Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 660 del 27/1/2000
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Seguito della discussione del disegno di legge: S. 4197 - Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica (approvato dal Senato) (6483); e delle abbinate proposte di legge: Boato; Giovanardi; Rossetto; Comino ed altri; Volonté ed altri; Paissan; Follini; Pecoraro Scanio; Bertinotti ed altri; Calderisi ed altri (2323-3485-3659-5562-5662-6244-6353-6354-63936533) (ore 9,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati Boato; Giovanardi; Rossetto; Comino ed altri; Volonté ed altri; Paissan; Follini; Pecoraro Scanio; Bertinotti ed altri; Calderisi ed altri.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziato l'esame dell'articolo 1 e del complesso degli emendamenti ad esso riferiti (per l'
articolo e gli emendamenti vedi l'allegato A al resoconto della seduta di ieri - A.C. 6483 sezione 1).

(Ripresa esame dell'articolo 1 - A.C. 6483)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Floresta. Ne ha facoltà.

ILARIO FLORESTA. Presidente, al banco del Governo non vedo alcun rappresentante dell'esecutivo.

PRESIDENTE. Sta arrivando ora il sottosegretario Morgando; è un po' in ritardo.

GIANFRANCO MORGANDO, Sottosegretario di Stato per l'industria, il commercio e l'artigianato. Ero qui dietro.

PRESIDENTE. Prego, onorevole Floresta.


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ILARIO FLORESTA. Benvenuto il Governo! Presidente, onorevoli colleghi, come esponente di un libero Parlamento prima ancora che di Forza Italia, esprimo la mia profonda preoccupazione per l'incombente processo di involuzione antiliberale ed antidemocratica di questa maggioranza e di questo Governo. I fatti accaduti ieri, anzi non accaduti, fuori dal Parlamento e poi in Parlamento, che tendono ad alterare artatamente la comunicazione alle genti, riconfermano drammaticamente sempre più la mia preoccupazione. Non bastano più, infatti, l'uso politico della giustizia realizzato con inchieste unidirezionali, con le drammatiche conseguenze sulla vita di migliaia di persone, la denigrazione e la demonizzazione dell'avversario condotta su certa stampa e certa televisione. No; adesso i blitz antiliberali della maggioranza sono condotti con sistematica e reazionaria volontà. Gli intenti persecutori di questo Governo sono sotto gli occhi di tutti: interviste sui media militarmente occupati dalla sinistra, annunci radiofonici ad hoc, prese di posizione sulla grande stampa legata alla maggioranza, minacce più o meno velate appena celate dietro dichiarazioni di rito, sono gli elementi costitutivi di un quadro inquietante.
Noi come liberali veri siamo preoccupati. La nostra democrazia, il nostro paese ha tutto da temere da questa deriva post-comunista, ammantata appena dei trasformismi e delle formule vuote del suo ceto dirigente. Questo, infatti, è il vero humus culturale e politico dei provvedimenti liberticidi come questo provvedimento cosiddetto della par condicio. Altro che Europa e democrazia liberale! Qui siamo in presenza di un attacco forsennato agli strumenti più genuini della democrazia: la dialettica fra maggioranza e opposizione, l'opportunità per l'opposizione di far sentire nelle migliori condizioni di libertà la propria voce, che presuppone quindi l'eliminazione di tutti gli ostacoli all'espressione e alla divulgazione delle idee, dei programmi, alla presentazione degli uomini e dei progetti. Quindi lo diciamo forte, senza mezzi termini: il testo che il Governo intende approvare è incostituzionale. Sono, infatti, violati in modo palese gli articoli 3, 21 e 41 della Costituzione, ovvero uguaglianza, libertà del pensiero, libertà d'impresa. Il principio giusto delle pari opportunità viene stravolto e piegato per fini di parte al silenzio assoluto; è questo il concetto di democrazia che ha la maggioranza.
La pubblicità elettorale in un sistema liberale ha senso proprio in quanto offre una possibilità in più ai cittadini di formarsi un'opinione politica. Bene, la soluzione prescelta con il provvedimento in esame è il divieto degli spot, l'espressione peggiore di una cultura censoria che impedisce ai cittadini di formarsi un'idea sui programmi e sugli uomini; del resto, quando si parla di par condicio, la logica della maggioranza è unidirezionale: colpo di mano su colpo di mano. Ecco, allora, l'accelerazione dei tempi di discussione, la minaccia di decreti, come avviene in casi di emergenza nazionale, la propaganda mediatica che non si ferma né di fronte alla menzogna più sfacciata né, onorevoli colleghi, consentitemelo, al pudore. Nel suo navigare a vista, infatti, con nessun altro obiettivo che mantenere manu militari un potere conquistato contro il voto dei cittadini, questa sinistra ha mostrato il suo vero volto, quello di sempre: illiberale e dirigista.
Dopo l'alterazione della composizione della Commissione affari costituzionali di Montecitorio, con l'innesto in corso di nuove componenti amiche per evitare di correre il rischio di non avere la maggioranza su un testo che imbavaglia, come nella Romania di Ceausescu o nell'URSS di Breznev, l'opposizione democratica; dopo il maldestro tentativo di alterare la composizione dei commissari del gruppo misto, sostituendone uno contrario alla par condicio con uno favorevole; dopo la nomina di un deputato diessino, Luigi Massa, come relatore su questioni di cui si occupava in precedenza l'ex presidente della Commissione Raffaele Cananzi, passando da un ruolo istituzionale ad uno di fazione; dopo le trattative sottobanco con i comunisti di Bertinotti, oggi siamo arrivati


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quasi all'atto conclusivo di tale inquietante vicenda, che segna l'ulteriore spostamento a sinistra dell'asse governativo.
Con zelo e motivazioni inaccettabili questa maggioranza vuole mettere il silenziatore all'opposizione; l'obiettivo vero non è una legislazione avanzata, non è il quadro di opportunità e convenienze di una moderna democrazia liberale, non è, quindi, la logica del mercato e delle sue regole, non sono i meccanismi di libertà di ogni Stato di diritto, non è niente di tutto questo. La maggioranza ha un solo scopo: affrancarsi ed assicurarsi ogni futuro appuntamento elettorale.
La democrazia intesa da questa maggioranza è sempre uguale a se stessa: le regole vanno bene se servono ai propri fini di potere, null'altro. I problemi reali del paese non interessano lor signori; l'urgenza del provvedimento sulla par condicio, la sua elaborazione in tutta segretezza, senza un ampio dibattito nel paese, è l'ennesima conferma di un'operazione di potere condotta con procedure e modalità inquietanti.
Le motivazioni sono state propinate all'opinione pubblica in tutte le loro possibili varianti: al centro vi è sempre il famigerato conflitto di interessi, ripetuto in maniera ossessiva. Non una sola parola, però, signori del Governo, sui tanti veri monopoli della grande stampa, sull'asservimento militare del servizio pubblico; il demonio Berlusconi viene prima di tutto, poi il resto, a cominciare dalla verità. Su tale collante si sono fondati addirittura Governi, come quello Dini, che per ben sette volte ha reiterato il relativo decreto-legge sulla par condicio. Tali provvedimenti sono stati ripetuti con sistematicità, condizionando pesantemente le elezioni regionali del 1995, quelle politiche del 1996 ed altri appuntamenti elettorali amministrativi; si è trattato di una ricerca affannosa, tale da falsare i meccanismi della democrazia.
Ora un vero e proprio golpe bianco si vuole consumare in Parlamento. Noi ci opporremo con tutte le nostre forze; i nostri valori, le nostre idee guida, prima di ogni altra valutazione politica, ci impongono una scelta decisa: «no» a questo provvedimento statalista ed antiliberale.
La filosofia di fondo della par condicio è di fatto quanto di più lontano da una moderna visione del confronto politico. Divieto su tutto: sugli spot, sui sondaggi, sulla pubblicità; regolamentazione rigida all'interno di una impostazione verticistica.
Ecco allora la distinzione tra comunicazione politica in campagna elettorale - alla data di convocazione dei comizi, ovvero 45-70 giorni prima delle elezioni - e, al di fuori di questo periodo, le forme tassative di comunicazione politica: il divieto di pubblicità elettorale; la rigida regolamentazione di finti spot; lo stesso trattamento viene riservato per i sondaggi.
Siamo nel 2000, colleghi della maggioranza; vi ricordo che il muro di Berlino è caduto nel 1989 e ve lo ricordo alla luce del primo comma dell'articolo 21 della nostra Costituzione, quella di una democrazia liberale, che così recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Questa dovrebbe essere in uno Stato di diritto la linea maestra per ogni discussione sulla par condicio. No, invece si limita, si specula, si imbavaglia, si condiziona; e tutto viene dal vertice, come da ogni tradizione comunista ed ora post-comunista in poi: regolamenti, divieti, blackout, obblighi su obblighi! La differenziazione tra pubblicità elettorale e propaganda elettorale dell'originario disegno di legge governativo appare ingiustificata. Non esiste infatti differenza alcuna tra spot e propaganda dal momento in cui i dati dimostrano che i criteri di parità di accesso non vengono di fatto rispettati.
Ma le menzogne di questo Governo non si fermano. Infatti, si cerca di far passare il messaggio che non esiste una regolamentazione sulla pubblicità televisiva e quella che c'è viene elusa. Non è finita: si fa passare inoltre il messaggio che il provvedimento del Governo favorisce la comunicazione (questo provvedimento!); che il divieto di spot è in vigore


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nella maggior parte dei paesi europei (e non è vero, perché qui si dice esattamente quello che avviene in tutte le parti d'Europa: anche di fronte a delle legislazioni scritte, voi dite una menzogna); che non si tratta di una legge contro Silvio Berlusconi e in particolare di una conseguenza delle ultime elezioni europee.
Sono tutte falsità; ipocrisie, su ipocrisie! Nella sua furia censoria, il Governo è - come spesso gli accade - distratto.
Ricordo a tutti che nel 1995 la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale il divieto di spot contenuto nel decreto del Governo Dini. «Eccessività, incongruità e irragionevole sproporzione della misura, tendente a porre il silenzio sulle iniziative delle diverse parti politiche»: questo, cari colleghi della maggioranza, lo sostiene la Corte costituzionale di una democrazia, che noi vogliamo ancora liberale!
Nel dispositivo della sentenza la Consulta sentenziò anche che «non spetta al Governo adottare, con riferimento alle campagne referendarie, il divieto di spot». La materia degli spot è già regolamentata con una normativa, la legge n. 515 del 1993, sulla quale la sinistra si astenne. Tale legge prevede uno sconto del 65 per cento dell'acquisto di spot sulle televisioni pubbliche e private. È una normativa efficace e non si comprendono le ragioni di una sua modifica! Siamo in presenza, pertanto, onorevoli colleghi, di un ostacolo alla libertà di espressione.
Illustri giuristi, ex presidenti della Corte costituzionale come Aldo Corasaniti, peraltro uomo di sinistra, Vincenzo Caianello e Antonio Baldassarre lanciano l'allarme sui profili incostituzionali di questo provvedimento. Le libere elezioni richiedono, impongono, la massima possibilità di accedere ad una pluralità di mezzi informativi, a condizioni tendenzialmente accessibili a tutti. Le nostre proposte sono andate proprio in questo senso: se malauguratamente questo provvedimento dovesse passare, Forza Italia raccoglierà certamente le firme per un referendum abrogativo. Sarà una soluzione estrema, alla quale non vorremmo comunque arrivare, se non costretti, naturalmente. Il nostro senso di responsabilità, dimostrato peraltro più volte negli ultimi anni in occasioni di decisioni vitali per il nostro paese, ci induce infatti a valutare ogni opportunità e tutti gli spazi possibili di dialogo.
Sta adesso a voi, esponenti del Governo e del centrosinistra (mentre parlo, naturalmente, il rappresentante del Governo legge il giornale: si tratta peraltro di un sottosegretario che non è competente in questa materia), riflettere e prendere in seria considerazione la necessità di un confronto dialettico, anche aspro, ma che possa aprire una nuova fase del dibattito sulla par condicio.
Il dialogo è possibile non per trovare facili accomodamenti di circostanza o al fine di perseguire interessi di basso profilo, ma per sottolineare l'enorme valenza del tema della comunicazione politica in una democrazia, i suoi riflessi, gli effetti immediati e quelli più lontani. È un tema che riguarda tutte le forze politiche, le forze imprenditoriali e sociali e i cittadini nel loro complesso.
Il nostro proposito di fondo è quello di far emergere tutte le implicazioni sul sistema dei valori democratici e costituzionali legati al dibattito in corso. Parliamo pertanto a tutti. È un discorso comune cui nessuno può sottrarsi. I riflessi riguardano la nostra comunità nel suo complesso, senza alcuna distinzione. Volgiamo infatti il nostro sguardo sull'Europa, spesso invocata come modello dalla maggioranza. I paesi avanzati del vecchio continente offrono un quadro di opportunità a tutte le forze politiche. Lo ribadisco: a tutte le forze politiche!
Il ricorso agli spot non è oggetto di divieti tassativi come si vuol far credere in Italia. Questo pensiero non nasce, lo preciso, da spirito di mera contrapposizione con le opposizioni del Governo, ma scaturisce dalla ricerca, che noi del Polo abbiamo sempre perseguito, di un confronto anche duro, ma costruttivo.
Con questi scopi noi ribadiamo le nostre proposte sulle modifica di alcuni punti, in particolare del provvedimento del Governo sugli spot, sulla pubblicità


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elettorale, sui meccanismi di controllo. Siamo su posizioni di massimo rispetto di principi fondamentali: la libertà e il mercato.
Signori della maggioranza, non si tratta però di enunciazioni formali e prive di ogni aggancio con la realtà o, peggio, sganciate da un complesso di regole da rispettare.
Forza Italia (e il Polo delle libertà) crede nei meccanismi di un mercato aperto ad una platea quanto più vasta possibile di operatori, lontano da ogni monopolio o, peggio, anarchia produttiva. Le nostre proposte di effettiva eguaglianza tra maggioranza e opposizione anche nei TG della regolamentazione della informazione politica della Rai, le nostre proposte sulla pubblicità elettorale a pagamento da parte di televisioni pubbliche e private, nonché sui temi e sulle regole stabilite dall'authority, rientrano nell'alveo di una tradizione liberale e democratica che è patrimonio del nostro paese. Su queste basi non è impossibile aprire una discussione a 360 gradi sempre che il Governo e la maggioranza dimostrino questa disponibilità a quelle aperture che sono indispensabili per cominciare. Questo è un punto essenziale.
Il disegno di legge, infatti, disciplina la pubblicità e la propaganda politica attraverso lo strumento televisivo anche nei periodi non ricompresi nella campagna elettorale. Si tratta, dunque, di un provvedimento che incide immediatamente sulla organizzazione del sistema radiotelevisivo, come dimostrato dalla considerazione che tale disegno di legge è stato presentato dal Presidente del Consiglio di concerto con il ministro delle poste e delle comunicazioni. Lo stesso Cardinale, del resto, in una sua dichiarazione prima della pausa estiva, aveva ipotizzato la possibilità che la disciplina oggetto dell'iniziativa in esame fosse inserita sotto forma di proposte emendative nel disegno di legge n. 1138 sul sistema televisivo.
Sappiate, quindi, che noi non permetteremo a nessuno di mettere a rischio la libertà del nostro paese e meno che mai lo consentiremo a questo inqualificabile e irresponsabile Governo.
La vera garanzia nel corso delle campagne elettorali si chiama infatti libera informazione, lontana mille miglia dai diktat su quello che resta del servizio pubblico finanziato con 2.500 miliardi di canone. In una democrazia parlamentare il centro vitale della democrazia è centrato nella scelta dei propri rappresentanti da parte del corpo elettorale.
Il provvedimento in esame colpisce proprio questo aspetto. È fondamentalmente, pertanto, un provvedimento antidemocratico. È soltanto una violenta ritorsione verso l'opposizione dopo la sua vittoria elettorale del 13 giugno scorso nelle elezioni europee. È una rappresaglia per oscurare chi dissente e per dare visibilità soltanto alla maggioranza. L'azione contro l'opposizione si avvale, in particolare, dell'occupazione della RAI. I dati forniti dall'osservatorio di Pavia, una fonte non certo vicina al Polo (e vorrei capire da dove provengano quei dati utilizzati ieri dall'esponente di maggioranza per sostenere cose completamente contrarie), dimostrano infatti che la presenza televisiva dell'opposizione è passata dal 35 al 50 per cento di quella della maggioranza solo grazie agli spot a pagamento. Fra il 1o gennaio e il 30 giugno dello scorso anno i dati indicano 1.031 minuti di presenza sui canali pubblici del Presidente del Consiglio contro i soli 395 dedicati al nostro leader Silvio Berlusconi.
La par condicio, con il suo mese di blackout, il blocco degli spot, ma soprattutto con i legami ed i lacci dal vertice, è soltanto un bavaglio, l'ennesima dimostrazione di una volontà di annientamento di un'opposizione, quella del Polo per le libertà, sempre più vincente nel paese reale. La verità è che questo Governo ha paura della volontà dei cittadini. Il vero motivo per cui la maggioranza non utilizza gli spot elettorali sta nel fatto che non ha nulla da proporre al paese, se non le sue beghe interne ed i suoi fallimenti economici. Spera, anche questa volta, di riuscire con i mezzi dell'imbavagliamento


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e della disinformazione a frenare la voglia di cambiamento del nostro paese. Un tentativo maldestro, che noi, sulla base dei nostri valori di riferimento, respingiamo e respingeremo con tutte le forze.
Dal momento che credo di avere ancora qualche minuto a disposizione, vorrei dire che quello che è accaduto ieri, e che all'inizio del mio intervento ho evidenziato, mi ha fatto riflettere tutta la notte; mi sono domandato, infatti, se dovevo correggere il tiro del discorso da me preparato e che scaturisce dal profondo del cuore. Mi sono chiesto se era meglio moderare i toni. Allora ho pensato - ritengo giustamente - che quello che voi avete fatto ieri è stata veramente una provocazione, una di quelle provocazioni che inducono le genti moderate e liberali, quali noi siamo e quale io sono, a pensare e a ripensare se in effetti si sia nel giusto o se si sia in errore, perché la disinformazione porta anche a queste cose. Allora, cercate di essere più seri! Se ieri fosse accaduto al segretario Castagnetti quello che, ad esempio, è accaduto più volte al vice Gabibbo, figura simpatica, e non ultimo quello che abbiamo visto recentemente in Striscia la notizia (gli spintoni del Presidente del Consiglio D'Alema, che hanno provocato la frattura di un dito), che cosa avreste fatto voi? Ma di quello non si parla. Si parla solo di monetine! Forse Castagnetti voleva le banconote (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Scaltritti. Ne ha facoltà.

GIANLUIGI SCALTRITTI. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, quello in discussione in aula è senza dubbio il documento più controverso all'esame del Parlamento, un provvedimento di legge che di fatto vuole limitare la libertà di espressione, la libertà di comunicazione e di informazione di chi vuole dedicare la propria attività intellettuale e l'impegno politico alla nazione, ai cittadini tutti.
Noi, deputati di Forza Italia e del Polo per le libertà, non possiamo tacere né evitare di intervenire e lottare in quella che da sempre riteniamo debba essere una battaglia di principio per contrastare le decisioni di un Governo e di una maggioranza che vogliono minare alle basi la libertà democratica del nostro paese. Con questo provvedimento, così come è stato ideato e redatto, la maggioranza di Governo vuole limitare gli spazi di libertà, i mezzi e le possibilità di ognuno di noi di esprimere il nostro pensiero e il credo politico e sociale che ci caratterizza quali veri rappresentanti del popolo che ci ha eletto nel 1996. Non dobbiamo dimenticare i ribaltoni, che hanno caratterizzato lo scenario politico della precedente e dell'attuale legislatura tradendo il mandato elettorale grazie ai cambi di casacca di molti parlamentari, al punto che oggi il Parlamento e il Governo del paese sono nelle mani di un disomogeneo gruppo di partiti politici che rappresentano la minoranza dei consensi dei cittadini. Proprio in forza della certezza di essere stati eletti dalla parte migliore e più rappresentativa del paese, da tutti i cittadini che credono nella libertà e nel progresso, siamo oggi sulle barricate per dire «no», un forte «no» ad una legge liberticida, che limita la possibilità di partecipazione dei cittadini alla vita politica in Italia.
Si dice, da parte delle forze che appoggiano il Governo, che in Italia non vengono applicati gli stessi criteri sul diritto all'informazione, come nel resto dell'Europa, e che è necessario varare una legge che regoli l'accesso all'informazione perché una legge non c'è. Niente di più falso: la legge n. 515 del 1993 è in vigore, produce i suoi effetti ed è stata varata quando Forza Italia ancora non esisteva. Quello che vi disturba è che questa legge ha reso possibile per i cittadini capire che potevano riconoscersi in una realtà politica nuova, in un nuovo progetto per il futuro della nazione, in una realtà politica capace di condurre l'Italia verso il cambiamento, in contrasto con i privilegi di un potere nato dal consociativismo e dalla disinformazione, un potere di cui la sinistra ha fatto parte e di cui ora è la più accanita sostenitrice, un potere che si sta


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trasformando in regime. Forza Italia, e con essa il Polo per le libertà, nonché tutte quelle forze politiche che si riconoscono negli interessi veri della gente e nella libertà di espressione, informazione e pensiero, sono qui, in quest'aula, nella piazza qui fuori, in tutto il paese a manifestare la loro opposizione e la loro denuncia contro questo feroce attacco alla democrazia e al diritto costituzionale.
Il disegno di legge in discussione, all'articolo 1, recita testualmente: «La presente legge promuove e disciplina, al fine di garantire la parità di trattamento e l'imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici, l'accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica (...), promuove e disciplina altresì, allo stesso fine, l'accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, dei consigli delle regioni a statuto ordinario, delle regioni a statuto speciale, delle province autonome di Trento e Bolzano, dei consigli comunali e provinciali, del sindaco e del presidente della provincia, nonché per ogni referendum». In sostanza, il cittadino sarà costretto a votare in questa o quella elezione senza prima avere potuto liberamente accedere ad una doverosa informazione sulle persone da eleggere, sui programmi dei partiti e su quante più informazioni possibili per una serena scelta elettorale e ciò è molto inquietante. Che libertà di parola e di espressione è questa? Che tipo di rispetto della Carta costituzionale intende mettere in atto la maggioranza, che insieme al Governo vuole mettere il bavaglio alla libertà di parola e di comunicazione? Qualcuno l'ha già detto, ma vale la pena ripeterlo: nella storia politica del nostro paese non è mai stata, non solo attuata, ma nemmeno presentata al Parlamento una legge tanto illiberale e discriminante nei confronti di chi intende dedicare la propria attività sociale al servizio della comunità.
Mi domando, allora, il perché la sinistra di governo sia tanto contraria all'utilizzo del mezzo televisivo per la comunicazione politica. La risposta non può essere che una: perché non sa usarlo, quel mezzo, perché la sinistra è arretrata e impreparata a recepire la bontà e la valenza dei nuovi mezzi di comunicazione, che il progresso ci mette a disposizione. La sinistra è contro il progresso e la modernità. Forse vi è un'altra grande verità, ancora più sostanziale: la sinistra non ha nulla da dire, nulla da proporre, così come è stato dimostrato in questi anni di governo, nei quali ha dedicato più tempo alla ricerca di equilibri per una maggioranza rabberciata che alla soluzione dei problemi del paese e a riforme che determinassero certezza, sviluppo e occupazione.
Noi siamo disponibili, e oggi lo stiamo dimostrando, a scendere nelle piazze per comunicare con la gente, a fare campagna elettorale in strada, ma non siamo disponibili a tornare indietro nel tempo, oggi che qualsiasi comunicazione avviene via cavo o via etere con velocità, sicurezza e trasparenza, oggi che è iniziata l'era di Internet.
Il popolo italiano, ne sono convinto, non capisce nemmeno perché si debba limitare l'accesso alla comunicazione politica tramite il mezzo televisivo, quando la stessa televisione pubblica, pagata da tutti i cittadini, non fornisce un'informazione corretta, veritiera e puntuale sulla vita sociale e politica italiana. La Costituzione stabilisce che la libertà di parola è garantita nei modi consentiti dalla legge. Ma quale legge può essere definita giusta e democratica se, di fatto, limita quella stessa libertà di parola e di pensiero che si vuole esternare tramite il mezzo televisivo?
Sono cambiati i tempi, ma la sinistra sembra non essersene accorta. Siamo nell'era della comunicazione globale, ma la sinistra e il Governo dimostrano di non conoscere i mezzi che il progresso ci mette a disposizione. La televisione è uno di questi mezzi, il più popolare e seguito, ma la sinistra non lo sa gestire e non sa cosa dire. Questa è la realtà con cui la maggioranza non riesce a confrontarsi e molto probabilmente è infastidita se altri


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invece conoscono perfettamente le vie della comunicazione e sanno come usarle al meglio. La sinistra e la maggioranza, peraltro, non sono credibili quando affermano di voler regolamentare l'accesso politico alla televisione mentre, nel contempo, hanno egemonizzato la televisione pubblica con trasmissioni di regime, condotte dai soliti noti, e con spot inneggianti a presunti buoni risultati del Governo.
In questi giorni - ritengo anch'io di doverlo sottolineare - da parte del Governo sono state fatte strumentalizzazioni, attraverso i mezzi di informazione pubblici, in modo aggressivo e violento verso l'opposizione. Ciò che è accaduto ieri fa veramente inorridire: il semplice confronto tra pacifici manifestanti e un leader della maggioranza è stato «venduto» dai maggiori quotidiani e dalle reti televisive pubbliche come un'aggressione violenta. Tutto questo è grave, perché crea cattiva informazione, crea plagio nell'opinione pubblica, crea una minaccia per la democrazia, crea una politica dell'odio e del contrasto, che certo non giova ad un paese che deve avviarsi verso lo sviluppo, un paese che ha bisogno di più attenzione ai problemi economici e sociali, oggi gravissimi anche grazie ad un cattivo Governo dell'immagine, dell'annuncio, un Governo durante la cui vita i terremotati dell'Umbria e delle Marche sono ancora in attesa di una soluzione per i loro problemi, di un'assistenza le cui risorse sono state invece deviate verso la corruzione, gestita nell'ambito di un potere di chi poi si fa paladino della giustizia, paladino delle mani pulite.
Tutto questo è grave e porta noi dell'opposizione, noi di Forza Italia e del Polo delle libertà, a dire no ad una legge che aggrava la disinformazione del paese, che invece avrebbe bisogno di libertà e di speranza nel futuro. È una legge che limita la libertà del singolo e dei partiti politici, una legge che vorrebbe imporre una comunicazione controllata, modalità di comunicazione politica gradita ai partiti della maggioranza, una legge che è invisa all'opposizione e ai cittadini.
Insisto nell'affermare che i cittadini che andranno alle urne non si preoccupano affatto di limitare l'accesso all'informazione. Semmai è vero il contrario, visto che la domanda di informazione è sempre costante ed anzi è in crescita.
Per queste e per molte altre ragioni già illustrate dai colleghi deputati di Forza Italia e del Polo della libertà, voterò contro una par condicio a parole, che nei fatti risulta essere soltanto l'incauto tentativo della maggioranza di imbavagliare l'opposizione e di negare la libertà (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nan. Ne ha facoltà.

