Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 670 del 10/2/2000
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(Riduzione dei tassi di interesse bancari praticati in Calabria)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Romano Carratelli n. 2-02214 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).
L'onorevole Romano Carratelli ha facoltà di illustrarla.

DOMENICO ROMANO CARRATELLI. Signor Presidente, signor sottosegretario, nei giorni scorsi è stata pubblicata sulla stampa economica la mappa dettagliata del costo del denaro compilata dalla Banca d'Italia. Essa non introduce elementi di novità, ma fotografa una situazione che ben conosciamo e che - come tenteremo di dimostrare - lascia del tutto indifferente il Governo di questo paese.


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Voglio però sollevare il problema perché, di fronte ad una ingiustizia conclamata, da cittadino e da parlamentare calabrese in primo luogo sento fortemente la necessità di dichiarare che non ci vogliamo rassegnare; in secondo luogo, mi sembra che da parte del Governo e degli organi competenti, oltre alla dichiarazione dell'esistenza di tale condizione, non sia stata assunta o prevista alcuna iniziativa per tentare di risolvere il problema.
Dalle notizie e dalle comunicazioni della Banca d'Italia, risulta che il denaro nel sud costa più che al nord (questa è cosa nota) e che in Calabria esso costa di più rispetto alle restanti regioni del sud e del nord Italia. Se vogliamo fare un confronto, possiamo dire che in Calabria il denaro costa alle imprese, alle famiglie e al cittadino, il doppio di quanto costa alle imprese, alle famiglie e al cittadino di Milano. Tutti i calabresi - le famiglie, le imprese, i cittadini - pagano questa differenza, perché l'esistenza di tale divario non è certo priva di conseguenze, bensì pesa sulla vita quotidiana di tutti i cittadini calabresi. Soprattutto, però, pesa sulla prospettiva di sviluppo dei cittadini calabresi.
La Calabria, per una serie di motivi diversi - ed il credito è uno di questi - è sostanzialmente condannata a rimanere nelle condizioni in cui si trova. Ciò significa che quando un'impresa calabrese tenta di portare la sua capacità imprenditoriale ad occupare quote di mercato esterne ai confini di quel territorio, cioè tenta di affermarsi, non dico a livello mondiale - come oggi pure sarebbe possibile, considerati i tempi in cui viviamo -, ma a livello nazionale ed europeo, si trova a competere con concorrenti i quali, dovendo usufruendo di un costo del denaro pari alla metà, automaticamente la pongono fuori mercato. Le tecniche di impresa e di commercio, infatti, spingeranno i più forti ad eliminare i più deboli.
Questo aspetto, insieme a tanti altri (pensiamo alla sicurezza, alle infrastrutture, ai servizi e così via), determina quelle diseconomie strutturali che rendono sostanzialmente impossibile lo sviluppo della regione. Ciò ci impedisce di produrre ricchezza, di avere uno sviluppo e di realizzare le condizioni per vivere meglio. Si realizza così quella realtà che Fazio - che è un altro attento cultore di questa letteratura - definisce come «le due Italie». Queste Italie, però, rimangono due e certamente di ciò io ho la mia parte di responsabilità, in quanto parlamentare, ma senz'altro un po' di responsabilità, diciamo la verità, ce l'hanno anche il Governo e lo stesso Fazio.
Allora, cosa è possibile fare per ovviare a questo inconveniente? È proprio questa la domanda che poniamo al Governo. Sperando che la risposta sia gratificante ed offra prospettive e non costituisca invece una triste presa d'atto della realtà esistente e dell'impossibilità o della mancata volontà di modificarla, tenteremo di spiegare al Governo quelle che a nostro avviso sono le proposte da fare per superare l'attuale condizione.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica ha facoltà di rispondere.

FERDINANDO DE FRANCISCIS, Sottosegretario di Stato per il tesoro, il bilancio e la programmazione economica. Signor Presidente, con la loro interpellanza, gli onorevoli Romano Carratelli e Soro, nel delineare la situazione economico-sociale della Calabria, pongono quesiti in ordine ai tassi di interesse, che in questa regione risultano più elevati rispetto a quelli applicati nelle altre regioni italiane.
Al riguardo, va innanzitutto premesso che i tassi di interesse sui prestiti sono negoziati dalle banche con la clientela nell'ambito di valori prefissati in via generale dagli organi aziendali competenti. L'ordinamento italiano riconosce, infatti, la natura di impresa dell'attività bancaria e finanziaria e tutela il carattere concorrenziale del mercato dei servizi finanziari. Pertanto, la definizione del tasso di interesse è correlata al livello dei tassi prevalenti sul mercato monetario, ai costi ed al rischio associato alle operazioni di


