguite in altre forme e con altri strumenti.
non può rimanere quello attuale; con questa legge, creiamo le condizioni per un accrescimento sia di risorse che di efficacia (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frau. Ne ha facoltà.
AVENTINO FRAU. Signor Presidente, il tema che stiamo affrontando ha indubbiamente una grande valenza politica. In fase di discussione generale, dobbiamo soffermarci sulle ragioni che ci hanno condotto a questa diversa e nuova legislazione e, nel contempo, sul contenuto che dobbiamo predisporre rispetto ai fini che intendiamo perseguire.
importante dei quali è riuscire a dare loro la possibilità di fare ciò che sono in grado di fare, ad esempio esportare.
sforzo grande (quindi, anche l'Italia) non tanto per «mettersi l'anima in pace» affermando di avere aiutato i paesi più poveri, quanto per essere consapevole che aiutando in questo momento i paesi più poveri si evitano poi rivoluzioni, tragedie mondiali e quelle tragedie che noi - in minima misura, anche se è consistente per la nostra sensibilità e per la nostra popolazione - viviamo e vediamo!
finanziario internazionale, non possono più rappresentare la base del futuro, anche tenuto conto dell'euro.
una legislazione per la politica di cooperazione allo sviluppo, oppure certamente verremo meno ad un dovere rispetto a tante realtà che nel nostro paese sono in attesa di potersi impegnare. Vogliamo defraudare quella parte del paese che si chiama volontariato, esperti, organizzazioni non governative, non tutte buone o ben funzionanti? La legge non può prevedere di sostenere solo quelle che funzionano bene, sarà il Governo a valutare tutto ciò, comunque il provvedimento, finalmente, prevede anche il controllo del Parlamento. Si può esprimere un giudizio positivo su tale aspetto perché non saranno solo le strutture burocratiche, anche se di altissimo livello, a valutare la situazione, ma il Parlamento e le Commissioni competenti - espressioni del popolo italiano - che valuteranno se lo sforzo economico, di fiducia sia stato trattato bene o male. In quest'ultimo caso, il Parlamento potrà intervenire.
PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Paolo Colombo e Dario Rivolta iscritti a parlare: si intende che vi abbiano rinunziato.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Pezzoni.
È una riforma che ha visto il Senato impegnato per molto tempo, nel corso di questa legislatura, per unificare i vari provvedimenti di legge presentati in un testo che è stato esaminato dalla nostra Commissione affari esteri, la quale ha svolto in questi mesi un lavoro approfondito ed intenso, elaborando il testo approvato dal Senato, aggiornandolo, innovandolo ed introducendovi anche modifiche di un certo interesse, lavorando soprattutto con un atteggiamento bipartisan, perché è evidente che una riforma di questa portata non può che essere frutto di una convergenza significativa tra tutte le forze di centrosinistra e di centrodestra. Questo lavoro bipartisan portato avanti in Commissione affari esteri della Camera era già avvenuto al Senato, pertanto la speranza, l'impegno e l'invito che
Signor Presidente, la mia relazione contenuta nell'atto Camera n. 6413 è assai dettagliata perché illustra i 25 articoli del provvedimento, le modifiche introdotte rispetto al testo approvato dal Senato e i punti di convergenza che abbiamo raggiunto in Commissione nel proporre questo testo per l'esame da parte dell'aula; per tale motivo ritengo non opportuno rileggerla e ripetere quanto in essa contenuto.
Preferisco invece fare alcune riflessioni. La prima è che si tratta di una riforma indispensabile, attesa da tempo soprattutto dai soggetti, dagli attori, dai protagonisti della cooperazione italiana.
È una nuova legge quadro che sostituisce la legge n. 49 del 1987 che, in seguito ai grandi mutamenti internazionali, sembra risalire al secolo scorso. È cambiato moltissimo nella dimensione internazionale dal 1987 ad oggi; il quadro europeo si è andato consolidando e il Trattato di Maastricht ha finalmente inserito le politiche di cooperazione nel testo dell'Unione europea, dedicando al tema l'intero capitolo 20. Ultimamente si è definita la nuova Convenzione di Lomè - che è diventata quest'anno la Convenzione di Cotonou - e abbiamo assistito ad un'attenzione crescente sia della Commissione di Prodi sia del Consiglio europeo, cioè dell'insieme dei ministri europei, sia del Parlamento europeo sulle questioni strategiche di rilancio della cooperazione internazionale, nell'ottica unitaria di politiche comuni europee che possano essere efficaci sul piano internazionale; del resto, non potrebbe essere altrimenti.
L'Unione europea affronta di giorno in giorno, anche se con fatica, le proprie riforme istituzionali interne e la sfida dell'allargamento; essa sta diventando sempre di più un soggetto nell'ambito della politica estera, della sicurezza comune e della difesa ed è da tempo il primo donatore mondiale a livello di cooperazione internazionale. È evidente che il mutato scenario internazionale, il nuovo quadro europeo e le sfide aperte dalla globalizzazione impongono una profonda riforma delle politiche di cooperazione. Abbiamo voluto inserire questo provvedimento - che non è una legge di spesa, ma una riforma organica e complessiva - nella dimensione europea, in coerenza con le politiche e con le novità istituzionali nel quadro che ho appena illustrato.
In questi anni abbiamo assistito nella società italiana ad una maturazione profonda che ha visto dispiegarsi energie e potenzialità nuove: accanto ai vecchi soggetti della cooperazione - che devono rinnovarsi, ma che devono essere assolutamente rilanciati e valorizzati -, come le organizzazioni non governative, è cresciuta un'articolazione interessante di tipo federalistico che ha visto, accanto allo Stato centrale, le regioni, le province e i comuni rappresentare una nuova cooperazione decentrata. Queste istituzioni locali e regionali devono affiancarsi allo Stato centrale e al Governo in una nuova forma istituzionale di vera e propria cooperazione policentrica. Possiamo far vivere le politiche internazionali di cooperazione se, accanto ai soggetti storici, si valorizzano e scendono in campo queste nuove articolazioni istituzionali con la loro specificità ed autonomia.
È per questo che nella legge si prevede che i comuni e le province, non solo le regioni, possano dedicare parte del loro bilancio alle spese di cooperazione e ai finanziamenti per l'aiuto pubblico allo sviluppo. Lo possono fare - pensate - persino indipendentemente dal Parlamento e dal Governo italiano, con un'autonomia che richiede un di più di concertazione e di responsabilità affinché non vinca la frammentazione sul piano della solidarietà internazionale, ma la responsabile capacità di convergere attraverso un'architettura istituzionale rinnovata.
