Allegato B
Seduta n. 739 del 13/6/2000


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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:

GIULIANO, CUSCUNÀ e LANDOLFI. - Ai Ministri della giustizia e dell'interno. - Per sapere - premesso che:
si contano, solo negli ultimi giorni, in provincia di Napoli, otto vittime in una guerra di camorra che ne conta cinquantuno dall'inizio dell'anno;
nei giorni scorsi si è appreso dalla stampa nazionale che sarebbero in corso «trattative» con esponenti della criminalità organizzata detenuti negli istituti penitenziari;
il Ministro della giustizia, che aveva dichiarato di nulla sapere e di non essere stato informato di siffatta iniziativa, è stato immediatamente smentito dal procuratore nazionale antimafia dottor Pierluigi Vigna, il quale, in interviste a vari quotidiani, nel fornire spiegazioni in ordine ai «contatti» avuti con esponenti del crimine organizzato che si trovano in espiazione della pena, ha precisato di avere preventivamente e tempestivamente messo al corrente il Ministro Fassino dell'iniziativa in corso;
rispetto ai fatti citati sale la preoccupazione nel Paese che, anziché essere confortato da una reazione dello Stato rapida, dura, incisiva, è costretto a registrare vicende gravissime ed inquietanti come quella citata -:
quali atti abbia posto o intenda porre in essere al fine di combattere l'escalation criminale e chiarire una vicenda che procura allarme e sconcerto nel Paese.
(3-05814)

LUCIANO DUSSIN. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
«La Spagna nega l'estradizione di mille mafiosi italiani»: al 31 maggio 2000 la giustizia spagnola, appellandosi a cavilli giudiziari, ha rifiutato l'estradizione in Italia di ben 1.089 mafiosi e delinquenti, condannati in contumacia e rifugiatisi in Spagna negli ultimi anni. Lo scrive il giornale «El Pais», ed è riportato dal Gazzettino il 5 giugno 2000;
«El Pais» sostiene che «l'Italia attribuisce al procuratore Fungairinho la colpa di annullare mille detenzioni di mafiosi», fra questi ci sono 124 dei 210 che stanno nella lista dei mafiosi più pericolosi d'Italia, e cinque sono addirittura nella lista dei 27 criminali più ricercati dalla giustizia italiana. Tre di questi, che possono passeggiare tranquillamente per Madrid, Barcellona o Costa del Sol, sono stati condannati in Italia all'ergastolo per omicidio plurimo;
Fungairinho, il procuratore generale della Audiencia nacional, il tribunale nazionale di Madrid, si oppone alla concessione dell'estradizione di stranieri condannati nel loro paese in contumacia con il pretesto che la legislazione spagnola non prevede la condanna in assenza dell'imputato. Mentre i giudici dello stesso tribunale sono invece favorevoli. Ma le richieste non arrivano a loro perché Fungairinho le blocca, al punto che per il suo conservatorismo si è meritato il titolo di ayatollah della giustizia spagnola;
«El Pais» rivela che, nell'estate scorsa, dopo una vista dell'allora Ministro della giustizia Diliberto a Madrid, Italia e


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Spagna erano sul punto di trovare un accordo con la firma di un documento, ma successivi dinieghi di estradizione hanno riportato l'accordo in alto mare, e Fungairinho continua a rendere dorato l'esilio di molti mafiosi in Spagna -:
che intenzioni abbia il nostro Governo a tal riguardo, visto che a tutt'oggi gran parte degli sforzi per stroncare il fenomeno delinquenziale italiano sono vanificati per queste ottuse connivenze di mafia.
(3-05815)

Interrogazioni a risposta scritta:

