Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 777 del 26/9/2000
Back Index Forward

TESTO AGGIORNATO AL 27 SETTEMBRE 2000


Pag. 130


...
(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 4462)

PRESIDENTE. Passiamo dunque alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, riassumerò molto brevemente le motivazioni per le quali il Centro cristiano democratico, con rammarico ed anche con un po' di tristezza, voterà contro quella che in questa legislatura avrebbe dovuto essere una delle riforme fondamentali della Costituzione portate avanti dalla bicamerale.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE (ore 19,30)

CARLO GIOVANARDI. In realtà, chi ha assistito a questi giorni di lavoro si sarà reso conto che si tratta di una riforma affrettata e poco meditata sia nelle sue linee ispiratrici, sia nella terminologia giuridica che è stata usata.
Gli articoli da modificare, come una fisarmonica, si sono allargati e ristretti. Oggi ci siamo trovati di fronte in maniera estemporanea all'abrogazione di altri articoli della Costituzione vigente: scelte che una volta sarebbero state meditate ed avrebbero portato alla conclusione di un ampio dibattito e di una convergenza tra le forze politiche, sono state approvate a strettissima maggioranza, qualche volta...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Giovanardi: vorrei che lei parlasse quando coloro che restano la ascoltano. Lasciamo sgombrare un attimo l'aula e poi riprenderà il suo intervento, in modo tale che quelli che si fermano, come dicevo, siano in grado di ascoltarla.
Prego, onorevole Giovanardi.


Pag. 131

CARLO GIOVANARDI. Come stavo dicendo, il risultato del lavoro è sotto gli occhi di tutti: un qualcosa di assolutamente estemporaneo che ha oscillato tra aperture come quella cui abbiamo assistito oggi, con la cancellazione della presenza del commissario del Governo anche agli effetti del coordinamento dei lavori delle amministrazioni residue dello Stato o del coordinamento con le attività delle regioni, e chiusure immotivate come quella sulla sussidiarietà orizzontale, con la negazione del riconoscimento di questo principio, che pure ha tenuto banco a livello di dibattito politico nel paese, ma che è uscito da questi lavori con l'accoglimento di una dizione - il termine «favorire» - che sicuramente non tranquillizza su come sarà utilizzata questa riforma costituzionale, semmai dovesse approdare in questa legislatura ad un'approvazione.
Anche la riforma dell'articolo 117 è stata francamente contraddittoria. La suddivisione di competenze tra Stato e regioni e le materie concorrenti non sono riuscite a determinare quel chiarimento nell'ambito di funzioni statali, funzioni regionali ed autonomie che avrebbe veramente consentito di andare nella direzione di un federalismo maturo.
Oggi, del resto, ancora una volta in maniera contraddittoria, mentre si è avuta un'accelerazione con l'eliminazione di alcuni articoli della Costituzione, si sono poi accolte delle norme che ampliano a dismisura la possibilità d'intervento dello Stato, in maniera da permettere a quest'ultimo di scavalcare le stesse disposizioni introdotte a garanzia dell'autonomia delle regioni e dando la possibilità allo Stato di intervenire in maniera discrezionale, qualora lo ritenga opportuno, non soltanto in casi eccezionali di calamità, ma anche per far fronte a questioni che vanno ben al di là di quel minimo che avevamo approvato, di quei servizi essenziali da garantire ad ogni cittadino su tutto il territorio nazionale. Questo è un principio giusto del federalismo, che però in questo modo si trasforma ancora una volta nella possibilità per lo Stato di intervenire anche là dove questa piccola riforma non avrebbe conferito ad esso delle competenze.
Anche noi allora sappiamo, ahimè, che forse quello che abbiamo vissuto in questi giorni non è un processo di riforma costituzionale: è una rappresentazione, una sceneggiata fatta per far credere al paese che il centrosinistra ha un progetto da portare avanti.
Fino ad una settimana fa questo progetto di legge era pomposamente chiamato federalista anche nel titolo. La maschera poi è caduta e la stessa maggioranza ha dovuto ammettere che non si tratta di federalismo, ma soltanto di un aggiustamento delle competenze, senza che si affrontino i temi decisivi che abbiamo tentato di introdurre nel dibattito, come quelli della riforma costituzionale e della Camera delle regioni, un processo quindi che portasse veramente a qualcosa che assomigliasse ad uno Stato federalista.
Si è trattato, quindi, di una rappresentazione, di una sceneggiata: credo, infatti, che nessuno nella maggioranza possa pensare che una doppia lettura del testo in esame possa trasformarlo in legge. Penso che gli stessi esponenti della maggioranza, compresi i relatori, avrebbero molto da temere se la Costituzione venisse modificata in questa maniera - scusate se uso un termine un po' pesante - dilettantesca, considerato il modo in cui le norme sono state elaborate.
Per tali motivazioni, pur avendo contribuito al dibattito, pur non essendoci sottratti al nostro dovere di tentare di emendare e migliorare il testo, pur avendo votato a favore di alcuni principi, come quello di sussidiarietà vera per garantire l'essenzialità ed il minimo delle prestazioni a tutti i cittadini, le chiusure della maggioranza sui cinque emendamenti fondamentali della Casa delle libertà; il «no» ripetuto ed insistito alla possibilità che il processo costituente coinvolgesse non solo la maggioranza ma anche l'opposizione; il voler tagliare fuori metà del Parlamento, come abbiamo visto oggi, dal processo costituente; il voler sancire il principio che in ogni legislatura basti una maggioranza


Pag. 132

semplice e risicata per cambiare la Costituzione (principio pericolosissimo, come abbiamo ricordato all'onorevole D'Alema, perché significherebbe che fra sei mesi saremmo noi che nuovamente, a maggioranza, potremmo cambiare il testo che eventualmente venisse approvato dal Parlamento); il combinato disposto di tali ragioni, che ho sostenuto con pacatezza ma anche con determinazione, ci induce ad annunciare, con molta chiarezza e decisione, un voto contrario su quella che non consideriamo una riforma costituzionale seria (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.
Onorevole Calderisi, ha cinque minuti.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, la riforma della Costituzione, per quanto riguarda la forma dello Stato, è un'urgente necessità per il nostro paese, ma è una riforma che richiede una meditazione, un preciso disegno riformatore, pesi e contrappesi, bilanciamenti. Mi sembra che tutto ciò manchi in tale riforma, fatta in un momento e con obiettivi preelettorali che ne minano alla base le fondamenta.
Vi sono carenze in questo modo di procedere. Desidero anzitutto sollevare la questione della mancanza di un altro aspetto che, a mio avviso, è urgente affrontare. Abbiamo già modificato, con apposita riforma costituzionale, una disciplina importante, prevedendo l'elezione diretta dei presidenti delle regioni. Ebbene, prima di procedere ad un trasferimento di competenze e di funzioni alle regioni e agli enti territoriali, sarebbe stato e sarebbe necessario almeno un rafforzamento dell'esecutivo nazionale. Ho presentato emendamenti per la riforma complessiva della forma di Governo: se non questa strada, a mio avviso, almeno misure di rafforzamento dell'esecutivo sarebbero necessarie prima di procedere ulteriormente sul terreno del passaggio di competenze a regioni ed enti territoriali.
Anche a prescindere da tale aspetto, vi sono carenze gravi nel disegno riformatore - chiamiamolo così - che è stato perseguito. Abbiamo posto alcune questioni fra le quali, anzitutto, l'assenza nel provvedimento del principio di sussidiarietà orizzontale o sociale. È necessario capire bene quale sia il disegno di ridistribuzione dei poteri; in una situazione come quella italiana, di squilibrio del rapporto pubblico-privato, penso sia fondamentale e prioritario porre un limite all'intervento dei pubblici poteri, della mano pubblica, onde mettere fine alla distorsione esistente nel rapporto pubblico-privato, dopodiché si dovrà provvedere al passaggio di competenze dallo Stato alle regioni ed agli enti territoriali.
Come abbiamo denunciato, i cittadini rischiano conflitti di competenza, moltiplicazione delle burocrazie, aumento dell'eccesso di regolazione normativa, aumento dei costi e degli sprechi, senza il principio di sussidiarietà. È stato quindi molto grave che da parte della maggioranza sia stato espresso un rifiuto a procedere su questa strada e che si sia approvata una norma che non ha nulla a che vedere con la sussidiarietà, ma che rischia solo di favorire un problema di sussidi. L'emendamento Boato rischia di essere solo una questione di sussidi, che è tutt'altra cosa, anzi è l'opposto del principio liberale della sussidiarietà, per cui la mano pubblica ha un limite nella possibilità di impicciarsi di questioni delle quali non dovrebbe occuparsi e che dovrebbero essere lasciate all'autonomia della società civile, dei privati.
La questione della mancanza di una Camera delle autonomie, di una Camera delle regioni, non è pensabile: infatti, qualunque Stato federale prevede una Camera delle autonomie come snodo e come garanzia del processo di passaggio di competenze, per evitare anche il problema di conflitti di competenza che rischierebbero poi di ricadere sulla testa dei cittadini. Non aver previsto la Camera delle autonomie è stata ed è, a mio avviso, un'altra carenza enorme, che rischia poi di vanificare tutto il problema del passaggio


Pag. 133

di competenze non essendo stata introdotta una «difesa» ed una ben chiara delimitazione delle competenze attraverso la sede di garanzie e di assunzione di responsabilità.
L'altra questione di fondo è che un processo di passaggio di competenze e di modifica della forma di Stato in direzione federalista deve avvenire nel rispetto del principio di responsabilità politica; altrimenti, rischieremmo davvero di combinare dei grandi guai e di accrescere le disfunzioni del nostro ordinamento, anziché provvedere ad una loro soluzione.
Nel testo della proposta di legge costituzionale mancano poi altri aspetti essenziali: sia quello della modifica di alcune norme del titolo VI della seconda parte della Costituzione relativo alle garanzie per quanto riguarda l'accesso alla Corte costituzionale da parte di comuni, province e regioni, sia quello della modifica della composizione della Corte costituzionale.
Il testo in esame presenta pertanto gravi carenze che provocano grandi squilibri. Si tratta di una riforma monca e - ripeto - fatta senza un chiaro disegno riformatore meditato e fatta in clima prelettorale. È una riforma quindi che in questi termini non rappresenta un fatto positivo anche per le regioni, ma un fatto negativo che occorrerebbe assolutamente evitare (Applausi dei deputati del gruppo misto-Patto Segni riformatori liberaldemocratici).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.

KARL ZELLER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a giudizio della Südtiroler Volkspartei, il testo in esame presenta alcune luci ma anche parecchie ombre. Non costituisce certamente una riforma dell'ordinamento nel senso di un federalismo compiuto paragonabile a quello di altri Stati autenticamente federali. Manca innanzitutto una Camera delle regioni che potrebbe rappresentare gli interessi delle regioni e fungere da contrappeso al Parlamento nazionale.
Un grave difetto della legge è indubbiamente rappresentato dal mancato coinvolgimento delle regioni nell'elezione dei giudici costituzionali.
Anche sul piano delle competenze assegnate alle regioni, il testo in esame non è del tutto soddisfacente. Molto opportunamente è quindi stato soppresso il titolo ordinamento federale della Repubblica!
È però innegabile che, rispetto al testo della Commissione bicamerale, la Commissione affari costituzionali abbia apportato miglioramenti significativi: ad esempio, sostituendo il termine «disciplina generale» quale limite per la legislazione concorrente con «principi fondamentali delle leggi dello Stato». In tal modo si è evitato un peggioramento della situazione attuale!
Purtroppo, il testo della Commissione durante i lavori dell'Assemblea è stato modificato, accentuando i poteri dello Stato per esempio nei settori dell'istruzione, dei beni culturali, del governo del territorio, dell'ambiente e della previdenza sociale; materie queste che andavano indubbiamente assegnate alle regioni almeno come competenze concorrenti.
La presente riforma fortunatamente non costituisce però un passo indietro ma l'Assemblea, a nostro parere, poteva essere più coraggiosa e più fiduciosa nei confronti delle regioni.
Dal punto di vista delle regioni a statuto speciale, prendiamo atto con soddisfazione che le ragioni della specialità sono state confermate. In particolare per la regione Trentino-Alto Adige e per la regione Valle d'Aosta è stata introdotta la doppia denominazione in lingua tedesca e lingua francese: Trentino-Alto Adige-Südtirol e Vallée d'Aoste.
È stato inoltre riconosciuto il nuovo assetto della nostra regione accentuando il ruolo centrale delle due province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti della regione. Come punti significativi positivi sono altresì da nominare l'abolizione del visto governativo, il rafforzamento delle competenze esclusive con l'eliminazione del limite delle riforme economico-sociali che consentirà alle nostre


Pag. 134

due province di esercitare più liberamente le proprie competenze esclusive in questa materia come, per esempio, l'artigianato e il turismo, nonché l'abolizione del limite dei principi fondamentali delle leggi dello Stato in parecchie materie attualmente di competenza concorrente come polizia locale, commercio e industria. Tali competenze concorrenti, dopo l'entrata in vigore di questo testo diventeranno competenze esclusive.
Particolarmente importante per la nostra terra, ma anche per le altre regioni è l'eliminazione della figura del commissario del Governo nella Costituzione e la norma transitoria che consentirà alle regioni a statuto speciale di esercitare nuovi poteri subito dopo l'entrata in vigore di questo testo. Siamo quindi consapevoli che non siamo di fronte alla grande riforma in senso federale, riconosciamo però che questa Assemblea ha fatto un primo passo in tale direzione anche se si potevano fare dei passi più coraggiosi e forse più significativi. Non era forse possibile, data la ristrettezza dei tempi a nostra disposizione e anche dato l'atteggiamento dell'opposizione, varare una riforma di più ampio respiro. Consideriamo quindi che il provvedimento in esame sia semplicemente un primo passo da completare nel prossimo futuro, auspichiamo comunque un miglioramento del testo nell'ulteriore corso che speriamo si concluda entro questa legislatura (Applausi dei deputati del gruppo misto minoranze linguistiche).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tassone, che ha cinque minuti. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, nei cinque minuti dichiaro il mio voto contrario su questo disegno di legge di revisione costituzionale.
A dire la verità, signor Presidente, noi diamo una valutazione estremamente preoccupata. Questa doveva essere la legislatura delle grandi riforme e delle grandi modifiche costituzionali, della rivisitazione di tutto l'impianto ordinamentale del nostro paese. Ci siamo ridotti invece a fare una riforma di scarsa entità, di scarso tono e con gravi limitazioni. Non credo che ci troviamo di fronte ad una riforma federale del nostro paese. Molti sono gli appuntamenti mancati. Questo deve essere registrato e detto in questo momento.
Una grande riforma non nasce attraverso colpi di maggioranza. Questo fa saltare tutta l'impostazione offerta dalla maggioranza all'inizio di questa legislatura quando la maggioranza dell'Ulivo aveva dichiarato al paese e al Parlamento che intendeva fare le grandi riforme con il consenso e con l'apporto di tutti. Se non c'è l'apporto di tutta la Camera e di tutte le forze politiche presenti nel Parlamento, nascono queste piccole riforme e queste «riformette» che certamente non soddisfano nessuno e non danno alcuna risposta al nostro paese.
Ovviamente, dovevamo affrontare il processo riformatore a livello istituzionale e capire quale identità dare al nostro paese. Invece siamo andati avanti con piccole riforme che hanno complicato la situazione del nostro paese. Faccio riferimento all'elezione diretta del presidente della regione. Nella prossima legislatura quella legge di modifica costituzionale va rivista perché non è possibile mantenere una situazione in cui il presidente della regione tiene in ostaggio l'assemblea elettiva. Non è possibile far contare di più i voti che ottiene il presidente della regione rispetto ai voti che ottengono le assemblee elette: ritengo che tutto ciò vada modificato, perché indubbiamente dobbiamo andare nella direzione di un'esaltazione delle pluralità e della partecipazione, ma soprattutto del rispetto dei cittadini e del loro voto.
Analogamente, la riforma che stiamo per votare non tiene in alcun conto un passaggio importante che è stato più volte richiamato nel corso della discussione: mi riferisco alla sussidiarietà, che è stata travolta e stravolta rispetto al significato che volevamo darle. La sussidiarietà non deve essere sotto controllo, non è quella che viene fuori attraverso un'elargizione