ENRICO NAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le polemiche di ieri e lo scontro politico che si sta registrando in aula evidenziano che ci troviamo di fronte non ad una conflittualità preconcetta, come è stato detto da alcuni rappresentanti del Governo, semplicemente finalizzata a creare il caos, bensì, ad un dibattito nel quale vengono messi in discussione principi essenziali della Costituzione.
In questa discussione sono in gioco obiettivi politici a breve termine (le prossime elezioni regionali) e a meno breve termine (le elezioni politiche). Occorre, dunque, focalizzare questo aspetto. Non è accettabile ridurre in modo scolastico e semplicistico il dibattito nell'accusa di un semplice ostruzionismo ripetitivo e caratterizzato da vuote invettive. Occorre, invece, prendere in considerazione il contenuto del provvedimento in esame.
Il disegno di legge mette in discussione e stravolge completamente le regole del gioco e, soprattutto, trasforma la politica con la «P» maiuscola in qualcos'altro. Esso stravolge la politica, che dovrebbe consistere sostanzialmente nel dibattito tra forze contrapposte. I partiti sono garantiti dalla Costituzione proprio perché rappresentano i cittadini; è giusto e corretto, dunque, che vi sia dibattito e scontro sempre nei limiti dei principi democratici.


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Quando, invece, si vuole impedire che il dibattito venga reso pubblico e lo si vuole contenere con una compressione che impedisca di manifestare apertamente la volontà, i programmi ed i progetti dei partiti, ci troviamo, allora, in una situazione limite in cui alcuni principi costituzionali vengono di fatto messi in pericolo. È per questo che abbiamo voluto denunciare in quest'aula e fuori di qui, nelle piazze, che ci troviamo in una situazione in cui non è esagerato dire che si vuol addivenire ad un furto delle libertà costituzionali, ad un furto dei diritti che ha ogni deputato e, soprattutto, ogni candidato di confrontarsi e di propagandare le proprie idee.
Tutto ciò accade nel momento in cui il mondo moderno assiste sempre più allo sviluppo della comunicazione. Oggi, la vera trasformazione della nostra società consiste nella trasformazione dei mezzi di comunicazione. Ritengo, dunque, che si debba rivisitare il significato ed il contenuto politico di un disegno di legge presentato in modo scorretto dal Governo e che non è stato oggetto di un corretto e normale dibattito nelle Commissioni, ma è stato semplicemente l'obiettivo di una maggioranza che si preoccupa di perdere le elezioni. Questa maggioranza non si preoccupa di modificare adeguatamente le regole per renderle più moderne, ma vuole semplicemente impedire che l'opposizione, in un sistema in cui l'alternanza lo impone, possa esprimersi e propagandare le proprie idee.
Ieri, a difesa di questa posizione, abbiamo ascoltato dai rappresentanti del Governo alcune argomentazioni che, a mio modo di vedere, non si reggono in piedi. Abbiamo sentito addirittura fare paragoni assurdi. Qualcuno ha detto: «è come se io facessi una corsa con un'utilitaria ed il mio avversario con una Ferrari». Ma questi sono solo i mezzi. Non sono veramente lo spot, la pubblicità televisiva a preoccuparvi: vi preoccupa una cosa diversa, ossia che il contenuto degli spot e della propaganda politica televisiva sia espresso dagli avversari. Quale preoccupazione porta a voler impedire che si possa correttamente dare fiato alle proprie idee, se queste non hanno contenuto? La verità «vera» è un'altra, è che questo Governo ha dimostrato i propri limiti, la gente non è soddisfatta della gestione di questi ultimi anni, mentre noi presentiamo proposte che evidentemente piacciono. La volontà, quindi, che vi anima non è quella di impedire l'uso degli spot; si è tentato di ridurre il problema a questo, ma la realtà è che volete impedire che l'opposizione possa manifestare e propagandare le proprie idee. Dal momento che continuate a contestare il valore dei contenuti delle nostre proposte, non vedo per quale motivo vi preoccupiate tanto che queste proposte possano essere reclamizzate e trasmesse all'elettorato!
Non è neppure vero ciò che abbiamo sentito affermare dal rappresentante del Governo, ossia che queste sono le regole che vengono applicate in altri Stati moderni, come la Germania o gli Stati Uniti. Oltre tutto, la situazione del nostro paese è del tutto diversa e del tutto anomala; non è dunque possibile ragionare solamente in termini di regole relative alla pubblicità, confrontandole con quelle degli altri Stati, senza comparare l'intera situazione degli altri paesi, completamente diversi dal nostro. In questi giorni sta scoppiando una Tangentopoli tedesca: ebbene, in Germania non ci sono articoli di giornali in cui vengano fortemente evidenziate le posizioni politiche dei magistrati, in cui la magistratura abbia una posizione di primo piano; si svolge tutto nella massima riservatezza, i giornali non enfatizzano il problema più del dovuto. Nel nostro paese, invece, la situazione politica è sempre stata condizionata da televisioni di Stato che in alcuni anni hanno posto in evidenza il volto di Prodi e oggi lo fanno con i baffi di D'Alema, mentre la maggior parte dei giornali sono appiattiti sulle posizioni politiche del Governo. Ebbene, in una simile situazione credo sia corretto consentire all'opposizione di accedere, almeno per legittima difesa, ad altri spazi di propaganda, che questa maggioranza non le consente di utilizzare.


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Un esempio di quanto sto dicendo lo abbiamo avuto nell'episodio verificatosi ieri: alcune monetine sono state lanciate sul tetto di una macchina. Questo è ciò che è veramente successo, perché l'onorevole Castagnetti non è stato toccato e probabilmente chi ha posto in essere questa condotta nemmeno sapeva con chi avesse a che fare, forse pensava si trattasse di un provocatore: ebbene, questo episodio è stato enfatizzato dalle televisioni, ieri ne hanno parlato i telegiornali ed oggi è sulle prime pagine dei quotidiani. È questo il vero problema della politica italiana. Non è possibile presentare alla vigilia delle elezioni proposte di legge che limitano la possibilità di propagandare la politica di una parte, dimenticando poi che tutto questo influenza il dibattito politico nel nostro paese: le televisioni, la strumentalizzazione di episodi banali come quello di ieri, giornali di parte che strumentalizzano insieme a tanti apparati dello Stato. Evidentemente, in Italia la magistratura ha un peso specifico nel dibattito politico superiore e diverso rispetto a quello di altri paesi.
Perché, allora, non facciamo anche questi paragoni? Perché non paragoniamo l'incidenza della posizione dei giudici in Italia rispetto a ciò che avviene in Germania o negli Stati Uniti? Perché non affrontiamo anche il problema di una regola di deontologia nell'ambito giornalistico, che oggi condiziona certamente le scelte dei cittadini, ingenerando confusione e allontanando dal paese gli elettori? E tutto ciò sta avvenendo in un momento in cui l'Italia è entrata a pieno titolo nell'ambito europeo.
Ebbene, in un'Europa che chiede privatizzazione, in un'Europa che chiede liberalizzazione, voi volete mettere un bavaglio all'informazione. In un'Europa che chiede sempre più che vi sia una garanzia dei diritti delle libertà nelle comunicazioni, voi volete mettere in discussione alcuni principi basilari della nostra Costituzione che garantiscono la libertà di espressione. E tutto questo è avvenuto ricorrendo a strumenti che, in un momento particolare della nostra vita politica, sono stati usati appositamente per traguardare questo risultato prima del voto elettorale delle prossime regionali. Il Governo ha presentato un disegno di legge; il Governo continua su questa impostazione di carattere generale che non ha mai visto tante deleghe come in questi ultimi anni; il Governo ha sostanzialmente forzato il dibattito per giungere a conseguire un risultato in vista di una scadenza elettorale.
Comprendiamo, allora, la preoccupazione del Presidente del Consiglio, che chiama all'ordine i partiti della maggioranza, che sollecita un'approvazione del provvedimento liberticida. Capiamo perché si è voluto posticipare il voto dal 26 marzo al 6 aprile. Ci auguriamo che queste cose vengano capite anche da altri. E credo, tutto sommato, che ciò che sta accadendo stia dando dei risultati. Mi pare, infatti, che le vicissitudini politiche di questa maggioranza, che in quattro anni ha visto tre Governi e che oggi registra uno spostamento più centrista di alcune posizioni (mi riferisco, evidentemente, a quelle di Cossiga e degli SDI, che hanno preso, almeno in parte, le distanze da un indirizzo politico che evidentemente non è quello che vogliono i nostri cittadini) si stiano trasformando in un boomerang. Mi meraviglio come non si possa capire che certe manifestazioni di piazza, come quelle che in questi giorni abbiamo visto davanti al Parlamento, non siano organizzate da sindacati pagati e paganti, che fanno tutto a fine strumentale; si tratta, infatti, di manifestazioni di persone che rinunciano spontaneamente ad un giorno di lavoro o da dedicare alle loro famiglie perché credono che la mancanza di guadagno di una giornata sia in realtà un vero investimento per il loro futuro.
Ebbene, si parla tanto di questo provvedimento, ma non si fa alcun riferimento al riequilibrio dei ruoli nella televisione pubblica e non si cerca di individuare invece un criterio diverso per distinguere tra il problema del conflitto di interesse e quello di una corretta ed adeguata pubblicità elettorale.


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Personalmente credo che questo dibattito sarebbe stato meglio abbinato ad un dibattito sul conflitto d'interesse: non si può continuare, strumentalizzando una falsa informazione, a confondere l'elettore sotto questo profilo. Non si può far pensare alla gente che Berlusconi, poiché è socio di minoranza di Mediaset, poiché ha un reddito tra i più importanti del nostro paese, deve essere bloccato e gli deve essere impedito di fare gli spot, dimenticando che si tratta di un problema di carattere diverso. Infatti, la questione degli spot riguarda tutti i candidati, i quali hanno già una par condicio nel budget che la legge stabilisce per quanto concerne le spese elettorali. Come sapete, i deputati hanno un tetto ben definito oltre il quale non possono andare. Questa è la vera par condicio che consente una vera parità di condizioni affinché chiunque possa utilizzare come meglio crede la quota messa a sua disposizione, senza invece prevaricare il candidato avversario con una maggiore capacità economica.
Il problema che riguarda invece Silvio Berlusconi e Mediaset è evidentemente un altro: quello, lo ripeto, del conflitto d'interessi. È una questione nei confronti della quale abbiamo già presentato una proposta di legge, che voi tenete appositamente ferma, che non volete far approvare proprio per giocare su questi equivoci con l'opinione pubblica, favorendo invece strumentalmente l'iter di altri provvedimenti come quello all'ordine del giorno, che sono incivili, illiberali, che contrastano con le libertà di tutti, che sono antieuropei e che vogliono mettere il bavaglio all'informazione (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.

ALESSIO BUTTI. Signor Presidente, anch'io sono di parte, come molti dei colleghi presenti in quest'aula, ma non amo la faziosità; pertanto, credo che in un paese civile un simile provvedimento avrebbe anche potuto godere di qualche più ampio consenso, pur con determinanti variazioni. Per esempio, onorevole Vita, all'articolo 1, comma 1, del provvedimento avrei inserito, laddove si parla di accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica, anche la dizione «per l'informazione politica».
Il paese, però, è tutt'altro che maturo, è tutt'altro che moderno e civile e, a dimostrazione di questa tesi, cito la sistematica occupazione dell'informazione pubblica della RAI. Nessuno ha affrontato il problema, per esempio, delle sedi regionali della RAI e dei notiziari regionali della RAI, che sono soggetti ad una sudditanza totale e completa da parte del potere del centro-sinistra. Vorrei citare l'egemonia della sinistra sulle più grandi e potenti concessionarie di pubblicità che notoriamente alimentano esclusivamente i mezzi di informazione, che manifestano disponibilità nei confronti del Governo e della maggioranza; vorrei parlare anche della tendenza politica di alcuni tra i quotidiani nazionali più importanti.
Inoltre, in un paese civile la necessità di garantire parità di accesso ai mezzi di informazione non sarebbe stata avvertita subito dopo le elezioni europee, che hanno consacrato - se mai ve ne fosse stato ancora bisogno - l'incredibile efficacia di talune campagne televisive che hanno portato, per esempio, la lista Bonino al risultato che conosciamo o l'onorevole Berlusconi a conseguire ben tre milioni di preferenze personali.
Del resto, è già in vigore la legge n. 515 del 1993, una normativa ampiamente collaudata, della quale parlerò successivamente se vi sarà tempo, che disciplina spazi, tempi e costi della comunicazione politica in campagna elettorale. Ma evidentemente questo al Governo non basta.
Alla luce di una facile constatazione relativa alle spese sostenute da qualche partito in termini di comunicazione politica televisiva, il Governo ha voluto agevolare l'accesso agli stessi mezzi televisivi anche di altri soggetti meno ricchi, meno fortunati economicamente. Come al solito, siamo passati da un eccesso all'altro, smarrendo la giusta misura e rincorrendo, come consuetudine per la sinistra, un


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livellamento verso il basso. Così avremo partiti con consensi, come sono stati più volte definiti, da prefisso telefonico trattati ancora meglio rispetto a partiti tradizionali e con consensi ben consistenti.
Questa situazione di falsa parità genera un nuovo soggetto sociologicamente interessante, che è quello del cittadino utente babbeo, cioè colui il quale, secondo l'elevata considerazione per lo stesso manifestata dal Governo, dovrebbe sciropparsi programmi contenitore in cui i diversi candidati da Cito a Caveri, passando per Zeller e Paissan, avrebbero a disposizione novanta secondi nella migliore delle ipotesi, 180 secondi nella peggiore, così come l'onorevole Veltroni, l'onorevole Berlusconi o l'onorevole Fini, magari oltretutto in posizione privilegiata per quanto riguarda il sorteggio.
Nulla di più assurdo sul piano della comunicazione e delle leggi che già regolano il difficile mercato dell'emittenza televisiva nazionale e locale, soprattutto perché tutte le indagini Auditel, in virtù di un preziosissimo meter installato nell'apparecchio di migliaia di famiglie campione, rivelano con una chiarezza sconcertante che lo share più scarso in una stagione televisiva brilla proprio per gli appelli elettorali, i quali già si muovono con un meccanismo che viene riconfermato in questo provvedimento. Questo perché risulta oggettivamente difficile pensare ad un Lamberto Dini con le stesse doti televisive di Jerry Scotti o ad un Clemente Mastella con la stessa capacità di intrattenimento di Maurizio Costanzo (non parlo evidentemente delle doti comiche anche perché a quel punto dovrei rivedere anche il calibro del mio ragionamento). Il cittadino tutto può essere tranne che un babbeo, come invece viene considerato dal Governo; quindi, utilizzerà il telecomando per cercare una faccia più simpatica di quella di Mastella - e non farà certamente fatica - o per sentire qualcosa di più intelligente di un appello al voto dell'onorevole Piscitello.
Il vero problema, come dicevo prima all'onorevole Vita, non è rappresentato dallo spot, dalla sua lunghezza, dal suo costo o dalla fascia oraria. Il vero problema è una corretta informazione politica; la questione della corretta informazione è vasta e grave, perché è viziata indipendentemente dagli spot elettorali o dal conflitto d'interesse. L'informazione è un problema per come la si organizza e come la si controlla, per come i partiti se ne servono, per come i grossi potentati se ne servono, per come viene spudoratamente addebitata ai cittadini attraverso il canone RAI, per come sfugge beffardamente al controllo delle varie commissioni, dell'autorità, del garante. Ecco perché l'informazione è un problema; è un problema per l'arroganza e per la dabbenaggine con cui il direttore della RAI ammette di essere lì a ricoprire quel posto grazie ad una telefonata dell'allora capo dei DS Massimo D'Alema e con il consenso dell'allora capo dei Popolari Franco Marini, tutto spiegato con dovizia di particolari al noto settimanale del gruppo RCS Sette, che esce in abbinamento al Corriere della Sera tutti i giovedì.
Quello della corretta informazione è un problema per l'ingordigia di una sinistra presenzialista in tutta l'informazione RAI. Io ho seguito attentamente il dibattito svoltosi ieri sera a Porta a Porta: l'onorevole Vita sa che apprezzo tantissimo le sue capacità e le sue conoscenze tecniche, ma quando si citano le percentuali, con riferimento all'informazione, della presenza del Governo sulla rete RAI bisogna capire che quelle percentuali prevedono sia le posizioni pro sia quelle contro e questo è un dato di fatto che, forse, ieri dal dibattito non è emerso.
Dicevo che quello della corretta informazione è un problema per l'ingordigia della sinistra presenzialista in tutta l'informazione RAI ed anche, addirittura, nei programmi di intrattenimento, con D'Alema che si esercita l'ugola nel programma di Morandi, noto elettore della sinistra, in prima serata, e il suo fido scudiero Minniti che discetta di sport addirittura a Novantesimo minuto, che, notoriamente, è la trasmissione domenicale a più elevato share per quanto riguarda lo sport. A questo punto, aspettiamo


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la conduzione de La Domenica sportiva da parte del ministro Melandri e di Sereno variabile da parte di Fabio Mussi, visto che c'è questa sostanziale occupazione anche delle trasmissioni che esulano dall'informazione.
Questo è il problema della par condicio e mi rifiuto di svilirlo parlando solo di spot o di comunicazione politica, come intelligentemente avete voluto fare in questo provvedimento; spot che per qualcuno rappresentano il male moderno, per qualcun altro la panacea di tutti i mali. A tal proposito vorrei anche dire che, essendo un tecnico della comunicazione, non solo guardo la televisione, mi informo e sto svolgendo un intervento non certo di ostruzionismo puro - sto parlando anche di questioni tecniche, come lei ben sa, onorevole Vita - ma ascolto anche la radio e in questi giorni mi è capitato di ascoltare decine, decine e decine di jingle elettorali del Partito popolare, ad esempio, ma non mi sembra che sia mai echeggiata in quest'aula, nel dibattito di questi giorni, la posizione del partito popolare che pure, come altri, utilizza i mezzi di comunicazione. Quindi, usciamo da questa farsa. Il problema è di garantire una più ampia, corretta informazione politica, un'informazione corretta che non c'era prima dell'impegno politico dell'onorevole Berlusconi e continua a non esserci; che non c'era prima degli spot e non ci sarebbe nemmeno se gli spot venissero disciplinati. Un paese civile, guidato da un sistema serio, affronterebbe la vicenda in modo ampio e razionale, scoraggiando il tentativo egemonico, messo in atto dalla maggioranza di Governo, di controllare l'informazione pubblica assoggettandola ai suoi voleri, qualsiasi sia la maggioranza di Governo, onorevole sottosegretario.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 10,20)

ALESSIO BUTTI. Non dimentichiamo - non voglio esagerare, si è esagerato tanto ieri, durante il dibattito in Parlamento - che per ridurre le libertà dei cittadini è sufficiente drogare l'informazione di Stato. Quindi, il problema non è lo spot, perché non lo era nemmeno in occasione di quella vergognosa campagna sull'incentivo per la rottamazione che cominciò con un indecente speakeraggio, onorevole Vita, che parlava di contributi governativi anziché di contributi statali, speakeraggio che venne cambiato grazie all'intervento dei deputati di Alleanza nazionale, o delle altre campagne a sostegno surrettizio dell'attività della maggioranza di governo. Queste cose - visto che i paragoni con le altre nazioni europee si citano solo quando fa comodo - in Europa non esistono, in Europa non accadono. È troppo comodo ricorrere alle comparazioni solo quando soddisfino il disegno o la strategia di ognuno di noi!
Ma veniamo all'articolato, a questo articolo 1 nel quale noi, anziché di promozione e di disciplina, parleremmo più volentieri di divieti e di proibizioni; divieti e proibizioni che, comunque, porteranno non all'assoluta parità, che peraltro in questa materia - onorevole Vita, lei lo sa - non può esistere - lo dimostrerò se ne avrà tempo -, ma solo ad una serie di misure liberticide, soprattutto nei confronti degli editori e, in particolare, dei piccoli editori radiotelevisivi. Infatti, anche in politica c'è competizione, una competizione che può essere regolamentata in modo flessibile ma non vietata; così come non è possibile vietare la comunicazione politica. Non sono un costituzionalista ma parlerò 15 secondi anche dello sfregio alla Costituzione che ne verrebbe fuori: noi diciamo che il testo viola l'articolo 41, in quanto l'iniziativa economica privata - è forse l'aspetto che più mi interessa - di tutti i soggetti coinvolti, quindi candidati, partiti politici e soprattutto editori delle emittenti, non sarebbe più tale. Viola l'articolo 48, poiché per esercitare il diritto di voto è indispensabile una congrua informazione fornita dai mezzi figli del nostro tempo, quindi anche dalla televisione e soprattutto dalla televisione e dalla radio; viola l'articolo 3, che sancisce il principio dell'uguaglianza, e l'articolo 21, che riconosce il diritto di


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manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione. Ripeto, io non sono un costituzionalista, sono un tecnico della comunicazione e mi interessano quindi gli aspetti squisitamente tecnici.
Veniamo allora alla questione delle emittenti locali, che sono state letteralmente - mi si passi il termine - cassate da questo provvedimento. Si tratta di 2 mila tra emittenti radiofoniche e televisive; abbiamo già detto tante volte che sono troppe, aspettiamo che il Governo razionalizzi le presenze delle frequenze e delle emittenti radiotelevisive in Italia. Comunque ve ne sono 2 mila che operano, generando non solo occupazione ma anche un forte indotto; sono emittenti che addirittura, seguendo questo provvedimento, non saranno in grado di offrire spazi di comunicazione politica.
Esiste infatti una prima limitazione che deriva dalla condizione secondo cui è possibile trasmettere messaggi politici autogestiti, gratuiti o a pagamento, solo previa offerta di spazi di comunicazione politica gratuita. È una condizione vincolante, che non è contemplata dalla precedente normativa, da tutta la normativa che cerca di disciplinare il complesso mondo dell'emittenza radiotelevisiva; non è prevista per gli altri mezzi di comunicazione, non è prevista per i giornali, non è prevista per Internet; è prevista solo ed esclusivamente per l'emittenza radiotelevisiva. Questa è la grande stortura del provvedimento. Tale condizione, applicata ad aziende commerciali (perché queste sono le imprese radiotelevisive) che nell'offerta di spazi pubblicitari a pagamento hanno l'unica fonte di ricavo, pone dei vincoli operativi non sostenibili. Glielo hanno detto martedì mattina anche i responsabili di una delle associazioni di categoria più importanti qui a Roma, durante un convegno presso l'hotel Nazionale al quale lei ha presenziato: non sono sostenibili. A ciò si aggiunga che in questo provvedimento è stabilito che per ciascuna emittente locale gli spazi per tali messaggi non possano superare il 50 per cento della durata complessiva, quindi uno spazio a pagamento ogni due gratuiti.
Dal punto di vista dell'efficacia della comunicazione televisiva, e ancor più di quella radiofonica (ce lo stanno insegnando i popolari in questi giorni, come dicevo poco fa), è assolutamente insopportabile una norma che imponga un minimo di durata di 90 secondi, perché per essere comunicativo il messaggio deve essere rapido, sintetico, non prolisso, altrimenti perde ogni tipo di efficacia. Lo sapete bene voi del Governo che quando fate questa sorta di pubblicità-progresso utilizzate tagli che difficilmente superano i 15 secondi. Lo sapete voi, ce lo insegnate.
Vi sono altri vincoli. Ad esempio, i messaggi non possono interrompere altri programmi, devono avere un'autonoma collocazione nella programmazione e sono trasmessi in appositi contenitori. Questi sono altri vincoli che impongono ulteriori appesantimenti al palinsesto e che ghettizzano i messaggi ed incidono in termini negativi sulla loro fruibilità e godibilità da parte degli utenti, che sono poi quelli che dobbiamo raggiungere per comunicare i messaggi-programmi politici, che sono quelli che dovranno anche andare a votare successivamente.
Inoltre, a rendere ancora più inutile da un punto di vista economico l'offerta degli spazi è il numero massimo consentito: due in due soli contenitori, quindi in pratica lunghissimi, per ogni giornata di programma.
E ancora: se si ritiene che sussista una questione di carattere politico e comunque una situazione di conflitto di interessi, non vi sono ragioni per cui debbano essere penalizzate, ad esempio, le emittenti locali che sono decisamente estranee al problema e che, come ormai tutti riconoscono, con il loro elevato numero garantiscono la massima espressione del pluralismo. Esiste una bella differenza tra regolamentare per garantire la parità tra i vari contendenti politici e ridurre completamente al silenzio un mezzo di comunicazione, specie un mezzo di comunicazione locale, che serve per presentare agli elettori e ai cittadini il candidato locale, cioè il candidato espresso da quel


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territorio. La normativa attualmente vigente, la legge n. 515 del 1993, ampiamente collaudata per ciò che attiene agli spazi, ai tempi, ai costi di quella che - lo ripeto -, intelligentemente, avete definito comunicazione politica, si è dimostrata più che adeguata al fine di garantire la competizione tra i candidati sulle emittenti radiotelevisive locali durante il periodo elettorale. Negli ultimi anni, onorevole Vita, sia l'organo centrale di garanzia, sia i comitati regionali per i servizi radiotelevisivi, i famosi Corerat, competenti per la vigilanza ed il controllo a livello territoriale, non hanno riscontrato violazioni significative della legge e dei regolamenti da parte di radio e TV locali.
La presenza delle emittenti radiotelevisive locali durante il periodo elettorale, inoltre, si è rivelata fondamentale, come dicevo prima, per consentire ai cittadini elettori di conoscere i candidati espressi dal territorio ed i loro programmi, al di là dei più noti esponenti politici nazionali e delle principali forze politiche, la cui presenza ha quotidiano rilievo su tutti i mezzi di comunicazione, ivi compreso quello radiotelevisivo nazionale.
I costi, di cui si è parlato tanto, di uno o di più spazi sulle emittenti locali, per lo più ridotti in base ad un listino imposto dalla legge n. 515 del 1993, sono certamente accettabili per tutte le forze politiche in competizione, anche in rapporto agli altri mezzi di comunicazione che voi non avete regolamentato, che costano molto di più e che sono molto più sensibili al richiamo di questo Governo e di questa maggioranza, come per esempio i giornali, le affissioni e quant'altro.
Prima di concludere, intendo sottolineare un ultimo aspetto che non va sottovalutato e che è fortemente limitativo della libertà editoriale delle emittenti, alle quali verrebbe fatto obbligo di assicurare a tutti i soggetti politici, con imparzialità ed equità, l'accesso non solo alla comunicazione politica, ma anche all'informazione, e ciò non solo nel periodo elettorale ma per tutto l'anno. Tale norma, quindi, imporrebbe alle emittenti un obbligo per garantire, nell'ambito delle trasmissioni formative, un diritto di accesso alle forze politiche che è assolutamente inattuabile anche dal punto di vista pratico.
State legiferando in un modo assolutamente non rispondente alle esigenze della realtà e del mercato; così facendo, violando palesemente le norme costituzionali, si incide anche sulla libertà di espressione delle emittenti. La norma impone condizioni inaccettabili e rischia, per l'impossibilità di garantire spazio imparziale ed equo a tutti, di incidere sulla possibilità di offrire informazione da parte delle emittenti; il rischio è che, per sottrarsi alla richiesta dei soggetti politici, nonché alle onerose sanzioni, le emittenti ritengano più opportuno astenersi da ogni programma di informazione politica. Al riguardo, a nulla valgono i 20 miliardi annui, dal 2000 al 2002, che certamente elargirete alle emittenti, perché gli editori e le emittenti stesse, ma soprattutto gli editori, non sono clochard, non sono homeless, non sono barboni, ma sono persone che generano lavoro ed indotto; in un momento in cui il Governo di sinistra non riesce a risolvere il problema della disoccupazione, ringraziate almeno la presenza sul territorio di tanti editori (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Burani Procaccini, che mi sembra già pronta. Ne ha facoltà.

