Allegato B
Seduta n. 784 del 5/10/2000


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AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

OLIVIERI e SCHMID. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
numerosi cittadini extracomunitari segnalano alle associazioni di accoglienza del nostro Paese le grandi difficoltà da loro incontrate nell'accesso alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero ed in particolare agli uffici preposti al rilascio di visti d'ingresso. Le segnalazioni riguardano in particolare gli uffici che si trovano in molti Paesi in via di sviluppo, dai quali proviene la maggior parte degli stranieri immigrati nel nostro territorio nazionale: Nord Africa (rappresentanze italiane in Algeria, Tunisia, Marocco), paesi balcanici (Albania, Romania, Moldavia, Ucraina, Russia), medio oriente (in particolare, il Pakistan);
sono state più volte segnalate da parte di cittadini pakistani residenti in Italia, episodi di richieste di ingenti somme di denaro (2-3 milioni di lire) ai loro danni, al fine di ottenere in breve tempo un appuntamento presso l'Ufficio Visti dell'Ambasciata di Islamabad e assicurare che la pratica trovi spedito svolgimento. Tali richieste sarebbero effettuate da personale di nazionalità pakistana assunto presso l'Ambasciata, oltre che da individui esterni, operanti nella città come liberi professionisti in attività (almeno parzialmente) lecite. I cittadini pakistani in possesso di nulla osta al ricongiungimento familiare, trovano grandi difficoltà a seguire le procedure ordinarie di accesso all'Ufficio Visti per inoltrare l'istanza di rilascio di visto di ingresso e così poter completare la procedura, lo stesso dicasi per cittadini pakistani in possesso di nulla osta finalizzato all'ingresso per ricerca di lavoro ex articolo 23 del decreto legislativo 286/98;
vengono in particolare segnalate le pressanti richieste di denaro dei notai pakistani addetti, per l'Ambasciata, a provvedere all'accertamento della legittimità degli atti di stato civile dei famigliari da ricongiungersi che chiedono il visto d'ingresso. Gli atti di matrimonio o filiazione verrebbero dichiarati non legittimi dal notaio qualora i familiari non pagassero cifre di denaro corrispondenti a 2-3 milioni di lire. Risulta di evidente difficoltà offrire i necessari riscontri documentali o testimoniali di tali affermazioni, visto il timore degli interessi e delle loro famiglie di essere vittime di ritorsioni da parte di individui senza scrupoli o di essere penalizzati nell'esito delle procedure in corso o da avviare presso l'Ambasciata;


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i notevoli ostacoli a seguire la procedura ordinaria di accesso all'Ufficio Visti dell'Ambasciata di Islamabad possono favorire i fenomeni segnalati -:
se il Ministro era al corrente della situazione di pesante difficoltà incontrate dai cittadini extracomunitari per avere accesso alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero ed in particolare agli uffici preposti al rilascio di visti d'ingresso in molti Paesi in via di sviluppo;
se possieda informazioni circa gli «affari non sempre alla luce del sole» che si tengono attorno alle pratiche per l'ottenimento di visti d'ingresso e che si svolgerebbero all'interno e nei pressi degli uffici consolari italiani all'estero sottraendo ingiustamente considerevoli somme di denaro ai cittadini stranieri che vi si rivolgono per adempiere agli obblighi di legge;
quali misure intenda intraprendere per avere, qualora non fosse già in suo possesso, un chiaro quadro della situazione e per giungere ad una maggior tutela dei diritti dei cittadini extracomunitari che intendono giungere in Italia;
quali misure intenda mettere in atto attraverso i propri uffici per instaurare rapporti con i Paesi di provenienza degli extracomunitari per rendere trasparente il rilascio di visti d'ingresso ed impedire che le difficoltà riscontrate per far fronte a queste procedure burocratiche siano occasione per illecite richieste di denaro da parte di impiegati e persone che operano nei pressi dei consolati.
(5-08302)

