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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
GIOVANNI BIANCHI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi è, ed è facilmente coglibile, un senso epocale nel provvedimento in discussione. Dico ciò senza fare scialo di iperboli, poiché mi pare impossibile valutarne la direzione e la portata senza dare uno sguardo a questo secolo che sta tramontando. È un'operazione da fare senza fretta e senza superficialità: molti risultati sono stati ottenuti, mentre altri fattori insieme con determinati benefici hanno prodotto vere e proprie piaghe, fra le quali la schiavitù del debito estero.
abbia pagato due volte l'importo del suo debito estero tra il 1980 e il 1996, si trova ancora tre volte indebitata rispetto a sedici anni fa? Sono domande alle quali la Commissione esteri ha cercato di rispondere con modalità non soltanto conoscitive, fino ad arrivare a parlare, con modalità non so quanto impropria, di «parlamentarizzazione» del disegno di legge presentato dal Governo.
privati italiani vantavano ancora un credito dai paesi in via di sviluppo di 60.948 miliardi di lire, di cui 22.963 pubblici e 38.255 privati. Aggiungo che i paesi dell'Est avevano verso di noi un debito, sempre al 31 dicembre 1997, di 17.341 miliardi di lire, di cui 7.433 pubblici e 9.908 privati.
rinunciare alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e a perseguire il benessere sociale ed il pieno sviluppo della persona, favorendo in particolare la riduzione delle povertà.
parimenti intervenire sulla massa dei debiti che sono in mano alle banche o di quelli (soprattutto derivanti da crediti commerciali) che concernono i paesi a medio reddito.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
FRANCO DANIELI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, intervengo brevemente solo per ricordare che questo disegno di legge, di iniziativa governativa, arriva oggi in quest'aula dopo il lavoro intenso svolto dalla Commissione affari esteri. Voglio dare atto qui dell'intensità e della serietà con cui la Commissione ha voluto prima svolgere una sorta di indagine conoscitiva per approfondire il problema, ascoltando soggetti singoli e collettivi che da anni sono impegnati attivamente sul tema dell'annullamento del debito.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.
GUALBERTO NICCOLINI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare il relatore per il lavoro svolto e per la relazione da lui svolta, nella quale si riconosce quasi totalmente anche il gruppo di Forza Italia.
diverso da quello che giunge all'esame dell'Assemblea. Il provvedimento è stato sofferto, studiato e valutato nei minimi particolari, con una vasta azione di monitoraggio, di incontri e audizioni.
Per tali motivi ritengo che sia molto giusto dire al cittadino italiano: sappi che nei prossimi tre anni rinuncerai per esempio a crediti per 12 mila miliardi; regolati, perché ognuno di noi dovrà rinunciare ad una parte di quei crediti di tasca propria, ossia con un aumento o con una non diminuzione di tasse.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Francesca Izzo. Ne ha facoltà.
FRANCESCA IZZO. Presidente, il testo in discussione è, come già hanno sottolineato il relatore e l'onorevole Niccolini, il risultato di un intenso, rapido e proficuo lavoro parlamentare svolto dalla Commissione affari esteri su un'originaria proposta del Governo. Grazie a tale lavoro, al contributo offerto dal gruppo dei DS e alla disponibilità dimostrata dal Governo, questa proposta è stata sensibilmente modificata. È stato così delineato un quadro legislativo che autorizza il Governo italiano ad agire con maggiore rapidità ed efficacia, rispetto alle attuali regole vigenti negli organismi multilaterali, riguardo alle iniziative di cancellazione del debito estero dei paesi in via di sviluppo, alleggerendo così uno dei più pesanti ed iniqui fardelli che gravano sulle prospettive di sviluppo umano, civile ed economico del sud del mondo.
ricco attraverso bibliche migrazioni, crescita dell'insicurezza, ritorni di barbarie come i traffici di esseri umani, la schiavitù, la prostituzione e lo sfruttamento di donne e di bambini. È atto politico responsabile e consapevole delle nuove sfide del mondo globalizzato far uscire dalla povertà e dal sottosviluppo miliardi di esseri umani. Ma in tema di debito estero dei paesi in via di sviluppo credo siano opportuni alcuni, benché sommari, richiami storici ed analitici, per chiarire come l'enorme debito si sia accumulato per responsabilità prevalente delle politiche finanziarie ed economiche del nord sviluppato e per le frequenti collusioni di Governi locali corrotti e dittatoriali e quindi per rendere evidente come le iniziative di cancellazione e riduzione del debito siano atti non solo di generosa liberalità, ma di equità sostanziale.
contributo italiano di 70 milioni di dollari a favore dell'HIPC trust fund, costituito per finanziare i costi relativi alla cancellazione del debito verso le istituzioni finanziarie internazionali; va sottolineato che detto contributo è aggiuntivo rispetto alla cancellazione del debito bilaterale prevista dal provvedimento in esame. Inoltre, vi sono i contributi italiani ai programmi dell'Unione europea di riduzione del debito HIPC per 125 milioni di dollari, al Fondo monetario internazionale per 60 milioni di euro e per 12 miliardi di euro al trust fund costituito per assistere i paesi centroamericani colpiti dal ciclone Mitch.
Governo, di una relazione dettagliata su natura e contraenti dei contratti il cui credito viene cancellato. Vorrei sottolineare altri due punti qualificanti la legge, cioè l'aver fissato il limite minimo di annullamento dei crediti in 8 mila miliardi (3 mila miliardi di crediti di aiuto e 5 mila di crediti assicurati) e quello massimo in 12 mila miliardi, che costituisce un aumento consistente della primitiva proposta del Governo di annullamento che prevedeva soltanto 3 mila miliardi. L'ammontare complessivo dei crediti annullabili e la connessa fissazione dell'arco temporale di tre anni entro il quale devono essere annullati configura questo provvedimento non come la classica goccia nel mare, ma come un efficace contributo al miglioramento reale della situazione del debito nei paesi più poveri.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Izzo.
FABIO CALZAVARA. La ringrazio, signor Presidente.
poveri ad uso e consumo proprio e che quindi approfondiranno il solco esistente per le diversità tra i vari popoli.
i 6 e i 17 anni non vanno assolutamente a scuola, dei quali 225 milioni sono ragazze.
DARIO RIVOLTA. Tre anni; c'è scritto!
FABIO CALZAVARA. Però quel termine è condizionato da altri fattori.
una totale o parziale riduzione del debito contratto con l'Italia, lo stesso presentasse una scheda indicante il livello di corruzione presente nel paese, al fine di evitare di premiare la politica di arricchimento di pochi a svantaggio di molti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Le cifre di cui ci ha parlato il relatore, onorevole Bianchi, e di cui hanno parlato i colleghi sono inquietanti: si tratta di migliaia di miliardi di dollari. La sola dimensione di tali cifre dovrebbe impressionarci. Io però non ho il tempo di soffermarmi ulteriormente su questo aspetto del problema del debito dei paesi poveri del mondo.
arricchiti sullo sfruttamento e sull'indebitamento dei paesi del terzo mondo e, soprattutto, negli ultimi vent'anni, sugli interessi pagati da quei paesi sull'indebitamento! Avanziamo forti dubbi ed esprimiamo una forte contrarietà sulle condizioni che vengono poste in questa sede: ci sembrano francamente soltanto norme manifesto o norme demagogiche, che tendono ad essere irrealizzabili ed inapplicabili; soprattutto, ci sembra che esse salvino la coscienza per altre azioni che questo Parlamento e il Governo del nostro paese non compiono: mi riferisco all'articolo 1, comma 2, del disegno di legge, in cui si afferma che i paesi debbono impegnarsi a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, a rinunciare alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, a perseguire il benessere ed a combattere la povertà.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morselli. Ne ha facoltà.
STEFANO MORSELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, oggi non ci sono le luci del varietà, qui si lavora, non si fa demagogia e chi ha fatto tanto can-can su questo argomento dovrebbe vergognarsi, perché sinceramente il disagio che si ha nell'affrontare questo problema è quello di trovarsi in compagnia di tanti squallidi giullari, ma in un'aula quasi totalmente deserta, per cui sarà soltanto grazie a Radio radicale che il Parlamento potrà far sentire la sua voce.
«Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione»: questo è quanto recita l'articolo 23 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Ci troviamo di fronte ad un documento che risale al 1948, ma oggi alcuni dei suoi concetti rimangono rivoluzionari e, quindi, il diritto al lavoro, come riduzione della povertà diffusa, diviene un viatico di libertà e di sicurezza.
Da un dettagliato rapporto delle Nazioni Unite risulta che unitamente ad avanzamenti spettacolari nella scienza, nella tecnologia, nella biologia e nella genetica, vi sono state ferite ciecamente inferte all'ambiente dagli attuali sistemi di produzione, tanto da creare seri dubbi per l'umanità sul proprio futuro, determinando un clima di incertezza generale da cui deriva una crisi sociale e morale che in molte società assume proporzioni enormi.
Ma il nostro paese deve dar vita a profondi ed organici cambiamenti, riconquistando una forte capacità negoziale sullo scenario internazionale.
utilizzata in una operazione di istruzione, l'operazione è utile; se altri danno garanzie insufficienti o scarsamente credibili, l'operazione è inutile quando non addirittura dannosa».
sfruttati dalle multinazionali, ma come potenziali creatori di benessere ed aiutati nel loro tentativo di passare da passivi consumatori a nuovi produttori.
Già nei prossimi giorni valuteremo altri emendamenti per migliorare il testo e presenteremo una serie di ordini del giorno; sicuramente, in questo momento, siamo soddisfatti, come deputati del gruppo di Alleanza nazionale, di poter partecipare compiutamente alla redazione ed alla stesura di questo provvedimento, che sarà uno degli atti fondamentali della legislatura anche se, purtroppo, ciò avviene, come oggi, nel totale disinteresse dei nostri colleghi e dei mass media (Applausi - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, condivido molte delle osservazioni svolte finora dai colleghi che in Commissione affari esteri si sono occupati del provvedimento in esame. Vorrei cominciare rifacendomi alle ultime battute (che, poi, sono state anche quelle iniziali) del collega Morselli. Purtroppo di questo provvedimento affrontiamo la discussione generale al termine della settimana di lavoro della Camera. Dico ciò non perché qualcuno di noi voglia le luci della ribalta, come ha voluto prendersi un noto cantante italiano e l'ex Presidente del Consiglio ricevendolo dopo qualche giorno e dicendo a tutto il mondo che avrebbe fatto di tutto e in qualsiasi modo per dare l'avvio a questa iniziativa e che si sarebbe impegnato affinché anche altri paesi della Comunità europea seguissero questo esempio.
favore delle popolazioni? Mi sembra che vi siano criteri molto generici e soprattutto che da parte italiana e da parte dei paesi che vedranno risolto il debito non si implichi la partecipazione di quei soggetti legati al mondo dell'associazionismo e del non-profit attivi, sia sui territori di quei paesi, sia sul territorio italiano, che possono coinvolgere le popolazioni locali e quindi controllare che con questa remissione del debito siano svolte delle opere in questa direzione. Dall'altra parte, in Italia quei soggetti potrebbero non solo dare un contributo ai due Ministeri con riferimento agli accordi internazionali, ma anche a rendere più comprensibile la situazione.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Volontè.