È questa la seconda riflessione che ci porta a dire perché sia indispensabile questa riforma dell'aiuto pubblico allo sviluppo. Il quadro europeo è mutato, ci sono sfide internazionali aperte e c'è una maturazione della società italiana: serve
Signor Presidente, possiamo dire dunque che siamo di fronte ad un pezzo importante di riforma istituzionale; per esempio, in Commissione affari esteri abbiamo affrontato il nodo di quali poteri ulteriori affidare al Parlamento, alla Camera ed al Senato. Infatti, il testo che ci è pervenuto dal Senato aveva tale lacuna. Era molto forte ed interessante il gioco istituzionale delle reciproche responsabilità tra il ruolo del Parlamento e quello del Ministero degli affari esteri, che ha il compito di avviare e redigere una programmazione triennale di indirizzo politico della cooperazione internazionale. Il ruolo centrale del Ministero e dell'insieme del Governo in relazione alla programmazione triennale (pertanto con una maggiore stabilità e capacità di durata) delle politiche di aiuto pubblico allo sviluppo deve essere coordinato con i nuovi compiti della cooperazione decentrata, delle ONG, del volontariato, dei cooperanti a livello internazionale.
Mancava qualcosa e questo qualcosa è il ruolo del Parlamento che, con un'innovazione significativa, abbiamo voluto valorizzare, facendo in modo che il documento di indirizzo politico del Governo venisse equiparato ad una sorta di documento di politica economica e finanziaria, una sorta di DPEF che entro giugno di ogni anno arrivasse alle rispettive Commissioni delle due Camere e venisse poi approvato, modificato, corretto dall'Assemblea, con un vero e proprio atto d'indirizzo del Parlamento nella sua ritrovata centralità e corresponsabilità. In tal modo, a luglio di ogni anno, con il documento approvato dal Parlamento e, successivamente, dal Consiglio dei ministri, potremo anche influenzare le leggi finanziarie e fare in modo che sia garantita la continuità di una sorta di finanziamento che abbia un respiro non soltanto annuale ma anche triennale. I grandi ed efficaci interventi sul rapporto nord-sud devono essere caratterizzati anche da una certa continuità di finanziamenti.
È necessaria, dunque, una vera e propria riforma che sia anche una sintesi nuova. L'idea bipartisan che ci ha spinto a svolgere molte audizioni in Commissione, ad interrogarci, a confrontarci, a correggere il testo, a trovare risposte innovative insieme (centrodestra, centrosinistra, diversi gruppi politici) ha fatto fronte ad un'esigenza, che non è tanto quella dell'eclettismo quanto quella che oggi bipartisan significa giungere ad una sintesi nuova, significa rinunciare ad un'idea strumentale delle proprie posizioni; oggi, infatti, sono possibili convergenze per l'approvazione di una legge di sintesi ed innovativa. Non si capisce per quale ragione non dovremmo approvare tale provvedimento oggi, ma dovremmo ostacolarlo o rinviarlo alla prossima legislatura, perdendo altri due anni. Siccome non credo che le diverse posizioni siano strumentali, penso si possa arrivare ad una sintesi che non sia assai diversa e lontana da quella che in questi ultimi anni e in questi mesi noi componenti la Commissione affari esteri abbiamo conseguito.
È necessaria una riforma che rilanci la cooperazione italiana, che riequilibri verso l'alto cooperazioni bilaterale e multilaterale.
Recentemente, la cooperazione multilaterale, che è assai importante, è stata preferita e privilegiata rispetto al «dono» bilaterale, all'intervento bilaterale italiano e questo si è verificato perché, appunto, ormai la vecchia legge n. 49 del 1987 fa acqua da tutte le parti. Ecco, allora, un altro motivo per fare questa riforma che sostituisca la legge n. 49 e rilanci verso l'alto un «di più di bilaterale italiano», valorizzando l'esperienza in corso (le ONG), ma anche i nuovi soggetti (la cooperazione decentrata).
Noi siamo stati attenti nell'ascoltare i rappresentanti del mondo economico, della piccola e media impresa come della grande impresa che, di fronte alla questione
Allo stesso modo, abbiamo capito che è sbagliato pensare che il mondo economico, la piccola e media impresa, siano solo soggetti esecutori del dinamismo della cooperazione; essi possono diventare attori importanti e contribuire, associandosi alle ONG e lavorando insieme alle regioni, alle province, ai comuni o a quell'agenzia che noi abbiamo previsto diventerà coprotagonista assieme ai veri soggetti titolari della cooperazione: mi riferisco (la legge è chiarissima) alle ONG, al Governo e alla cooperazione decentrata.
Con questa legge noi vogliamo scrivere una nuova pagina nella storia della diplomazia italiana. Sono lontani i tempi di un grande classico di politica estera, il saggio di Morgenthau sulla politica tra gli Stati, dove si configurava una sorta di diffidenza nei confronti del Parlamento e fin d'allora la lucida consapevolezza che, in un mondo sempre più complesso, le diplomazie dovevano rinnovarsi e diventare una risorsa strategica per la pace e la convivenza tra gli Stati.
La riorganizzazione della Farnesina è stata utile; ora occorre passare a rinnovare le politiche della Farnesina, le strategie della nostra diplomazia che appunto, anche qui innovando rispetto al Senato, noi abbiamo voluto valorizzare esaltandone il ruolo di negoziato politico, assumendo come centrale il ruolo del Ministero degli affari esteri e valorizzando il ruolo delle ambasciate anche per quanto riguarda la collaborazione che l'Agenzia dovrà dare alle sue sedi decentrate nel momento in cui si apriranno i negoziati con i singoli paesi in via di sviluppo.
Anche questa dunque è un'attenzione che noi abbiamo voluto dare con una grande convergenza tra centrosinistra e centrodestra perché siamo convinti che la politica della cooperazione sia parte integrante della politica estera. E dunque, non è semplicemente uno strumento, ma ha una propria logica autonoma, una propria specificità: pertanto, questa specificità della cooperazione internazionale va conosciuta, valorizzata, sviluppata. Essa si muove, appunto, come dimensione strategica della politica estera ed è una dimensione irrinunciabile che richiede soggetti, strumenti e modalità propri.
Da qui nasce l'idea di rafforzare l'autonomia dell'Agenzia come momento di gestione concreta delle politiche di cooperazione internazionale. L'Agenzia sarà distinta dal Ministero degli affari esteri, sarà autonoma ed avrà un proprio profilo istituzionale e giuridico preciso. Noi abbiamo discusso a lungo sul modo in cui cercare di demarcare con precisione i compiti e il ruolo del Ministero degli affari esteri, i compiti e il ruolo dell'Agenzia, per evitare conflittualità e invece prevedere sinergie funzionali e una collaborazione efficace. Ci pare di esserci riusciti: l'architettura istituzionale di questo progetto di riforma ci sembra equilibrata, dinamica; è un impianto innovativo, appunto, che in un certo senso supera il vecchio impianto monocratico, centralistico della vecchia legge di cooperazione che noi vogliamo superare. Dunque, la riforma della cooperazione vuole realizzare obiettivi ambiziosi. Nell'anno del Giubileo, si è riunito a New York il forum mondiale della società civile per chiedere politiche di lotta alla povertà ancora più efficaci. Recentemente, durante il Giubileo dei parlamentari e dei governanti è stato votato e approvato un documento di indirizzo a livello globale che invita i Governi e i Parlamenti in questi mesi ad approvare riforme che aiutino la cooperazione internazionale e accentuino lo sradicamento della povertà.
