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La seduta, sospesa alle 19,35, è ripresa alle 20,35.
PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame dell'articolo 1.
ALFREDO BIONDI. La ringrazio molto, signor Presidente, per aver detto quello che ha detto e che l'Assemblea ha ascoltato. Peccato che nelle agenzie l'onorevole Paissan, che evidentemente non è abituato a leggere interamente le carte, mi abbia attribuito un atteggiamento passivo. Vede, signor Presidente, io sono un vecchio parlamentare, e sapesse come tengo a vincere la mia forte capacità polemica - me lo dico da solo - quando sono seduto a quel banco! E di solito ci riesco. Non è uno sdoppiamento della personalità: è il senso della responsabilità. E credo di essermi guadagnato in tanti anni qua, con i Presidenti con cui ho avuto il piacere di collaborare, almeno questo riconoscimento, non di qualità ma di attitudine a non trasformare i sentimenti in atti che non rispondano all'esigenza di una - questa veramente sì - par condicio nei confronti di tutti.
maledizioni che mi hanno mandato persino i magistrati quando ho fatto un decreto del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)? Ho avuto il coraggio di non avere paura e di prendere una posizione più o meno popolare. Mi sono sentito insultare per le strade e uscendo dal Parlamento, ma non ne ho fatto un caso, signor Presidente. Me ne sono rammaricato con gli avversari che amo, che stimo e che considero amici anche quando le posizioni siano diversificate. Lasciatemi perciò pronunciare la parola «liberale» senza avere paura di presentare le credenziali del nuovo conio o le posizioni acquisite dopo militanze dove il liberalismo era considerato un delitto.
portare fortuna è il quadrifoglio, il trifoglio un po' meno), vi lasciasse, avreste già pronte le truppe di sostituzione. Lo avete fatto per tutto questo tempo, avete salutato «Kossiga» con la kappa come un liberatore della maggioranza ed oggi, che ha avuto una visione «retrattile» rispetto alla posizione precedente, lo considerate già come prima un personaggio che assume atteggiamenti diversi.
quindi anche poco, ma di non chiedere di più di quello che la sua militanza politica gli ha consentito di realizzare quando era difficile essere eletti in un piccolo ma grande partito quale il partito liberale, permettete di dire che non ho mai cambiato opinione e che credo di far valere le opinioni liberali anche nel più vasto movimento di Forza Italia. Mi vanto di questo, lo sento come un mio impegno, lo considero un compito che voglio svolgere in questa fase, che forse è il crepuscolo della mia attività politica. Ma il crepuscolo a volte lancia dei raggi lunghi, che consentono di vedere i profili delle cose; e i profili delle cose sono tristi, come quello che siamo costretti a fare, cioè a parlare senza essere ascoltati, ma almeno rispettati per la sincerità del nostro modo di fare.
PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Biondi.
ALFREDO BIONDI. Ho finito, Presidente. In vostra compagnia il tempo vola, dissi una volta all'onorevole Paolone, il quale era spiritoso e non se la prese (conosco altri che lo avrebbero fatto).
PRESIDENTE. Colleghi, segnalo che dovrò togliere la parola allo scadere esatto dei 20 minuti. Siccome credo che non tutti riusciranno a parlare, se tutti gli altri non rispettano i tempi, qualcuno potrebbe venir privato del diritto di parlare.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Maiolo. Ne ha facoltà.
TIZIANA MAIOLO. Signor Presidente, signori del Governo e signori deputati, desidero ringraziarla in modo particolare perché lei, Presidente, aprendo la discussione prima della sospensione della seduta, ha voluto tutelare e difendere i diritti e le libertà di questo Parlamento e di ogni singolo parlamentare. Ha fatto bene, penso che chiunque di noi fosse stato al suo posto avrebbe dovuto fare lo stesso.
lamentava il fatto che il TG1, cioè la RAI, abbia dato spazio alla manifestazione di un partito. Sono scandalizzata di questo perché - scusatemi - voi proprio dal TG1 fruite di maxi spot quotidiani. Il deputato Taradash si è lamentato perché non compare mai in televisione; stamattina alcune signore, che non erano in pelliccia perché l'elettorato di Forza Italia, il popolo di Forza Italia, è molto popolare, in gran parte composto da persone semplici (i salotti aristocratici sono appannaggio di altre forze politiche), mi hanno detto: «Signora, è un po' di tempo che non la vediamo in televisione». Sono due anni e mezzo che non vado in una televisione, ma non mi lamento, per carità, non credo di essere così importante. Ho detto questo per sottolineare che, se il TG1, una volta ogni tanto, quando vi è una manifestazione che riteniamo importante - credo che da un punto di vista giornalistico la notizia vi fosse, o bisognava censurarla? Me lo dica lei, sottosegretario Vita - ne dà notizia, non bisogna criticarlo.
altrimenti, avrei paura di perdere (dovreste riflettere sulla questione anche in termini psicologici, oltre che politici).
PRESIDENTE. Onorevole Leoni, questa sera lei è irrefrenabile: lasci parlare la collega Maiolo.
TIZIANA MAIOLO. Come può constatare, io canto come un usignolo, nel senso che la mia voce si sente.
PRESIDENTE. Mi scusi onorevole Maiolo.
TIZIANA MAIOLO. Dicevo che il secondo imbroglio lo rilevo quando mi si dice che quella in esame non sarebbe una legge che prevede divieti (vi sarebbe addirittura da ridere) ma una normativa che promuove la comunicazione politica - questo lo ha addirittura detto D'Alema - nella forma adeguata. Scusatemi, colleghi, io non ho dei trascorsi nel partito liberale, anche se oggi si dichiarano tutti liberali, tranne Rifondazione comunista che almeno mantiene alta la propria bandiera.
DOMENICO IZZO. Meno male che non abbiamo te!
TIZIANA MAIOLO. E poi si parla dell'Europa. Prima, il presidente Biondi ha elencato alcuni casi. Ma scusate, perché dovete imbrogliare i cittadini in questo modo, brutti pinocchi che non siete altro, con il naso lungo?
delle libertà (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.
ROSANNA MORONI. Signor Presidente, sulla par condicio in questi mesi si è detto molto, al punto che è quasi imbarazzante ripetere giudizi e concetti già espressi in numerose sedi. Allo stesso tempo è però impensabile non ribattere all'abuso martellante, ossessivo di aggettivi come illiberale e liberticida. È impensabile tacere di fronte allo scandaloso sproloquio di chi, per difendere chiari interessi e privilegi di parte, offende la comune intelligenza dicendosi vittima di un regime.
informazioni, come strumento mediante il quale si forma convinzioni. Sappiamo inoltre molto bene dagli esempi storici del Novecento che la costruzione del consenso avviene innanzitutto attraverso i mezzi d'informazione e che il fascismo in Italia seppe impiegare magistralmente gli strumenti della comunicazione dell'epoca.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Martusciello. Ne ha facoltà.
ANTONIO MARTUSCIELLO. Signor Presidente, il provvedimento di cui stiamo discutendo stasera purtroppo ha un'inquietante e odiosa matrice cronologica: la vittoria del Polo alle ultime elezioni europee. Fu allora che il Governo e la maggioranza che lo sostiene, esacerbati e frastornati per la sonora sconfitta ed evidentemente incapaci di un'autocritica che fosse in grado di portare un contributo a quello che poteva essere un confronto sereno ed un dibattito ferrato, pensarono di mettere il bavaglio a chi aveva avuto, oltre che nuove idee e proposte politiche credibili, dinamismo nel comunicare e, soprattutto, aveva aperto gli occhi agli italiani, denunciando carenze, inadempienze e incapacità che l'azione politica del Governo di centro sinistra aveva dimostrato. Tutto ciò avvenne, come è stato ricordato autorevolmente dall'autorità garante per le comunicazioni, nel pieno rispetto della legge.
quelli che essa stessa si è data con le regole fondamentali fissate nella Carta fondamentale, nella Costituzione.
È stato anche detto, a favore di questo mostro liberticida che si vuol far passare, che esso serve a tutelare chi non ha risorse finanziarie sufficienti. E questo, ironia della sorte, è stato detto proprio dai Democratici di sinistra, cioè, coloro i quali per canali vari e spesso tortuosi e nebbiosi dispongono forse del maggior patrimonio mobiliare ed immobiliare ed usufruiscono del maggior contributo pubblico. È vero che alcune ricche e generose fonti sembrano essersi inaridite, ma rimane il fatto che i Democratici di sinistra sono sempre coloro i quali hanno avuto la maggiore capacità di spesa. Per gli altri partiti o movimenti è stato finora solo un problema di scelta fra spesa per la comunicazione ed altri diversi impieghi.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cerulli Irelli. Ne ha facoltà.
VINCENZO CERULLI IRELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, che l'accesso
ai mezzi di informazione per la comunicazione politica, tanto in via generale, quanto particolarmente durante le campagne elettorali, debba essere regolamentato, è una convinzione diffusa ed un dato indiscutibile. Probabilmente, se guardassero alle loro personali convinzioni o alla loro competenza professionale, tale convinzione sarebbe comune anche ai colleghi del Polo, qualora ciò non costituisse una questione esclusivamente di carattere politico da affrontare al di fuori di qualunque motivata riflessione.
spot, insomma il volto che dalla televisione enuncia seccamente delle verità o il volto che compare silente sul video, onorevole Massa, magari imbavagliato, sono anch'essi messaggio. Ciò sia ben chiaro, ciò sia chiarito. Riteniamo che queste apparizioni, magari ripetute più volte nel corso della giornata, intramezzate in altri programmi, che giungono al cittadino nei momenti più diversi, senza alcuna programmazione anticipata, senza nessun confronto con altre opinioni, siano un messaggio non idoneo in sé a consentire al cittadino singolo e alla collettività nazionale nel suo complesso l'acquisizione della necessaria consapevolezza della pluralità delle opinioni e dello spessore effettivo dei problemi sul tappeto, così da consentirgli una completa espressione di un libero voto. Ciò non significa, colleghi, che questo particolare mezzo sia da demonizzare o che debba essere sempre e comunque escluso. Assolutamente no! Ma, considerata la sua particolarità, che lo pone in contrasto con il carattere che la comunicazione politica deve avere al fine di consentire al cittadino l'espressione libera e consapevole del voto politico, questo mezzo deve essere regolamentato nei tempi, nelle modalità di accesso, nella distribuzione degli spazi nell'ambito della giornata televisiva, nella programmazione anticipata e così via, come deve essere regolamentato nei costi e nei prezzi; lo dimostra l'esempio che facevo prima.
nella sostanza favorevole sotto i profili sia della costituzionalità sia dell'opportunità politica e, vorrei dire, anche e soprattutto civile. A noi questo testo sembra un passo significativo sulla buona via; potrà essere corretto, migliorato e perfezionato in futuro, ma per adesso ci pare un intervento legislativo necessario e sommamente utile al nostro confronto politico.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Deodato. Ne ha facoltà.
GIOVANNI GIULIO DEODATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dalle parole dei deputati che sono intervenuti finora nel dibattito si può dedurre che tutti concordano sulla necessità di tutelare e di regolare in modo adeguato i diritti di libertà, che poi è il compito fondamentale del Parlamento. Il provvedimento sulla cosiddetta par condicio, però, che sembra finalizzato ad operare una ritorsione politica nei confronti dell'opposizione dopo la sua vittoria alle ultime elezioni europee e che la mia parte politica anche per questa ragione avversa in maniera netta e decisa, solleva seri e fondati dubbi di legittimità costituzionale. Sono convinto che, se in quelle elezioni il risultato fosse stato diverso, non saremmo qui a parlare ora di questo disegno di legge, che è tornato in mente al Governo tre anni dopo solo perché la sinistra ha perduto le elezioni.
e per coloro i quali con passione si impegnano politicamente. Perché, allora, questa demonizzazione verso un mezzo di comunicazione a cui ricorrono tutti coloro che vogliono farsi conoscere e che tutto sommato, per la sua brevità, ha anche costi accettabili? È superfluo ricordare che agli spot ricorrono non soltanto i commercianti di detersivi, come in modo spregevole ha affermato l'onorevole D'Alema, ma sempre più spesso la stessa chiesa cattolica per sollecitare un giusto contributo, le organizzazioni umanitarie e lo stesso Governo per le campagne contro la droga e la sicurezza stradale. Ebbene, perché non consentire allora gli spot ai partiti politici?
di dialogo. In sintonia con il mio gruppo, quindi, ribadisco la mia netta contrarietà al disegno di legge in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cicu. Ne ha facoltà.
SALVATORE CICU. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, credo che in queste ore il paese e quest'aula stiano vivendo un confronto importante e vitale per quella che dovrebbe essere ancora una volta la rappresentazione della democrazia, la quale dovrebbe stabilire delle regole in un confronto paritario. Noi siamo convinti, invece, che attraverso questa legge si voglia eliminare nel paese il confronto delle idee.
possibilità e la capacità di valutare, che gli italiani non hanno la maturità di capire quali progetti, programmi, mezzi, situazioni e rappresentazioni possano essere i più idonei a trasferire un messaggio politico, un contenuto politico.
caso!) e da quelle politiche (guarda caso!), questa maggioranza - minoritaria nel paese - tenta il tutto per tutto al fine di imporre le sue regole capziose ed illiberali.
che oggi siedono in questo Governo che aizzava quella folla contro di me, definendomi fascista.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cicu.
CARMELO CARRARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, non basta dire, così come è stato fatto da parte di qualche esponente «buonista» della maggioranza, che questo provvedimento non elimina gli spot ma li regolamenta, perché tutti sappiamo bene che non è sul corretto uso degli spot che si gioca questa partita politica, questa prima sfida del 2000 all'opposizione ed al suo leader.
ma è impossibile che sia concepito, in uno Stato veramente democratico, che dovrebbe mettere al centro il primato della persona e della sua libertà, azzoppare il proprio bersaglio politico negandogli la possibilità di cercarsi, non certamente con il potere dello Stato, il consenso elettorale. Ieri, abbiamo avuto l'ennesima riprova di quanto per la maggioranza abbiano poco peso i valori etici: la maggioranza non ha inteso ragioni di fronte agli evidenti vizi di incostituzionalità del provvedimento in esame, che è in aperta violazione degli articoli 3 e 21 della Costituzione.
fatto che la legge giace al Senato ormai da quasi due anni, per volontà del Governo e di questa maggioranza.
sogna certo un grande inferno tra i viventi dei prossimi anni (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pampo. Ne ha facoltà.
FEDELE PAMPO. Signor Presidente, se in questa fase dei nostri lavori limitassi il mio intervento all'approfondimento di taluni aspetti di incostituzionalità che emergono dal provvedimento, non sbaglierei. Se lasciassi cadere la mia attenzione sulle contraddittorietà insite nel disegno di legge, apporterei un contributo di chiarezza nel dibattito. Se manifestassi in sintesi il mio pensiero in ordine agli elementi che la maggioranza sostiene in appoggio alla norma in esame, non ci sarebbe nulla di male. Tuttavia, ritengo che non apporterei alcun contributo di novità alla discussione per la semplice ragione che altri colleghi, prima e meglio di me, hanno affrontato e sviscerato quanto c'era da evidenziare in tal senso.
giacché a pagare è sempre il popolo italiano, mentre ad avvantaggiarsene sono state solo e soltanto le forze politiche che hanno gestito il potere. Proprio contro questo tipo di informazione il popolo italiano nel 1995, liberamente e democraticamente, con oltre il 60 per cento dei voti, disse sì alla privatizzazione della RAI. Questo fatto e la scelta di democrazia degli italiani sono rimasti però nel dimenticatoio. Non si parla, non si discute, non si costruiscono leggi sulle scelte operate dagli italiani. E la colpa di chi è? Vivaddio di coloro che gestiscono il potere dell'informazione facendo pagare al popolo italiano il famigerato canone! Se il servizio pubblico avesse offerto servizi utili a tutti, forse non staremmo qui a discutere, e se il servizio pubblico avesse offerto l'informazione corretta, chiara, equidistante da tutto e da tutti non staremmo qui a confrontarci così aspramente.
valutazioni nei confronti degli assenti, ma a Enzo Biagi però vorrei chiedere, avendone egli avuto l'età, come si sia comportato allorquando il Governo italiano inviava in guerra tanti giovani. Dove scriveva e che cosa, soprattutto, scriveva? Quali furono le sue reazioni a questo tipo di comportamento? Inoltre, vorrei pregare Enzo Biagi di accertare un dato e di approfondire un aspetto prima di parlare di AN: il dato è l'età media della classe dirigente del gruppo parlamentare di AN; l'aspetto quello dell'origine culturale della stragrande maggioranza della classe dirigente di AN. Se Biagi recepisse questo invito, alla fine scoprirebbe di essere in errore allorquando fa certe considerazioni.
Negli altri paesi europei i pensionati ricevono un salario differito sufficiente per vivere dignitosamente, mentre in Italia si continua a pensare di penalizzare chi ha lavorato e versato i contributi. È grave che non siano importate norme utili per i pensionati italiani.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Veltri, il quale aveva chiesto di parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
AVENTINO FRAU. Nutro molta stima e considerazione, quasi un'amicizia, per l'onorevole Massa e sono quindi portato a ritenerlo, come l'ho conosciuto, persona assolutamente corretta e cortese. Ho preso quindi nel senso giusto la sua affermazione coupe de théatre. Egli ha detto: «Pensate, non mi sono accorto che era in corso un colpo di Stato». Vorrei tranquillizzare l'onorevole Massa: non se ne è
accorto lui e forse nemmeno noi. Nessuno ha mai pensato ad un colpo di Stato. I colpi di Stato si fanno senza preannunci, improvvisamente e là dove è possibile farli. Noi siamo in un paese che i colpi di Stato non li consente e con delle forze politiche che dichiarano - parlo dei rappresentanti della maggioranza - di avere abbandonato teorie di questo tipo.
avversario. Ma noi sappiamo che il problema interessa solo lui, o pochi come lui, mentre riguarda larga parte dei cittadini italiani.
base della politica: altro che neutralità! Non c'è uomo politico che conti qualcosa che non abbia avuto i suoi giornalisti al seguito nel momento in cui cambiavano le situazioni, si tratti di Berlusconi o di D'Alema, salvo alcuni fatti storici, alcuni giornalisti che sono storicamente un baluardo - Giulietti è uno di questi - di una situazione di potere interna che passava, di volta in volta, dalla politica al sindacato, dal sindacato alla politica, con criteri che ben conosciamo. Allora, ci illudiamo che la RAI appartenga al paese, che la RAI sia neutrale; la RAI è invece del potere e per di più è lottizzata. Se devo essere sincero, non si tratta neppure di una lottizzazione proporzionale perché, per esempio, la presenza post-democristiana, che fa capo al Partito popolare, credo sia ampiamente superiore a quella dei Democratici di sinistra. Giustamente, quindi, questi ultimi protestano perché, pur essendo più numerosi, contano un minor numero di presenze (Commenti del deputato Saia); ma questo è un equilibrio interno che sappiamo si sta giocando nelle vostre stanze e che, quindi, non mi interessa e non mi riguarda.