DARIO RIVOLTA. La ringrazio, Signor Presidente. La collega Izzo ha detto che si è di fronte ad un atto politico responsabile e consapevole. Noi ci sentiamo di fronte ad una decisione che dobbiamo prendere in modo responsabile e consapevole.
sempre tante facce e i colori non sono solo bianco o nero, quindi non possiamo esimerci dall'osservare che, se dal punto di vista finanziario siamo di fronte ad un paradosso, dal punto di vista economico siamo di fronte ad un atto di estrema correttezza e normalità.
proceda verso alcuni paesi, e non verso altri, alla cancellazione parziale o totale del debito. Qualcuno ha criticato tali condizioni, perché voleva che si cancellasse il debito senza alcuna condizione, dimenticando, in uno slancio di apparente umanitarismo, che la cancellazione acritica che qualcuno voleva - e che anche il Governo proponeva nel suo progetto originario, sia pure per un ammontare ridotto, almeno per quanto risultante dal disegno di legge - potrebbe non essere né nell'interesse della popolazione dei paesi verso cui tale cancellazione viene effettuata, né utile ai fini del ritorno positivo che noi abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di pretendere, anche se non in termini economici.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri e comunitari) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Informo che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Il relatore, onorevole Giovanni Bianchi, ha facoltà di svolgere la relazione.
«Oggi ogni bambino che nasce in uno dei paesi più poveri del mondo ha un debito di 360 dollari verso i paesi più ricchi o istituzioni finanziarie internazionali. Anziché andare a scuola o usufruire di assistenza sanitaria o, ancora, soddisfare i propri bisogni primari, questo bambino dovrà vedere l'economia del proprio paese soffocare sotto il peso del debito».
È un'espressione forte e riassuntiva che ho voluto richiamare dall'appello «Per un millennio senza debiti» redatto dalla campagna «Sdebitarsi». Esso è ulteriormente precisabile con il richiamo contenuto nel «Messaggio per la giornata della pace 1999». Dice il Papa: «In questo contesto, rivolgo un pressante appello a quanti hanno responsabilità nei rapporti finanziari, a livello mondiale, perché prendano a cuore la soluzione del preoccupante problema del debito internazionale delle nazioni più povere. Istituzioni finanziarie internazionali hanno avviato, a questo riguardo, un'iniziativa concreta degna di apprezzamento. Faccio appello a quanti sono coinvolti in questo problema, specialmente alle nazioni più ricche, perché forniscano il supporto necessario per assicurare all'iniziativa pieno successo». Sono due voci autorevoli, levatesi in occasione del Giubileo per porre con decisione un problema mondiale in tutta la sua gravità.
Mi pare anzitutto sensato sottolineare la particolarità del momento nel quale si colloca l'esame del provvedimento in oggetto, un momento in cui si coglie un favore prima impensabile dell'opinione pubblica. Infatti, è indubbio che le vicende, in alcuni casi né esaltanti, né chiare, della nostra cooperazione avevano finito per gettare un'ombra sul complesso dei rapporti dell'Italia con i paesi in via di sviluppo.
Ebbene, mi pare che questa situazione sia stata rovesciata. La scadenza dell'anno Giubilare e in particolare gli interventi del sommo Pontefice e della Conferenza episcopale italiana - che ha deciso di dare direttamente un aiuto alla riduzione del debito di due paesi africani che versano in particolari difficoltà, lo Zambia e la Guinea - hanno contribuito ad accendere l'attenzione in una cerchia di nostri concittadini che supera di molto i confini delle organizzazioni non governative e dell'associazionismo e che interpreta in termini insieme umanitari e politici la nuova fase internazionale nel mondo globalizzato, in cui è l'economia a tenere il primo posto e dove il ritardo della politica, oltre a risultare evidente, produce guasti di notevole entità.
Cos'è il debito estero? Come si è formato? Quali conseguenze comporta per i paesi in via di sviluppo, quali effetti ha sui paesi ricchi del nord del mondo? Come mai l'Africa subsahariana, nonostante
Per debito estero si intende la somma di danaro che una nazione ottiene da un'altra nazione, oppure da una banca privata o pubblica o da un'istituzione internazionale, sulla quale verserà degli interessi e che si impegna a restituire entro una data prefissata. Evidentemente, il rapporto generato dal debito estero tocca solo Governi nazionali ed istituzioni finanziarie che operano a livello globale, così come occorre precisare che il debito estero nasce come debito contratto da uno Stato verso privati esportatori e che poi si trasforma in debito nei confronti di altri Stati o banche.
Come sempre, ci imbattiamo a questo punto nel problema delle origini. All'origine vi è la finanziarizzazione «sfinalizzata» dell'economia globalizzata: un eccesso di trasferimenti, a partire dall'irruzione sul mercato nei primi anni settanta di una massa impressionante di eurodollari; grande attivismo e frenesia delle borse; scarsità o assenza di investimenti in infrastrutture.
Alcune statistiche affermano che in una giornata si sposta da un luogo all'altro della terra danaro per una somma di 1.500 miliardi di dollari, circa 2 milioni e 700 mila miliardi di lire italiane. È intuitivo comprendere come ciò dia ai creditori un grande potere, non solo economico-finanziario, ma anche politico. E risulta soltanto parzialmente consolatoria l'osservazione di Galbraith: «Quel che ha di buono il capitalismo è che ogni tanto il danaro si separa dagli idioti».
Il debito estero, da quando si è affacciato alla storia nei primi anni settanta, ha mostrato una costante: anno dopo anno è andato aumentando. Nel periodo 1982-1990 i paesi in via di sviluppo hanno versato 1.345 miliardi di dollari, cioè 2 milioni 421 mila miliardi di lire ai paesi creditori, ricevendo nel contempo 927 miliardi di dollari, cioè 1.668.600 miliardi di lire. Ciò significa che sono stati versati nelle casse dei paesi creditori qualcosa come 737 miliardi di lire ogni giorno, cioè 512 milioni di lire ogni minuto. L'affermazione che da più parti si sente, secondo la quale i paesi poveri finanziano i paesi ricchi, trova un fondamento indiscutibile nell'analisi di queste cifre.
Negli ultimi quarant'anni il debito internazionale ha fatto registrare la seguente escalation: era di 8 miliardi di dollari nel 1955; è passato a 16 miliardi di dollari nel 1960, a 66 miliardi nel 1970, a 573 nel 1980, a 1.132 nel 1986, a 1.500 nel 1992, a 2.095 nel 1996, per attestarsi intorno ai 2.171 miliardi di dollari nel 1997. Occorre precisare che non è semplice stabilire con esattezza l'entità complessiva del debito internazionale. In genere ci si affida ai dati della Banca mondiale e a quelli dell'OCSE, tenendo presente che tra le due fonti esistono alcune discrepanze.
Una tabella riportata da Fabio Silva in una pregevole pubblicazione mostra come la top ten, nella non invidiabile classifica del debito estero, sia occupata da paesi per niente poveri, ma anzi ricchi di risorse. Il Brasile, insediato in prima posizione, è da questo punto di vista un paese tra i più ricchi al mondo in riferimento alle risorse del suolo e a quelle minerarie.
L'UNICEF afferma che il debito nel mondo, con le politiche di aggiustamento strutturale che ne conseguono, provoca ogni anno la morte di 500 mila bambini.
L'Italia aveva già adottato politiche di cancellazione, concedendo riduzioni o cancellando del tutto il debito estero di alcuni paesi: 403 miliardi di lire nel 1992 alla Tanzania, 137 miliardi di lire nel 1993 alla Sierra Leone, 107 miliardi di lire nel 1993 allo Zambia, 971 miliardi di lire nel 1994 all'Egitto, 215 miliardi di lire nel 1995 al Mozambico, 33 miliardi di lire nel 1996 al Nicaragua. Sta di fatto che al 31 dicembre 1997 lo Stato, le banche ed i
In questo quadro il provvedimento in esame è diretto a rendere operative le intese raggiunte dai paesi creditori in un ambito multilaterale in tema di trattamento del debito estero di tali paesi, nonché a favorire e promuovere misure destinate alla riduzione della povertà delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo a più basso reddito e maggiormente indebitati.
In linea generale, il debito dei paesi in via di sviluppo nei confronti dei paesi industrializzati può ricondursi a tre grandi categorie: debito commerciale, derivante dallo squilibrio della bilancia dei pagamenti, debito bancario, debito d'aiuto, riconducibile a prestiti a tasso agevolato finalizzati ad aiutare lo sviluppo di un paese, che possono avere natura bilaterale o multilaterale.
È in questo contesto che si è inserita l'attività svolta da alcuni importanti organi o forum internazionali, tra i quali l'Associazione internazionale di sviluppo (IDA), facente parte del gruppo della Banca mondiale, fondata nel 1960 con lo scopo di assistere i paesi più poveri, accordando loro crediti a condizioni particolarmente agevolate.
Nella gestione del debito internazionale vi è poi un altro importante forum, quello conosciuto come Club di Parigi, che riunisce i principali paesi creditori ed ha il compito di coordinare il credito bilaterale di questi con quello multilaterale.
E però l'insufficienza dei programmi definiti in queste sedi condusse all'adozione della iniziativa «Paesi poveri altamente indebitati». (Highly Indebted Poor Country) è stata lanciata nel 1996 dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale ed è il primo meccanismo di riduzione del debito che prende in considerazione la cancellazione totale del debito dovuto a queste istituzioni da un numero individuato di paesi ed intende affrontare il tema in modo concertato tra i creditori.
I paesi complessivamente dichiarati eleggibili all'HIPC sono 41. Si tratta di quei paesi poveri che hanno un reddito annuo pro capite talmente ridotto - inferiore ai 300 dollari - da non poter contare su una sufficiente solidarietà finanziaria per accedere ai prestiti della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo.
In questa direzione si è, infine, mosso il vertice G7 (poi G8) di Colonia del giugno 1999, che ha avviato il processo per una nuova iniziativa HIPC. Gli elementi di maggiore novità sono: il legame dell'iniziativa con la lotta alla povertà e l'aumento della spesa sociale; il rafforzamento dei benefici nel breve periodo; la moltiplicazione degli sforzi per consentire l'accesso all'iniziativa ai paesi più poveri altamente indebitati, ancora non eleggibili; l'abbassamento dei rapporti numerici necessari per rientrare nell'iniziativa; il passaggio della soglia di riduzione del debito commerciale bilaterale dall'80 al 90 per cento; l'invito alla cancellazione di tutti i crediti di aiuto bilaterali, con modalità differenziate, tenendo conto delle difficoltà specifiche di alcuni creditori molto esposti.
È in questo quadro che il disegno di legge in esame pone l'esigenza di corrispondere all'impegno assunto al vertice di Colonia, provvedendo all'annullamento dei crediti vantati dall'Italia nei confronti dei paesi più poveri.
Ai fini dell'individuazione dei potenziali beneficiari della disposizione in esame, sono considerati eleggibili, ai soli finanziamenti agevolati dell'IDA, 62 paesi, di cui 41 sono stati inseriti nell'ambito dell'iniziativa HIPC.
Va però rilevato che, rispetto ai paesi individuati in base alla disposizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 del presente disegno di legge, si richiede il ricorso di ulteriori condizioni, tra cui quella che i paesi interessati si impegnino a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, a
Con quali (riassuntive) modalità? Merita attenzione innanzitutto il metodo di lavoro adottato unanimemente dalla Commissione esteri, consistente nel servirsi di un'ampia ma mirata serie di audizioni di soggetti della società civile, già opportunamente raccoltisi in cartelli, dalle Suore bianche ai Giovani verdi, dalle ACLI all'ARCI, a studiosi del diritto, oltre, ovviamente, agli esperti degli organismi finanziari internazionali. Con l'intenzione manifesta che le audizioni andassero al di là del profilo di un utile monitoraggio da parte di chi è portatore di una conoscenza cresciuta sul campo e frutto, quindi, di osservazione partecipante.