MARIA BURANI PROCACCINI. Signor Presidente, siamo pronti, siamo veramente pronti, perché questa vicenda ci ha scosso nel profondo.
Signor Presidente, sottosegretario Vita, vorrei dividere il mio intervento in due parti, la prima delle quali è dedicata allo scivolone di cui tutti parlano ma che, purtroppo, è stato fatto più a sinistra che a destra, più nel centrosinistra che nel centrodestra. È vero, infatti, che per una moderata nel profondo come me, che viene da una posizione di moderatismo tradizionale, della sua famiglia e personale, che viene da un partito al quale,


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nella sua veste di popolarismo, appartiene attualmente e continua ad appartenere l'onorevole Castagnetti, che lo rappresenta in qualità di segretario, l'episodio di ieri ha suscitato alcune perplessità.
Per una come me - ripeto - vedere quel presidio di Forza Italia davanti al palazzo di Montecitorio, all'inizio mi ha reso un po' titubante perché non sono adatta alle piazze (per lo meno in tanti momenti della mia vita la piazza mi è sembrato il luogo meno adatto per avanzare certe rivendicazioni: io non provengo dalla sinistra e quindi questo mi rende non dico più ostile alla piazza, ma certamente titubante rispetto ad un certo modo di fare politica); poi, quando ho visto la partecipazione della gente ed il modo in cui questa veniva alla nostra manifestazione, mi sono veramente commossa. In quella piazza, infatti, ho visto gente semplice: signore con il berrettino di lana calcato sulla testa che hanno resistito sei ore al gelo perché erano portatrici di un'idea di libertà. Sottolineo che si tratta di gente che veniva da tutti i partiti tradizionali esistenti nel nostro paese. Nella città di Priverno, ad esempio, il maggior rappresentante di Forza Italia, cari amici di sinistra, viene dal PCI. È gente che ha scelto una strada nuova: una strada di libertà, che è stata indicata nel 1994 come un elemento di partecipazione del cittadino alla vita politica; la gente era stufa di delegare quei candidati che venivano trovati «a tavolino» nelle segreterie dei partiti, che nessuno conosceva e che - ripeto - venivano imposti dalle segreterie dei partiti; e anche se si trattava di «brocchi» o di persone rispetto alle quali alcune volte ci si chiedeva come fossero entrate in Parlamento, venivano eletti lo stesso perché il partito lo decideva e perché il partito era sovrano. Dal 1994 le cose non stanno più in questo modo!
Quando io mi chiesi come la gente della più sperduta campagna della mia zona avrebbe potuto darmi il proprio voto essendo conosciuta soltanto nella mia città e nella mia provincia e soltanto in certi ambienti, ebbi una risposta allorquando, partecipando ad alcune trasmissioni di televisioni locali e ponendomi di fronte agli altri con umiltà, non solo nel 1994 ottenni i voti di un movimento di opinione che montava nel paese, ma nel 1996 li ho visti aumentare sempre perché ho partecipato con umiltà alle piccole trasmissioni delle piccole televisioni locali. Vi sono stata anche ieri sera e, amici della sinistra, siamo stati subissati di telefonate di gente che ci faceva un discorso di questo genere: non abbiate paura se ci metteranno questa famosa «mordacchia» (che sarebbe quell'oggetto che si metteva ai cavalli per tenerli a freno); noi, gente semplice, abbiamo capito! Una signora ci diceva: io vi sto parlando mentre mi si scuoce la pasta... Tutto ciò dimostra che questa gente semplice ha capito come vanno le cose in Italia!
Amici della sinistra, lo «scivolone» lo avete fatto e i partecipanti a quel piccolo presidio davanti a Montecitorio li avete resi eroici! Il primo giorno, infatti, non ne aveva parlato nessuno; adesso, invece, quell'avvenimento veramente risibile capitato all'onorevole Castagnetti - me lo consenta - ha fatto conoscere quel presidio. Preciso che io non ammetto che si possa insultare nessuno, non fa parte del mio DNA: per me non esiste un «nemico», ma l'antagonista, e tra questi ultimi ho degli amici (devo dire che mi sono sempre fregiata di questo titolo d'onore!). È ovvio però che, se si passa in mezzo ad una manifestazione, può accadere che qualche persona - che magari si è stufata di stare lì al freddo e al gelo - un po' più facinorosa la si possa trovare. Male, male, però alla fine fare di questo episodio una specie di «martirologio» e sentire qui dentro - nel Parlamento italiano! - discorsi come quelli che abbiamo sentito ieri, mi porta a chiedere che cosa insegniamo ai ragazzi presenti nelle tribune. Ma i nostri debbono essere valori più grandi e debbono essere valori veramente di giustizia e di libertà: sono i valori che ci hanno portato qui dentro! È risibile continuare a fare tiritere come questa: «Mamma, Checco mi tocca; toccami Checco che mamma non vede!». Questo è


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un modo di dire e nel centro-sud è una specie di barzelletta che i bambini si dicono tra loro.
Credo che un leader di partito non abbia bisogno di visibilità fatta in questa maniera! Peraltro, il fatto di ieri ha dato visibilità a noi e di questo ringraziamo veramente l'onorevole Castagnetti. Mi chiedo: se stigmatizziamo una frase infelice come quella di Urbani, cosa dovremmo fare rispetto alle numerose frasi infelici che vengono pronunciate in questa sede (certe volte, vorremmo veramente ribellarci)?
Ricordo che, dopo essere intervenuta sulla questione della parità scolastica, mentre uscivo dall'aula, l'onorevole Volpini, preso dalla rabbia per alcune mie espressioni (avevo pronunciato la seguente frase: «amici, amici della DC, per un piatto di lenticchie ci stiamo vendendo la parità scolastica»), mi spintonò sul braccio. Io rimasi un po' sorpresa, ma mi resi conto che era una cosa da ridere: mi fece un po' pena e basta! Ci mancherebbe: noi siamo persone serie e non possiamo tollerare che si facciano questi cancan in un posto che si chiama Parlamento italiano, anche se sono giustificati da motivazioni che talvolta possono essere anche giuste e sentite.
Ripeto: esiste la teoria e la pratica. La pratica insegna una moderazione anche nei concetti perché la moderazione nei concetti è amata dal nostro popolo. Il nostro, l'italiano, è un popolo moderato, moderato nei suoi sentimenti più profondi. Quindi, queste sceneggiate da Parlamento di questo strano duemila che si sta aprendo non sono cose degne e di esse non si dovrebbe parlare. A questo punto vengo alla proposta di legge al nostro esame.
Signori, anche i ragazzi che sono presenti nelle tribune si muoveranno su Internet: hanno la comunicazione visuale nel DNA. Noi siamo stati invece giovani che avevano la scrittura. A noi si insegnava che la rivoluzione francese, amici miei, fu fatta al grido di libertà di parola, libertà di stampa e libertà di riunione. Ebbene, oggi libertà di stampa significa libertà di comunicazione attraverso i mass media in generale.
La libertà di comunicazione attraverso la televisione è un principio sacrosanto. È giusto introdurre regole ed è giusto che non ci siano figli e figliastri, chi ha denaro e chi non lo ha. Benissimo, adoperiamo dunque quel finanziamento ai partiti che abbiamo voluto e che trovo anche giusto; se poi però uno spende in spot e un altro spende in nani e ballerine, saranno cose di cui dovrà tenere conto l'elettore, non certamente scelte che vengono imposte da qua, dall'alto in una maniera antidemocratica perché, signor Presidente e signor sottosegretario, la democrazia è fatta di libertà, mettiamocelo in mente, voi dovete capirlo!
È vero, per voi il dirigismo, il dirigere tutto da qui è il surrogato dello statalismo. Voi vi chiamate liberali, ormai, o socialisti liberali (non so come vi chiamate), perché avete scoperto una forma di dirigismo. Siete usciti dallo statalismo e avete scoperto una forma di dirigismo. Non è quella la libertà! La libertà è quella che noi abbiamo perché sappiamo che è una libertà dal basso. Quella è la vera libertà. È la libertà del cittadino di accedere all'informazione quando e come vuole attraverso regole che il mondo civile si pone: mi riferisco alle regole del rispetto nei confronti della religione, della morale e altro, regole che superano il momento storico e diventano di civiltà. Quelle sono le uniche regole che si riconoscono alla libertà. È inutile parlare di libertà e di giustizia se non ci si crede e se si crede in una libertà part-time, in una libertà a mezzi, ma quali mezzi? Quei mezzi che sono famosi perché è facile per il potere occuparli.
Ieri l'onorevole Grimaldi ha pronunciato una frase, che ho scritto: tutto ciò tocca «la possibilità di riappropriazione del potere». È lì che duole il dente su cui noi stiamo battendo. La realtà è questa. Voi state cercando di utilizzare con protervia tutti i mezzi a vostra disposizione per impedirci di accedere a quel potere che vi piace tanto: state occupando


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anche gli strapuntini del potere! In quel potere che vi piace tanto non volete che arriviamo noi, ma noi siamo il 50 o il 51 per cento (se andiamo a vedere veramente i numeri) della popolazione italiana. Noi siamo quell'alternanza democratica, quella libertà e quella giustizia che voi andate proclamando a parole, ma che poi nei fatti vi guardate bene dal mettere in pratica!
L'Italia non ha conosciuto l'alternanza per cinquant'anni...

ADRIANO VIGNALI. Noi abbiamo subìto tutto questo!

MARIA BURANI PROCACCINI. ...ed è stato il guaio di quella democrazia alla quale purtroppo appartenevo anch'io. È stato quello il guaio e non lo si è capito, ma ormai lo hanno capito i cittadini. Ormai i cittadini debbono essere liberi di scegliere una parte o l'altra e, se una parte sbaglia, sarà l'altra ad andare al potere e così via, nell'alternanza seria, civile e veramente libera dei paesi veramente liberi e civili. Questa è la realtà.
È proprio là - lo ripeto - che batte il vostro dente dolorante. È il potere che voi non volete lasciare! È bello, lo so, il potere (quando si arriva a gestirlo), specialmente dopo cinquant'anni durante i quali vi si arrivava soltanto attraverso certe forme di sottogoverno, prendendo però soltanto le briciole. Ora il potere lo avete, ora siete voi i detentori del potere, cari amici DS, e i Popolari, per un piatto di lenticchie - lo ripeto ancora, per un piatto di lenticchie -, stanno vendendo la loro anima: quando non sostengono il termine «famiglia» in una legge come questa, quando non sostengono il termine «parità» - e con esso anche la parità scolastica -, quando non sostengono e non amano quella sussidiarietà orizzontale che è stata parte fondante della loro storia, ebbene, allora, non sostengono più se stessi, la loro formazione ideale. E non parlo di ideologie, che non mi sono mai piaciute; io non ho mai fatto parte di ideologie, così come mai ho voluto una tessera di partito, se non nel momento in cui sono entrata in Parlamento, perché ne ho sentito il dovere in qualità di parlamentare, ma non amo gli irrigidimenti.
Quando si esamina una legge come quella oggi al nostro esame, quando un provvedimento liberticida mette addirittura sullo stesso piano i partiti con lo 0,2 e quelli con il 30-34 per cento, quando vi sono degli emendamenti seri, come i nostri, che andrebbero comunque discussi perché presentati ad un provvedimento che il Parlamento deve approvare, allora, amici, voi che siete la maggioranza dovete sapere che nei paesi civili e democratici la maggioranza, di fronte a leggi cosiddette di garanzia, tiene conto soprattutto della minoranza, perché sa benissimo che oggi è maggioranza, ma domani potrebbe essere minoranza (per quanto ci riguarda, ce lo auguriamo). A quel punto, quelle leggi di garanzia che la maggioranza ha contribuito a varare insieme con una minoranza di rispetto potrebbero tornare a suo vantaggio, perché saranno appunto leggi di garanzia. Così come alcune Commissioni - mi riferisco a quella per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi - hanno come presidente un rappresentante della minoranza, proprio come punto di garanzia, anche voi dovete esplicitare questa garanzia in altri modi. Infatti, non basta «mettere il cappello» su una Commissione e poi lasciare che la maggioranza sia una maggioranza bulgara, chiusa, che non si muove, che non accetta, che non discute, che non permette e che arrogantemente chiama democrazia solo la sua, mentre quella degli altri è - mio Dio! - arrogante attacco con le monetine al leader del Partito popolare italiano: ma non facciamo ridere!
A questo punto ci si sente davvero umiliati: chi crede nei valori, chi quei valori li sta perseguendo da una vita e su quei valori ha impostato tutto il gioco della propria esistenza, anche politica, si sente davvero umiliato a dover discutere di monetine, quando si parla di libertà, di comunicazione e cioè di un qualcosa di alto, di grande e di nobile.


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Certo, quei poveracci lì fuori sono al freddo e al gelo... Proprio questa mattina ho incontrato due sindaci con le loro famiglie che chiedevano dove dovevano andare: non sono quisque de populo! È gente che ha fatto il proprio dovere e che continua a farlo; è gente che sente il dovere di difenderci e di difendersi, perché è gente normale, che sicuramente non è stata pagata e che non è venuta con il pranzo caldo nella borsetta, come si vedeva nelle manifestazioni dei pensionati organizzate dalla CGIL. No! Questa è gente che è venuta a proprie spese! Il nostro è un partito con quarantasette dipendenti; è un partito che non paga nessuno. Noi deputati manteniamo le sedi dei nostri collegi! Questa è la realtà! Lì in piazza c'è gente semplice che ha messo la mano in tasca ed è venuta a manifestare.
E questo nuoce. La cosa bella è che di noi il primo giorno non ha parlato nessuno, mentre adesso siamo sulle pagine di tutti i giornali. Mentre venivo qui da casa qualcuno mi ha fermato e mi ha detto: bravi, ci state difendendo! La gente capisce che noi li stiamo difendendo. Noi stiamo difendendo la loro libertà di parola, la loro libertà di comunicazione; noi difendiamo quella sperduta casa di campagna dove la sera non arriva il giornale, arriva la televisione e quell'immagine, amici, non può essere quella ridanciana e sorniona del Presidente del Consiglio che va proclamando la bellezza e la bontà della missione Arcobaleno che ha perso i colori e ha scoperto i dolori, come è stato scritto in una bella pagina dell'Avvenire. Ebbene, questo è l'aspetto ridicolo: non è con quelle apparizioni che D'Alema conquisterà la gente. La gente capisce, la gente è pronta e ha bisogno di quella serenità, di quella concretezza che noi sappiamo dare e che, purtroppo, voi a sinistra non sapete più dare perché non l'amate più. Questo è il dramma (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.

ETTORE PERETTI. Signor Presidente, vista dall'esterno questa vicenda può essere derubricata semplicemente come un passaggio che segna una grande distanza politica tra maggioranza e opposizione, una delle tante. Si tratta di una distanza dovuta agli opposti, vitali, enormi interessi in gioco, con una schizofrenica paura di perdere. Potrebbe essere questa una giustificazione sufficiente per assolvere complessivamente il sistema politico e quindi considerare normale questo scontro politico frontale. Si tratta di un limite evidente, ma non è nemmeno l'unico e il più importante. Credo, quindi, che non sia nemmeno corretto dare per scontato che chi è da questa parte debba dire per forza certe cose e chi è dall'altra ne debba dire altre.
In realtà, in quest'aula il sistema politico è chiamato a confrontarsi con la grande spinta dell'innovazione e ognuno di noi risponde per quel che è e per quel che può dare, per come sa contemperare paure, aspettative, capacità di capire, capacità di interpretare e per come sa mettersi in discussione. Viviamo un momento storico fondamentale, unico, irripetibile; l'elemento tecnologico sta scardinando tutti gli equilibri in campo economico, sociale, nel mondo della cultura e della politica; cambiano i rapporti di forza tra soggetti, tra regioni; alcune questioni perdono importanza, altre subentrano in maniera dirompente. Viene messo in discussione un sistema di certezze ed ogni persona viene sottoposta a violente sollecitazioni, ognuno riesce a rappresentare le proprie inquietudine e paure e questo è un esercizio abbastanza facile, ma nessuno, in realtà, sa quale sarà nella società del prossimo futuro il nuovo punto di equilibrio.
Tale processo ha scardinato il sistema politico e l'ha ridotto in pezzi; il modo di procedere della politica risente di questo sentirsi a disagio, di questo sentirsi in difficoltà, in questa enorme ondata di trasformazione. In tale contesto, comprendo benissimo la difficoltà del centrosinistra, un centrosinistra che ha dovuto recidere le radici della propria storia


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ideologica. Credo che per un comunista dover ammettere che il comunismo è incompatibile con la libertà sia molto doloroso. Un centrosinistra che è chiamato a fare i conti con la storia più recente, posto che il teorema «noi eravamo puliti, diversi, gli altri erano tutti ladri» non regge e non reggerà alla prova della Commissione di inchiesta sul fenomeno di Tangentopoli. Un centrosinistra che, una volta chiamato a governare, ha dato di sé una prova molto modesta, riuscendo ad assumere in poco tempo gli stessi connotati di logoramento che di solito solo una classe dirigente a lungo al potere può assumere: malcostume politico, trasformismo, asservimento dei poteri forti, accettazione del ricatto da parte delle lobby corporative, conservatorismo istituzionale, attaccamento al potere, demonizzazione dell'avversario politico. Il centrosinistra ha dimostrato di essere nato vecchio. È per questo che, quando si cercano gli indizi della posizione punitiva della maggioranza di centrosinistra nei confronti dell'opposizione del Polo delle libertà, se ne trovano più d'uno. La paura di perdere le prossime elezioni è talmente tanta che non poteva che essere questa la reazione del centrosinistra in materia di comunicazione televisiva.
Più ancora che un limite politico, inevitabile visto che siamo a ridosso delle elezioni regionali e politiche e visto che l'opposizione non solo sa comunicare ma ha anche messaggi di qualità da comunicare, questa sinistra mostra un limite culturale. L'articolo 21 della Costituzione non solo si presenta in tutta la sua chiarezza - «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» - come un manifesto di libertà ma certifica anche che il cittadino è un soggetto pienamente capace e consapevole, rappresenta un invito a favorire la manifestazione del pensiero non solo come sufficiente espressione di democrazia ma anche perché la democrazia stessa trovi il suo completamento in un cittadino completamente e correttamente informato.
Garantire una completa e corretta informazione non significa impedire qualcosa a qualcuno ma promuovere l'accesso a tutti coloro che siano interessati. Quella che stiamo esaminando è invece una legge di divieto, una legge che di fatto, con il suo subdolo meccanismo di applicazione, impedirà la parità di accesso alle forze politiche, una legge che perpetuerà lo squilibrio attuale che vede lo spazio dell'informazione politica diviso tra i due terzi della maggioranza e del Governo e il restante terzo delle opposizioni, dato l'asservimento della televisione pubblica al potere.
Solo questo centrosinistra fragile, orfano ideologicamente, disorientato politicamente e reso cieco dalla sete di potere poteva arrivare ad un provvedimento così proibizionista. Solo questo centrosinistra può avere una concezione dei cittadini così fuori della storia, un'idea di cittadino a capacità limitata, di un cittadino che normalmente è libero e capace di compiere scelte di grande valore e portata - rispetto alle quali nessuno in condizioni normali può esercitare un condizionamento che crei un esercizio irresponsabile di tale diritto, perché questa eventualità è contemplata nel nostro ordinamento - ma che, quando è chiamato a compiere una scelta politica, diventa fragile, bisognoso di tutela, incapace di intendere e volere. La realtà potrebbe essere diversa, esattamente capovolta, cioè che questo Governo e questa maggioranza temono un cittadino correttamente e completamente informato, anche se questo cittadino appartiene al popolo della sinistra, che ormai, se non è soddisfatto, vota contro i propri dirigenti perché è un popolo maturo e consapevole.
Nel dilemma se il cittadino sia poco avveduto o lo sia fin troppo, nell'un caso o nell'altro la cosa migliore è evitare un collegamento tra l'opposizione e la cittadinanza. Così sarà dopo l'approvazione di queste norme. Quindi, è falsa l'idea che la legge in esame riguardi, come è scritto nel titolo, «Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le


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campagne elettorali». In realtà, si tratta di una legge che impedisce la parità di accesso.
Crediamo che su queste posizioni non ci sia alcuna possibilità di mediazione, in quanto siamo convinti che una buona regola si debba fondare sull'accesso e non sul divieto. Questo era il senso della nostra proposta, ma non è giunta alcuna possibilità di incontro, in quanto la posta in gioco è altissima e, quando si affronta la questione che attiene alle regole del gioco con lo spirito del perdente, non c'è alcuna possibilità di vincere. Quella parte politica, se potrà - e in questo caso essa può perché è in maggioranza -, certamente farà in modo di porsi in una posizione di vantaggio.
La nostra proposta avrebbe, invece, favorito l'accesso alla comunicazione, in quanto prevede l'accesso gratuito di tutti i partiti, movimenti e candidati, al servizio pubblico e prezzi politici fissati dall'autorità e trasmessi dalle emittenti private; inoltre, prevede un tetto di spesa per evitare una sproporzione tra i soggetti politici rispetto alle disponibilità economiche.
Queste erano condizioni necessarie e sufficienti per disciplinare l'accesso alla comunicazione televisiva in condizioni paritarie tra tutti i soggetti interessati. Tutto ciò è stato travolto dalla paura e dall'arroganza che hanno impedito di trattare in un unicum sia questa questione, sia la riforma della legge elettorale, sia le altre riforme istituzionali, sia la questione del conflitto di interessi. Al riguardo è un vero scandalo che la proposta approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati sia colpevolmente ferma al Senato, forse perché alla luce della temuta vittoria elettorale del Polo, essa non appare più sufficientemente punitiva rispetto alla necessità di rendere inerme il leader dell'opposizione.
Non basta dire che questa non è una condizione normale della democrazia: qui ci sono responsabilità politiche, grandi responsabilità politiche! Questo modo di procedere peserà sul cammino che il nostro paese deve ancora compiere nella riscrittura delle regole. È un momento grave che ricaccia il sistema politico in una condizione di sostanziale immobilismo e di inutilità e lo allontana ancora di più, se fosse possibile, dal paese reale e dalla cittadinanza, che guarda con sgomento a ciò che succede in quest'aula.
Mi chiedo: dopo questo passaggio politico su una questione così dirimente, come sarà possibile, in quali condizioni potremo riprendere il filo di un impegno condiviso sulle altre regole che ancora chiedono di essere riscritte? In che modo e su quali basi potremo riprendere la comune responsabilità di riscrivere la seconda parte della Costituzione e la legge elettorale? Francamente non lo so. Speravo che questa fosse ricordata come una legislatura costituente. Rimane il rammarico per il fatto che, rispetto ai tanti problemi che riguardano il nostro paese in un momento cruciale della sua storia, il nostro lavoro e il nostro impegno siano stati del tutto inconcludenti (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bertucci. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BERTUCCI. Signor Presidente, prima di fare il mio intervento sulla legge «bavaglio», vorrei dire con grande serenità e pacatezza, ma con fermezza, che siamo rimasti frastornati per quello che sta accadendo fuori del Palazzo: abbiamo visto carabinieri in tuta mimetica e in pieno assetto di combattimento di fronte a manifestanti sereni e tranquilli, di fronte a uomini, donne, bambini e pensionati che stanno manifestando perché nel nostro paese si vuole sottrarre ancora uno spicchio di serenità e di libertà.
Mi chiedo e chiedo al Governo che cosa sarebbe accaduto se, come è successo negli anni sessanta e settanta, davanti al Parlamento ci fossero stati i portuali con i ganci e le bandiere rosse? Forse avrebbero chiamato in soccorso le truppe speciali della NATO! Signor Presidente, le chiediamo di verificare quel che sta accadendo fuori di quest'aula.