Dunque, questo sforzo bipartisan è presente già nei nostri impegni internazionali, è presente a Nizza come in Europa, è presente all'ONU dove vi è una posizione condivisa e comune per quanto riguarda una nuova attenzione che noi dobbiamo prestare a quegli obbiettivi strategici che il Governo e il Parlamento italiano approvarono nel 1995 in occasione della Conferenza sullo sviluppo sociale di Copenaghen, quando, in questo forum mondiale, si accettò che sempre di più i Governi donatori dovessero dedicare lo 0,7 per cento del proprio prodotto interno lordo alle politiche di sviluppo e di cooperazione.
I dati sono tuttora drammatici. L'UNDP ha dimostrato che un quinto del pianeta, il più ricco, nel 1960 godeva del 70,2 per cento del prodotto interno lordo e il quinto più povero del 2,3 per cento. Oggi, a trent'anni di distanza il quinto più ricco è passato dal 70,2 per cento della ricchezza complessiva all'86 per cento e il quinto più povero dal 2,3 all'1 per cento. Dunque, trent'anni fa il rapporto tra il quinto più ricco e il quinto più povero era di 30 a 1, oggi è 86 a 1. Anche la Banca mondiale e il Fondo monetario si stanno preoccupando di definire una nuova strategia di lotta alla povertà ed è per questo che credo che abbia ragione Amartya Sen che nel suo ultimo libro ha scritto che lo sviluppo è simile alla libertà, che lo sviluppo è come una libertà nuova e che la deprivazione dei paesi del sud del mondo si riesce a sradicare se il nord attua politiche di cooperazione più solidali e più efficaci.
In realtà, il gruppo della Lega nord Padania non è pienamente soddisfatto del testo in esame e, per tale ragione, ha presentato una trentina di emendamenti migliorativi che verranno esaminati in Assemblea. Mi limito ad intervenire brevemente, perché, se è possibile, preferirei utilizzare il tempo disponibile per la discussione in aula, in modo che vi sia una più ampia partecipazione su un argomento così importante...
La Lega nord Padania ha sempre sostenuto il provvedimento ed ha sempre inteso agevolare il lavoro parlamentare sulla materia della cooperazione internazionale, proprio perché crede fermamente che ogni popolo abbia il diritto di vivere e lavorare sul proprio territorio. Riteniamo, inoltre, che tutti gli Stati abbiano il dovere di aiutare i popoli a rimanere a vivere e lavorare nel proprio territorio. Di fronte a tale semplice regola di riferimento, riteniamo che la cooperazione internazionale debba aiutare i diversi paesi ad autogovernarsi e a stimolare le proprie produzioni, risorse, energie umane e sociali. Questa è per noi la solidarietà, che non significa invece, come anche con questo progetto di legge si cerca in qualche modo di fare, aprire esageratamente le frontiere senza prevedere effettivi aiuti per i paesi in difficoltà, accettare acriticamente l'immigrazione con un mondialismo incomprensibile, non governato, non programmato o, meglio, governato e programmato male, senza serietà, nella direzione di una facile accoglienza che scontenta i cittadini ma soprattutto gli immigrati onesti, che desiderano veramente lavorare ed integrarsi.
Si accontentano così, anche troppo facilmente, i gruppi finanziari ed una parte della grande industria che non programmano, naturalmente insieme allo Stato, investimenti per i settori che richiedono molta manodopera, appunto nei paesi che ne hanno in sovrabbondanza: certe fasi produttive e di lavorazione di materie prime di bassa manovalanza o con grande richiesta di manodopera, infatti, sono ormai inattuabili nel nostro Stato. Vorrei ricordare che abbiamo aree industriali con il più alto indice di popolazione al mondo, con conseguenti problemi di insediamento, di vivibilità, di controllo del territorio e, naturalmente, di tutti i processi legati al settore. Vediamo con favore, quindi, la cooperazione allo sviluppo ed anche lo spostamento di risorse dal fondo multilaterale, che assorbe circa il 70 per cento di quelle destinate alla cooperazione internazionale. I fondi multilaterali hanno portato più scompensi che altro, più ruberie, direi, oltre che più corruzione ed hanno evidenziato il fallimento sostanziale di aiuti promossi, in nome del mondialismo, dal Fondo monetario internazionale, dalle lobby internazionaliste, da una certa parte della nostra Confindustria e da alcune associazioni pseudomondialiste. Si tratta di un tipo di progresso civile e sociale dei paesi poveri che non è effettivamente tale, anzi, tutto ciò provoca un disagio ancora maggiore nei paesi dove sono confluite le ricchezze.
Il quadro complessivo del mondialismo, quindi, è piuttosto negativo: il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale hanno fallito nei loro propositi assecondando più le lobby mondialiste e i grandi gruppi finanziari, piuttosto che aiutare le popolazioni più povere; hanno accresciuto le ricchezze in certi Stati e le hanno depauperate in altri, distruggendo la piccola impresa e l'imprenditoria in genere, soprattutto nei paesi del terzo mondo, ma anche nei paesi ad avanzata economia, con gravissime ripercussioni, non solo sul nostro paese, ma anche su quelli che non hanno un'economia autosufficiente e soffrono sempre di più del deficit di democrazia e di strategia equilibratrice delle risorse.
Ecco perché siamo favorevoli al provvedimento sulla cooperazione, anche se ne critichiamo alcuni aspetti e proporremo alcuni miglioramenti; a nostro avviso esso è troppo aperto al tipo di interpretazioni alle quali facevo riferimento. Riteniamo si tratti di un provvedimento troppo mondialista, nel senso negativo del termine, troppo centralista. Come il relatore ricordava, per la prima volta, si propone una
Del resto, le regioni e gli enti locali, almeno certe regioni - sicuramente la mia, il Veneto, capofila della cooperazione transfrontaliera in quanto a generosità e aiuti internazionali di questo tipo - hanno sempre dato spazio al decentramento. Riteniamo che da parte del Governo e del Parlamento vi debba essere uno sforzo per rendere il provvedimento ancora più federalista o almeno ispirato al decentramento, perché sappiamo che, purtroppo, si parla molto di federalismo, ma non lo si attua.