Contemporaneamente, nella redazione del testo e tenendo conto delle osservazioni avanzate, in particolare dalla Commissione bilancio, sono state accostate due logiche: quella della remissione una tantum, cui si ispira originariamente il disegno di legge presentato dal Governo, e quella che prevede l'indicazione di criteri quanto meno di medio periodo, nei rapporti (ivi compresa la cooperazione internazionale, ma non soltanto) con i paesi debitori. Al riguardo sono stati stabiliti limiti quantitativi, con una forcella che ha per limite minimo la cifra di 8 mila miliardi di lire e per limite massimo la cifra di 12 mila miliardi di lire (5 mila miliardi di crediti commerciali assicurati, e 3 mila miliardi di crediti di aiuto), in un periodo di 3 anni. Avendo comunque chiaro, che con il provvedimento si possono avviare a soluzione solo in parte il problema dei 210 milioni di dollari dei 41 paesi più poveri e non si affronta affatto la ben più ampia massa dei restanti 2.300 milioni di dollari di debiti, che tocca l'insieme degli altri paesi del sud del mondo a medio reddito e, tanto meno, i debiti verso le istituzioni finanziarie private.
Mentre non sono ancora chiare le strategie concrete delle nuove politiche che a livello internazionale dovrebbero accompagnare le cancellazioni e le riduzioni dei debiti. Nulla è stato, in questo senso, ancora previsto per rivedere le regole dei meccanismi finanziari internazionali, affinché si possa consentire l'apertura di nuovi crediti ai paesi poveri, evitando, però, che si rimetta in moto un processo perverso, del tutto simile a quello verificatosi nei passati decenni, se non peggiore, nelle nuove condizioni della globalizzazione.
Il rischio da evitare è che la montagna partorisca il topolino, cioè che dopo tanto parlare si realizzi qualche cancellazione, ma quale puro esercizio contabile, con esiti forse di grande immagine per qualche Governo, ma di scarso se non nullo effetto per i più poveri e per la riformulazione di un rapporto più sano e produttivo tra paesi ricchi e paesi poveri.
Si deve assolutamente evitare che tutto questo accada, facendo sì che la questione del debito diventi una priorità costante dell'agenda politica interna e internazionale, con il dispiegarsi di una strategia di medio-lungo termine, capace di avviare un cambiamento vero.
Per questo sembra necessario che le misure annunciate dall'Italia diventino presto legge, con almeno tre avvertenze: che si vada in prospettiva anche oltre il concetto di una tantum e si miri a beneficiare, entro il minor tempo possibile, il maggior numero dei 41 paesi più poveri; che tali cancellazioni siano strettamente vincolate a politiche che facciano sì che il ricavato si traduca in effettivi, misurabili e visibili investimenti a favore dell'emancipazione e dello sviluppo delle popolazioni più povere, anche attraverso procedure di conversione del debito, con il coinvolgimento di soggetti della società civile, affinché le risorse liberate dall'onere di rimborsare i debiti finanzino direttamente progetti concreti per la sanità, l'istruzione, l'assistenza sociale, lo sviluppo dell'agricoltura, dell'artigianato e della piccola impresa; infine, che si trovino le strategie per implicare, nel meccanismo di cancellazione e di riduzione, anche i soggetti privati, al fine di poter
L'Italia può farsi carico di un momento serio di verifica dell'attuazione di quanto deciso quasi un anno fa a Colonia, sia per indurre un'accelerazione, sia per ampliare le misure ivi decise. La scadenza del prossimo G8 di Tokio deve essere fortemente investita di tale questione, senza dimenticare che il nostro paese ospiterà a Genova il G8 del 2001.
Infine, ma non ultimo, il Governo italiano, assieme ai Governi europei, potrebbe virtuosamente farsi promotore di una seria riformulazione in sede internazionale delle politiche e delle strategie nel campo finanziario e delle nuove regole di tali mercati, che tutelino la posizione dei contraenti più deboli nel campo del commercio internazionale. I nostri mercati, infatti, devono aprirsi in modo consistente ai prodotti dei paesi più poveri, non solo per le materie prime, ma anche, sempre di più, per manufatti e prodotti a maggiore valore aggiunto e nel campo della cooperazione allo sviluppo, perché è impensabile riparare le drammatiche lacerazioni createsi nei tessuti sociali ed economici di tanti paesi poveri, anche a causa della spirale perversa del debito estero, senza adeguate strategie e risorse.
In sintesi, si deve mettere in moto con decisione il cammino annunciato, osando di più, cercando di essere seri e rigorosi, ma anche effettuando i primi interventi sostanziosi ed efficaci a breve termine, con criteri che vincolino in modo sempre più stringente la remissione dei debiti alle politiche di lotta contro la povertà.
Vi è la concreta possibilità che il paese consolidi e renda più forte e sostenuta la posizione di traino che sul tema ha assunto il Governo dalla primavera del 1999 in sede internazionale, forzando la comunità internazionale a realizzare gli impegni dichiarati, ma anche anticipando misure innovative e di ampliamento: l'apertura politica non basta. I tempi parlamentari e regolamentari di una misura legislativa di per sé complessa contribuiranno infatti a spostare nel tempo la realizzazione delle misure concrete, peraltro ancora più dilazionate (verosimilmente, le prime interverranno nel 2000-2003) poiché verrebbero vincolate alla realizzazione dell'annullamento in sede HIPC, nel quadro concordato a Colonia.
Si tratta di fare in modo che all'atto dell'approvazione della legge non corrisponda una qualche inefficacia nella sua pratica applicazione.
Ciò che si può fare è molto, ma bisogna essere seri, bisogna tralasciare le facili demagogie per prevedere un quadro più ampio, con la possibilità di non rinunciare a giocare un ruolo innovativo e autonomo, pur lavorando nel concerto internazionale, anzi premendo perché diventi più efficace, ma anche tenendo conto del fatto che per un debito che continua a crescere la questione dei tempi è dirimente. Si può iniziare con poco, ma questo poco va fatto subito.
In conclusione, ritengo opportuno evitare un'ulteriore «trappola», cioè quella di considerare la riduzione del debito come sostitutiva di nuovi aiuti allo sviluppo.
Diceva M. Camdessus all'università cattolica di Milano, lo scorso 21 marzo, quando gli fu conferita la laurea honoris causa: «L'alleggerimento del debito in questione è essenziale. Tutti i paesi potenzialmente eligibili devono essere incoraggiati e sostenuti perché possano beneficiarne su larga scala... Ma tutto questo non deve essere visto come un sostituto di nuovi flussi di aiuto. I donatori e creditori pubblici bilaterali devono essere disponibili ad innalzare il loro livello di assistenza tecnica e finanziaria. Il noto vincolo dello 0,7 per cento del PIL per l'APS rimane un obiettivo valido, anche se è stato dimenticato colpevolmente negli anni trascorsi. La scusa della aid fatigue non è più a lungo credibile - peraltro si configura come una scusa cinica - nel tempo in cui, nel corso del passato decennio, i paesi avanzati hanno goduto dei frutti dei dividendi della pace». Se lo dice lui...
Il testo che arriva oggi in aula è importante, è un testo assolutamente positivo, che ha ampliato le ipotesi inizialmente formulate nella proposta di iniziativa governativa. Esso consentirà - in tempi, peraltro, prefissati, il che rappresenta in qualche modo una novità - di operare una riduzione del debito per un importo minimo - anche questo è un altro elemento di novità - di 8 mila miliardi, suddivisi tra crediti d'aiuto e crediti commerciali, entro il termine perentorio di tre anni dall'approvazione della legge. Il Governo ha espresso su questo punto alcune preoccupazioni, perché, pur condividendo la posizione assunta dalla Commissione, vale a dire quella di stabilire un termine entro il quale realizzare gli obiettivi stabiliti dal provvedimento, alcuni meccanismi potrebbero tradursi in una serie di rigidità. Tuttavia, devo anche dire che si tratta di preoccupazioni tutto sommato marginali: la valutazione è assolutamente positiva.
Intendo manifestare in quest'aula la disponibilità del Governo, una volta approvato il provvedimento al nostro esame, se lo sarà nel testo oggi all'esame dell'Assemblea - vale a dire con un importo minimo da eliminare pari a 8 mila miliardi entro tre anni dall'approvazione della legge -, a rispettare sia il termine sia l'importo. Ci rendiamo perfettamente conto che questo comporterà un'attività importante di negoziazione sia in ambito multilaterale sia nei rapporti bilaterali con i singoli Stati interessati dalla riduzione del debito.
Questo provvedimento pone alcune condizioni e subordina la riduzione o la cancellazione del debito ad una negoziazione con i paesi che sono i potenziali beneficiari, cercando di introdurre una serie di vincoli assolutamente condivisibili, quali il rispetto dei diritti umani, il ripudio della guerra e, soprattutto, l'utilizzo delle risorse che verranno liberate dalla riduzione del debito a politiche di sviluppo economico e sociale, finalizzate alla riduzione della povertà. Tuttavia, si tratta di condizioni e come tali devono essere discusse e negoziate con tali paesi.
Il Governo lavorerà, se verrà approvato questo testo, affinché l'obiettivo degli 8 mila miliardi ed il termine dei tre anni vengano rispettati, pur essendo coscienti di dover svolgere un lavoro intenso nella maniera migliore possibile.
Non voglio aggiungere altro; intendo solamente esprimere un ringraziamento per il lavoro svolto dalla Commissione e mi auguro che, quando nei prossimi giorni esamineremo gli emendamenti che verranno presentati - il Governo valuterà se presentare qualche piccolo emendamento di ordine tecnico -, l'intesa raggiunta in Commissione possa raggiungersi anche in Assemblea al fine di approvare un provvedimento che rende onore al Parlamento italiano e all'Italia.
Forza Italia ha collaborato in maniera seria e concreta a fare in modo che questo provvedimento, presentato dal Governo, divenisse un provvedimento di espressione parlamentare: infatti, il disegno di legge presentato in Commissione, grazie al lavoro svolto finora, è sicuramente
Pur appoggiando fin dall'inizio questa iniziativa legislativa, il gruppo di Forza Italia, al momento dell'approvazione in Commissione, si è astenuto dal voto. Si è astenuto, non perché non fossimo più d'accordo sulla filosofia di questo provvedimento, anzi credo che alla sua formazione noi abbiamo contributo parecchio, ma per alcune perplessità che vorremmo evidenziare nel corso del dibattito odierno e che evidenzieremo anche nei prossimi giorni, con la presentazione di alcuni emendamenti.
Riteniamo che questi discorsi non possano tradursi in retorica e populismi, ma debbano essere concreti, anche per seguire la giusta sollecitazione del Pontefice e della coscienza civile.
A tale riguardo mi piace ricordare che nei giorni in cui si stava lavorando intorno a questa legge, ho incontrato amici, giovani, molte persone che mi chiedevano notizie di questo provvedimento. Tutti si sono dimostrati entusiasti e hanno detto: bravi, fate bene è giusto! Dunque questa è una «risposta» che la gente ha sentito molto, ed è stato anche piacevole tradurre in atti parlamentari, per così dire, questa opinione pubblica favorevole al provvedimento, lo dico soprattutto con riferimento ai giovani.
Davanti a tutto ciò bisogna fare un discorso concreto, perché bene o male stiamo parlando di soldi che provengono dalle tasche dei nostri contribuenti, dei nostri concittadini. Ritenevamo che alcuni passaggi di questa legge andassero formulati in maniera diversa, pur mantenendone, come ho detto poc'anzi, lo spirito, la filosofia e facendo in modo che questa legge non rimanga una sorta di una tantum, ma possa essere la prima di una serie di altre iniziative.
Ritenevamo che i discorsi sulla riduzione del debito dei paesi più poveri andassero comunque e sempre concordati tra i paesi e i creditori. Più volte qui sembra di vedere che l'Italia voglia «scappare in avanti», voglia forse essere più brava, più populista e demagogica in qualche caso, mentre io ritengo che i discorsi commerciali, economici e finanziari abbiano dei fondamenti e delle regole da seguire, pur con lo spirito di beneficenza e con la volontà di affrontare certe problematiche.