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Il disegno di legge in esame sulla cosiddetta par condicio (in realtà una legge «bavaglio»), presentato dal Governo con lo scopo di introdurre una disciplina organica in materia di comunicazione politica sugli organi di informazione radiotelevisiva, è in contrasto con i principi fondamentali riconosciuti nella Costituzione.
Innanzitutto è palese la contraddizione con il principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, espressione del canone di coerenza dell'ordinamento giuridico che prevede l'assoluta eguaglianza dei cittadini e si collega strettamente con l'articolo 21 della Costituzione, che prevede il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione.
Nella ricerca di limitare, per evidenti ragioni di necessità ed opportunità politica, quest'ultimo diritto, il Governo di sinistra oggi propone una normativa capestro, ingiustificata e non coerente con l'ordinamento giuridico, dettata soltanto da una logica politica legata ancora a schemi statalistici che limitano in modo assurdo il diritto di libertà dei cittadini. Limitare i diritti del cittadino in modo così drastico è coerente soltanto con lo spirito di questo Governo e di una maggioranza politica di sinistra minoritaria e che non rappresenta il paese, che con la sua incoerenza politica, la sua inconsistenza e la sua eterogeneità di forze non riesce a dare al nostro paese ciò di cui ha veramente bisogno. La fragilità politica di questa maggioranza è sotto gli occhi di tutti; è una maggioranza ormai orientata verso una ricongiunzione con l'espressione più illiberale delle forze politiche presenti in Parlamento, in continuo rapporto con Rifondazione comunista, il cui statalismo ed interventismo statale nell'economia rappresentano l'aspetto più retrogrado di questo paese, in cui la libera iniziativa privata viene continuamente denigrata e sottoposta a limitazioni che non consentono al paese di progredire e di creare ricchezza e lavoro per i giovani.
La drastica limitazione dei diritti che questo provvedimento vuole determinare è una conseguenza della mancanza di una politica efficace, che dovrebbe risolvere i problemi del paese e invece penalizza le classi produttive che credono e si impegnano per la crescita del nostro paese.
Mi chiedo quali siano i motivi per cui si intende non tener conto delle ragioni dell'opposizione, porre un divieto e non una regola, cancellare il sistema di comunicazione più moderno nella campagna elettorale. L'egemonia comunista rimane in voi e l'ultimo esempio di ciò è il vostro recente congresso, in cui avete disegnato un partito che al suo interno dovrebbe contenere tutto ed il contrario di tutto: gli ecologisti ed i liberali, i cattolici ed i laici, i socialisti e coloro che vogliono rinnovare il sistema dello Stato sociale; tutto, ripeto, e il contrario di tutto. Esso nasce contro la cultura e le ragioni dell'avversario, nasce contro le regole della democrazia, nasce da un ribaltone; non nascendo da una campagna elettorale, non comprende quindi le ragioni dell'avversario, che tenta di cancellare con una legge bavaglio.
Il provvedimento che stiamo esaminando è in contraddizione con i principi sanciti dai nostri costituenti, con la libertà di espressione e con il diritto dei cittadini di essere informati, di partecipare alla vita democratica del paese, di contribuire a costruire ciò che è necessario per la nostra Italia. La drastica e continua limitazione di questi diritti è in contrasto con la nostra Costituzione e parallelamente interviene in maniera illiberale, antidemocratica ed ingiusta su tutto il sistema. La libertà di espressione del pensiero costituisce il perno fondamentale del nostro sistema democratico, spesso posto in discussione da questa maggioranza di sinistra con atteggiamenti incoerenti, ondeggianti, con fini politici e normativi contraddittori. Il raggiungimento della democrazia e la sua tutela sono legati alla libertà dell'individuo, al diritto dello stesso di partecipare in modo effettivo alla vita del paese e di contribuire a costruire le condizioni per la crescita dell'Italia. Le norme illiberali, come quelle proposte dal Governo di sinistra, non possono pertanto essere giustificate ed accettate, sono sintomo


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di un evidente malessere politico di questa maggioranza, deleterio per chi crede veramente nella democrazia. Il diritto di informare ed il diritto di essere informati: le due componenti di manifestare il proprio pensiero sono necessariamente collegate con quanto la Costituzione vuole affermare, ovvero che i diritti possono essere disciplinati, non limitati, e la sua ratio è quella di rimuovere i divieti che ostacolano le manifestazioni di pensiero.
È sintomatico il fatto che i principi costituzionali che il provvedimento viola siano collegati l'uno all'altro, espressione di un sistema giuridico che il nostro costituente ha voluto tutelare e garantire riconoscendo al cittadino la massima libertà di scelta e di autonomia consentita. Come ho detto prima, non si tratta tanto del fatto che il diritto non possa essere disciplinato normativamente, quanto di assicurare la sua massima potenzialità: l'espressione più alta dell'autonomia del cittadino e della sua partecipazione alla vita democratica del paese. Non riconoscere ciò significa limitare in modo autoritario la sfera di autonomia privata del cittadino e la sua libertà di espressione.
Le misure adottate da questo Governo sembrano pertanto di carattere eccessivo, irragionevole, spropositato, sproporzionato, contrastando con il criterio di ragionevolezza della norma, principio questo fondamentale nel valutare l'inserimento della norma nel sistema giuridico. Quando ci troviamo di fronte a questi atti autoritari, è inevitabile una riflessione sul perché: per ragioni esclusivamente politiche, di comodo, si vogliono usare strumenti che impediscano ai cittadini di ricevere un'informazione equa e giusta, senza limitazioni derivate da interessi di parte. Quando si valutano gli interessi di un provvedimento, il suo carattere politico e il suo impatto con l'ordinamento giuridico, è necessario ragionare in termini di equità e ragionevolezza. Le norme di questo provvedimento, della legge bavaglio in discussione appaiono dettate, infatti, da forti interessi di parte, limitativi dei diritti fondamentali dei cittadini e del diritto di manifestazione del pensiero.
È giusto, pertanto, parlare di una legge capestro contro cui non si può non intervenire in maniera decisa, ferma, come sta facendo Forza Italia. Quando sono in gioco principi così importanti, direi fondamentali per il cittadino, il nostro movimento politico non può che reagire per tutelare la democrazia di questo paese. Infatti, la democrazia di un paese non può essere messa in discussione, non si può arbitrariamente intervenire raggirando i cittadini che credono ancora nel diritto di libertà, quest'ultimo messo fortemente a repentaglio da una maggioranza arrogante, che non pensa al bene della società e del paese ma pensa ad annientare l'avversario politico. E lo scopo ultimo di questa maggioranza di sinistra, di fronte alla sua inconsistenza nel risolvere i problemi del paese, alla sua inefficienza politica ed amministrativa, è intervenire con provvedimenti incostituzionali e fondati su una logica politica persecutoria. Una maggioranza non attenta al bene del paese e alla soluzione dei suoi problemi, ancora legata a vecchie logiche ideologiche che non si riescono volutamente a cambiare; una maggioranza che fa confusione su tutto producendo una grave inefficienza nel risolvere importanti problemi del nostro paese.
L'espressione della libertà di pensiero è il perno fondamentale del nostro sistema normativo, è il diritto fondamentale che viene messo in forte discussione da questo provvedimento del Governo. Il diritto all'informazione, collegato strettamente al diritto di manifestazione del pensiero, non può essere limitato per ragioni politiche, ma trova il massimo riconoscimento nella nostra Costituzione ed implica il libero accesso dei cittadini alle fonti di informazione e l'assenza di ingiustificati ostacoli, come nel caso del provvedimento con questa legge bavaglio.
La difesa della democrazia di un paese è connaturata alla tutela dei diritti fondamentali del cittadino e alla sua partecipazione alla vita democratica. Questi


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diritti non possono essere sacrificati per ragioni puramente politiche ed interessi di parte. È necessario, al contrario, tutelare e garantire al cittadino la libertà di scelta, di potersi esprimere liberamente in tutte le attività. Una democrazia si garantisce in questo modo, assicurando la libertà nella manifestazione dell'autonomia privata che, seppur circoscritta normativamente, deve poter sviluppare in modo pieno la sua potenzialità nel massimo rispetto di ciò che prevede la nostra Costituzione. Ma, al contrario, il Governo delle sinistre vuole ridurre drasticamente gli spazi di libertà e di autonomia privata, come sta facendo, come sta tentando di fare in ogni sua forma e in ogni sua manifestazione. E a questa maggioranza che lo sostiene non lo possiamo consentire, non dobbiamo assolutamente consentirlo.
Forza Italia non può accettare condizioni di questo genere. È naturale e inevitabile una reazione contro provvedimenti di questo tipo, la cui arroganza politica è palese ed ingiustificata.
Chiunque creda nel bene del paese, nel suo sviluppo economico ed occupazionale non può che contrastare in modo serio e forte questo genere di provvedimenti che offendono la libertà dei cittadini e i valori della democrazia.
Da Forza Italia viene un «no» deciso, convinto, forte a questo provvedimento, con un atteggiamento parlamentare serio, ma forte, con la volontà politica di chi sa che il paese è dalla sua parte, dalla parte di un movimento politico che contribuisce in modo determinante alla stabilità democratica dell'Italia, di un movimento politico consapevole di poter dare molto a questo paese sotto tutti i profili.
Il nostro «no» al provvedimento è, quindi, deciso e lo diciamo soprattutto per il bene dei cittadini e per la difesa dei loro diritti. Il testo di questo provvedimento del Governo è incostituzionale perché vieta la manifestazione della libertà di pensiero e, in questo senso, è un atto che va contro i principi della democrazia.
È giusto il principio delle pari opportunità, ma è esattamente il contrario del silenzio assoluto. La pubblicità elettorale in democrazia ha senso proprio perché offre un'opportunità in più ai cittadini di formarsi un'opinione politica. Vietare gli spot non consente, invece, la formazione della volontà dei cittadini elettori.
Ci troviamo di fronte ad un provvedimento gravissimo, illiberale, liberticida, che incide sulla libertà di espressione e di comunicazione - non solo dell'opposizione - e sul diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.
La differenziazione tra pubblicità e propaganda elettorale operata originariamente dal disegno di legge governativo è del tutto ingiustificata. Non si comprende, infatti, quale differenza ci sia tra spot e propaganda, dal momento che i dati dimostrano che i criteri di parità di accesso non sono, di fatto, rispettati. Deve essere invece maggiormente garantito il diritto all'informazione di tutti i cittadini, in particolare durante le campagne elettorali. Maggioranza e Governo continuano ad ingannare il paese anche con la legge bavaglio.
È falso che non esista una regolamentazione della pubblicità televisiva e che quella esistente sia elusa. È falso che il provvedimento del Governo non vieti, ma favorisca la comunicazione politica. È falso che il divieto di spot sia in vigore nella maggioranza dei paesi europei. È falso che il provvedimento non sia una ritorsione nei confronti del presidente Berlusconi e non abbia nulla a che fare con i risultati delle elezioni europee.
Guarda caso, soltanto quando vi sono elezioni in vista o quando si sono perse altre elezioni, ci si ricorda che bisogna fare una legge bavaglio.
È falso che la propaganda televisiva possano farla soltanto i partiti ricchi; esiste, infatti, una legge che prevede nuove norme in materia di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie che amplia notevolmente, rispetto alla precedente disciplina, la possibilità dei contributi per le spese elettorali ed è previsto un unico tetto di spesa per partiti e candidati.


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La legge bavaglio di questo Governo di sinistra è ampiamente incostituzionale; il Governo ha, infatti, dimenticato che nel 1995 la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale il divieto di spot contenuto nel decreto dell'allora Presidente Dini, a seguito del ricorso per il conflitto di attribuzioni. In quell'occasione, la Corte fu investita e poté pronunciarsi soltanto sulla consultazione referendaria, ma non mancò di dare alcune indicazione di carattere generale sulle quali il Governo D'Alema non ha ritenuto di fare alcuna riflessione. Nella sentenza della Corte, infatti, si parla di eccessività, incongruità e ragionevole sproporzione della misura tendente ad imporre il silenzio sulle iniziative delle diverse parti politiche. Nel dispositivo la Corte costituzionale sentenziò che non spetta al Governo adottare il divieto di spot con riferimento alle campagne referendarie.
Abbiamo proposto modifiche che puntano, contrariamente a quanto prevede il Governo di sinistra, ad ampliare la possibilità per i cittadini italiani di essere informati, non certo a diminuirla. Se però la legge bavaglio sarà approvata nel testo attuale, Forza Italia raccoglierà certamente le firme per un referendum abrogativo. Forza Italia dice «no» ad una cultura censoria e liberticida, ad una mistificazione che tende a concentrare su un falso problema gli spot e l'attenzione della pubblica opinione quotidianamente disinformata dal servizio pubblico radiotelevisivo militarmente occupato dai «cattocomunisti». Mi sorprende e mi stupisce come l'onorevole Giulietti possa meravigliarsi che il TG1, un servizio pubblico, abbia trasmesso l'altro giorno un servizio di un minuto su una manifestazione tranquilla, serena e pacifica; parlo dell'onorevole Giulietti, quel leader dell'Usigrai che per anni ha gestito, occupato e nominato personaggi di sinistra nella RAI, oggi come allora guidata e governata dai cattocomunisti.
L'attuale regola non scritta secondo la quale gli spazi di informazione della RAI sono ripartiti per un terzo alla maggioranza, per un terzo al Governo e per il terzo rimanente all'opposizione, non può essere assolutamente condivisa. Infatti, a parte il fatto che il 33 per cento destinato all'opposizione va diviso anche con coloro i quali conducono un'opposizione di comodo, come Rifondazione comunista, in uno Stato democratico non è concepibile considerare maggioranza e Governo come due entità distinte; esse fanno parte di una stessa coalizione.
Riteniamo inoltre che la RAI che, tra l'altro, percepisce 2.500 miliardi di canone, debba attenersi maggiormente alla normativa vigente e garantire un'uguaglianza di espressione di cui possono beneficiare tutti i cittadini.
In questo contesto dovrebbe essere l'opposizione a chiedere la par condicio. Gli spot quotidiani cui assistiamo sul servizio pubblico, fatti sul Governo e sugli uomini della maggioranza, sono una vergogna ed uno scandalo. La par condicio è una legittima difesa dell'opposizione, che solo attraverso gli spot a pagamento ha fatto conoscere i suoi programmi contro una televisione di Stato occupata militarmente da questo Governo e dalle sinistre.
I dati dell'osservatorio televisivo di Pavia dimostrano che dal 1o gennaio al 30 giugno 1999 il Presidente del Consiglio D'Alema ha avuto sui canali pubblici della RAI 1.031 minuti di presenza televisiva contro i 395 dedicati a Silvio Berlusconi. Gli esponenti della maggioranza avrebbero beneficiato complessivamente, anche tenendo conto della guerra nel Kosovo, di 5.024 minuti contro i 1.547 del Polo. Resta quindi l'evidente sproporzione.
La battuta del Presidente D'Alema che la politica non si vende come un detersivo è sicuramente d'effetto, ma nasconde una mentalità fortemente antidemocratica, secondo la quale la politica non è facilmente sintetizzabile e comprensibile dalle masse.
Delle due l'una: o il messaggio politico deve essere complicato, perché vuole nascondere qualcosa che non si vuole che si sappia, oppure è complicato perché la politica è un'arte difficile, che necessita di conoscenze di cui solo pochi dispongono.
Se questo è quello che intendeva il Presidente del Consiglio, meglio avrebbe


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fatto a trarne le logiche conseguenze, cioè a proporre l'abolizione del suffragio universale ed il ritorno al sistema del voto per censo o per cultura. Non si comprende inoltre perché i partiti non debbano essere liberi di spendere come meglio credono il finanziamento pubblico. Chi preferisce spenderlo in giornali o in strutture burocratiche è libero di farlo anche se si tratta sempre di mezzi destinati a veicolare il consenso, mentre chi sceglie uno strumento più visibile, trasparente, moderno non può farlo.
Il divieto è tanto più incomprensibile soprattutto nel periodo della campagna elettorale, quando maggiore è il bisogno dell'elettore di conoscere per poter scegliere e, quindi, per poter votare. Questo vale - concludo, signor Presidente - in particolar modo in un sistema di democrazia parlamentare, che prevede che il diritto politico del cittadino sia prevalentemente concentrato nel momento della scelta dei rappresentanti. Sottrarre proprio in questo momento strumenti di conoscenza significa indurlo ad operare una scelta al buio. Impedendo la visibilità dell'opposizione si tende a mostrare all'opposizione pubblica la maggioranza di questo Governo come unico soggetto politico, quindi da votare. Alle prossime elezioni non ci sarà però bisogno di trucchi; saranno i cittadini, con il loro voto a mandare a casa questo Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Bertucci, la par condicio impone che lei, così rispettoso dei diritti altrui, concluda il suo intervento, perché ha parlato oltre il tempo a sua disposizione.

MAURIZIO BERTUCCI. Ho concluso, Presidente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Selva. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, nel momento di cui nella mia qualità di presidente di gruppo mi accingo ad esprimere la posizione ufficiale di Alleanza nazionale sul disegno di legge proposto dal Governo sotto il nome finto di par condicio, desidero rassicurare il senatore Angius che il Polo non sta tentando di creare in Parlamento e nel paese un clima di intimidazione. Il mio tono sarà, dunque, pacato. Avrei anch'io la capacità di urlare la mia rabbia per un provvedimento che consideriamo anticostituzionale, ma ho deciso di assumere toni pacati e, possibilmente, argomentati, a cominciare dai dati di fatto: i dati di fatto che gli spot siano un'eccezione soltanto in Italia.
Mi sono fatto inviare i testi che leggerò - e, se qualcuno consente, leggerò anche in lingua tedesca - della campagna elettorale tedesca del 1998. «... ist das Fundament für eine sichere Zukunft. Wettbewerb weltweit», traduzione: è il fondamento di un futuro sicuro, libero mercato in tutto il mondo. «Wählen Sie CDU, Wählen Helmut Kohl»: questo è lo spot principale fatto dalla CDU in campagna elettorale. «Bundeskanzler Helmut Kohl legt die Grundsteine für moderne Arbeitsplätze»: il Cancelliere federale Helmut Kohl getta le basi per moderni posti di lavoro. «Schröder, ein neun Man, für eine neu Mitte. Wählen Sie SPD und Gerard Schröder»: un nuovo uomo per un nuovo centro. Votate SPD.
Avete quindi detto una bugia o siete stati mal ...

VINCENZO MARIA VITA, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. No.

GUSTAVO SELVA. Onorevole Vita, faccia dei controlli. Consenta che io racconti cose che stanno nelle cassette della televisione tedesca.

ENZO TRANTINO. Vita, la cultura non è spot, ti devi adattare. Devi studiare di più.

VINCENZO MARIA VITA, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. La ringrazio e terrò conto del suggerimento, molto impegnativo.

PRESIDENTE. I dialoghi li faceva Platone, non il Governo. Lasci intervenire.


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GUSTAVO SELVA. Io credo che questo sia un dato di fatto. Siccome ha aleggiato per tutto il dibattito che l'Italia sarebbe l'unica ad ammettere gli spot televisivi, ho portato una piccola documentazione di fatti, oltre tutto di spot non della durata di un minuto o di un minuto e mezzo bensì realizzati come una fucilata, se così si può dire, uno slogan.
Dunque, da qualunque parte lo si prenda, il vostro disegno di legge sulla finta par condicio non sta in piedi, non corrisponde ai principi costituzionali - e non ripeto quanto hanno già detto i colleghi che hanno parlato su questo tema -, non raggiunge lo scopo che apparentemente si prefigge, cioè quello di stabilire la par condicio, soprattutto rappresenta la negazione della libertà. È un'offesa all'intelligenza dei colleghi della maggioranza credere nella sincerità delle loro intenzioni. Sappiamo tutti benissimo che l'obiettivo non è affatto quello di garantire la parità tra i contendenti durante la campagna elettorale. Il bersaglio su cui si mira è uno solo: la televisione privata, non certo quella pubblica - indicava prima il collega Bertucci quali sono i rapporti di distribuzione dei tempi nella televisione pubblica -, per arrivare a colpire l'opposizione.
Io mi pongo e pongo a tutti voi una domanda: la par condicio deve essere solo televisiva? Tra le rivoluzioni pacifiche di questo secolo, la prima riguarda i mezzi di comunicazione. Lo sviluppo della tecnologia sta cambiando le nostre stesse vite; la rete globale sta estendendosi sull'intero pianeta. Lo stesso Presidente del Consiglio D'Alema, proprio per valorizzare un contributo che egli avrebbe dato alla modernità ed al progresso di questo paese, ne ha riconosciuto l'importanza mettendo l'accento sulla necessità che l'Italia non si trovi ad essere il fanalino di coda del progresso in questo settore fondamentale della rete delle reti. Internet si darà delle regole che al momento non sono state ancora definite? A nessuno verrà in mente, credo, di imporre una qualsiasi forma di par condicio anche sulla rete globale. Forse qualche esponente della maggioranza ci sta già pensando? Forse in futuro i candidati alle elezioni non potranno illustrare il loro programma via Internet? Sono curioso di sapere con quali strumenti si riterrebbe di imporre un divieto di questo genere.
Nel 1964 la Corte costituzionale, con la sentenza n. 48, pronunciandosi sulle norme che vietavano l'affissione dei manifesti al di fuori degli spazi previsti e la sanzionavano penalmente, affermò che esse non toccavano minimamente il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Infatti nessuno pensò mai di dire: «per mettere tutti i candidati nelle stesse condizioni, da ora in avanti i manifesti sono vietati», o di stabilire regole del tipo: «nei manifesti i caratteri non debbono superare i 10 centimetri di altezza», «sono banditi i colori rosso, nero, azzurro eccetera», oppure ancora: «il formato dei manifesti dovrà essere inferiore al 50 per 70». Niente di tutto questo. La libertà di manifestazione del pensiero non era minimamente messa in discussione, come invece accade per la par condicio radiotelevisiva che voi volete imporre a questo paese.
Ha opportunamente osservato...
Sarei molto grato se anche la presidente della Commissione affari costituzionali potesse ascoltare: mi scusi, onorevole Jervolino, insieme con il collega giornalista onorevole Paissan. Dicevo, ha opportunamente osservato nei giorni scorsi Massimo Teodori in un articolo su il Giornale: «Gioco democratico ed eguaglianza di punti di partenza hanno bisogno che si discuta di regole effettivamente eque, cioè condivise da tutti o dalla maggior parte dei giocatori politici, e non già tagliate su misura per favorire questo o quel concorrente». In altre parole, le regole per assicurare le eguali condizioni di partenza sono cruciali per la vita stessa della democrazia. Se si truccano le regole, la democrazia è falsata; se si raggiunge il consenso sulla loro equità generale, allora il gioco è leale. Quando, come voi sapete, anche in questo Parlamento quasi la metà


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del Parlamento stesso è contrario a questo vostro disegno di legge, è chiaro che il gioco non è più leale.
Qui stiamo assistendo ad una partita sporca. A tre anni e mezzo dall'inizio della legislatura, in cui il centrosinistra ha la maggioranza (maggioranza qualche volta un po' traballante in questa Camera), né il Governo né i partiti della coalizione maggioritaria sono stati in grado di sciogliere decentemente questo nodo così essenziale per la vita democratica. Ora, a breve distanza dalle elezioni regionali e da quelle politiche, la corrente più oltranzista e minoritaria della coalizione di centro-sinistra tenta il tutto per tutto al fine di imporre le sue regole capziose e illiberali. Voglio ripetere qui anch'io un concetto, collegando la legge sulla par condicio con la specificità della condizione personale del capo dell'opposizione in quanto proprietario dell'azienda che dispone di tre televisioni nazionali, sostenendo il principio - giustissimo - del conflitto di interessi. Anche qui, come hanno detto i miei colleghi - lo voglio ribadire -, siete in deficit voi. Abbiamo o non abbiamo approvato, onorevole Vita, alla Camera un provvedimento che risolveva il problema del conflitto di interessi? Perché al Senato, dove avete una straripante maggioranza, l'iter di tale provvedimento, che voi avete approvato insieme con noi, non va avanti? Voi volete tenere una spada di Damocle sulla testa del Polo, di Forza Italia, di Alleanza nazionale, del CCD per poterla utilizzare durante la campagna elettorale; questa non è una supposizione, ma una realtà, perché in quindici giorni il problema del conflitto di interessi potrebbe essere risolto.

AVENTINO FRAU. Bravo!

GUSTAVO SELVA. Se volessimo adottare una vera ed effettiva par condicio, ne dovremmo parlare anche a proposito dei presìdi presenti sul territorio. Cosa direste voi se presentassimo una proposta di legge nella quale stabilissimo che il numero delle sezioni, delle cellule (come si definivano una volta quelle del Partito comunista), debba essere uguale per tutti? Cosa fareste voi, direste che sarebbe un atto di liberalità, di par condicio, o piuttosto - e giustamente - vi scatenereste sostenendo che si tratterebbe di un atto contro la libertà dei singoli e dei gruppi di fare la campagna elettorale o la militanza politica come vogliono?
I diessini, con le loro ancora numerose sezioni, ereditate dall'organizzazione del PCI - penso, per esempio, alla condizione della mia terra d'origine, l'Emilia Romagna e alle tante sezioni presenti in ogni quartiere delle grandi città ed in ogni paese -, rispettano la par condicio?
Non basta. Vi sono altri mezzi: la propaganda porta a porta, il volantinaggio, i messaggi inviati per posta, i solleciti telefonici, i pullman, i treni in viaggio da un capo all'altro dell'Italia, il treno dell'onorevole Prodi, gli inviti agli elettori a pranzi e cene; potrei continuare, ma il concetto mi sembra sufficientemente chiaro. È vero, la televisione - devo dirlo perché è stato il mio mestiere, un mestiere affascinante - ha certamente un suo impatto, come nessun altro mezzo può avere, ha un'indubbia forza di attrazione, ma non se ne può fare assolutamente l'unico strumento. Io ne ho delineati parecchi e, in prospettiva, ritengo che Internet possa essere addirittura superiore per quella forza di convinzione che voi attribuite magicamente alla parola; lì, la parola scritta può avere un'efficacia ancora maggiore.
Fino a 25-30 anni fa, un'apparizione televisiva dava la celebrità. Successivamente, soprattutto con l'avvento delle emittenti private, in modo particolare di quelle provinciali e regionali, l'offerta si è moltiplicata. Fateci caso: in passato, conduttori, giornalisti e personaggi televisivi (per esempio i corrispondenti dall'estero, categoria alla quale ho appartenuto per ben quattordici anni) erano famosi; lo erano Ruggero Orlando, Sandro Paternostro e, se volete, Gustavo Selva. Oggi, invece, se chiedete chi siano i corrispondenti da Parigi o dagli Stati Uniti, quasi nessuno vi saprà rispondere. Non parliamo,


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poi, di «Radio Belva», che vi ha dato tanto fastidio, forse giustamente; al riguardo, potrei veramente essere considerato il primo ad essere stato fatto fuori per una presunta par condicio (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
Onorevole Vita, le consiglio di leggere il libro La moglie di Cesare, che scrissi nel 1983; l'onorevole Jervolino Russo, che era allora membro del consiglio di amministrazione della RAI, sa benissimo come sono andate le cose. Voi mi avete fatto fuori dal GR2 con un pretesto inesistente, perché io avevo anticipato ciò di cui oggi è portavoce l'onorevole Veltroni, ossia che il comunismo era incompatibile con la libertà (Vivi, prolungati applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

FILIPPO ASCIERTO. Bravo «radio Belva»!

GUSTAVO SELVA. Sono lieto di essere stato un precursore (Vivi applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia)...

