Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 659 del 26/1/2000
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Seguito della discussione del disegno di legge: S. 4197 - Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica (approvato dal Senato) (6483); e delle abbinate proposte di legge: Boato; Giovanardi; Rossetto; Comino ed altri; Volontè ed altri; Paissan; Follini; Pecoraro Scanio; Bertinotti ed altri; Calderisi ed altri (2323-3485-3659-5562-5662-6244-6353-6354-6393-6533) (ore 16,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati Boato; Giovanardi; Rossetto; Comino ed altri; Volontè ed altri; Paissan; Follini; Pecoraro Scanio; Bertinotti ed altri; Calderisi ed altri.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione sulle linee generali.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 6483)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paissan. Ne ha facoltà.

MAURO PAISSAN. Signor Presidente, debbo confessare un certo imbarazzo nell'iniziare il mio intervento sul merito del provvedimento detto sulla par condicio a causa di quello che sta avvenendo fuori di quest'aula, davanti al palazzo di Montecitorio. Ho infatti l'impressione che stiano accadendo cose davvero intollerabili.

ILARIO FLORESTA. Eh, eh...

GIANCARLO LOMBARDI. Stai zitto!

MAURO PAISSAN. Mi riferisco ad una manifestazione che non è una legittima iniziativa, anche vivace, di protesta contro un provvedimento. Ciò ovviamente farebbe parte della fisiologia della vita democratica, del conflitto politico, del contrasto politico, che è il bello della democrazia, il confronto d'idee, di opinioni, di proposte diverse. Quando però un assai poco responsabile politico arriva a dire che siamo di fronte ad un vero e proprio colpo di Stato - è un capogruppo di Forza Italia del Senato che pronuncia questa frase - non c'è da meravigliarsi se poi nei paraggi una minoranza, spero, di manifestanti lancia monetine contro il segretario di un partito, l'onorevole Castagnetti, lo spintona, lo strattona e lo costringe ad allontanarsi dalla manifestazione con l'aiuto del servizio d'ordine degli stessi manifestanti.
Penso che questi fatti siano gravi. Non c'è nulla di male - lo ripeto - che i cittadini o una forza politica manifestino e protestino davanti a palazzo Montecitorio, ma l'uso di certi toni, l'uso di certi linguaggi, l'uso di una certa terminologia non può avere come conseguenza che si verifichino simili fatti. Spero che la Presidenza della Camera intervenga per moderare i toni della polemica e per far sì che le manifestazioni - legittime, lo ripeto - che si svolgono davanti a Montecitorio non degenerino in fatti davvero intollerabili e inaccettabili.
Nonostante questo imbarazzo iniziale - anche perché ho l'impressione che Forza Italia, in particolare, abbia deciso di evitare, di sfuggire al confronto di merito su questo provvedimento per fare un po' di chiasso in piazza - personalmente desidero svolgere un intervento di merito sul provvedimento in esame. Questo è stato fin dall'inizio l'atteggiamento dei Verdi, l'atteggiamento del nostro gruppo politico, perché fin dall'agosto dell'anno scorso, quando il Consiglio dei ministri approvò il disegno di legge, noi abbiamo sempre posto, in tutte le sedi e in tutte le occasioni politiche e parlamentari, le nostre riserve, abbiamo sempre espresso le nostre opinioni e le nostre proposte alternative rispetto ad un testo originario del Governo che non ci soddisfaceva, anche se condividevamo e condividiamo la premessa dalla quale è partito e cioè la