LUIGI MASSA, Relatore per la maggioranza. L'ho citata nella relazione.
AVENTINO FRAU. Sì, citata. Atto di nascita e niente più, carriere non ve ne sono.
ANTONIO SAIA. Certo!
AVENTINO FRAU. Ovviamente, vedo l'una e l'altra: l'una, anzitutto per sfruttare il canone, altrimenti mi sentirei derubato; l'altra, perché magari c'è qualcosa che mi può interessare. Tuttavia, quando vedo Mediaset, mi chiedo se effettivamente lì dentro sia presente il direttivo di Forza Italia, se effettivamente...
ANTONIO SAIA. C'è il padrone di Forza Italia!
AVENTINO FRAU. ...Costanzo sia il vicesegretario politico di Forza Italia, se fino a ieri lo sia stato Santoro o Mentana, per arrivare a Sposini e, per «buttarla a ridere», alla Gialappa's. A questo punto, infatti, mi pare che il discorso sia di questo tipo.
infatti, che il consenso si ottenga con i contenuti delle proposte e non solo con i mezzi con i quali le stesse vengono avanzate, anche se, ovviamente, il mezzo è importante: se fossimo muti non potremmo comunicare buone proposte. Ciò avviene dopo che il vero problema che è stato denunciato è quello di una legge che si basi sull'anomalia italiana, sul fatto che il presidente di un partito, il leader dell'opposizione...
PRESIDENTE. Onorevole Frau, ha ancora due minuti.
AVENTINO FRAU. ...si trova in una posizione privilegiata dal punto di vista economico.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, avevo chiesto di parlare in particolare per fare riferimento agli emendamenti che il gruppo dei Verdi ha presentato. Tuttavia, credo di non potermi esimere innanzitutto dal dire che la maggioranza dovrebbe accogliere l'appello che ho sentito fare dai colleghi di Forza Italia: fare subito sia la legge sul conflitto di interessi sia una legge seria sulle norme di eleggibilità per il Parlamento e per le altre cariche del nostro paese. Credo vada accolto e che non debba essere lasciato cadere questo appello fatto autorevolmente e ripetutamente da numerosi colleghi del gruppo di Forza Italia, perché questo non eliminerebbe la necessità della legge che stiamo predisponendo oggi, ma eliminerebbe quello che è obiettivamente un paradosso tutto italiano ed un'enorme anomalia sostanzialmente di «tipo europeo»: quella del capo dell'opposizione che possiede una quota molto ingente della raccolta pubblicitaria nazionale (non solo delle televisioni)!
quello di Bill Gates, di fronte ad un orientamento forte espresso dall'anti-trust, è costretto a suddividersi in vari gruppi) se si accetta una logica che non ha nulla a che vedere con quello che è il moderno capitalismo - non una dittatura di sinistra - che prevede che vi sia libera concorrenza, che vi siano regole chiare, che non si creino ed acquisiscano oligopoli e monopoli.
È risibile una battaglia contro il cosiddetto regime da parte di chi ha fatto una proposta di regime che prevedeva che chi è più forte in Parlamento possa avere tutti gli spazi possibili, mentre i cittadini italiani che volessero costituire un nuovo partito non avrebbero praticamente diritto di accesso. Ciò avverrebbe secondo le proposte del cosiddetto Polo delle libertà.
somiglia proprio a quella che noi contestiamo ad una parte di conservazione che abbiamo nel nostro schieramento; in secondo luogo, difende una logica liberale che peraltro è propria dell'Europa, dove sappiamo esistere regole molto chiare. In Europa, infatti, per quanto riguarda questa materia, non sarebbe possibile ciò che avviene nel nostro paese.
ha già avuto la concessione, ma non ha le frequenze, fino a quando non ci sarà un determinato numero di satelliti e di parabole, che però l'autorità per le comunicazioni si guarda bene dal definire.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Luca. Ne ha facoltà.
ANNA MARIA DE LUCA. Signor Presidente, signor sottosegretario e onorevoli colleghi, è inutile dire che noi non siamo assolutamente d'accordo con quanto ha testé affermato il collega della maggioranza, altrimenti non saremmo qui a fare opposizione dura.
autentico ed immediato con l'elettore, anche in relazione al target e alle sue preferenze culturali nonché in relazione al rafforzamento del proprio consenso sul territorio.
un pericolosissimo precedente in un'ottica di progressiva limitazione delle libertà di manifestazione del pensiero politico pluralistico e democratico. Innanzitutto, la sua approvazione può legittimare nuove e più vessatorie restrizioni del dibattito politico a favore della maggioranza di Governo e a danno delle opposizioni e di tutto il paese, anche di quella parte che si ritiene rappresentata dal Governo e dalla maggioranza.
bene che si preveda un tetto di spesa oltre il quale nessuno possa andare. Il limite, a nostro avviso, potrebbe essere individuato in quello stesso del finanziamento pubblico stabilito come livello massimo per i partiti proprio da questo Parlamento.
PRESIDENTE. Onorevole Floresta, lei ha chiesto di parlare ma dovrebbe terminare il suo intervento entro mezzanotte, perché a quell'ora dobbiamo chiudere la seduta.
ILARIO FLORESTA. Presidente, non mi sembra molto corretto, perché comunque ho dei tempi...
PRESIDENTE. Altrimenti, devo rinviare il suo intervento a domani. Come preferisce lei. Può scegliere se intervenire questa sera o domani.
ILARIO FLORESTA. Va bene, Presidente. Interverrò domattina.
PRESIDENTE. La questione, onorevole Floresta, è che non può interrompere il suo intervento e sono tenuto a chiudere la seduta a mezzanotte, perché altrimenti, dopo quell'ora, se ne apre un'altra.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.
Ecco perché, signor Presidente, mentre la ringrazio per quello che ha detto, dico a Paissan che se avesse letto interamente il verbale, invece di leggere solo la parte che poi ha passato strumentalmente alle agenzie, avrebbe potuto leggere, a proposito della sua domanda: «Signor Presidente, intervenga su questo punto» la risposta. «Io l'ho ascoltata, onorevole Paissan, il collega ha provveduto da solo a tacere». Proteste del gruppo di Forza Italia nei miei confronti. «Colleghi», ho risposto, «mi sembra di aver spiegato che l'argomento è chiuso, e forse non andava nemmeno aperto». Credo che questo sia stato un modo di intervenire per individuare non un'occasione per far valere la supremazia funzionale di chi presiede ma soltanto l'onestà intellettuale di chi capisce l'opportunità o meno di una frase in un determinato e delicato momento parlamentare.
Mi permetto di avere esordito con questo, perché io amo, anche quando sono disposto a subirne le conseguenze, la chiarezza e la sincerità. Detesto l'ipocrisia e la strumentalizzazione, e stasera è stata fatto orgia di ipocrisia e di strumentalizzazione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale) trasformando un episodio, che certamente è spiacevole, in un'occasione che io considero veramente disdicevole.
Io ho una certa memoria storica, come gli altri, però sono nato prima e so che, passando per un comizio, un commento, una frase e a volte uno sguardo possono determinare una reazione. Può accadere anche per una frase, che io stesso posso aver detto quando ero più giovane e anche ora. In certe occasioni mi sono sentito attribuire il ruolo di provocatore. Non credo che Castagnetti sia un provocatore: ne ha l'attitudine, non si è mai fatto tanto un nome come stasera questo signore, il quale ha certamente il diritto di essere rispettato, perché è rispettabile, ma allo stesso tempo, come capita in politica, deve sapere che può succedere di avere un'occasione meno propizia o facilmente accettabile. Cosa avrei dovuto dire io, onorevole Castagnetti, per gli insulti e le
Mi permetto, allora, di dire che questa par condicio somiglia un po' alla frode in commercio e dal momento che si parla in latino, si potrebbe dire aliud pro alio. Si dice una cosa e se ne fa un'altra; si propone una condizione di parità e si realizza una condizione nella quale i soggetti non sono uguali, per di più si tratta di soggetti pubblici, come il Governo.
Stasera abbiamo poi assistito al doppio canale del Governo: prima ha parlato il «Cardinale», poi il vescovo (Applausi)! È la prima volta che lo sento. Si suol dire che ubi maior, minor cessat, ma il problema è stabilire chi sia il maior! È stato necessario un intervento di carattere tecnico-politico, che ho apprezzato perché le considerazioni dialettiche mi piacciono, per ripagare l'intervento insulso del ministro Cardinale il quale, forse nuovo alla funzione governativa, la confonde con l'apologia di se stesso e sinceramente ce lo poteva risparmiare!
Sottolineo per il ministro che i suoi riferimenti alla legislazione internazionale avrebbero potuto essere considerati quale parametro per misurare il senso della par condicio in riferimento alle democrazie europee. Vedete, quando qui affermate che l'Europa ci insegna, che l'Europa si comporta in una determinata maniera, in qualche modo ci accusate di chiedere qualcosa di provinciale o, addirittura, di personale per fare un piacere al signor Silvio Berlusconi e alla sua azione politica. Questa tesi si può sostenere nei comizi, di fronte a gente che non se ne intende, ma non quando si considerano le realtà in cui si è espressa la scelta dei paesi europei che, come si suol dire, è varia ed articolata. Vi sono, infatti, paesi come la Francia, la Spagna, il Regno Unito e la Germania in cui è vietata la pubblicità elettorale a pagamento sulle emittenti pubbliche e private, ma sono previsti spazi gratuiti per la propaganda. Esistono obblighi di imparzialità, di completezza dell'informazione e di pluralismo. È prevista la diffusione dei sondaggi che è libera in Germania e nel Regno Unito, mentre in Francia e in Spagna è vietata durante la settimana precedente le elezioni. Altri paesi europei quali l'Austria, il Belgio, l'Irlanda, il Lussemburgo, la Finlandia e la Grecia consentono spot gratuiti e/o a pagamento. La Svezia e la Danimarca, che sono più fredde in queste cose - ed anche in altre -, vietano ogni forma di propaganda elettorale. Negli Stati Uniti gli spot sono consentiti liberamente.
Stasera abbiamo sentito l'onorevole Vita - che mi fa piacere si informi delle cose che riguardano i movimenti di pensiero che esistono altrove, ma non si preoccupa di quelli italiani - dire che in un paese civile - grazia sua, e la sua considerazione ci rafforza nella convinzione - la libertà vince ogni frontiera e che negli Stati Uniti si può discutere di queste cose. Ma è in Italia che non si può discutere! È in Italia che voi del Governo avete varato il disegno di legge. Quando mai un Governo che è esecutivo, fatto da soggetti che lo sostengono politicamente, si erge ad indicatore delle scelte politiche ed anche di quelle che condizionano la politica, stabilendo perciò che vi possano essere misure, comportamenti, limitazioni che consentono allo stesso Governo di sopravvivere anche alla sua maggioranza, la maggioranza ballerina da cui si dice sia sostenuto come la corda sostiene l'impiccato? Siete già pronti a cambiare maggioranza e credo che, se per caso il Trifoglio, che porta anche fortuna (anzi, a
Avete ritenuto per tanto tempo il segretario dell'UDEUR Mastella come una cara persona che rallegra le occasioni in cui si esprime, lo avete sempre considerato come un personaggio da citare nei corsivi nelle occasioni in cui la cultura vi viene ospitata ed oggi è diventato un leader, sicché il Governo D'Alema-Mastella è la realtà nella quale oggi ci troviamo a misurarci.
Avete bisogno quindi di avere una propaganda che eviti che ci si possa esprimere, magari con termini semplici (io non sarei capace perché nel parlare mi dilungo, ma all'occorrenza mi tratterrà il Presidente), ma se avessi la capacità di rendere in uno spot una specie di aquila bicipite, che veda da una parte D'Alema e dall'altra Mastella, quindi se sapessi fare gli spot, direi: «Guardate come siamo ridotti, cosa è successo, come è finito il più grande partito della sinistra». Mi chiedo se vogliate evitare questi spot, che sono certamente un sistema di propaganda ravvicinata e sintetica, in cui chi è capace di individuare il modo con il quale rapportarsi a chi lo vede o l'ascolta trova la formula di un'adesione perfetta, rapida ed a pronta presa.
Perché temete questo? Perché gli spot non sapete farli e perché, se li faceste, non sapreste cosa metterci dentro. La par condicio sta in questo. Voi volete evitare che una scelta di propaganda moderna, se volete anche provocatoria, entri nell'intelligenza critica di chi la può vedere, valutare e considerare positivamente o negativamente. Avete paura di questo.
Si dice: «Ma noi scegliamo un'altra linea di comportamento, foraggiamo i nostri giornali, sosteniamo i nostri funzionari di partito, destiniamo le somme che riceviamo dal finanziamento pubblico diversamente». E chi vi critica se questo avviene? Se però altri preferiscono muoversi con strumenti diversi, destinando ad essi mezzi legittimi, che sono a disposizione, se possono pretendere che almeno con gli spot si possa resistere e reagire allo spot continuo cui assistiamo alla televisione di Stato, con i ministri ed i sottosegretari in servizio permanente, effettivo od eventuale, a seconda che cambino posizione nel Parlamento, avremo noi diritto di dare una risposta in tutti i modi, con la libertà liberatrice che consente a chi ha opinioni di esprimerle come vuole, come la Costituzione consente e come le scelte politiche possono suggerire? Per quale motivo volete ergervi a giudici delle nostre scelte? Per quale ragione volete imbrigliare queste scelte? Non credo che sia un bavaglio - il bavaglio non ce lo metterete mai - ma ritengo sia un tentativo, un atto inidoneo diretto in modo equivoco a falsare la democrazia italiana. Credo che questo lo sappiate, anche se non lo dite. È una cosa che si capisce e si coglie tra le righe, è nella stessa logica del disegno di legge del Governo, il quale riserva a se stesso un ruolo nel quale lo spot deriva dall'utilizzo dello strumento pubblico, che viene usato a fini particolari e che trova nella televisione di Stato un'occasione per la quale le scelte non hanno nemmeno bisogno di essere richieste, ma sono pedisseque per destinazione di chi ha fatto le scelte per cui un soggetto ha una responsabilità nell'ambito della televisione di Stato.
Dispiace dirlo: talvolta vedo più libertà nelle televisioni, che voi criticate tanto, della Mediaset. A Canale 5 vedo, non voglio dire una libertà (perché è il minimo che si possa richiedere a chi fa il giornalista onestamente), ma una scelta molte volte autocensoria di presenze in occasione di dibattiti e nell'espressione stessa delle valutazioni delle azioni politiche. Il collega Taradash ha detto che non appare quasi mai alla televisione. A chi non ha la passione dell'appariscenza, che è una specie di apparenza peggiorata, ma semmai ha l'ambizione di essere quello che appare,
Una forza politica che in quest'aula può essere considerata minoritaria ma che, insieme ai propri alleati, è la maggioranza reale del paese ha diritto, nei confronti di una maggioranza raccogliticcia, di non farsi condizionare nel suo diritto a diventare maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). Questa è la nostra colpa e, credo, anche il nostro peccato. Certo, si dice, Berlusconi è socio di maggioranza delle televisioni: ma anche questa, mi permetto di dirlo, è un'arma impropria, come quella relativa al conflitto di interessi. Alla Camera, in questo glorioso emiciclo, non abbiamo forse votato la legge sul conflitto di interessi, che reca come prima firma quella di Silvio Berlusconi? Domanda retorica: l'avete votata? Risposta del coro: sì, l'avete votata! E ora che è all'esame del Senato perché non l'approvate? Perché tenete il cappio aperto per poter di volta in volta accusare gli altri di quello che non volete fare voi: rovesciate il comandamento di Dio perché fate agli altri quello che non siete capaci di chiedere a voi stessi, cioè la sincerità!
La nostra battaglia non è una battaglia di retroguardia ma di libertà. La libertà è un bene che si conquista e si difende ogni giorno, e che si può anche perdere. E la libertà è fatta di piccole cose, dei diritti che ognuno sente, attivi e passivi, quelli che gli competono, che sono suoi e che può esercitare, se vuole. Ci sono diritti che derivano da altri che sono in grado di recepirli in quanto informati. L'informazione di oggi e quella di domani non potranno essere sottoposte alle briglie dell'onorevole Cardinale gentilmente concesso; non credo che sia possibile immaginare che un uomo di quel tipo possa regolare la realtà del nostro paese.
Certo, credo che invece uomini con la preparazione e con la capacità emandativa diversa da quella del ministro, come l'onorevole Vita, abbiano un'altra prospettazione, che io combatterò sempre ma che rispetto, nel nome di un diritto al dissenso che è la forza della democrazia. Vedete, se togliete il dissenso alla democrazia, se togliete il diritto di essere contemporaneamente diversi e critici, se togliete a chi oggi è in minoranza il diritto di essere maggioranza, quale possibilità avremo di stabilire ciò che io desidero e che il Presidente ha auspicato, cioè che vi possa essere un discorso più alto, più elevato, meno legato alle condizioni né del passato né del futuro?
Ecco perché, intervenendo oggi, ho voluto chiarire una realtà istituzionale che mi riguardava ed una realtà politica e parlamentare che riguarda anche voi che oggi non la capite (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, misto-CCD e di deputati del gruppo della Lega forza nord per l'indipendenza della Padania - Congratulazioni).