Una voce dai banchi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale: Bravo!

GUSTAVO SELVA. Sono lieto di essere stato, con vent'anni di anticipo, un precursore del suo segretario di partito Valter Veltroni!

ENZO TRANTINO. «Belva» tra sciacalli!

GUSTAVO SELVA. Allora, la televisione è uno degli strumenti della campagna elettorale. Non mi sento di escludere che qualche candidato o qualche partito possa decidere di non ricorrere alla TV preferendo, ad esempio, gli incontri con le famiglie, le visite «porta a porta», i comizi volanti e quant'altro.
L'onorevole Soda ha sostenuto che la «parità nelle opportunità comporta nella democrazia la rimozione dei vincoli e delle condizioni della forza economica e finanziaria, che rende alcuni privilegiati ed altri deboli nell'esercizio dei diritti, anche questi costituzionali, di manifestazione del pensiero e di comunicazione politica per l'affermazione, tramite il consenso, delle proprie idee». Il concetto è un po' tortuoso, per la verità, ed io cercherò di spiegarmelo in questo modo: vorrei sapere dove stiano questa forza e queste debolezze se non nelle scelte degli interessati, che è l'espressione massima della libertà. La par condicio, infatti, dovrebbe consistere nel mettere i contendenti nelle condizioni di scegliere il mezzo a ciascuno più congeniale, salvo i tetti di spesa. Noi italiani - in questo vi voglio accomunare ad un vizio un po' italico - abbiamo il vizio di andare sempre alla ricerca delle cose più pretestuose, più complesse e più complicate. Si potrebbe invece prevedere che un partito o un candidato, che disponessero di un miliardo o di 100 milioni, possano spendere tali cifre - con piccoli aggiustamenti magari per quanto riguarda gli orari, le televisioni e via dicendo - come vogliono. Questa non potrebbe essere la strada maestra, la strada più semplice e più chiara, che verrebbe compresa da tutti? Ciò è esattamente l'opposto di quello che volete fare voi.
Esiste poi (lo ha già detto bene l'onorevole Nania, ma io voglio sottolinearlo ulteriormente) una differenza sostanziale tra informazione e propaganda: la prima, come è giusto, deve rispecchiare le varie posizioni politiche e garantire un confronto equilibrato tra i contendenti; la seconda consiste invece nella presentazione dei candidati, nell'esposizione dei programmi, in modo che chi deve scegliere sappia almeno con chi si ha a che fare. La prima deve essere - diciamo così - pluralistica; la seconda deve essere settaria, cioè di parte, perché io voglio esporre il mio programma e far conoscere il mio candidato.
Identificare la propaganda elettorale con la pubblicità, come se si trattasse in entrambi i casi della vendita di un prodotto, non mi pare accettabile. Gli spot della Conferenza episcopale per illustrare


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l'attività benefica della Chiesa e per invitare i contribuenti a versare l'otto per mille non li paragonerei alle pubblicità dei detersivi e dei pannolini. Lo stesso discorso vale anche per gli spot contro gli incidenti stradali del sabato sera o contro l'uso della droga. Non si può quindi essere assolutamente d'accordo con il sottosegretario Vita quando afferma che la pubblicità è esclusivamente quella commerciale e che i messaggi che lancia hanno solo un obiettivo: la vendita! Penso che il cardinal Ruini non abbia nulla da vendere; eppure, fa la pubblicità per l'otto per mille!
Non si spiegherebbe poi perché il Governo, di cui lei fa parte, vi faccia ricorso per dare visibilità ai suoi asseriti successi. Fare della politica uno spot commerciale è riduttivo e pericoloso, onorevole Vita, perché il vero e il falso si possono mescolare. Questo non vale per i messaggi governativi diffusi attraverso i canali del servizio pubblico? Senza contare poi che spesso gli spot del Governo sono abilmente dissimulati e fanno tutt'uno con l'informazione realizzando - dico io - quella persuasione occulta, a suo tempo analizzata dall'americano Vance Packard che condiziona (questa sì) le scelte dei consumatori che sono in questo caso gli elettori.
L'apice del ridicolo la legge sulla par condicio lo raggiunge là dove si dice, all'articolo 2, che la comunicazione politica radiotelevisiva assume le seguenti forme, e fa un elenco preciso delle forme consentite che sono le tribune politiche, i dibattiti, le tavole rotonde, la presentazione dei programmi in contraddittorio tra le parti.
È evidente che si tratta della pretesa di imporre criteri.

PRESIDENTE. Onorevole Selva, l'ora è fuggita.

GUSTAVO SELVA. Sono però ancora molto indietro.

PRESIDENTE. Ha però superato il tempo.

GUSTAVO SELVA. Prendo il tempo di un collega che rinuncia.

PRESIDENTE. No, questo non è possibile, lei lo sa benissimo.

GUSTAVO SELVA. Perché non è possibile?

PRESIDENTE. Il collega che non interviene decade, ma non si può sommare il suo tempo a quello di altri.

GUSTAVO SELVA. Quanto tempo mi resta ancora?

PRESIDENTE. Lei è a conoscenza del fatto che il regolamento fissa un tempo di venti minuti. Cortesemente concluda.

GUSTAVO SELVA. Ero appena a metà. Posso consegnarlo almeno per i posteri?

PRESIDENTE. Sì.

GUSTAVO SELVA. Chiedo quindi l'autorizzazione a pubblicare considerazioni integrative del mio intervento in allegato al resoconto della seduta odierna.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente. La storia ne avrà senza dubbio un grande giovamento.

GUSTAVO SELVA. Concludo, dopo le cose che ho detto e dopo quelle che non ho detto, che vi ho risparmiato, quindi voi mi siete grati sicuramente, affermando nuovamente - l'ho già detto, ma repetita iuvant - che la stessa espressione par condicio è frutto di una mentalità, lasciatemelo dire, un po' autoritaria. Volevo quasi definirla leninista, ma poi mi si accuserebbe di fare ricorso a espressioni che coloro i quali le dovrebbero coltivare, perché ne sono stati campioni in tempi passati, dovrebbero almeno storicamente apprezzare, ma lasciamo perdere. La par condicio è frutto di una mentalità ancora dominante nella sinistra italiana. Essa esprime, infatti, l'esatto contrario di quello che vorrebbe essere e quindi è un


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falso macroscopico. Non c'è dubbio alcuno che vi sia la necessità di ristabilire parità di condizioni, ma da parte della maggioranza vi è soltanto la volontà di reprimere la libertà degli altri. Noi non ci lasceremo limitare nella nostra libertà di opporci oggi a questa legge che noi consideriamo un cappio per la libertà dei cittadini. Condurremo la nostra battaglia democraticamente, serenamente e, se sarà necessario, faremo anche ricorso al popolo attraverso i referendum perché sia il popolo a decidere se abbiamo ragione noi, che vogliamo la massima libertà, o se abbiate ragione voi, che invece volete il cappio della libertà (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e misto-CCD - Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Onorevole Selva, il Presidente ieri ha invitato tutti i colleghi ad attenersi rigorosamente ai tempi. Stavolta non si tratta di un cappio, ma si tratta di un patto di reciprocità che vale per tutti. Quindi, non mi mettete nella condizione di dover togliere la parola, perché lo farò la prossima volta.
Poiché il collega Bertucci ha sostenuto che ieri gli agenti della polizia e dei carabinieri sarebbero stati in assetto antiguerriglia o in tuta mimetica, vorrei dire che sono stato informato dalla Presidenza che ciò non è avvenuto. I carabinieri facevano regolarmente il loro servizio in divisa e hanno continuato questo servizio quando, finita quella manifestazione di Forza Italia, si è tenuta un'altra manifestazione di forze sindacali.
Perciò, evitiamo le minimizzazioni e le massimizzazioni delle cose che avvengono in quest'aula.

PAOLO ARMAROLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, sarò telegrafico. Vorrei informare lei e i colleghi che ieri, a Stoccolma, un Presidente del Consiglio ha dichiarato, e le televisioni di Stato lo hanno ripreso ampiamente (io l'ho ascoltato circa all'una di questa notte), che il provvedimento che è in discussione alla Camera dei deputati sulla par condicio sarebbe il più blando d'Europa.
Signor Presidente, le opinioni sono libere ma i fatti sono sacri. Poiché il Presidente del Consiglio possiede dei mezzi che io, povero relatore di minoranza, non possiedo, come ho dichiarato più volte, e come ha detto ora il presidente Selva, dobbiamo metterci d'accordo quanto meno sui fatti.
Noi abbiamo una documentazione dell'ufficio studi della Camera che dimostra che in Germania e in Inghilterra esistono messaggi televisivi autogestiti senza limite di tempo minimo. Quindi, il messaggio autogestito può assumere anche la forma di spot: questo, in Germania, in Inghilterra ed analogamente in Francia...

MAURO PAISSAN. Non è vero!

PAOLO ARMAROLI. Dunque, signor Presidente, richiamerei la sua attenzione sul seguente aspetto: il signor Presidente del Consiglio, che fra l'altro è autorevole promotore di questa iniziativa legislativa, non può dichiarare cose non rispondenti; può dichiarare qualsiasi cosa, ma non può dichiarare che questo provvedimento sarebbe il più blando d'Europa.

MAURO PAISSAN. Anche i deputati non possono dichiarare cose non vere!

PRESIDENTE. Onorevole Armaroli, mi pare che questo non c'entri molto con l'ordine dei lavori: il Presidente del Consiglio è anche un esponente politico e penso che, come tutti gli altri, abbia diritto a fare un commento; questa è la mia opinione. Comunque, la ringrazio dell'informazione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Luca. Ne ha facoltà.

ALBERTO DI LUCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio intervento sarà


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in dissenso da chi fra i colleghi del Polo che mi hanno preceduto si è dichiarato contro la par condicio: io non sono contro la par condicio e in quest'aula voglio invece esprimere il mio pieno assenso su di essa. Perché ci si possa intendere, auspico, sogno, desidero, ambisco, voglio, vorrei una vera par condicio, non certo quella di scalfariana memoria, bensì quella che ogni democrazia giustamente vuole e deve prevedere per dare all'opposizione la sua legittima difesa e lasciarle la sua costituzionale possibilità di comunicare. Questa è par condicio.
Vorrei, inoltre, soprattutto, che le parole usate in Parlamento rispettassero il loro significato vero: non posso pensare che, dietro le parole par condicio, vi sia invece una sostanza di totale disparità di condicio. Non posso pensare che par condicio sia un'espressione voluta, e forse scientemente pensata, per distogliere l'opinione pubblica dai veri connotati di questa, che invece va definita molto più correttamente legge bavaglio. D'altro canto, bisogna riconoscere un merito a voi «sinistri», che siete maestri nel distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai significati veri e dalla realtà delle cose. Se non bastasse, un esempio l'abbiamo avuto anche ieri. In una giornata in cui, forse, avremmo dovuto spendere qualche parola perché il consigliere di Alleanza nazionale, Emilio Santomauro è stato oggetto e bersaglio di chi gli ha sparato alle gambe, voi avete invece montato e strumentalizzato un non fatto, documentato anche televisivamente: un non fatto che in quest'aula è stato commentato con frasi tutte intese a dare piena solidarietà.
Esprimo anch'io, allora, la mia piena solidarietà a Castagnetti, che, quale uomo pubblico e politico, non sa neanche riconoscere la forte dialettica di simpatizzanti della base. Una base che non vede l'ora di poter manifestare direttamente ed in tempo reale il suo pensiero ad uno di quelli che è percepito come uno dei padri di questa legge bavaglio. Certo, merita solidarietà chi, dopo aver vissuto l'esperienza di sentirsi dire, certamente con toni accesi, cose che possono turbare la sua coscienza, avverte poi la necessità di fare la vittima per sentirsi oggetto fatto mira di odio. Vedete, però: l'odio non ci appartiene, ed anche di questo la storia ha già scritto e continuerà a scriverne; mentre mi pare di poter serenamente affermare che è più facile pensare che l'odio appartenga a chi ha la cultura, od anche semplicemente le radici, nel comunismo, nel lancio di bombe molotov o nella gestione di manifestazioni di piazza con militanti a viso coperto e armati almeno di un bastone.
Vorrei dire, signor Presidente, perché io voglio, vorrei una par condicio: perché nel nostro paese esiste non solo una televisione pubblica che è stata visibilmente occupata dalle sinistre, ma esistono almeno altre due televisioni private nazionali che di fatto sono nelle mani della sinistra.
Vorrei una vera par condicio perché l'osservatorio di Pavia ci dice che nel 1999 D'Alema e compagni sono entrati nelle nostre case per 1.880 minuti, mentre Berlusconi e la coalizione del Polo vi sono entrati solamente per un terzo, per la precisione per 605 minuti. Vorrei una vera par condicio perché, oltre che falso e strumentale, trovo noioso sentir ripetere che noi del Polo per le libertà abbiamo le televisioni. Ricordo che nel periodo 14 maggio-25 giugno 1999 il Presidente del consiglio è stato su Canale 5 per 105 minuti, mentre Berlusconi è stato su quella che voi chiamate la «sua televisione» - oggetto del grave conflitto di interessi - per circa la metà del tempo, vale a dire 60 minuti. Tali dati vanno poi integrati con quelli relativi a Telemontecarlo, che nello stesso periodo ha lasciato a D'Alema 66 minuti e a Berlusconi circa 22 minuti.
Nella par condicio che sogno io, sono rilevanti anche le fonti e per questo vi sto fornendo dati che ho attinto dal bollettino delle Commissioni. Vorrei una par condicio vera perché trovo sia un insulto verso gli italiani continuare a ripetere che un minuto di Emilio Fede può valere come cinque minuti di RAI 1 o del TG5. Vorrei una vera par condicio perché è incomprensibile


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la ragione che ha portato le reti televisive RAI a rifiutarsi di trasmettere i nostri spot durante l'ultima campagna elettorale europea. Vorrei una vera par condicio perché amo sognare che, anche in questo «similregime» comunista, tutte le forme di comunicazione rimangano in un ambito costituzionale e di libertà di espressione del pensiero. Vorrei una vera par condicio per abolire quella legge non scritta, ma tanto ben applicata che dà mandato alla RAI - per intenderci, la stessa RAI che è pagata da tutti i cittadini - di dividere lo spazio dedicato alla politica in schemi ben precisi: un terzo al Governo, un terzo alla maggioranza e il restante terzo diviso tra tutti i partiti dell'opposizione, Rifondazione comunista compresa. Sembra piuttosto che la par condicio, secondo voi, vada applicata dividendo i tempi da lasciarsi al Governo e quelli da lasciare alla maggioranza.
Vorrei una vera par condicio, perché solo così potremmo avere la garanzia che il Presidente del Consiglio non si faccia dei mega spot, pagati non da lui, ma dai cittadini, e sponsorizzati da Gianni Morandi.
Trovo ingiusta questa legge bavaglio che volete imporci, perché è lesiva dei diritti costituzionali esposti all'articolo 21, in quanto voi, sinistri, cercate con questa legge illiberale di considerare la televisione meritoria di un trattamento diverso da quello previsto per la stampa.
Trovo ingiusta questa legge bavaglio, perché volete imporre un ulteriore colpo di comunismo scegliendo voi, da soli, il modo in cui i partiti potranno utilizzare i contributi elettorali durante le campagne elettorali.
Siete voi che volete imporre a tutti come comunicare i programmi politici agli elettori. Trovo ingiusta questa legge bavaglio perché nelle case di ogni italiano oggi c'è un televisore; si vuole così impedire ai nostri cittadini di scegliere se ascoltare o no l'informazione politica che partiti e candidati devono fare in campagna elettorale; evidentemente voi, invece, considerate tutti gli italiani degli stolti, pronti a bere qualsiasi spot. Trovo ingiusta questa legge bavaglio, perché impone una restaurazione di vecchi sistemi di fare politica, tipici del comunismo: grandi strutture di partito, grandi numeri di funzionari di partito, grandi quantità di denaro speso per gestire strutture pachidermiche molto costose, ma certamente totalmente inutili per i cittadini.
Trovo ingiusta questa legge bavaglio perché è l'ennesima dimostrazione che voi «sinistri» siete contro il progresso, contro l'uso della scienza, contro l'uso della tecnologia e perfino dei metodi di comunicazione più usati al mondo per divulgare l'informazione politica. Non guardate solo alla Francia o a quei paesi che forse sono vittime del vostro stesso regime, ma guardate più in là, verso gli Stati Uniti, o voi che vi definite figli di Kennedy, o voi che fate congressi all'insegna dell'I care, anche se poi chi propone questa frase non sa neppure l'inglese.
Trovo ingiusta questa legge bavaglio perché il riferimento dell'altro ieri, in quest'aula, ad alcuni «privilegiati economicamente» è quanto di più bieco ci possa essere. Non avete neppure il coraggio di dire che la vostra comunicazione attraverso la stampa vi viene consistentemente pagata da contributi statali, quelli, per intenderci, che dalle tasche dei contribuenti finiscono nelle casse dei vostri giornali di partito. Siete voi quelli che hanno i privilegi economici veri.
Trovo ingiusta questa legge bavaglio perché, se passasse, costringeremmo le emittenti a stravolgere i loro palinsesti per trasmettere i messaggi politici autogestiti, uno in fila all'altro, di una durata tale che certamente pochi telespettatori potrebbero reggere.
Trovo ingiusta questa legge bavaglio perché il sistema che voi «sinistri» proponete porterebbe certamente ad un'ulteriore disaffezione dei nostri cittadini verso la politica, (a meno che non sia questo il risultato che voi auspicate).
Trovo ingiusta questa legge bavaglio perché è impensabile che in democrazia siano il Governo e la maggioranza ad imporre le leggi sull'espressione pubblica della parola.


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Trovo ingiusta questa legge bavaglio quando sento un diessino che stimo, come Giulietti, dire che l'articolo 21 della Costituzione va lasciato in pace perché qui entra in gioco «l'esibizione del potere». Altro che volantinaggio e affissione: ci troviamo di fronte ai mezzi più sottili e più forti delle tecnologie moderne. Mi chiedo se questi principi siano figli della volontà di combattere il progresso e la libera informazione o se si tratti di semplice malafede.
Vorrei una vera par condicio, ma non questa legge bavaglio, perché localmente c'è bisogno di sentire la voce delle emittenti private che, con questa legge liberticida, vengono di fatto estraniate dalla comunicazione politica.
Vorrei una vera par condicio, ma non questa legge bavaglio, perché è semplicemente vergognoso quello che voi «sinistri» proponete all'articolo 8. Sotto la maschera della forma impersonale, dispensate di fatto il Governo da ogni tipo di sanzione per ogni tipo di «sforamento» in video.
Vorrei una vera par condicio, ma non questa legge bavaglio, perché una campagna elettorale televisiva che preveda un limite di spesa per partito e candidato avrebbe un doppio positivo risultato, quello di veder crescere e migliorare la comunicazione politica verso i cittadini e quello, non certo meno importante, di incentivare i baracconi statal-leninisti a meglio occupare quelle migliaia di funzionari pagati di fatto dai contribuenti attraverso il finanziamento pubblico dei partiti.
Vorrei una vera par condicio, ma non questa legge bavaglio, perché non voglio essere complice dell'approvazione di una legge che la Corte costituzionale probabilmente dichiarerà anticostituzionale, così come è già accaduto nel 1995 durante il Governo Dini.
Vorrei una vera par condicio, ma non questa legge bavaglio, perché, quando ci si richiama agli esempi europei, non se ne possono cogliere solo gli aspetti marginali e certamente più vicini alle sinistre europee per poi dimenticare completamente che in tutta Europa la distribuzione degli spazi avviene sulla base dei risultati ottenuti nelle precedenti elezioni.
Signor Presidente, vorrei una vera par condicio, e non questa legge bavaglio, perché l'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo recita: «Ogni individuo ha diritto alla libertà d'opinione e d'espressione e quello di ricevere e diffondere, con qualunque mezzo d'espressione, senza considerazione di frontiere, le informazioni e le idee».
Signor Presidente, colleghi, vorrei che ci fosse la par condicio, ma non vorrei certo questa legge bavaglio, perché l'articolo 21 della Costituzione afferma che tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Viva la par condicio, abbasso questa legge bavaglio (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Palmizio. Ne ha facoltà.

ELIO MASSIMO PALMIZIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, molte persone al di fuori delle aule parlamentari si chiedono se vi sia davvero l'urgenza di approvare un disegno di legge come quello in esame e se il problema della parità di accesso ai mezzi di comunicazione sia prioritario rispetto ad altri problemi quali, ad esempio, la disoccupazione giovanile, la situazione economica del nostro paese, la lentezza della giustizia, la criminalità che aumenta di giorno in giorno nelle nostre città, l'immigrazione clandestina.
Vorrei, inoltre, sottolineare che il diritto di informare e di essere informati attiene all'essenza stessa della democrazia: è tramite la libera espressione del pensiero che, confrontando fonti di informazione diverse tra loro, si possono formare opinioni consapevoli e libere sulla base delle quali operare scelte coscienti e informate.
È chiaro, dunque, che una regolamentazione sarebbe opportuna per disciplinare l'esercizio di questo diritto ed assicurare


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uguaglianza di condizioni a tutti, limitando il meno possibile modi, tempi e forme della comunicazione e della pubblicità politica. Il disegno di legge in esame è, invece, totalmente inadeguato e, soprattutto, ottiene almeno due effetti contrari agli scopi per i quali sarebbe dovuto nascere: viola il diritto dei cittadini a ricevere un'informazione obiettiva e parziale ed il sacrosanto diritto, oltre che dovere, di tutte le forze politiche di comunicare in condizioni di reale parità il proprio progetto politico ed i propri candidati nelle competizioni elettorali, con tutti i mezzi a disposizione e, quindi, anche tramite i comunicati pubblicitari detti spot.
Tornando ai tempi, viene spontaneo chiedersi per quale motivo la maggioranza di Governo, con l'aiuto del partito della Rifondazione comunista, ritenga così fondamentale approvare il disegno di legge in tempi ristretti e a qualunque costo, prima delle elezioni regionali. Ieri, un nostro autorevole collega, l'onorevole Giovanardi, ha fornito all'Assemblea una ricostruzione storica dell'iter della par condicio fin dal 1995, cioè dal decreto Dini, ricordando a tutti che quel decreto - considerato incostituzionale - fu abbandonato dopo la vittoria della sinistra nel 1996 e che di parità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa non si è più parlato fino al risultato delle elezioni europee dell'anno scorso. Essendosi trattato di un risultato negativo per la maggioranza di centrosinistra, siamo qui di nuovo a parlare di divieto degli spot.
È parere unanime che, se le elezioni europee fossero andate in maniera diversa, sicuramente utilizzeremmo il nostro tempo per discutere di argomenti che interessano di più il nostro paese. Invece, veniamo ancora a parlare di divieto della pubblicità. Peraltro, in tale divieto vi è una visione estremamente datata e superata della comunicazione. Si sostiene cioè che lo spot cosiddetto commerciale (quindi, la pubblicità) non vada bene per la politica, in quanto nella pubblicità si rifugge da ogni confronto. Questa affermazione non è veritiera perché anche in Italia sarà possibile fra poco utilizzare la comunicazione comparativa. Comunque, ripeto, si afferma che non vi è alcun confronto nella pubblicità televisiva perché si dà, del proprio prodotto o servizio, un'immagine estremamente positiva, in quanto l'unica cosa che importa è venderlo. Addirittura, si è anche sentito dire in quest'aula che è eticamente giusto vietare gli spot in politica, perché un conto è fare attività politica, altro conto è vendere un prodotto chiamato politica.
Concetti vecchi, molto vecchi, superati dai tempi, che non tengono conto dell'attuale situazione della comunicazione di massa nel nostro paese, ma sembrano riferirsi ad una realtà analoga a quella di più di venticinque anni fa. La molteplicità delle fonti di informazione in Italia è evidente a chiunque: televisioni nazionali via etere, televisioni regionali sempre via etere, televisioni locali via etere, televisioni satellitari, quotidiani nazionali, regionali, locali, periodici settimanali, mensili, radio nazionali, radio locali, cartellonistica stradale, pubblicità dinamica su taxi, autobus, tram, treni, cinema, teatri, reti informatiche - basti pensare ad Internet - che mettono in collegamento con il mondo intero in un attimo. Tutto questo consente a chiunque di essere informato e pone ormai l'individuo al centro di un continuo dibattito sociale, culturale, politico; dibattito senz'altro plurale e contrastato.
Lo spot, poi, non è niente più che uno strumento, e non uno strumento nefando di manipolazione della mente, come la sinistra continua arcaicamente a sostenere. Lo spot è la comunicazione più veloce, sintetica e chiara di un concetto, di un'idea, di un progetto, di un programma e ciò che affermo è suffragato da prove inconfutabili. Lo spot televisivo - anche quello radiofonico, in realtà - è utilizzato non solo da aziende commerciali di produzione di beni o di servizi per promuovere, appunto, la vendita del loro prodotto o servizio, ma è utilizzato massicciamente anche da entità ben più importanti per la vita sociale, morale e politica del nostro paese. Basti pensare alla pubblicità progresso, agli spot dei ministeri di questo e


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degli altri Governi, nonché della Chiesa cattolica, che utilizza gli spot televisivi per motivare l'attribuzione dell'8 per mille o per pubblicizzare eventi di importanza mondiale, come il Giubileo. Essi vengono utilizzati dalle associazioni di volontariato per sensibilizzare le coscienze dei cittadini. Vengono organizzate campagne televisive tramite spot per prevenire le malattie - e non soltanto l'AIDS, ma anche altre -, nonché per trovare fondi per combattere le malattie. Insomma, non ha alcun senso vietare gli spot, anche perché in questa maniera si obbligheranno le televisioni (creando, peraltro, una disparità di trattamento tra il mezzo televisivo e la carta stampata) a mandare in onda solo noiosissimi dibattiti, che quasi nessuno guarderà, o gruppi di telecomunicati lunghissimi, isolati dal contesto dei programmi, che nessuna televisione vorrà mettere in onda.
Non è vietando l'utilizzo degli spot che si riducono le distanze fra i partiti; vietando l'uso degli spot si premiano soltanto quelle forze politiche che non necessitano degli spot perché godono di una costante presenza televisiva in virtù della propria azione di governo. È quindi profondamente sbagliato, oltre che antistorico, vietare l'utilizzo di quella che è sicuramente la forma di comunicazione più avanzata nell'ambito del mezzo televisivo.
Oltre all'errore di vietare l'utilizzo degli spot, questo disegno di legge contiene anche un aspetto poco chiaro, cioè, per intendersi, la definizione di «soggetto politico». Il progetto di legge, infatti, non spiega chi sia il soggetto politico destinatario delle disposizioni previste: sarebbe stato molto meglio chiarire questo aspetto, perché non sia qualcun altro, ad esempio la magistratura, a decidere, sostituendosi ancora una volta al legislatore. I cittadini, credo, avrebbero avuto il diritto di leggere un testo comprensibile e chiaro, anche perché, per fare qualche esempio, un conto è se intendiamo per soggetti politici le coalizioni e gli schieramenti elettorali ed altro conto se consideriamo come soggetti politici i singoli partiti che compongono, appunto, gli schieramenti. È evidente che, qualora fosse seguita la seconda ipotesi, ossia che sono soggetti politici tutti i partiti che compongono gli schieramenti, la nostra coalizione sarebbe enormemente penalizzata, in quanto molto più compatta e coesa e composta solo da tre o quattro forze politiche, mentre la maggioranza di Governo è formata da almeno dieci o undici partiti: quindi, ad ogni telecomunicato di uno dei nostri partiti ne corrisponderebbero almeno tre delle forze di maggioranza.
Si sono anche sentiti in quest'aula continui riferimenti da parte delle forze di maggioranza alle normative di altri paesi europei, con cui si sosteneva che il disegno di legge del Governo è in linea con le legislazioni vigenti in Spagna, in Francia e in tanti altri paesi. Al di là del fatto che i riferimenti ad altre nazioni devono sempre essere valutati con riserva e con grande cautela, è da notare, comunque, che fingiamo di non considerare le raccomandazioni del Consiglio d'Europa, del settembre 1999 - quindi neanche particolarmente vecchie -, che ricordano che in prossimità di campagne elettorali ogni norma che riguarda i mezzi di comunicazione di massa deve rispettare la libertà di espressione tutelata dall'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Come se tutto ciò che è stato detto fin qui non fosse già di per sé sufficiente a bocciare questo disegno di legge detto della par condicio, che par condicio peraltro non è, va anche ricordato che in quest'aula si stanno decidendo le regole del gioco mentre il gioco sta per iniziare e che la maggioranza sta tentando di imporre all'opposizione una legge che l'opposizione rifiuta e che riguarda materia, appunto, sulla quale sarebbe molto più democratico tentare di trovare un consenso più ampio, come peraltro fu trovato sulla legge che per ora regolamenta le campagne elettorali, che fu approvata da un Governo, quello del pentapartito, con l'astensione della sinistra quando ancora noi non esistevamo.