STUCCHI. - Ai Ministri della giustizia e dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella giornata di martedì 21 settembre 1999 a Bergamo si è tenuto il processo a carico di quattro tifosi del Napoli arrestati nella serata del giorno precedente in concomitanza della partita di calcio di serie B «Atalanta-Napoli» con l'accusa di aver rubato un blocchetto di trenta biglietti dal botteghino del settore ospiti dello stadio di Bergamo;
l'arresto, secondo quanto riferito dalla stampa locale (L'eco di Bergamo del 22 settembre 1999) è stato concitato: «Un giovane si era presentato al botteghino e aveva dato al venditore una banconota da 50 mila lire falsa; mentre il rivenditore la controllava il ragazzo ha preso dal bancone un blocchetto di biglietti. Prima l'ha passato di mano e poi è fuggito»;
gli agenti di polizia presenti sul posto, avendo assistito al fatto, hanno proceduto al fermo dei quattro napoletani. Gli stessi organi, in sede di processo, al giudice Giovanni Petillo avrebbero riferito di aver visto uno degli arrestati mentre passava il blocchetto ad altri mentre gli altri tre imputati sarebbero stati trovati in possesso di tagliandi d'ingresso sottratti;
in sede di processo il pubblico ministero delegato Giovanni Bolognese aveva chiesto la condanna a tre mesi di reclusione per gli imputati;
il giudice Giovanni Petillo, nonostante la testimonianza degli agenti avrebbe deciso l'assoluzione dei quattro imputati in quanto il «fatto non costituisce reato»;
ci si chiede sulla base di quali disposizioni normative si possa stabilire che il furto di tagliandi per l'ingresso a manifestazioni sportive non costituisca reato;
sarebbe opportuno, ad avviso dell'interrogante, approfondire la conoscenza del fatto segnalato al fine di verificare la correttezza dell'operato del giudice in questione -:
se quanto riportato corrisponda al vero e, in caso affermativo, quali iniziative di propria competenza intenda eventualmente adottare.
(4-30237)

VENDOLA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nella notte del 20 giugno 1997 a Messina perdeva la vita la studentessa diciassettenne, Valeria Mastrojeni, in seguito alle ferite riportate in un incidente stradale verificatosi in una via del centro cittadino e causato dalla condotta spericolata del conducente di una «Lancia Delta Integrale»;
il relativo processo per omicidio colposo, iscritto con il n. 5188/97 R.G.N.R. dell'allora procura circondariale, fin dall'inizio è stato caratterizzato da indicibili anomalie;
la contestazione dell'omicidio colposo raggiunse, fin dalla notte dell'incidente, il proprietario dell'auto investitrice, tale Luca Gozzi. Questi nell'immediatezza, con dichiarazioni spontanee rese al pubblico ministero, negò ogni sua responsabilità, accreditando la tesi del furto della propria auto (come da formale denuncia che venne altresì proposta), circostanza, secondo la sua versione, riferitagli telefonicamente subito dopo l'incidente da un amico, Roberto Carrabba, figlio dell'avvocato Giuseppe Carrabba, che contestualmente veniva nominato quale difensore di fiducia del Gozzi. La mattina successiva proprio Roberto