Avremmo voluto che l'Italia fosse in maggiore sintonia, in termini temporali e di metodi, con gli altri paesi creditori, anche perché è evidente che non possono essere due o tre paesi a risolvere i drammatici problemi dei paesi più poveri. Ci vuole un grande concerto mondiale tra tutti i paesi definiti più ricchi. Qui, invece, nella legge c'è qualche fuga in avanti.
Un'altra perplessità, che è sorta nel gruppo di Forza Italia, riguarda il cosiddetto discorso del minimo e del massimo. Riteniamo che un saggio amministratore, chiamato ad amministrare i soldi di una collettività e che decide di rinunciare ad una parte del credito, perché è giusto farlo per una serie di principi sui quali ci si è già soffermati, debba essere in grado di dire alla collettività: noi rinunceremo ad una somma di mille, 2 mila, 10 mila, 11 o 12 mila miliardi, al massimo, e quindi sappiate che nei prossimi anni questi soldi graveranno in parte sulle vostre tasche. È dunque su questo che si deve fondare una legge, ossia sulla possibilità di rinunciare a dei crediti fino ad una certa cifra. Non condivido dunque il discorso della previsione di un minimo; sembra quasi che non ci fidiamo di quell'amministratore, al quale diamo un certo strumento, perché lui furbescamente non lo usa. Questo mi sembra veramente un non senso. Occorre dire: caro amministratore, tu hai la possibilità di rinunciare a crediti fino ad una certa cifra!
Ripeto, il discorso della previsione di un minimo è ridicolo; è un po' come dire: ti do questo strumento, però ti tengo sotto tiro con la pistola, perché altrimenti tu invece di utilizzare tale strumento per la rinuncia di crediti, chissà quale uso nei fai.
Su questo punto si è discusso parecchio, ma non c'è nulla da fare: la maggioranza di questo Parlamento vuole a tutti i costi il minimo, tanto è vero che si è giunti ad una specie di compromesso sulla parcella. Non sono d'accordo e credo che anche il gruppo di Forza Italia non lo sia; su questi temi abbiamo espresso un voto di astensione in Commissione per ridiscuterne in Assemblea e non per bloccare o rallentare la marcia di questo provvedimento, che tutti condividiamo e che vorremmo fosse approvato quanto prima, anche perché si tratta di una legge nata con il concorso di tutte le forze politiche e in un momento di grande, positiva attenzione dell'opinione pubblica che, per una volta tanto, ha trovato nella classe politica una voce di rappresentanza vera dei cittadini, perché essa non si è mostrata lontana e sorda alle loro richieste, come spesso si sostiene.
Con questo spirito e con il desiderio di migliorare il testo, assieme ai colleghi, fino all'approvazione finale del provvedimento, Forza Italia annuncia la propria disponibilità a qualsiasi stanziamento maggiore, non ponendo limiti - per amor del cielo - sul massimo. Riteniamo, però, che debba essere fissato un tetto massimo per esigenze di chiarezza e di trasparenza. È, pertanto, con questo spirito che continueremo la discussione generale del disegno di legge e presenteremo emendamenti per giungere ad un'approvazione unanime di questo provvedimento così importante e che, forse, rappresenta un omaggio anche al Giubileo (Applausi).
Il Parlamento italiano, che da tempo ha posto l'azzeramento del debito tra le sue priorità, con l'elaborazione di questo testo raccoglie le sollecitazioni sempre più pressanti che provengono dalla società civile nazionale ed internazionale, dalla Chiesa cattolica, dalle grandi campagne lanciate da Jubilée 2000 e da «Sdebitarsi» e da autorevoli esponenti della comunità internazionale.
L'appello alla solidarietà con la parte più diseredata e povera del mondo non deve essere disgiunto, nell'affrontare la questione del debito estero, che è uno degli effetti più gravi degli squilibri dello sviluppo contemporaneo, dalla consapevolezza che alleggerire l'insopportabile indebitamento dei paesi in via di sviluppo è sì una misura di equità, ma anche il frutto di una visione responsabile e lungimirante dello sviluppo nel ventunesimo secolo.
Nell'epoca dei mercati globali, dell'interdipendenza e dell'avvicinamento, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione e di informazione, di popoli e mondi un tempo lontani e separati, è miope ed autolesionistico per i paesi del nord del mondo pensare egoisticamente solo al proprio benessere abbandonando miliardi di uomini, donne e bambini alla povertà, alle epidemie e alle guerre. Perché quelle povertà, quelle privazioni, quelle guerre si abbattono ormai anche nel nostro mondo
La spirale del debito è iniziata all'indomani degli shock petroliferi. Fino ad allora i paesi in via di sviluppo si erano indebitati solo nei confronti delle istituzioni finanziarie internazionali. In seguito però all'aumento vertiginoso del prezzo del petrolio, un'ingente quantità di petrodollari affluì nelle banche commerciali europee e statunitensi, che non potendo investire questa massa di liquidità in un occidente in piena crisi recessiva, si rivolsero ai mercati emergenti dei paesi in via di sviluppo per incrementare sì la loro crescita, ma soprattutto per collocare in modo remunerativo l'ingente quantità di denaro.
La crescita del debito si è configurata quindi più come un'esigenza del sistema creditizio occidentale che come domanda endogena dei paesi in via di sviluppo. Ciò si è tradotto nella politica del «denaro facile», in prestiti scarsamente legati ai risultati produttivi ed alla remunerazione degli investimenti e diretti spesso, invece, ad usi improduttivi o dannosi (acquisto di armi, spese per consumi, costruzioni faraoniche) e ad arricchimenti personali (corruzioni e tangenti) per l'élite al potere in quei paesi.
Nel 1979, con il secondo shock petrolifero ed il rincaro del dollaro, il costo del ripagamento del debito è diventato molto più alto. Di fatto, le turbolenze interne al sistema finanziario internazionale (completamente saltato dopo la fine degli accordi di Bretton Woods) hanno costretto i paesi in via di sviluppo a pagare in passato e a continuare a farlo.
Nel 1998, secondo stime del Fondo monetario internazionale, il debito estero totale dei paesi in via di sviluppo ha raggiunto 2.066 miliardi di dollari, di cui 1.244 miliardi assunti con creditori privati.
All'inizio del 1999 il debito estero dei paesi in via di sviluppo ha raggiunto i 2.177 miliardi di dollari. I paesi in via di sviluppo, complessivamente, hanno pagato, nel 1997, 272 miliardi di dollari di servizio del debito, pari a più del 13 per cento del valore delle loro esportazioni. Più in dettaglio, i paesi in via di sviluppo africani destinano il 28,7 per cento del prodotto interno lordo al servizio del debito. In base a dati UNICEF l'Africa ha pagato tra il 1980 e il 1996 il doppio dell'ammontare del debito estero contratto attraverso gli interessi, le rate di ammortamento del debito e le condizioni di rinegoziazione pattuite. Quel che è peggio è che l'onere debitorio non è diminuito.
Ogni anno l'Africa paga ai creditori del nord 13 miliardi di dollari. Si tratta spesso di debiti che il diritto internazionale definisce «debito odioso», cioè contratto da dittatori come Mobutu, per vent'anni al potere nello Zaire, che ha accumulato 10 miliardi di dollari su conti personali, o come il caso del regime di apartheid del Sud Africa, sostenuto finanziariamente da crediti di banche commerciali inglesi.
In un quadro così drammatico, nel 1996, su sollecitazione del G7, è stato lanciato dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale l'iniziativa HIPC, che ha lo scopo di promuovere la riduzione del debito per i paesi più poveri. Questa iniziativa è stata poi ulteriormente allargata al vertice di Colonia del giugno 1999. L'Italia si è già impegnata in tale iniziativa: nell'autunno 1999, dall'allora ministro Amato fu annunciato un
L'entità dello sforzo italiano per la riduzione e la cancellazione del debito è considerevole, e di ciò va dato pieno riconoscimento al Governo, che ha mostrato particolare impegno e sensibilità. Tuttavia, nonostante l'accresciuta attenzione delle istituzioni e degli organismi internazionali verso il tema del debito, la situazione rimane deludente, mentre occorre muoversi presto e bene se vogliamo che l'inizio del nuovo millennio coincida con la liberazione di questi paesi dal cappio del debito. Ed è ciò che tenta di fare il testo licenziato dalla Commissione.
Nell'ambito degli accordi bilaterali e senza scardinare le regole vigenti nelle sedi multilaterali, il che potrebbe produrre effetti controproducenti per i paesi in via di sviluppo, dati i meccanismi delle relazioni finanziarie internazionali, il provvedimento ne forza alcuni limiti, al fine di allargare la platea dei beneficiari, di accelerare le procedure e di innalzare al 100 per cento il livello della cancellazione. Se il provvedimento in esame, come mi auguro, verrà approvato in tempi rapidi, al prossimo vertice G7 di Okinawa l'Italia sarà maggiormente legittimata a svolgere un ruolo di punta nello stimolare un approccio globale più incisivo ed efficace sul tema del debito.
Infatti, gli elementi innovativi contenuti nel provvedimento in esame riguardano, anzitutto, l'estensione dell'annullamento ai paesi in via di sviluppo eleggibili ai finanziamenti della Associazione internazionale di sviluppo e, quindi, ne sono beneficiari non solo i quarantuno paesi HIPC, bensì una settantina di paesi; ciò potrà consentire all'Italia di procedere alla cancellazione del debito anche nei confronti di quei paesi, come la Nigeria, che, pur avendo un reddito pro capite inferiore ai 300 dollari l'anno, non beneficiano del programma HIPC per l'assenza di altri parametri previsti dal programma.
Inoltre, per i paesi HIPC il testo recita: «L'annullamento del debito può essere concesso in misura, condizioni e tempi e con meccanismi diversi da quelli concordati fra i paesi creditori in ambito multilaterale». Con questo comma, si intendono superare i limiti e le insufficienze riscontrate nell'iniziativa HIPC, che non è profonda, non elimina il 100 per cento del debito, non è estesa (come abbiamo visto non copre tutti i paesi che ne hanno davvero bisogno), non è rapida (per arrivare alla fase finale prevista dal programma occorrono meno di sei anni dalla conclusione dell'istruttoria di eleggibilità), non porta a livelli sostenibili il debito, perché il pagamento del servizio del debito rimane inalterato. Inoltre, l'iniziativa mantiene legate riduzione e cancellazione del debito all'applicazione dei programmi di aggiustamento strutturale del Fondo monetario internazionale, che si sono dimostrati inadeguati, se non fallimentari, nell'assicurare lo sviluppo; infine, l'iniziativa HIPC non garantisce alcun miglioramento nella trasparenza e nella responsabilità sia dei creditori, sia dei debitori.
Per superare tali limiti, il provvedimento in esame suggerisce alcuni correttivi come, ad esempio, legare l'uso delle risorse liberate a progetti di riduzione della povertà e di sviluppo umano, nonché la possibilità di legare i criteri della decisione finale di annullamento alla verifica dell'uso delle risorse liberate per questi programmi.
Nel testo in esame, poi, si apre finalmente una breccia nel muro impenetrabile di segreto e riservatezza che fino ad oggi ha circondato le operazioni delle agenzie di credito alle esportazioni (in Italia la SACE), attraverso la richiesta di presentazione al Parlamento, da parte del
È da condividere inoltre la scelta fatta nel testo di non sovraccaricare di eccessive condizioni la procedura di cancellazione del debito. Sappiamo bene che in alcuni, o anche in molti casi, i Governi dei paesi beneficiari non sono dei modelli di democrazia e di rispetto dei diritti umani e che il debito da loro accumulato è un debito spesso odioso, frutto di corruzione, di acquisto di armi, di opere inutili e dannose, ma oggi chi ne fa le spese sono le stesse prospettive di futuro delle popolazioni innocenti. Chiudere con il debito, voltare pagina con questo peso che viene dal passato, può consentire nello stesso tempo una politica più esigente nella cooperazione allo sviluppo. A questo proposito, ci tengo a ribadire che va in ogni modo scongiurato il pericolo, che già si profila in alcune scelte che si stanno compiendo a livello internazionale (penso ad esempio all'Unione europea), che il finanziamento della cancellazione o della riduzione del debito si faccia a spese della cooperazione allo sviluppo. Occorre che il Governo italiano si impegni non solo a non procedere su questa via, ma anche a chiedere un chiaro pronunciamento della comunità internazionale a non sacrificare le risorse dell'aiuto pubblico allo sviluppo e a finanziare invece la cancellazione del debito con risorse aggiuntive.