Visto che stiamo parlando di una proposta di legge che tratta questioni di pari opportunità, non tanto a lei (perché sono sicura che lo farebbe anche nel futuro, speriamo che non ve ne sia bisogno, nei confronti di chiunque), vorrei far notare come in questo Parlamento non soltanto chi allora presiedeva la Camera, ma anche tutti quei deputati di qualunque parte politica che erano qui presenti nelle passate legislature non abbiano provveduto a fare altrettanto. Eppure, purtroppo di episodi più o meno clamorosi ve ne sono stati tantissimi.
Penso che il deputato Castagnetti, presidente del suo partito, abbia fatto benissimo oggi a passare di lì se ne aveva necessità - se ne aveva necessità, ovviamente -, perché sapeva di non correre nessun rischio. Non so però se una persona come me (comunque sono anch'io un deputato, anche se sicuramente per ruolo molto meno importante del deputato Castagnetti) potrebbe fare la stessa cosa nella sua città quando ci sono le manifestazioni di sinistra. Io credo di no, deputato Mauro Guerra; mi rivolgo a lei perché è qui presente, ma potrei rivolgermi a Mussi o anche al Presidente del Consiglio.
Non voglio parlare di me, voglio citare anche casi riguardanti altri. Devo dire che nella mia città, a Milano, che pure considero una città democratica, chiunque l'abbia governata (è stata governata per 15 anni dalla sinistra, adesso c'è un'altra amministrazione), negli ultimi 7 anni non ho potuto camminare per le strade quando c'erano le manifestazioni della sinistra e nessuno ha potuto tutelare la mia libertà. Qualche anno fa, quando raccoglievo le firme insieme ai radicali per uno dei tanti referendum, sono passati dei manifestanti di sinistra, hanno incendiato la tenda sotto la quale eravamo, hanno tirato fuori dei coltelli e soltanto il questore di Milano, che si chiamava Achille Serra, è venuto a chiedermi scusa pubblicamente. Io ero già deputato, la notizia è apparsa sui giornali, ma nessuno ha alzato la mano in questo Parlamento per manifestarmi solidarietà.
Ricordo il deputato Gianni Pilo con la testa spaccata ad un 1o maggio del 1995, sempre a Milano. Il deputato Stefania Prestigiacomo, poi, ha avuto problemi analoghi a Siracusa, mentre il Presidente Biondi si è autocitato per ciò che abbiamo subito - lui in particolare ma anche i suoi familiari, essendo molte le telefonate anonime che arrivavano a casa sua e per le quali sua moglie era molto addolorata - nelle strade a causa, appunto, del cosiddetto «decreto Biondi», che ancora oggi mi sento di difendere.
Oggi si è parlato di monetine. Ho visto il filmato sul TG5, stasera, anche se il Presidente Violante ha affermato che l'episodio delle monetine è avvenuto dopo e, quindi, non sono in grado di dire una parola definitiva sull'accaduto. Dal filmato, comunque, non risulta alcuna monetina. Al riguardo, però, devo dire che la parola «monetine» evoca altre monetine; non possiamo far finta di non ricordare - alcuni di noi erano presenti in questo ramo del Parlamento - che nessuno propose di svolgere un dibattito, nel 1993, quando ben altre monetine, sputi ed insulti furono tributati all'allora deputato Bettino Craxi.
Allora, Presidente, se stiamo discutendo di pari opportunità, di pari condizioni e della difesa della libertà del Parlamento e, quindi, di ogni singolo parlamentare, dobbiamo ricordare che troppo spesso sono stati usati due pesi e due misure in Parlamento.
Ho ascoltato le dichiarazioni rese alla stampa dal deputato Giulietti che, addirittura,
Stasera, comunque, la vicenda delle monetine, presunte o vere che fossero, ha avuto addirittura l'apertura dei telegiornali. Non ci si lamenti, allora. Chiediamo al deputato Giulietti se, per caso, si lamenti anche del fatto che stasera le monetine, vere o presunte, abbiano ricevuto tutto quello spazio in televisione.
Stasera, poi, ci siamo sentiti dare degli squadristi; scusate tanto, ma mi è sembrata una volgarità. Non voglio dire altro perché, come fanno i bambini, potrei dire: «Cica cica, gli squadristi siete voi!». Evidentemente, la vostra cultura politica è tale che non ammettete che esista un'opposizione; allora, l'opposizione deve venire o cancellata o demonizzata e, pertanto, o essa non esiste o, se esiste, è composta da demoni, da squadristi, dal cavaliere nero, da violenti e via dicendo.
No, bisogna accettare, anche perché abbiamo un sistema elettorale che prevede l'alternanza. Non voglio definire questo provvedimento par condicio non solo perché non rimpiango assolutamente chi lo chiamò così per la prima volta, ossia l'ex Presidente della Repubblica Scalfaro, che, addirittura, ne fece una delle cinque priorità che avrebbe dovuto assolvere il Governo Dini nel 1995, ma anche perché, quando parlo, non ho bisogno di mettermi la toga: l'indicata espressione, infatti, è stata mutuata dal diritto civile. Non ci mettiamo sempre la toga, cari colleghi; chiamiamole pari opportunità, pari condizioni, parità, libertà, ma non so se la parola libertà venga apprezzata da tutti.
È certo però che la storia di questa legge è un po' singolare. Mi dovete spiegare, infatti, come mai ve ne siete ricordati ogni volta che avete perso le elezioni o che temevate di perderle. Nel 1995 è stata sollevata la questione perché vi erano le elezioni regionali; ed allora bisognava tamponare il vostro disastro delle elezioni politiche del 1994. Dopo di che per un po' di tempo non se n'è parlato più mentre, fino alle elezioni politiche del 1996, è stato reiterato sette volte il relativo decreto-legge. Perché questo decreto-legge non è stato mai convertito in legge? Quando ve ne siete ricordati? Ve ne siete ricordati nel 1996 quando si dovevano svolgere nuovamente le elezioni. Poi, siccome le avete vinte - buon per voi, perché io rispetto i risultati elettorali - allora avete messo «in sonno» quel provvedimento; per poi «svegliarlo», con un bacio del principe azzurro, anzi del principe rosso, quando avete perso le elezioni europee!
Vi devo allora ripetere quanto ho detto prima: non volete riconoscere il sistema dell'alternanza per il quale, una volta si governa, ed un'altra volta può capitare pure di andare all'opposizione!
Voi vi offendete quando vi diciamo che vi è un regime. Ma questo non riconoscimento dell'opposizione non è tipico dei regimi paternalistico-autoritari, di qualunque coloritura essi siano? A mio modo di vedere, sì! Oppure siete così insicuri che per vincere avete bisogno sempre di ricorrere ad un trucco? Ma io mi sentirei imbarazzata se dovessi essere così insicura per cui, ogni volta che mi devo candidare, cercassi di fare lo sgambetto al candidato che corre contro di me perché,
Vorrei poi sottolineare il vostro disprezzo per il popolo. È possibile che i cittadini, gli elettori siano sempre considerati «popolo bue» non in grado di discernere da soli, e che si pensi possano essere addirittura «violentati» da uno spot? Lo spot, quindi, sarebbe diventato una violenza sull'elettore ed i governanti avrebbero il compito di proteggere l'innocenza! I cittadini non sono «innocenti»: sanno discernere e non hanno bisogno di essere tutelati e trattati come «popolo bue», come poveri bambini che si teme possano perdere l'innocenza perché arriva il «cavaliere nero» cattivo e violento che li «stupra» con lo spot! Non è questa la situazione del nostro paese! Ricordatevi che l'Italia è un paese anche molto politicizzato, non soltanto nei suoi vertici o nei suoi esponenti parlamentari.
Parlando di censura, abbiamo sentito addirittura il deputato Novelli lamentarsi perché ieri sera Santoro (che non è certo un sostenitore del Polo per le libertà e neanche, credo, di quello che fu il partito socialista) ha dato la parola ad alcuni socialisti nella sua trasmissione. Ma voi la censura ce l'avete nella testa e nella cultura!
Se ripetessi tutte le questioni che ho affrontato in Commissione, il sottosegretario Vita si annoierebbe a sentirne parlare nuovamente. In ogni caso, tante cose sono già state dette. Tuttavia, devo almeno rielencare gli imbrogli che sottendono alla vostra campagna elettorale sulla questione di questa legge delle pari possibilità, delle pari opportunità. Prima di tutto, affermate che non c'è una legge, mentre sapete benissimo che non è vero tant'è che l'avete votata; il Presidente del Consiglio D'Alema era addirittura il capogruppo alla Camera nel 1993 quando fu votato il provvedimento che ha regolamentato le campagne elettorali e la parità di accesso ai mezzi di informazione. E questo è il primo imbroglio che intendevo sottolineare.
Il secondo imbroglio...
Prosegua pure.
Scusatemi, ma voi avete mai visto un paese libero - libero! - in cui il capo del Governo stabilisce quale forma di comunicazione sia adeguata e dice che bisogna approvare una legge sul suo pensiero che è molto soggettivo perché il suo concetto di adeguatezza sarà diverso da quello di tutti noi - io suppongo -, magari sarà uguale a quello di molti e diverso da quello di altri. Dunque, il capo del Governo stabilisce qual è l'adeguatezza, ma scusate, la Costituzione altro che sotto i piedi, ormai sta dentro un tombino!
Si dice che andiamo tutti in Europa. Qui c'è addirittura da piangere: prima di tutto voglio sapere perché non andiamo in Europa con la giustizia, visto che ci condannano tutti i giorni per la totale inadeguatezza del nostro sistema della giustizia, e perché non andiamo in Europa sulle questioni del fisco e dei servizi. Infatti, nei paesi in cui vi è un fisco rigido come il nostro ci sono però i servizi. Andate in un paese del nord-Europa nel quale vi è un sistema fiscale rigido come quello italiano e vedrete che i servizi vengono erogati, qui invece noi abbiamo il ministro Bindi, altro che servizi! Questo è un altro imbroglio!
In Gran Bretagna gli spot elettorali sono consentiti e vengono trasmessi sia dalla BBC che dalle reti private; in Germania la televisione pubblica è obbligata a trasmettere gratis la pubblicità dei partiti; in Francia i messaggi promozionali sono previsti, ma devono essere realizzati gratuitamente nella struttura pubblica e sono spot, spot, esse-pi-o-ti, spot che vanno da 56 secondi fino a 4 minuti e 30 secondi; analogamente in Lussemburgo, Finlandia, Irlanda, Spagna, Portogallo, Belgio, Grecia e Austria. I divieti ci sono soltanto in Svezia, Norvegia e Danimarca. Lo volete dire ai cittadini (o li dovete sempre imbrogliare) che ci sono solo tre paesi in Europa che hanno il vero divieto di spot?
Un'altra cosa che viene detta riguarda i soldi e le spese, il ricco, il paperon de' Berlusconi che potrebbe investire miliardi, miliardi e miliardi, ma scusate, voi spendete i miliardi con libertà di scelta - per carità! - in modo diverso, perché ognuno decide di usare i soldi del finanziamento pubblico come crede. Ogni partito è libero! Voi preferite investirli in altro modo, ma non conculcate a noi la libertà di investirli come decidiamo noi. Inoltre, mi sembra che la maggioranza non abbia bisogno di spendere perché abbia soprattutto il partito dei Democratici di sinistra nella campagna elettorale per le europee ha avuto un maxi spot gratuito di 21 miliardi di lire (sto citando un dato la cui fonte è il centro di ascolto del partito Radicale che ha calcolato il tempo di presenza nelle trasmissioni della RAI, di Telemontecarlo e delle reti Mediaset moltiplicato per il valore economico di ogni minuto di pubblicità). Quindi un solo partito - quello del Presidente del Consiglio - ha avuto un maxi spot gratuito di 21 miliardi, ma questo non gli è bastato per vincere. Vedete che poi non è neanche vera l'equazione spot uguale vittoria nelle elezioni!
Dovremmo parlare anche degli spettacoli di intrattenimento, di Gianni Morandi con il Presidente del Consiglio e via dicendo. Non ho niente in contrario, sempre in nome della parità e della libertà, parità di accesso e libertà di tutti.
Come voi sapete, vi sono stati diversi presidenti emeriti della Corte costituzionale, Antonio Baldassarre, Vincenzo Caianiello e Aldo Corasaniti, che è stato anche senatore nelle liste del PDS, che hanno dichiarato assolutamente incostituzionale il decreto del Governo.
Allora, per concludere, perché non cercate di essere un po' più moderni oltre che liberi di mente? Perché non cercate di usare gli strumenti che il 2000 ci offre? Una volta, avevamo i manifesti attaccati sui muri (quegli spazi, poi, venivano violati da tutti, eccetera eccetera), si svolgevano i comizi, che si svolgono anche adesso
Il 2000, però, è fatto anche di strumenti come Internet, di televisione, di messaggi inviati via etere: quindi, perché non cercate di fare in modo che tutti li possano usare, invece di cercare di proibirli? Avete così tanta paura? Siete così dominati dalla paura?
Ricordo che il partito comunista italiano vinse le elezioni politiche del 1976 con un bello spot: «Metti le cose a posto, vota PCI»; sicuramente, negli anni settanta vi erano strumenti diversi da quelli di oggi, quindi avranno usato in modo diverso quello spot. La rivoluzione francese si è fondata su uno spot di tre parole, perché chi è intelligente e creativo può comunicare bene il suo pensiero anche soltanto con tre parole. La campagna elettorale di Mitterand, addirittura, è stata sintetizzata in due parole: «La forza tranquilla».
Vi ho citato alcuni esempi che sicuramente non riguardano né Berlusconi, né Mediaset, né Forza Italia, né il Polo delle libertà per cercare di spingervi ad avere più coraggio e più libertà: non è un caso, però, che soltanto noi ci chiamiamo Polo
Per uno straniero, che non abbia conoscenza delle anomalie presenti nella politica italiana, immagino appaia singolare il lamento vittimistico di un personaggio che ci propina dalle televisioni di sua proprietà per settimane, a tutte le ore del giorno e della notte, immagini promozionali confezionate in tutti i modi, rappresentazioni finanche edulcorate e stucchevoli di se stesso e della propria parte politica.
Si tratta di una mostruosa anomalia. Anche noi abbiamo detto e ridetto in ogni modo possibile, sperando forse in un soprassalto di pudore o di dignità, che non esiste paese europeo né in genere paese civilizzato, nel quale sia presente la particolarità, tutta italiana, di un signore che è al contempo leader dell'opposizione (e in precedenza è stato Presidente del Consiglio) e proprietario di tre reti televisive, di settimanali, di quotidiani, di agenzie pubblicitarie. Né esiste paese al mondo in cui, in una situazione analoga, qualcuno avrebbe il coraggio di additare come attentatore alla libertà chi vuole stabilire il pluralismo dell'informazione, l'eguale accesso ai mezzi di comunicazione di massa.
E che dire degli alleati presenti e futuri che come mendicanti, allettati da qualche avanzo del luculliano pasto mediatico, abbandonano ogni residuo senso critico e avallano tesi a cui in passato si sono fieramente opposti? Tutti costoro vogliono sostenere che i loro spot sono irrilevanti nel condizionare l'opinione pubblica, ma nello stesso tempo, per impedire l'approvazione di questa legge, spendono le loro energie in centinaia di emendamenti ostruzionistici e in decine di pregiudiziali di costituzionalità che offendono chiunque abbia una pur minima conoscenza dei valori che stanno alla base della nostra Carta costituzionale. Si appellano, anche attraverso le loro formazioni giovanili, all'articolo 21 della Costituzione e alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo per sostenere le loro aberranti teorie, non rendendosi conto che proprio quei principi che richiamano alla nostra attenzione, contraddicono in modo stridente le loro tesi, né si rendono conto che quegli articoli affermano la libertà di pensiero, di opinione, di espressione per tutti; per tutti, e non per pochi eletti dotati di potere economico e mediatico. Non capiscono, ma più probabilmente non intendono capire, la volontà che impronta le regole al nostro esame, che è proprio quella di affermare l'universalità di un diritto, l'eguale godimento per tutti del diritto di far conoscere la propria opinione e di conoscere quella altrui. Non capiscono o non intendono capire - e propendo per la seconda ipotesi - che, se quella libertà riguarda solo alcuni, è una libertà negata, è una non libertà. Non vogliono capire che condizionare l'informazione, permettere che prevalga una visione di parte sul confronto equo di opinioni e proposte diverse condiziona il formarsi di un pensiero libero e conseguentemente - è inevitabile - limita anche un altro diritto fondamentale sancito dalla nostra Costituzione: quello ad una libera espressione del voto.
Non si tratta di considerare poco intelligenti i telespettatori, si tratta di riconoscere quello che già hanno riconosciuto eminenti studiosi, sociologi, psicologi e pedagogisti, e cioè il peso e la forza dello schermo televisivo come spazio privilegiato da cui l'opinione pubblica attinge
La libertà d'informazione è coessenziale alle stesse libertà democratiche sancite dagli articoli 48 e 49, perciò la disciplina del mezzo televisivo deve essere tale da favorire l'espressione e la diffusione del pensiero di tutti - e sottolineo nuovamente di tutti - in condizioni di eguaglianza. Non è tollerabile, in una società democratica, che la libertà di pensiero sia prerogativa di alcuni privilegiati, i quali, fra l'altro, la intendono solo come libertà di mandare in onda messaggi e immagini che non hanno alcuna ambizione di illustrare seriamente e organicamente una proposta politica, ma semplicemente quella di condizionare attraverso la ripetizione ossessiva di uno slogan. Non voglio criminalizzare gli spot ma ritengo poco dignitoso, in particolare da parte di uomini politici - che, in quanto tali, dovrebbero avere un'opinione alta della politica e adoperarsi affinché essa sia un nobile luogo della socializzazione - ridurre un progetto politico alla stregua di una merce. Questo è quanto ha fatto, del resto, anche il presidente Confalonieri in sede di Commissione chiedendo candidamente: «perché la nutella deve pagare 100 e la politica 10?». Questa frase rivela un concetto della politica che sgomenta e, nello stesso tempo, rivela l'opinione che si ha dei cittadini.