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Per concludere: ci troviamo di fronte a un disegno di legge che, secondo noi, è incostituzionale. Molti nostri colleghi hanno cercato di dimostrarlo ieri e qualcuno anche oggi. A parte il fatto che chiaramente ricorreremo alla Corte costituzionale, che sicuramente ci darà ragione e dichiarerà incostituzionale questa legge, questo disegno di legge, oltre a non essere costituzionalmente corretto, è soprattutto antistorico e non certo liberale: si vieta l'utilizzo del più efficace strumento di comunicazione oggi disponibile, lo spot televisivo, e lo si vieta non per le argomentazioni obsolete e chiaramente false fin qui portate, che sono anche abbastanza offensive per i cittadini italiani, perfettamente in grado di comprendere i contenuti di un telecomunicato senza farsi abbindolare o obnubilare da pseudomessaggi subliminali, come se fossero tutti un po' tonti - e tonti non sono, come hanno dimostrato e come dimostreranno nelle prossime elezioni politiche -, ma perché la sinistra sa che gli spot televisivi sono altamente efficaci e soprattutto perché la sinistra è cosciente di non poterli utilizzare, in quanto sa che non è possibile, divisa com'è, comunicare un'efficace sintesi di programmi che non ha, che non avrà mai.
Molto più logico e corretto sarebbe stato porre un limite di spesa alle forze politiche o ai singoli candidati o a entrambi, e accompagnare questi limiti di spesa con regole per un'offerta di spazi (un'«offerta», attenzione), a parità di condizioni sia quantitative, sia commerciali, da acquistare per tutti; dopodiché ciascuno avrebbe scelto, con il denaro a disposizione fissato per legge, lo strumento più conosciuto e più ritenuto adatto al messaggio da comunicare. Così non è stato e ci troviamo qui ancora a subire un cambio di regole portato avanti in maniera non condivisibile. Si tratta peraltro di un disegno di legge del Governo, di un Governo che intende modificare le regole mentre, invece, dovrebbe avere almeno la decenza di stare al di sopra delle parti.
Non so se la maggioranza riterrà opportuno accettare qualche nostro emendamento o modificare questo disegno di legge. So solo che noi di Forza Italia ci opporremo strenuamente e, se necessario, promuoveremo senz'altro un referendum abrogativo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.

RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, colleghi, il gruppo di Alleanza nazionale ha già motivato, nel corso di questi giorni, il senso e la portata della sua opposizione di sostanza e di metodo a questo provvedimento. Nel dibattito di carattere generale i colleghi del nostro gruppo non sono mai intervenuti a difesa di posizioni precostituite o di privilegi, ma a difesa delle esigenze fondamentali di informazione che, nel nostro paese, la politica richiede senza aggettivazioni, come in ogni società democratica e moderna.
Oggi ci troviamo di fronte ad un confronto che concerne l'insieme degli emendamenti proposti dai gruppi del Polo per le libertà all'articolo 1 di questo provvedimento. Vorrei, dopo essere intervenuto in sede di discussione sulle linee generali, ricordare gli elementi essenziali, non ostruzionistici, non barricadieri, ma effettivamente propositivi che i colleghi proponenti appartenenti ai gruppi del Polo per le libertà hanno evidenziato e proposto all'attenzione dell'Assemblea proprio in relazione all'articolo 1.
La maggioranza e la sinistra, in particolare, stanno veicolando l'idea secondo la quale il Polo per le libertà starebbe dando vita non solo ad una chiassosa battaglia di difesa di privilegi, ma anche e soprattutto ad una battaglia tesa a sostenere la bontà di un sistema di informazione privo di qualsiasi regola o cornice normativa, privo cioè di qualsiasi elemento serio, autentico, non strumentale di cosiddetta par condicio. Non è così, colleghi!
Questi emendamenti, che i gruppi parlamentari del Polo per le libertà hanno


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predisposto e sui quali l'Assemblea sarà chiamata prossimamente a pronunciarsi, testimoniano come l'opposizione non svolga questa battaglia per il far west, in nome di una logica del più forte, del più attrezzato economicamente o del più furbo, che porrebbe in condizioni di subalternità l'avversario politico. No, i nostri emendamenti testimoniano che da parte dei gruppi parlamentari di Forza Italia, di Alleanza nazionale e del Centro cristiano democratico vi sono proposte che tendono a regolamentare la materia certamente al di fuori di una logica semplicemente vincolistica e proibizionistica, che finisce per vietare e proibire il regolare svolgimento e azionamento dei circuiti informativi della democrazia.
Questa è la divisione di fondo, colleghi, fuori da ogni strumentalismo propagandistico dall'attuale contingenza politica che vede, da un lato, i gruppi della maggioranza e il Governo e, dall'altro, i gruppi parlamentari dell'opposizione.
Colleghi, a dimostrazione della bontà di questo ragionamento vorrei brevemente ricordare, letteralmente, perché sia più chiaro il senso politico cui ho fatto riferimento, il testo alternativo del relatore di minoranza, onorevole Armaroli. Non a caso questo emendamento sostitutivo dell'articolo 1 inizia affermando che ogni norma di regolamentazione della materia deve essere illuminata dal contesto istituzionale di rispetto scrupoloso degli articoli 3, 21, 41, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione.
Colleghi, a dimostrazione del fatto che il Polo delle libertà e il gruppo di Alleanza nazionale non stanno svolgendo questa battaglia a favore del far west, nel testo alternativo all'articolo 1 predisposto dall'onorevole Armaroli e proposto all'attenzione dell'Assemblea, ribadiamo l'esigenza sacra, nella logica scrupolosa di ossequio al dettato costituzionale, che questa legge, che disciplina le modalità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa durante lo svolgimento delle campagne elettorali, sia improntata secondo lo schema della parità di trattamento e dell'imparzialità dei mezzi di informazione. Dico ciò, colleghi, per sottolineare come questo atteggiamento propagandistico della maggioranza di sinistra, che tende a criminalizzare la nostra come una battaglia di privilegi, sia, in effetti, mal indirizzato, perché la nostra è una battaglia di libertà che vuole regolamentare, non vietare, il necessario flusso informativo che è alla base di ogni democrazia autentica e di ogni pluralismo culturale e sociale nel nostro paese.
Non solo: il testo alternativo del relatore di minoranza, che il collega Armaroli ha presentato a nome del gruppo di Alleanza nazionale, introduce modernamente, alla luce del nostro sistema elettorale, un distinguo essenziale tra maggioranza ed opposizione, evitando uno dei risultati più negativi ed allarmanti del testo proposto dal Governo, quello di centuplicare gli spazi a favore della coalizione di Governo e delle forze politiche di maggioranza, che si articolano in un numero maggiore di soggetti politici, rispetto a quelle di opposizione, composte da un numero minore di soggetti politici, avendo, tra l'altro, una coesione programmatica maggiore rispetto alla frantumazione partitica che caratterizza lo schieramento di centrosinistra. Quest'ultimo sarebbe avvantaggiato proprio da questo elemento di frantumazione numerica, che lo privilegerebbe dal punto di vista delle presenze (altro che par condicio) in televisione e per quel che riguarda la propaganda massmediologica nel nostro paese.
In una logica autenticamente bipolare il nostro emendamento, sostitutivo dell'articolo 1, non a caso si impernia su quella concezione, legata al nostro sistema elettorale ed a quella che, a nostro avviso, è anche l'auspicabile evoluzione del nostro sistema politico su salde, definite, chiare basi bipolari e, conseguenzialmente, maggioritarie.
Inoltre, la parte finale del nostro emendamento, che riarticolerebbe, riposizionerebbe, riorienterebbe la normativa prevista, fa riferimento non solo ad alcuni ma a tutti i mezzi di comunicazione, sonora o televisiva, via etere, via cavo, via satellite, nonché ai quotidiani ed ai periodici,


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cioè a tutta la strumentazione, anche la più sofisticata e moderna, di contatto tra la politica complessivamente intesa ed i cittadini, tra le istituzioni e i cittadini, i quali attraverso la politica sono indissolubilmente legati, secondo il dettame costituzionale.
Colleghi, ho inteso avviare il mio intervento proprio da questo commento sugli emendamenti che abbiamo presentato, perché essi sono la cartina di tornasole della nostra reale volontà politica di combattere questa battaglia parlamentare e perché testimoniano come vi sia stata una forte contraddizione - oserei dire a livello di boomerang - nelle posizioni della maggioranza, che ha teso a svilire la nostra posizione commentandola come semplice strumento di difesa di chissà quale tipo di privilegio nei confronti delle altre forze politiche e degli altri schieramenti.
La battaglia che stiamo conducendo, in aula e fuori di qui, nella società italiana, non è una battaglia a nostro vantaggio, ad usum delphini, a difesa di chissà quale tipo di prepotenza che vorremmo addirittura istituzionalizzare; è una battaglia che conduciamo per la serietà che la politica deve avere, soprattutto perché sappiamo che essa oggi ha necessità di strumenti di divulgazione, ha bisogno di svolgere il proprio ruolo di incremento del pluralismo, dell'impegno dei cittadini per evitare che le istituzioni siano sul serio considerate estranee rispetto al corpo vivo della società civile.
Colleghi, ci lamentiamo spesso di una scarsa affluenza alle urne, ci lamentiamo spesso di una politica lontana dalla gente, ci lamentiamo spesso dell'ignoranza dei giovani rispetto a fasi storiche del nostro paese e dell'Europa; contemporaneamente, tagliamo significativi momenti di collegamento formativo e informativo tra la politica, le istituzioni e la società civile. Ecco perché questa non è una battaglia che il Polo per le libertà ha concepito e conduce in difesa dei propri interessi, ma è una battaglia in difesa unicamente di un grande interesse generale, quello di una politica che sia la più vicina alla gente, la più comunicata possibile, la più capace di incidere profondamente nei momenti elettorali ma non solo in quelli.
Ho trovato e continuo a trovare, colleghi, elemento pericoloso e, oserei dire, per certi aspetti offensivo nei confronti dei concittadini che svolgono nelle istituzioni, nel volontariato, nell'associazionismo con passione civile, quotidianamente, il proprio impegno politico, un provvedimento come questo, che finisce per considerare il confronto politico semplicemente un confronto tra spot elettorali, quasi che, con un taglio di tipo illuministico, il popolo italiano, la cui sovranità dovrebbe essere in qualche misura limitata e la cui democrazia dovrebbe essere in qualche misura controllata, non fosse in grado di autodeterminarsi, di avere alle spalle elementi di radicazione culturale e pluralista tali da poter determinare scelte conseguenziali, le quali, invece, sarebbero semplicemente la risultante di uno scontro finanziario di intelligenze massmediologiche, quasi che la politica italiana derivasse semplicemente dalla sommatoria della capacità dei singoli schieramenti di organizzare meglio una presenza di tipo televisivo; quasi che le centinaia di migliaia di amministratori locali di questo paese, di consiglieri comunali, provinciali, regionali o di quartiere, di sindacalisti, di giovani che nelle scuole, nelle università fanno politica non contassero assolutamente niente; quasi che i loro sforzi, il loro impegno civile fossero nullificati da 30 secondi o 60 o 59 o 61 (perché si sta anche discutendo sull'essenzialità di un secondo o due in più o in meno) di spot elettorali, in grado di determinare le sorti del paese. Trovo offensivo per la democrazia e per questi nostri concittadini impegnati civilmente, sul piano concreto della quotidianità politica, un ragionamento siffatto, semplicistico, sbrigativo, che annulla ogni elemento serio di concorrenzialità politica.
Io sono preoccupato, il gruppo di Alleanza nazionale è preoccupato, colleghi, perché con questo provvedimento avremo nel nostro paese una politica ancora più debole, non più autorevole,


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non più capace di suscitare passione e impegno civile. Avremo una politica sempre meno forte rispetto ai veri poteri forti della società: potere economico, potere finanziario, potere dell'informazione, potere giudiziario, potere sindacale, poteri legittimi ma che hanno necessità di un confronto con il potere forte per antonomasia, che è il potere della politica, il potere di indirizzare verso l'interesse generale e il bene comune la legittima presenza nella società di quei poteri forti. Dopo questo provvedimento avremo una politica che sarà ancora più un potere debole, e questo ci preoccupa, non in nome e per conto degli interessi legittimi del Polo per le libertà, ma in nome e per conto - qui sul serio - dell'interesse generale e del bene comune.
Ecco perché questa nostra battaglia non è una battaglia a favore del far west dell'etere, non è una battaglia a favore di privilegi, non è una battaglia per avere una politica lontana dalla gente, ma è una battaglia di libertà, di pluralismo, perché le nostre istituzioni siano autenticamente partecipate e questo sia sempre di più un paese avvertito dei grandi compiti che riteniamo discendano dalla nostra cultura, dalla nostra storia, dalla nostra tradizione anche politica.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO GIOVANARDI (ore 12,30)

RICCARDO MIGLIORI. Questi sono i motivi essenziali per i quali il gruppo di Alleanza nazionale ha condotto e sta conducendo questa battaglia; questi sono i motivi oserei dire civili e democratici di libertà per i quali continueremo, qui e fuori di qui, a gridare alto e forte la ragione fondamentale di questa nostra opposizione, che non è l'opposizione di Alleanza nazionale e del Polo per le libertà ma è l'opposizione della parte migliore del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Martino. Ne ha facoltà.

ANTONIO MARTINO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor rappresentante del Governo, gli esponenti del centrodestra si sono opposti a questa iniziativa legislativa con toni accesi. È da riconoscerlo: i toni sono stati accesi. Questi toni accesi sono stati deplorati dagli esponenti della maggioranza, dagli esponenti delle sinistre, in qualche rarissimo caso con sincera preoccupazione, nella stragrande maggioranza dei casi con una untuosa ipocrisia predicatoria che farebbe invidia ad un predicatore battista dell'Alabama.
Il massimo si è raggiunto ieri: ascoltando il dibattito a commento di una contestazione pacifica ed incruenta, si aveva l'impressione che piazza Montecitorio fosse stata invasa da orde assetate di sangue, da squadracce fasciste; ed ero convinto che quelle deprecazioni si sarebbero concluse con una proposta di modifica alla toponomastica, per ribattezzare la piazza «piazza dei martiri popolari», o forse «piazza Castagnetti».

VINCENZO MARIA VITA, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. Presidente, è molto spiritoso il collega!

ANTONIO MARTINO. Ritengo, colleghi, che dovremmo avere più senso del ridicolo. Mi chiedo in che modo una manifestazione di contestazione delle sinistre avrebbe accolto un esponente del centrodestra che fosse andato lì a farsi notare.
In realtà questi toni accesi sono certamente giustificati. E qui, dimenticando le polemiche, vorrei rivolgermi con serenità ai rappresentanti della maggioranza. Colleghi, la libertà è una pianta fragile e rara. Oltre due secoli fa, David Hume ci ha insegnato che raramente la libertà si perde tutta in una volta. La libertà non è messa in pericolo dall'improvviso, violento colpo di Stato, dalla presa di potere dei nemici della libertà; no, il vero pericolo per la libertà è la sua continua, graduale, impercettibile erosione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). Infatti, quando la libertà


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la si perde per un colpo di mano violento, una volta rimosso il dittatore in genere si riescono a recuperare le libertà perdute; ma quando viceversa le libertà vengono gradualmente erose, l'assuefazione che la gradualità comporta rende poi difficile il recupero delle libertà che sono andate perdute.
Cos'è la libertà? La libertà - credo che siamo d'accordo su questo - è la possibilità di scegliere fra alternative diverse; la libertà è esistenza di alternative. Tuttavia la semplice esistenza delle alternative non basta: perché esista la possibilità di scegliere, è necessario anche che i destinatari di queste alternative, che gli attori di queste scelte siano a conoscenza dell'esistenza di tali alternative. L'informazione è essenziale precondizione della libertà: le alternative delle quali non si conosce l'esistenza è come se non vi fossero. A me sembra che a sinistra continui a permanere, al riguardo, una visione dell'informazione del tutto superata dai fatti; ciò vale, per esempio, nei riguardi della pubblicità commerciale, che viene ancora vista con antipatia ed ostilità.
Ma se è vero che il mercato funziona soltanto in quanto l'informazione sia disponibile e facilmente accessibile - il mercato è stato definito da Hayek come un meccanismo ottimo di raccolta e di trasmissione di informazioni -, è altrettanto e a maggior ragione vero che la democrazia politica richiede la più libera e completa diffusione di tali informazioni; qualunque restrizione alla comunicazione politica, in qualsiasi forma, è una restrizione della libertà, della democrazia, del confronto fra le idee.
Il provvedimento in esame concentra la sua attenzione sugli spot televisivi; le altre forme di comunicazione politica vengono ignorate. Ci si comporta come se gli spot televisivi fossero inusuali o eversivi, come se fossero una forma nuova, moderna e pericolosa di trasmissione di informazioni. Non è così. Gustavo Selva, nel suo splendido intervento, ha poc'anzi dimostrato che lo spot televisivo è largamente impiegato in Germania; negli Stati Uniti d'America gli spot televisivi rappresentano la forma primaria di comunicazione politica di massa. Nelle elezioni primarie della scorsa tornata elettorale per le presidenziali negli Stati Uniti, il miliardario Steve Forbes trasmetteva tanti di quegli spot televisivi che si diceva che i telespettatori si lamentassero perché i programmi interrompevano gli spot televisivi di Steve Forbes.
Gli spot sono una forma normale, comune, di diffusione dell'informazione politica, sono una forma economica e rapida, e non è affatto detto che siano efficaci: Steve Forbes non vinse le primarie nelle quali aveva investito tanti soldi per gli spot. In ogni caso, fra qualche anno, al massimo fra un decennio, gli spot saranno talmente superati che coloro i quali leggeranno il resoconto del dibattito svoltosi in questi giorni alla Camera troveranno la cosa vagamente ridicola.
Gli esponenti della maggioranza, per difendere la normativa liberticida in esame, si rifugiano all'estero in modo selettivo, traendo soddisfazione e conforto dal fatto che in altri paesi vi siano restrizioni al riguardo. Colleghi, amici del Polo di centrodestra, è un bene che a sinistra oggi si guardi come modello alle democrazie dell'occidente, a quelle democrazie che fino a non molto tempo fa venivano indicate come il nemico capitalista da abbattere; è un bene che si sia cambiata direzione e che a sinistra non si additi più come modello, anche perché è scomparsa, la più brutale e feroce forma di tirannia che abbia mai oppresso l'umanità. Quel che è un male, invece, è che a sinistra si considerino le restrizioni alla comunicazione tanto più utili in quanto più cogenti, più limitative. In realtà, quanto minore è il grado di restrizione alla comunicazione politica, tanto più essa è efficace ed utile; in ogni caso, colleghi di sinistra, chi crede nella democrazia ha il dovere di credere che, nel confronto fra le idee, saranno le migliori a prevalere e che gli elettori sapranno scegliere quelle idee senza lasciarsi fuorviare dalla propaganda ingannevole.


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Non credere negli spot significa non credere nella capacità degli elettori di saper discriminare, di saper scegliere fra messaggi diversi.
Quando noi difendiamo la libertà dai banchi dell'opposizione, amici della maggioranza, difendiamo la forma più rilevante di libertà, perché la libertà importante non è quella di cui gode il Governo. Colleghi, i Governi esistono dappertutto e non è l'esistenza del Governo a rendere libero un paese, perché i Governi esistono anche nei regimi dittatoriali; è l'esistenza dell'opposizione a qualificare come libero un paese. Soltanto laddove esista un'opposizione libera ed efficace, un paese può essere considerato libero (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
La vera importante libertà è quella dell'opposizione ed è questa libertà che va tutelata, perché la libertà di dire cose gradite a chi ha il potere non è stata mai negata da nessuno; perfino Stalin ed Hitler erano ben lieti di consentire ai loro cittadini la libertà di elogiarli. Era la libertà di criticarli che era, viceversa, negata! Quindi, la libertà che va tutelata, se vogliamo avere un paese libero, è quella di chi critica il Governo, non quella di chi lo difende.
In realtà - al riguardo dissento da un'opinione che è circolata anche nei discorsi di esponenti dell'opposizione - è il concetto stesso di par condicio ad essere pericoloso e ad essere null'altro che la riproposizione di un mito antico e malevolo, che ha insanguinato il mondo: è l'idea che, per potere essere liberi, bisogna essere prima uguali! Questa idea è stata alla base della dottrina del comunismo: si riteneva che la dittatura del proletariato avrebbe reso gli uomini eguali e, una volta che essi fossero divenuti tali, avrebbero potuto essere liberi e lo Stato sarebbe scomparso. Sappiamo quali catastrofi umane, sociali, economiche ed ecologiche questo mito ha prodotto.
Noi riproponiamo qui lo stesso mito, dicendo che non è possibile la libertà se non in condizioni di perfetta eguaglianza. Questo è sbagliato e ce lo ha insegnato Popper, amici della sinistra, quando ha affermato che la libertà è più importante dell'eguaglianza, che il perseguimento dell'eguaglianza mette in pericolo la libertà e che non vi sarà eguaglianza tra chi non è libero. Questa è la considerazione che dovrebbe essere tenuta presente dai fautori della legge al nostro esame. In realtà, sembra evidente a tutti che siamo in presenza di un ennesimo episodio di diversione; una tecnica retorica antica, ma non per questo meno popolare adesso. Questo Governo e questa maggioranza, non potendo parlare dei problemi gravi del paese che hanno contribuito ad aggravare e che non hanno risolto e non potendo parlare dello spettacolo indecoroso offerto dalle divisioni di questa sbrindellata combriccola di persone tenute assieme soltanto dal desiderio di restare al potere, hanno inventato la diversione, parlano d'altro: parlano del conflitto di interessi come se negli ultimi cinque anni essi fossero stati all'opposizione o in esilio. Sono stati al Governo e la legge sul conflitto di interessi l'hanno votata alla Camera, per poi insabbiarla al Senato!
Per quanto riguarda la diversione, vi è una storiella che illustra molto bene tale concetto. Quando era in costruzione la metropolitana di Mosca venne invitata una delegazione del partito comunista americano a visitare i lavori. Ai delegati comunisti americani vennero mostrate la sala per le riunioni della nomenklatura, la sala per le assemblee sindacali e così via. Uno dei delegati chiese: «ma scusate, i treni dove sono?». Gli venne risposto: «zitto tu, parlami del massacro degli indiani d'America»! Questa è la diversione: parlate d'altro perché non potete parlare delle cose!
Avete voluto questa legge, facendo credere che volevate proteggere gli elettori da se stessi: volevate proteggere questi «pupilli» incapaci di decidere con la loro testa, che sarebbero stati sottoposti al lavaggio del cervello ove avessero assistito agli spot; in realtà, volete questa legge perché sapete che rischiate di perdere le elezioni! E lo avete detto, anche esplicitamente:


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pensate che, alterando le regole del gioco, riuscirete ad evitare di perdere le elezioni.
Credo che dovreste ricordare - mi rivolgo in particolare al sottosegretario Vita - l'imperativo categorico di Kant: dovremmo sempre comportarci in modo tale da supporre che il nostro comportamento possa essere assunto a base di una regola generale di comportamento. Quello che voi state facendo oggi potrebbe essere imitato domani; voi oggi state sostenendo che una maggioranza, solo sulla base dei numeri, può approvare una legge che l'opposizione reputa liberticida. Domani, potrebbe accadere a voi: un'altra maggioranza, con voi all'opposizione, potrebbe approvare una legge che voi potreste reputare liberticida. Questo non è un buon modo di procedere, onorevole Vita! Lei dirà che la legge non è liberticida; ma la stessa cosa dirà la maggioranza di domani perché, quando voi direte «questa legge è liberticida», la maggioranza dirà che non è tale.
Non basta: credo che voi dovreste tenere conto delle fondate argomentazioni che l'opposizione ed alcuni esponenti della vostra maggioranza hanno mosso a questa che è una legge liberticida.
Vorrei concludere rivolgendo ai colleghi delle sinistre lo stesso appello che Oliver Cromwell rivolgeva ai suoi nemici: io vi scongiuro, in nome di Cristo, di prendere in considerazione la possibilità che stiate sbagliando! Ritirate questa legge dettata soltanto da cupidigia di sopraffazione (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di Alleanza nazionale, e misto-CCD).

PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Bampo e Vitali, che avevano chiesto di parlare: si intende che vi abbiano rinunziato.
L'onorevole Lembo non è in aula, si intende...