Pag. 135

del pubblico; la sussidiarietà, per come la intendiamo, è un dato culturale diverso, all'opposto dell'impostazione che è stata data alle norme in esame. La sussidiarietà deve lasciare la libertà e gli spazi ai cittadini, ai volontari e così via: dove non ce la fa lo Stato, si deve dare la possibilità ai cittadini di colmare le lacune ed i vuoti.
Ritengo che questo dato nasca da una valutazione profonda e da una determinata cultura, in un momento in cui il concetto sembra essere scomparso anche nei partiti che dovrebbero coerentemente tenere una certa posizione in aula: mi riferisco, in particolare, ai colleghi popolari. Senza alcuna polemica, osservo che il PPI si è adattato ed adeguato all'impostazione di altri: capisco le impostazioni di altri sul piano culturale e politico, ma quello che non riesco a capire è perché, anche su questo, il PPI abbia abdicato ad un suo ruolo e ad una sua posizione, smentendo il suo passato e soprattutto mortificando la sua storia, con l'abbandono al naufragio di una cultura che non gli è propria.
Ecco, signor Presidente, ritengo che quella in esame sia una riforma monca e minimale, che certamente non soddisfa nessuno. Quando parliamo di federalismo, vi sono varie interpretazioni che possono adottare dall'ipotesi della confederazione a quella della federazione: non sono assolutamente d'accordo con chi, anche in quest'aula, attraverso l'attività emendativa, ha voluto esaltare le separazioni e le distinzioni forti e marcate. In realtà, non si prevede una confederazione, perché le regioni non possono essere degli Stati autonomi: forse è mancato un certo equilibrio tra chi spingeva in una certa direzione ed altri che, invece, erano in una posizione difensiva. È mancata una posizione mediana che poteva emergere attraverso un grande confronto e una grande partecipazione del Parlamento e del paese.
È una riforma sotto tono, alla quale non ci sentiamo di dare il nostro voto, con la speranza che il nostro atteggiamento serva a far riflettere: le riforme monche, come quella sui presidenti delle regioni, quella ora in esame ed altre piccole e modeste riforme non risolvono i problemi del paese, ma li aggravano in un groviglio inestricabile di difficoltà che ci ritroveremo tutte per intero nel prossimo futuro (Applausi dei deputati del gruppo misto-CDU).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signora carissima presidente della Commissione affari costituzionali, colleghi, credo che, sia pure da punti di vista diversi, stiamo riconoscendo tutti, o quasi tutti, l'importanza di questa riforma costituzionale del titolo V della Costituzione che riguarda l'intero sistema delle regioni e delle autonomie.
Certo non è il federalismo compiuto, ma è una decisiva, anche se parziale, riforma costituzionale nella direzione del federalismo. Sarebbe stato auspicabile, certamente, un disegno organico di riforma dell'intera seconda parte della Costituzione, in materia di forma di Stato e di Governo, di bicameralismo e di sistema delle garanzie, ma questo processo di riforma organica è stato bloccato dai rappresentanti del Polo in quest'aula il 2 giugno 1998. Ormai da un anno, il processo riformatore è ripreso, ma per segmenti e secondo le procedure ordinarie dell'articolo 138 della Costituzione: due importanti riforme le abbiamo già approvate in materia di giusto processo e di autonomia statutaria delle regioni, altre sono in itinere.
Dopo l'elezione diretta dei presidenti delle regioni e l'autonomia statutaria delle regioni, già introdotte in Costituzione, abbiamo determinati capisaldi della riforma che stiamo per approvare oggi.
La Repubblica è costituita da comuni, province e città metropolitane, regioni e Stato e a tutti questi enti è riconosciuta l'autonomia statutaria, anche se le regioni l'avevano già, in base alla precedente riforma. L'attuale articolo 117 della Costituzione viene rovesciato invertendo il criterio delle competenze e attribuendo


Pag. 136

precise competenze allo Stato, indicando quelle concorrenti nonché attribuendo tutte le altre residue competenze, che sono vastissime, in modo primario alle regioni. È anche affermato il ruolo delle regioni all'interno del processo ascendente e del processo discendente della formazione degli atti comunitari in sede di Unione europea. Vengono confermate le cinque regioni a statuto speciale, ma all'articolo 116 viene aggiunto un comma che apre un processo ulteriore verso le autonomie differenziate. Viene introdotto in Costituzione il principio di sussidiarietà in modo esplicito - poiché i capisaldi erano già implicitamente contenuti nei principi fondamentali della Costituzione - all'articolo 118, sia per quanto riguarda la sussidiarietà istituzionale sia per quanto riguarda la sussidiarietà sociale, con formulazioni che riecheggiano quasi testualmente gli emendamenti proposti alla Commissione affari costituzionali anche da associazioni del privato sociale esterne al Parlamento. Viene superato il sistema precedente dei controlli e viene previsto, invece, come unico sistema di garanzia, il ricorso incrociato di regioni e Governo rispetto a invasioni di campo, questioni di costituzionalità con ricorso diretto alla Corte costituzionale. Viene istituito il Consiglio delle autonomie locali presso tutte le regioni. Viene data la possibilità con i regolamenti di integrare la Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle regioni e del sistema delle autonomie. Viene previsto con norma transitoria che ci possa essere un immediato adeguamento delle competenze delle regioni a statuto speciale alle norme più favorevoli previste in questo testo di legge costituzionale e tutto ciò anche prima di un'ulteriore riforma degli statuti speciali, mentre è ormai giunta a compimento l'approvazione definitiva della legge costituzionale di riforma degli statuti speciali in materia di forma di Governo.
Certo, signor Presidente, colleghi, restano aperti una serie di problemi di carattere generale, bisognerà arrivare ad una forma di bicameralismo differenziato e rafforzare la forma di Governo; bisognerà rafforzare il sistema delle garanzie costituzionali. Se nell'attuale legislatura porteremo a conclusione tale compito, tutto il resto sarà il compito che lasceremo come impegno ed eredità alla prossima legislatura. La riforma è stata sicuramente voluta con determinazione dalla maggioranza, con un confronto anche aspro con le opposizioni che hanno cercato di bloccarla. Ma prima di tutto è stata sollecitata dall'intero sistema delle regioni, dei comuni e delle province italiane.
Abbiamo sentito più volte in quest'aula, signor Presidente, colleghi, un preannuncio, quasi una minaccia da parte di esponenti del Polo - che rispetto, ma dei quali non condivido le posizioni - di referendum non appena la proposta di legge arrivasse a compimento del secondo voto. Un referendum previsto esplicitamente dall'articolo 138 della Costituzione, quindi legittimamente proponibile secondo le procedure ivi previste.
Dichiaro pubblicamente in quest'aula che noi non abbiamo alcun problema di fronte ad un eventuale referendum di questo tipo. Evidentemente non si tratterà di un referendum comunista, come sono stati definiti dal leader del polo i referendum dell'epoca recente promossi dai radicali ed altri; sarà un referendum costituzionale. Non ci crea alcun problema, non abbiamo alcun timore di un eventuale referendum sulla materia, siamo convinti che la maggioranza dei cittadini italiani, se chiamata a pronunciarsi, approverà questa riforma costituzionale che è essenziale per il nostro paese, per la nostra Repubblica e che è stata richiesta ed esatta, in qualche modo, come essenziale dalle stesse regioni, dalle province, dai comuni del nostro paese. In questo momento il Parlamento sta esercitando nella propria pienezza i suoi compiti, diritti e doveri costituzionali. Per questi motivi esprimeremo un voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.


Pag. 137

MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, in questi giorni su questo argomento abbiamo assistito in quest'aula ad un vero e proprio gioco delle parti, in cui ognuno recitava la parte che gli era stata assegnata, con la chiara consapevolezza di tutto ciò. A tal punto è arrivato il gioco delle parti che, nella finale del gioco, ecco cambiare persino il titolo della legge: infatti essa giustamente non corrispondeva nemmeno lontanamente a quello che può essere il federalismo.
Abbiamo utilizzato assai male questo tempo e non tanto perché l'esito è del tutto incerto rispetto agli effettivi risultati di carattere costituzionale e legislativo, ma soprattutto per il fatto che si è persa un'occasione vera per discutere dei concetti istituzionali fondamentali che dovrebbero essere alla base di una scelta sull'ordinamento statuale. Invece, sono state date per scontate una serie di cose, di sintesi e di approdi logici, ideali, politici e istituzionali che tali non sono per niente, con il rischio che tale operazione possa fare definitivamente breccia nel senso comune della nostra gente.
Le operazioni di carattere politico-culturale tentate, e forse riuscite, in questi giorni all'interno di quest'aula sono sinceramente inaccettabili e intellettualmente persino poco limpide. Come si fa a mettere in cantiere la cosiddetta riforma federale dello Stato, se non ci si intende prima sul significato di federalismo nel nostro paese?
Tutti sappiamo - o dovremmo sapere - che non esiste un federalismo in assoluto e valido per tutti. Il federalismo, là dove esiste, è strettamente legato alla storia, alla cultura, alle tradizioni di un popolo e di un paese. Esiste un federalismo degli Stati Uniti d'America, della Germania, della Spagna, della Svizzera e del Canada: sono forme di federalismo con pari dignità, anche se molto diverse tra di loro.
Qui invece si è tentato e si tenta di far passare il modello americano come espressione del federalismo perfetto e da attuare in Italia. Chi lo ha stabilito? La storia, la cultura, la tradizione del nostro paese sono le stesse o qualcosa di molto simile a quelle degli USA? Per quale ragione dobbiamo inseguire un modello federale che ha certamente aspetti positivi, ma che nello stesso tempo «suicida» un gran numero di poveri, che non hanno la possibilità di curarsi a pagamento, o che permette ad alcuni, a troppi Stati di praticare, ad esempio, la pena di morte.
È in sostanza indispensabile fare un passo indietro. È indispensabile - o meglio, sarebbe stato necessario - cominciare a discutere dall'inizio e mettersi d'accordo su che cosa intenda ciascuno di noi e che cosa intenda questo Parlamento per modello federale dello Stato.
È stata qui compiuta un'operazione abile da parte della destra, colpevolmente favorita dalla maggioranza di centrosinistra. Si è molto discusso, o meglio, si è molto usata in questi giorni la parola «sussidiarietà» ed è sembrato che per tutti o quasi tutti sussidiarietà sia sinonimo di imprenditoria privata, alla quale affidare la gestione di tutti i servizi pubblici essenziali - la sanità, la previdenza, la scuola, i beni naturali e culturali -, togliendoli del tutto al pubblico in assoluto, naturalmente in cambio dell'utile, che solo permette l'esistenza dell'imprenditoria privata. Per ore avete discusso di questo.
Al di là delle aberrazioni politiche, culturali e sociali di tesi e di impostazioni di questo tipo, che abbiamo combattuto e continueremo sempre a combattere, in quale vocabolario è scritto che sussidiarietà significa imprenditoria privata? La sussidiarietà è tutt'altra cosa: forse dovremmo andare alle radici e cercare di leggere o di rileggere. È la necessità che alle esigenze e alle domande dei cittadini rispondano, certamente meglio di come oggi avviene, i livelli istituzionali - comuni, province, regioni e Stato - ad essi più vicini in rapporto al merito della domanda e delle esigenze; insomma, che ogni livello faccia il proprio dovere senza sopraffare l'altro.
Invece, qui si è discusso in termini intellettualmente poco limpidi. È inaccettabile e, non avendo contrastato tale operazione da parte del Governo e del centrosinistra, si è doppiamente colpevoli,