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necessità di regolamentare la pubblicità elettorale, di disciplinare la comunicazione politica e la propaganda elettorale.
Come hanno confermato - se pure ve ne fosse stato bisogno - le ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, la pubblicità elettorale è un elemento fondamentale per affrontare le contese elettorali, non nel senso che determinano il corso del consenso popolare, non nel senso che ribaltano un esito elettorale determinato dai processi di opinione, ma nel senso, questo sì, dimostrato e dimostrabile, che un'accorta campagna di comunicazione e di pubblicità elettorale può rafforzare e potenziare i processi e i corsi di opinione che esistono nella società; non li creano ma li possono rafforzare e potenziare.
In altre parole, un'invasione di spot televisivi non può determinare il successo di un pessimo prodotto politico elettorale; tuttavia, un prodotto politico elettorale che incontra già un certo favore nell'opinione pubblica può vedere potenziato e rafforzato il suo successo da una campagna, soprattutto se unilaterale, di spot, impedita per ragioni economiche ad altre forze politiche.
D'altronde, i dati relativi all'ultima campagna elettorale europea parlano da soli: 1.097 spot sono stati trasmessi a favore di Forza Italia, 318 per la lista Bonino, qualche frattaglia per altre forze politiche. In particolare, poi, è evidente l'effetto negativo che tutto ciò ha avuto su altre forze politiche del Polo stesso (per esempio, il risultato molto negativo di Alleanza nazionale): un qualche fondamento anche queste cifre devono pure averlo.
Queste cifre rappresentano la somma della pubblicità per le elezioni europee mandata in onda da due partiti attraverso le reti Mediaset. Quali sono le due forze che hanno potuto accedere allo strumento? Forza Italia, di cui tutti conosciamo la posizione rispetto alle stesse reti Mediaset, e la lista Bonino, una forza minore che per svolgere quella campagna pubblicitaria ha messo in gioco l'intero patrimonio costruito in anni e anni di finanziamento pubblico ai partiti oltreché Radio radicale. Ha fatto una scommessa enorme, apprezzabile come investimento politico ed economico e gli è andata bene, ma non è possibile che un partito, per avere una campagna pubblicitaria efficace, debba mettere in gioco l'intero suo patrimonio costruito - ripeto - in anni e anni di finanziamento pubblico e di esistenza. Ciò conferma che quella forma di pubblicità non è a disposizione (per ragioni economiche) delle altre forze politiche, specialmente di quelle minori.
La situazione determina due tipi di problemi. Non insisterò sul primo, il cosiddetto conflitto di interessi, cioè il fatto che l'accesso a questa forma di pubblicità elettorale è favorito per una forza politica, Forza Italia, considerati i suoi rapporti con la società Mediaset, mentre non lo è per le altre che, se acquistassero spot su quelle reti, per via indiretta finanzierebbero il leader di Forza Italia, ossia il proprio antagonista politico.

PAOLO ROMANI. E quotata in borsa, Paissan.

MAURO PAISSAN. Ripeto, non insisterò sul conflitto di interessi, perché intendo intrattenermi sull'altro tipo di problema, cioè i soldi, il limite alla possibilità di accedere a questo strumento, considerato il livello molto esoso del mezzo di propaganda. L'impossibilità di accedere ad una campagna efficace e capace di contrastare il pieno pubblicitario dell'antagonista politico per carenza di fondi costituisce una grave distorsione del gioco e della dialettica democratica. Questi sono il fondamento e la ragione della regolamentazione della materia.
La legge n. 515 del 1993, attualmente in vigore, è carente, ambigua, mal gestita e mal interpretata per eccesso di prudenza e di timidezza da parte dell'autorità di garanzia per le comunicazioni, tant'è vero che un divieto di spot semplicemente predicato, non previsto, viene disatteso con il travestimento degli spot elettorali, aggirando la disposizione.