PAOLO ARMAROLI. Il collega Lembo credeva che fra lui e l'ultimo oratore ci fosse ancora qualche minuto. È nei pressi.

PRESIDENTE. Se è nei pressi, per un istante aspetteremo.
Evidentemente si è allontanato.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Baiamonte.

ANTONIO LEONE. Onorevole Presidente, c'è prima l'onorevole Giovine, che sostituisce la collega Armosino.

PAOLO ARMAROLI. Signor Presidente, è presente il collega Landolfi al posto dell'onorevole Lembo. Era stato scambiato il turno e non ne era informato.

PRESIDENTE. Ho dato la parola all'onorevole Baiamonte. Dirimeremo dopo la questione.

VASSILI CAMPATELLI. Ovviamente, quanto è avvenuto non costituisce precedente!

PRESIDENTE. Onorevole Baiamonte, ha facoltà di parlare.

GIACOMO BAIAMONTE. Signor Presidente, quando, nel marzo 1994 il Polo vinse le elezioni si votava con una legge approvata nel 1993. Si trattava di una legge severa che intendeva porre un freno alle spese eccessive. Oltretutto, quella legge n. 515, oltre il limite di spesa per la campagna elettorale, introduceva anche un complesso sistema volto a regolare trasparenza ed equità di condizioni di accesso ai mezzi di comunicazione da parte dei candidati e dei movimenti politici.
Era una scelta politica per la quale il principio di parità di condizioni, in particolare durante le campagne elettorali, si realizzava evitando che il potere economico di un candidato prevalesse su un altro, ovviamente meno facoltoso, oltretutto imponendo regole precise per l'accesso ai servizi radiotelevisivi. A nostro parere, regola fondamentale di una legge che riguarda tale argomento è che salvaguardi alcuni principi fondamentali: innanzitutto, l'accesso gratuito per partiti, movimenti e candidati al servizio pubblico


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mantenuto con il canone pagato dai cittadini che, pertanto, hanno il diritto ad una informazione plurima senza pregiudizi e limitazioni ideologiche e temporali; poi, la previsione di prezzi adeguati e uniformi (fissati dall'autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni) per quanto riguarda le emittenti private, alle quali i politici candidati si possono liberamente rivolgere sapendo quanto dovranno pagare (avendo però un tetto di spesa come stabilito dalla legge a cui precedentemente facevo riferimento e che voi avete voluto nel 1993). Il tetto di spesa serve per evitare spese e visibilità eccessive da parte di chi può avere maggiori possibilità economiche, stabilendo possibilmente che il limite di spesa per i messaggi pubblicitari politici sia pari al 50 per cento del limite massimo fissato per la campagna elettorale. Credo che quella legge n. 515 operasse in tal senso, garantendo una certa par condicio. Se si voleva in buona fede migliorarla, si potevano proporre rimedi per renderla più precisa, magari con ulteriori integrazioni, precisando che era applicabile durante le campagne elettorali. A nostro avviso, infatti, aspetto fondamentale del problema rimane la massima libertà di comunicazione, signori della sinistra, tra i partiti, i politici ed i cittadini, unici titolari della sovranità in una democrazia rappresentativa e pertanto nel pieno diritto di sapere tutto con la massima chiarezza, rapidità e precisione. Questo è lo snodo fondamentale, ripeto, in un paese civile e democratico, per evitare l'allontanamento dei cittadini dalla politica.
È inutile precisare che, con il provvedimento che stiamo discutendo, signori della sinistra, quanto detto viene completamente stravolto, mentre clamorosa appare la disparità di trattamento fra stampa e televisione. Inoltre, vengono influenzati gravemente il confronto democratico e la libera espressione di pensiero, in quanto con il divieto assoluto, nei giorni che precedono le elezioni, si proibisce ad ogni attore politico di partecipare, con libertà di pensiero e di comunicazione, le proprie idee ed iniziative, anche per un confronto politico con l'avversario. Tutto ciò proprio nel momento in cui si chiede agli elettori e ai propri sostenitori un voto di consenso: vi pare equilibrato e giusto? A sostegno di quanto detto, ricordo che tre Presidenti della Corte costituzionale, che non sono senz'altro del Polo, Baldassarre, Caianello, Corasaniti, durante le audizioni in Commissione, hanno definito questo provvedimento anticostituzionale.
Quando si sostiene che la materia in esame non è priva di regolamentazione normativa, si dice senz'altro il vero, in quanto, proprio nella legge n. 515, esistono organi, autorità e procedimenti per l'assegnazione di spazi paritari a tutti i soggetti politici. È la prova che questo è vero e che, quindi, non è necessaria una nuova norma per colmare un vuoto normativo: la normativa esiste, signori, voi volete modificarla proprio perché volete una legge liberticida. A sostegno di ciò facciamo notare come nella legge in discussione non vi siano abrogazioni esplicite di quella parte della legge n. 515 che disciplina i provvedimenti ed i poteri di assegnazione degli spazi e di delimitazione, che sono completamente e totalmente regolati dal nuovo provvedimento.
Quella che è grave, signori, è chiaramente l'intenzione demolitiva dell'avversario politico, è grave il concetto che sia manipolativa e demoniaca la pubblicità politica e partitica, mentre non sarebbe manipolativa del consenso la propaganda politica e l'informazione del tipo di quella che fa il Governo attraverso la RAI. Ecco l'inconsistenza della vostra maniera di vedere le cose: da dati concreti, risulta che tale rapporto sia di 7 a 1, perché non si possono contare soltanto sic et simpliciter i minuti di audience. Infatti, se il Presidente del Consiglio appare per cinque minuti sulla Rete Uno della RAI ed il capo dell'opposizione appare per pari tempo su Rete Quattro, non è vero che sono alla pari, perché l'audience, cioè il livello d'ascolto, è caratterizzata da un rapporto di 8 milioni ad 800 mila ascoltatori. Ecco perché questa par condicio è veramente poco seria, è soltanto, ripeto, liberticida.


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Signor Presidente, colleghi, in un paese civile, l'uguaglianza e la libertà sono i cardini di una convivenza democratica - lo diceva poc'anzi il collega Martino - e, se l'uguaglianza è un principio che sempre più entra nel nostro paese attraverso la solidarietà ed il rispetto sociale (questo, puntualizzo, lo vogliamo anche noi, principalmente noi e non è, come sostenete, una vostra prerogativa), è il valore della libertà, principalmente di pensiero, che s'intende sacrificare con la normativa in esame che si vuole far cadere sulla testa dell'opposizione.
Quando si discutono e si assumo decisioni su tali provvedimenti, in democrazia, lo si fa coinvolgendo l'opposizione, non a colpi di numeri di maggioranza, signori. È questa la democrazia, sono questi la libertà e il vivere civile che volete? Credo che, così facendo - state accorti -, andiate verso un regime strisciante e quel che è peggio per voi è che i cittadini italiani se ne sono accorti.

PAOLO BAMPO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

PAOLO BAMPO. Signor Presidente, a causa di un imprevisto, non ero in aula quando sono stato chiamato per il mio intervento previsto, quindi chiedo che la Presidenza consenta la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo scritto del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Giovine. Ne ha facoltà.

UMBERTO GIOVINE. Signor Presidente, l'affermazione più volte risuonata in quest'aula da parte degli esponenti della maggioranza e del Governo, primi fra tutti il ministro Cardinale e il sottosegretario Vita, riferita al fatto che il provvedimento in esame sarebbe in linea con la normativa di altri paesi europei o addirittura sia più blando - come ha detto il Presidente del Consiglio -, è priva di fondamento. È priva di fondamento perché, come è stato già detto, la legislazione tedesca, ad esempio, quella britannica o quella francese prevedono la comunicazione politica televisiva autogestita.
Ma non è di questo che vorrei parlarvi, signor Presidente e colleghi, perché lo hanno già fatto in modo esauriente i valorosi colleghi relatori di minoranza, vale a dire quelli della nostra parte. Non voglio insistere sul carattere repressivo della comunicazione politica, di questa legge sbrigativamente denominata della par condicio; non voglio insistere sul fatto che si tratti di una par condicio presunta, di un provvedimento che abbiamo già denunciato, e non solo noi, come incostituzionale; voglio soltanto collocare questo provvedimento, questa presunta par condicio nel suo contesto. Mi riferisco a quello costituito dalla politica italiana, dai media italiani, dai nuovi media, anzi dal nuovo mezzo globale, la rete mondiale Internet.
Colleghi, l'Italia doveva diventare un paese normale, come affermavano gli esponenti del PCI, poi PDS, oggi DS alla vigilia del loro assalto al potere: «L'Italia deve diventare un paese normale». Ripeto, alla vigilia dell'assalto al potere, dell'interminabile viaggio nella notte italiana, che temiamo non avrà termine, se non quando la maggioranza virtuale, che detiene il potere, se ne sarà andata, si diceva da parte dell'attuale maggioranza che l'Italia doveva diventare un paese normale. Doveva diventare un paese paragonabile, nei suoi comportamenti parlamentari, sociali, economici, agli altri paesi europei. «Vogliamo fare dell'Italia - dissero l'attuale Presidente del Consiglio e l'attuale segretario dei Democratici di sinistra, cioè del partito egemone di questa virtuale maggioranza - un paese normale». Quattro anni dopo l'Italia è diventata un paese normale? L'Italia della par condicio è un paese la cui legislazione possa essere ragionevolmente paragonata a quella di altri paesi normali?
Nel dimostrare che non è assolutamente così, che l'Italia non è diventata un paese normale, cercherò di dimostrare


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come nel nostro paese, che tutto è salvo che normale, non si possa imporre una normativa che dovrebbe regolamentare un fatto importante come la comunicazione politica.
Signor Presidente, colleghi, anche soltanto per mettere mano - non dico come - nel campo delicato delle libertà, come ha ricordato il collega Martino, bisogna essere sicuri che intorno tutto sia visibile, trasparente, normalmente funzionante. Così assolutamente non è.
Dicendo di mettere la comunicazione televisiva, e quindi la comunicazione politica che avviene attraverso il mezzo televisivo, nel contesto dei media, cosa intendevo dire? La diffusione dei media cartacei è rimasta inchiodata alle cifre del 1996. Gli italiani che leggono un giornale quotidiano sono gli stessi di allora, quando la stampa non era libera e quindi presumibilmente veniva letta meno volentieri di quella libera di oggi. In questo contesto dei media tradizionali, altamente preoccupante ed anormale, si colloca il mezzo televisivo.
Non ho il tempo né le capacità professionali per svolgere un'analisi del perché in Italia non si leggano i giornali quotidiani, mentre la televisione viene guardata, eccome. Non posso fare un'analisi ma posso avanzare delle ipotesi per spiegare come l'anormalità nella diffusione dei media sia più grave delle numerose altre che il Governo e questa virtuale maggioranza non hanno fatto che peggiorare. Altro che far diventare l'Italia un paese normale!
Il modo in cui i giornali e i media fanno comunicazione e informazione politica è altamente distorto. Non si tratta dell'opinione politica dei direttori di testata o degli editori; è il loro atteggiamento verso la politica ad essere - uso una parola forte - quanto meno inquinato e distorto. Non esiste un paese normale ed europeo in cui la politica venga trattata nel modo deformato tipico della stampa italiana: pagine e pagine di politica che non aggiungono niente alla stringata informazione giornalistica che fa parte della cultura e dei canoni dell'informazione; pagine e pagine di parole, di pettegolezzi. Non voglio ridurre a chiacchiere i dibattiti parlamentari, ma nessun quotidiano che non fosse un bollettino della Camera pubblicherebbe parola per parola ciò che si dice in quest'aula; sono riportati i pettegolezzi, le chiacchiere, le sensazioni, quelli che in portoghese si chiamano i boatos, le voci che partono la mattina e talvolta non arrivano alla sera, ma che intanto creano una emozione artificiale nei rappresentanti dei media e, secondo loro, anche nei lettori.
Ma così non è. Queste presunte emozioni che le presunte cronache politiche dovrebbero provocare non sono tanto forti, visto che non spingono altri lettori a comprare i giornali; anzi i cittadini si allontanano dall'informazione stampata in cui si prende confidenza con i politici.
Mi riferisco alla stampa in cui il tal politico viene chiamato «baffino», l'altro «il cavaliere», il tale imprenditore «l'avvocato» o «l'ingegnere». Questo non è un modo serio di parlare di politica e di economia! Questo, dunque, è il contesto dei media, che passano da un estremo di sottomissione all'ambiente politico (tipico della informazione o, meglio, disinformazione che viene data) alla demonizzazione della politica senza via di mezzo: si va dalla prepotenza all'untuosità, a seconda dei momenti.
Questa informazione politica altamente distorta - non è questione di destra, di centro o di sinistra - ha un suo correttivo, nel nostro paese, solo nella comunicazione televisiva, che ha quelle caratteristiche di immediatezza che rendono impossibile la deformazione e garantiscono un equilibrio. A dirlo, quando non era ancora Presidente del Consiglio, fu proprio l'onorevole D'Alema quando, nella sua polemica dura e persino sguaiata contro i giornalisti, affermò che da quel momento in poi avrebbe parlato soltanto alla televisione. Questa è, dunque, l'opinione che l'attuale Presidente del Consiglio ha nei confronti dei media tradizionali italiani. L'onorevole D'Alema ha detto - esagerando come fa di regola - che non avrebbe più parlato ai giornali, salvo poi,


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una volta diventato Presidente del Consiglio, istituire una conferenza stampa ogni lunedì e poi eliminarla quando si è accorto che alle conferenze stampa, oltre che parlare, bisogna anche rispondere alle domande.
Non approviamo affatto un tale atteggiamento discriminatorio nei confronti dei media; prendiamo soltanto atto della grande importanza attribuita dall'attuale Presidente del Consiglio alla televisione. Non è una nostra invenzione, ma si tratta di dichiarazioni del Presidente D'Alema.
In questo quadro di anormalità dei media tipico dell'Italia, la televisione acquista ancora più peso per la scarsa rilevanza dei giornali locali in molte province e regioni italiane e per le caratteristiche distorte della cronaca politica nei grandi giornali a diffusione nazionale, al punto che lo stesso Presidente del Consiglio se ne è lamentato più volte. Colleghi, il Presidente del Consiglio dovrebbe essere sensibile al problema dei media, in quanto è egli stesso giornalista professionista. Egli è ancor più sensibile e, direi, suscettibile alla satira dei media: questo Presidente del Consiglio che - bontà sua - ha dato grande valore alla televisione in quanto mezzo attendibile in contrasto con la carta stampata ha querelato, a causa di una vignetta, uno dei più noti disegnatori ed editorialisti satirici italiani e gli ha chiesto danni per 3 miliardi!
Colleghi, se con questo disegno di legge si vuole imporre una par condicio, mi chiedo quale debba essere, nella carta stampata, la par condicio della satira. Quando un Presidente del Consiglio, che, data la sua posizione, è ovviamente il bersaglio principale della satira, chiede 3 miliardi di danni per una vignetta, ci si può immaginare quale sia il tipo di censura - o di autocensura - indotta da tale comportamento. Sappiamo bene che non ci sono limiti a quello che questo Governo, questa maggioranza e il partito che la dirige possono fare nel campo della riduzione dei diritti dei cittadini e, in questo caso, dell'opposizione!
La smania disciplinatoria e repressiva del Governo è enorme! Faccio solo un esempio, in quanto questa legge infausta è già stata adeguatamente illustrata dai nostri colleghi: in questa frenesia disciplinatoria, il Governo è stato talmente precipitoso e goffo che nella corsa a reprimere, a sopire e a tagliare la libertà di comunicazione televisiva, è inciampato malamente.
Ha persino inventato, proprio all'articolo 1, elezioni che non esistono. Per disciplinarle meglio tutte, ne ha inventate due, colleghi, che non ci sono, ma che sono scritte nel progetto di legge. Questo vi dà un'idea dell'animus di questo provvedimento. Infatti si legge, all'articolo 1, che la norma disciplina «l'accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, dei consigli delle regioni a statuto ordinario, delle regioni a statuto speciale, delle province autonome di Trento e di Bolzano, dei consigli comunali e provinciali, del sindaco e del presidente della provincia, nonché per ogni referendum». Il guaio è che in tutta questa serie di previsioni, che si conclude con il referendum, c'è un'elezione che non esiste: quella delle province autonome di Trento e di Bolzano. Vedete, colleghi, non esistono elezioni delle province autonome di Trento e di Bolzano, esiste l'elezione della regione autonoma del Trentino-Alto Adige, come tutti sanno in quella regione e come tutti dovremmo sapere in questa sede. No, per andare sul sicuro hanno inventato due elezioni che non ci sono, così verranno regolate anche quelle. Questo, si capisce, potrebbe essere un infortunio: no, è un episodio rivelatore di determinate intenzioni. Si inventano elezioni che non ci sono, pur di regolarle; si regolano i fantasmi, si regola il niente: oltre che l'etere, si disciplina l'aria! Un paese normale sarebbe questo, in cui si disciplinano elezioni che non ci sono, elettori che non vanno a votare, consigli che non vengono eletti?
Ricordavo prima il modo di vedere del Presidente del Consiglio circa i media. La sua dottrina e la sua concezione del


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mondo non si sono limitate al giudizio che ho già riportato sui media di carta, quelli tradizionali, e sul mezzo televisivo; no, con l'intenzione di regolamentare, di mettere un freno, di sopire, di tagliare, si è avventurato, il Presidente del Consiglio, anche nella rete mondiale, la world-wide web. Quando annunciò questo provvedimento, con un virtuale rullo di tamburi, in una di quelle precarie ed effimere conferenze stampa del lunedì, il Presidente del Consiglio, a chi gli chiese se si riferisse anche ad Internet, specificò che si interverrà anche su Internet. Vi segnalo che neanche il Governo della Repubblica popolare cinese, per ora, ha voluto o potuto regolamentare Internet: ma il Governo della repubblica popolare dei DS ci proverà! Se lasciamo passare questa legge, creiamo un precedente attraverso il quale si potrà tentare di regolamentare tutto e non rimarrà che appellarci alla frase evangelica secondo cui lo spirito soffia dove vuole, perché quello solo rimarrà libero in Italia.
Ho cercato di collocare questa infausta legge in un contesto, ho cercato di spiegare quale sia il contesto dei media italiani e quello della politica italiana ed ho anche detto che da parte del Presidente del Consiglio si è affermato che si tenterà di regolamentare la rete telematica mondiale. Ebbene, colleghi, a questo punto, dietro quella che il collega Martino ha definito l'untuosa ipocrisia predicatoria noi intravediamo un pericoloso disegno, un disegno che pretende di equiparare l'Italia - il che è impossibile - ad altri paesi normali e, attraverso questa equiparazione, intende far passare una «normale» disciplina del mezzo televisivo e della comunicazione che su questo mezzo per la politica viene veicolata.
No, colleghi, l'Italia non può sopportare una legge del genere, perché non è un paese normale. Il Governo italiano non è un Governo normale. La maggioranza che regge questo Governo non è una maggioranza normale. Ogni giorno che passa, con questo Governo, con questa maggioranza, con i decreti e con le leggi di questo Governo e di questa maggioranza, l'Italia si allontana vieppiù dalla normalità. L'Italia si allontana vieppiù dagli standard europei comunemente accettati. L'Italia sprofonda sempre più in basso nella classifica mondiale della libertà economica. L'Italia è in caduta libera nelle libertà civili, come dimostra il triste primato del nostro paese nelle reprimende e nelle condanne inflitte alla giustizia o, meglio, all'ingiustizia italiana dalla Corte di giustizia europea.
L'Italia non è un paese normale: l'unico paese europeo a guida postcomunista, comunista, neocomunista e cattocomunista; non può essere un paese normale un paese in cui ci si può permettere di imporre limiti e poi di imporre ancora altri limiti alla libertà di espressione e di comunicazione politica.
Questo, colleghi, collocato nel suo contesto, è il senso della nostra opposizione a questo provvedimento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Landolfi. Ne ha facoltà.

MARIO LANDOLFI. Assumo come buon auspicio la circostanza che a rappresentare il Governo ci sia il ministro Maccanico, che è stato titolare di quel dicastero delle comunicazioni che, di concerto con il Presidente del Consiglio, ha emanato, nell'estate scorsa, il disegno di legge sulla par condicio. Lo assumo come buon auspicio perché ricordo che con il ministro Maccanico abbiamo condotto qualche trattativa sulla conversione di un decreto-legge molto controverso, che riguardava la proroga delle concessioni radiotelevisive, convertito poi con la legge n. 650; ricordo anche quella molto più importante istitutiva dell'autorità per le telecomunicazioni in Italia. Ebbene, in entrambi i casi maggioranza e opposizione riuscirono a trovare un accordo, che infatti si manifestò in quest'aula sotto forma di astensione su quei provvedimenti.
Adesso non so, ministro, se dipenda dal fatto che lei non ricopre più l'incarico di ministro delle comunicazioni o perché è mutato il clima all'interno di quest'aula,


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ma sembra che non vi sia più la possibilità di trovare un accordo alto, un accordo nobile e importante su una materia così delicata come quella della par condicio, che riguarda la formulazione delle regole del gioco democratico. Quindi, appare davvero singolare che su una materia come quella che stiamo trattando si registri l'arroccamento, la chiusura a riccio della maggioranza rispetto ai problemi affacciati dall'opposizione nel corso del dibattito sulle linee generale. Anzi, chiedo scusa: non è stato un dibattito, è stato un monologo dell'opposizione sulle linee generali del disegno di legge. C'è stato qualche sporadico, rarefatto intervento dei colleghi della maggioranza, ma il resto, il grosso, la quasi totalità degli interventi sono a carico dell'opposizione. Lo stesso relatore, onorevole Massa, ha praticamente replicato in pochi minuti, senza accogliere nulla di ciò che l'opposizione ha detto. Eppure, se si andasse a leggere i resoconti sommari e stenografici dei nostri interventi in Commissione affari costituzionali e in aula, si troverebbe ben poco di ostruzionistico rispetto a questo disegno di legge; si troverebbero, invece, molti interventi nel merito del provvedimento che non sono stati tenuti in alcuna considerazione dalla maggioranza.
Mi auguro allora, ministro Maccanico, che la sua presenza qui, in questo momento, come rappresentante del Governo, possa costituire l'auspicio di ripresa di un dialogo. Non ho ancora perduto la speranza che si possa arrivare a un'intesa, anche perché ci è sembrato di capire che la stessa maggioranza sia in qualche modo imbarazzata nel difendere questo provvedimento, quasi si vergogni ad essere oggi avvinghiata ad un disegno di legge che sta mostrando tutte le sue pecche. Questo monologo, questa discussione sulle linee generali, ha evidenziato in modo sufficientemente comprensibile anche all'esterno i dubbi di costituzionalità con riferimento all'articolo 3 e, soprattutto, all'articolo 21 della Costituzione relativo alla libertà di espressione.
Si opera un'artificiosa e speciosa distinzione tra la libertà di pensiero e la libertà della sua espressione. Tutto ciò è già emerso dal dibattito, così come è emersa l'incongruenza e l'incoerenza di questo disegno di legge rispetto alle altre leggi che governano e regolano la materia a cominciare dalla n. 515 del 1993. Parliamo di una legge approvata appena sette anni fa, non di una legge di cinquanta o cento anni fa.
Abbiamo messo in luce l'incongruenza che rende sul piano strettamente tecnico di difficile comprensione e interpretazione ma, ancor più, di difficile applicazione il disegno di legge sulla par condicio. L'onorevole Giovine poco fa parlava addirittura degli strafalcioni in termini di elencazione delle elezioni.
Lo stesso Comitato per la legislazione, se qualcuno ha avuto la pazienza di leggerne il parere, ha invitato la Commissione affari costituzionali ad individuare le opportune modalità di coordinamento con le disposizioni già contenute nella citata legge n. 515 del 1993, relativa alle stesse materie che non risultano ricomprese nella prefazione disposta dall'articolo 11 del provvedimento oggi al nostro esame. Cito questi episodi proprio perché ci sembra di trovarci di fronte a problemi che non riguardano soltanto il coordinamento logico e formale del provvedimento, ma un testo che è frutto evidente della fretta con cui la maggioranza intende chiudere la partita dicendo: «arriviamo al dunque, stringiamo; non ce ne frega delle regole, ce ne freghiamo di quello che avete detto; non ci interessa la vostra opposizione, ma chiudere subito la partita perché le elezioni bussano alla porta e dobbiamo approvare una legge che non consenta alle opposizioni» - ma a anche a voi - «di far conoscere i programmi, i candidati, le storie e tutto ciò che contribuisce ad una campagna elettorale». Il provvedimento è, dunque, figlio della fretta di chiudere questa partita e della furia ideologica che caratterizza la maggioranza diessina confortata dal cortigiano apporto dei mastelliani e del ministro Cardinale.
Oltre a questi problemi, esistono questioni che rivestono un'importanza ancora


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maggiore e che pongono altre difficoltà. Mi riferisco proprio all'articolo 1, considerato che stiamo intervenendo sul complesso degli emendamenti ad esso presentati, che cita i soggetti politici cui si garantisce la parità di trattamento e l'imparzialità nell'accesso ai mezzi d'informazione per la comunicazione politica. Badate, è una questione molto seria perché riguarda proprio l'ambito di applicazione del provvedimento. Chi sono i soggetti politici? I partiti, i gruppi parlamentari, i partiti rappresentati nelle assemblee elettive, i movimenti, i comitati promotori dei referendum, i comitati che si oppongono ai referendum promossi dai comitati promotori? Qualcuno ci dovrebbe spiegare chi siano i soggetti politici cui fa riferimento l'articolo 1, chi sia il destinatario di questa norma!
È una questione niente affatto astratta soprattutto se riferita alla disposizione contenuta nell'articolo 3 del disegno di legge relativo ai messaggi politici autogestiti. In questo articolo, al comma 2, si stabiliscono le modalità e si fissa la durata in un tempo compreso tra i novanta secondi e i tre minuti, il tutto condensato e compresso in due contenitori quotidiani. Ho fatto, dunque, un rapido calcolo. Poniamo il caso che i soggetti politici siano non solo i gruppi ma le forze rappresentate in quest'aula ed in quella del Senato ed arriviamo a circa 34-35 soggetti politici, forse qualcuno in più. Stabilendo una media di due minuti al giorno (perché tra i 90 secondi e i tre minuti la media è di due minuti), si arriva ad un'ottantina di minuti per contenitore. Poiché i contenitori sono due, avremo 160 minuti da dedicare ai messaggi autogestiti dei partiti. Ebbene, vorrei sapere quale emittente locale sarà così stolta, così irresponsabile, così pazza da dedicare 160 minuti della propria programmazione quotidiana ai messaggi autogestiti dei partiti. Nessuna lo farà, tant'è vero che l'altro giorno hanno già protestato dicendo «no» a questa par condicio, «no» a questo provvedimento, perché non conviene. Ecco quindi quello che è stato fatto per la fretta di chiudere la partita ed in virtù di una furia ideologica che pregiudica tutto l'impianto normativo.
Non vi sarà allora alcuna emittente locale e quello che sembrava - così almeno mi auguro e spero - un segnale di apertura (diamo alle emittenti locali due contenitori e facciamo trasmettere i messaggi autogestiti) si rivela in realtà un rimedio peggiore del male.
Debbo pensare allora che la preclusione della maggioranza rispetto alla materia della pubblicità elettorale ed ai vari spot è di tipo ideologico, non di natura pratica; non c'è la volontà di valutare sine ira et studio il problema della pubblicità elettorale e degli spot elettorali. Vi è una preclusione di fondo, qualcosa che impedisce il normale confronto tra maggioranza ed opposizione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE (ore 13,27)

MARIO LANDOLFI. Penso che tutto questo nasca da un errore di concezione, da un vizio che caratterizza questa maggioranza rispetto allo spot televisivo, problema che è già stato affrontato in quest'aula, ma sul quale voglio tornare. Infatti, si sta facendo credere al cittadino che gli spot facciano vincere le elezioni, come se la telepolitica - che è importante e che sicuramente ha fatto crescere i leader, ha fatto conoscere nuovi volti, che di certo ha avuto ed ha una funzione rispetto alla politica - riuscisse ad esaurire tutto il discorso della politica e come se gli spot elettorali, da soli, riuscissero a far vincere le elezioni ad un partito.
Quando sono intervenuto l'altra sera nella discussione sulle linee generali ho fatto l'esempio di un senatore della maggioranza, proprietario di qualche emittente televisiva, che ha fatto gli spot elettorali per le elezioni europee, ma, nonostante quegli spot, è stato «trombato». Ho fatto anche l'esempio di un partito - i Democratici - che, sempre nelle consultazioni europee, ha ottenuto una lusinghiera affermazione ma che non ha fatto uno spot.