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Carrabba, sentito dal pubblico ministero smentì Gozzi. Più precisamente, il Carrabba si limitò a negare di essere stato lui a telefonare al Gozzi nella notte dell'incidente, affermando, viceversa di aver ricevuto una telefonata con la quale il suo amico gli riferì di aver subito il furto della propria auto e di averla casualmente ritrovata coinvolta in un incidente;
nel pomeriggio del 20 giugno 1997, il pubblico ministero dottor Emanuele Crescenti, nel verbale di nomina del consulente tecnico dell'autopsia, nominava al Gozzi un difensore d'ufficio, attesa «la sopravvenuta incompatibilità ad accettare la nomina di difensore di fiducia dell'avvocato Giuseppe Carrabba». È da ritenersi che il pubblico ministero ricollegasse alla testimonianza del figlio dell'avvocato Carrabba la sopravvenuta incompatibilità difensiva di questi. Sennonché, in violazione dell'articolo 106 del codice di procedura penale, il pubblico ministero agì in proprio, anziché sottoporre, come era suo obbligo, al Gip la questione relativa all'asserita incompatibilità difensiva. Tanto più, infatti, fu ambiguo quel comportamento (e motivato probabilmente dall'intenzione di dimostrare platealmente un apparente distacco dalle posizioni del Carrabba), laddove si osserva che il 21 giugno 1997 il Gozzi si presentò spontaneamente innanzi al pubblico ministero revocando la nomina dell'avvocato Carrabba e contestualmente nominando quale difensore di fiducia l'avvocato Maria Falbo, collaboratrice dell'avvocato Carrabba, sulla cui assistenza, tuttavia, il dottor Crescenti nulla ebbe da obiettare. Ciò forse perché in quell'occasione il Gozzi, ritrattando le precedenti dichiarazioni ed autoaccusandosi dell'omicidio colposo, appianava ogni questione, fornendo la possibilità, dopo 36 ore di assoluta confusione, di dare un nome al responsabile della morte di Valeria Mastrojeni;
tuttavia l'identità del sedicente responsabile contrastava con quella indicata dalle voci che si diffondevano con sempre maggior vigore e che indicavano invece il nome di Roberto Carrabba. E, a dire il vero e soprattutto, la confessione di Gozzi contrastava anche con la testimonianza resa qualche ora dopo la spontanea ammissione di Gozzi dall'unica testimone oculare dell'incidente. Ciò che aveva visto quella studentessa era un guidatore con la camicia bianca che non corrispondeva alle sembianze di Gozzi e che, viceversa, somigliava moltissimo a Roberto Carrabba e che, soprattutto, era fuggito subito dopo l'incidente;
tale testimonianza rimase chiusa nel cassetto del comando dei vigili urbani per circa tre mesi e mezzo e fu acquisita al fascicolo del pubblico ministero solo quando ormai il quadro dell'accusa era stato incardinato sulle responsabilità del Gozzi. Vale la pena, tuttavia, osservare come l'impostazione del pubblico ministero, pur indisponibile a valutare soluzioni diverse da quella della responsabilità del Gozzi, si sia mantenuta, nella qualificazione giuridica dei fatti, il più possibile favorevole nei confronti dello stesso. Ad esempio, la simulazione di reato relativa al falso furto denunciato nell'immediatezza fu contestata a Gozzi non al momento della pseudoconfessione, allorché aveva ammesso la falsità della denuncia, bensì solo dopo molti mesi e dietro formale richiesta, a quel punto impossibile disattendere, dei familiari della vittima;
ancora, il pubblico ministero non ha mai contestato a Gozzi la circostanza aggravante della colpa cosciente di cui all'articolo 61 n. 3 del codice penale, nonostante in sede di incidente probatorio il perito rilevò una velocità di 111,2 Km/h per l'auto investitrice, velocità raggiunta in una viuzza del centro di Messina la cui intera estensione non supera i 300 metri. Ulteriormente, il pubblico ministero non ha mai contestato a Gozzi l'aggravante del nesso teleologico di cui all'articolo 61 n. 2 del codice penale con riferimento alla simulazione di reato, nonostante Gozzi avesse confessato di aver inventato la storia del furto per declinare le sua responsabilità nell'incidente. Anche su ciò il pubblico