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La situazione attuale è di non regolamentazione, di non libertà di spot; c'è licenza di spot, nel senso che tutto è ammesso senza alcun tetto, senza alcuna previsione di tempi, senza indicazioni di collocazioni e così via.
Della questione si discute ciclicamente nel paese: di solito, quando si pone il tema di una regolamentazione in via legislativa - successe anche ai tempi dei decreti Gambino - si registrano due tipi di reazioni: una di carattere corporativo da parte della categoria alla quale appartengo, quella dei comunicatori, dei giornalisti e via dicendo, i quali si sentono lesi anche quando non esistono norme specifiche riguardanti questa attività; l'altra di natura politica ed economica da parte dei soggetti più direttamente coinvolti. Devo dire, anzi ammetto (facendo parte della maggioranza), che tali reazioni sono spesso favorite anche dal carattere non propriamente avvertito di chi predispone questi provvedimenti legislativi, lasciandosi andare spesso ad un eccesso di normative vincolistiche inutili, non efficaci, «norme manifesto» che non producono alcuna regolamentazione vera e che non fanno altro che attizzare una reazione di lesa libertà, di lesa professionalità, che si potrebbe benissimo evitare.
Di fronte alla necessità di una regolamentazione, le strade possibili sono due: si può arrivare alla scelta, preponderante nelle democrazie occidentali, in particolare europee, di sostanziale divieto (con qualche variante nei diversi paesi) della pubblicità elettorale a pagamento, oppure si può prevedere la possibilità di spot e di pubblicità elettorale garantiti a tutti, con un aggravio economico limitatissimo o, in certi casi, gratuitamente, e con la fissazione di tetti quantitativi riferiti ai tempi ed una disciplina della collocazione.
Rispetto al divieto assoluto, noi Verdi abbiamo espresso una netta contrarietà, anche perché non condividiamo la posizione culturale che sta dietro tale divieto; almeno personalmente, non ritengo vi sia incompatibilità tra il messaggio televisivo breve e la comunicazione di un messaggio politico. So che molti esponenti politici la pensano diversamente, sotto lo slogan «la politica non è un detersivo»; gli stessi esponenti politici, poi, fanno telegrafiche mini-dichiarazioni ai TG serali che altro non sono che una forma di comunicazione mediante spot (Commenti del deputato Becchetti). Le stesse persone, inoltre, commissionano, magari quando fanno parte del Governo, spot di pubblicità di servizio riguardo a temi assai complessi oggetto della loro attività di governo. D'altronde, quando la famosa SPES, la sezione propaganda dell'antica Democrazia cristiana - lo dico perché a suo tempo condussi un'inchiesta su quel tipo di pubblicità -, pubblicava e stampava il famoso manifesto con la frase (non ricordo esattamente la letteralità dell'espressione) «Nell'urna Dio ti vede, Stalin no», non si trattava che di un mirabile tipo di spot elettorale e pubblicitario, adattato ad un modo di comunicare allora prevalente, quale l'affissione dei manifesti.
Il paragone con i manifesti non è casuale perché essi rappresentano una forma di comunicazione politica breve, ma su spazi limitati. I tabelloni pubblicitari, durante la campagna elettorale, vengono fissati e predisposti gratuitamente dai comuni, dallo Stato; non si può eccedere, però, nel numero dei manifesti, non li si può attaccare da tutte le parti, non si può, solo per il fatto di avere più soldi degli altri o di essere proprietari di una tipografia, affiggerli ovunque.
È la stessa cosa per gli spot televisivi! Non è che, poiché sono proprietario di una televisione o perché ho più soldi degli altri partiti, posso inondare la televisione di spot elettorali. Mi pare che il paragone sia calzante proprio nel confronto tra i due modi di pubblicità.
Diciamo quindi «no» al divieto assoluto e «sì» alla regolamentazione rigida della materia da tutti i punti di vista.

PRESIDENTE. Onorevole Paissan, deve avviarsi alle conclusioni.

MAURO PAISSAN. Poiché il Presidente mi invita a concludere il mio intervento, sono costretto a limitarmi a fare qualche


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rapida notazione conclusiva, che è poi una dichiarazione di intenti per quanto riguarda i deputati Verdi.
Noi sosteniamo questo provvedimento; lo sosteniamo con l'intento di migliorarlo ulteriormente rispetto ai miglioramenti già apportati dal Senato.
Ricordo che noi siamo firmatari di alcuni emendamenti specifici, che propongono alcune correzioni e il cambiamento del testo. Altri gruppi della maggioranza e dell'opposizione hanno presentato proposte modificative che sono state accolte. Mi auguro che la Camera possa approvare entro pochi giorni il provvedimento al nostro esame e che il tutto avvenga in condizioni di civiltà di confronto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Urbani. Ne ha facoltà.