In conclusione, voglio solo aggiungere che alla grande soddisfazione che nutro per un provvedimento che pone l'Italia tra i paesi più fattivi nell'iniziativa della cancellazione del debito si accompagna l'esigenza - proprio perché sono consapevole che il problema del debito può trovare la sua piena soluzione solo in sedi multilaterali - che il Governo italiano solleciti queste sedi, a cominciare dal vertice di Okinawa, ad intraprendere iniziative volte ad una modifica dell'HIPC, a un coinvolgimento delle banche commerciali in questa mobilitazione internazionale per la cancellazione del debito, ad una standardizzazione delle procedure e alla trasparenza dei criteri delle agenzie di credito all'esportazione e a un collegamento della questione del debito alla riforma dell'architettura finanziaria globale. Non possiamo consentirci un lavoro da Sisifo, vale a dire che mentre con una mano si cancella il debito con l'altra, cioè con gli attuali meccanismi finanziari, lo si riproduce. Credo allora che, se nel dibattito che si aprirà in aula si dovesse riscontrare un largo consenso su questi punti o altri eventuali, sarebbe opportuno accompagnare il testo con un ordine del giorno che indirizzi il Governo sulle linee da seguire nei prossimi rilevanti impegni internazionali (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Calzavara. Ne ha facoltà.
Un fondamento per una pacifica convivenza tra i popoli è e deve essere il diritto di tutti i popoli a vivere decorosamente nei loro territori. La convivenza multietnica deve venire dopo. Non potrà mai esserci una convivenza multietnica tra i popoli in modo pacifico e democratico finché ci saranno dei gravi squilibri come quelli che noi vediamo accentuarsi nel mondo tra paesi ricchi e paesi poveri, che vengono e che verranno sempre utilizzati dai governanti dei paesi ricchi e di quelli
Il diritto di vivere decorosamente nel proprio territorio deve essere collegato ad un altro tema, la cooperazione internazionale, che affronteremo prossimamente, dopo quello del condono del debito ai paesi maggiormente indebitati. I due temi non possono essere disgiunti, anche perché, come si può constatare, nel bilancio interno dello Stato italiano, a fronte di un maggiore interesse e di un maggiore sforzo sul disegno di legge in discussione - per tanti versi benemerito - vi è una contrazione notevole di disponibilità finanziarie che, negli ultimi anni, pone l'Italia all'ultimo posto per il contributo alla cooperazione multilaterale internazionale. Ciò è dovuto a vari problemi, ma il principale consiste nel fatto che il Ministero del tesoro controlla l'85 per cento dei finanziamenti e, quindi, per esigenze di cassa, cerca di stringere la borsa da una parte, perché è costretto ad allargarla dall'altra. Tale questione è stato affrontata anche in Commissione esteri e siamo convinti che vi debba essere uno sforzo in entrambi i settori.
È stato detto che il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale hanno spinto gli Stati più ricchi a ridurre i debiti, o a condonarli, ai paesi più poveri per questioni ideali. In realtà, non vi sono questioni ideali; il Fondo monetario internazionale è interessato a che gli Stati più ricchi condonino il più possibile, o totalmente, i debiti, perché ha un interesse materiale ad incassare i crediti di questi paesi che sono sul punto di non pagare più gli interessi dei prestiti internazionali allo stesso Fondo monetario internazionale e, anzi, alcuni lo stanno già facendo. Tra l'altro, sappiamo che i crediti verso quest'ultimo hanno la priorità su qualsiasi altro pagamento relativo a tutti gli altri soggetti internazionali.
Anche la Banca mondiale ha un interesse puramente monetaristico, puramente di cassa, in quanto il numero dei paesi che non rientrano nei parametri per poter accedere ai suoi finanziamenti sta aumentando pericolosamente, con un conseguente impoverimento, per così dire, per la Banca mondiale stessa.
Il debito insanabile dei paesi più poveri è dovuto, certamente, all'ingordigia, alle scarse capacità o alla corruzione dei loro governanti, ma bisogna dire anche che, in gran parte, ciò è dovuto alle politiche di «approfittamento» spietato e alle logiche colonialiste o neolocolonialiste di troppi Stati cosiddetti ricchi, che hanno lasciato fare a questi governanti e, anzi, hanno accentuato la corruzione, la divisione, la distruzione del tessuto connettivo sociale produttivo dei paesi più poveri, proiettandoli in un'oscura e difficile situazione, al fine di diventare ancora più ricchi e per speculazioni internazionali che, oggi, pesano su tutti noi.
Non è un caso che i paesi più poveri siano i più ricchi di materie prime; è la prova del nove della mia affermazione. Il condono di 3 mila miliardi annunciato in pratica è stato una presa in giro, poiché sappiamo che si tratta della somma dei crediti inesigibili e, quindi, è una somma praticamente virtuale.
In questo senso la Commissione esteri ha lavorato molto bene e bisogna dare atto e merito al relatore Giovanni Bianchi per l'impegno profuso nel cercare di spingere ad aumentare questa cifra e ad aumentare, anche in proiezione futura, questo doveroso impegno, che dobbiamo arrivare ad eseguire e a rendere concreto in tempi brevi, pena la destabilizzazione in ulteriori paesi e, quindi, con ulteriori riflessi negativi su tutte le economie più progredite, come la nostra.
Vorrei elencare brevemente i punti salienti per i quali dobbiamo sforzarci tutti quanti - il presente Governo e quelli futuri - di accentuare questo condono, sempre unito alla collaborazione, che non deve venir meno, con i paesi più bisognosi. Infatti, ci sono oltre 12 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni che ogni anno muoiono per problemi nutrizionali, 900 milioni di persone adulte nel mondo sono illetterate, 400 milioni di persone tra
Il lavoro giovanile riguarda 250 milioni di persone: il 61 per cento in Asia, il 32 per cento in Africa, il 7 per cento in America latina. Queste persone purtroppo hanno un'età tra i 5 e i 14 anni e di esse 120 milioni lavorano full time, a tempo pieno, per oltre 14-15 ore al giorno e 60 milioni lavorano addirittura in circostanze pericolose. Quindi, il lavoro giovanile è una delle conseguenze più devastanti della persistente povertà di alcuni paesi in via di sviluppo, dall'Africa all'Asia, all'America latina. Nei paesi con un reddito pro capite inferiore ai 500 dollari statunitensi lavorano dal 30 al 60 per cento delle persone tra i 10 e i 14 anni e dal 10 al 30 per cento nei paesi con reddito superiore ai 500 dollari americani.
Addirittura 3 miliardi di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno e 1 miliardo e 300 milioni di persone addirittura con meno di un dollaro al giorno; circa 2 miliardi di persone sono sprovviste di elettricità; un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso a riserve idriche sicure, addirittura di acqua potabile; migliaia di bambini - oltre 300 mila - vengono addestrati a combattere e migliaia di civili muoiono o vengono seriamente menomati ogni anno da mine, a causa di guerre, sempre dovute a motivi politici legati allo sfruttamento di questi paesi.
Nel Medio Oriente vi sono 17-24 milioni di queste mine ed anche in Europa vi sono dai 3 ai 7 milioni di queste mine disseminate nel territorio; in Africa ve ne sono 18-30 milioni, in Asia 28-48 milioni, in America circa un milione. In questo contesto - per tornare all'argomento - il Governo italiano ha autorizzato la vendita di armi o di strumenti di distruzione a questi paesi.
Quindi, la Lega nord vede con favore questo disegno di legge e voterà a favore, facendo alcune considerazioni sulla possibilità di riduzione del debito estero per alcuni paesi fortemente indebitati con il nostro Stato, poiché a tale proposito il progetto di legge non stabilisce un annullamento immediato del debito, né il periodo temporale entro il quale questa azione debba iniziare o essere conclusa, a meno che ciò non sia contenuto in un ordine del giorno più preciso di quanto previsto dal disegno di legge.
Noi abbiamo suggerito che l'annullamento del debito avvenisse entro un anno, ma il nostro emendamento è stato respinto, congiuntamente alla proposta di prevedere qualche anno in più, anche se poi ritroviamo la previsione, seppure condizionata, nel testo che viene ora sottoposto all'esame dell'Assemblea. La III Commissione ha infatti concesso un termine di tre anni per l'espletamento delle procedure di annullamento dei debiti.
Gli ulteriori emendamenti presentati in Commissione avevano la finalità di porre altri paletti per la dichiarazione di eleggibilità di un paese a beneficiare del debito estero. Essi sono stati tuttavia respinti, anche se il loro contenuto è stato comunque successivamente recepito nel testo in forme più «leggere».
Queste riduzioni non tengono tuttavia conto della possibilità che nei paesi indebitati siano in atto violenti scontri etnici, civili o religiosi o, addirittura, guerre. Noi invece crediamo che al riguardo vi debba essere maggiore chiarezza e determinazione, perché gli aiuti non devono essere elargiti qualora ricorrano tali condizioni. In questo senso, dunque, presenteremo un ordine del giorno, perché le semplici dichiarazioni di intenti a noi non sembrano sufficienti per incidere su questa decisione. Sono stati troppi gli esempi negli anni scorsi che ci hanno dimostrato come le semplici promesse, anche se scritte, non abbiano assolutamente impegnato i paesi; le risorse sono state dunque sprecate: talora sono state utilizzate per i conflitti armati, ma in qualche caso sono state vanificate dalla corruzione.
Avevamo proposto, inoltre, che, prima di concedere ad un paese il beneficio di
Ulteriori paletti sembravano necessari per evitare l'utilizzo dei fondi di aiuto internazionali in spese militari da parte di paesi indicati come i più indebitati (e quindi i più bisognosi), che però sembrano essere totalmente al di fuori di logiche democratiche e di ragionevolezza. Faccio solo due esempi: lo Stato del Myanmar, nel quale vi è una dittatura assolutamente inaccettabile, e l'Etiopia, che è tuttora in guerra, nonostante la tregua attualmente in atto ci offra qualche spiraglio di ottimismo.
Noi pertanto condizioneremo il nostro voto favorevole all'accoglimento degli ordini del giorno ai quali ho fatto cenno, e ciò ci sembra ragionevole (Applausi).
Il disegno di legge di iniziativa del Governo è stato completamente cambiato dalla Commissione esteri. Io ritenevo profondamente demagogico e sbagliato il testo originario ed ho reputato altrettanto demagogica e sbagliata l'iniziativa del Presidente del Consiglio D'Alema, che ha fatto un'operazione di immagine su un problema così serio e grave, quando ha ricevuto la delegazione dei cantanti del festival di Sanremo.
Il disegno di legge è meglio che niente; certamente si tratta di una goccia nel mare del debito dei paesi poveri e di un piccolo gesto unilaterale da parte del nostro paese, per procedere verso la soluzione di un enorme problema. Dico che è solo una goccia nel mare perché le cifre fornite dal relatore, se messe a confronto con gli 8 mila miliardi sui quali prendiamo una decisione con il disegno di legge in esame, parlano da sole. Dico che è meglio di niente perché il Governo aveva presentato un disegno di legge assolutamente demagogico e sbagliato.