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ministero ha disatteso le reiterate sollecitazioni rivoltegli dai familiari della vittima;
l'impostazione poco chiara del pubblico ministero si è manifestata nuovamente alla chiusura delle indagini preliminari. In quel frangente, infatti, il dottor Crescenti prestava il proprio consenso ad una istanza di patteggiamento formulata dalla difesa del Gozzi che prevedeva una qualificazione giuridica dei fatti a dir poco abnorme. Non solo si riconoscevano all'indagato le attenuanti generiche ma, all'evidente scopo di calmierare la pena finale, si applicava la disciplina del reato continuato fra l'omicidio colposo e la simulazione di reato. Come a dire che il Gozzi, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, aveva già in mente di denunciare il furto della propria auto prima ancora che si verificasse l'incidente. Ma le stranezze di quel patteggiamento non finiscono qui. È infatti accaduto che, quel giorno prima dell'udienza fissata per il giorno 26 novembre 1998 al Gip per il patteggiamento, veniva proposta dalla difesa di Gozzi una seconda istanza di patteggiamento, contrabbandata sotto forma di correzione di errore materiale di computo della pena della prima istanza, sulla quale il pubblico ministero, imperterrito, prestava per la seconda volta il consenso «facendo, peraltro, seguito al consenso già precedentemente manifestato». L'errore materiale nel computo, atteneva, guarda caso, proprio al vincolo della continuazione fra l'omicidio colposo e la simulazione di reato, fatto scomparire nella seconda istanza dal momento che, evidentemente, i proponenti si erano resi conto dell'impossibilità dell'accoglimento della prima istanza, Comunque, il Gip rigettò il patteggiamento e ordinò al pubblico ministero l'emissione del decreto di citazione a giudizio;
all'udienza del 14 dicembre 1998, il Pretore dottor Cosimo D'Arrigo, dichiarò di astenersi, attesi i «rapporti di pregressa amicizia e conoscenza con una sorella della vittima». I familiari della vittima smentirono il giudice perfino per interviste pubblicate dalla stampa locale. Tuttavia, ad aumentare la dose di ambiguità che connota la vicenda è un'altra circostanza. Infatti, se nelle vicende relative all'incidente stradale in cui trovò la morte Valeria Mastrojeni vi sono persone amiche del dottor D'Arrigo, queste appartengono alla famiglia Carrabba. Successivamente all'astensione del dottor D'Arrigo si astennero altri due giudici togati, la dottoressa Nastasi e il dottor Conti. Anche queste astensioni sono state accolte dal presidente del tribunale;
per effetto di tali astensioni a catena, fu incaricato un vice pretore onorario, l'avvocato Adalgisa Bartolo, che tuttora dirige il processo, aggiornato all'udienza del 15 giugno prossimo, data in cui si celebrerà l'udienza con le forme del giudizio abbreviato e sarà probabilmente emessa sentenza;
la presenza dell'avvocato Bartolo quale giudice onorario non appare opportuna, considerata la sussistenza degli interessi personali dell'avvocato Carrabba e del figlio di questi nel processo in questione. A tal fine, occorre segnalare che Roberto Carrabba nel 1999, a seguito di formale denuncia, fu effettivamente indagato quale presunto responsabile dell'omicidio colposo, anche se successivamente archiviato, di guisa che una eventuale assoluzione del Gozzi, giustificata dalle numerose assurdità emerse nel processo, comporterebbe nuovamente l'automatica incriminazione di Roberto Carrabba;
a pronunciare la sentenza sarà il giudice onorario avvocato Adalgisa Bartolo, la quale nel medesimo torno di tempo in cui ha presieduto il processo ha collaborato professionalmente con l'avvocato Giuseppe Carrabba, insieme al quale, ad esempio, ha eseguito in difesa congiunta un processo penale innanzi alla Corte di appello di Messina;
di recente, della vicenda si sono interessati anche gli ispettori del ministero della giustizia, nella relazione ispettiva avente ad oggetto i fatti del noto «caso Messina». In seno a quella relazione gli ispettori hanno dovuto soffermarsi sul patologico


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fenomeno delle astensioni (invocando un freno per «l'abuso dell'istituto dell'astensione»), facendo riferimento proprio al caso in questione: «un esempio di astensioni a catena (descritto dai dottori Alì, Croce e Venuto) è quello che ha riguardato il processo per l'omicidio colposo Mastrojeni. Dopo la successiva astensione di tre magistrati togati (per motivi di «conoscenza»), l'impegnativo e complesso processo, nel quale la parte civile sostanzialmente afferma che il vero responsabile sarebbe non l'attuale imputato ma il figlio di un avvocato messinese, sarà trattato da un giudice onorario, con evidente diffidenza da parte della stessa parte civile» -:
quali siano stati gli esiti della relazione degli ispettori per la parte relativa al processo per l'omicidio colposo Mastrojeni;
quali siano le iniziative che intende assumere al fine di porre freno all'abuso dell'istituto dell'astensione del tribunale di Messina, rilevato anche dagli ispettori ministeriali;
se non ritenga opportuno esercitare l'iniziativa disciplinare in capo ai magistrati coinvolti nei fatti esposti in narrativa.
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