Che opinione abbiamo degli uomini e delle donne di questo paese se, anziché cercare di interloquire con loro, presentando il nostro programma e illustrando il nostro ideale di società, li consideriamo semplici acquirenti da imbonire, consumatori da lusingare? È così che pensiamo di conquistarli all'interesse e alla passione politica? È così che speriamo di spezzare la sfiducia e il distacco? Se è così, che rispetto essi possono avere per una politica che non rispetta loro? Per una politica che si mostra soltanto come conquista e mantenimento del potere e non come opera collettiva di costruzione di una società migliore?
Questa legge non è un bavaglio alla minoranza, come sostiene strumentalmente il centrodestra. Essa mira ad un obiettivo di civiltà, quello di rendere l'informazione politica imparziale, neutra, equa, al fine di consentire la formazione di un consenso libero e consapevole. Essa mira ad un obiettivo sollecitato anche dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, che, con raccomandazione del 9 settembre 1999, ha chiesto di garantire il rispetto dei principi di equità, equilibrio e imparzialità dei media nelle campagne elettorali. Mira a stabilire un minimo di regole già presenti in Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca, Svezia e Portogallo. Si tratta di regole necessarie perché la libertà di pensiero di cui l'opposizione si dichiara ipocritamente tutrice non sia appannaggio esclusivo di chi possiede mezzi economici consistenti. Il bavaglio vorrebbe poterlo mettere questa destra prepotente e antidemocratica - e che sia così lo conferma la minacciosa frase odierna di Urbani - alle istanze dei ceti popolari, ai bisogni e agli interessi delle categorie sociali più disagiate, quelle che rimarrebbero senza rappresentanza, se si attenuassero il peso e l'incidenza politica di quei partiti, che tentano, anche con questa legge, di dar voce agli interessi generali, anziché a quelli particolari.
Onorevoli colleghi, la libertà è un concetto che durante i secoli è stato piegato a numerose distorsioni e che ancora oggi, in diverse parti del mondo, subisce stravolgimenti.
Bisogna intendersi sui concetti di libertà e di uguaglianza. Per noi Comunisti italiani il concetto di libertà comprende in sé l'uguaglianza dei mezzi e delle opportunità (Applausi dei deputati dei gruppi Comunista e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni).
Non si può dimenticare che una legge su questa materia esisteva ed è la legge n. 513; una legge contro la quale, per la verità, erano già state sparate molte bordate durante gli anni passati, con una serie di decreti-legge che venivano emanati puntualmente in piena campagna elettorale, rinnovati numerosissime volte, reiterati e fatti decadere, nella certezza che il centro sinistra non ne avrebbe avuto più bisogno, perché, con la sua illuminata azione di Governo, avrebbe potuto sostituire e spegnere ogni esigenza di diversa comunicazione politica e di propaganda.
Si trattò di una raffica di decreti-legge che oscurò una libera comunicazione politica e condizionò pesantemente le elezioni regionali del 1995, quelle del 1996 e poi le varie elezioni amministrative. Così facendo allora, come si vuole fare ancora oggi, si monopolizzarono i mezzi di informazione.
Ma quei sogni folli di gloria del centro sinistra fallirono miseramente ed ecco allora, pronto e servito, il disegno di legge di cui stiamo discutendo oggi, che è stato pensato e proposto non per una corretta informazione e propaganda politica, ma, come è stato da tutti unanimemente riconosciuto, per fermare il presidente Berlusconi e il Polo per le libertà. Per fermare il capo dell'opposizione non si è badato a spese: con un solo provvedimento si è consumato un gravissimo attentato a ben quattro articoli della nostra Carta fondamentale, gli articoli 21, 48, 41 e 3, riguardanti la libertà di espressione del pensiero, la libertà di voto, la libertà di iniziativa economica e il principio di uguaglianza.
Gli articoli del testo governativo riguardano, infatti, tra l'altro, il divieto assoluto di fare messaggi pubblicitari, comunemente definiti spot, durante la campagna elettorale ed impongono addirittura le forme che deve assumere la propaganda elettorale. In questo contesto è inutile soffermarsi analiticamente su tali violazioni; basta sottolineare come sia liberticida porre dei limiti alla manifestazione del pensiero politico, eliminando un mezzo come quello dello spot, che è diventato sicuramente, piaccia o non piaccia, la forma di comunicazione per eccellenza.
Non dimentichiamo poi che l'articolo 48, che si riferisce alla libertà di voto, presuppone un esercizio informato di tale diritto, che nella specie non può compiutamente avvenire per gli inammissibili limiti che sono stati posti da questa legge.
Bisogna, quindi, prendere atto che con questa legge il Governo e la maggioranza non regolamentano la parità di accesso ai mezzi di informazione e la comunicazione politica, ma semplicemente si attribuiscono, per chiari interessi personalistici ed elettorali, il diritto di imporre la forma di comunicazione e di accesso che gradiscono e che ritengono possa portare maggiori utili e maggiori vantaggi elettorali o, se volete, più semplicemente, minori danni.
Così facendo, però, si arreca un lacerante vulnus alla politica che è, o dovrebbe essere in uno Stato democratico, la massima espressione di libertà, che non dovrebbe conoscere limiti che non siano
Questa legge viola proprio elementari regole di una democrazia, che è tanto più forte quanto più ricca è l'informazione e maggiore, quindi, è la conoscenza che si può offrire ai cittadini, quanto più vasta è la scelta che i cittadini possono fare. Come si può oggi impedire l'uso dei mezzi così ampi e profondamente democratici che per immediatezza ed efficacia riescono a raggiungere la quasi totalità dei cittadini, anche di quelli che, in mancanza di tali mezzi di comunicazione, sarebbero estraniati rispetto alla partecipazione politica? Eppure questo è un mezzo che probabilmente è capace di contribuire anche a recuperare quella gran parte dell'elettorato che si è da tempo allontanato dalla politica o che della politica ha deciso di disinteressarsi.
L'ultimo dato relativo al massiccio astensionismo nelle recenti elezioni suppletive dovrebbe far riflettere e creare maggiore preoccupazione nella ricerca e nella valorizzazione dei mezzi di comunicazione. Non dimentichiamo poi che, vietando gli spot, si toglie voce a chi non ha la possibilità di partecipare a tavole rotonde, confronti o altro o non ha la possibilità di presentarsi in maniera efficace e comunicare al proprio elettorato.
Quella che si vuole creare non è una situazione di parità perché, a parte i limiti che si pongono, si esaltano gli effetti di quella comunicazione esplicita e più o meno subliminale che con la gran massa dei giornali, dei telegiornali RAI, il Governo stesso controlla. Si aumenta, invece, una disparità che è costante e rilevante e che può in parte essere attenuata dando a tutti la possibilità di accedere alla comunicazione con tutti i mezzi moderni e contrastare in questo caso una potente informazione di regime. La nostra è, quindi, una battaglia di libertà che è triste che debba essere combattuta, perché le modalità che noi proponiamo, e che sono già contenute nella legge n. 515, appartengono a quelle democrazie avanzate a cui guarda e si ispira tutto il mondo civile. Mi riferisco all'Inghilterra, agli Stati Uniti, dove lo spot da tempo è il mezzo principale di comunicazione politica.
Anche il professor Baldassarre, uno dei più noti ed accreditati studiosi e conoscitori della realtà statunitense e del suo ordinamento, si chiede se in quella democrazia avanzata siano mai state poste questioni sugli spot o se a qualcuno sia saltato in mente di contestare il mezzo dello spot come una forma di comunicazione politica. Negli Stati Uniti ci sarebbe una vera e propria insurrezione popolare contro ogni ipotesi di vietare questa forma di comunicazione.
Dobbiamo porre quindi grande attenzione a questo provvedimento ed essere consapevoli che il suo oggetto appartiene a pieno titolo al contesto delle regole fondanti della democrazia. L'uso corretto e trasparente, ampio e generalizzato degli strumenti di acquisizione nel consenso popolare è l'arco di volta di un sistema autenticamente democratico e che perciò non può non ispirarsi al principio di una competizione leale che assicuri l'assenza di qualsiasi condizione che la possa alterare in maniera surrettizia, unilaterale o addirittura partigiana.
La par condicio deve quindi significare opportunità per tutti di partecipare alla competizione politica ed elettorale in condizioni di assoluta parità, senza limitazione alcuna e soprattutto senza precostituire posizioni di vantaggio, che in questo caso si vogliono legalizzare con l'imposizione del silenzio. Stabilire così, come è stato detto, che lo spot non è adatto alla politica ma più alla logica commerciale significa arrogarsi il diritto di decidere per altri e di ergersi a tutori di un elettorato che si ritiene immaturo ed incapace magari di rifiutare un messaggio che non vuole o che non gradisce tramite la semplice pressione sul bottone del telecomando. Insomma, è la solita vecchia logica secondo la quale spetta alla sinistra ed a quelli che in questo momento sono i suoi sodali educare il popolo secondo le proprie convinzioni, la propria dottrina, i propri interessi.
Torniamo alle finalità reali di questa legge che sono state esplicitamente indicate da alcuni settori della maggioranza. È una legge che ha l'unica finalità di bloccare l'informazione e di chiudere la bocca all'opposizione, che anche sotto il profilo della comunicazione ha dimostrato di avere più fantasia, più inventiva, più capacità di essere una forza politica moderna, dimostrando soprattutto di saper contribuire alla necessità di riforma della vita politica del nostro paese.
Di fronte a questo tentativo di imbavagliamento si pone poi un'azione più vasta della maggioranza: oltre a tacitare l'opposizione, contemporaneamente e subdolamente, incrementa quotidianamente il monopolio del servizio di informazione con trasmissioni di documentari e film che vengono finanziati lautamente da questo Governo e naufragano sistematicamente di fronte ad un pubblico che finalmente ha compreso l'inganno e la finalità agiografica di tali operazioni. Non va poi trascurato che la quasi totalità degli italiani conosce la politica soltanto attraverso la televisione e che poco o nulla a questa conoscenza contribuisce la carta stampata, essendo l'Italia, purtroppo, in coda alle classifiche europee, in termini di lettori dei quotidiani.
È vergognoso che, ogni volta che si avvicina un appuntamento elettorale importante, questa maggioranza tiri fuori le bende per tappare la bocca all'opposizione e per turare occhi e orecchi agli elettori: è mai possibile tollerare che si possano imporre, in una materia così delicata, limitazioni e divieti, quando la logica democratica di un paese maturo dovrebbe percorrere, invece, strade esattamente opposte?
Con questo provvedimento si crea un vulnus nel principio di libertà e di uguaglianza e si tendono a privilegiare strutture e concezioni politiche superate, anzi condannate dalla storia. Questa legge trasforma i partiti che la sostengono in partiti di occupazione della libertà, della democrazia e delle menti! È la legge delle bocche cucite o, meglio, solo di alcune bocche: quelle di un'opposizione pronta a dimostrare il fallimento della politica del centro-sinistra. La verità è che i vecchi apparati, volendo questa legge, dimostrano implicitamente che la loro organizzazione, il vecchio modo di comunicare e di proporsi, sono ormai veicoli superati e sono incapaci di adeguarsi alle moderne necessità di comunicazione. Essi tentano ostinatamente di fermare il nuovo e il moderno, che altro non è se non la democrazia che si manifesta e si evolve anche attraverso le sue nuove forme di comunicazione.
Non possiamo, quindi, che dire «no» a forme di protezionismo e illiberali. Ricordate, colleghi della maggioranza, come ha sostenuto il presidente Baldassarre, che il libero mercato non si trova soltanto nel mondo commerciale, perché deve essere data la possibilità di scegliere anche in quello della politica. Il libero mercato porta certamente al libero meccanismo e alla libera modalità di comunicare: su questo non possono esservi eccezioni, né possono essere ammesse eccezioni da parte di nessuno; certamente non da parte nostra, perché difenderemo fino in fondo la libertà di tutti gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Basta guardare alla legislazione degli altri paesi europei, che è a nostra disposizione nei dossier. Badate, non è una questione di divieto. Si diceva precedentemente che gli altri paesi non prevedono divieti; neanche questa normativa contiene specifici divieti ma, piuttosto, una regolamentazione. Per questo possiamo paragonarci in pieno a quei paesi.
Altro problema è quello di valutare se una determinata regolamentazione sia più o meno giusta e condivisibile e se lo sia la normativa al nostro esame. Si tratta di un problema sul quale si può discutere; il testo, nei suoi specifici contenuti, avrebbe potuto essere discusso, se non ci si fosse trovati di fronte ad una posizione negativa in assoluto: cioè, la regolamentazione come attentato alla libertà, come bavaglio alla libera espressione delle idee. La verità è propria opposta, nel senso che la regolamentazione serve per consentire a tutti l'espressione, in condizioni di parità, delle proprie idee nella comunicazione politica.
Vorrei ricordare quello che in questo periodo è accaduto nell'ambito del mio stesso partito e che recentemente è stato ricordato dall'onorevole Castagnetti. Il partito commissiona degli spot di propaganda politica, sia di carattere televisivo che radiofonico. Per gli spot televisivi a chi si rivolge in sede nazionale? Non alla RAI, all'emittenza pubblica che non può trasmetterli. Si rivolge alle emittenti private del gruppo Mediaset, le quali in un primo tempo rispondono di non avere più spazio, in un secondo tempo propongono tariffe eccessivamente alte rispetto agli altri, il che è anche ovvio, visto che siamo di fronte ad una situazione di monopolio (badate, «monopolio», non duopolio, perché la RAI non trasmette questo tipo di messaggi) e, com'è noto, il monopolista ha la capacità di determinare unilateralmente il prezzo delle prestazioni. Dopodiché ci si rivolge alle reti radiofoniche: le due principali, sul piano nazionale, sono collegate allo stesso gruppo, e la risposta che viene da esse è ancora più pesante, perché, una volta chiarito che quei messaggi erano stati commissionati dal partito popolare - a un certo punto si è detto, l'agente lo ha esplicitato -, si è opposto che gli spazi erano esauriti.
Questa è la situazione nella quale ci troviamo. Questa è la verità in Italia in questo momento. Nella realtà, questo particolare mezzo di informazione per la comunicazione politica, che è lo spot o il messaggio politico autogestito, come adesso lo chiamiamo, oggi è nella disponibilità piena e intera di un solo soggetto politico, non di tutti. Questa è la realtà, e l'esempio concreto che ho portato lo dimostra. Non facciamo enfasi, poniamo dei fatti. Quindi, la regolamentazione serve per consentire a tutti uguale accessibilità al mezzo. Tutto qui.
Altra questione riguarda l'opportunità di utilizzare questo mezzo di informazione in quanto tale, cioè il messaggio politico autogestito, lo spot. Qui non si tratta più di tutelare il diritto di tutti i soggetti politici alla parità di accesso ai mezzi di informazione. Si tratta di tutelare altro diritto, anch'esso costituzionalmente rilevante, cioè che i cittadini abbiano un'informazione politica corretta sia sotto il profilo della pluralità delle opinioni, che si scontrano, sia sotto il profilo del necessario approfondimento delle opinioni. Si tratta, infatti, di opinioni che vengono ad influire direttamente sull'esercizio del diritto di voto, che deve essere libero e consapevole, sul quale si basa tutto il funzionamento del sistema democratico.
Su questa questione, Presidente, possiamo considerare come un'opinione diffusa da noi e in altri paesi che il messaggio politico diretto e autogestito, lo
Sui contenuti della regolamentazione, come accennavo, ovviamente si può discutere.
Il testo che ci proviene dal Senato dà alla questione una soluzione, a mio giudizio, condivisibile: nei periodi di campagna elettorale sostanzialmente esclude la possibilità di utilizzo del messaggio politico autogestito da parte delle emittenti nazionali, ammettendolo invece da parte di tutte le emittenti radiofoniche e televisive locali con certi limiti al di fuori dei periodi di campagna elettorale. Dunque, quale divieto di spot? Non c'è divieto di spot, c'è una regolamentazione!
Concordo con quanto dicevano i colleghi: nelle altre legislazioni non si prevedono divieti assoluti e neanche noi li prevediamo, siamo perfettamente in asse! Il testo del Senato non consiste assolutamente, come hanno voluto viceversa far intendere i colleghi dell'opposizione, in divieti puri e semplici, ma presenta una regolamentazione articolata. Ora, da parte del relatore, onorevole Massa, giungono proposte che articolano ulteriormente questa regolamentazione ed estendono anche alle emittenti nazionali la possibilità di trasmettere i messaggi in periodo di campagna elettorale, ovviamente con determinati limiti e secondo precise norme di comportamento.
Siamo favorevoli a questa proposta, anche se - parlo a titolo personale, ma credo che l'opinione sia abbastanza condivisa nel gruppo - avremmo preferito che, in campagna elettorale, gli spot fossero senz'altro vietati, perché in questi frangenti la comunicazione politica deve avere un contenuto serio, analitico e massimamente rispettoso del diritto dell'elettore di essere attentamente informato ai fini dell'espressione del voto politico.
Il professor Cheli, nella sua audizione, ha consigliato di tenere ben distinti i due periodi dentro e fuori la campagna elettorale. Si tratta di periodi che necessitano di regolamentazioni del tutto diverse. Se si consente l'utilizzo degli spot anche in campagna elettorale, determinandone la gratuità, secondo la proposta del relatore, sarebbe forse più opportuno che si stabilisse altresì l'obbligo delle emittenti di trasmettere messaggi perché, altrimenti, non si comprenderebbe bene la finalità stessa e il contenuto della norma, ove la sua applicazione restasse affidata alla buona volontà delle stesse emittenti.
Mi limito a porre questo problema senza troppa enfasi, signor Presidente. Lo pongo ben consapevole che anche in questa materia siano opportune mediazioni e sia necessario procedere a passi lenti con la consapevolezza di dover comporre una pluralità di interessi.
Concludo, Presidente, dichiarando che la nostra opinione, in particolare sull'articolo 1, ma su tutto il testo che stiamo affrontando è, sulla base di queste indicazioni,
L'obiettivo principale che, al pari delle democrazie liberali moderne avrebbe dovuto essere alla base di questa iniziativa legislativa, è quello di garantire il pluralismo, vale a dire il godimento dei diritti di libertà da parte di tutti indistintamente. È un obbligo fondamentale del legislatore quello di garantire in modo pregnante il diritto dei cittadini di essere informati politicamente e cioè il diritto di manifestare il proprio pensiero, tutelato dall'articolo 21 della nostra Carta costituzionale. Il disegno di legge governativo, invece, parifica tutte le situazioni ma le perequa nell'ingiustizia.