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impiego, il quale nelle regioni meridionali è più accentuato rispetto ad altre parti del paese.
Le banche, comunque, devono rispettare i limiti del costo del finanziamento per il cliente previsti dalla legge n. 108 del 1996 in materia di usura, nonché gli obblighi di trasparenza delle condizioni contrattuali prescritti dalla normativa vigente.
Per quanto concerne il perdurare del divario tra i tassi praticati nel meridione, in particolare in Calabria, e nelle restanti aree del paese, si precisa che tale divario riflette fattori di rischio specifici della domanda di credito, quali il limitato importo dei prestiti, la prevalenza, tra gli affidati, di imprese di dimensioni medie e piccole, la loro debolezza patrimoniale ed il loro elevato grado di dipendenza dal credito bancario a breve termine. Incidono, altresì, fattori attinenti al contesto economico e istituzionale, tra i quali il contenuto andamento della produzione nel corso degli anni novanta, nonché la lunghezza ed il costo delle procedure di recupero dei crediti in sofferenza.
Inoltre, dal lato dell'offerta va considerato il peso che hanno sul costo del credito la capacità di valutazione del rischio sugli impieghi e l'efficienza operativa delle banche.
La ristrutturazione del sistema bancario in corso nel paese sin dall'inizio degli anni novanta, avvenuta anche su impulso di una serie di provvedimenti normativi, tra i quali, da ultimo, il decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, ha favorito l'integrazione del sistema bancario del Mezzogiorno con quello del centro-nord. Ciò si è tradotto in una più consistente presenza di banche aventi sede in altre aree geografiche. Inoltre, è stato realizzato un processo di privatizzazione delle banche meridionali, quali il Banco di Napoli ed il Mediocredito centrale, con la cessione delle quote di azioni possedute dallo Stato. Quest'azione ha contribuito a migliorare la qualificazione tecnico-professionale nei mercati meridionali del credito e a stimolare la concorrenza, anche se è ancora necessario compiere ulteriori sforzi per far sì che il sistema bancario del sud si allinei ai parametri di efficienza nazionali.
Per quanto attiene, in particolare, alla regione Calabria, dove permangono condizioni di ritardo di sviluppo sintetizzate dal permanere di un elevato tasso di disoccupazione - circa il 26,8 per cento ad ottobre 1999 -, si fa presente che, in data 19 ottobre 1999, è stata firmata l'intesa istituzionale fra Stato e regione, che prevede accordi quadro nell'ambito della forestazione, con risorse dello Stato pari a 1.180 miliardi e della regione pari a 713 miliardi, e del ciclo integrato delle acque, con risorse per circa 1000 miliardi.
Si soggiunge, infine, che per la promozione dello sviluppo locale sono stati avviati patti territoriali nelle aree di Vibo Valentia, dell'alto Tirreno cosentino, del Cosentino, del Lametino, della Locride e di Catanzaro, con circa 750 miliardi di investimenti. I contratti d'area sottoscritti nel 1998 e nel 1999 per Crotone e Gioia Tauro prevedono investimenti per 765 miliardi.

PRESIDENTE. L'onorevole Domenico Romano Carratelli ha facoltà di replicare.

DOMENICO ROMANO CARRATELLI. Onorevole sottosegretario, poco fa l'onorevole Taradash, replicando alla risposta del sottosegretario Rivera, ha detto che si trattava di una risposta triste. Per quanto mi riguarda, devo dire che la sua è stata una risposta sconfortante e pertanto sono sconsolato, perché lei, in realtà, non mi ha risposto.
La mia interrogazione, infatti, si conclude con una domanda. Dopo una serie di premesse in cui non si parla di patti territoriali, di contratti d'area e di notizie ormai note, ho evidenziato una situazione e, considerando che da essa discendono alcune conseguenze, ho chiesto cosa possa fare il Governo. Non mi aspettavo grandi cose. Io, che non sono un economista né ricopro responsabilità di governo nel settore del Tesoro, né in altro per la verità, ma sono e tento di essere un parlamentare attento e scrupoloso, pur non occupandomi