Manteniamo, tuttavia, forti dubbi sull'impostazione del provvedimento. Innanzitutto, non è vero che si dà attuazione all'accordo raggiunto nel G7 di Colonia. Quell'accordo parlava della riduzione e della cancellazione di tutti i crediti di aiuto e, con il disegno di legge in esame, non si provvede affatto ad adempiere a quella disposizione. È stato bocciato un nostro emendamento in Commissione, che andava in direzione dell'applicazione di quell'accordo; lo ripresenteremo in aula (ma immagino che non verrà approvato) proprio per rendere effettivo l'articolo 1 del disegno di legge, che si riferisce all'esecuzione degli accordi raggiunti in quella sede.
Avremmo voluto che i paesi eleggibili ai finanziamenti IDA fossero inseriti nel novero di quelli con i quali il Governo italiano può raggiungere accordi bilaterali; ci sembra sbagliato parlare solo dei paesi HIPC; come la collega Izzo ha affermato, vi sono paesi con un reddito medio inferiore ai 300 dollari che non fanno parte del gruppo dei paesi HIPC semplicemente perché non sono stati approvati progetti di ristrutturazione dei loro bilanci dettati ed imposti dal Fondo monetario internazionale, che è uno dei massimi responsabili dell'indebitamente dei paesi del terzo mondo e della strage di vite umane che ogni giorno avviene per effetto dell'enorme squilibrio creatosi tra paesi ricchi e paesi poveri! Dunque, signor Presidente, i paesi IDA rimarranno nell'ambito dei cosiddetti accordi multilaterali.
Signor Presidente, stiamo parlando del club di Parigi: mai nome fu più significativo per descrivere, appunto, il club dei paesi ricchi, ovvero l'organizzazione degli strozzini internazionali che si sono enormemente
Ebbene, ritengo che il debito debba essere annullato e che, parimenti, il Governo italiano debba interrompere il commercio delle armi con tutti quei paesi che si sono indebitati per comprare armi italiane. La SACE potrebbe non assicurare i privati che esportano armi. Il Fondo monetario, al quale il nostro paese partecipa, sia pure inginocchiato di fronte alla superpotenza degli Stati Uniti, potrebbe realizzare programmi di aiuto economico per questi paesi che non prevedano esattamente quello che qui si vuole evitare, cioè l'aumento della povertà. I programmi del Fondo monetario internazionale, infatti, prevedono la riduzione delle spese sociali in favore del ripianamento del bilancio di questi paesi; prevedono, cioè, che si abbatta - a volte anche del 50 per cento - quanto si spende per la sanità, per l'istruzione e per la lotta alla povertà. Come fa, allora, il nostro paese, che tra l'altro è reduce dall'aver appena partecipato ad una guerra - una guerra, non un'altra cosa! -, a chiedere a questi paesi, attraverso le organizzazioni internazionali cui partecipa, di fare il contrario di ciò che noi facciamo? No, le condizioni che vengono poste sono solamente chiacchiere, e soprattutto chiacchiere che potrebbero rappresentare un impedimento per la realizzazione dell'obiettivo della cancellazione del debito. Non mi fido né di questo Governo né di quello che verrà, che con ogni probabilità potrà appellarsi a queste condizioni per evitare di annullare i debiti di quei paesi.
Noi, colleghe e colleghi, voteremo a favore di questo progetto di legge, ovviamente, anche se non saranno accettati i nostri emendamenti. Mai e poi mai voteremmo contro la cancellazione del debito di almeno 8 mila miliardi dei paesi poveri, però continueremo ad insistere affinché la lotta alla povertà trovi una sua più giusta collocazione nella riforma della cooperazione internazionale. Coerentemente, continueremo ad insistere affinché il nostro paese nel Fondo monetario internazionale, nella Banca mondiale ed in tutte le altre organizzazioni si adoperi perché non si continui la politica economica che ha prodotto questo disastro. Continueremo ad insistere affinché il nostro paese conduca una politica di pace e smetta da un lato di vendere le armi e dall'altro - questo è veramente scandaloso - di chiedere a quei paesi di non comprare le armi. Abbiamo gli strumenti per poterlo fare: facciamolo, una volta per tutte, non facciamo finta di farlo!
Nella maggior parte dei paesi del mondo il lavoro è diventato così scarso che un elevato livello di disoccupazione può diventare una delle caratteristiche permanenti delle moderne economie, ingrossando le file dei poveri e minando alla base la stabilità sociale.
Oggi i quattro quinti della popolazione mondiale vivono nei paesi in via di sviluppo e, in parte, potranno godere di condizioni di vita un po' migliori: nonostante ciò il numero delle persone colpite da estrema povertà e vera e propria disperazione continuerà ad aumentare.
I problemi che i paesi industrializzati e, quindi, l'Italia devono affrontare al loro interno devono essere naturalmente associati a forti impegni per cercare di dare una prospettiva a quei popoli che, da soli, non possono sperare in alcun futuro di sviluppo, capendo bene che, oltre che da un problema morale, la sicurezza del globo è sempre più minacciata dalla povertà e dalla miseria.
Lo storico Paul Kennedy dice: «La crescita demografica della terra risulta essere asimmetrica. Ad esempio, il 60 per cento della popolazione del Kenya è sotto i 15 anni di età, mentre il 20 per cento del popolo svedese è sopra i 60 anni». Questo, è evidente, comporta squilibri e conseguenze per il futuro, l'occupazione e l'istruzione, e si crea una sorta di spartiacque, di solco profondo, dove, da una parte, vi sono società in crescita tumultuosa senza o con scarsissime risorse finanziarie di base - istruzione, alloggi, assistenza sanitaria - e, dall'altra, società vecchie, ricche e demograficamente moribonde. Quindi, è più che mai necessario allineare le strategie di sviluppo a quelle demografiche.
Un miliardo e 200 mila persone su circa 6 miliardi di individui vivono nella povertà assoluta, avendo un reddito pro capite di pochi dollari annui; 600 milioni di persone si addormentano affamate e un miliardo e mezzo non ha accesso ad acque pure e sistemi fognari; un miliardo di persone risulta analfabeta. In questi cinquant'anni il mondo ha realizzato un progresso economico, tecnologico e sociale senza precedenti nella storia, ma questo progresso non è stato equamente distribuito e la forbice tra ricchi e poveri si è andata allargando esponenzialmente.
Il cibo non manca: la terra può soddisfare i bisogni nutrizionali di tutti, ma non con lo spreco o la cattiva distribuzione delle colture. Nei paesi ricchi vi è una produzione eccedentaria di prodotti che spesso viene distrutta. Le popolazioni sono troppo alimentate e soffrono di malattie da questo dipendenti, ma non c'è la convenienza economica - questo è lo scandalo - a distribuire in modo mirato le eccedenze, le quali ammontano, nel mondo, a 400 miliardi di tonnellate. Vi sono continenti che, anziché privilegiare prodotti essenziali al nutrimento delle loro popolazioni, privilegiano prodotti da esportare. Ci sono paesi, una volta colonie e oggi paesi sottosviluppati, dove, come per l'Italia del dopoguerra, l'agricoltura costituisce la base per lo sviluppo e la realizzazione della democrazia.
Un paese, un popolo con problemi di approvvigionamento alimentare, un popolo affamato non possono essere liberi. L'agricoltura è quindi la base: se funziona diviene l'elemento trainante dell'economia di un paese, pensiamo solo all'indotto ed alla trasformazione. Di conseguenza, lo sviluppo di tanti paesi passa attraverso la tecnologizzazione, evitando però di sradicare le abitudini, le culture locali e tradizionali; occorre giungere, quindi, ad un equilibrio tra l'agricoltura industriale e quella alimentare, evitando che, per conseguire la prima, si debbano importare prodotti alimentari.
Occorre inoltre rispettare l'ambiente, superare il concetto di agricoltura redditiva, almeno in una prima fase, per privilegiare l'agricoltura della necessità. La grande e preziosa esperienza dei paesi forti deve calarsi ed integrarsi, colleghi deputati, nelle realtà locali, sociali e politiche dei paesi poveri.
Persino nei paesi più opulenti le dimensioni di questa crisi sono inequivocabili. Nei paesi industrializzati una persona in età lavorativa su dieci non riesce a trovare un impiego che le consenta un salario di sussistenza, e i giovani non comprendono più l'utilità dell'istruzione. I valori sociali ormai riconosciuti diventano improvvisamente superati e la solidarietà tra individui si ridimensiona, sostituita dall'egoismo individuale o politico. Ad ogni latitudine o longitudine nel mondo si registra una insicurezza crescente provocata dalla criminalità, dall'abuso e dal traffico di droga.
Se aggiungiamo che la caduta del muro di Berlino con la fine della guerra fredda da avvenimento storico e di pace si è tramutato, per molte nazioni, nella perdita di influenza che un tempo potevano esercitare come contraltare, originando violenze etniche, guerre civili devastanti, migrazioni o veri e propri esodi, il quadro è ancora più drammatico. Nel mondo una persona ogni 115 è un migrante o un profugo, costretto ad abbandonare la propria terra per svariati motivi: economici, politici, militari. Negli ultimi 30 anni, 35 milioni di persone sono emigrate dal sud al nord del mondo e ogni anno più di un milione di persone si sposta. A tutto ciò va aggiunto un dato angoscioso: 20 milioni di rifugiati politici e vittime di conflitti etnici (all'inizio del 1970 erano 8 milioni) ed altri 26 milioni di profughi. Metà dei paesi del mondo hanno avuto qualche conflitto etnico recente.
All'inizio del 1900 il 90 per cento delle vittime era rappresentato dai militari, oggi è rappresentato dai civili. 2 milioni di bambini sono morti; 5 milioni e mezzo vivono in campi profughi; 13 milioni hanno perso tutto, casa e famiglia, inoltre in un contesto mondiale già in larga parte urbano la crescita delle città costituirà il fenomeno più influente e preoccupante sullo sviluppo del terzo millennio.
In questo scenario, rappresentato necessariamente per sommi capi, l'Italia è chiamata ad interpretare un ruolo fondamentale con una politica di forte intervento finalizzato al raggiungimento di fini umanitari, caritatevoli e di sviluppo, che come prezioso e insostituibile strumento anche di politica estera condizioni la crescita sociale e democratica di paesi dove vi è deficit in tal senso, contribuendo anche ad impedire possibili guerre.
Quindi non solo ragioni umanitarie ma anche la necessità che siano assicurate nel mondo pace e prosperità, in virtù anche della posizione geografica del nostro paese nel Mediterraneo, ci devono far considerare la necessità di interventi esaustivi, stimolando una grande politica euromediterranea come un asse portante del futuro sviluppo sociale e come area privilegiata di mirati interventi.
Il Mediterraneo è una possibile spaventosa polveriera che va combattuta non certo con interventi repressivi, ma più che mai con la prevenzione fondata su precisi interventi economici e sociali. Nella sponda sud si concentra il 40 per cento della popolazione, ma solamente il 6 per cento del PIL della regione. Il reddito pro capite della sponda nord è di undici volte superiore, il tutto con una crescita demografica, come ho già detto in precedenza, spropositata: alta al sud e bassa o stabile al nord.
Certo, un paese come l'Italia non può da solo pensare di risolvere con progetti mirati i gravi problemi legati al futuro di questi popoli; è l'Europa che deve attivarsi per impedire la trasformazione del Mediterraneo in una nuova frontiera conflittuale, per giungere ad una reale stabilità nella sicurezza come ineludibile prospettiva futura volta a favorirne la crescita.
Sulla società contemporanea grava la duplice responsabilità di alleviare la tragedia presente e di evitare alle generazioni che verranno tensioni sociali e religiose dalle conseguenze imprevedibili, in un'area, per di più, in cui è maggiormente evidente il contrasto tra la società europea laica e consumistica e quella africana e mediorientale.