D'altra parte, nessuno fino ad ora ha fornito adeguate e convincenti risposte sui motivi che sono alla base di una compressione così rilevante del diritto di propaganda politica. Mi sembra quindi legittimo fare la seguente considerazione. Se la ragione su cui si basa tale scelta fosse costituita dagli eccessivi costi dell'informazione politica mediante spot, di modo che sarebbero privilegiati i partiti con maggiori risorse economiche, di conseguenza dovrebbero essere regolati tutti gli aspetti che sono strettamente attinenti al finanziamento ai partiti politici. Pertanto anche gli spazi pubblicitari, al pari del finanziamento, debbono essere proporzionati alla rappresentatività politica e non si comprende perché i partiti non debbano essere liberi di spendere come meglio credono il loro finanziamento pubblico. Accade infatti che chi preferisce spenderlo in giornali è libero di farlo, mentre chi sceglie uno strumento più flessibile e trasparente, secondo questa proposta, non può farlo.
Se invece il problema è costituito dal conflitto di interessi, sarebbe necessario regolare questo aspetto. È però a tutti noto che la Camera ha approvato a larghissima maggioranza un testo unificato che attualmente, senza alcuna giustificazione, è stato bloccato al Senato.
Certamente la televisione non può essere considerata un mezzo di coartazione della coscienza. Se fosse così, sarebbe un insulto rivolto ai cittadini e quindi porre dei divieti come quelli previsti dal provvedimento che stiamo discutendo è del tutto inaccettabile. D'altra parte, è noto che la propaganda politica non avviene soltanto attraverso gli spot, ma anche attraverso un rapporto diretto tra eletti ed elettori o mediante altre forme di pubblicità politica.
È sbagliato, quindi, affermare che i risultati elettorali siano stati legati esclusivamente alla quantità di spot televisivi trasmessi. Ne è prova il fatto che nelle elezioni politiche del 1994 e del 1996 sono risultati vincenti i programmi e i candidati che li esprimevano.
Ritenere che solo attraverso gli spot sia possibile vincere la campagna elettorale è sicuramente riduttivo per i cittadini elettori
È quindi fondato il sospetto che la maggioranza voglia cancellare l'uso di questo mezzo perché non ha alcun messaggio forte da trasmettere.
Vi è pertanto una necessità imprescindibile di attuare il disposto degli articoli 21 e 49 della Costituzione, che garantiscono il diritto di manifestazione del pensiero ed il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere a determinare la politica nazionale con metodo democratico. Il disegno di legge del Governo che stiamo esaminando limita in modo del tutto inaccettabile il diritto di manifestare il pensiero politico, senza tenere conto che gli unici limiti costituzionalmente previsti a tale diritto sono costituiti dall'ordine pubblico e dal buon costume. La tutela del diritto di manifestazione del pensiero nel particolare settore della comunicazione politica dovrebbe essere assicurata in modo ancora più forte rispetto agli altri settori della comunicazione e questo proprio per la sua particolare rilevanza nel concorrere a determinare le opinioni politiche dei cittadini.
Pertanto, non è possibile sostenere che la televisione attraverso gli spot determinerebbe un'inammissibile coartazione delle coscienze degli elettori. Infatti, un preciso dovere dello Stato è quello di occuparsi di garantire il pluralismo, di assicurare cioè pari condizioni di accesso ed eguali libertà. Lo Stato non può e non deve rivestire, come vuole l'attuale maggioranza, la funzione di tutore delle coscienze individuali dei cittadini. È quindi chiaro che il disegno di legge in esame solleva fondati dubbi di legittimità costituzionale, come d'altra parte è già stato detto in quest'aula e come hanno dimostrato autorevoli ex presidenti della Corte costituzionale auditi nella competente Commissione. La Corte costituzionale, d'altra parte, con la sentenza del 1995 non ha posto alcun divieto assoluto di trasmettere spot elettorali, ma ha ritenuto che eventuali limiti alla propaganda elettorale possono essere giustificati soltanto qualora siano contenuti in ragionevoli limiti temporali.
La totale compressione della propaganda elettorale sarebbe quindi incostituzionale, poiché non garantisce né il diritto dei partiti politici di informare né il diritto dei cittadini di essere informati senza alcuna censura. Bisogna dunque ammettere che il provvedimento governativo in esame si pone l'obiettivo di oscurare la comunicazione politica.
Signor Presidente, la materia degli spot è già regolata dalla legge n. 515 del 1993, sulla quale i partiti della sinistra, in sede di votazione, si sono astenuti. È una legge che attualmente consente a tutti i partiti di acquistare spot sulle televisioni pubbliche e su quelle private con uno sconto del 65 per cento sul prezzo del mercato. Questa normativa è tuttora valida ed efficace, ed è idonea a regolare la prossima campagna elettorale regionale. La maggioranza dovrebbe avere il coraggio e l'equilibrio di affrontare le elezioni regionali con queste regole; poi, con un necessario approfondimento della materia, si potrà discutere con la dovuta serenità.
Per concludere, in materie particolarmente delicate come quella oggi in discussione spesso, con saggezza, si è tenuto in considerazione il proficuo contributo dei gruppi di opposizione, soprattutto quando essi nel nostro paese costituiscono, in concreto, la maggioranza reale. Ma anche questa volta l'atteggiamento arrogante della maggioranza è con pervicacia chiuso e contrario ad ogni ragionevole possibilità
Il potere pubblico, quello che oggi è gestito solo ed esclusivamente da una parte politica, dovrebbe codificare i compiti ed i limiti del giornalista televisivo, perimetrare le opinioni del politico, determinare il tasso di plagio da spot, definire la nuova forma della comunicazione politica e, a ben vedere, plasmare anche per gli altri il modello di partito inevitabilmente più ispirato all'organizzazione e quindi più congeniale a quei partiti storici che, attraverso la gestione del potere, l'organizzazione, la ramificazione, il radicamento in tutti i settori della vita e della gestione di questa nazione, hanno saputo raggiungere risultati importanti.
È davvero difficile credere che la «manina sulla spina» agisca in buona fede; si vuole portare una motivazione, una giustificazione di egualitarismo irrealizzabile. In realtà, in queste ore si lavora per stravolgere le più elementari regole che appartengono alle democrazie vere, per definire ed attuare deleghe piene dell'informazione politica a pochi e da voi ben selezionati grandi custodi.
Rivolgiamo un appello agli economisti, ai giuristi, ai tecnici, alle voci libere di questo paese perché non chiudano il proprio sapere nel cassetto; chiediamo ai cittadini di non consentire la definitiva e totale instaurazione di un regime vero. Attraverso regole falsate, percorsi truccati e soprattutto decisi solo da una parte, si vuole arrivare al vuoto di confronto delle idee.
Si vogliono stabilire regole che necessariamente riguardano un percorso che dovrebbe poi raccordarsi alla grande riforma della legge elettorale perché, quando si parla di spot che concernono la campagna elettorale, obbligatoriamente si deve rivolgere lo sguardo alla riforma della legge elettorale. Tuttavia, non è possibile che per quest'ultima si sostenga che la maggioranza di questo Parlamento, del paese deve condividere il percorso e invece, sulle regole che attengono alla materia in discussione, vi sia solo una parte politica che detta le regole del gioco.
Riteniamo che ciò non debba essere consentito neanche da coloro che rappresentano l'altra parte, perché vi sia quella dignità di cui si è tanto parlato, la possibilità che il Parlamento, attraverso il confronto, svolga un'opera di modernizzazione, di riforma vera, perché vi sia la possibilità di credere alle parole di un segretario di partito, di un grande partito come quello dei diessini, Veltroni, il quale sostiene di aver staccato un pezzo di storia dalle radici che hanno inevitabilmente proiettato quella parte politica in Parlamento.
Si dice che si vuole abbandonare quella matrice ma, nello stesso tempo, essa continua a permanere rispetto alla conduzione delle regole, non essendo stata eliminata in alcun modo. Non ci si può, infatti, non attenere alle norme. L'articolo 21 della Costituzione, al comma 1, così recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Nelle grandi democrazie occidentali la comunicazione televisiva è vista con favore, non è considerata un mezzo invasivo perché, con il telecomando, i telespettatori possono in ogni momento cambiare canale o addirittura decidere di spegnere l'apparecchio. Credo che, nel momento in cui si sostiene ciò, al contrario con il provvedimento in esame si voglia in qualche modo sostenere che gli italiani non hanno la
La grande verità è che si è rimasti terrorizzati dal fatto che questa sinistra è vuota di contenuti; la verità, la grande verità che sovrasta tutti i discorsi è che questa sinistra non ha saputo e non sa fornire le risposte che il paese aspetta (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia), perché la grande possibilità di intervenire sulle grandi riforme strutturali è passata. Non è stata data alcuna risposta al problema dell'occupazione nel nostro paese, non è stata concessa la possibilità di seguire un grande percorso di rinnovamento nel mondo della scuola dopo che lo stesso percorso è stato avviato da noi, con la nostra spinta. Finalmente siamo riusciti a far parlare di parità, ma anche nel mondo della scuola le riforme che si stanno cercando di delineare ed attuare non trovano riscontro perché non si conosce la realtà che vive il mondo della scuola.
Nel momento in cui si cerca di portare avanti un discorso che risolva i problemi del Mezzogiorno, si creano nuove agenzie che ancora una volta utilizzano i fondi dei contribuenti, degli italiani, per sostenere in maniera esclusiva un sistema che ha trovato il suo modello e le sue radici solo ed esclusivamente in Emilia Romagna (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Questa è la grande verità che vi porta oggi a denunciare la violenza che noi avremmo perpetrato con le nostre manifestazioni e con le nostre «squadracce». È una vergogna che si possa considerare un elettorato moderato come il nostro, un elettorato responsabile come il nostro, un elettorato che costituisce la parte più produttiva del paese come il nostro, alla stregua di una «squadraccia». È una vergogna, una insinuazione e credo che (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia) le persone che sono in piazza oggi, che vi resteranno tutta la notte e che continueranno a farlo in questi giorni, non si sentano «squadracce», ma cittadini che sono stati privati della loro dignità e che non vogliono essere privati della libertà di scegliere.
Certo, se tale possibilità venisse mantenuta esclusivamente dal sistema di gestione del potere pubblico, allora sì che vi sarebbe una nuova possibilità per la sinistra e per questo Governo di rappresentare le falsità che troppo spesso, purtroppo, da quest'aula non riescono ad uscire fuori, perché anch'essa è irregimentata dai mass media detenuti dal potere che governa il nostro paese.
E voi gridate allo scandalo nel momento in cui esiste - e meno male che esiste! - la possibilità di un'alternativa: mi riferisco a quelle televisioni private che hanno - loro sì - consentito di attuare oramai da diversi anni una parità ed una uguaglianza che nel sistema pubblico non esiste neppure minimamente.
Credo che non vi possa essere condizione paritaria se, da una parte, non si dà la possibilità ai candidati, ai rappresentanti politici di informare i cittadini e se, dall'altra parte, non si dà la possibilità a tutti i votanti di conoscere le posizioni di coloro che partecipano al confronto elettorale per ottenere consenso e sostegno al proprio programma elettorale. Tale è la condizione della par condicio, di cui in queste ore si sta discutendo purtroppo nell'ombra e con molti trucchi.
Il gioco democratico e l'eguaglianza dei punti di partenza hanno bisogno che si discuta di regole eque, condivise da tutti e non tagliate su misura per favorire questo o quel concorrente: se si truccano le regole della democrazia, la stessa democrazia risulterebbe per tutti falsata.
Quella che si sta giocando a Montecitorio la definisco una «partita sporca». A tre anni e mezzo dall'inizio della legislatura, nella quale il centrosinistra ha la maggioranza, né il Governo né i partiti della coalizione maggioritaria sono riusciti a sciogliere questo nodo così essenziale per la vita democratica. Ora, dopo la sconfitta alle elezioni europee, a breve distanza dalle elezioni regionali (guarda
Questa «sporca partita» - lo ripeto - è stata giocata nei contenuti sulla base di una faziosa impostazione ideologica: al Senato è stato approvato quel testo che parte dal presupposto che il potere pubblico possa giudicare quella che è buona propaganda e quella che è cattiva propaganda; quali sono gli strumenti corretti della comunicazione politica e quali invece sono quelli scorretti. Insomma, ha dettato le regole che, secondo i pregiudizi della migliore tradizione giacobina antimodernista, possono essere così riassunte: il manifesto è bene e lo spot è male; la riunione è positiva, mentre l'informazione nella televisione pubblica - utilizzata dalla sinistra in lungo e in largo - è legittima; il messaggio televisivo pubblico, invece pagato, è negativo!
Il secondo tempo di questa operazione illiberale si è giocato alla Camera, con qualche situazione «dubbiosa» rispetto al procedimento regolamentare perché, guarda caso, il testo settario approvato dal Senato a Montecitorio non avrebbe la maggioranza. Si è pensato bene, allora, di ricorrere a qualche trucchetto: infatti, alla Commissione affari costituzionali fino a dicembre i rapporti di forza sulla par condicio erano di 25 deputati contrari e di 23 favorevoli; con una serie di manovre capziose e di interpretazioni regolamentari audaci, nonché con scorrettezze procedurali e sostanziali, negli ultimi giorni si è giunti (udite, udite, udite!) ad invertire il rapporto di forza tra i due schieramenti con 25 membri favorevoli e 24 contrari!
Vi è da chiedersi con quale faccia i Democratici di sinistra-l'Ulivo - principali protagonisti della vicenda - abbiano il coraggio di affermare - come hanno fatto nell'ultimo congresso - che ormai avrebbero definitivamente superato il postcomunismo, per approdare al socialismo-liberale.
Nelle piccole come nelle grandi cose che riguardano la lealtà del gioco politico si misura il tasso di democrazia di una forza politica. Su questo tema che è vitale perché riguarda le regole i democratici di sinistra - purtroppo - sono oggi come ieri, l'altro ieri e cinquant'anni fa.
È una pura illusione quella di chi pensa di far leva su tali metodi poco chiari e poco corretti per ribaltare la tendenza dell'elettorato che non è (e ne siamo consapevoli tutti) molto favorevole a un Governo di centrosinistra, che non è favorevole a questa legge, che non è favorevole alla possibilità che ancora una volta quel confronto vero, serio e necessario per elevare la dignità di un Parlamento che ormai non svolge più quelle funzioni che gli sono proprie e che non riesce più a rappresentare il paese non si realizzi perché si stravolgono le regole continuamente.
Quindi, io credo che una riflessione comune, una riapertura di questo confronto - la necessità di una riapertura di questo confronto - potrebbero portare all'individuazione di regole vere, sostanziali, di lealtà democratica per permettere a questo Governo e a questo Parlamento di voltare pagina rispetto al ruolo ricoperto sino ad oggi.
Ancora una volta, abbiamo assistito alla strumentalizzazione di comportamenti che oserei definire quasi normali, non di attacco, non di violenza, ma di confronto, forse di diverbio forte, critico ed esaltante.
Io ricordo quei mesi vissuti da umilissimo e modesto sottosegretario del Governo Berlusconi. Ricordo che in quest'aula e nel paese tutti i giorni rullavano i tamburi; ricordo che le piazze erano strapiene tutti i giorni; ricordo che, dopo essermi prodigato per aiutare i minatori del Sulcis e perché ci fosse una correzione e un intervento del Presidente della Repubblica rispetto ad un decreto che poteva negare il diritto di sopravvivere a questi poveri lavoratori, scesi nella piazza antistante palazzo Chigi, nella quale i tamburi rullavano, ma dove la polizia non interveniva. La polizia stette lontana. Mi avvicinai alle transenne, fui colpito e fui respinto. C'era anche qualcuno di quelli
Non ho mai denunziato quell'atto e anche oggi non voglio rappresentarlo come denuncia, ma allora compresi che si trattava di un confronto tra parti che svolgevano ruoli diversi. Allora non bisogna vittimizzare o creare nuovi eroi delle monetine. Non ne abbiamo alcun bisogno, soprattutto quando questi eroi sono degli sconosciuti; stasera, il segretario del Partito popolare è stato sicuramente scambiato solo ed esclusivamente per un semplice passante che voleva in qualche modo polemizzare con coloro che manifestavano liberamente, serenamente e correttamente.
Come mai a tutti gli altri parlamentari, anche di sinistra, che sono passati per quella strada non è successo nulla? Si è voluto creare il caso. Bene, creiamo questi casi, ma poi non esprimiamoci in termini di grande solidarietà per comportamenti che forse non avrebbero bisogno di grande solidarietà anche perché abbiamo appurato che le monetine non si vedono più e che forse sono state lanciate verso un'autovettura e non verso soggetti fisici. Le autovetture, da quando esistono, credo che non abbiano facoltà di parola in questo paese.
Sarebbe bene, quindi, stare attenti nell'enfatizzare certe situazioni. Questa sera, davvero, mi sono sentito un estraneo quando ho sentito parlare di violenza, di un clima di tensione, di una capacità di produrre un grande conflitto: me lo ricordo bene il grande conflitto nelle piazze, quando noi venivamo additati come coloro che si erano appropriati delle istituzioni, mentre oggi, quando vi è un'appropriazione con un tradimento attraverso personaggi e soggetti politici... (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Carmelo Carrara. Ne ha facoltà.
In questi giorni, ci siamo sforzati di convincere i colleghi in aula e gli italiani di come il provvedimento in esame sia ingiusto, odioso, al di fuori dei limiti (che sono stati infatti superati) posti dalla Costituzione al legislatore a garanzia delle libertà costituzionali come la libertà delle opinioni e della loro diffusione. La vera ratio che ha spinto la maggioranza a varare questo provvedimento è cancellare, o comunque reprimere fortemente, la libertà di informazione di cui ancora oggi godono le emittenti di Berlusconi.