Il provvedimento è anche criticabile perché troppo equalitarista. È vero che siamo tutti uguali: questa deve essere la base di partenza, ma poi, nel tramutarla in azioni pratiche, noi - Governo e Parlamento - dobbiamo ricordare che, per fortuna, siamo tutti diversi.
Nel mettere assieme le varie diversità, le varie culture, le varie storie, le varie lingue, le varie religioni, le varie attitudini, le varie abitudini alimentari, sanitarie e quant'altro dobbiamo stare molto attenti, perché non siamo un ente religioso, in cui si predica la fratellanza, ed è giusto tenere conto di noi, approvando leggi che offrano il massimo rispetto delle diversità, senza volere un'integrazione frettolosa, approssimativa e senza alcuna indulgenza, come si sta tentando di fare.
Accuso questa maggioranza di voler attuare un disegno criminale di omologazione delle differenze, perché, una volta accertato il diritto all'uguaglianza, vi è uno stesso diritto - che dobbiamo tramutare in legge - alla non omologazione, a non sopprimere le varie culture ed alla disuguaglianza tra chi merita, si comporta onestamente e rispetta le leggi e chi, invece, non le rispetta, delinque e non vuole sottoporsi alla famiglia ospitante o allo Stato ospitante.
Credo che questo che non sia razzismo, ma sia un desiderio di non omologazione e di maggiore rispetto delle culture altrui, affinché si porti l'aiuto in quei territori, senza seguire la strada più facile, ideale per i regimi, cioè quella di importare mano d'opera a basso costo. Si tratta di un costo che uno Stato civile e sociale deve sopportare solo programmando seriamente e severamente questi flussi, dotando lo Stato, le regioni, i comuni e tutti gli organismi preposti dei mezzi necessari e dando loro anche il tempo di collaudarli, senza spalancare improvvisamente le porte o dare soldi a destra e a manca per un aiuto generico che non può far altro che creare quella insoddisfazione che stiamo riscontrando nel paese per quanto riguarda l'immigrazione incontrollata e senza criterio che state attuando nel territorio.
Vorrei sottolineare soprattutto - è questo il senso del nostro appoggio al disegno di legge sulla cooperazione - che state compiendo un'operazione di impoverimento anche nei confronti di quei paesi che hanno grandi risorse di mano d'opera, importandola da noi e divulgando in tutto il mondo l'idea che l'Italia sia un paese accogliente, ma solo nei principi e non di fatto, per quanto riguarda i mezzi, la cultura dell'accoglienza ed anche il controllo dei fenomeni negativi che a ciò si accompagnano.
Credo che su questo si debba aprire un confronto in quest'aula in modo che l'Assemblea riesca a migliorare il testo in questo senso, senza ipotetici ostruzionismi di cui si sente parlare. Ritengo che questo provvedimento sulla cooperazione possa concludere il suo iter entro la legislatura in corso; non abbiamo alcun problema al riguardo e non vogliamo vantarci di farlo noi nella prossima legislatura, se sarà la Casa delle libertà a governare, come mi auguro, visto il modo in cui questo Governo sta affrontando queste tematiche.
La nostra preoccupazione, che è comune nella Casa delle libertà, è che non si approfitti di questa mancanza di opposizione o di contrapposizione - poiché siamo tutti d'accordo nel portare a buon
Avrei ancora tempo a mia disposizione, ma preferisco utilizzarlo in seguito.
È evidente che, se vi è corruzione, ne deriva un grave danno per lo Stato che offre questo tipo di collaborazione ed un danno ancora maggiore per le popolazioni che soffrono e che hanno bisogno sia di questo tipo di aiuti sia di quell'assistenza che le indirizzi verso un governo autonomo e in grado di sviluppare un'economia che renda i paesi in via di sviluppo indipendenti dagli Stati più ricchi. Auspico quindi una tendenza completamente opposta a quella che finora hanno avuto gli aiuti ai paesi in via di sviluppo. E questo non solo per spirito umanitario o per carità cristiana ma proprio per raggiungere gli obiettivi perseguiti dal provvedimento in esame. Il nostro intento è che con questo tipo di aiuti i paesi in via di sviluppo possano generare un circuito economico virtuoso per le proprie produzioni (e anche per la democrazia, se vogliamo toccare questo tema) per recuperare lo squilibrio con i paesi industrializzati.
Voglio ricordare che nel corso dell'esame sono stati toccati i temi umanitari e dei diritti delle minoranze e delle donne. Anche noi condividiamo tali principi, ma riteniamo che la cooperazione vada rivista e migliorata in modo da non fornire distorsioni o estensioni interpretative esagerate, che possano depauperare gli obiettivi che ci proponiamo o risorse che, al momento, sono assai scarse.
Il provvedimento si propone addirittura di superare lo 0,7 per cento della contribuzione in rapporto al prodotto interno lordo. È un nobile intento, ma di fronte a tale dato dovremmo concentrarci maggiormente sull'obiettivo di porre quei paesi in grado di essere autoproduttori e di innescare un meccanismo virtuoso di indipendenza e di autogoverno dei settori produttivi e nell'utilizzo delle proprie risorse.
Se conseguiremo l'obiettivo di superare lo 0,7 per cento della contribuzione, avremo un enorme flusso di denaro, che è stato quantificato in oltre 15 mila miliardi. Per superare quella quota bisognerebbe incrementare - come si sta facendo - il prodotto interno lordo nei termini che ci sono noti e conseguire, per i prossimi due, tre anni, una disponibilità di oltre 20 mila miliardi. Si tratta di una somma rilevante, che ritengo debba essere strettamente indirizzata a quei settori e non ad interventi - come è previsto, invece, nel provvedimento - assistenzialistici o di tipo esclusivamente umanitario. Riteniamo che gli interventi umanitari debbano essere previsti in un disegno di
In conclusione, preannuncio la volontà dei deputati del gruppo della Lega nord Padania di non ostacolare il provvedimento in esame e a valutarlo positivamente nei suoi intenti complessivi; tuttavia, siamo fermamente decisi a eliminare alcuni passaggi di tipo assistenzialistico o troppo aperti ad interpretazioni di tipo mondialistico; siamo sempre stati fieri assertori della negatività di quel tipo di mondialismo, pur condividendo e sostenendo la necessità di essere sempre più aperti all'internazionalizzazione ragionata e programmata, ma rispettosa delle diversità e delle storie dei vari territori. In tal senso, ci batteremo e sosterremo a viva forza le nostre proposte emendative con intento migliorativo.
Questa sarà forse una legge di poca spesa, come viene detto, però è un provvedimento in base al quale poi spenderemo 15, 16, 18 o 20 mila miliardi, quindi ci sarà una gestione particolare di queste enormi cifre, che verranno spese per il bene dell'umanità (nessuno dice il contrario).