Spetta all'Italia dotarsi degli strumenti di intervento e di programmazione che superino il falso umanitarismo ed il puro interesse commerciale, tenendo sempre ben presente che il nostro concetto di sviluppo è diverso da quello dei paesi in cui si interviene. Quindi, occorre cercare di promuovere autosviluppo delle organizzazioni locali, dei modi di vita e di cultura delle popolazioni indigene.
Per capirci, non si può pensare di distruggere centinaia di migliaia di ettari di bosco, come è stato fatto in Perù, con il risultato di un significativo aumento delle inondazioni e per quelle popolazioni l'impoverimento della alimentazione e il cambio del pesce con gli spaghetti e della selvaggina con il riso. Bisogna pensare, nel momento in cui si attuano fattivi interventi, che in molti casi lo sviluppo dei popoli non è quello di avere sufficienti dotazioni economiche per comprare una scatoletta di pesce, ma consiste, appunto, nel poter pescare i pesci senza particolari imposizioni esterne né faraonici progetti di intervento, trovando un giusto equilibrio tra donazione e credito.
Infatti, troppo spesso la percentuale maggiore delle donazioni globali è spesa in beni e servizi dei paesi donatori e, per quanto riguarda il credito, si genera, appunto, un grave squilibrio, in quanto spesso si viene ad instaurare quel meccanismo perverso conseguente al fatto che, se gli investimenti non determinano il raggiungimento nei tempi previsti del programmato obiettivo, i crediti accesi generano inevitabilmente nuovi bisogni finanziari, che a loro volta determinano la necessità di ricorrere a nuovi prestiti per pagare interessi ed ammortamenti del primo credito, e così quasi all'infinito.
Da qui la necessità di una seria analisi per vedere di contribuire all'azzeramento dei debiti dei paesi più bisognosi, che, di fatto, diventano molto spesso crediti inesigibili. Ma per giungere a questi ambiziosi obiettivi e far sì che finalmente l'Italia attui, per la sua collocazione nel quadro internazionale e per le tradizioni di solidarietà del popolo italiano, strumenti incisivi, occorre riconsiderare la politica estera finora attuata e gli interventi economici nel loro insieme.
L'originario tipo di intervento proposto dal Governo portava alla rottura definitiva o comunque molto avanzata del circolo vizioso debito-povertà? Perché questo è il grande problema. Come si fa a restare insensibili davanti alle immagini di bambini denutriti con gli occhioni spalancati, stretti ai seni avvizziti di mamme ai limiti delle loro forze, trasmesse magari mentre stiamo consumando lauti pasti, comodamente seduti a tavola? Ma le buone intenzioni devono rimanere tali o dobbiamo porci, onorevoli colleghi, seri interrogativi su quello che vediamo?
Sergio Romano, sul Corriere della Sera del 24 febbraio ultimo scorso, in un articolo titolato: «Le buone azioni cattivi crediti», induce, come sempre, a riflessioni molto serie. «Al di là delle giuste motivazioni ideali» - scrive Romano - «occorrerebbe chiedersi anzitutto quali siano le origini del debito e per quali ragioni sia andato progressivamente aumentando. Se gli aiuti vengono dati a Stati che non hanno classe dirigente, burocrazia, leggi, tribunali o, peggio, sono dominati da leader padroni, che li amministrano secondo criteri patrimoniali o clientelari, i denari degli aiuti internazionali producono soltanto infrastrutture inutilmente costose, palazzi faraonici, progetti abbandonati lungo la strada, corruzione. Il problema» - continua Romano - «è quello dei criteri a cui è ispirata la remissione dei debiti. Se l'Uganda è in grado di garantire che ogni lira risparmiata tramite la riduzione del debito sarà
Queste osservazioni si trovano però in tutti gli interventi delle persone ascoltate in Commissione durante i nostri lavori preparatori. In molti hanno sostenuto che le precedenti iniziative - perché non siamo alla prima - di cancellazione non sono servite a nulla, anzi, in molti casi i paesi beneficiati - come ha sottolineato il rappresentante del Fondo monetario - hanno ripreso ad indebitarsi e sono diventati «malati cronici».
Vi sono paesi come il Ghana e il Laos che non vogliono alcun intervento perché hanno già risanato le loro economie e ritengono che, al contrario, tali interventi manderebbero segnali negativi ai mercati ed alle istituzioni mondiali. D'altro canto, vi sono paesi, impegnati in conflitti, come il Burundi, la Repubblica Centro Africana, la Repubblica democratica del Congo, la Repubblica del Congo, l'Etiopia, il Myanmar, la Nigeria, la Sierra Leone e il Togo. Possiamo dimenticarci di tutto questo e possiamo trascurare il fatto che il denaro per l'assistenza ai paesi in via di sviluppo non è, come conclude Sergio Romano, «crusca del diavolo» e «non appartiene al tesoro privato dei partiti che ci governano. È sempre denaro dei contribuenti, guadagnato con il lavoro e sottratto dalle imposte alla loro libera disponibilità. Prima di concedere un prestito o rimettere un debito, converrebbe ricordarlo».
Ma i nostri governanti si sono sempre ben guardati dall'utilizzare con scienza e coscienza quanto gli italiani hanno versato e continuano a versare nelle casse dello Stato. Prodi e Veltroni hanno destinato i fondi per la fame nel mondo ad attività e spese che lo Stato avrebbe dovuto coprire con altri stanziamenti in bilancio. Nel 1996, anno particolarmente significativo, che ha visto il vertice mondiale sull'alimentazione delle Nazioni Unite presso la FAO, il Governo Prodi non solo non ha mantenuto gli impegni assunti in quell'occasione, ma addirittura ha utilizzato il gettito dell'8 per mille dell'IRPEF, che per legge deve essere destinato per interventi straordinari a favore della fame nel mondo e dell'assistenza ai rifugiati, per coprire «buchi di cassa» di altre amministrazioni dello Stato, quale il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per il rinnovo del contratto nazionale dei lavoratori degli enti lirici e distribuito a pioggia centinaia di milioni e miliardi alla cooperativa «il Carro» di Napoli, al Piccolo di Milano, al consolidamento della rupe di Orvieto, alla biennale di Venezia, alla società astronomica italiana, all'istituto di studi filosofici di Napoli, eccetera. Vi pare strano, impossibile? Purtroppo no, è tutto vero, documentato e ad una precisa interrogazione del sottoscritto, logicamente non è mai stata fornita alcuna risposta.
Ma al di là di questo vero e proprio scandalo, che già la dice lunga sulla «sensibilità» di chi finora ha gestito questi fondi, dobbiamo ragionare su come far fare ai paesi in via di sviluppo un vero e proprio salto di qualità. È chiaro che in primo luogo ci si deve adoperare per far sì che nel terzo mondo il sistema dinamico dell'iniziativa, del mercato, dell'impresa, si apra a quei milioni di poveri a cui attualmente l'accesso è vietato da leggi inique. Si deve poi spezzare la presa soffocante delle piccole élite locali sulle leve del potere statale, nonché la presa dello Stato su quasi tutte le attività economiche e creative.
In secondo luogo, all'interno dei paesi capitalistici bisogna prestare un'attenzione maggiore ai bisogni dei poveri, evitando di creare legami di dipendenza. Dice Novak, titolare della cattedra di religione e politica pubblica di Washington, che «un sistema economico che rende gli individui dipendenti non è un esempio di caritas; un sistema di economia politica che imita la caritas si estende, crea, inventa, produce, distribuisce ricchezza, accrescendo la base materiale del bene comune».
Creiamo una provocazione: c'è bisogno di una vera rivoluzione, perché i poveri sono una risorsa e dovrebbero essere considerati non semplici consumatori, irrimediabilmente
Il provvedimento originario del Governo non riusciva ad indicare la benché minima soluzione del problema, ma creava i presupposti per perpetrarlo e aggravarlo. Non si poteva dunque che essere fortemente critici nei confronti di quel provvedimento, perché iniziative del genere possono servire solo dopo un cambiamento radicale e strutturale degli interventi verso i paesi in via di sviluppo, che non veniva concretamente indicato. Se è vero che si potrebbero anche giustificare, per l'importanza della causa, errori, omissioni, corruzioni e quant'altro, non è pensabile mettere una pietra sopra al passato per poi continuare a comportarci nello stesso identico modo. Di esempi ce ne sarebbero tanti, ma forse il più eclatante è quello che riguarda il progetto «Ciad-Camerun oil and pipeline», che nel 2000 la Banca mondiale dovrebbe finanziare.
Cerchiamo di prestare un po' d'attenzione. L'investimento totale, da parte del consorzio Banca mondiale-finanziatori privati, è di 3 miliardi e mezzo di dollari, pari a 7 mila miliardi di lire. La prima preoccupazione delle ONG è la totale mancanza di garanzie per l'uso dei fondi e per le violazioni dei diritti umani connesse al progetto. In Ciad gli interessi sul petrolio hanno catalizzato enormi conflitti tra nord e sud del paese per il controllo delle aree di futura estrazione: nel corso del 1998 e 1999 l'esercito ha imperversato nelle regioni di Moundou e Doba, commettendo massacri, torture ed esecuzioni extragiudiziali contro la popolazione civile. L'arrivo del petrolio ha acuito i conflitti tra le etnie e quelli tradizionali tra agricoltori ed allevatori.
La Banca mondiale ritiene che i proventi delle royalty previste per il Ciad, compresi tra i 3,5 e gli 8 miliardi di dollari per un periodo di vent'anni, possano finanziare lo sviluppo sociale ed economico dei due paesi, ma la corruzione dilagante in Ciad e Camerun non offre alcuna garanzia in proposito. La legge di gestione degli introiti, da poco approvata in Ciad, non stabilisce alcun meccanismo di controllo. Nelle condizioni attuali si prevedono basse (o addirittura negative) ricadute in termini economici e tra i due paesi almeno 5 milioni di persone potrebbero soffrire le conseguenze ambientali, economiche e sociali derivanti dalla situazione di privilegio concessa alle multinazionali.
Con presupposti di questo genere, si può pensare di assolvere tali Governi e non, invece, di impegnarsi direttamente a favore delle popolazioni? Si vuole capire che non sono interventi demagogici, estemporanei, show di cantanti, facili esibizioni per farsi pubblicità con un tema così drammatico, a risolvere i problemi?
Devo dare atto all'esemplare impegno del relatore, onorevole Giovanni Bianchi, dell'intera Commissione e - mi si consenta - dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale, di aver consentito il varo di un provvedimento organico che potrà permettere all'Italia di essere trainante e di esempio al mondo intero, dotandosi di strumenti di intervento che, se ulteriormente modificati con altri emendamenti, potranno essere efficaci, tempestivi e capaci di fornire risposte chiare e concrete, in grado di approntare strumenti di vera solidarietà per garantire pace e prosperità.
Un'ultima annotazione (lo dico confortato dalla presenza del sottosegretario Danieli, che so essere particolarmente attento e sensibile alla materia in trattazione). L'Italia può contare, a differenza degli altri paesi, anche su 5 milioni di nostri concittadini e su 58 milioni di persone di origine italiana che possono essere coinvolti nei diversi progetti, al fine di utilizzare appieno tutte le sinergie e gli strumenti di capillare controllo. Il popolo italiano è sempre stato in prima linea nel fare la propria parte, il Parlamento sta facendo compiutamente e con grande serietà la sua: tocca ora al Governo cercare di essere all'altezza del compito che gli viene affidato.