Nel contempo, nulla si è proposto sulla disparità comunicativa degli altri media e nessuno si è doluto del fatto che in Italia oggi non vi sono strumenti per garantire la par condicio in altri settori dell'informazione. Il sistema concepito doveva rappresentare una deroga applicabile solo nelle campagne elettorali, in quanto la regola deve essere la massima libertà per i politici di comunicare con il popolo, unico e vero titolare della sovranità in una democrazia rappresentativa. Ma il testo non va affatto in questa direzione, e non si può accusare il Polo, così come è avvenuto oggi pomeriggio, di aver fatto di questa battaglia una vera e propria crociata, perché è evidente che essa viene condotta per la libertà, in particolare per una delle più importanti e fondamentali libertà dell'uomo, proprio contro coloro che si dimostrano essere gli infedeli della politica.
Stamani, nell'ambito delle dichiarazioni di voto sulla Commissione d'inchiesta su Tangentopoli, abbiamo sottolineato come uno dei temi fondanti per la pacificazione sociale sia proprio il recupero dell'etica nella politica. In una paese democratico, è giusto che a tutti sia consentito pari accesso ai mezzi di informazione,
Quali sono, infatti, le ragioni di ordine pubblico e di buon costume che hanno originato questi divieti? Quali sono, quindi, le limitazioni alla libera espressione del pensiero? Perché vietare ai cittadini italiani di essere raggiunti ed avvicinati dalla politica?
In realtà, sappiamo che questa legge non è per i cittadini italiani, ma è una legge contro qualcuno ed è proprio per questo che noi affermiamo a viva voce che è una legge illiberale. Vi sono stati vizi - e li abbiamo denunciati nel procedimento di formazione di questa legge - e ieri abbiamo espresso le ragioni che sorreggono questo convincimento.
Oggi con gli emendamenti presentati vogliamo tornare a ragionare sulla giustezza o meno di questo provvedimento che nasce dall'esigenza di regolare gli abusi e non il corretto uso dei mezzi di informazione.
Di fatto, questa legge non tutela il diritto dei cittadini ad avere un'informazione sostanzialmente corretta ed imparziale, offende grandemente la proprietà privata con l'espropriazione gratuita della facoltà piena di fruizione dei propri beni e non consente ai partiti dell'opposizione, di qualunque opposizione, di far conoscere agli elettori i loro progetti politici e di fare controinformazione rispetto ai media, sempre più egemonizzati dalla maggioranza di Governo.
La menomazione della libertà e della manifestazione di pensiero, che si determinerebbe con la «blindatura» di questo provvedimento, è il primo sintomo della volontà di questa maggioranza di colpire al cuore la democrazia di questo Stato, impedendo la comunicazione elettorale e politica aperta, libera e diffusa. Questa, infatti, è una legge mirata contro Berlusconi e che, in assenza di quella che rappresenta una necessaria precondizione, cioè la normativa su conflitto di interessi, rischia di essere penalizzante non solo per l'attuale opposizione, ma anche per le opposizioni future.
Ecco perché avevamo chiesto il rinvio della discussione, ai sensi dell'articolo 40 del regolamento. Infatti, bisogna prima risolvere il problema della proprietà e dell'uso delle televisioni da parte di esponenti politici ed occorre anche intervenire, in un'ottica complessiva, in ordine alla disciplina delle campagne elettorali ed alla corretta utilizzazione della concessionaria del servizio pubblico, per cui ancora oggi si assiste ad uno squilibrio di informazione politica tra gli spazi dedicati alla maggioranza e quelli dedicati all'opposizione.
Il riequilibrio informativo nella vita politica e parlamentare del paese doveva partire dal servizio pubblico e non da quello privato. Non è un caso che questo scippo costituzionale avvenga proprio oggi, nell'imminenza delle consultazioni elettorali regionali, per favorire la propaganda elettorale di Stato, piuttosto che favorire quella libera ed aperta che possa sempre più avvicinare il sistema politico ai cittadini.
Occorre, dunque, mantenere un sistema normativo coerente con la legislazione in termini di parità di accesso tra i candidati ai mezzi di informazione. La replica del ministro oggi non ci ha affatto convinti, né tantomeno la sterile filippica del sottosegretario Vita, che ha replicato dicendo cose del tutto infondate in merito allo spirito liberticida che animerebbe il Polo ed alla mancanza assoluta di iniziativa da parte dell'opposizione nella fase emendativa del provvedimento.
Tutto ciò non è vero: il sottosegretario ha rispolverato la storia del conflitto di interessi, ma ha taciuto assolutamente sul
I nostri emendamenti vanno nella direzione di evitare l'introduzione di ulteriori restrizioni alla libertà di utilizzare il mezzo radiotelevisivo in campagna elettorale. Noi siamo convinti che occorra garantire i cittadini affinché essi possano essere raggiunti dal maggior numero possibile di informazioni, che consentano loro di decidere al meglio, dopo aver selezionato ed elaborato i messaggi ricevuti.
Il disegno di legge che stiamo esaminando introduce tanti, troppi divieti, tanti, troppi condizionamenti alla libertà di informare ed essere informati, libertà che rientra a pieno titolo, in una società della comunicazione come la nostra, nella categoria dei diritti pubblici soggettivi.
Siamo convinti che una buona regola si debba fondare sull'accesso e non sul divieto, con un sistema che eviti eccessi e strumentalizzazioni dei media. I tre principi ispiratori dei nostri emendamenti si basano sull'accesso gratuito consentito ai partiti, movimenti e candidati al servizio pubblico; sui prezzi politici fissati dall'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, per i messaggi dalle emittenti private; sul tetto di spesa, per evitare un uso eccessivo di chi ha maggiori possibilità economiche.
Noi riteniamo che il limite di spesa per i messaggi pubblicitari politici debba essere pari al 50 per cento del limite massimo stabilito per la campagna elettorale, mentre per le consultazioni referendarie, per le consultazioni europee, provinciali e comunali, non essendo in questi casi previsto nessun limite di spesa, si dovrà introdurre un meccanismo simile a quello utilizzato per le elezioni politiche.
Abbiamo poi presentato emendamenti diretti a garantire il diritto del telespettatore ad una corretta informazione e a questo proposito pensiamo che i messaggi pubblicitari politici debbano essere trasmessi solo in spazi distinti dalla pubblicità commerciale e con l'apposita scritta «pubblicità elettorale». Essi non dovranno inoltre contenere informazioni deliberatamente non veritiere, in ogni modo false, scene o slogan denigratori e non si potranno tanto meno utilizzare tecniche di suggestione dirette a promuovere un'immagine negativa dei candidati o lesiva della privacy degli stessi.
Tali disposizioni, a nostro avviso, non si applicheranno alle emittenti televisive locali e alle reti telematiche per ragioni di opportunità, ma anche perché sembra ancora prematuro introdurre per questo tipo di reti regole che potrebbero limitare l'enorme potenziale informativo dei nuovi media.
L'accesso dei cittadini alle informazioni presenti sulle reti telematiche si attua attraverso una scelta volontaria del percorso di navigazione e tale circostanza impone una disciplina specifica che tenga conto dell'approccio interattivo con le informazioni ben diverse dall'atteggiamento passivo dello spettatore davanti alla televisione.
Questo è il senso dello sforzo che è stato compiuto per emendare in senso positivo questo provvedimento, che è stato «blindato» e arricchito di divieti e condizionamenti alla libertà di informazione.
Queste sono le legittime richieste dell'opposizione e non si potrà certo continuare ad affermare che esse siano soltanto il frutto di manifestazioni di colore, come ha sostenuto oggi il rappresentante del Governo. Crediamo pertanto che il Governo e la maggioranza si debbano rendere partecipi di un'esigenza che non è soltanto quella da più parti lamentata di imbavagliare l'emittenza privata ma anche quella di non soffocare la democrazia e la gran parte delle voci che si potrebbero levare oggi, domani, dopodomani dal popolo italiano. Anche alla maggioranza tocca l'onere dell'equilibrio tra gli schieramenti in uno Stato democratico, a meno che questa maggioranza non voglia tenere il paese in uno stato di tensione, di clima infuocato, che non solo non farà certamente bene alla politica, allontanandola da una certa maturazione e dalla cultura dell'alternanza, ma nuocerà a tutto il paese e a tutta la società civile, che non
Cosicché, al di là delle tante osservazioni che potrebbero qualificare il mio intervento, mi preme offrire all'attenzione e alla valutazione dell'Assemblea considerazioni su aspetti contenuti nel provvedimento che possono provocare nel settore effetti devastanti. Mi rendo perfettamente conto dei motivi ispiratori del disegno di legge, quindi non ripeterò le considerazioni egregiamente esposte da altri colleghi, ma i toni e la radicalizzazione della prima fase della discussione confermano che la materia del contendere è vitale.
Il provvedimento al nostro esame, per i toni forti che ha sollevato, conferma l'interesse della maggioranza al riguardo. Non mi interessa, in questa fase, scoprire le motivazioni che hanno spinto la maggioranza a rifiutare la costruzione della libera informazione. Mi preme evidenziare che una legge di parte, peraltro lesiva, è l'ultima cosa che avrebbero voluto gli italiani e desiderato ed auspicato le tante imprese private che operano nel paese.
Certo, il problema delle televisioni, dell'uso e della gestione del mezzo di informazione è antico, ma presenta mille sfaccettature che la classe dirigente non ha saputo risolvere perché soprattutto dall'informazione pubblica ha tratto grandi vantaggi nella manipolazione dei messaggi elettorali. Si afferma che le televisioni sono il mezzo di informazione di massa più ambito e, nello stesso tempo, più temuto. Non a caso, il centrosinistra e, soprattutto, la sinistra hanno monopolizzato il servizio pubblico negli ultimi cinquant'anni. In questo periodo non si è mai parlato di par condicio né di giusta informazione; si è sempre agito per accaparrarsi spazi e posti di potere all'interno di questo servizio.
In oltre mezzo secolo, le forze politiche che hanno gestito il potere non hanno mai parlato di attentato alla democrazia o di scorretta informazione. Per oltre cinquant'anni il quarto potere, quello dell'informazione, è stato asservito al regime imperante per agevolare soltanto l'ascesa elettorale di certi partiti a danno di altri. Non è un caso che nel servizio pubblico televisivo moltissimi giornalisti militanti di sinistra o iscritti a partiti dell'estrema sinistra controllino l'informazione. Voglio sperare che la sinistra non abbia il pessimo gusto di affermare che quei tanti giornalisti sono stati assunti dal servizio pubblico solo per meriti professionali, né abbiamo mai notato nella sinistra il pur minimo pentimento per aver contribuito ad ingannare i tanti aspiranti giornalisti ed operatori televisivi attratti dai concorsi che la televisione di Stato ha bandito, anche se si sapeva che le forze politiche gestivano e si ripartivano i posti. La verità è che la sinistra italiana, alla faccia della par condicio, non ha soltanto monopolizzato la RAI, ma ha anche condizionato pesantemente la grande stampa assoggettandola ai propri interessi elettorali attraverso iniziative legislative favorevoli ai grandi gruppi finanziari proprietari delle grandi testate.
Talune reti televisive, soprattutto quelle pubbliche, per rispondere meglio alle esigenze di parte, producono e costruiscono una informazione peggiore di quella offerta dai bollettini interni degli stessi partiti. Questo, però, non importa a nessuno,
Capisco i motivi che spingono la maggioranza a tutelarsi e a conservare per sé il privilegio del monopolio. Abbiano però il coraggio di affermarlo, di sostenere che per certi partiti di Governo la democrazia è questa: mantenere i propri privilegi e negare ad altri ogni possibilità di scalfirli. Per questo, contro questo sistema di informazione pubblica sono nate in Italia e si sono sviluppate nel paese oltre 1.750 imprese televisive locali; piccole imprese, signor Presidente, che offrono un'informazione libera e completa, ma per essere imprese che vivono nel mercato e dal mercato non possono che restare svincolate da tutto e da tutti.
Non sbaglieremmo allora se affermassimo che gli italiani prediligono le radio e le televisioni private a quelle pubbliche. E questo credo spieghi l'affermazione dell'onorevole Veltroni al congresso del suo partito: il segretario del PDS in merito ha affermato che la pericolosità del capo dell'opposizione deriverebbe dal possedere reti televisive che sono grandi strumenti di persuasione. Il segretario dell'ex Partito comunista riconosce che le reti televisive sono strumento di persuasione. Peccato che non se ne sia accorto prima, allorquando, per oltre trent'anni, questi strumenti di persuasione sono stati gestiti in Italia contro ogni principio di democrazia e di libertà da quelle forze politiche che noi abbiamo considerato regimi.
Da qui, a nostro parere, la scelta del PDS: gestire in maniera monopolistica il servizio pubblico, privare gli altri di qualunque possibilità di comunicare. Gli italiani però questo film lo hanno già visto e per tutta la durata della prima Repubblica lo hanno dovuto sopportare. L'Italia non ha bisogno della monopolizzazione dell'informazione per risolvere i tanti problemi che esistono nel paese. Si sa, però, che alla sinistra non interessa affrontare e risolvere i problemi che affliggono questo nostro paese, alla sinistra non interessa affrontare e risolvere le diverse situazioni esistenti: la sinistra vuole conservare il potere per meglio gestire ai propri fini i privilegi che questo consente.
Per questi motivi e per queste ragioni opera ed agisce per conservare quello che già manipola e, contemporaneamente, per limitare quello altrui. Assistiamo infatti all'uso continuamente scorretto delle reti televisive di Stato. Qualche esempio non guasterebbe, anzi credo sia indispensabile per meglio chiarire questa nostra affermazione. Desidero porre all'attenzione di questa Assemblea un esempio estremamente significativo per confermare come l'informazione pubblica risponda al principio dell'utilità a favore di alcuni e contro altri. Mi riferisco alla rubrica di Enzo Biagi, Il fatto: nella trasmissione di martedì 11 gennaio scorso, nell'ora di punta e di massimo ascolto, Biagi, parlando di par condicio e di televisioni private, e dopo aver ripreso lo spot di AN: «Il centrosinistra ha fallito: mandiamoli a casa!», commenta: «Ma non sono quelli di AN gli eredi di coloro che distrussero una generazione di italiani mandandoli in guerra?». E commentando poi l'affermazione di Berlusconi, secondo cui egli paga gli spot pubblicitari, così Biagi afferma: «Ma non dice il capo dell'opposizione che li paga a se stesso».
Non sono abituato ad essere scortese con le altre forze politiche, né ad esprimere
Sono convinto che un professionista come Biagi queste cose le sappia, anzi che conosca bene queste verità, tuttavia, continua ad esternare per favorire una parte e danneggiarne un'altra. Una ragione ci deve pur essere! La ragione, a mio parere, è legata al contratto della RAI; ancor peggio sarebbe se la ragione scaturisse da un'imposizione di questo tipo di comportamento. Questo, comunque, non torna utile alla professionalità del giornalista. È di tutta evidenza, però, che si tratta di uno dei tanti messaggi galeotti che manda in onda la TV di Stato, di un modo scorretto di gestire l'informazione e di utilizzare i mezzi pubblici in maniera subdola e partigiana. È un modo di fare informazione - lo voglio ricordare - tipico della vecchia nomenclatura, di cui Biagi è e rimane un esemplare di lusso.
Non intendo sottrarmi, signor Presidente, in questa ultima parte dell'intervento, al dovere di considerare taluni aspetti significativi del provvedimento. Si dice che questo disegno di legge è necessario per uniformare l'informazione televisiva italiana a quella dei grandi paesi democratici; lo ha affermato lo stesso ministro delle comunicazioni stasera.
Autorevoli esponenti della maggioranza sostengono che in Francia, in Germania, nel Regno Unito e nella Spagna la pubblicità elettorale è vietata e la propaganda elettorale è gratuita sui mezzi pubblici e privati. Non è così! In Francia le norme stabiliscono che durante la campagna elettorale siano previsti spazi gratuiti per la propaganda elettorale nelle televisioni di Stato. Vi è poi la raccomandazione - lo ripeto, la raccomandazione - ai concessionari privati in campo televisivo di realizzare l'opportunità per tutti i candidati.
In parole povere, il servizio pubblico, essendo tale, pone a disposizione delle forze politiche spazi gratuiti di propaganda. Le leggi poi raccomandano alle emittenti private di creare opportunità per tutti ed è un comportamento corretto perché il potere pubblico non può imporre ad un'impresa privata di lavorare gratuitamente.
In Germania, durante il periodo elettorale, le emittenti televisive pubbliche e private con diffusione a livello federale hanno l'obbligo di concedere ai partiti spazi gratuiti di propaganda. Le emittenti private, sancisce poi la legge, possono chiedere ai partiti il rimborso delle spese sostenute per la messa in onda della gestione del programma.
Il modello spagnolo non consente la pubblicità elettorale e la propaganda sui mezzi pubblici e sulle televisioni private. Durante il periodo elettorale, però, è consentito realizzare pubblicità elettorale sulla stampa periodica e sulle emittenti radiofoniche private. È previsto, comunque, un limite massimo di spesa del totale consentito, pari al 20 per cento.
Non mi pare che il provvedimento del Governo abbia alcuna attinenza con le legislazioni europee, semmai assorbe da tutti gli elementi che più soddisfano le esigenze della maggioranza e non quelli che interessano al popolo italiano.
Peccato, però, non sia dato sapere se negli altri Stati i cittadini paghino il canone, quanto costino le frequenze e se esista il monopolio della pubblicità. Inoltre, è mai possibile che non si prenda mai esempio dall'estero quando è necessario importare norme utili al nostro paese? In tante nazioni la disoccupazione non ha l'indice che abbiamo in Italia, ma questo non importa al Governo e alla maggioranza.
In altri paesi i giovani disoccupati percepiscono indennità che garantiscono anche l'inizio di un rapporto assicurativo. In Italia i giovani sono disoccupati e, quel che è grave, rimangono tali, ma non importa a nessuno; quel tipo di legislazione non arriverà mai in Italia. Mi domando e vi domando: è mai possibile che la panacea dei mali italiani sia la gestione dei servizi televisivi? Suvvia, siamo seri! Non si possono penalizzare 1.750 reti, radio e TV private locali (tante sono le imprese che operano nel settore) solo perché si ritiene che nel nostro paese vi sia da risolvere il conflitto di interessi. Bene, se esiste tale conflitto, si risolva, senza limitare a nessuno il diritto di fare impresa. Qualcuno ha affermato maldestramente che le radio e le televisioni private non risulteranno penalizzate perché la finanziaria ha previsto una spesa di 20 miliardi, ma ciò significa innanzitutto riconoscere il danno che questo provvedimento crea alle radio e alle TV private.