GIULIANO URBANI. L'intervento dell'onorevole Paissan, sia per come è iniziato sia per come si è concluso, mi spinge a fornirgli subito una risposta, nella speranza naturalmente di offrire un contributo per evitare quel tipo di «guerre» che sono sempre le più stupide, le più inique e le più ingiuste: tutte le guerre lo sono, ma lo sono in particolare le «guerre per errore», vale a dire quelle che uno fa scoppiare apparentemente non volendole, salvo poi alimentarle!
Il collega Paissan ha iniziato il suo intervento con una serie di considerazioni critiche - e naturalmente anche preoccupate - per una protesta che si sta svolgendo in questo momento davanti a questo ramo del Parlamento. È una protesta di cittadini che, per dirla con una battuta sintetica, «non ci stanno».
«Non ci stanno» a che cosa? Non ci stanno a che venga approvata una legge che non reputano soltanto sbagliata, ma anche gravissima; la considerano infatti una ferita alla convivenza democratica!
Prima di entrare nel merito del provvedimento - al quale non sfuggiamo, caro Paissan - vorrei rilevare che, per quanto riguarda l'attività svolta in Commissione affari costituzionali, alle nostre critiche è sfuggito il Governo: infatti, l'ho trovato chiuso come una testuggine e pervicacemente sordo rispetto alle domande e ai problemi che abbiamo sollevato, che non hanno ricevuto risposta (Commenti). Tutto ciò è testimoniato dagli atti della Commissione, cioè da documenti che vengono prodotti dalla Commissione stessa!
Vorrei ora entrare nel merito della questione, perché anch'io penso che sarebbe grave far scoppiare le «guerre per errore». Dobbiamo allora intenderci subito se di errore si tratti o meno; se abbiamo proprio due visioni assolutamente inconciliabili su tale punto o se possano essere miracolosamente conciliate. Ho qualche dubbio al riguardo. Perché? Perché mi è parso che allo stesso collega Paissan, che ha fatto alcune osservazioni che condivido, sia sfuggito il difetto e una iniquità - scusatemi se introduco nel dibattito questa parola, che però va utilizzata nel suo significato effettivo - che è centrale nel testo della legge e che rappresenta l'asse portante dell'intero provvedimento: si tratta di una iniquità che provoca uno sdegno che, ahimè, poi non si può controllare; infatti, se si dimostra essere «molto indignato e sdegnato», ciò rientra nella natura della sua reazione.
Il testo del Governo si chiama par condicio, ma è fondato su un atto di prevaricazione che non ha precedenti in altri paesi e che non ha limiti. Qual è questo atto di prevaricazione? Onorevole Vita, lei non mi ha mai risposto, probabilmente perché, ai suoi occhi, quanto stiamo affermando io e i miei colleghi non corrisponde al vero. Sappiate, però, che a noi questo atto di prevaricazione risulta così intollerabile - per usare le parole dell'onorevole Paissan - che non possiamo far finta che non ci sia!
Qual è questo atto di prevaricazione? La legge si chiama par condicio ed evoca la parità di accesso di tutti i protagonisti del gioco democratico ai mezzi televisivi per poter comunicare con gli elettori e con il grande pubblico. La televisione è il mezzo della nostra epoca, quindi, o la si usa oppure si è tagliati fuori dal gioco politico, onorevole Paissan, purtroppo,