Pag. 138

in quanto da un lato si rinuncia ad una battaglia sacrosanta, quella del federalismo - o meglio, per noi, di un sano e forte regionalismo - e dall'altro si perpetua e si favorisce l'attacco a tutto ciò che è pubblico, presentandolo persino come il male in assoluto.
Una cosa comunque è risultata chiara in questi giorni: la riforma federale dello Stato viene usata esclusivamente come il grimaldello per affossare e distruggere definitivamente ciò che resta dello Stato sociale in questo paese.
Come il grimaldello con il quale distruggere ciò che resta del concetto di solidarietà, come il grimaldello grazie al quale disegnare un paese in cui siano costituzionalmente definiti i ricchi e i poveri, quelli che hanno più diritti e quelli che ne hanno meno o non ne hanno affatto; quelli che possono disporre di risorse e chi no, fermo restando però che i doveri devono essere uguali per tutti, come è giusto che sia. Che brutto giorno sarebbe quello che vedesse la nascita di un simile Stato in Italia o in qualsiasi altra parte del mondo!
Oggi abbiamo, per lo meno, chiarezza su poche ma decisive cose. Per la destra il federalismo niente altro è - come è stato chiaramente detto - che la possibilità che la ricchezza prodotta resti nelle zone ricche e la povertà resti nelle zone povere, tutt'altro che colpevoli - lo si ricordi sempre - di questa situazione e che conseguentemente lì vi sia una buona scuola privata, una buona sanità privata, una giustizia legata al potere politico, servizi migliori privati con costi che solo i ricchi abitanti di quelle zone possono pagarsi. Altro che questione meridionale! Non mi riferisco solo ed esclusivamente a quella di Antonio Gramsci, comunque a noi caro, ma bastava in qualche modo richiamarsi a Salvemini o a quanti la pensavano come lui; bastava richiamarsi persino all'analisi di Giolitti e forse saremmo stati più vicini, avremmo discusso più seriamente.
Purtroppo siamo stati lontani da tutto ciò: una società, pezzi di Stato federale opulenti, magari con barriere nell'accesso agli studi e al lavoro per tutti coloro - comunitari, extracomunitari, figli di altri e diversi - che sono estranei a quei pezzi di Stato. Uno Stato federale con barriere e muri invisibili che sancisce la diversità come asse fondante di una gerarchia naturale da difendere: diversità di genere, di nascita, di razza e di censo. No, grazie, non ci stiamo né ci staremo mai!
Così come per il centrosinistra, il federalismo e la riforma federale dello Stato altro non sono che un tentativo di stabilire e definire regole di quieto vivere e di coabitazione non belligerante tra Governo centrale e governi regionali, soprattutto in presenza di Governi politicamente diversi e - possiamo dopo le ultime riforme - assai forti. Il resto, purtroppo, è stato considerato zavorra. No, grazie, non ci stiamo e non staremo mai neppure a questo!
Il federalismo e la sussidiarietà non sono concetti politicamente marchiati. È necessario, se si vuol fare cosa seria, discutere cominciando dall'abbiccì con la massima limpidezza ed onestà intellettuale.
Abbiamo espresso, per quanto ci è stato possibile, la nostra posizione, abbiamo cercato di disegnare un'Italia in cui lo Stato, le regioni, i comuni e le province abbiano ruoli definiti e precisi; un'Italia in cui ad un centralismo statale - laddove esiste - negativo e da combattere non subentri un centralismo altrettanto negativo da parte di altri soggetti istituzionali; un'Italia dove tutti i livelli istituzionali concorrano insieme al benessere e alla difesa dei diritti sociali e civili unitari dei suoi cittadini.
Per questo abbiamo perso tempo in questi giorni; cerchiamo di non aggiungere a ciò un danno che potrebbe diventare difficilmente reversibile (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, la legge costituzionale che stiamo per


Pag. 139

approvare è, a nostro avviso, un grande passo in avanti verso la riforma federale dello Stato. Questa sera non vogliamo usare parole roboanti, ci rendiamo conto dei limiti di questa legge; dobbiamo però sottolineare, a fronte di molte critiche mosse dalle opposizioni, che non sono entrate nel merito ma sono state essenzialmente di polemica politica, che questo rappresenta l'avvio determinante verso la riforma federale organica e strutturale dello Stato che si compirà nella prossima legislatura.
A noi spiace che questo confronto così importante sia avvenuto in un clima preelettorale, che è stato voluto e creato ad arte dal Polo e che si instaura ormai in ogni occasione; quindi con fermezza respingiamo le accuse, che hanno visto l'onorevole Vito protagonista in assoluto, che noi stiamo operando una modifica costituzionale a colpi di maggioranza.
Abbiamo iniziato questo lavoro da molto tempo; non solo nella Commissione bicamerale, ma anche nella I Commissione, come più volte opportunamente ricordato dal presidente Jervolino, vi è stata una grande occasione di confronto e di approfondimento attorno a questi temi. Se poi, democraticamente l'Assemblea approva emendamenti, articoli aggiuntivi o ordini del giorno e, infine, il disegno di legge a maggioranza, ciò è nella logica della democrazia; quel che è importante è che si sappia che nessuna componente della maggioranza ha voluto limitare l'area del consenso e predisporre un testo in contrapposizione alle altre parti e specificamente alla minoranza o all'opposizione. Vogliamo, dunque, respingere quelle critiche preconcette, assurde e poco utili al dibattito politico elettorale che si aprirà tra alcuni mesi nel nostro paese.
Stiamo responsabilmente compiendo il nostro lavoro di parlamentari che non vogliono subire un ricatto populista: non vogliamo condannare per il resto della legislatura la Camera dei deputati e l'intero Parlamento ad una paralisi! Lo dico in quanto capogruppo dei socialisti in quest'aula; non abbiamo approvato il testo base pervenuto alla nostra attenzione all'inizio del dibattito in aula, in quanto lo abbiamo ritenuto, allora, privo del necessario coraggio riformatore, nel momento in cui si intendeva operare una radicale ed organica riforma federale dello Stato. Tuttavia, dobbiamo dare atto - in quanto siamo stati completamente coinvolti ed abbiamo responsabilmente votato - del fatto che abbiamo ricevuto una grande attenzione da parte dei relatori e dell'intera maggioranza su alcuni punti del disegno di legge che ritenevamo qualificanti. Di ciò voglio dare atto al presidente della Commissione ed ai relatori di maggioranza, onorevoli Cerulli Irelli e Soda.
Bisogna dire le cose come stanno; aver accettato la proposta dei presidenti delle regioni di uno stralcio importante di riforma regionalista dello Stato ci ha consentito di ritirare tutti i nostri emendamenti, in quanto alcuni di essi sono stati assorbiti nelle proposte dei relatori, mentre altri sono propri di una riforma organica e strutturale dello Stato in senso federale, che sarà compito della prossima legislatura.
Voglio affiancarmi all'intervento del collega Boato e ripetere i punti di grande novità introdotti nella Costituzione. Vogliamo dire - e quasi urlare - al Polo delle libertà che abbiamo responsabilmente introdotto la sussidiarietà istituzionale e la sussidiarietà sociale. Pertanto, voglio fermamente respingere le accuse di fumosità delle nostre proposte o di omissioni in questa materia. Così pure mi sembra incredibile l'atteggiamento di netta preclusione alle proposte di federalismo fiscale, quando sono state in parte scritte da esponenti di primo piano - o ritenuti tali - del Polo delle libertà e, in modo particolare, di Forza Italia. Non possiamo dimenticare (voglio sottolinearlo) che abbiamo previsto funzioni delle regioni in materia di politica estera e di gestione delle politiche comunitarie: si tratta di una rilevante novità. Allo stesso tempo, si è avuto il ribaltamento dei poteri elencati nella Costituzione (nella quale, attualmente, sono elencati i poteri dello Stato); l'attribuzione delle funzioni riservate alle


Pag. 140

regioni e al sistema delle autonomie locali non è una mera finzione, ma una riforma sostanziale di carattere federale.
Gli statuti regionali (che sono stati potenziati con la riforma costituzionale che ha preceduto quella in corso) assumono un grande rilievo, nel momento in cui debbono prevedere l'istituzione delle conferenze regionali degli enti locali: quella sarà la palestra democratica di confronto nella gestione dei grandi strumenti di governo delle nostre realtà regionali, nel rapporto tra le regioni ed il sistema degli enti locali, per evitare un neocentralismo regionale. Vorrei, altresì, ricordare l'eliminazione dei controlli dello Stato sugli atti delle regioni.
Forse, con questo stralcio di importante riforma regionalista e di avvio della riforma federale dello Stato, avremmo potuto avere un po' più di coraggio nella fase transitoria di costituzione dell'organismo di confronto, di mediazione e di coordinamento tra lo Stato, le regioni e gli enti locali. Lo abbiamo lasciato all'autonomia delle Commissioni della Camera e del Senato e ci auguriamo che l'intelligenza, il senso dello Stato, la lungimiranza del Parlamento permettano di costituire organismi che siano effettivamente punti d'incontro e che non accettino solo formalmente nel proprio ambito la presenza delle autonomie locali. Ciò proprio perché - dobbiamo dirlo francamente - riteniamo debbano assumere un ruolo surrogatorio di ciò che esiste in altri Stati federali, ad esempio nella Repubblica federale tedesca, alla quale la proposta del nostro gruppo si è ispirata.
Perché la riforma divenga davvero federale, lo sappiamo benissimo, dovremo introdurre nella nostra Costituzione la Camera delle regioni, ma ciò dovrà avvenire effettivamente all'interno di una riforma organica e strutturale del Parlamento repubblicano. La proposta del Polo dell'introduzione di una terza Camera, oltre ad essere scorretta, perché riferita ad una parte non adeguata dell'articolato, è uno strumento di mera propaganda di basso livello, che va identificato per quello che è: una battaglia priva di significato politico, che servirà solo come una bandierina di pubblicità elettorale. Mentre la previsione di una parte della Corte costituzionale come espressione delle autonomie locali, come forma di garanzia, a noi pare un passaggio strategico decisivo della riforma federale che verrà, non nascondo che a mio avviso demandiamo in modo troppo massiccio alla legislazione ordinaria dello Stato il compito di attivare ed organizzare le numerose funzioni attribuite alle regioni. Questo aspetto dovrà essere perfezionato in una fase successiva. Sono convinto che il rafforzamento delle garanzie costituzionali nei confronti delle regioni verrà effettuato, perché se nella prossima legislatura prevarrà il grande respiro riformatore che vi è stato in questi mesi e in queste ultime settimane, sono certo che il Parlamento darà finalmente una risposta adeguata alle istanze che provengono da molti anni da tanti territori del nostro paese.
Voglio anche sottolineare la grande responsabilità che da oggi si assumerà l'opposizione nel continuare in questo atteggiamento di negazione preconcetta nei confronti di ogni intervento di riforma in questa materia. Se, infatti, l'azione riformatrice sarà interrotta per esigenze di carattere meramente elettorale, allo scopo di creare presupposti di polemica nel paese contro di noi, dovremo avere il coraggio di identificare precise responsabilità dell'opposizione nella mancata attuazione di una parte così rilevante della riforma costituzionale dello Stato, che non solo noi in questa legislatura abbiamo sempre voluto, ma che è anche l'espressione della volontà di tutte le regioni del nostro paese, alle quali oggi con il nostro voto intendiamo dare voce (Applausi dei deputati dei gruppi misto-Socialisti democratici italiani, dei Popolari e democratici-l'Ulivo e dei Democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bastianoni. Ne ha facoltà.

STEFANO BASTIANONI. Signor Presidente, signor ministro, colleghi, credo che


Pag. 141

oggi ci accingiamo a votare un provvedimento importante. Questo testo unificato dei progetti di legge costituzionale giunge al voto finale dopo un appassionante dibattito qui alla Camera. Credo sia significativo ricordare che è questa la sede nella quale i parlamentari sono chiamati a svolgere il loro mandato. È vero che un paio di anni fa è fallita, proprio in quest'aula, la possibilità di procedere ad una riforma forse più complessiva e forse anche più interessante, una riforma che riguardava i vari titoli della seconda parte della Costituzione. Dopo che un testo era stato concordato in sede di Commissione bicamerale, qualcuno, in quest'aula, inopinatamente, ha ribaltato il tavolo, aggrappandosi a ragioni che molti ancora stentano ad individuare.
Questo non è l'unico passaggio al quale abbiamo assistito. Qualche settimana fa, un «governatore», forse smanioso di protagonismo, ha lanciato l'idea di indire un referendum regionale per dare alla regione la possibilità di intervenire su materie che, peraltro, rientrano già nella potestà legislativa delle regioni - sanità e polizia locale -, a cui si è aggiunta l'istruzione, anche professionale. Ritengo che, al di là della propaganda e della strumentalizzazione che una parte politica, pur legittimamente, può fare, il Parlamento debba compiere un passo avanti, perché ci troviamo di fronte ad una sfida: quella di adeguare il sistema politico istituzionale alle mutate esigenze della società italiana, che ancora non ha realizzato pienamente il principio che i padri costituenti, nel 1948, hanno inserito all'articolo 5 della Costituzione, là dove si stabilisce che «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali». Riconosce, quindi, le autonomie locali, enti esponenziali delle comunità locali. Grazie al principio della sussidiarietà da noi introdotto, il testo costituzionale viene ad essere maggiormente qualificato.
Altre Costituzioni europee hanno marciato più speditamente di noi in questa direzione ed hanno adeguato in maniera più moderna le loro istituzioni. Noi riteniamo che questo scorcio di legislatura non debba essere sprecato e debba essere utilmente impiegato: per questo ci siamo impegnati in un dibattito appassionato. Riteniamo debbano essere compiuti tutti gli sforzi necessari a realizzare le riforme possibili.
Quando affermiamo che Stato e regioni sono posti sullo stesso piano, dal punto di vista della potestà legislativa, facciamo una grande affermazione; quando diciamo che il livello amministrativo deve essere quello dei comuni, delle città metropolitane e delle provincie, stabiliamo che il Governo del territorio debba essere effettuato ad un livello più vicino agli amministrati e che il livello superiore debba intervenire laddove, per carenze organizzative o per impossibilità, questo non sia possibile.
Vi è quindi una coerenza nell'impianto istituzionale che viene così definito. Abbiamo stabilito l'autonomia finanziaria: gli enti locali possono istituire e imporre proprie imposte, che concorrono con quelle nazionali, anche se non possiamo dimenticare che vi sono realtà locali che non possono essere abbandonate al proprio destino, perché abbiamo il dovere di mantenere la coesione sociale nel paese. In questi casi deve quindi intervenire un apposito fondo con compiti di perequazione e di promozione dello sviluppo, garantendo che il tessuto sociale non venga strappato perché, altrimenti, il nostro paese correrebbe gravi rischi.
Un altro aspetto interessante che riguarda la sussidiarietà è stato quello di riprendere la petizione presentata - è stato ricordato anche nella relazione dell'onorevole Soda - da Giorgio Vittadini e da un milione di cittadini, riguardante la possibilità dei privati di concorrere a finalità pubbliche. È un principio importante che introduce nel nostro ordinamento una novità degna di essere sottolineata.
Penso che si sarebbe potuto fare molto di più, ma per compiere grandi riforme occorre il concorso di tutte le forze; qualcuno si è defilato, ha rinunciato a dare il proprio contributo ideale e si è


Pag. 142

limitato, non direi ad uno sterile ostruzionismo, ma ad un'avversione a questi principi che pure interessano tutta la comunità. Credo che ci dobbiamo muovere nella consapevolezza che ulteriori ritardi non sono utili a questo paese. Se non sapremo dare una risposta ai cittadini e alla domanda di trasferimento di poteri e di deleghe effettive nella vita quotidiana di chi vive, di chi lavora e di chi studia, non saremo all'altezza di un'Europa che, invece, ci richiede come sistema paese di procedere in maniera spedita, funzionale ed efficiente, come è possibile per una nazione europea internazionalmente rispettata qual è l'Italia.
Signor Presidente, concludo il mio intervento confidando in una rapida approvazione del Senato affinché questo provvedimento, nei tempi necessari ad una riforma costituzionale, possa entrare a pieno titolo nell'ordinamento della Repubblica italiana (Applausi del deputato Boato).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Scoca. Ne ha facoltà.