Già questo dovrebbe convincerci dell'errore che si sta per compiere. Certo, si afferma che la finanziaria ha previsto questi 20 miliardi l'anno. Sapete cosa significano 20 miliardi per 1.750 imprese? Circa 900 mila lire al mese, appena 11 milioni all'anno per ciascuno di questi enti. Pretendere che con 11 milioni l'anno le televisioni private possano assicurare spazi gratuiti a tutti i partiti è pura follia, giacché dovrebbero lavorare gratuitamente almeno 12 ore al giorno.
Certo, con i denari degli altri è facile legiferare, mentre poi in casa propria si licenziano giornalisti professionisti perché non si riesce a sopportarne i costi gestionali. Dalle proprie imprese tutto è lecito: nessuno ne parla, nessuno discute. È il caso, signor Presidente, di tenere questi elementi in debita considerazione per evitare di trovarci di nuovo con diversa disoccupazione.
Non ci attendiamo grande sensibilità da parte delle forze della maggioranza. Peraltro, durante l'esame della finanziaria siamo stati spettatori dell'approvazione di un articolo che prevede la riduzione dell'1 per cento degli organici del personale statale. Ciò senza battere ciglio, nonostante per nove anni le leggi finanziarie abbiano bloccato i relativi concorsi.
In conclusione, signor Presidente, voglio affermare a scanso di equivoci e con forte determinazione che non sono sostenitore del libero arbitrio, ma neanche dell'imposizione monopolistica. A mio parere sarebbe giusto regolamentare il servizio pubblico ed offrire gratuitamente spazi elettorali a tutti, semplicemente in quanto gli elettori, rappresentati dai partiti, già pagano e quindi è giusto sentire le proprie parti politiche senza che queste siano supertassate, così come può essere giusto raccomandare alle imprese private il rispetto dell'imparzialità dell'informazione. Infine, sarebbe altrettanto corretto disciplinare la spesa consentita durante le competizioni elettorali, ma non addirittura neutralizzarla.
Si vuole per davvero, allora, affrontare il problema? Bene, la base di partenza non può essere però questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Frau. Ne ha facoltà.
Dobbiamo pensare quindi che non si tratta certo di un colpo di Stato, ma di una strisciante modifica che, dal punto di vista formale, può darsi sia anche legittima; anzi, la stima che nutro per l'onorevole Cerulli Irelli ed il suo discorso mi portano a dire che certamente è legittima: la forma prende sempre un suo rilievo e molte volte diventa la giustificazione della sostanza. Questo provvedimento, però, è nato male, su degli equivoci, su degli errori di valutazione. Intanto è partito da una sorta di truffa della parola: par condicio, enunciazione truffaldina nel senso che non corrisponde esattamente (non è che con artifici o raggiri andiamo nel codice penale) a quello che poi promette. Che sia un po' una truffa verbale ci viene confermato poi dal suo inventore. Ci sembra che questa par condicio venga dall'alto colle del Quirinale in tempi ormai superati! È quindi farisaico dire che questa legge serve per stabilire una par condicio nell'accesso alla televisione, ed è farisaico anche l'articolo 1 quando afferma: «La presente legge promuove e disciplina, al fine di garantire la parità di trattamento e l'imparzialità rispetto a tutti i soggetti politici, l'accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica».
L'onorevole Mancuso ha giustamente rilevato che il verbo «promuovere» non è il più idoneo dal punto di vista giuridico. Prescindendo da questo, andando avanti nella lettura del testo si può rilevare che la normativa ha una sua caratteristica: si tratta di una legge «fotografia», come si diceva un tempo quando si voleva indicare una legge fatta per qualcuno, per qualcosa, in un determinato momento, cioè una legge che prescindeva dalle caratteristiche di astrattezza e neutralità.
Il provvedimento in esame non ha molte di quelle caratteristiche e crea una situazione che, se non fosse vera, è molto verosimile. Se non fosse vero che questa legge mira a discriminare l'opposizione; se non fosse vero che è fatta per arrivare alle elezioni, almeno presuntivamente, in condizioni migliori; se non fosse vero che è maturata, nonostante il lungo tempo di vacatio che c'è stato, non perché manchi un'altra legge ma nel senso che era in qualche modo annunciata; se tutto questo non fosse vero, c'è da chiedersi se non sia verosimile che essa interviene proprio adesso per una motivazione politica contingente, l'avvicinarsi delle elezioni o il susseguirsi di quelle precedenti, cioè che interviene dopo le elezioni europee e prima di quelle regionali. Se non fosse vero, è verosimile. L'onorevole Massa, uomo intelligente e spiritoso, sa che molte volte è più importante ciò che è verosimile di ciò che è vero.
Questa situazione è stata oggi giustificata, in modo adeguatamente cardinalizio, dal ministro Cardinale, il quale peraltro ci ha raccontato intenzioni e volontà più che fatti contenuti nella legge, e poi si è fatto interpretare, per interpretazione autentica, dal suo sottosegretario, onorevole Vita, dimostrandosi con ciò che era necessaria una sua interpretazione e che tra ministro e sottosegretario per le comunicazioni è necessario sentire la voce del sottosegretario per dare qualche autorevolezza a quella del ministro (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Il ministro Cardinale ha chiesto dove sia lo scandalo e che cosa si impedirebbe, ed ha sostenuto che il Governo vuole solo mettere ordine. Ma nel suo collegio il ministro ha certamente bisogno meno di altri della televisione, perché ottiene voti, secondo la scuola mastelliana, non con il lancio di progetti e di idee ma per quel consenso, popolare e legittimo, che nasce dall'ampia clientela, dal fatto importante di avere un contatto diretto con gli elettori, il che vuol dire il controllo degli stessi, che in quel caso non hanno nemmeno la possibilità di fare lo «zapping», cioè di cancellare per un momento Cardinale per vedere un suo
La sensazione quindi verosimile è che questa legge sia sostanzialmente mirata ed ingiusta. L'ingiustizia non nasce solo in termini assoluti, formali, giuridici, ma è anche una sensazione, un modo di esprimersi e di farsi capire. Se una cosa è considerata ingiusta, vuol dire che ha in sé qualcosa che manca per poter essere accettata con serenità, e non è un problema che riguarda le due parti, maggioranza o opposizione, è una questione ben più generale che concerne il modo di affrontare in termini politici un problema che è politico, non giuridico. Quindi, non è il discorso del ministro Cardinale quello che conta, ma eventualmente quello del sottosegretario Vita e, nel caso di quest'ultimo, abbiamo avuto la netta sensazione di un intervento perfettamente politico, politicamente accettabile, anche se è stato la dimostrazione che quel discorso è da parte nostra condannabile, cioè da avversare.
Allora, il concetto di giustizia (in questo il Governo è rappresentato in aula proprio dal sottosegretario al Ministero della giustizia, forse per dare un'aura di giustizia a questa situazione) insieme con una situazione politica di questa tensione credo che ci porti ad una considerazione se volete banale, ma abbastanza realistica: noi siamo qui a discutere di questo provvedimento, ma né la maggioranza né l'opposizione stanno discutendo per fare qualcosa di meglio; né la maggioranza né l'opposizione sono così ingenue da non sapere che, essendo il problema politico, non è una questione di emendamenti, di dettaglio, di accorciamento delle distanze: è un problema politico in cui da una parte c'è una situazione con una certa valutazione politica e dall'altra una situazione e una valutazione diverse; posizioni talmente distanti da non essere certamente raggiungibili con qualche colpo di emendamento.
Noi siamo qui a parlare perché abbiamo il problema di lasciare non soltanto agli atti della Camera, ma anche all'opinione pubblica, ai nostri e ai vostri elettori, il mantenimento della memoria di ciò che si è fatto. Questo facciamo senza illuderci, perché non dobbiamo essere farisei e non dobbiamo illuderci gli uni con gli altri o addirittura illudere noi stessi nello stupido tentativo di convincere gli altri, perché tutti sanno che non possiamo convincere nessuno.
Credo che, in sostanza, il problema che noi denunciamo sia il rovescio di quello che qui è stato enunciato. In questa sede con grande abilità e con la consueta intelligenza l'onorevole Cerulli Irelli, che ha valutato il problema dal punto di vista del diritto, ha però teorizzato il fatto che l'anomalia italiana è quella di avere le televisioni private rispetto ad una televisione pubblica e, siccome quest'ultima funziona sulla base di un ordinamento, se non ho capito male, onorevole Cerulli Irelli, è quella privata che quindi va regolamentata.
Anche in questo caso siamo di fronte ad una grandissima dose di fariseismo: dovremmo dircelo, visto che siamo in un Parlamento e che ciò che diciamo in questa sede non potrà - almeno si spera - essere sottoposto a giudizio di legittimità tra un magistrato e la Corte costituzionale. Diciamoci con chiarezza: di chi è la RAI? La RAI è sempre stata del Governo; non è adesso del Governo, è sempre stata una struttura legata al carro del potere. Scusate il termine ed il confronto, non voglio offendere eccessivamente la RAI, ma è come chiedersi con chi stia la mafia: la mafia sta con chi è al potere. Non ho mai visto la mafia collegarsi ad una forza che non conta niente e non ho neppure mai visto la RAI lontana dal potere (il potere democristiano, l'epoca Bernabei, l'epoca del compromesso più o meno storico tra comunisti e democristiani, la partecipazione della sinistra). Chi più dell'onorevole Giulietti, che prima non era onorevole, è capo RAI? Lo sapevano tutti, perfino i corrispondenti di periferia dei più piccoli giornali. La RAI ha sempre gestito il proprio equilibrio di potere interno sulla
Non lo sapevamo che la RAI era lottizzata non con il manuale Cencelli, ma in modo molto peggiore? Non sappiamo che la RAI e il sistema televisivo privato (Mediaset, tanto per fare nomi e cognomi) sono alternativi ma, in un certo senso, anche paritetici? Non dimentichiamo che vi è anche la popolare Telemontecarlo, di cui nessuno parla perché forse non conviene ma che, comunque, esiste, con due canali; sono certo che l'onorevole Massa, essendo un uomo acuto ed informato, sa che c'è, ma è meglio non parlarne.
Il problema, nel caso, riguarda Mediaset. Va bene, affrontiamolo, ma facciamolo in termini politici. Mediaset è un grosso gruppo editoriale televisivo: possiamo pensare che sia nel dominio personale di qualcuno?
Il provvedimento viene discusso a ridosso delle elezioni. La cosa non mi scandalizzerebbe se fosse sorto qualche problema drammatico che avesse posto la questione con urgenza; è la logica di cui si dibatteva all'epoca della nostra presidente Jervolino Russo, alla quale rivolgo un saluto cordiale e deferente, quando in seno alla Commissione affari costituzionali discutevamo di tematiche simili, anche se non inerenti alla televisione: mi riferisco al problema dell'urgenza con la quale il Governo poteva intervenire. Ricordo che abbiamo lavorato a lungo fino alla sentenza della Corte costituzionale con la quale si è stabilito che il Governo non poteva più reiterare i decreti-legge; il Governo Dini ha reiterato sette o otto volte il provvedimento sulle televisioni (ormai il numero non conta più) e sempre senza che esso venisse convertito in legge dal Parlamento.
Che significato ha il fatto che il provvedimento venga approvato a ridosso delle elezioni? Ha il significato di una prova muscolare: «Vi facciamo vedere chi decide», ma non per il risultato concreto che si potrà conseguire; sono abbastanza convinto,
Ma la legge sul conflitto di interessi, cari amici della maggioranza, è una macchia che ricade su di voi perché al Senato è stata lasciata chiusa nei cassetti da due anni, mentre era già stata approvata all'unanimità - o quasi - da questo ramo del Parlamento.
Avviandomi alle conclusioni, rilevo che il problema politico rimarrà aperto e che non saranno gli emendamenti di una parte o dell'altra che potranno modificarlo.
Chiedo, allora, a questa maggioranza se intenda portare avanti tale discorso con lo spirito con il quale oggi è stato fatto un ragionamento a mio avviso lacerante: mi riferisco a quando ho sentito l'onorevole Soro fare quel discorso sulla libertà dei deputati di passare per piazza Montecitorio; a quando ho sentito il discorso delle solidarietà contro il nulla e per il nulla, perché quasi nulla si è verificato in questa occasione (ricordo che un fatto analogo a questo capitò anche a me molti anni fa davanti al Senato, perché andai a curiosare in una manifestazione della sinistra: io, tuttavia, non ho fatto denuncie clamorose o cose di questo genere). Credo che l'onorevole Soro abbia drammatizzato quella situazione: tuttavia, ritengo che il fatto importante non sia legato al lancio delle monetine, ma al clima politico di criminalizzazione che si vuole creare sia in questa sede sia al di fuori di essa rispetto a dei problemi che potrebbero essere affrontati in termini politici con un po' più di intelligenza, di moderazione, di rispetto verso gli altri, avversari o amici, maggioranza o opposizione.
Nessuno contesta alla maggioranza il diritto di esercitare le proprie funzioni ma, nel momento in cui essa interviene a regolamentare le regole del gioco (è stato detto da D'Alema; credo che ciò rientri pure nello spirito dell'«I care» di Veltroni e nella sua preoccupazione che vi sia il problema di come fare le regole del gioco), queste non si possono fare contro qualcuno, ma per un progetto che sia il più possibile condivisibile (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
Questo è un problema gravissimo che dimostra che il nostro non è un paese civile (quando negli Stati Uniti di America addirittura un colosso finanziario come
Poiché i colleghi di Forza Italia richiamano giustamente l'attenzione sul conflitto di interessi e su questi temi, credo che il nostro paese dovrebbe porsi il problema di evitare dei trust! È evidente che questo è un paese dove esistono dei trust nell'informazione, nella raccolta pubblicitaria e anche in altri settori che non riguardano ovviamente soltanto l'onorevole Berlusconi, ma anche una cultura esistente nel nostro paese. Il nostro infatti è un paese nel quale troppe questioni vengono affidate alla mediazione politica; per troppi anni, anche il centrosinistra ha pensato, con la cosiddetta politica dell'«inciucio», che sarebbe stato possibile mettersi sostanzialmente d'accordo; invece, non è così, non è corretto che sia così!
Quello che stiamo vivendo oggi è la dimostrazione che vi è stato un errore perché, alla fine, si è intervenuti su di una vicenda che sembra quasi personalizzata; mentre non è e non può essere così.
Devo dire che, quando il Governo ha approntato la proposta di legge sulla par condicio, noi, come Verdi, ci siamo espressi in termini molto negativi. Personalmente, ho presentato una proposta di legge che è molto differente dall'attuale testo del Governo, quella presentata il 21 settembre del 1999, perché ritenevamo, e ritengo ancora, che alcune parti di questa legge al nostro esame abbiano contenuti non totalmente condivisibili.
Devo però anche dire che l'atteggiamento dell'opposizione è stato sterile ed inutile ai fini della modifica e del miglioramento di questa legge. È stato ottenuto molto di più da chi, all'interno del centro- sinistra si è posto il problema di reintrodurre una possibilità di spazi autogestiti, di sottrarre le emittenti locali da una cappa che diventava eccessiva, da chi si è posto il problema - e noi lo abbiamo posto con i nostri emendamenti - di evitare alcune durezze di questa legge assolutamente inutili come quella di disciplinare in maniera dettagliata, addirittura specificamente, come si faceva con l'articolo 2. Noi abbiamo presentato un emendamento, che speriamo venga accolto, per stabilire che le forme della comunicazione politica radiofonica e altro non possono essere solo quelle qui delineate, ma più ampiamente tutte quelle eventualmente delineabili nel futuro. Noi siamo già costretti da una legge ad entrare in un dettaglio che io ritengo eccessivo per una norma legislativa, però mi rendo conto della delicatezza del compito ha necessitato questa scelta.
La seconda proposta che abbiamo avanzato, e che credo che debba essere accolta, è quella di eliminare l'assurdità dovuta all'insistenza di Forza Italia al Senato (e non della nostra coalizione) per introdurre un principio che stabiliva una proporzionalità degli spazi in televisione a seconda della forza elettorale preesistente che è quanto di più anomalo e che rappresenta la maggiore negazione possibile della parità di condizioni di partenza per tutti i competitori elettorali. È una norma e una formula che in cinquant'anni di Repubblica non è mai stata realizzata.
La Democrazia cristiana, quando aveva il 40 per cento, non prendeva il 40 per cento degli spazi nelle tribune politiche.
Quello che chiede Berlusconi, quello che ha chiesto Forza Italia - oggi lo ha ben denunciato anche Taradash -, le proposte di questo cosiddetto Polo delle libertà, sono scandalose perché la proposta è quella di stabilire addirittura che coloro che hanno già il consenso devono avere di più nel momento in cui partecipano ad una competizione rispetto a coloro che si presentano per la prima volta alle elezioni. Ciò rappresenta la negazione del concetto di parità di accesso e di condizioni. Quelle proposte sono indecenti!
Ecco perché risulta patetica la battaglia contro uno pseudoregime da parte di una logica monopolista, settaria e che incredibilmente, nella grande mobilitazione davanti alla Camera, vede solo le bandiere di Forza Italia e non delle altre forze del Polo (di questo devo dare atto, e non è un caso, credo). Questa mobilitazione, guarda caso, non è sui grandi temi della finanziaria ma viene attuata solo quando si tocca l'interesse diretto in un settore che evidentemente viene considerato strategico.
Il problema è che, già nella discussione al Senato di questa legge, Forza Italia ha cercato di ottenere il più possibile per sé attraverso le modifiche e sfruttando le possibilità offerte da questa legge, nonché il maggior numero di spazi possibili cercando di distruggere tutte le possibilità per nuove forze politiche di avere spazi.
Pensate alla lista Bonino. Secondo le proposte di Forza Italia, la lista Bonino, che ha avuto l'otto per cento alle elezioni europee, poiché non ha parlamentari, non avrebbe avuto spazi elettorali nella comunicazione politica perché gli spazi secondo la proposta di Forza Italia sono in proporzione ai seggi occupati. Quindi, la Bonino avrebbe avuto lo zero per cento e poi qui c'è qualcuno che ha detto che stanno facendo una battaglia anche per la lista Bonino. È una cosa falsa perché in quelle proposte scritte è scritto esattamente l'opposto.