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piaccia o non piaccia. Personalmente detesto la televisione come strumento, ma devo riconoscere che questo megafono (senza questo microfono, onorevole Vita, lei non riuscirebbe a capire una sillaba di quello che dico) è indispensabile. La televisione rappresenta oggi questo per la comunicazione.
Ebbene, che cosa dice il testo? Il testo dice: tutti i contendenti nel gioco politico, da adesso in poi, comunicheranno in modo eguale dentro a spazi riservati (onorevole Vita, io le chiamo riserve indiane). Solo lì, in questi spazi si potrà ovviamente dialogare e dibattere e parlare agli elettori, con una eccezione che all'articolo 8 della legge è espresso in un modo tanto farisaico da risultare incredibile. L'eccezione è quella del Governo. I partiti che sono al Governo, quindi la maggioranza, è fuori da queste riserve indiane. Ovviamente può comunicare quando vuole.
L'articolo 8 è così spudoratamente farisaico (spudoratamente perché non ha nemmeno il pudore di esprimere le cose così come stanno) da dire che quella comunicazione durante i momenti elettorali sarà assicurata, udite, udite, in modo impersonale. Cioè, noi avremo che il Presidente del Consiglio non andrà più in televisione, non andrà più al telegiornale, così il ministro dell'interno, la maggioranza e il Governo (onorevole Vita, nemmeno lei), ma impersonalmente c'è da immaginare che darete i comunicati all'ANSA piuttosto che a qualche altra agenzia e noi li leggeremo in modo impersonale che, in questo modo, prescinderà dalle persone.
Devo dire che questa affermazione è talmente spudorata che mentre prevedete come legge controlli e sanzioni per tutte le violazioni dei comportamenti degli altri attori politici, nel caso del Governo non prevedete né controlli né sanzioni: è un attore politico legibus solutus, è assolutista, è talmente fuori dal controllo della legge da non essere previsto.
La conclusione, con una metafora calcistica, qual è? È che voi ci proponete una legge nella quale dite: da adesso in poi le squadre in campo giocano a parità di condizioni ed entrano in campo tutte e due alle ore 11 di sera. Alle ore 10 di sera, un'ora prima, e rimanendoci, entra in campo anche la squadra del Governo. La conclusione è che uno schieramento politico gioca in undici e uno schieramento politico gioca in ventidue. È tollerabile questa alterazione del gioco democratico, un'alterazione alla radice, un'alterazione che è enorme, senza precedenti e limiti? Ma quello che ho detto è nulla, onorevole Vita, rispetto a quello che ancora prevede la legge perché questa non si limita a dire: da adesso in poi uno dei due Poli giocherà in undici e l'altro giocherà in ventidue, ma dice anche un'altra cosa. Essa stabilisce che il Governo, ovviamente potendo parlare e non in modo impersonale (non ce lo dite più perché questa è una bugia talmente offensiva che spero che non ce la ripetiate), mentre le squadre giocano alle undici di sera, cioè nella riserva indiana e si rivolgono, quando va bene, a 800 mila, massimo un milione di spettatori (onorevole Paissan, lei conosce gli ascolti molto meglio di me e quindi può correggermi in un senso o nell'altro e le sarò grato di questo), il Governo, in modo personale, comunicherà i propri spot, onorevole Paissan, perché di ciò si tratta, di spot gratuiti e istituzionali, cioè pagati da tutti noi, alle ore 20 della sera, quando lo ascolteranno 15 milioni di spettatori.
In conclusione, la vostra legge dice: tu parlerai a un milione di italiani, io parlerò quando voglio a 16 milioni di italiani (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)! Questo vi sembra la par condicio? Poi vi indignate se dei cittadini inermi, davanti a Montecitorio, protestano contro questo e, quando passa qualcuno dei vostri rappresentanti, gli getta una manciata di monetine. Ringraziate Dio che siano solo monetine: state scherzando col fuoco! Ricordatevelo: state scherzando col fuoco!

MAURO PAISSAN. Questo è intollerabile, signor Presidente! È un'incitazione


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alla violenza (Proteste dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

VINCENZO MARIA VITA, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. È un incitamento all'eversione. È una minaccia!

PAOLO BECCHETTI. Ma quale violenza!

BEPPE PISANU. Perché non lo fate arrestare in aula?!

ANGELO SANTORI. Ci manca solo questo!

ILARIO FLORESTA. Ve ne accorgerete col tempo!

MAURO PAISSAN. Signor Presidente, intervenga su questo punto (Proteste dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

PRESIDENTE. L'ho ascoltata, onorevole Paissan; il collega ha provveduto da solo a tacere, mi pare.
Colleghi, mi sembra di aver spiegato che l'argomento è chiuso, e forse non andava nemmeno aperto.
È iscritta a parlare l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.

MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, non entreremo in questo scontro aspro, in questo parlare di libertà, in realtà molte volte in libertà, perché non vi sono parole per commentare quanto sta accadendo. Mi rendo conto, invece, che è uno scontro politico serio: il leader dell'opposizione, controllore di assetti della televisione, è in qualche modo toccato dal provvedimento in esame; è quindi del tutto evidente che vi è uno scontro politico in atto.
L'onorevole Urbani, comunque, ha parlato di due soggetti, il Polo ed il Governo. Allora, in questa partita dieci contro undici, vorrei che qualcuno si ricordasse che esistono anche altri soggetti, altri partiti, che avrebbero diritto ad avere piena dignità e parità d'accesso. Lo dico agli uni e agli altri: se per caso ve ne siete dimenticati, cercate di ricordarlo, perché siamo ridotti al fatto che, in questo paese, si parla di due soggetti. Questa è la cancellazione della vera democrazia, altro che le parole e le chiacchiere!
Pur sentendo il peso di quanto accade, mi rendo conto che lo scontro politico è molto forte, per cui passiamo ad affrontare il merito dei problemi. Al Senato, abbiamo votato contro il provvedimento in esame, perché, se esso passasse così com'è, non farebbe fronte alle vere necessità del nostro paese. Ci siamo detti, allora: lavoriamo perché si possa arrivare ad elementi di cambiamento profondo e su questo vi è stato un lavoro con il Governo. Sappiamo benissimo quanto siano rilevanti i problemi del paese per quanto attiene alla comunicazione e all'informazione (stiamo usando parole molto importanti, perché riguardano anche la formazione del consenso): sarebbe interessante se questa Camera riuscisse, in qualche modo, a discutere realmente (anche se non è questo il momento) su cosa produca lo strumento comunicativo in quanto tale, al di là di chi lo possiede in questo momento, e di come cambia la nostra società.
Lo dico non perché voglia compiere passi indietro e sentirmi sospinta, come qualcuno ritiene, su un terreno di arretratezza, per tornare al tempo delle candele, benché le ami tanto e la luce soffusa sia anche gradevole; questa è una battaglia in avanti, non di arretratezza, e siamo del tutto consapevoli che lo strumento della comunicazione mediatica è molto forte. La nostra idea non è di non amarlo e di non volerlo utilizzare, ma di non potervi accedere perché vi può accedere soltanto chi ha mezzi economici. La politica, oggi, è ridotta a questo, quindi gli strumenti della stessa che usavamo tradizionalmente sono diventati molto flebili. È del tutto evidente, allora, che occorre aggiornarli, ma per fare ciò abbiamo bisogno che tutti vi possano accedere e i momenti della campagna elettorale sono quelli più delicati della vita politica, anche se non sono gli unici. Non esiste accesso


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a una pari condizione se esso non è gratuito, è la gratuità che determina la pari condizione; quindi, attraverso i nostri emendamenti, abbiamo chiesto che vi siano gli spazi sulle reti nazionali e che siano gratuiti per tutti. Abbiamo chiesto che vi siano i messaggi politici gratuiti, che per le TV locali si possa, in qualche modo, regolamentare questo spazio da parte di un'authority, con un fondo stanziato presso il Ministero dell'interno, che possa essere destinato a tale scopo. Tutto ciò a pari condizioni, quindi l'accesso non è negato, è regolamentato.
Inoltre, vorrei fare riferimento alla partita più grossa, che non troveremo in questo provvedimento, ma vogliamo prestare fede al Governo che si è impegnato ad accogliere ordini del giorno che presenteremo: siamo alla vigilia dello scioglimento dell'IRI e, prima o poi, dovremo affrontare la grande questione della RAI, quindi abbiamo chiesto al Governo un impegno a che la RAI resti pubblica; in secondo luogo, abbiamo chiesto che si avvii una vera e propria riforma della RAI perché così come è non piace, non ci piace. È necessario, pertanto, entrare nel merito di questa rilevante questione portando avanti celermente tale iniziativa ed affrontando il nodo vero della questione: varare una legge che regolamenti il conflitto d'interessi.
In conclusione, l'anomalia vera di questo paese è che esiste un leader politico - poco importa da quale parte stia - che ha grandissimo potere economico, ha mezzi di comunicazione di massa molto forti. Si tratta di un'anomalia rispetto all'Europa ed anche ad altri paesi e ciò non è riconosciuto solo da Rifondazione comunista, ma anche da altri; basta leggere alcuni giornali, addirittura il New York Times ne ha parlato, per rendersi conto che tale anomalia viene segnalata. Si tratta, quindi, di un altro dei grandi problemi che devono essere affrontati.
Esprimeremo un voto sul provvedimento, se gli impegni del Governo saranno mantenuti (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Manzoni. Ne ha facoltà.