MARETTA SCOCA. Presidente, essendosi a suo tempo interrotto il più ampio processo riformatore della nostra Costituzione demandato ai lavori della Bicamerale, ci troviamo ora ad affrontare le modifiche che sono possibili secondo i principi fondamentali già previsti nella Costituzione.
Non è il caso di riaccendere polemiche inutili e dannose in merito a chi debba essere addossata la responsabilità del fallimento della Bicamerale, ma sta di fatto che è così. Le norme che stiamo approvando costituiscono sicuramente un passo in avanti importante nel senso che ridisegnano l'assetto dei governi territoriali in una prospettiva di accentuato decentramento e di pluralismo politico ed amministrativo. Non si tratta di federalismo in senso stretto, in senso proprio, né potrebbe esserlo, perché il federalismo in senso proprio si attua tra Stati originari sovrani che si mettono insieme per generare lo Stato federale, ma certamente si tratta di riconoscere e di delegare alle regioni e agli altri enti territoriali potestà legislative e amministrative molto più ampie di quante non ne abbiano adesso, pur nel senso dell'unità nazionale e con il contemperamento della solidarietà. È ovvio che alcune potestà legislative che riguardano funzioni eminentemente nazionali restano riservate allo Stato e non potrebbe essere diversamente. Non è infatti possibile pensare che sulla politica estera, sulla difesa del territorio, sulla sicurezza dello Stato, sulla cittadinanza o sulla giurisdizione civile e penale vi possano essere ordinamenti concorrenti e per questo potenzialmente diversi da regione a regione, che non siano unitari e uniformi per tutti i cittadini; tuttavia, alle regioni viene data con garanzia costituzionale la titolarità di legislazione concorrente o autonoma su materie di straordinaria importanza quali, ad esempio, i rapporti internazionali delle regioni stesse, il commercio con l'estero, la previdenza sociale, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, così come ad esse è attribuita la relativa potestà regolamentare.
L'articolo 119 prevede che, a partire dai comuni fino alle regioni, questi enti abbiano rispettivamente autonomia finanziaria, sia di entrata che di spesa, mentre lo Stato interviene con un fondo con funzioni perequative in favore dei territori con minore capacità di gettito fiscale. Proprio su questo punto stamattina si è aperta una discussione con alcune punte polemiche davvero incomprensibili. Molto opportunamente è stato anche sottolineato che spesso il gettito fiscale è relativo a beni che vengono prodotti in una regione ed acquisiti da un'altra. A parte quindi il principio di solidarietà generale, di cui comunque non possiamo non tenere conto, vi è anche il principio oggettivo di redistribuzione di ricchezza prodotta da una parte e fiscalizzata da un'altra.
Lo Stato inoltre destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati enti locali.


Pag. 143

Nelle materie di sua competenza, però, la regione può concludere, come dicevo, accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato oltre che, ovviamente, tra regioni italiane, con ciò garantendo il massimo delle possibilità per l'espansione e la realizzazione dei loro interessi.
Queste sono solamente alcune delle novità che vengono sancite con questa legge costituzionale e sono previsioni che hanno una portata innovativa di grande respiro, che gioveranno certamente a quegli enti territoriali che ne sapranno trarre profitto in maniera attenta e lungimirante, stimolando al tempo stesso il senso di responsabilità nei confronti dei propri amministrati.
D'altra parte, anche l'ordinamento comunitario ha già come interlocutori privilegiati le regioni, soprattutto per quanto riguarda la destinazione dei fondi e le regioni che li hanno saputi utilizzare ne hanno tratto un indubbio beneficio. Vi è solo, per la verità, il rammarico di dover constatare che non tutti i fondi sono stati utilizzati. Speriamo che i governi locali, resi più responsabilmente protagonisti delle loro sorti dalle nuove funzioni che vanno ad assumere, riescano a recuperare una programmazione adeguata per ottenere il massimo dei finanziamenti comunitari che ovviamente possono essere un ottimo volano per la ripresa economica e per l'occupazione.
Vi è stata una pregiudiziale abbastanza incomprensibile da parte dell'opposizione e, soprattutto, di una parte di essa, che prima ha spinto in direzione delle riforme così come attuate (e comunque com'è possibile attuarle a Costituzione vigente) e poi ha assunto su alcuni punti atteggiamenti immotivatamente ostativi.
Sarebbe stato certo auspicabile che una riforma così importante si fosse avvalsa del contributo attivo, fattivo e costruttivo di tutte le forze politiche presenti nel Parlamento. Debbo dire però, per aver partecipato ai lavori della Commissione e del Comitato dei nove, che respingo con forza e con chiarezza l'accusa secondo la quale si sarebbe lavorato senza tenere conto dell'apporto dell'opposizione. In particolare la presidente Jervolino Russo ed i relatori, ma tutti i componenti la Commissione hanno lavorato duramente, ascoltando e cercando di trovare all'interno della Commissione stessa le soluzioni possibili, che naturalmente tenessero conto delle aspettative di tutti. A volte addirittura, dopo aver trovato un accordo, in aula tale accordo è stato contestato. Si tratterà di tecniche politiche che ancora non riesco a capire.
In ogni caso, molti emendamenti sono stati fatti propri dalla Commissione e presentati in aula dalla Commissione stessa o dal Governo. Per fortuna non tutti sono stati accolti. Mi riferisco, ad esempio, all'emendamento Covre 5.26 che prevedeva che ogni regione italiana ha diritto di prestabilire e quantificare il flusso migratorio all'interno dei propri confini, tenendo conto delle esigenze occupazionali.
Se è condivisibile, anzi assolutamente giusto, che le singole regioni debbano dire di quale assorbimento reale di lavoratori hanno bisogno, non possono però decidere autonomamente e singolarmente sul numero massimo o minimo degli immigrati, perché è indispensabile che, come previsto dal testo, sia lo Stato a disciplinare forme di coordinamento tra Stato e regioni in materia di immigrazione, come è giusto che sia lo Stato ad esercitare il controllo alle frontiere e sui flussi.
Molte altre questioni sono state sollevate; per esempio, lo stesso onorevole Zeller ha affermato in precedenza che non riteneva opportuno che i beni culturali venissero demandati allo Stato. Due sono le precisazioni: anzitutto, le regioni possono comunque, con legislazione concorrente, provvedere alla valorizzazione ed alla tutela di tali beni e, quindi, non sono escluse del tutto. Nell'insieme, poi, è giusto sia lo Stato a legiferare per altre ragioni di contenuto pratico. In primo luogo, con riferimento ad un emendamento che è stato proposto, i beni culturali di rilevanza nazionale non sono individuabili, perché non esiste un loro elenco e perché non vi sono neppure i


Pag. 144

criteri per stabilire quali possano essere tali beni. Inoltre, si tratta di concetti culturali che variano secondo il tempo e secondo i luoghi.
È giusto, quindi, che la legislazione preminente resti in capo allo Stato, senza fare distinzioni tra beni culturali di serie A e di serie B, anche perché non è possibile farlo. Inoltre, lo ripeto, alle regioni restano la promozione, la valorizzazione e la tutela di tali beni.
Per quanto riguarda il governo del territorio, ha già risposto esaurientemente il relatore Cerulli Irelli: non si tratta di introdurre limitazioni ma, anzi, di riconoscere garanzie più ampie anche per le regioni.
Per quanto concerne la locuzione relativa alla piena parità tra uomini e donne nella vita sociale, culturale ed economica e nell'accesso alle cariche pubbliche, vi è stato un dibattito molto acceso. Alcuni colleghi - concludo, Presidente - hanno ritenuto inutile o superfluo tale richiamo: io dichiaro che esso non è né inutile né superfluo, anzitutto perché è già contenuto nei principi fondamentali della Costituzione, ma relativamente allo Stato. È giusto, quindi, che detto richiamo venga ripreso con riferimento alle leggi che le regioni dovranno approvare; ricordo, poi, che esso è già contenuto negli statuti speciali. È fondamentale, soprattutto dal punto di vista esortativo e pedagogico, che questo richiamo venga ripetuto perché l'indicata parità, in realtà, non solo non è stata ancora attuata, ma in maniera abbastanza allarmante mi pare stia facendo passi indietro. Certamente, non possiamo parlare di quote perché la Corte costituzionale ha escluso un discorso di questo genere, ma si possono pensare mille altre soluzioni, come rendere la vita di una donna madre più facile con l'istituzione, per esempio, di adeguate strutture che provvedano alla cura dei figli.

PRESIDENTE. La prego, onorevole Scoca, ha già esaurito il suo tempo.

MARETTA SCOCA. Intendevo svolgere alcune considerazioni sul fondo perequativo, ma eviterò di farlo (Applausi dei deputati dei gruppi dell'UDEUR e dei Popolari e democratici-l'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, credo che possiamo salutare con legittima soddisfazione questo primo approdo della riforma in senso federale dello Stato, anche se siamo soltanto al primo passaggio parlamentare ed anche se non ci troviamo di fronte ad una riforma organica e compiuta, ma ad uno stralcio. Si tratta tuttavia di uno stralcio che vanta una sua relativa autonomia e che getta le basi di una nuova architettura.
Vorrei provare a mettere in fila telegraficamente le ragioni per le quali a buon diritto possiamo apprezzare questo risultato.
La prima ragione è che abbiamo mostrato di onorare un impegno assunto con i nostri elettori e segnatamente la tesi numero tre del programma dell'Ulivo intitolata «Autogoverno locale e federalismo cooperativo». Siamo quasi al tempo dei bilanci di fine legislatura e possiamo iscrivere al nostro attivo anche questa voce! So bene che il disegno riformatore era assai più vasto ed ambizioso, ma l'opinione pubblica saprà di chi è la responsabilità di un cammino interrotto.
La seconda ragione è che abbiamo fornito un aggancio, una cornice costituzionale a tre grandi innovazioni introdotte nel nostro ordinamento. Intendo riferirmi all'elezione diretta dei presidenti delle giunte regionali, ai nuovi statuti che le regioni si daranno, al federalismo amministrativo a Costituzione invariata che va sotto il nome di leggi Bassanini: una straordinaria ed organica opera di semplificazione di decentramento e di riforma della pubblica amministrazione!
La terza ragione è che abbiamo assecondato e corrisposto alla pressante concorde richiesta dell'intero sistema delle autonomie - regioni, province e comuni -


Pag. 145

che ci chiedevano di procedere e di varare un testo, avanzandoci concrete e puntuali proposte che noi abbiamo volentieri recepito. Questa decisiva circostanza sta agli atti: la maggioranza sta dalla parte delle regioni e degli enti locali; l'opposizione ha risposto picche non a noi, ma appunto alle rappresentanze istituzionali tutte e al più alto livello (il presidente Ghigo in testa) delle autonomie!
La quarta ragione è che ci si è obiettato che non è buona cosa fare riforme costituzionali a colpi di maggioranza. Questo è un rilievo che merita una risposta perché, così come è stato formulato, potrebbe sembrare fondato, ma così non è! Chi ha seguito il lungo e accurato iter del testo in Commissione bicamerale, in Commissione affari costituzionali e nelle consultazioni con gli enti territoriali, sa perfettamente che, Lega a parte, il consenso sull'impianto e sull'articolato tra Ulivo e Polo è stato sempre largo! Solo di recente e per ragioni tutte politico-elettorali (alludo al patto Polo-Lega), il Polo ha maturato una brusca correzione di rotta e si è messo anch'esso di traverso. Siamo dunque rassicurati: il testo sarà votato solo dalla maggioranza, ma sul merito il consenso era e resta, dietro la facciata, un consenso largo!
La quinta ragione di compiacimento consiste nel fatto che noi le riforme siamo decisi a farle e a farle nella loro sede propria: il Parlamento! Qui sta un punto di contrasto di principio e irriducibile; è l'opposto della via plebiscitaria alle riforme che ha preso corpo nei referendum formigoniani; dei referendum che hanno registrato reazioni divaricate: chi li ha giudicati una innocua e semplice truffa di natura propagandistica, con la quale si chiede ai cittadini di dare alle regioni poteri che esse hanno già; e chi li ha considerati con allarme un vulnus alla legalità costituzionale. Probabilmente, sono un po' l'una e un po' l'altra cosa!
Un'ambiguità che abbiamo riscontrato anche qui nei comportamenti parlamentari dell'opposizione che ha fatto mostra di volere troppo (e dunque di irridere la nostra proposta - così si sono espressi - definendola «riformetta») perché, in verità, voleva che non se ne facesse nulla! Il loro è stato in sostanza uno ostruzionismo mascherato.
La sesta ragione al nostro attivo consiste nella unità della maggioranza, che non era scontata né facile da ottenere su alcuni punti, a fronte della frequente e reiterata divaricazione della Casa delle libertà. Verrebbe da dire: separati in Casa delle libertà! Li abbiamo visti, ad esempio, sulla scuola e sull'ordine pubblico che - scusate se è poco - rappresentano ben due delle tre questioni oggetto dei loro declamati referendum, sui quali qui in Parlamento si sono puntualmente divisi!
Sul merito non indugio, basti notare che gli studiosi più equanimi hanno riconosciuto che, a consuntivo, le nostre regioni avranno più poteri della Scozia, della Catalogna e della Corsica e che l'istituto delle autonomie differenziate dà modo di spingersi ancora più avanti.
Una parola da ultimo - come resistere a questa tentazione? - sul principio di sussidiarietà ove si faccia un passo in avanti significativo. Cittadini, privati e formazioni sociali sono incoraggiati e favoriti, così recita il testo, nello svolgimento di funzioni e servizi pubblici (questo è l'elemento di novità). Per quanto riguarda le attività di interesse generale, come è giusto che sia in una società viva, dinamica e plurale da parte di uno Stato leggero, questo appena può rinuncia volentieri a gestire in proprio, piuttosto fissa regole e semmai rispetta e promuove le autonome energie sociali. Questo principio è perfettamente coerente con l'ispirazione di fondo della Costituzione e segnatamente con il suo articolo 2, ne rappresenta una esplicitazione, uno svolgimento suggerito dall'accresciuto dinamismo degli attori sociali. Saremmo invece fuorusciti da quel solco se avessimo acceduto all'idea dello Stato minimo o dello Stato residuale.
Quando è altrimenti pregiudicata l'universalità e l'effettività dei diritti di cittadinanza; quando si ha a che fare con beni e servizi essenziali che in concreto solo lo Stato può assicurare a tutti coloro che ne


Pag. 146

hanno bisogno e ne hanno diritto esso, lo Stato, non può ritrarsi perché, come risulta dall'articolo 2, il principio di sussidiarietà è principio regolatore cardine dei rapporti tra persona, formazioni sociali e istituzioni pubbliche. È un principio subordinato, a sua volta, a un fine che lo trascende, cioè al soddisfacimento dei diritti di cittadinanza, l'impegno solenne e indeclinabile della Repubblica, sancito nell'articolo 2, a riconoscere e garantire i diritti della cittadinanza per davvero, in concreto e per tutti. Qui sta un discrimine etico e politico e un vincolo costituzionale cui giustamente - a mio avviso - non abbiamo ritenuto di derogare (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.