Manifestate le nostre perplessità, ci limitiamo a dire che siamo favorevoli ad una riforma della cooperazione, come abbiamo dimostrato nel lavoro svolto in questi mesi; siamo favorevoli alla prosecuzione di questa discussione e chiederemo l'ampliamento dei tempi per la fase dell'esame degli articoli, visto che il tempo a disposizione oggi non ci serve, in quanto la mancanza di chiarezza sui punti che ho accennato ci consente di svolgere una discussione molto ridotta.
Non voglio quindi dilungarmi sulle nostre perplessità o sulle nostre richieste - qualcuna è stata accettata, qualche altra no -, riconosciamo al relatore grande merito per quanto è stato fatto e ci riserviamo di esprimere tutti i nostri dubbi e le nostre proposte nella fase della discussione degli articoli e degli emendamenti, quando chiederemo, come ho anticipato, un ampliamento dei tempi.
Alle spalle dell'attuale formulazione del provvedimento c'è, come già è emerso negli interventi precedenti, un lungo iter parlamentare, prima al Senato e poi presso la Commissione esteri della Camera, che si giustifica con l'importanza e la complessità della materia e con il carico di tensioni e di problemi accumulatisi sulla cooperazione italiana, anche per i fenomeni di inefficienza e di corruzione che l'avevano in passato colpita.
L'attenzione e l'impegno che i due rami del Parlamento vi hanno dedicato sono stati perciò grandi ed hanno coinvolto tutti i gruppi politici, così come decisivo è stato l'impegno del Governo, rappresentato dal sottosegretario Serri. Dobbiamo manifestare un apprezzamento particolare al relatore, onorevole Pezzoni, a cui va la gratitudine del gruppo dei Democratici di sinistra e mia personale per la tenacia e l'intelligenza di cui ha dato prova nell'istruire e seguire l'enorme lavoro della Commissione esteri. È stato innanzitutto un lavoro di ascolto, nelle numerose audizioni dei rappresentanti degli organismi a vario titolo coinvolti nelle attività di cooperazione; di confronto aperto tra i vari gruppi politici presenti in Commissione e, infine, di elaborazione, per migliorare e rendere più limpido e chiaro il testo del Senato.
Come già accennato dal relatore, l'attuale legge che disciplina l'attività di cooperazione ha mostrato ben presto i limiti dell'impianto di origine, soprattutto nella mancata distinzione dei poteri di indirizzo, di gestione e di controllo e nella fragilità di una struttura che, nata sotto l'impulso di interessi contingenti, è apparsa inadatta a fronteggiare le sfide dell'aiuto pubblico allo sviluppo in un mondo in grande cambiamento ed in via di rapida globalizzazione.
La crisi di fiducia e credibilità che ha duramente colpito la cooperazione italiana agli inizi degli anni novanta si è tradotta in una caduta verticale delle risorse ad essa destinate, anche in concomitanza con le aspre necessità dei vincoli di bilancio e in una prevalenza sempre più accentuata dell'aiuto multilaterale. Nonostante questo contesto fortemente critico, va riconosciuto al Ministero degli affari esteri il grande merito di aver reagito per riorientare la cooperazione bilaterale, accrescendone, anche se in misura limitata, gli stanziamenti e l'operatività, ma soprattutto spingendo per la sua riforma, poiché il suo rilancio pieno, anche in termini di risorse umane e finanziarie, non può non passare che per una sua radicale innovazione.
D'altra parte, occorre tenere conto dell'influenza che i processi internazionali hanno esercitato sulla vicenda italiana. Gli anni novanta sono stati segnati, in larga misura, da un declino, prima che materiale, culturale della stessa idea di aiuto pubblico allo sviluppo. Con la fine del bipolarismo e il crollo dell'Unione Sovietica e del suo blocco si è avuta un'accelerazione vertiginosa della liberalizzazione e dell'internazionalizzazione dell'economia e della globalizzazione dei mercati, con un declino altrettanto rapido delle funzioni di gestione e controllo da parte dello Stato.
In questo contesto, mi è sembrato che, anche nel campo della lotta alla povertà ed al sottosviluppo, la chiave risolutiva per il decollo delle economie dei paesi poveri stesse nelle virtù del mercato e del commercio e non nell'aiuto pubblico, considerato spesso fonte di sprechi, di corruzione e una forma di sostegno a regimi corrotti e violatori dei più elementari diritti dei cittadini; un aiuto che spesso veniva visto come una forma degradata di assistenzialismo, che rappresenta l'antitesi della capacità di crescita e di sviluppo.
Un motto che si è sviluppato nei primi anni novanta sintetizza bene questa visione: trade not aid, che ha rappresentato un vero e proprio programma, se è vero come è vero che l'aiuto pubblico allo sviluppo, a livello mondiale, è passato da 23,4 miliardi di dollari nel 1994 ai 17,2 del 1998. L'Italia ha seguito questa tendenza
I dati e i problemi che sono via via emersi a livello mondiale hanno smentito questa visione irenica degli automatismi di mercato e della globalizzazione, anche se va detto che alcune delle critiche avanzate da questo punto di vista alle deviazioni di carattere assistenzialistico e dirigistico dell'aiuto pubblico allo sviluppo sono fondate e vanno prese in seria considerazione.
Questi dati e questi problemi indicano che, senza nuove forme di regolazione oltre che di rilancio degli aiuti e della cancellazione del debito, i processi in corso di integrazione dell'economia mondiale tendono ad accentuare diseguaglianze e povertà. I dati ci dicono che i paesi poveri sono sempre più poveri e le crisi finanziarie, che hanno devastato le società di molti dei paesi che hanno tratto vantaggio dalla liberalizzazione delle economie, mostrano la fragilità di questi risultati. Secondo la Banca mondiale il numero delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno è passato da 1,2 miliardi nel 1987 ad 1,5 miliardi nel 1998.
L'integrazione mondiale è avanzata e avanza in modo squilibrato e diseguale, cosicché i paesi e gli individui non prendono parte in modo equo alla espansione delle opportunità della globalizzazione, dall'economia, alla tecnologia, al sapere, alla governance mondiale. Secondo le Nazioni Unite, la fortuna dei tre uomini più ricchi del pianeta superava, nel luglio 1999, il PIL accumulato dai 48 paesi più poveri e dai loro 614 milioni di abitanti; all'inizio del gennaio 2000 Bill Gates pesava - egli solo - in termini di reddito quanto questi stessi paesi messi assieme.