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di questioni economiche e pur non facendo parte né della V né della VI Commissione, sono a conoscenza del fatto che in Commissione si è tenuta per due anni, di concerto con il Ministero del tesoro e con la presenza continua di esponenti del Tesoro, un'indagine conoscitiva che è stata avviata il 26 settembre 1996 e si è conclusa il 16 novembre 1998; quindi è durata due anni. La conclusione di tale indagine, che è un documento di buon livello, non dovrebbe essere ignota al Ministero del tesoro. Mi chiedo allora cosa si possa fare a distanza di due anni dalla fine di un'indagine conoscitiva sul sistema creditizio nel Mezzogiorno, in cui è stata fotografata la situazione e sono stati individuati i problemi. La questione del rischio è nota anche a me, onorevole sottosegretario, così come so che il rischio in Calabria è più alto che a Milano e so altresì che l'impresa calabrese è di dimensioni piccole o medie e non è l'impresa di Milano. Ma tutto questo che significa? Vuol dire comunque che, se nasce un imprenditore sano e capace nel sud, in Calabria, questi non può essere competitivo sul mercato, non solo perché noi non creiamo condizioni di favore, ma soprattutto perché non diamo la tutela necessaria affinché l'imprenditore sano, che ha delle idee ed è capace, siccome deve pagare questo costo, possa svolgere l'attività di impresa, con la conseguenza di costringerlo a fallire? Questo aumenta il rischio ed alimenta questo incredibile circuito.
L'indagine fatta dal Parlamento aveva una serie di obiettivi, tra i quali ve ne è uno che vorrei sottolineare: la verifica della funzionalità dell'attuale assetto dell'intermediazione finanziaria e creditizia rispetto alle esigenze dello sviluppo economico del Mezzogiorno, con particolare riferimento ai rilevanti differenziali dei tassi di interesse praticati e al diverso livello qualitativo dei servizi finanziari offerti al sud rispetto al resto del paese. Per questo ho presentato l'interpellanza, non per denunciare una situazione nota né per evidenziare una situazione che tutti conoscono, ma perché il Parlamento l'ha presa in esame e il Governo, in conseguenza del lavoro parlamentare, dovrebbe scegliere ed operare. Dalla indagine parlamentare, condotta - lo ripeto - di concerto con il Governo, perché la presenza di rappresentanti del Governo, in particolare di quelli del Tesoro, è sempre stata assicurata, proviene una serie di indicazioni e si individua una serie di fenomeni.
Lei ha detto, ad esempio, che le banche negoziano con i clienti ed ha affermato inoltre che il sistema bancario è ormai assorbito a livello nazionale, perché c'è l'intervento delle grandi banche. Sa cosa significa questo? Che non sono in grado di fare il loro mestiere, perché una delle condizioni della negoziazione è rappresentata dalla capacità di individuare e di ridurre il rischio. Se la gestione delle banche non è tale da consentire alle stesse di individuare il rischio e di ridurlo, il prezzo di questa incapacità non può essere pagato dal cittadino, dalla comunità, dalla impresa. Anche sotto questo aspetto, per quel che concerne la questione della raccolta e dell'impiego dei risparmi, dalla indagine risulta che in Calabria soltanto il 70 per cento dei risparmi raccolti vengono investiti, a fronte di un impiego a Milano, ad esempio, del 110 per cento. Quindi, i nuovi gruppi creditizi guidati da banche aventi sede legale nelle altre aree del paese sostanzialmente si limitano a gestire il risparmio meridionale, non ad utilizzarlo per lo sviluppo.
Il Governo non ha fatto nulla. Tutte le altre cose che sono elencate - e che le risparmio, onorevole sottosegretario - avrebbero dovuto spingere il Governo ad una serie di iniziative legislative e amministrative. Non chiediamo strumenti di cui il Governo ha già deciso di dotare il paese - mi riferisco, in particolare, alla guardia forestale e ai patti territoriali -, ma rivendichiamo che all'onesto imprenditore calabrese, che abbia le condizioni e le capacità di fare impresa, sia consentito di essere competitivo. Ciò non sarà possibile finché non saranno eliminate le diseconomie strutturali del sistema che non


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dipendono dai calabresi, ma dallo Stato. Non è un discorso né querulo né lamentoso né di rivendicazione, ma di assunzione di responsabilità: si deve riconoscere che attualmente un cittadino calabrese non può fare impresa in maniera competitiva per produrre ricchezza.
In secondo luogo, i cittadini calabresi che non hanno problemi con le banche e che non fanno un utilizzo pericoloso del credito non possono pagare una tassa aggiuntiva allo sviluppo del paese consistente nel ripianare il rischio delle banche che lo «spalmano» su tutto, anche sui consumi, bloccando il processo produttivo e creando le condizioni che lei conosce perfettamente.
Spero che il Governo possa utilizzare questa modesta occasione - avrei preferito affrontare in maniera più compiuta il discorso, ma devo concludere - trovando una strada che consenta anche alla regione Calabria di avere uno sviluppo e di fare impresa producendo ricchezza nell'interesse del paese.

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