ROSANNA MORONI. Signor Presidente, negli ultimi anni molti studiosi di orientamento politico diverso si sono cimentati con progetti di riorganizzazione federalista dello Stato nel tentativo di interpretare un malessere diffuso, e in parte giustificato, presente nelle regioni del nord. In alcuni casi hanno offerto anche spunti di riflessione utili e interessanti perché l'esigenza di un generale decentramento dei poteri e delle responsabilità accompagna sempre e inevitabilmente la crescita di un sistema democratico, ma la generale conversione al federalismo è sembrata nascere soprattutto dall'incapacità di una parte della classe politica dirigente, spogliata dell'ideale tradizionale, di arginare politicamente il fenomeno leghista attraverso una seria elaborazione culturale e una riflessione sulla nostra storia. Credo che questi cedimenti nei confronti di opinioni politiche di debole respiro etico e culturale non aiutino la crescita né dei cittadini né della politica. Anche per questi motivi il nostro iniziale approccio alle proposte di modifica dello Stato in senso federale ci ha visto piuttosto dubbiosi perché sembrava prevalere un atteggiamento di resa di fronte alle ragioni di quanti volevano far credere che la soluzione contro un eccesso di centralismo e contro una burocrazia opprimente fosse il disfacimento dello Stato, di quanti vedevano nelle riforme un mezzo per togliere di torno ogni residua opposizione al dominio del mercato, dell'egoismo e dei potentati economici.
Nel lungo dibattito in Commissione e in Assemblea si è fatta chiarezza sulle differenze tra centrosinistra e centrodestra e si sono sciolti i nodi che per noi erano determinanti in positivo o in negativo. Nonostante le premesse da cui è nato, il testo conclusivo è un testo di grande equilibrio che riesce, da un lato, a realizzare un vero e consistente decentramento di funzioni alle regioni e agli enti locali e, dall'altro, a mantenere intatto il principio di unità e indivisibilità della Repubblica fissato dalla nostra Costituzione. Una volta precisati questi obiettivi, necessari per un corretto equilibrio fra i vari livelli di governo, si trattava di garantire la coerenza degli articoli modificati con altri principi fissati dalla Costituzione: quelli fondamentali e quelli inerenti ai diritti e ai doveri dei cittadini. Per questo abbiamo insistito fino alla noia su alcuni particolari punti.
In primo luogo, ci premeva riaffermare che l'autonomia e il decentramento devono trovare un bilanciamento attraverso la previsione di una cornice unitaria che assicuri l'attuazione in tutto il territorio nazionale di quei principi che sanciscono l'uguaglianza dei cittadini, la giustizia sociale e la solidarietà sociale. Per noi, questi elementi sono la precondizione stessa di una Repubblica democratica. Il nostro principale obiettivo era quindi quello di mantenere allo Stato le competenze riguardo ai diritti fondamentali, non per sfiducia nei confronti delle regioni, come qualcuno ha sostenuto, ma per una esigenza di uguaglianza che solo il livello nazionale può garantire adeguatamente.
In questa stessa logica abbiamo chiesto ed ottenuto che la previdenza, le norme generali sull'istruzione e sul territorio restassero di competenza dello Stato. In questo senso va anche la previsione di un


Pag. 147

potere sostitutivo, sempre in carico allo Stato, in analogia con l'articolo 72 della Costituzione tedesca. Anche nell'ambito dell'autonomia tributaria, una volta riconosciuta la responsabilità degli enti autonomi, era per noi fondamentale riaffermare che l'autonomia trova un limite nei principi fissati dalla Costituzione e dallo Stato, così come era irrinunciabile stabilire che l'intervento statale è finalizzato anche alla solidarietà sociale e all'effettivo esercizio dei diritti della persona.
Tutto questo è un argine contro quanti vorrebbero imporre la logica per cui la ricchezza prodotta dai territori è dei territori, con la conseguenza di dividere il paese in regioni ricche e regioni povere, disintegrando la dimensione nazionale, frantumando il tessuto unitario e ledendo gravemente il principio di uguaglianza dei cittadini. In estrema sintesi, i nostri emendamenti erano tutti improntati su due esigenze per noi assolutamente prioritarie: il mantenimento del binomio autonomia-unità ed affermazione dei diritti.
Voteremo quindi a favore, perché questo testo è frutto di una mediazione che vede accolte le nostre richieste di riaffermare in capo allo Stato il ruolo di garanzia nella tutela dei diritti fondamentali delle persone e nella tenuta del legame unitario e solidale tra le varie regioni. Riguardo alla sussidiarietà orizzontale, la formulazione approvata, come ho già spiegato nei giorni scorsi, non corrisponde certamente all'idea di Stato minimo residuale prospettato dalla destra. Essa è presente in questo testo in un'accezione da noi condivisa, coerente con la prima parte della Costituzione: viene assunta nel significato di rendere partecipi i cittadini allo sviluppo collettivo in uno spirito di solidarietà politica, economica e sociale.
La partecipazione attiva dei singoli al progresso della società è elemento di crescita della democrazia ed è tutt'altro rispetto alla sussidiarietà auspicata da Polo e Lega, che vede il privato sostituirsi allo Stato anche nelle funzioni più importanti di una nazione, i diritti dell'individuo secondi rispetto alle logiche del profitto, le prestazioni essenziali dello Stato sociale subordinate all'interesse d'impresa. È completamente assente, in questa filosofia, l'idea di società solidale tendente al progresso dell'intera collettività; è del tutto assente l'idea, ben precisata dai costituenti, secondo la quale anche l'iniziativa e le libertà del singolo trovano un limite insormontabile nell'utilità sociale, nella sicurezza, nella libertà, nella dignità umana.
L'ambizione della destra intera è togliere ogni ostacolo alle mire di chi detiene il potere economico di ridurre la politica e le istituzioni al ruolo marginale, e non di disturbo, di compensazione delle ingiustizie più macroscopiche, di risarcimento paternalistico degli squilibri e delle disuguaglianze più vistose, di caritatevole beneficenza, che niente ha a che fare con la dignità del cittadino e la titolarità dei diritti di cittadinanza. La loro sussidiarietà sociale è estranea all'idea stessa di società, almeno di società intesa come insieme di uguali. Quella che prospetta non è una società giusta e solidale, è una società ingiusta, squilibrata ed egoista.
Attraverso modifiche della parte seconda della Costituzione, mirano a far saltare i valori e i principi contenuti nella prima, a scardinarli; mirano a delegittimare l'intero testo costituzionale, evocandone presunte inadeguatezze ma in realtà in funzione delle esigenze di un'economia che non tollera vincoli e che ambisce a piegare ai propri interessi il sistema istituzionale e l'impianto costituzionale, per fare della politica la propria serva. Ma questo non si può fare, non permetteremo di annullare la legge che ha avuto un peso decisivo nell'emancipazione del paese, di svuotare le istanze di giustizia sociale poste dalla Costituzione come obiettivi inderogabili dell'intero ordinamento. Quella Costituzione che la Casa delle libertà bolla come vecchia e superata non solo è ancora valida ed attuale, ma rappresenta, con la sua struttura di principi e valori, uno strumento necessario per rilanciare un progetto di emancipazione


Pag. 148

sociale e civile alternativo alle tesi che sostengono la bontà di un'egemonia culturale d'impronta liberista.
Vi è anche un altro aspetto di rilievo nel testo che voteremo, ed è l'assegnazione alle leggi regionali del compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la parità tra donne ed uomini nella vita sociale, culturale, economica e nell'accesso alle cariche elettive. Abbiamo sostenuto con forza questo emendamento perché siamo convinti che la partecipazione femminile non sia solo un orpello superfluo, ma rappresenti invece un contributo nuovo e diverso, una visione più complessa e problematica dei fenomeni sociali, una straordinaria risorsa aggiuntiva di capacità e di esperienza, di sensibilità e di intelligenza. Siamo convinti dell'utilità per la stessa democrazia di una maggiore presenza femminile nei processi decisionali e nei meccanismi di governo.
Qualcuno ha parlato invece di federalismo neoliberista, rappresentando con una formula frettolosa e superficiale un disegno complesso, che certamente può non essere totalmente condivisibile ma che tenta una risposta seria, organica ed articolata a problematiche vere.
Evidentemente il testo che approveremo oggi è frutto di una mediazione fra punti di vista diversi, una mediazione alta, soddisfacente, coerente con le idee che ispirano la nostra azione e la nostra stessa presenza politica. La politica, come tutti i rapporti sociali, è inevitabilmente fatta anche di compromessi. L'importante è non svendere i principi che ci muovono. Per coerenza con questa idea di politica, che attraverso la ricerca di mediazioni alte insegue gli obiettivi di democrazia, eguaglianza e giustizia sociale, abbiamo anche affrontato una dolorosa scissione. Rivendico anche oggi questa scelta perché anche oggi è tangibile la differenza tra la pratica della denuncia sterile e ininfluente, che non interviene minimamente sulle condizioni concrete delle persone, e la scelta di stare dentro i processi politici e sociali, di tentare umilmente, faticosamente di orientarli. La legge, che oggi voteremo, racchiude in sé alcuni principi che sono stati patrimonio del partito comunista italiano, principi che hanno ispirato l'impegno di anni per l'attuazione dell'articolo 5 della Costituzione, per l'articolazione dei poteri e delle funzioni tra il livello centrale e il livello periferico, come deve essere in un paese autenticamente democratico nel quale la partecipazione dal basso è elemento fondante e irrinunciabile. La legge che oggi voteremo vede accolte diverse nostre proposte cui ho accennato in precedenza; si tratta di modifiche che avranno un'incidenza positiva sulla vita concreta delle persone, soprattutto su quelle più deboli e indifese. Questo per noi è il senso della politica: cercare risposte e soluzioni reali alle istanze e ai problemi reali dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bossi. Ne ha facoltà.

UMBERTO BOSSI. Signor Presidente, così piano, piano, la maggioranza è riuscita a preparare il suo manifesto elettorale. Il popolo bue, il popolo miope, finalmente potrà pensare che anche la maggioranza è federalista, che anche i comunisti sono federalisti e tutto, naturalmente, giusto in tempo per la campagna elettorale che va ad iniziare, nella quale il circo equestre della sinistra darà spettacolo di mirabili trasformazioni illusionistiche, del mondo alla rovescia, insomma. Un centralismo che, op là, è diventato federalismo, una famiglia che, op là, è diventata la famiglia omosessuale, un'adozione dei bambini che, op là, viene concessa alle famiglie omosessuali. Questa è la politica della sinistra, in Europa ma con un sostegno locale. Un circo Barnum...

ROSANNA MORONI. Voi siete un circo Barnum!

UMBERTO BOSSI. ... di piacioni degni del proscenio. Ad una Costituzione vecchia e malandata se ne vuole sostituire


Pag. 149

una peggiore, da Repubblica comunista, una Costituzione nella quale, soprattutto, viene tolta ogni flessibilità, dove tutto sia bloccato nel peggioramento, dove il gioco giacobino, stalinista - si dovrebbe dire - possa esaltarsi e trionfare in una specie di vendetta contro la democrazia e la libertà. In realtà il significato unico di questa antiriforma è quello di dare appiglio alla Corte costituzionale per impedire i referendum sulla devoluzione sperando così di far saltare anche il motivo principale dell'accordo tra Lega e Polo. Al medesimo progetto di divisione fra Lega e Polo la maggioranza lavora con la riforma elettorale al Senato. Improvvisamente dopo anni che predicavate a favore del maggioritario, che ci spiegavate - penso in particolare a D'Alema - che i partiti dovevano morire mostrando con queste parole la vera natura corrosiva e antipopolare delle vostre scelte, dall'oggi al domani vi convertite al sistema elettorale tutto proporzionale che naturalmente separa i partiti e impedisce le coalizioni. Certo, vi dà fastidio la coalizione Polo-Lega; fa male, naturalmente a voi. Non volete i referendum popolari della devoluzione, l'abbiamo capito che siete democratici. Abbiamo capito quanto considerate il popolo e quello che pensate della società. Ebbene, sappiamo queste cose da sempre. Dovete prendere atto di quanto segue: da oggi siamo in campagna elettorale e da oggi è vietato cambiare la legge elettorale.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUCIANO VIOLANTE (ore 21)

UMBERTO BOSSI. Non è più questione di metodi e di forme, ma di tempi. La legge elettorale in campagna elettorale non la modifica neppure Milosevic (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)!

ANTONIO DI BISCEGLIE. È tuo amico Milosevic!