Siamo dinanzi ad un allargamento vertiginoso del fossato che separa il mondo sviluppato da quello povero. Di fronte a questa situazione così sconvolgente, che rischia, se permane, di cancellare un intero continente - l'Africa - dalla storia e di mettere a repentaglio la stessa sicurezza dei paesi ricchi, le idee guida per lo sviluppo stanno cambiando. Emerge la consapevolezza a livello internazionale che prioritario rispetto alla liberalizzazione del commercio e al risanamento dei bilanci è l'obiettivo dello sviluppo sociale e che il processo di globalizzazione deve essere accompagnato da una decisa azione della comunità internazionale per assicurare che i suoi vantaggi raggiungano anche i paesi più poveri e si tramutino in programmi concreti contro la povertà e l'emarginazione. Insomma, il trade, il mercato, è elemento importante dello sviluppo, soprattutto se davvero è libero e non, come è attualmente, protezionisticamente orientato a vantaggio dei mercati ricchi europei ed americani; ma lo è altrettanto l'help, l'aiuto, perché interviene a prevenire o a ridurre le esclusione e le disuguaglianze che il mercato produce o a creare le condizioni stesse per l'accesso al mercato.
Dunque dagli orientamenti prevalenti negli organismi internazionali, come la Banca mondiale, nelle agenzie ONU e nel nuovo quadro delle politiche dell'Unione europea di cui parlava prima il relatore, l'aiuto pubblico allo sviluppo emerge come elemento centrale e indispensabile nelle strategie di lotta alla povertà e di sviluppo, ma emerge anche con un profilo diverso e più complesso rispetto al passato. Le esperienze negative hanno lasciato il segno a tale riguardo.
Anzitutto è la stessa idea di sviluppo che si è modificata, nel senso che non è più solamente economico quantitativo, valutato in termini di PIL, ma anche di crescita sociale, civile e politica delle popolazioni (uomini e donne). Così come l'aiuto non può più essere inteso come un rapporto rigido e gerarchico tra Governo donatore e Governo beneficiato, ma piuttosto come uno scambio cooperativo che veda protagonista l'insieme delle società civili, poiché conoscenza e dialogo reciproco risultano indispensabili alla stessa efficacia degli aiuti.
È a questo insieme di sollecitazioni, interne ed internazionali, che risponde positivamente il testo di riforma di cui stiamo discutendo. In questa sede voglio
Da questa scelta di fondo deriva l'introduzione nella legge del principio dello slegamento degli aiuti dalla forniture di beni e servizi di origine italiana.
Per superare i rapporti gerarchici ed asimmetrici ed esclusivamente governativi tra paesi cooperanti, che hanno finora dominato ed hanno alimentato sprechi e corruzione, la legge adotta il modello della partnership tra paese donatore e paese beneficiario, e prevede il coinvolgimento pieno e la partecipazione, oltre che dei Governi nazionali e locali, delle società civili di entrambi i paesi.
In tale contesto acquista un particolare rilievo il compiuto riconoscimento delle donne, nella stesura attuale del testo, quale soggetto dello sviluppo, in linea con quanto le conferenze e le agenzie dell'ONU, e più recentemente la stessa Banca mondiale, si stanno sforzando di diffondere, e cioè che la lotta alla povertà può essere vinta solo dando ruoli e potere alle donne.
Riguardo al punto maggiormente innovativo presente nel testo approvato dal Senato, e cioè la creazione di una agenzia autonoma per la gestione della cooperazione, le modifiche apportate dalla Commissione sono state dirette a meglio precisare e a distinguere ruolo e funzione del Governo, dell'agenzia e del Parlamento, cioè indirizzo politico, gestione e controllo per evitare conflitti o giustapposizioni di competenze e di responsabilità. Le modifiche più rilevanti rispetto al testo del Senato riguardano il Parlamento, che vede accresciuti i poteri della Commissione di merito nella funzione di controllo e di verifica che, come è noto, ha costituito l'anello più debole dell'attuale quadro operativo della cooperazione e che, in generale, rappresenta l'aspetto più delicato e complesso.
Come ricordava il relatore, alcuni gruppi politici sostengono l'idea della costituzione di una Commissione bicamerale, ritenendola più efficace nell'azione di verifica e controllo. Personalmente sono, in linea di principio, contraria alla proliferazione di Commissioni bicamerali o speciali che riducano o impoveriscano la forza e l'autorevolezza delle Commissioni; nello stesso tempo, però, sono sensibile alle ragioni di chi sottolinea la delicatezza e la complessità della funzione di controllo, che richiede risorse informative e di analisi autonome ed efficaci, le quali attualmente non sono disponibili presso una Commissione parlamentare. Non sono ancora convinta che queste risorse specialistiche possano essere acquisite da una Commissione bicamerale, ma sono aperta alle argomentazioni che saranno sostenute nel dibattito in quest'aula.
Vorrei, infine, richiamare due importanti questioni cui questa legge dà una soluzione assai apprezzabile: il chiaro rafforzamento dello status dei volontari e dei cooperanti internazionali, ai quali è affidato in larga misura il successo della nostra cooperazione e l'accrescimento del sostegno alle organizzazioni non governative che vedono ampiamente riconosciuto il ruolo dei soggetti della cooperazione. Complessivamente, la riforma della cooperazione delineata in questo testo crea le basi ordinamentali per un innesto istituzionale della politica della cooperazione nel sistema politico e sociale italiano, aspetto che finora non si è concretizzato se non in maniera episodica, frammentaria e, qualche volta, strumentale.
L'Italia in questi anni è cresciuta in prestigio e credibilità internazionale, così come è cresciuto il benessere dei suoi cittadini. Il contributo italiano alla lotta mondiale, alla povertà e alla disuguaglianza, che affliggono tanta parte dell'umanità,
Nel momento in cui parliamo di cooperazione allo sviluppo, discutiamo del problema dello sviluppo internazionale e ordinato del mondo, che non potrà essere tale, se continueranno ad esistere - ed esisteranno, ahimè, per molto tempo ancora - diversità, disparità e condizioni di così profonda diseguaglianza. Ci troviamo di fronte non tanto al problema dello sviluppo, quanto alla situazione di emergenza determinata dal sottosviluppo. È stato ricordato poco fa che le crisi intervenute, i mutamenti dell'economia mondiale e, soprattutto, una sorta di disaffezione, derivante dalla considerazione della non piena utilità di questi sistemi di aiuto, hanno portato a ridurre il già esiguo aiuto precedente. Il mondo sta cambiando nella sua politica e nella sua economia. In precedenza, ascoltando il sottosegretario Vita parlare delle telecomunicazioni, ci siamo resi conto di come tutto questo abbia un'incidenza nella nostra società; ciò non tanto a causa di Internet o di altre ragioni particolari, ma per l'incidenza del trend generale dello sviluppo sul mondo, sulla sua economia e sulle sue politiche.
Vi è, pertanto, la necessità di adeguarsi e, se possibile, di provvedere con un occhio rivolto verso il futuro, sapendo che il compito della politica non è solo adeguarsi a ciò che chiede la società, ma anche prevedere, indirizzare, guidare gli sviluppi della società stessa. In questo senso, quindi, mi pare che lo sforzo che si sta compiendo rispetto alla vecchia normativa sia notevole.