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Non vi è quindi una corrispondenza tra la vittoria elettorale e l'utilizzo degli spot nella campagna elettorale. Sapete perché? Innanzitutto, se così fosse, i partiti non lesinerebbero i mezzi per ricorrere agli spot. Che ci starebbero più a fare le sedi, le articolazioni periferiche, tutta l'organizzazione del partito sul territorio, il personale, i segretari di sezione, i presidenti di circolo? Non servirebbero più a nulla, perché per vincere le elezioni basterebbe commissionare ai migliori creativi in circolazione degli spot elettorali.
Ma è davvero così, c'è davvero qualcuno disposto a credere che l'aver trasmesso degli spot elettorali sia condizione necessaria e sufficiente per vincere la battaglia elettorale? Penso francamente di no, perché lo spot non può essere esaustivo di un programma politico, non può sostituire o surrogare la progettualità politica, non può essere qualcosa che assorbe in sé tutte le tensioni della politica. Lo spot è la fase terminale di un processo di avvicinamento che un partito compie verso un potenziale target elettorale, verso un potenziale elettore. Esso ha una forza non persuasiva ma evocativa; non riesce però ad evocare se prima non si è seminato in quella direzione. Se Alleanza nazionale, per avventura, decidesse di commissionare ai migliori creativi del mondo uno spot favorevole alla liberalizzazione delle droghe leggere - cosa che non accadrà mai -, pensate che uno spot del genere le porterebbe il voto degli antiproibizionisti? Io penso di no, perché è una battaglia che non fa parte del retroterra culturale e politico, della tradizione politica di Alleanza nazionale. Non riuscirebbe a fare niente perché non risulterebbe convincente rispetto al segmento elettorale antiproibizionista e, anzi, farebbe perdere dei voti, perché apparirebbe come uno snaturamento del partito rispetto al suo tradizionale elettorato.
Non è vero che gli spot, da soli, fanno vincere; essi rappresentano la fase finale di un processo di comunicazione che è fatto anche di altre cose, è fatto di manifestazioni, del vissuto, di prese di posizioni, di manifesti, di cortei. Le persone che stanno manifestando in piazza Montecitorio da tre giorni, che si danno i turni e che stanno affrontando anche condizioni metereologiche non favorevoli non sono uno spot, sono persone in carne e ossa, che stanno manifestando e che rappresentano qualcosa. Domani su questa manifestazione potrà farsi uno spot, ma lo si potrà fare perché c'è stato tutto questo; lo spot da solo non basta. Allora, perché non pensare a rivedere questo testo che non definirò liberticida, perché non mi piace usare espressioni forti, ma che è sicuramente illiberale, è sicuramente un testo che va a vietare là dove potrebbe regolamentare, che fa cadere la mannaia là dove, invece, basterebbe un tratto di penna per definire cosa si può e cosa non si può fare?
È stata tirata in ballo l'Europa, ma questa mattina il presidente Selva ha dimostrato come non sia vero che l'Europa è un monolite in termini di spot elettorali. Nello scorso settembre 41 ministri competenti hanno dichiarato che vi è la possibilità per le emittenti di trasmettere spot purché vi sia parità di accesso, parità di trattamento e riconoscibilità del messaggio. Quindi, non tiriamo in ballo l'Europa a sproposito.
Questa è una materia molto delicata, che va trattata, sì, ma va trattata con spirito bipartisan, va trattata con uno spirito di confronto tra maggioranza e opposizione e non con l'atteggiamento cui stiamo assistendo adesso: sembra un processo politico, tutto è già stato scritto, è già stato detto, è già stato deciso. Ciò che noi diciamo viene registrato, ma ieri il relatore non ha avuto neppure l'accortezza, la cortesia di recepire un messaggio venuto dall'opposizione, che, pure, ha fatto e sta facendo interventi nel merito. Non ci stiamo divertendo nel fare ostruzionismo, stiamo criticando l'impianto normativo dal nostro punto di vista; lo stiamo criticando ponendo questioni serie. Abbiamo presentato testi alternativi, abbiamo anche pensato a spot in linea con la tendenza bipolare del paese, incentrandoli, cioè, sulle coalizioni; abbiamo suggerito


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questa proposta alla maggioranza, ma non c'è niente da fare. È già stato deciso tutto. Quindi, il tratto illiberare è a monte: c'è una volontà tetragona di chiusura rispetto alle nostre proposte perché si è deciso che si debba andare alla campagna elettorale con la cosiddetta par condicio che, invece, è impar condicio, dal momento che la maggioranza difende due vantaggi: quello della preminenza sugli schermi del servizio pubblico, che è finanziato con i soldi dei cittadini per 2500 miliardi, e il vantaggio del territorio, quello della gioiosa macchina da guerra di occhettiana memoria, fatta di cinghie di trasmissione date dal sindacato, dal patronato, dal non-profit, dal terzo settore, che è finanziata dagli enti locali, dalle associazioni pseudoculturali, da tutta una struttura che ancora esiste, che nessuno ha smobilitato, nessuno ha smontato e che rimane lì in tutta la sua forza, in tutta la sua potenza e rappresenta un indubbio vantaggio che la sinistra ha sul territorio.
Noi stiamo cercando di introdurre nella nostra legislazione un elemento di modernità, qualcosa che metta davvero il nostro paese al livello degli altri. Non possiamo dimenticare che in materia di legislazione sugli spot televisivi c'è un «piccolo» paese, chiamato Stati Uniti d'America, che forse rappresenta qualche cosa nel novero delle democrazie del mondo e nel quale gli spot non solo sono consentiti ma, in qualche caso, sono diventati addirittura oggetto di collezione. Negli Stati Uniti d'America è addirittura ammessa la cosiddetta pubblicità negativa, cioè la possibilità di parlare contro l'altro candidato. Ciò sta già accadendo tra il sindaco di New York e la moglie dell'attuale presidente degli Stati Uniti. Nessuno ci può dire che sia un modello sbagliato o un modello non in linea con le tendenze. Stiamo parlando degli Stati Uniti d'America, della più grande, della più importante, della più forte democrazia del mondo. A me sorge il sospetto che tutto questo si faccia proprio per evitare quello che accade in America, in questa grande democrazia. Il ministro sicuramente ricorderà che quando ci furono le presidenziali che videro la vittoria di George Bush, quest'ultimo fece uno spot molto bello, molto indovinato, che poi lo portò alla vittoria, perché aveva seminato in quel senso, non per quello spot. Quando disse «guardate bene le mie labbra: mai più nuove tasse», convinse gli statunitensi a votarlo; successivamente, quella promessa del candidato Bush fu dimenticata dal presidente Bush ed egli non fu più rieletto.
Questa è la democrazia. Noi vogliamo introdurre questo tipo di democrazia, una democrazia dove il cittadino possa controllare, anche grazie a quello che è stato detto in campagna elettorale, ciò che effettivamente viene fatto dopo la campagna stessa. Ecco perché forse esistono due concezioni diverse che si stanno confrontando (lo dico tra virgolette) in quest'aula. Noi non abbiamo perduto la speranza che questo confronto possa esserci e che le posizioni che oggi sono così drammaticamente lontane possano riavvicinarsi nell'interesse non dell'opposizione ma del paese (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Becchetti. Ne ha facoltà. Credo che il suo sia l'ultimo intervento della giornata.

PAOLO BECCHETTI. Last but not least, mi auguro, Presidente!

PRESIDENTE. Questo era implicito.

PAOLO BECCHETTI. Beati gli ultimi, se i primi sono discreti!
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che abbiamo cominciato ad esaminare da ieri e che ha provocato la turbolenza di questi giorni (turbolenza interna all'aula e quasi nulla all'esterno, anche se vi sono state strumentalizzazioni ed enfatizzazioni) parte dall'erroneo presupposto che non vi siano regole o che le regole esistenti non siano né chiare né immediatamente applicabili. Le regole ci sono: vi è la legge n. 515 del 1993, vi sono i ripetuti provvedimenti del garante per


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l'editoria dopo la legge n. 249 del 1997 e vi sono i codici di autoregolamentazione delle varie aziende che svolgono il servizio radiotelevisivo. Quelle regole hanno già funzionato egregiamente a partire dal 1994, sono le regole poste con relatore l'attuale ministro Mattarella ed hanno funzionato sia allora che in altre competizioni elettorali; ma, con una schizofrenia degna di miglior causa, quando la sinistra vince le elezioni quelle regole vanno bene, quando le perde quelle regole vanno cambiate.
Quale sarebbe, dunque, il postulato culturale, ideologico che fa da substrato a questa proposta di legge che - lo dico senza alcun pudore - risulta anche in maniera esplicita dalla relazione? Vi è una distinzione fra libertà di pensiero e libertà di manifestazione del pensiero. La prima, la libertà di pensiero, secondo la concezione della sinistra deve essere protetta da suggestioni, cautelata, liberata da condizionamenti, coccolata dal papà partito, corretta e mantenuta nei giusti binari, per far sì che essa - la libertà di pensiero - possa essere sempre rassicurata dall'alito caldo e protettivo di mamma ideologia contro le aggressioni dell'unico «moloch» mediatico che ci sarebbe, cioè gli spot elettorali. Il resto non conta. I telegiornali della TV pubblica, i giornali radio della TV pubblica, la miriade di convegni, incontri, prediche, autocelebrazioni, spettacoli a scrocco per gli amici della sinistra, sedie, poltrone, stipendi, incarichi, commissioni, comitati, finanziamenti di pubblicazioni, affari, affari, ancora affari: tutte queste spregiudicate armi che la sinistra usa, a volte come una carota zuccherina e a volte come un veleno-ricatto, non sarebbero idonee a schiacciare le coscienze, a comprare voti, a stritolare - esse sì - il pensiero libero di chi è corruttibile o di chi ha semplicemente fame oppure non è un cuor di leone. Questo va bene, deve andare bene. L'unica cosa, invece, che può turbare le coscienze, obnubilare le menti ed i cervelli, indirizzare per buie ed oscure vie il libero voto sarebbe lo spot televisivo.
Il popolo, secondo la sinistra, è sempre stato bue e scemo, va indirizzato e corretto, non capisce e, quindi, non deve ascoltare gli spot perché lo inebetiscono. Tutto ciò è ridicolo e tragico per la sua stupidità: non è il popolo ad essere sciocco, ma è sciocco e presuntuoso chi lo crede tale, chi lo vuole educare, rimbambire, «rintontonire» di bugie, come fanno questo Governo ed i suoi servili sostenitori, che usano argomenti inconsistenti per tappare la bocca all'opposizione, che aspira all'alternanza e a mandare a casa questa «coalizione marmellata».
Nel corso delle vacanze natalizie, affetto dall'influenza, mi sono imbattuto in un gioco da tavolo che non sapevo nemmeno esistesse, dal nome Trivial pursuit, una specie di gioco dell'oca; non vi avevo mai giocato, caro Presidente, me ne dolgo. Ho scoperto cose molto simpatiche; alcune domande di storia chiedevano: «Quanti posti di lavoro ha promesso Silvio Berlusconi nel 1994?»; la domanda, invece, poteva essere: «Quanti lavori socialmente utili sono stati trasformati dal Governo D'Alema in posti reali?».

PRESIDENTE. Questa nella prossima legislatura.

PAOLO BECCHETTI. C'è di peggio, Presidente. Ad esempio: «Quante volte è stato indagato Silvio Berlusconi da Di Pietro?»; forse, siccome Silvio Berlusconi non è stato mai indagato da Di Pietro, la domanda più corretta poteva essere: «Quante volte è stato interrogato Prodi da Di Pietro?», considerato che poi Prodi è diventato Presidente del Consiglio con Di Pietro ministro dei lavori pubblici e che, adesso, Prodi è anche il capo del medesimo partito.
Possiamo proseguire ancora: «Quale giornale è nato con Nino Nutrizio ed è morto con Paolo Berlusconi?»; la domanda poteva essere: «Qual è il giornale di partito che riceve maggiori finanziamenti dallo Stato?». La risposta esatta sarebbe stata: «l'Unità». Ma c'è ancora una domanda peggiore. Il proprietario di Trivial pursuit, a fronte dei miei rilievi, si


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è lamentato sostenendo che vi era anche una domanda nella quale si chiedeva in cosa D'Alema fosse accomunato ad Hitler (forse così si spiegano i cartelli di ieri, contro i quali D'Alema stesso si è lamentato). La risposta è rassicurante: oltre ai baffi, solamente la data di nascita (il 20 aprile, naturalmente di anni diversi). Anche questo è un messaggio subliminale, anche questo è un modo di fare campagna elettorale, signor Presidente, cari colleghi.
Che stiano tranquilli: il voto degli italiani sarà comunque, oltre che personale anche libero, oltre che uguale anche consapevole, come vuole l'articolo 48 della Costituzione; ce ne accorgeremo già con le elezioni regionali, spot o non spot.
Vi sono, poi, altre questioni da affrontare. È falsa l'affermazione secondo la quale il Polo e Forza Italia non vorrebbero regole e par condicio. Le proposte di legge presentate dal Polo non partono dal falso ed arrogante presupposto della stupidità del popolo, ma da quello opposto, ossia che le restrizioni normative in chiave elettorale debbano corrispondere a due semplici requisiti, quelli della ragionevolezza e della proporzionalità e, dunque: equa ripartizione dei tempi fra maggioranza e opposizione - fra poli, non fra partiti: se voi, invece di essere otto, diventate sedici, non potete pretendere di avere sedici spazi elettorali contro i tre o i quattro del Polo -, spazi autogestiti, libertà della forma della comunicazione, limitazione delle spese al netto di quelle elettorali. Se così non fosse, rinunciamo alle spese elettorali: le avete volute voi perché sono una forma surrettizia e nascosta di finanziamento dei partiti, dovendo ancora mantenere una pletora di dipendenti, avendo ancora un «corpaccione» pesante con il quale dovete fare i conti. Mi riferisco, in particolare, ad un partito piccolo, ridotto all'osso, come il Partito popolare, che mantiene ancora una pletora di dipendenti e che sostiene spese folli per tenere in piedi un partito che è come un corpo gracile, in considerazione dell'elettorato che ancora oggi lo gratifica del voto.
No ai divieti generalizzati: era questa l'impostazione delle proposte di legge di Forza Italia. La distinzione bizantina, capziosa, manichea fra pubblicità e propaganda (la prima da vietare, la seconda da valorizzare) si regge su presupposti sociologici e psicologici fallaci, frutto di una concezione antilibertaria, signor ministro. La pubblicità svolge una funzione evocatrice: è breve, senza necessità di motivazioni, lasciando libertà al vaglio critico del destinatario. Essa non pretende di essere persuasiva, ma sollecita quei ragionamenti che o già esistono o non esisteranno nella mente del percettore. Il popolo ha già le idee, non se le forma con lo spot elettorale o con i convegni.
La propaganda, invece, affida ai propagandisti (lo dice la parola stessa) - non ho nulla contro di loro -, a convegni, a dibattiti, a tavole rotonde il compito di spiegare, convincere, catturare il consenso (cioè cosa buona e giusta), imbonire, sbattere i piatti da vendere alla fiera del voto, ma con uno scopo perverso in più: portare chi ascolta (credetemi, questo è ciò che «annusiamo» stando in mezzo alla gente), il cittadino elettore, a livelli così abissali ed intollerabili di noia, di insofferenza, di distacco dal linguaggio «partitese», «politichese», «burocratese», «sindacalese», «parlamentarese», da allontanarlo dalla politica.
Dunque, questo è quanto vuole la sinistra: un popolo sciocco da educare oppure un popolo colto da annoiare e da allontanare dalla politica. In questo quadro si completa quella normalizzazione che la sinistra ed i suoi alleati - affetti dalla sindrome di Stoccolma: anche lei, signor ministro Maccanico, lo è, purtroppo - vogliono, con un popolo disinformato e narcotizzato dalla TV di Stato, da guidare dal partito-Stato-padre-chioccia.
Quello della par condicio è uno strumento per imbavagliare e zittire le opposizioni, quando diventano pericolose, si avvicinano alla vittoria elettorale, che provoca una benefica alternanza; questa opposizione non accetta supinamente, mansuetamente e debolmente, di stare lì a


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coprire quella casella dell'opposizione, che legittima e rende credibile un simulacro di democrazia che questa sinistra del PCI-PDS-DS vorrebbe senza una reale e concreta alternatività e alternanza e senza soluzioni di continuità. Il dirigismo, lo statalismo, l'attitudine mentale vetero-stalinista e stalinista porta questa sinistra a pretendere perfino di costruirsi l'opposizione a propria misura, convenienza e somiglianza!
Il disegno di legge sulla par condicio è diretto senza ombra di dubbio contro Silvio Berlusconi e contro il sistema dell'informazione televisiva privata e libera. Lo dice, anche questo senza pudore, la relazione di accompagnamento del disegno di legge governativo del ministro Cardinale, dove si legge testualmente quanto segue: «laddove ben tre reti sono di proprietà del leader dell'opposizione in presenza di una situazione irrisolta di conflitto di interessi (...)». È quindi un brodo nel quale si mescolano i due problemi: ciò dimostra che non era vero quanto affermava ieri sera il sottosegretario Vita nella trasmissione Porta a porta quando ha usato le seguenti parole: «no, parliamo di cose separate, Vito e Franceschini». No, le questioni sono congiunte, solamente che la legge sul conflitto di interessi noi l'abbiamo proposta e voi la tenete staggita «in frigorifero» al Senato da tre anni.
Nella relazione si aggiunge poi la seguente considerazione: «l'incidenza, indubbiamente verificatasi nelle campagne elettorali per le europee, degli spot (...)». La maggioranza confessa quindi che, il fatto che abbia perso le elezioni europee, è un motivo per fare una legge contro l'avversario, peraltro senza concordarla con l'avversario! Questi sono tutti segnali chiari ed inequivocabili della volontà di fare una legge ad personam, cioè contro Silvio Berlusconi e la sua forza politica, quando l'aria che tira fa capire che il popolo vuole cambiare. Eppure, basta chiederlo. Più di una volta hanno dichiarato che il proprietario delle tre reti televisive ne ha una che non fa politica, cioè Italia Uno; un'altra, Canale 5, che è piena di personaggi che, autonomamente, legittimamente (in maniera assolutamente legittima), si dichiarano sostenitori del centrosinistra (penso a Costanzo, a Mentana, a Ricci, a Gori e via dicendo) e fanno trasmissioni di ogni genere. Essi, più di una volta, hanno dichiarato che mai una sola volta hanno avuto la necessità di obbedire ad un input di Berlusconi, che li ha sempre lasciati liberi di fare la televisione che hanno voluto, quando hanno voluto e contro chi hanno voluto, compreso Santoro!
Ed allora, gli uomini della sinistra non capiscono, non vogliono capire che il popolo ha le tasche piene della loro inconsistenza, delle loro risse continue per occupare e spartire sedie e poltrone. Non solo, ma è stanco dei ribaltoni, dei trucchi antidemocratici e antipopolari per mantenere il potere, costi quello che costi! La gente della sinistra non capisce che gli spot non c'entrano un «fico secco», che tappare la bocca alle opposizioni non servirà a un bel niente e non avrà alcuna utilità se non quella di creare questo clima di tensione, nel quale poi diventa difficile trovare intese per fare riforme che il paese aspetta e diventa impossibile occuparci in quest'aula delle vere questioni che riguardano il nostro paese (la disoccupazione, il lavoro e così via). Ci stiamo invece snervando da dieci giorni su questa vicenda!
Questo disegno di legge diverrà legge (se diverrà legge: e questo è un dato che mi preme molto sottolineare) con i voti determinanti dei deputati dell'UDEUR, sulla base di un testo approvato, preparato e sponsorizzato da Cardinale, ministro ex del Polo! Io lo considero un «trasfigurato politico», una specie di Tristano con i baffi e con qualche inflessione dialettale di troppo: Tristano parlava un tedesco ortodosso, mentre il nostro ministro parla un siciliano esagerato.
Ai colleghi della sinistra che l'altro ieri sera applaudivano Comino, al quale va tutta la nostra considerazione, quando invitava i suoi ex colleghi della Lega ad essere coerenti (ci fa piacere che i colleghi della Lega abbiano aperto gli occhi e


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abbiano l'onestà intellettuale di dirlo e di riconoscerlo), a quei colleghi della sinistra plaudentes, e sempre plaudentes, chiedo di fare una riflessione sul Mastella-pensiero nel 1995, nel 1996 e nel 1997 su questi temi, di andarselo a rileggere e di rivisitare il pensiero del ministro Cardinale, ammesso che ne abbia, visto che il vero interlocutore su questa vicenda è stato, è e sarà anche nei prossimi giorni il sottosegretario Vita che ha un preciso mandato del suo partito politico di portare questa legge all'approvazione prima che si svolgano le elezioni regionali, rinviate da marzo ad aprile proprio per fare in tempo.
Dopo di che, auguri e spot maschi a questa maggioranza!
Consentitemi di ricordare il mio indimenticabile insegnante di latino. Vedendovi a fianco di Mastella in queste battaglie ricordo che, quando qualcuno di noi faceva lo «scimunito» in classe, il professore diceva: asinus asinum fricat.
La tragedia, per parafrasare la terza Ode Pitica del divino Pindaro è che con questa legge Cardinale e la sinistra di cui egli è cantore, diceva Pindaro, aspirano alla vita immortale, sia per la bellezza del loro operato, sia per la lunghezza della loro durata al potere mentre il popolo, cari signori, si aspetta solo, riprendendo ancora la terza Ode Pitica di Pindaro, che voi esauriate il campo del possibile.
Noi non potremo votare né l'articolo 1 né il resto della legge. È una legge che parte con una menzogna e cioè quella che consiste nella dichiarazione teleologica iniziale, cioè le finalità della legge, quali quelle di voler garantire la parità di trattamento e l'imparzialità nell'accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica. Dopo di che, per garantire questa parità essa vieta uno dei mezzi di comunicazione, quello che meno annoia gli elettori, per allontanarli.
Il problema è che voi, signori della sinistra, non avete nulla da dire su ciò che farete per il paese perché la gente ha già visto e capito quello che siete e siete stati capaci di fare fino ad oggi.
Resterebbe da dire qualcosa su altre risibili argomentazioni quali la regolamentazione in Europa. Stamattina il presidente Selva ha smascherato le bugie del sottosegretario Vita illustrandoci come funzionano le cose in Germania. Come funzionano negli Stati Uniti d'America lo sanno tutti. Vi è poi l'altra argomentazione che gli spot arricchirebbero Berlusconi e altre banalità di questo genere.
I colleghi di Forza Italia e del Polo hanno già smontato le infantili motivazioni, peraltro patrimonio di colleghi della sinistra più sprovveduti sul piano culturale e argomentativo (mi riferisco a Palma e ad altri che hanno parlato a braccio su queste cose, ripetendo in maniera tralaticia argomenti già detti più di una volta).
I muscoli della potenza economica, caro relatore di maggioranza, tanto per riferirci a quello che ha scritto il collega Massa, sono quelli di un partito, il PCI-PDS-DS che ha ancora migliaia di funzionari e una televisione pubblica tutta occupata.
Caro Massa (che non c'è adesso), che nel suo apologo automobilistico l'altro giorno ha paragonato la corsa a quella di una Ferrari contro una Fiat, l'esempio non regge perché, per restare dentro l'apologo automobilistico, forse lei correrebbe con una Fiat Punto, ma con il motore truccato, e soprattutto perché lei, quale direttore di corsa, vuole fissare la regola per cui alla Ferrari (che nella fattispecie saremmo noi) vuole togliere la benzina e bucare le gomme. Questa è la legge sugli spot elettorali, appunto la par condicio, quella parità che vi addurrà, per rimanere ai brocardi giuridici, in pari causa turpitudinis: pari tra voi del centrosinistra, prepotente e baro e pure violento perché la violenza è quella di questa legge e non è quella che si è vista ieri, qui fuori, dove c'era gente mansueta, pensionati, ragazzi, giovani, donne. Castagnetti è passato ed ha ricevuto qualche fischio, magari anche qualche sberleffo, e ieri si è addirittura scomodato il Presidente del Consiglio.
Il dibattito che si è svolto in aula ieri sulle monetine che hanno rischiato di


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graffiare l'auto di Castagnetti mi hanno ricordato, tanto per rimanere agli squadristi, la presa al collo stile karate fatta da D'Alema al Gabibbo con la copertura di qualche gorilla perfino pagato dallo Stato. Questa è la violenza secondo noi!

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15 con lo svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15.

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