UMBERTO BOSSI. A questo proposito devo dire anche alla Lega, ma lo dico soprattutto a qualche alleato della Lega, che si è illuso che il potere si eserciti dentro il palazzo con i vecchi metodi consociativi della trattativa e del veleno, che quei metodi non valgono più. Erano i metodi di quando la vecchia politica viveva protetta dal muro e dal debito pubblico; viveva di rendita e ce n'era per tutti, sinistra compresa, a proposito di ladri!
Ebbene, oggi la politica non vive più a valle del muro e del debito - è questo il cambiamento - e l'esercizio del potere per chi non ce l'ha non è più possibile alla vecchia maniera. Mi preoccupa il fatto che anche i nostri alleati siano stati possibilisti con l'avvio di questa legge sul federalismo, il federalismo alla Stalin, il federalismo alla comunista.
Alla fine spero che tutti abbiano constatato che non un solo emendamento del Polo e della Lega è passato; hanno applicato lo spoil system degli emendamenti degli altri, i famosi democratici!
Penso davvero che la Lega, i nostri alleati, il popolo debbano sapere che il potere di questi tempi o lo si conquista o lo tengono gli altri senza sconti. Ebbene, in questo momento - un momento di campagna elettorale - probabilmente bisogna mettere qualche marcia in più e reagire con decisione a ciò che sta avvenendo oggi in quest'aula, che avverrà domani in Senato, e così via.
Cercano semplicemente di rompere l'accordo tra Lega e Polo, perché, se c'è quell'accordo, se ne vanno a casa quei signori (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza nazionale), quei «democratici», quei «federalisti»!
Alla fine dobbiamo prendere atto che la maggioranza con questa legge sentenzia che non bisogna mai seguire la natura, che non bisogna mai lasciare che le naturali predisposizioni degli uomini alla libertà e alla democrazia possano trovare la via per esprimersi in istituzioni adeguate. Prendiamo atto di questo e ci prepariamo a combattervi senza tentennamenti già dalla finanziaria elettorale, già dalle 350 mila lire in busta paga che avete promesso: lì


Pag. 150

vi aspettiamo, a fine anno, stalinisti (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, intervengo a nome del gruppo dei Popolari per esprimere con convinzione il nostro voto favorevole a questo complesso di norme che tendono a riformare in senso federale il nostro Stato.
Vorrei brevemente riepilogare le ragioni che ci portano a questa nostra opinione, peraltro senza toni enfatici e senza fare demagogia, nella consapevolezza che non si tratta di un complesso di norme che risolve radicalmente e in profondità la questione del federalismo nel nostro paese, ma tenendo conto, tuttavia, che, contestualizzando ciò che è accaduto anche in questa legislatura, la decisione che il Parlamento sta per assumere approvando queste norme è sicuramente un passo avanti verso uno Stato che sia più vicino ai cittadini.
Si tratta peraltro di un provvedimento atteso nel paese, nel senso che vi è, come tutti sanno, l'accordo da parte dei comuni, delle province e delle regioni su questo testo, perché si prende atto che con esso si introducono miglioramenti significativi per un maggiore protagonismo delle istituzioni a livello subnazionale e dei cittadini, per far sì che vi sia uno Stato più snello.
In fondo, a riflettere bene, questo provvedimento si inserisce in un disegno più complessivo ispirato ad un riformismo che questa maggioranza ha cercato di introdurre nel sistema ordinamentale del nostro paese ma che ha trovato, sia nella bicamerale sia in atteggiamenti ostruzionistici o dilatori tenuti in quest'aula, un comportamento che non ci è parso consono alla volontà di introdurre un vero miglioramento delle norme e una riforma in senso federale dello Stato. Stiamo assumendoci le nostre responsabilità circa ciò che è possibile fare in questa legislatura che si consumerà fino all'ultimo giorno, come è naturale che accada nella vita democratica di ogni paese. Non esistono tempi anticipati di chiusura della legislatura per cui il Parlamento diventa monco rispetto alle decisioni che può assumere. Deve essere chiaro che sia su questa materia sia su quella elettorale noi vogliamo esprimere una cultura di Governo che veda il Parlamento nella piena potestà di esprimere le proprie decisioni e nel pieno diritto di assumerle.
Auspichiamo che si crei un sistema bipartisan nel nostro paese dove i toni però non siano quelli che anche poco fa abbiamo ascoltato ma dove ci si confronti con una gentilezza democratica che porti ad approvare le norme volte a migliorare il nostro Stato. Certamente tutto ciò non può avvenire attraverso strappi di natura costituzionale, come promette di essere una forma referendaria anomala che si può sicuramente considerare illegittima ed illegale nel nostro contesto istituzionale.
Vorrei ora dire poche parole sul merito a nome del gruppo dei Popolari. Poiché la memoria sembra non abitare in alcune formazioni che non hanno radici profonde, voglio sottolineare, visto che sono stati fatti riferimenti ai padri del nostro paese (si è parlato di Sturzo federalista ed autonomista), visto che sono stati riferimenti a percorsi istituzionali e costituzionali, che per quanto riguarda la nostra storia - che non ha bisogno di essere richiamata - si può reagire ogni tanto a quelle appropriazioni indebite. Pensando all'opera costituzionale di persone come La Pira, Dossetti o Moro, non c'è bisogno di documentare quella propensione al federalismo ed all'autonomismo del nostro paese che ci sembra negata da parvenu del federalismo e di una storia che non esiste, se si conoscono i testi costituzionali del nostro paese.
Voglio soffermarmi solo su due punti che qualificano questo provvedimento. Quello che riguarda la sussidiarietà è stata opportunamente definito, anche da un giornale che negli ultimi tempi è stato molto critico nei nostri confronti, «una buona notizia per il cittadino» perché le


Pag. 151

norme che abbiamo adottato introducono per la prima volta nella storia costituzionale del nostro paese il principio per cui il cittadino, in forma singola o associata, può esercitare funzioni pubbliche. Questa è una piccola rivoluzione, se si fa riferimento a ciò che esisteva in precedenza, ed è un grande passo in avanti perché si stabilisce che i cittadini sono «i padroni di casa» e per questo possono intervenire nell'esercizio delle funzioni pubbliche. Poiché è stato scomodato il verbo «riconoscere» che, come sappiamo, ha costituito oggetto di approfondimenti in sede di Assemblea costituente, non voglio fare una battuta o una disquisizione semantica da esegeta fuori posto; voglio semplicemente precisare che il verbo «favorire» ricomprende il verbo «riconoscere» perché non occorre essere linguisti affermati per sapere che non si può favorire ciò che non si può riconoscere. Favorire significa riconoscere qualcosa che esiste o preesiste e lo si aiuta a crescere in un'armonia complessiva nella società civile dello Stato senza impostare la questione arringando il popolo nei riguardi di uno Stato nemico che è da combattere. Questa impostazione non ci appartiene per cultura ed è strano che venga evocata da forze politiche che si richiamano a principi liberali che dovrebbero permeare l'attività di normazione del nostro paese.
Quello relativo alla sussidiarietà è piuttosto un testo (altro che Hobbes ed Hegel, come è stato detto in precedenza) che richiama i principi del personalismo, che vede il cittadino padrone di casa e lo Stato al servizio del cittadino, in una tradizione che appartiene al partito in cui milito e a questo schieramento. Oggi, non è stata introdotta una fictio iuris nell'ordinamento ma, se si vuole stare ai fatti, è stato compiuto un passo avanti che non può non essere riconosciuto dai cittadini. Preciso, peraltro, che in materia di sussidiarietà (ma questo è plateale) la semplice inversione di quanto previsto dall'articolo 117 della Costituzione non può essere passata sotto silenzio, per il suo significato in termini di introduzione di un sistema federale nel nostro paese.
In secondo luogo, vorrei riferirmi alla sovranità fiscale; al riguardo, mi limito a dire che vengono introdotti tre principi che non possono essere disconosciuti nel loro significato politico, concreto e simbolico al tempo stesso. Un primo principio stabilisce sostanzialmente che il sistema delle autonomie fa riferimento ai mezzi propri, ma, in un contesto che prevede una comunità più larga della singola autonomia locale, dovranno essere previsti e disciplinati gli aiuti nei riguardi di quelle realtà che si trovano in condizioni peggiori. Si prevede, inoltre, il principio della territorialità e del ritorno all'autonomia dell'imposizione. Infine, si prevede il principio della solidarietà all'interno del sistema delle autonomie.
In conclusione, il testo che stiamo per votare non è certamente il paradiso terrestre, ce ne rendiamo conto; forse si sarebbe potuto fare meglio in questa legislatura, se ci fosse stato un atteggiamento positivo da parte delle opposizioni, tuttavia, esso introduce innovazioni significative nel nostro ordinamento per ciò che toglie (i controlli formali sugli atti, l'abolizione del CORECO e i visti statali sulle leggi regionali) e per ciò che dà (la materia ambientale, il coordinamento in materia di ordine pubblico e di immigrazione, la materia scolastica, culturale e previdenziale, la fissazione del principio dell'autonomia comunale secondo cui le funzioni amministrative spettano innanzitutto ai comuni) e per ciò che sperimenta (mi riferisco alle forme più avanzate di autonomia sul piano amministrativo, finanziario e legislativo, come si verifica nel modello spagnolo, che possono essere introdotte - sia pure con una procedura particolare - anche nel nostro ordinamento).
Per tutto questo insieme di ragioni, credo non si possa liquidare propagandisticamente il provvedimento che stiamo per votare, come accade quando si afferma che questo testo non vale nulla e si manifesta nelle parole la volontà un po' padrona di fare le cose semplicemente quando si ha il potere, senza accedere a quel sistema bipartisan di cui ho parlato


Pag. 152

precedentemente. Per queste ragioni, preannuncio convintamente il voto favorevole dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo sul provvedimento al nostro esame (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari e democratici-l'Ulivo, Comunista e misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il presidente Selva. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo arrivati all'atto finale di questa lunga maratona, nella quale Alleanza nazionale ha espresso con molta chiarezza la propria posizione, in particolare per l'eccellente lavoro svolto dal collega Migliori. Ma voi della maggioranza, con una determinazione che sconcerta, avete voluto condurre in porto, per la prima lettura, la vostra riforma dello Stato in senso federale.
La maggioranza ha voluto imporre la sua riforma; lo sottolineo come già hanno detto altri miei colleghi. Non lo ripeteremo mai abbastanza: è la sua riforma, perché la maggioranza l'ha elaborata, aggiustata, dimezzata, piegata alle necessità preelettorali di questa fine legislatura; è la sua riforma, perché ha sistematicamente respinto ogni contributo dell'opposizione e della Casa delle libertà.
Non è vero, onorevole presidente Jervolino, che avete lasciato la porta aperta al confronto. Lei stessa ha poi precisato che la maggioranza ha rivendicato e rigorosamente fatto valere il diritto di decidere, il che, onorevole Jervolino, in materia costituzionale apre un capitolo che vi allontana da quello spirito costituente di cui ci ha parlato in quest'aula Massimo D'Alema. La maggioranza ha deciso dicendo regolarmente «no» ad ogni nostra proposta, ad ogni nostro emendamento. È un bel modo, questo, di aprirsi al confronto!
Per usare un'espressione appropriata, direi che è stata tutta una presa in giro. Anche l'onorevole D'Alema, nel suo intervento di giovedì, trattando del problema della sussidiarietà ha ceduto alla tentazione di attribuire all'opposizione la responsabilità di aver spezzato un dialogo vero, che avrebbe - sono le sue parole - «consentito di chiarire» il dissenso che esiste sull'argomento. Un dissenso forte riguarda - e noi lo vogliamo sottolineare - l'interpretazione da dare alla questione della sussidiarietà, sulla quale si incontrano e si scontrano due concezioni opposte e che impediscono alla sinistra, ancora legata culturalmente e politicamente allo statalismo e al centralismo, di accettare l'apertura all'intervento privato, da noi sostenuto, per coniugare efficienza ed equità nell'interesse dei cittadini. Dunque, apertura e dialogo ammessi a parole, ma negati nei fatti.
Ciò che è ancora più grave è che vengono presi in giro i cittadini. Questa vostra riforma è, come è stato giustamente affermato, una «riformetta», acqua fresca, come ho già avuto modo di far rilevare, che non soddisfa neppure i minimalisti della Conferenza dei presidenti delle regioni, perché del federalismo, cioè di un nuova e seria forma di Stato in senso federale, nel vostro elaborato non c'è davvero neppure l'ombra. Nella legge che voi - e solo voi, per la prima volta nella storia dei percorsi costituzionali di questo nostro paese - state per approvare, non c'è nemmeno il presupposto minimale.
Alla maggioranza appartengono colleghi di lungo corso, che non ignorano i percorsi parlamentari delle riforme costituzionali. Io sono andato a leggermi, prima di partecipare ai lavori della Commissione bicamerale, quali sono stati gli sforzi di mediazione, di ricerca della più ampia base comune, negli anni tra il 1946 e il 1948, ed ho visto articoli scritti e riscritti molte volte per arrivare ad una base comune che potesse permettere di fare della Carta costituzionale la carta di fondazione di uno Stato qual è il nostro. È facile, ormai, indicare il percorso di questa legge, se voi riuscirete a portarla in porto; ma se doveste riuscirvi, come già è stato detto dalla nostra parte, noi indiremmo immediatamente il referendum


Pag. 153

(che è un appello al popolo al quale credo che la nostra Carta costituzionale dia piena legittimità, tant'è vero che è previsto nell'articolo 138), per impedire che questa riformetta possa essere approvata e per passare la mano al Parlamento (perché riteniamo anche noi che il Parlamento sia legittimato in primis a fare le riforme costituzionali) per decidere in senso realisticamente federale.
Si può dire perfino che abbiamo perso del tempo, con tutta probabilità. Il Parlamento, forse, avrebbe potuto occuparsi di altri problemi che sono in lista d'attesa, visto che le vostre intenzioni erano così minimali e, lasciatemi dire, raggiunte soltanto al prezzo di infinite negative mediazioni. Questo significa forse - pongo a me stesso la domanda - che noi non attribuiamo al federalismo l'importanza che merita? Mai più. Il percorso della destra, oltretutto, è stato trainato, in questi ultimi tempi, proprio verso l'indirizzo di una forma di Stato diversa ed io sono, in qualche misura, personalmente orgoglioso di aver contribuito a questa maturazione.
Abbiamo sostenuto l'esigenza di un federalismo compiuto i cui pilastri non possono che essere la sussidiarietà, il fisco, la Camera delle regioni e un nuovo modo di nominare i giudici della Corte costituzionale, anche in questa riforma non del tutto compiuta. Questi sono i punti sui quali abbiamo richiamato il vostro spirito collaborativo, richiesta alla quale avete risposto negativamente.
Durante tutto il dibattito, ci siamo sforzati di soffermarci su questi punti. Sul federalismo fiscale, come ha detto da par suo più volte l'onorevole Carlo Pace abbiamo voluto ribadire che alla base di una seria riforma di ordinamento finanziario dello Stato vi è l'esigenza di riaffermare, ad ogni livello, il principio della responsabilità da parte dei soggetti della spesa, in modo da evitare una spesa incontrollata. Solo così sarà possibile garantire un migliore servizio alla collettività senza spreco di risorse, senza, in altre parole, che venga dilapidato il patrimonio pubblico che appartiene a tutti i cittadini e di cui i cittadini hanno il diritto di fruire con servizi di qualità.
Sappiamo tutti che la realtà italiana, dal punto di vista sociale ed economico, presenta molte facce. Per questo è indispensabile fare un attento esame dei bisogni e corrispondervi con equità. Di tutto ciò, onorevoli colleghi della maggioranza, non c'è traccia nel provvedimento che voi vi apprestate a votare.
Oggi è venuto alla nostra attenzione anche il problema della cosiddetta Camera delle regioni, che l'onorevole Soda, sempre deciso, quasi apodittico nelle sue affermazioni, questa volta ha respinto quasi con un'aria di sufficienza altezzosa. Ebbene, se volevate dimostrare che la vostra è una riforma che risponde ai principi che promanano dal basso, avreste dovuto dedicare, forse, maggiore attenzione anche a questa proposta, certo difficile, perché comporta la modifica di altri articoli della Costituzione, ce ne rendiamo conto. Tuttavia, non potete liquidare questa cosa con la giustificazione - che magari può suonare alquanto demagogica alle orecchie dei male informati - che noi avremmo voluto istituire, in questo modo, una terza Camera. No! L'occasione della riforma federale avrebbe dovuto introdurre elementi di novità sostanziale e la nascita della Camera delle regioni avrebbe consentito di istituzionalizzare la rappresentanza regionale nello stesso modo in cui avviene nella Germania federale, l'esempio più vicino a noi, dove, accanto al Bundestag, eletto direttamente dal popolo, c'è il Bundesrat, in cui vi sono i rappresentanti nominati dai Länder.
Non avete ascoltato le nostre proposte; non ci è stato possibile sederci attorno ad un tavolo per lavorare insieme con quello spirito di cui parlavo all'inizio ad un progetto utile e condiviso da molti. Adesso ci volete rimproverare di volere solo una terza Camera, tanto per avere un piccolo fiore da mettere all'occhiello. No! Ripeto che i cittadini non debbono essere ingannati. Se il paese vuole ed ha bisogno di una vera riforma in senso federale, è necessario non gettare fumo negli occhi