Desidero ricordare forse il fondatore di tali politiche, l'onorevole Pedini, che propose, non so più quanti anni fa, la legge n. 1222, che diede l'avvio alla politica della cooperazione, con i suoi limiti e con ciò che avvenne in seguito, correzioni comprese. Essa determinò in Italia momenti di grande entusiasmo nei confronti di tale problema; molte volte, però, ai momenti di entusiasmo non corrispondeva una ferma volontà politica, come purtroppo succede spesso nel nostro paese, ma una sorta di moda della politica. Ricordo, anche personalmente, quando Pannella sembrava dovesse vivere per risolvere il problema della fame nel mondo; tali iniziative si tradussero in interventi del Governo che finirono nell'ordinaria burocratica amministrazione.
Rispetto alla vecchia disciplina, pertanto, occorre qualcosa di profondamente nuovo; tuttavia, il nuovo non è facile da concepire e, soprattutto, da realizzare in termini normativi. Prima di porci il problema se una legge sia buona o meno, dobbiamo porci quello dei risultati che deve ottenere. Non dobbiamo nasconderci dietro a facili entusiasmi: il problema dello sviluppo nel suo complesso non solo è ancora considerato a livello mondiale come non facilmente risolvibile, ma è addirittura contestato. Autori importanti sostengono che lo sviluppo e la cooperazione non abbiano effetti significativi sulla crescita, mentre li avrebbero sul piano umanitario e degli interventi particolari.
Noi riteniamo che il fatto che tale politica non sia da tutti considerata come un elemento determinante non significhi affatto che vada abbandonata. Si tratta, invece, di migliorarla, di fare in modo che si inserisca meglio nel contesto politico, economico e commerciale generale; i paesi sottosviluppati (non abbiamo paura ad usare questo termine, che si usava prima dell'eufemismo «paesi in via di sviluppo») hanno un profondo bisogno di aiuti, il più
È necessario un nuovo approccio. Vi è una globalità delle politiche, è cambiato il mondo, non ci sono più due blocchi che si affrontano l'un l'altro. La forbice dello sviluppo - lo ha detto la collega Francesca Izzo in precedenza fornendo dati molto interessanti - si allarga anziché stringersi: aumenta la ricchezza dei paesi ricchi e si accresce la povertà di quelli poveri.
Il problema non può essere considerato solo in termini umanitari (sarebbe già sufficiente se volessimo farci chiamare uomini); infatti, ci troviamo di fronte ad una questione politica di grandi dimensioni, nella quale si misurano politiche non di piccolo cabotaggio. Abbiamo dinanzi il problema del mondo, delle sue contraddizioni e delle sue miserie; ci troviamo di fronte al problema se il mondo, lasciato in tali condizioni, sia in grado di sopravvivere a ciò che queste condizioni possono provocare in termini di migrazioni pazzesche, di migrazione delle malattie, di migrazione delle miserie, di pressioni, di guerre tribali e quant'altro.
Il sottosegretario Serri - al quale va un ringraziamento per l'impegno profuso anche durante il dibattito - sa bene quali siano i problemi perché si reca in quelle zone con una forse eccessiva continuità, visto che lo vediamo sempre particolarmente provato.
Facevo riferimento alla necessità di un approccio che comporti addirittura - pensiamoci! - problemi di difesa. Ormai, infatti, nell'ambito della strategia internazionale degli Stati, anche dal punto di vista militare si pone il problema molto importante della prevenzione dei conflitti, il quale trova la sua base proprio nelle ragioni del sottosviluppo, della miseria e quindi della non crescita anche culturale, istituzionale e quant'altro dei singoli Stati (certo, stiamo parlando in termini di globalizzazione).
Vorrei dire, soprattutto all'amico Calzavara che ha svolto un intervento su questo particolare tema, una cosa sulla quale sarebbe forse opportuno riflettere. Che cosa ci chiedono i paesi in via di sviluppo? Ci chiedono di poter esportare i loro prodotti da noi che siamo in grado di pagare! Che cosa facciamo noi nei loro riguardi? Diamo i contributi alla nostra agricoltura; fissiamo dei contingenti (altro che globalizzazione!) per evitare che quei paesi possano mettere in crisi il nostro sistema! Questo è un atteggiamento di per sé legittimo - ognuno si difende - ma allora non possiamo affermare che la globalizzazione, l'abbassamento delle barriere o quant'altro mettano in difficoltà i paesi in via di sviluppo perché, anzi, li mette nella condizione, per quel tanto che possono, di tentare di raggiungere quello che gli chiedono gli Stati Uniti e l'Unione europea: porsi il problema dello sviluppo in termini di aumento e miglioramento delle loro bilance commerciali per l'aumento delle loro esportazioni. Ma come fanno i paesi in via di sviluppo ad aumentare le loro esportazioni se gli unici soggetti che possono acquistare i loro prodotti dicono che bisogna comprare i propri?
Ripeto: sono posizioni legittime, ma un po' contraddittorie con la dichiarazione che si fa di «amare il mondo» e di volerlo tutto sviluppato.
Ad esempio, il problema dell'agricoltura di questi paesi deve preoccuparci, soprattutto in periodi e in momenti nei quali si sta parlando molto di genetica dell'agricoltura e quindi di interventi in questa direzione.
Alla luce di queste valutazioni, ritengo che ormai l'importanza per lo sviluppo e per l'aiuto allo sviluppo sia da attribuire più all'Organizzazione mondiale del commercio che non alla Banca mondiale o al Fondo monetario. Questa considerazione può giustificare un totale disinteresse rispetto a questo problema? Dimentichiamo tutto ciò che esiste perché in prospettiva vi è qualcos'altro? Credo proprio di no! Noi riteniamo e dobbiamo ritenere che, per avere delle condizioni obiettive di possibilità di crescita (non parlo di crescita, ma di possibilità di crescita), occorre effettivamente che il mondo compia uno
Dobbiamo quindi considerare che la legge al nostro esame non potrà risolvere i problemi. D'altro canto credo che pochi possano essere convinti che con una legge si possano risolvere i problemi. Il grande poeta Dante (faceva questa affermazione in un altro senso, ma può valere anche in questo caso) così si esprimeva: «Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?». Lo diceva dal punto di vista del controllo, ma anche del fatto che la legge è una dichiarazione di volontà: se poi dietro ad essa non vi è una volontà politica o un paese che è convinto dell'utilità di queste iniziative, la cooperazione allo sviluppo (mi riferisco ad esempio a quella ipotizzata dei privati) diventa una sorta di dichiarazione pura e semplice. Mi viene in mente quando in chiesa si davano le cinquanta o le dieci lire quasi per togliersi il problema, ma non risolvere il problema. Non si può pensare di far parte di una chiesa e di non mantenerla. Non si può pensare di risolvere un problema di queste dimensioni senza gli sforzi economici previsti. Allora, è vero, ci saranno anche 20 mila miliardi, ma per la difesa del paese quanti miliardi impieghiamo, visto che - sia ben chiaro - sono necessari? Perché non consideriamo che il problema della cooperazione allo sviluppo è un problema che interessa tutto il paese non per ragioni umanitarie, ma per ragioni di un umanitarismo più alto, più elevato, più filosofico, più concettuale e - consentitemi - anche più interessato. Non sono contraddizioni in termini. Dunque, credo che il problema debba essere affrontato con una normativa attenta.