VALENTINO MANZONI. Signor Presidente, il testo di legge all'esame della Camera, così come licenziato dal Senato, ha un titolo, «Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica», che ha quasi un sapore di beffa. Esso rappresenta un insulto all'intelligenza e al buonsenso per quello che in seguito dirò. Basta dare una scorsa alle norme che lo compongono, senza neppure un esame approfondito, per rendersi conto che l'asserita parità di accesso è una mera chimera e che l'obiettivo vero del provvedimento è quello di impedire ad una ben individuata forza politica la libertà di manifestazione del pensiero e delle opinioni.
Si tratta, naturalmente, dell'odierna opposizione perché l'altra parte politica, che gode l'immeritato privilegio di stare al Governo e di disporre a suo piacimento del servizio televisivo pubblico, può inviare, attraverso l'abile e maliziosa disposizione di cui all'articolo 8 del testo, tutti i messaggi che vuole. Ad esempio, signor Presidente, anche la comunicazione data per televisione di una seduta del Consiglio dei ministri che tratta una determinata questione può costituire un messaggio; anche la notizia dell'emanazione di un decreto-legge su una particolare materia, ovvero la notizia di un incontro del Presidente del Consiglio o di un ministro con un Capo di Stato estero possono far formare un'opinione; anche un commento, più o meno obiettivo, circa un'iniziativa del Governo riferita per televisione può ingenerare nel cittadino una certa convinzione.
Insomma, sembra evidente, stante la disponibilità che il Governo ha del servizio pubblico, la disparità di trattamento tra le forze politiche in campo. Permettetemi allora di dire che questo è un provvedimento che non fa onore ad una democrazia e che, salvo qualche paese europeo in cui le condizioni politiche non sono diverse dalle nostre, non esiste in


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alcun altro paese civile, dove la libertà di informazione e di comunicazione con ogni mezzo e con ogni modalità di espressione è tenuta in somma considerazione, senza parlare, signor Presidente, degli Stati Uniti d'America dove gli spot elettorali sono sempre consentiti.
Degli aspetti di carattere costituzionale del provvedimento si sono occupati nella seduta di ieri i colleghi del Polo che hanno illustrato le relative questioni pregiudiziali all'ordine del giorno. Ritornare su quegli argomenti e su quegli aspetti mi sembra ridondante e pleonastico. Permettetemi allora di entrare nel merito per cogliere alcuni aspetti di incongruenza e di contraddittorietà del provvedimento, come mi sforzerò di dimostrare in seguito.
Alcuni esponenti della maggioranza ne hanno giustificato la bontà con argomentazioni di nessuna consistenza. È stato detto, ad esempio, che la comunicazione politica - leggo testualmente - non solo può, ma deve svolgersi attraverso quelle forme che consentono il confronto su dibattiti, tribune politiche, faccia a faccia, tavole rotonde e confronti, come prevede appunto il testo. Lo spot, invece - si dice sempre da parte della maggioranza -, deve essere vietato, perché - anche ora leggo testualmente, signor Presidente - per sua natura non consente il confronto, è una affermazione apodittica che, come tale, non permette l'esercizio di una fondamentale libertà, quella di scelta, che è il perno di ogni concezione liberale dello Stato.
Onorevole colleghi, la legge in esame, se ho ben capito, non pone un divieto assoluto per gli spot, ma li consente, sia pure in misura limitata, in tutti i periodi non coincidenti con le campagne elettorali, mentre li vieta, sulla base della disposizione di cui al comma 1 dell'articolo 4, dalla data di convocazione dei comizi elettorali fino al termine della campagna elettorale.
Si può osservare in proposito che, se lo spot non è uno strumento di democrazia, se cioè esso è un'affermazione apodittica che non consente la libertà di scelta ed è, quindi, uno strumento inutile e, direi, dannoso per la democrazia, proprio perché fuorviante, come sostengono alcuni esponenti della maggioranza a giustificazione del suo divieto nel periodo della campagna elettorale, perché non vietarlo del tutto, in ogni periodo, anziché circoscriverne il divieto al solo limitato periodo della campagna elettorale?
In altri termini, signor Presidente, se la ratio, la motivazione, il filo conduttore del divieto dello spot in campagna elettorale risiede nel fatto che esso non è idoneo alla formazione di un'opinione e alla libertà di scelta, in quanto affermazione apodittica priva di confronto, perché la stessa ratio, la stessa motivazione non dovrebbe condurre al divieto dello spot in ogni tempo e cioè anche al di fuori dei periodi di campagna elettorale?