Pag. 154

come state facendo con questa vostra proposta. L'impalcatura deve essere messa a punto insieme in uno sforzo di sintesi delle diverse posizioni, ma deve essere federale, non deve essere soltanto una bandierina da alzare in campagna elettorale.
Voi non lo avete voluto e, se questo provvedimento sarà approvato, i cittadini debbono sapere, fin d'ora, che non servirà a nulla e che per cambiare realmente l'assetto dello Stato sarà necessario riprendere il discorso da capo.
L'onorevole Monaco ci ha detto che la Casa delle libertà ha agito da separati in casa ed ha citato due argomenti, quello dello scuola e quello dell'ordine pubblico. Avete fatto scarsa attenzione al nostro comportamento; soltanto alcune voci, in una Casa delle libertà che mantiene pur sempre la libertà di ciascuno dei suoi componenti, hanno espresso, come è loro diritto e dovere, dissensi che non hanno toccato minimamente l'unità del comportamento che si è espresso nei cinque emendamenti che i presidenti dei gruppi della Casa delle libertà hanno sottoscritto insieme.
Avete anche tentato di mettere la Lega contro il Polo, mentre credo che sia sforzo storicamente importante essere uniti ad una forza, cui voi in altri tempi avete perfino riconosciuto la caratteristica di essere una costola della sinistra - poi, magari, ve ne siete assolutamente pentiti -, che esprime sicuramente qualcosa di molto importante, di storicamente molto valido da sentire e da accettare nei limiti che non possono superare confini insuperabili come quello dell'unità nazionale e che sono invece positivi quando esprimono un fermento che dà vigore e vita al nuovo Stato che vogliamo costruire.
Noi - e mi dispiace di doverlo dire -, di fronte alla condizione che si è venuta a creare, riteniamo che, essendo questa la vostra proposta per la quale non avete consentito che nemmeno un nostro emendamento potesse essere riconosciuto valido, dobbiate votarvela da soli questa proposta di legge! Ci dispiace, francamente è un atto che faccio con qualche sofferenza sotto il profilo democratico, ma credo sia nostro dovere far capire agli italiani che questa è la vostra riforma, che noi non la condividiamo e che essa non corrisponde alle esigenze della gente. Perciò, non parteciperemo al voto che vi apprestate a dare ad una riforma che contraddice assolutamente lo spirito federalista (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisanu. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non voteremo questo confuso e confusionario provvedimento, questa riformetta voluta e imposta esclusivamente dalla maggioranza.
Se il testo che vi accingete a varare dovesse malauguratamente procedere nel suo iter costituzionale e tornasse qui in seconda lettura, noi esprimeremmo voto contrario facendo venire meno la maggioranza dei due terzi e rendendo così possibile il ricorso al referendum perché vogliamo che sia il popolo a stabilire se è accettabile una riforma della Costituzione fatta a colpi di maggioranza da una maggioranza intollerante che è, comunque, già minoranza nel paese.
Noi non abbiamo cercato questo esito; ha fatto bene a ricordarlo or ora il collega Selva. Al contrario, abbiamo cercato di introdurre elementi in quel testo che rendessero legittima la definizione di riforma in qualche modo federalista. A questo fine vi abbiamo presentato non cinquecento, ma cinque, soltanto cinque emendamenti che avrebbero potuto costituire non solo una base di discussione, ma l'occasione per arrivare ad una qualche ragionevole intesa. Così non è stato. I nostri emendamenti li avete bocciati; uno, quello sulla sussidiarietà, lo avete manomesso ed il modo ancora ci offende.
Ma, giunti a questo punto, non è più il caso di discutere del merito di questo provvedimento. Qui c'è ormai spazio soltanto per qualche conclusiva valutazione


Pag. 155

politica e il fatto più grave è la pretesa che voi avete di cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza alla vigilia di una campagna elettorale per ragioni meramente elettorali, si potrebbe dire miserabilmente elettorali (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). È un fatto grave, inaudito, senza precedenti nel nostro paese né in alcuna delle democrazie dell'occidente. Da 200 anni a questa parte, da Tocqueville a Popper, questo modo di procedere, questa pretesa di imporre le regole a colpi di maggioranza si chiama con un nome solo: tirannia della maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
So che non tutti sarebbero d'accordo. Non sarebbe d'accordo con noi, ad esempio, il Presidente Fujimori, esperto nippo-peruviano di maggioranze manufatte e forse non sarebbe d'accordo con noi neppure quel buontempone dell'onorevole Bagliani che di questi manufatti se ne intende.

Dai banchi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo si chiede: Chi è?

BEPPE PISANU. Quello per il quale abbiamo fatto una piccola inchiesta parlamentare, che costruiva anche lui, a modo suo, maggioranze alla Fujimori. Se ne volete sapere di più, chiedete una consulenza al sindaco di Roma (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
A parte questo, credo che voi dobbiate rendervi conto fino in fondo del fatto che procedendo così vi prendete la responsabilità di trasformare la Carta costituzionale in un terreno di conquista per maggioranze in deficit di consenso ed alla vigilia delle competizioni elettorali.
Quando questa Costituzione fu scritta il paese era diviso da grandi passioni ideali e da grandi contrasti politici, talmente forti da rendere incombente il rischio di quella guerra civile che aveva già insanguinato il paese. Tuttavia in quegli anni dal 1946 al 1948 mai a nessuno dei padri costituenti venne in mente, passò per l'anticamera del cervello di fare quello che voi invece state facendo a cuor leggero, cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza.
So che non andrete lontano perché, se insisterete, vi fermerà il referendum popolare, ma ciò non attenua la gravità del fatto né riduce da un lato le vostre responsabilità né, dall'altro, le nostre preoccupazioni. Chi ci dice, chi ci garantisce che mentre qui cambiate a colpi di maggioranza la Costituzione, al Senato non stiate preparando analoga sorpresa per la legge elettorale? Il gioco estenuante delle aperture verbali e del rinvio sistematico degli impegni da prendere ci autorizza a nutrire ogni sospetto.
Del resto, in materia elettorale avete più di un peccato da espiare. Vi ricordo soltanto il decreto-legge «pulisci liste», varato alla vigilia del referendum e poi lasciato decadere dopo che ne avevate incassato le conseguenze, ossia la cancellazione di decine di migliaia di cittadini dalle liste elettorali, che ancora non sanno quale sarà la loro sorte (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia), ma ai quali voi avete arbitrariamente sospeso diritti costituzionalmente garantiti (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo). Arbitrariamente, lo sottolineo.
Pertanto, se per la legge elettorale non facciamo processi alle intenzioni ed aspettiamo i fatti tenendo, alla luce dell'esperienza, gli occhi bene aperti, oggi ci limitiamo a prendere atto del sopruso democratico che state compiendo, della vostra inaudita pretesa di modificare la Costituzione a colpi di maggioranza per fini miseramente elettorali.
È chiaro comunque - e concludo - che così facendo voi, per vostra esclusiva volontà, interrompete qui dentro ogni residua possibilità di dialogo tra maggioranza ed opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). Ne tenga conto anche lei, signor Presidente della Camera, soprattutto quando bisognerà prendere decisioni di carattere procedurale alle quali si legano i diritti di parola e di iniziativa


Pag. 156

delle opposizioni, diritti che in questa vicenda non sono stati pienamente garantiti, glielo ripeterò finché avrò fiato in corpo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Noi, quindi, come i colleghi di Alleanza nazionale, come i colleghi della Lega nord Padania, come gli altri colleghi della Casa delle libertà, non parteciperemo alla votazione: lasciamo esclusivamente sulle vostre spalle la responsabilità di portare avanti fino in fondo e da soli questo colpo di maggioranza, perché è certo che, se andrete avanti a colpi di maggioranza, noi vi resisteremo, e a modo nostro, a colpi di opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania - Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mussi. Ne ha facoltà.

FABIO MUSSI. Signor Presidente, purtroppo non è la prima volta che nel corso di questa legislatura...

PRESIDENTE. Colleghi, prendete posto.

FABIO MUSSI. ...assistiamo allo spettacolo delle opposizioni che abbandonano l'aula e non partecipano al voto (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo e Comunista - Applausi polemici dei deputati del gruppo di Forza Italia).

Dai banchi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania si grida: Bravo!

FABIO MUSSI. Vorrei ricordare ai colleghi di tutte le parti politiche che la stragrande maggioranza dei componenti la Camera ha già votato a favore di un testo molto, molto simile a quello in discussione: mi riferisco al testo licenziato dalla Commissione bicamerale. Questa Assemblea, quasi...

PRESIDENTE. Mi scusi, presidente Mussi, la interrompo per informare i colleghi che stanno uscendo che dopo esamineremo il collegato fiscale.

ELIO VITO. E dopo, l'informativa?

PRESIDENTE. Sì, lo dico perché lo sappiate.
Prego, presidente Mussi.

FABIO MUSSI. L'Assemblea completò e votò la riforma del titolo I della parte II della Costituzione, e la I Commissione ha lavorato su quel testo, sul contributo dato (proposta a prime firme D'Alema e Amato) dal Governo alla predisposizione di un'ipotesi di riforma, nonché sui testi delle opposizioni. Noi votammo: non abbiamo cambiato idea, altri evidentemente sì. Quella che stiamo per votare non è una «riformetta», ma è una riforma vera e un grande cambiamento, come si vede già dall'apertura dell'articolo 114 nel testo riformulato, che così recita testualmente: «La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province o città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato». Per la prima volta lo Stato diventa uno dei soggetti della Repubblica! L'articolato prosegue poi nella seguente maniera: «I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica».
Ma le innovazioni sono numerose e grandissime: l'inversione dell'articolo 117 della Costituzione che stabilisce i poteri esclusivi dello Stato e assegna tutti gli altri alle regioni e alla loro potestà legislativa; l'indicazione di un'ampia legislazione concorrente, sulla quale lo Stato e le regioni sono soggetti alla pari; l'indicazione di una particolare procedura per la quale le singole regioni possono contrattare particolari condizioni di autonomia, allargando ed estendendo la loro autonomia; l'introduzione di un federalismo fiscale che disegna un modello in cui convivono autonomia, competizione e solidarietà; il principio della parità di accesso agli uomini


Pag. 157

e alle donne alle cariche elettive; la sussidiarietà verticale che sposta tutte le funzioni amministrative verso il soggetto principe dell'amministrazione, ovvero il comune; la sussidiarietà orizzontale, in sintonia con quella prima parte della Costituzione; quegli articoli 2 e 3 del nostro dettato costituzionale nei quali efficacia ed equità nei diritti e nelle libertà esercitate dai cittadini vanno di pari passo, come ieri ha voluto ricordare qui il presidente D'Alema. È un testo che prevede che lo Stato favorisca l'attività dei cittadini singoli o associati svolta nell'interesse pubblico e che ha avuto anche il riconoscimento di alcuni soggetti della società civile, tra i quali vorrei citarne uno tra i tanti perché è piuttosto lontano politicamente da noi, ma che è piuttosto vicino all'onorevole Buttiglioni: Vittadini, il presidente della compagnia delle opere. Con l'apprezzamento di tante parti della società civile, rafforza con il «favorisce» un principio di libertà e di sostegno.

PAOLO ARMAROLI. Questo è statalismo allo stato puro!

FABIO MUSSI. E vi è già un grande processo in corso che è stato favorito dalla politica dei Governi di centrosinistra.
Non so se qualcuno ieri ha visto il rapporto di Gianpaolo Barbetta per l'università cattolica sul terzo settore, che ci ha parlato di una vera e propria esplosione in questi anni del terzo settore: 5 milioni e mezzo di volontari; 690 mila occupati che prestano esattamente servizi volti a tutelare interessi pubblici!
La verità è che la nostra maggioranza e i nostri Governi hanno seguito una filosofia non statalista ed hanno al tempo stesso conservato l'idea di una funzione e di un ruolo dello Stato! Basta guardare le leggi che sono state approvate dal Parlamento su impulso del Governo del centrosinistra: dalla legge sull'assistenza a quella sul servizio civile!
Noi siamo determinati a concludere, onorevoli restanti del Polo, in doppia lettura l'esame del provvedimento seguendo la strada costituzionale dell'articolo 138 della Costituzione. Collega Selva, non è stata né una forzatura né un capriccio; lo stralcio di queste norme è stato pensato su pressante richiesta delle regioni, dell'associazione dei comuni italiani, dell'associazione dell'unione delle province italiane. Vi è stato anche un appello «a fare» del Presidente della Repubblica, preoccupato certamente dell'esercizio di una responsabilità peculiare nostra perché, dopo l'elezione diretta dei presidenti delle regioni, la grande novità che è stata introdotta a legislatura regionale appena aperta, non sarebbe davvero responsabile saltare l'occasione di consegnare a queste nuove regioni - così diversamente statuite - i poteri e le risorse perché possano esercitarsi pienamente le loro funzioni costituzionali.
È evidente che si tratta di un grande passo, ma di uno. Altri ne dovranno seguire. È evidente che è all'ordine del giorno il tema della Camera delle autonomie; è evidente che la Camera delle autonomie ci rimanda immediatamente al sistema da riformare delle fonti e delle garanzie e questo ci rimanda a sua volta al tema della forma di Governo, del meccanismo con cui le Camere danno la fiducia al Governo, della sfiducia costruttiva e dell'istituzione, per esempio, del premierato. Ed ho sentito qui fieramente avversare la riforma della legge elettorale dal segretario della Lega Umberto Bossi, su cui mi pare che resti una posizione aperta e possibilista di altre parti del Polo. Se si va avanti su un'ipotesi di riforma elettorale, per esempio, una indicazione del premier che prefigura un cambiamento e una riforma della forma di Governo è un altro passo che si può compiere.
Certo, caro Selva, che se da qui, da queste poche norme stralcio che abbiamo discusso, come in una collana di perle avessimo voluto tirare e deliberare sul complesso delle questioni collegate saremmo tornati esattamente al tavolo della bicamerale che è stato sbaraccato non da noi, ma dal leader del Polo, onorevole Silvio Berlusconi, che con quell'atto ha