RUZZANTE. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il cittadino italiano Giorgio Egidio Cappon, emigrato all'inizio degli anni '80 in Madagascar per ragioni di lavoro, è morto in quel Paese in circostanze ancora misteriose il 1o settembre 1995 a seguito di ferita da arma da fuoco;
le circostanze, la dinamica e le responsabilità della morte non sono ancora state stabilite dalla giustizia del Madagascar e, in base alla versione dei fatti forniti dalla moglie di Cappon (Revelomanantsoa Sahondra Eliane Anna, cittadina italiana dal 3 luglio 1999), emergevano con tutta evidenza le grosse responsabilità a carico di una pattuglia della Gendarmeria Nazionale intervenuta sul posto la notte del 1o settembre 1995;
contro la Gendarmeria Nazionale la moglie di Cappon ha presentato denuncia per «omicidio e non assistenza a persona in pericolo» e ha reso nota all'Ambasciatore d'Italia in Madagascar la tragica vicenda indicando, in modo dettagliato, come la pattuglia della Gendarmeria Nazionale abbia sparato senza motivo sul marito;
dalla versione dei fatti contenuta nella denuncia e nella comunicazione all'Ambasciatore d'Italia in Madagascar, si legga come non solo i gendarmi abbiano aperto il fuoco senza motivo, ma si siano poi affrettati ad abbandonare il luogo della tragedia senza prestare nessuna assistenza al ferito che di li a poco è spirato tra le braccia della moglie;
tale denuncia è stata poi ripresa dai signori Cappon Sergio, Cappon Gabriella, Cappon Loretta e Cappon Marisa, fratelli del defunto, in un esposto rivolto al Ministro degli affari esteri il 25 settembre 1995 dove si auspicava un fermo intervento nei confronti delle autorità del Madagascar per fare piena luce sull'episodio;
il 18 ottobre 1995 il ministro assicurava il suo interessamento per l'accertamento della verità e segnalava anche l'interessamento dell'Ambasciata italiana in Madagascar per seguire gli sviluppi della vicenda nonché per prestare la necessaria assistenza ai famigliari di Cappon rimasti in Madagascar;
il 27 marzo 1996 i fratelli Cappon, in un'altra comunicazione diretta al Ministro degli affari esteri, esprimevano la loro insoddisfazione per le scarse azioni diplomatiche poste in essere dall'Ambasciata italiana in Madagascar ai fini di far emergere i responsabili;


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il 10 giugno 1996 il ministro rispondeva a tale comunicazione assicurando l'interessamento continuo e confermando come le indagini delle autorità locali fossero ancora in corso e che il reo confesso dell'uccisione era stato arrestato;
da tale data non è giunta più alcuna notizia ai familiari di Cappon sulla vicenda, per cui non è dato loro sapere a che punto sia l'istruttoria o se sia stato iniziato un procedimento penale nei confronti di qualcuno -:
se il Ministro degli affari esteri intenda fornire ai familiari di Giorgio Egidio Cappon alcuni aggiornamenti sulla vicenda, dato che per quasi quattro anni i parenti del defunto non sanno se i responsabili siano stati assicurati alla giustizia;
quali iniziative diplomatiche intenda porre in essere nel caso in cui i responsabili non siano ancora stati individuati dalle autorità del Madagascar;
se sussista la possibilità per la vedova Cappon di ottenere alcune misure di sostegno ed assistenza, date le difficili condizioni economiche in cui versa tale famiglia dopo la morte del marito.
(5-08305)

Interrogazione a risposta scritta:

DUILIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
un accordo intervenuto di recente fra Stati Uniti e Germania ha dato avvio alla procedura di risarcimento del lavoro coatto nella Germania nazista;
sulla Gazzetta Ufficiale tedesca il 12 agosto 2000 è stato pubblicato il testo di legge che disciplina il risarcimento;
tale testo di legge non salvaguarda i diritti di chi è deceduto prima del 15 febbraio 1999;
nell'escludere dal risarcimento i «prigionieri di guerra», il testo esclude gli italiani, dimenticando che tale status non è mai stato riconosciuto agli italiani stessi, qualificati come Imi (internati militari) e costretti al lavoro schiavistico;
dall'inizio di settembre ha cominciato ad operare l'ente indicato dalla Fondazione tedesca istituita dalla legge predetta, che per quanto concerne il nostro Paese tale ente è lo Iom (international organization for migration) e che dal mese di settembre si è aperta una finestra di due mesi entro i quali lo Iom darà risonanza alle sue iniziative cui seguiranno dieci mesi entro i quali dovrà concludersi l'attività di ricognizione;
tenuto inoltre presente che i criteri di ammissione all'indennizzo sono molto rigidi e privilegiano soltanto i documenti di origine tedesca del 1943/465;
considerata infine la perizia del dottor Gerhard Schreiber, massimo storico tedesco sugli internati e già collaboratore dell'ufficio storico della Bundeswehr di Friburgo fatta pervenire all'Istituto di storia contemporanea Pier Amato Perretta, attestante che gli Internati militari italiani (Imi) non sono da considerare prigionieri di guerra e quindi non vi sarebbe possibilità di rimborso-:
si chiede se il Governo abbia intenzione di compiere passi ufficiali al fine di favorire il giusto risarcimento a quanti italiani, furono deportati in Germania negli anni 43/45 per svolgere lavoro schiavistico agli ordini della Germania nazista.
(4-31793)