L'aula è vuota, gli applausi dopo Sanremo, come vediamo oggi, non ci sono più e quelle parti politiche che si erano intestate per prime questa grande battaglia oggi non sono presenti, insieme a tutti i nostri altri colleghi. Di questo mi rammarico molto, perché magari martedì, quando si ricomincerà a discutere e ad entrare nel merito del provvedimento saremo tutti qui ad applaudire l'approvazione finale e tutti, magari, rilasceremo dichiarazioni pubbliche alla stampa per congratularci con i nostri colleghi che hanno lavorato in questa Commissione e con il Governo, ma certamente con la nostra assenza dimostriamo di non essere veramente interessati a questo tema che invece negli scorsi mesi avevamo ritenuto un elemento importante della politica della nazione, oltre che del Governo.
È un provvedimento importante, certamente positivo, che ad avviso dei Cristiani democratici uniti deve essere comunque approvato, anche se noi, insieme con gli amici di Alleanza nazionale (immagino con tanti altri amici di Forza Italia e della «Casa delle libertà») vorremmo migliorare o contribuire a migliorare per definire meglio alcuni passaggi di questo provvedimento. Innanzitutto osserviamo, con molti soggetti e associazioni auditi in Commissione nelle scorse settimane e negli scorsi mesi, che il numero dei paesi considerati ci appare insufficiente. Il tetto dei 300 dollari di reddito annuo pro capite per l'ammissibilità dell'iniziativa è un limite eccessivo e ci sembra poco comprensibile. Infatti, i paesi che soffrono per un debito insostenibile sono molto più numerosi e l'iniziativa internazionale dell'HIPC ne considera 41; altre analisi ne individuano di più (circa 70); il tetto dei 300 dollari che noi poniamo nel provvedimento ne comprenderebbe una quindicina, cioè una piccola minoranza dei paesi che soffrono di questo gravissimo problema.
Non voglio ripercorrere su questo tema molte delle osservazioni fatte dai colleghi in Commissione esteri e dai colleghi che fin qui sono intervenuti, cioè la situazione di gravissima povertà, la situazione che abbiamo visto in questi ultimi anni in cui si è affacciato in Italia un certo modo di pensare alla situazione africana.
Vorrei soffermarmi su un altro elemento importante che noi rileviamo e che ci lascia molto perplessi. Ci sembra che in questa legge manchi esplicitamente il criterio sul quale impegniamo i paesi a cui viene risolto il debito. Qual è il criterio dell'impegno? Quali sono gli impegni specifici che noi profondiamo e che chiediamo loro affinché con questa remissione del debito essi possano impegnarsi a
Concludo, sperando che questo piccolo contributo, che ribadiremo in modo più ampio durante la discussione che inizierà martedì, possa far riflettere ulteriormente su questi due punti sia la Commissione che il Governo.
È iscritto a parlare l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.
Il provvedimento che il Parlamento si accinge a licenziare è sicuramente un atto politico importante, rilevante, forse non epocale - come ha detto il relatore - ma di un'importanza destinata a lasciare una traccia nella storia dell'evoluzione dei rapporti fra l'Italia, il nord del mondo e i paesi indebitati. Proprio perché vogliamo che sia un atto politico responsabile e consapevole, però, che naturalmente condividiamo nella sostanza, vogliamo che si faccia chiarezza su alcune osservazioni che suonano demagogiche, se non addirittura sbagliate. La cancellazione del debito è un atto che riteniamo necessario perché la sperequazione esistente nel mondo tra nord e sud, tra paesi ricchi e paesi poveri è pericolosa, per motivi etici è negativa e, a lungo termine, è completamente controproducente, anche per quel nord del mondo, oggi più ricco, che ha mandato prestiti verso il sud del mondo e molte volte li ha avuti di ritorno.
Non è possibile, tuttavia, nell'affrontare l'argomento, limitarsi a fare demagogia, alla quale, purtroppo, qualche collega si è abbandonato. Non è possibile perché dobbiamo esaminare nel concreto cosa significhi avere acceso questi crediti, che sono diventati debiti per chi li ha ricevuti; non possiamo criminalizzare il mondo donatore perché, se criminalizziamo il fatto che esista un debito, esiste sicuramente un modo semplice per non costituirlo: non fare più prestiti. Evidentemente si tratta di un paradosso ridicolo, ma, a volte, le situazioni sono paradossali e ne vorrei citare due.
Nel corso dell'attuale legislatura, dal 1996 al 1999, sono stati elargiti verso i paesi poveri del mondo 940 miliardi e ne sono tornati circa 1.300 come pagamento di prestiti precedenti ed interessi. Dov'è il paradosso? Il paradosso consiste nel fatto che parliamo di prestiti che l'Italia ha fatto ai paesi poveri del mondo, tra i quali, in particolare, il Senegal, uno dei sette paesi più poveri del mondo, che in questi quattro anni, con un Governo di centrosinistra, ha un saldo positivo per l'Italia di 40 miliardi, vale a dire che ha ricevuto 40 miliardi in meno in questi quattro anni di quanti non ne abbia restituiti per i crediti precedenti. Ancora più paradossale è che l'India, che ha ricevuto crediti dall'Italia, ha restituito i precedenti crediti ricevuti con i dovuti interessi: 114 mila indiani, in questi quattro anni, hanno lavorato solo per pagare il debito nei nostri confronti. È paradossale! Se ci limitiamo ad osservare questa cifra dal punto di vista finanziario dovremmo arrivare a dire che questi paesi poveri, ad esempio il Senegal - come dicevo tra i setti più poveri del mondo - hanno finanziato l'Italia e non viceversa, come ci piacerebbe poter dire. Tuttavia, per fortuna o purtroppo, la realtà ha
Sono stati dati dei soldi come prestito e non come dono - i doni sono altro e sono anche stati fatti - che sono stati restituiti con gli interessi dovuti, anche se sicuramente a tassi agevolati. Ma la cosa ancora più importante, che non dobbiamo dimenticare, è che proprio il fatto che siano stati concessi quei prestiti, poi restituiti, ha consentito per un certo numero di anni che l'economia in quei paesi «girasse», perché la ricchezza non è data dal possesso della ricchezza stessa, ma dalla circolazione del denaro o della ricchezza stessa: concedendo un prestito, anche se esso viene restituito, noi abbiamo contribuito a far vivere - ci auguriamo meglio - per un periodo determinato di tempo i paesi a cui lo abbiamo concesso.
La collega Francesca Izzo ha detto, con una punta, non tanto sottile, di demagogia, che i prestiti sono stati concessi nel nostro interesse, nell'interesse dei nostri paesi. Ebbene, anche a tale proposito la verità ha sempre tante facce e noi dobbiamo guardare alla realtà con il coraggio di vedere tutti i colori e non solo quelli che ci fanno piacere.
Innanzitutto, noi siamo legislatori di un paese e siamo preposti a tale funzione per rappresentare, difendere e curare gli interessi in senso lato dei cittadini che ci hanno mandato qui. Tali interessi, tuttavia, non possono essere soltanto quelli a breve termine, ma devono essere valutati anche a medio e a lungo termine, ed è proprio per il medio e il lungo termine, oltre che per quegli interessi che non sono solo economici e monetari, ma riguardano anche i sentimenti e i nostri valori, che siamo qui a discutere l'ipotesi, da noi totalmente condivisa, di cancellare in tutto o in parte il debito verso alcuni paesi.
Ma non criminalizziamoci, facendo finta di non vedere qual è la realtà. Se noi, il mondo occidentale - forse è meglio dire il nord del mondo -, abbiamo dato prestiti ai paesi poveri, può darsi che lo abbiamo fatto anche nel nostro interesse, ma sicuramente - questa è la cosa importante - nelle intenzioni vi era anche quella di fare gli interessi di chi riceveva i soldi, altrimenti non li avrebbero ricevuti.
Il problema, a dire la verità, è un altro: nel momento in cui noi elargiamo un prestito a qualunque paese, facciamo il suo interesse e contemporaneamente il nostro. Nel momento in cui cancelliamo il debito, oltre ai giusti, e da tutti condivisi, motivi morali ed etici, noi curiamo il nostro interesse, perché ci spaventano gli effetti della sperequazione economica. È stato detto dalla stessa collega Francesca Izzo, che criticava la cura degli interessi del nord del mondo, che una delle conseguenze di questa sperequazione si ripercuote contro il nord del mondo ed è anche per questo, oltre che per motivi morali ed etici, che si ragiona sulla cancellazione del debito.
Colleghi, abbiamo il coraggio di dire le cose come stanno e di osservarle nella loro reale semplicità, per quanto si tratti di una semplicità composta da tante facce e, alla fine - scusate il paradosso o il gioco di parole -, sia una «semplicità complessa».
Il collega Morselli ha svolto un intervento che sento di condividere profondamente, un intervento accurato e, a mio giudizio, intelligente. Egli ha saputo mettere in luce, anche ricorrendo ad opportune citazioni, che non sempre, quando ci si accinge a fare un atto di umanità, si fa l'interesse del paese verso il quale tale atto di umanità si rivolge. Noi oggi siamo qui per valutare ed approvare una legge che comporterà un atto di umanità e che contemporaneamente curerà i nostri interessi, non economici, ma a più lungo termine, ma dobbiamo compiere questo, come ha detto la collega Francesca Izzo, come un atto politico responsabile e consapevole.
Per questo motivo, abbiamo posto nel progetto di legge in discussione determinate e specifiche condizioni, affinché si
Io ho apprezzato anche la relazione equilibrata, corretta e seria del relatore, onorevole Giovanni Bianchi, nella quale non ho colto alcun tono di demagogia (e per questo l'ho apprezzata). Purtroppo in altri interventi mi è capitato, invece, di sentirne alcune venature; mi chiedo allora se stiamo parlando dello stesso argomento: questo è e deve essere, lo ripeto per la terza volta, come ha segnalato la collega Izzo (che peraltro si è «macchiata» di demagogia), un atto politico responsabile e consapevole dei pro e dei contro, delle ragioni che ci hanno portato in questa situazione e di quello che sarà lo sviluppo futuro. Noi concederemo altri prestiti e, se vorremo essere più lungimiranti ed intelligenti, lo dovremo fare con maggiore cognizione di causa, in modo consapevole, ponendo delle condizioni, così come le poniamo adesso per cancellare il debito.
Non ci dobbiamo lamentare, però, in maniera acritica, di quanto a volte succede a seguito del nostro intervento nei paesi che vorremmo aiutare: con i nostri prestiti, di fatto, noi diamo loro la nostra cultura ed i nostri valori di riferimento. Il mondo occidentale, il nord del mondo impone, dando in prestito o in dono denaro, i suoi valori a paesi con culture che tali valori non avevano condiviso e dai quali talora erano lontanissimi. È naturale che lo scontro - a volte l'incontro - tra due mondi diversi possa creare gli inconvenienti che lamentiamo.
Se questa è la realtà, dobbiamo renderci conto che non dobbiamo criminalizzarci per aver dato soldi in prestito chiedendo che venissero restituiti, magari con interessi agevolati, ma semmai dobbiamo criminalizzarci per altre ragioni: con il nostro comportamento stiamo facendo in modo che tutto il mondo diventi a noi omologato. Questa è la strada che stiamo percorrendo. Ci va bene? Non ci va bene? Ognuno valuti, ma occorre avere consapevolezza che questo è il problema reale: i paesi poveri sono costretti - e vogliono: è un paradosso, che richiede altre riflessioni - ad abbracciare il nostro modello di vita. Vogliono sentirsi ricchi e benestanti come noi; chiedono che vengano concessi loro prestiti ed a volte ne temono la cancellazione, per paura di non averne più in seguito; vogliono che i paesi occidentali li seguano perché essi possano trasformarsi e diventare come loro. Questa logica o la accettiamo o la rifiutiamo: se l'accettiamo, dobbiamo andare avanti, anche con atti di intelligenza lungimirante (come deve ritenersi la cancellazione del debito); se la rifiutiamo, credo che molti di noi dovranno cambiare tanto della loro impostazione e, forse, dovranno anche cambiare mestiere (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).