Pag. 158

effettivamente bruciato una grande opportunità e una grande occasione per il nostro paese.
Voi avete mosso un'accusa politica, con i toni surriscaldati e veementi dell'onorevole Pisanu: avete voluto, volete fare da soli, avete offeso lo spirito costituente.
Non voglio ricordare che è stato accolto più di un emendamento del Polo; non voglio qui ricordare che molte delle riformulazioni dei testi operate dalla Commissione sono state fatte in accoglimento di punti di vista e suggestioni vostre e da voi stessi condivise al momento della presentazione di quei nuovi testi. Mi viene però da dire: ma da che pulpito viene la protesta!
Vedete se riconoscete questa affermazione politica: da molto tempo si parla di riforme istituzionali che non si fanno mai per il conservatorismo della vecchia consociazione partitocratica; una forte e coesa maggioranza parlamentare di centrodestra permetterà finalmente di realizzare un progetto riformatore che restituisca al Governo nazionale pienezza di esistenza politica sulle grandi questioni ed esalti l'autogoverno delle comunità territoriali in uno Stato rinnovato secondo i principi del federalismo. È il 7 agosto di quest'anno e l'autore è l'onorevole Silvio Berlusconi.
Quindi, la minaccia di fare da soli è venuta molto prima della discussione sugli articoli di questa legge ed esattamente dal leader del vostro schieramento. Non c'è ragione alcuna che l'onorevole Pisanu si inalberi, al tempo stesso difendendo il punto di vista del suo capo. Dopo le elezioni regionali è venuto anche altro. È venuto l'annuncio e la legge approvata dalla regione Lombardia e l'annuncio in Piemonte e in Veneto, e forse in Liguria, di un referendum che rappresenta un plebiscito privo di base costituzionale da effettuarsi nel giorno delle elezioni politiche. Altro che spirito costituente (Commenti del deputato Selva)! Qui l'intenzione è quella di usare questi grandi temi d'interesse comune come uno slogan per la campagna elettorale, per la propaganda elettorale e per raccogliere voti da bruciare magari come incenso sull'altare di un potere particolarmente concentrato nel capo. Tuttavia, siamo sensibili all'argomento. Se si vorrà promuovere il referendum confermativo, cosa di cui mi permetto, una volta che l'iter sia compiuto, di dubitare, qualora si voglia usare una delle opportunità offerte dall'articolo 138 (un quinto dei membri di una Camera, 500 mila elettori, 5 consigli regionali), noi collaboreremo all'indizione di quel referendum e chiederemo ai cittadini il sì su una riforma che è una riforma vera, non è la riformetta che qui avete voluto dire! Ma il Polo, a parte il no, l'ostruzionismo, le tattiche d'interdizione, ha qualche idea su quello che eventualmente, in positivo, si deve fare?
Sapete come avete votato in queste giornate? Su quasi tutti gli emendamenti e quasi tutti i testi avete votato bianco, rosso e verde, non in nome della bandiera nazionale ma perché eravate divisi su tutto, Polo della libertà e Lega. Ora, trascuro i paradossi, il fantasma evocato per giornate intere di una Repubblica comunista popolata di omosessuali (Si ride); quadro clinico allarmante: si chiamano fobie ossessive. Voglio però ricordarvi che avete votato in modo difforme sulla proposta di equiparare la capitale alle regioni a statuto speciale, sulla politica dell'accoglienza, sulla programmazione dei flussi d'immigrazione, sulla disciplina dei mercati finanziari, sull'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, sull'omogeneo riconoscimento di livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, sull'autonomia scolastica, sui porti e gli aeroporti, su produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, sulla potestà legislativa alle province, sull'accesso e la parità delle donne agli uomini, su ulteriori forme e condizioni di autonomia...

PRESIDENTE. Onorevole Mussi, non vorrei che questo elenco la portasse troppo lontano!

FABIO MUSSI. ...sul principio di sussidiarietà, sui commissari di Governo! Voi


Pag. 159

non avete la minima idea di come deve essere riformato questo Stato (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo, dei Democratici-l'Ulivo, Comunista, misto-Verdi-l'Ulivo e misto-Rinnovamento italiano)!
Allora, colleghi cari, noi andremo avanti rispettando le regole democratiche, collaboreremo se vorrete con il referendum; pensiamo di portare in porto una riforma federalista, difendendo al tempo stesso l'unità nazionale. Non voteremo, ha detto lei, onorevole Selva, ed in modo più convinto l'ha detto l'onorevole Pisanu: purtroppo, siete competenti in molteplici interessi salvo uno, l'interesse del paese, ed in nome di questo interesse noi voteremo sì (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo, dei Democratici-l'Ulivo, Comunista, misto-Verdi-l'Ulivo e misto-Rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Caveri. Ne ha facoltà.

LUCIANO CAVERI. Signor Presidente, colleghi, è con vivo rincrescimento che annuncio il mio voto contrario. Questo voto è in piena coerenza con le cose che ho detto e ho fatto in quest'aula dal 1987: mi aspettavo che, dopo tante discussioni, dopo la Commissione bicamerale, finalmente si arrivasse a qualcosa di concreto rispetto alla tematica del federalismo ed invece direi che il fatto stesso che l'aggettivo «federale» sia scomparso dal titolo fotografa una realtà che non condivido.
Voglio però osservare che l'aspetto che mi spinge ad un voto negativo riguarda l'occasione mancata in favore delle autonomie speciali. Ho molto apprezzato l'intervento del collega Zeller, che con la solita maestria e la finezza giuridica che lo contraddistingue ha elencato le luci, gli aspetti positivi per la sua provincia e per le autonomie speciali presenti in questa riforma, come per esempio il bilinguismo che vale anche per la Valle d'Aosta-Vallée d'Aoste, il venir meno dei controlli governativi, e tuttavia vorrei dire che, per noi valdostani, l'assenza della garanzia internazionale, in qualche maniera, ci convinceva della necessità di radicare qui il principio giuridico dell'intesa. Noi riteniamo che il principio politico dell'intesa esista già oggi, ma ci siamo accorti di come questa nostra speranza sia ondivaga nei rapporti con Roma.
Ecco perché credo che il fatto di non aver scritto l'intesa nel nuovo articolo 116 sia una grave responsabilità della maggioranza, del Governo e anche del centrodestra che nulla ha fatto per appoggiare questa logica pattizia. D'altra parte a chiederlo sono state la piccola Valle D'Aosta e le province di Trento e Bolzano e tre grandi regioni oggi governate dal Polo, quali il Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna, non hanno detto nulla sul tema mentre il loro peso sarebbe stato importante nella discussione. Vorrei dire, dunque, che in tema di federalismo torna d'attualità un vecchio motto dell'Union Valdotaine cui appartengo: «ni droite, ni gauche», nel senso che constatiamo con amarezza che quando si giunge al dunque, all'applicazione reale di qualcosa che modifichi in profondità la Costituzione manca il coraggio e si paga quella necessità di trovare un quadro di intesa. Chiaramente comprendiamo tutto ciò, essendo una parte minuscola di questa maggioranza, ma è mancato quel coraggio che, probabilmente, avrebbe fatto fare a questa riforma un autentico salto in avanti. Vede Presidente, l'aspetto che mi amareggia di più è che come membro del secondo Governo D'Alema, in Commissione, all'interno del Comitato dei nove era passato il principio del pattizio e dell'intesa con un emendamento che diceva che «le leggi costituzionali di modifica di detti statuti sono adottate sulla base di intese con le regioni interessate». Alla ripresa settembrina, invece, la delusione e la scomparsa di questa definizione che ha creato sconcerto nello stesso consiglio regionale della Valle D'Aosta, i rappresentanti del quale ho incontrato in questi giorni e nel Governo regionale. Ecco le ragioni di un voto contrario: una


Pag. 160

grande occasione per incardinare il principio del pattizio che avrebbe dato un respiro diverso a questa riforma costituzionale. Arriverà il federalismo? Arriverà in fondo questa riforma? È difficile dirlo. La mia unica speranza è che ci si renda conto che federalismo non sono solo parole di ingegneria costituzionale da misurare con il bilancino, ma è la reale volontà di una modificazione di sostanza della Costituzione vigente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, l'onorevole Guarino. Ne ha facoltà.

ANDREA GUARINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la dichiarazione di voto finale su un progetto di legge costituzionale è un giudizio politico e non riguarda le singole disposizioni, ma il quadro complessivo. Si giudica la posizione, la filosofia politica che esprime il progetto. Il punto di fondo è il seguente e traspare dal testo che è stato votato fino a questo punto: è un'autonomia controllata, una libertà vigilata per tutte le materie che effettivamente incidono sulla vita delle persone, sullo sviluppo della società e sul percorso che ciascuna regione potrebbe e dovrebbe liberamente scegliere; lo Stato controlla, sovrintende e regola. Lo stesso avviene per la sussidiarietà sociale e non è una manifestazione della preoccupazione di tutelare e garantire i diritti fondamentali. La sussidiarietà sociale consente, anzi impone, di intervenire quando occorra tutelare e realizzare i valori e le libertà del cittadino e della società che sono scritti nella prima parte della Costituzione. Non è quindi una questione di strumenti, ma una questione di fondo, un'opposizione di fondo, politica, un'opposizione a che il cittadino sia al centro delle proprie scelte, una sfiducia nelle sue capacità di operare individualmente per il bene comune. Questo è il dato che emerge dal testo. Allora, bisogna chiedersi perché avviene tutto ciò. C'è una sola spiegazione razionale ed è che si continua a ragionare con un paradigma incardinato nei decenni, un modo di concepire il rapporto tra le istituzioni statali o regionali (non importa) e il cittadino che data nei secoli passati. È un modo che abbiamo visto tante volte, anche in legislature recenti, in leggi che prevedono: «è consentito l'intervento dei cittadini», ma «a condizione», «nel quadro», «nel programma».
Se posso esprimermi in questo modo, con il rispetto dovuto al tema, è una posizione politica che non esiterei a definire preconciliare: nulla salus sine ecclesia. Ma qui, onorevoli colleghi, noi non siamo investiti di una prerogativa divina, non rappresentiamo la Chiesa. Ci dobbiamo sforzare di capire che cosa il popolo, i cittadini vogliono realmente da noi. Su questo punto entriamo in contraddizione.
Onorevole Veltroni, lei è un po' più giovane di me e forse non ricorda la sera del 22 novembre 1963, quella dell'assassinio del Presidente Kennedy, quel Presidente a cui lei in maniera apprezzabile si è più volte richiamato come fonte ispiratrice di ideali.
Onorevole Veltroni, la nuova frontiera, quell'ideale che tutti noi abbiamo sentito infranto quella sera si fonda sul principio della libertà del cittadino dall'intromissione dello Stato e del rispetto che lo Stato deve al cittadino. Onorevole Veltroni, questa è la contraddizione fondamentale (Applausi del deputato Garra)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Capua. Ne ha facoltà.

FABIO DI CAPUA. Signor Presidente, annuncio la mia astensione e quella del collega Veltri su questo provvedimento per una serie di ragioni che rapidamente esporrò.
La prima è una ragione di merito, perché questa riforma, secondo noi, nonostante la sussidiarietà verticale, rafforza l'istituzione regionale oltre il dovuto e, sommando i contenuti di questo provvedimento alla legge sull'elezione dei presidenti, sedicenti governatori regionali, e ad altre iniziative sul federalismo fiscale, si


Pag. 161

determina un rafforzamento di questa istituzione che va a comprimere le potenziali volontà organizzative e gestionali degli enti locali subalterni.
La riforma federale doveva partire dalle autonomie locali, dai comuni e dalle libere associazioni dei comuni nel determinare i propri percorsi di sviluppo e di crescita. Questo non avviene e noi rischiamo di avere questo soggetto regionale «totipotente», sostitutivo del livello centrale e probabilmente anche capace di disegnare e prefigurare ventuno modelli di servizio sanitario in questo paese: lo consideriamo pericoloso e inaccettabile.
Un'altra ragione è quella di considerare sbagliato e inaccettabile un percorso di riforma federale dello Stato svincolato dalle altre grandi riforme sulla forma di Governo e sul Parlamento. È un appuntamento mancato. Avremo nel nostro paese un'istituzione centrale pletorica che si sommerà a ventuno organismi pletorici regionali. Non vi sono stati il coraggio, la volontà e la sensibilità di affrontare contestualmente questo tema, come era necessario fare.
Infine, un altro motivo di dissenso è il tentativo che si fa da tutte le parti politiche di darsi una veste riformatrice nel corso di una legislatura che è sostanzialmente fallita su questo tema. Il Parlamento, con il centrodestra e il centrosinistra, abbia il coraggio di riconoscere il fallimento della stagione delle riforme. Non ha affrontato i grandi nodi della riforma del paese per veti incrociati, ma anche per forme di autotutela lobbistica. Probabilmente avrà ragione chi prospettava l'idea di un'Assemblea costituente per riuscire a dare finalmente un volto nuovo a un paese che cambia; un paese che dal punto di vista economico, civile e sociale viaggia molto più velocemente del paese politico.
Sono brevi e argomentate ragioni che mi inducono a confermare l'astensione nella votazione di questo provvedimento.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.

ROSA JERVOLINO RUSSO, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSA JERVOLINO RUSSO, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, ho chiesto la parola per un breve intervento che ritengo doveroso innanzitutto per esprimere gratitudine ai due relatori, e anche per rompere l'atmosfera di contrapposizione che si è generata in quest'aula, oltre che a tutti i colleghi della Commissione, sia di maggioranza sia di opposizione, che hanno lavorato con un impegno molto diverso. Credo che valga la pena di fare qualche riflessione nelle sedi opportune anche sulla verbalizzazione dei lavori del Comitato dei nove perché si è detto e si è ripetuto che non c'è stata possibilità di confronto, che non ci si è voluti sedere allo stesso tavolo. Credo che più di venti ore di lavoro del Comitato dei nove dimostrino questa disponibilità. Il provvedimento che è stato portato avanti comunque riafferma il diritto-dovere del Parlamento di legiferare e disinnesca qualsiasi possibilità, anche latente, di conflitto tra Stato e regioni, dimostrando, secondo il disegno dell'articolo 5 della nostra Costituzione, che l'unità nazionale e la crescita dell'autonomia non sono antinomici ma sinergici.
Vorrei infine ringraziare tutti gli uffici della Camera e in particolare quelli della Commissione che si sono sottoposti ad un lavoro veramente massacrante (Applausi).

Back Index Forward