Esprimo anch'io, non per formalità, un ringraziamento al collega Pezzoni per il lavoro svolto, per la disponibilità all'attività emendativa in Commissione, per lo studio effettuato su questo problema e per il non facile lavoro di sistemazione. Infatti, quando si tratta di mettere insieme più volontà, il compromesso può avere successo, ma può essere anche estremamente difficile o non produrre un risultato. Credo però che nemmeno il collega Pezzoni, che ha studiato questa legge a fondo - certo, più di me -, ci possa dire se questa legge avrà pieno successo oppure se non ha difetti, perché, essendo una legge, dovrà essere applicata sulla base di fatti legati alle strutture burocratiche, ai gruppi di potere, ai gruppi di pressione ed altro, come sempre è avvenuto. Si tratta di quelle pressioni che hanno determinato gli scandali che il collega Calzavara ha ricordato, che hanno rappresentato un colpo mortale per la cooperazione italiana.
Abbiamo di fronte la crisi delle Nazioni Unite. Noi non vediamo più nelle Nazioni Unite un grande, autorevole, importante ed efficace strumento. Chi prevede gli sviluppi futuri delle Nazioni Unite ritiene che queste rischino di diventare sempre più burocratizzate, strumentali a se stesse. Infatti, non a caso, le grandi decisioni economiche vengono prese dal gruppo dei sette più uno o degli otto, se volete, che rappresentano la volontà degli Stati più grandi che si sostituiscono all'ONU a fronte dell'incapacità - lo dico senza fare una critica negativa, ma come una constatazione - di quest'ultima di affrontare questi problemi attraverso le sue agenzie diventate ormai troppo burocratiche, o attraverso lo stesso Fondo monetario internazionale. In particolare, si reclama la riconversione e la riforma di quest'ultimo nell'ambito di una revisione più generale dell'intera politica finanziaria monetaria ed economica scaturita dagli accordi di Bretton Woods che ormai sono troppo datati per essere ancora alla base del nostro sistema e che, soprattutto dopo il 1972, dopo lo sganciamento del dollaro dall'oro operato da Nixon, pur rappresentando ancora un elemento di coordinamento
La proposta di legge dice tante cose. È stata illustrata dal relatore e, essendo in discussione generale, non entro nel merito dei singoli passaggi. Mi pongo però la domanda se questo provvedimento risponda agli scopi che la saggistica, la cultura, la politica, l'economia internazionale ci pongono come obiettivi da perseguire se vogliamo affrontare i problemi dello sviluppo. Non lo dico per quanto riguarda i problemi di rapporto con gli altri paesi, perché è chiaro che questi sono il frutto di una volontà politica.
Il fatto di porre condizionamenti politici per l'aiuto può essere considerato negativamente da qualcuno, come è avvenuto in Commissione, quasi fosse una violazione dell'autonomia di uno Stato, o positivamente da altri, in quanto strumento se vogliamo cogente per ottenere dagli Stati quanto riteniamo ormai essenziale: la tutela dei diritti dell'uomo, il rispetto di determinate regole e al tempo stesso, anche se meno perché è più difficile da realizzare, l'institution building. Quest'ultimo è il tentativo di fare in modo che i vari Stati non abbiano le caratteristiche - di cui il sottosegretario Serri ci ha parlato qualche volta - che hanno la Somalia e in misura minore l'Eritrea, ma che comunque caratterizzano un'area dove ormai lo Stato non esiste e quindi non vi è nemmeno più un interlocutore.
Vi è un potenziamento per le organizzazioni non governative, che a livello mondiale sono riconosciute come strumento importante? Mi sembra di sì. Vi è, inoltre, se consideriamo i documenti dell'Unione europea, il richiamo alla funzione degli enti locali. Vorrei che anche a tale proposito avessimo la saggezza di valutare il problema nei suoi termini effettivi, senza le mitizzazioni che portano a grandi delusioni e ad inefficienza: quindi, è positivo che sia presente nel provvedimento la cooperazione decentrata. Mi auguro che, come è giusto che sia, il provvedimento preveda le opportunità: saranno poi i protagonisti a gestirle e sappiamo che ciò corrisponde ad un orientamento generale della pubblicistica, della politica, dell'economia internazionale.
Ebbene, colleghi, la domanda molto semplice che ci si pone alla fine di queste valutazioni è se il provvedimento in esame risponda a questi criteri, che non sono miei ma che rappresentano l'atteggiamento di istituzioni internazionali, operatori, studiosi, economisti, politici. Credo che si possa rispondere osservando che il provvedimento entra in questa cultura: lo fa adeguando le esigenze della legislazione alla situazione del nostro paese; lo fa, però, cercando di individuare, per esempio, una grande separazione tra la gestione della politica estera e la gestione della cooperazione. Sono pienamente d'accordo, peraltro, con i colleghi che mi hanno preceduto, sul fatto che la politica estera e la cooperazione siano le due facce (forse anche a più facce) di una realtà che deve essere omogenea ed organica se vogliamo evitare le dispersioni, le incompatibilità e, quindi, le difficoltà di portare avanti complessivamente una politica estera che tenga conto delle varie situazioni e non sia limitata a compartimenti stagni, divenendo assolutamente provinciale, legata a singoli fatti.
Anche noi dobbiamo cercare di evitare di essere provinciali nel valutare il provvedimento in esame, che sarà pure incompleto, ma che d'altronde lo sarà sempre: chiaramente, però, vi sono possibilità emendative - il collega Niccolini lo ha già sottolineato - e d'altro canto il miglioramento attraverso gli emendamenti è utile per tutti i provvedimenti. Il collega Pezzoni è stato molto attento ai propositi emendativi, anche dell'opposizione, ha recepito molti suggerimenti, ha riformulato molti testi di articoli per dare un esito, se non totale, almeno parziale e comunque collaborativo ad un'attività che ritengo di poter valutare positivamente.
Concludo, signor Presidente, con due altre osservazioni. La prima: o riusciamo a realizzare, in tempi che siano compatibili con l'esigenza di affrontare i problemi,
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.