Sono convinto che vi siano amici e colleghi del centrodestra che, in perfetta buona fede, sono partiti dalla nostra stessa considerazione che il divieto di spot è un principio sbagliato, anche se in vigore in molti paesi europei. Siamo dunque contro il divieto totale e siamo stati tra quelli che hanno chiesto di discuterne, perché siamo per spot in numero uguale per tutti: questa resta la nostra proposta, oggi in parte accolta perché si ipotizzano finalmente i messaggi autogestiti che sono una forma simile.
Abbiamo chiarito la nostra posizione, anche con molta durezza, ai nostri amici del centrosinistra che sostenevano che non si poteva fare ricorso agli spot perché sarebbe stato come vendere la politica allo stesso modo di una lavatrice (lo ha detto lo stesso Presidente del Consiglio): abbiamo chiarito che questa considerazione non ci sembrava giusta, anche perché la stessa Presidenza del Consiglio fa trasmettere spot contro l'AIDS o per altre iniziative sociali, che certamente non corrispondono alla vendita di una lavatrice. Quindi, lo spot ed il messaggio televisivo sono una forma moderna di comunicazione.
D'altra parte, è dal 1948 che ai manifesti elettorali vengono destinati appositi spazi e tabelloni, ma quei manifesti sono regolamentati, vi è uno spazio per ogni partito, vi sono spazi appositi dove devono essere messi: allora, mentre noi partivamo dalla richiesta che non vi fosse una logica proibizionista fondata sui divieti, non ci siamo mai sognati di pensare che non vogliamo nessuna regola per consentire la giungla, cioè che chi è più forte possa cercare di accaparrarsi tutto. Altri, però, hanno strumentalizzato e strumentalizzano questo argomento, poiché oggi il testo, nelle parti in cui può anche essere riformulato, accoglie in parte la logica delle uguali opportunità per tutti, che è esattamente ciò che deve essere: uguali opportunità per tutti!
Mi sembra evidente, allora, che siamo costretti ad un testo che ancora non è perfetto, anche per l'ottusa opposizione di chi voleva tutelare unicamente i propri interessi e nessun interesse generale, né dei cittadini, né del paese: il resto sono chiacchiere, perché uno che vuole tutelare obiettivamente la parità di condizioni, in primo luogo, non chiede un maggior numero di spazi nella comunicazione solo perché è in numero maggiore nella fase uscente del Parlamento, cercando quindi di tutelarsi in una logica conservatrice che
Le considerazioni sulla RAI, invece, sono giuste. Mi aspetto allora che non sosteniate che, poiché la RAI non tutela bene tutti, allora dovete avere un certo numero di televisioni per avere un contrappeso; sarebbe come dire: poiché gli altri rubano, rubiamo anche noi. Non è così, il concetto è esattamente opposto: è garantire che anche la RAI sia nel miglior modo possibile espressione di parità di opportunità. Oltretutto, se, come ho sentito affermare prima ad un collega, la RAI è del Governo, allora, se andasse al Governo chi possiede le televisioni private, avremmo addirittura nelle sue mani il 100 per cento delle possibilità di comunicazione televisiva.
Quindi, le stesse affermazioni di alcuni colleghi si ritorcono contro di loro in modo plateale. Auspico, dunque, che nel corso della discussione vengano approvati i nostri emendamenti, poiché consideriamo una strozzatura l'identificazione nella legge soltanto di alcune categorie di comunicazione politica e riteniamo importante eliminare una considerazione che non ha precedenti nella storia repubblicana: quella dell'autotutela dei parlamentari e dei gruppi politici esterni nell'acquisizione di spazi di comunicazione politica a scapito dei possibili competitori. Crediamo, inoltre, che possa essere istituito un fondo nazionale, che avevo previsto nella mia proposta di legge, con il quale consentire l'acquisto di spazi sulle emittenti. Francamente, non avrei avuto problemi a chiederlo anche per le nazionali, poiché ritengo che applicare la stessa logica dei manifesti elettorali alla propaganda televisiva e radiofonica sia giusto: lo Stato può comprare spazi sulle televisioni e sulle radio private e distribuirli in modo uguale, come fanno i comuni con i tabelloni, tra tutte le forze politiche con lo stesso spazio.
Mi sembra che questa fosse un'ipotesi fattibile e, visto che non riusciremo ad avere esattamente questo, spero che ci si possa avvicinare, con la previsione sia di alcuni messaggi autogestiti nelle emittenti nazionali, che sono stati proposti da alcuni nostri alleati, sia con l'eliminazione del divieto per le emittenti locali.
È già uno sforzo, un'importante iniziativa e francamente mi dispiace che, evidentemente nella speranza che tutto restasse senza regole, questo muro contro muro abbia portato a non poter utilizzare le energie e le intelligenze, che sicuramente esistono anche tra molti colleghi del centro destra, quando non emerge questo atteggiamento gretto.
Ritengo che le intelligenze non siano state utilizzate per ottenere un testo che potesse essere di tutti, ma è chiaro che, quando qualcuno si trova in una condizione estremamente privilegiata, cedere anche un pezzettino dei propri privilegi risulta obiettivamente estremamente difficile e faticoso.
Credo, tuttavia, che dobbiamo riuscire a capire che non è credibile - soprattutto alla luce delle proposte di legge presentate dai colleghi che oggi si oppongono e che sono veramente assurde - che non si accetti che in questo paese viga un principio elementare, in base al quale tutti coloro che vogliono fare comunicazione politica devono avere la stessa identica possibilità di accesso in tutti i campi.
Se vi sono critiche sulla RAI, cerchiamo di procedere per definire meglio le garanzie di correttezza in tale settore; se vi sono problemi legati ad altre emittenti, come ad esempio Telemontecarlo, andiamo avanti in questo senso. Tuttavia, non dimentichiamo, colleghi, che, nonostante dal mese di luglio Retequattro non abbia più la concessione per la trasmissione nazionale, che è stata data ad un'emittente privata - credo si chiami Italia 7 -, che è come Davide contro Golia, neanche il Governo di centrosinistra si è premurato di dare garanzie a chi
In questo paese, quindi, mentre qui si urla contro il regime, in realtà il Governo di centrosinistra continua a tutelare e a consentire che un'emittente nazionale, priva da luglio di autorizzazione, continui a trasmettere, mentre altri che ne hanno diritto ed hanno avuto l'autorizzazione non hanno le frequenze, perché ancora una volta, nonostante questo grande scontro, c'è di fatto una copertura o la paura del Governo di centrosinistra di fare in modo che un privato, che non fa parte né della RAI, né del centrodestra, né dei popolari, né di altri, abbia la possibilità di trasmettere, nonostante abbia avuto l'autorizzazione.
Che io sappia, vi sono state anche delle diffide all'authority e al Ministero delle comunicazioni, ma, anche se qui vi è un grande scontro e si fa la faccia feroce, in realtà Retequattro viene tutelata da questa mancanza di azione dell'authority per le telecomunicazioni e, devo dire, anche da una disattenzione, quanto meno, del nostro Governo.
Con buona pace del regime, in realtà, se vi è un intervento del Governo, esso è mirato a continuare a far trasmettere un'emittente che ad oggi dovrebbe andare sul satellite, con la scusa che non si conosce il numero delle parabole, né quando esse devono arrivare, mentre c'è un piccolo imprenditore televisivo indipendente che, poiché è indipendente, non è né di centrosinistra, né di centrodestra, né di nessuna parte ed è come Davide contro Golia: deve soccombere, con buona pace del regime, perché, a quanto pare, in questo paese non si può fare l'imprenditore indipendente. Questa è la realtà che viviamo drammaticamente in questo paese, in una situazione che non riusciamo a definire.
Credo che in questi giorni - la settimana prossima - dovremmo arrivare ad approvare questa legge e spero che, dopo la sua approvazione, anche il centrodestra riuscirà a riflettere su una norma che sia ancora più adeguata, in base alla quale il confronto possa consistere nel fatto che tutti hanno gli stessi spazi. Poi l'abilità sarà di chi comunica i messaggi migliori in quegli spazi, di chi ha la migliore proposta politica da avanzare e non soltanto di chi urla e strepita perché si sta cercando di eliminare un privilegio insopportabile per chi vuole un paese in cui tutti, come è successo dal 1948 ad oggi, abbiano gli stessi spazi sui tabelloni elettorali televisivi che oggi vi sono.
Ognuno poi dirà le cose che crede e in questo modo potrà convincere gli elettori, ma non vi saranno alcuni che li bombarderanno in tutti i modi, mentre altri non potranno fare nulla. Noi ad esempio non possediamo nemmeno l'Unità, né altre cose che sono state citate e, quindi, se una forza politica che vuole parlare di ambiente, di qualità della vita, di agricoltura, di consumatori, non ha i soldi, non è monopolista, non ha una rete radicata, non ha il diritto a comunicare agli elettori le proprie idee.
Francamente mi sembra che chiedere questo, come prevedevano quelle proposte, sia quanto meno indecente.
Noi affermiamo che il divieto di pubblicità elettorale nei periodi antecedenti alle consultazioni elettorali sulle emittenti radiotelevisive pubbliche e private rappresenta la negazione più assoluta dei princìpi costituzionali di uguaglianza, di libertà di pensiero e soprattutto di pari opportunità tra le forze politiche.
Ogni partito politico, a nostro avviso, deve essere libero di scegliere le modalità di comunicazione politica che reputa più idonee per l'instaurazione di un dialogo
Nell'intento di disciplinare in modo nuovo parte della materia, si introducono ulteriori limitazioni alla libertà di espressione durante le campagne elettorali: restrizione, proibizioni che con questo provvedimento si intendono sancire. Queste sono parole che pesano anche quando ve ne è ragione; qui sono macigni che fanno affondare la libertà di pensiero, la libertà di espressione.
Il Governo vuole imporre ancora una volta un andamento innaturale ad un paese culla di grandi valori democratici e patria di grandi uomini e donne di mente aperta che tanto hanno dato al mondo intero nella storia del nostro paese. È un carattere dirigista e molto paternalistico; forse sarebbe meglio per tutti noi che tale inclinazione fosse rivolta ad altri settori, i quali effettivamente sarebbero più bisognosi, per lo sviluppo economico ed occupazionale del nostro paese, di maggiore e paterna - in questo caso, sì - attenzione. Si arriva perfino a considerare i cittadini italiani - pensate - alla stregua di persone quasi incapaci di intendere e di volere, così da subire passivamente possibili, negative influenze che potrebbero loro derivare dalla visione di semplici spot televisivi.
Non credo che il livello di discernimento del popolo italiano sia così poco sviluppato. La nostra gente è tra le più dotate del pianeta; abbiamo dato al mondo - ricordiamolo - attraverso i figli di questa terra generosa importantissime scoperte; ognuno sa bene discernere e decidere ciò che ritiene essere bene per sé e per la propria famiglia, per il proprio paese.
Noi abbiamo presentato un testo completamente diverso da quello della maggioranza, più ragionevole e più razionale dove viene posto l'accento sull'equa ripartizione dei tempi e dove assumono grande importanza le condizioni nella quali tali messaggi verrebbero dati.
Proponiamo informazioni elettorali con spazi riservati a tutte le forze in campo e autogestiti, svincolati da ogni condizionamento editoriale, nonché rubriche e servizi di informazione elettorale che comprendano forme integrate di comunicazione tradizionale e forme più innovative.
Andiamo verso il futuro, onorevoli colleghi, e intendiamo garantire un'informazione completa ed imparziale nel rispetto dei cittadini e di ogni altro soggetto coinvolto. Vogliamo un servizio pubblico equo ed imparziale, libertà di forma per l'informazione elettorale, equa ripartizione degli accessi, eliminazione delle inibizioni per realizzare un servizio al paese. Ci sembrano condizioni più rispondenti ai principi richiamati all'inizio del mio intervento e concernenti le pari opportunità.
Tutto ciò viene annullato dal disegno di legge in esame: infatti, solo apparentemente tali principi vengono soddisfatti. In realtà, riferendoci ad esempio al rapporto elettorale tra partito e voti ottenuti e, quindi, al consenso e alla rappresentatività, si verrebbe a creare un macroscopico ed ingiusto squilibrio in relazione ad una moltitudine di cittadini che si sentono rappresentati, per esempio, da Forza Italia (a cui hanno ritenuto di dare il proprio voto) che, in pratica si vedrebbero assegnati gli stessi tempi e lo stesso spazio per parlare attraverso i propri rappresentanti, i propri delegati e gli esponenti più competenti del partito, di quello concesso a ciascun altro rappresentante politico, in ciò includendo chi a malapena rappresenta solo se stesso.
Ciò è ingiusto e iniquo e viola i basilari principi di pari opportunità. Inoltre, il definitivo tramonto delle ideologie e il passaggio da un sistema elettorale di tipo proporzionale ad uno di tipo maggioritario hanno senz'altro contribuito a creare una profonda evoluzione nella comunicazione politica che, per aver maggior efficacia, deve necessariamente accentrarsi sul programma concreto che il partito propone e sul candidato che si presenta nell'agone politico.
Il divieto contenuto nel provvedimento in esame, ove fosse accolto, rappresenterebbe
Inoltre, il divieto in esame sottende una condanna generalizzata sulle modalità con le quali il Polo porta avanti e divulga la propria attività politica. Si è detto, infatti, che il dibattito politico non può essere trattato alla stregua di una merce e che il cittadino non può essere equiparato ad un consumatore. Questa affermazione sottende una concezione della politica in termini di puro esercizio del potere, svincolato da una rappresentatività di tipo democratico e dalla preoccupazione dell'acquisizione del consenso popolare.
Forza Italia, al contrario, concepisce la politica come il servizio primario da fornire ai cittadini, anche mediante strumenti di comunicazione traslati dalla pratica commerciale, purché, ovviamente, siano chiari, trasparenti ed aderenti al programma politico proposto; messaggi che l'elettorato ha mostrato di comprendere e gradire.
Che le regole vengano fatte dalla maggioranza senza un consenso il più possibile corale è, a nostro avviso, un'evidente forzatura dettata, purtroppo, da esclusivi interessi politici di parte. Che ogni volta che sia ritenuto necessario ai fini propri si inventino regole nuove ad hoc da imporre alle forze dell'opposizione nel periodo - guarda caso - preelettorale, cambiando le regole del gioco in prossimità delle scadenze elettorali, è inammissibile in un paese democratico. È come - uso un termine che in questi giorni ho sentito spesso - se si giocasse una partita di calcio con regole decise soltanto da una parte e tra queste ce ne sia una che stabilisca che una squadra deve poter mettere in campo undici giocatori e l'altra soltanto cinque. Sembra che ci si voglia dimenticare che i membri di Governo vengono ripresi ogni giorno; ogni giorno possono parlare alle masse attraverso i media, possono illustrare e propagandare le proprie iniziative e i propri programmi senza problemi di tempo o di fascia oraria in relazione all'audience e senza che ciò possa essere minimamente intaccato dalla cosiddetta par condicio.
Salta agli occhi che ciò è del tutto assurdo e inaccettabile. Tutti i cittadini del nostro paese devono poter godere del diritto di ascolto, di recepimento di istanze attraverso i mass media per poter effettuare un'analisi il più possibile precisa dei problemi del paese: problemi ce ne sono tantissimi e non abbiamo ancora trovato le giuste soluzioni per quelli fondamentali. Come li risolviamo questi problemi? Come recepire le proposte dei singoli partiti diverse l'una dall'altra? Tali necessità e tali problemi possono trovare una soluzione adeguata nel più breve tempo possibile, perché la gente è stanca di aspettare, la gente vuole concretezza. Tutto ciò può avvenire quando i leader di partito e gli esponenti di struttura, esperti nei singoli settori, possono comunicare a più persone tutte le informazioni di cui sono in possesso.
I cittadini, quindi, attraverso i mezzi di informazione - e quello televisivo è tra i primi - saranno in grado di potersi formare un'opinione precisa potendo fare un confronto non solo con i programmi ma anche potendo valutare istintivamente - certe volte si prendono decisioni istintivamente, senza sapere come, ma spesso sono quelle più giuste - l'attendibilità e il carattere, sempre molto importante, quest'ultimo, di candidati e leader politici. Ciò avviene senza quasi nessuna limitazione in tutti i paesi più avanzati. In Italia, invece, sembra che questa libertà di espressione senza limiti temporali violi addirittura i principi di uguaglianza.
Se qualcuno ritiene che una maggior disponibilità economica possa privilegiare alcuni partiti rispetto ad altri e, così facendo, in qualche modo si possa nuocere al principio delle pari opportunità, è
Consentire che il dibattito politico si manifesti solo nelle forme chiuse all'innovazione significa arretrare notevolmente sotto il profilo dell'evoluzione culturale e politica nel nostro paese - riflettiamo - e scivolare verso un totalitarismo di stampo mediatico tragicamente descritto da George Orwell nel suo famosissimo libro - che qualcuno qui ricorderà - 1984, in cui un grande fratello dominava e controllava tutte le coscienze degli individui.
Colleghi, sono alla mia prima legislatura e sono in questo Parlamento da quattro anni. Da quattro anni assisto a cose che, come donna proveniente dalla società civile, mai mi sarei immaginata. Questo è un tempio che ritenevo essere la culla di ogni libertà e di ogni democrazia. Pensavo che tutti noi qui tendessimo al meglio, al servizio del paese. Noi che crediamo in valori comuni abbiamo avuto qualche delusione e spesso mi domando come dovremmo comportarci, se fossimo noi al Governo. Le cose da fare sono tante e il tempo è così poco che credo che chiunque sieda su quei banchi abbia tanto da lavorare e che debba confrontarsi democraticamente con tutti perché, per me che ci credo, il servizio al paese è una cosa veramente importante.
In chiusura, mi sento di ribadire ancora una volta che le regole del gioco devono essere volute e votate da tutti. Solo così, onorevoli colleghi, potremo ridiventare, a mio modestissimo avviso, un paese autenticamente democratico e culturalmente maturo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Resta inteso che domani il suo sarà il primo intervento, cui seguiranno quelli degli onorevoli Scaltritti, Nan e Butti.
Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.