PRESIDENTE. Onorevole Manzoni, ha esaurito il suo tempo. Aveva a disposizione cinque minuti.

VALENTINO MANZONI. No, signor Presidente, ho a disposizione dieci minuti.

PRESIDENTE. Ciò si è verificato in quanto i suoi colleghi hanno utilizzato più tempo, riducendo il suo. I tempi sono rigorosamente stabiliti.

VALENTINO MANZONI. Nel foglio che ho io sono riportati dieci minuti.

PRESIDENTE. Lei mi vorrà credere sulla parola se le dico che i conteggi fatti dagli uffici mi consentono di dirle (poi se parla un minuto in più, non le taglio certo la lingua) che i tempi sono stati utilizzati dai suoi colleghi in misura tale che le sono rimasti a disposizione solo cinque minuti. Questo succede alla fine quando gli altri non si sono attenuti ai tempi.

VALENTINO MANZONI. Signor Presidente, mi faccia almeno concludere il pensiero.

PRESIDENTE. Parli pure, non voglio toglierle la parola.


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VALENTINO MANZONI. Non si riesce a capire quale sia la logica ed il principio che guidano gli esponenti della maggioranza nel riservare allo spot televisivo una diversa efficacia e importanza a seconda del periodo in cui lo strumento viene adottato. È buono ed utile al di fuori della campagna elettorale, diventa apodittico e fuorviante durante la campagna elettorale. Mi sembra davvero un ragionamento senza capo né coda.
Lo stesso discorso può farsi con riferimento alla possibilità di spot elettorali, prevista dal testo in ogni momento e quindi anche durante la campagna elettorale, attraverso le televisioni locali, sia pure a costi ridottissimi e con minime possibilità di ripetere.
A sostegno di questa possibilità la maggioranza afferma (leggo testualmente) che «le televisioni locali sono talmente numerose che intrinsecamente permettono il pluralismo e soprattutto sono funzionali alla necessità, per il candidato, di farsi conoscere meglio all'interno del proprio collegio elettorale. L'elettore, però, più che conoscere il candidato, vuole sapere quali soluzioni egli offra ai problemi che angustiano il suo territorio; egli si determina a votare un candidato anziché un altro, non perché il candidato prescelto abbia begli occhi e portamento d'atleta, ma perché offre all'elettore soluzioni accoglienti e soddisfacenti.
Se gli spot televisivi, per essere apodittici e privi di contraddittorio - come afferma la maggioranza -, non sono idonei al recepimento da parte dell'elettore della proposta politica del candidato, mi sembra perfettamente inutile consentirli sulle televisioni locali. Anche qui si corre il rischio, se fosse fondata l'osservazione della maggioranza, di far scegliere all'elettore un candidato sulla base della sua più o meno gradevolezza fisica ma senza la conoscenza delle sue idee e dei suoi programmi, proprio perché, a parere della maggioranza, lo spot non sarebbe idoneo a questa conoscenza.

PRESIDENTE. Sono trascorsi dieci minuti.

VALENTINO MANZONI. Lei è d'accordo con me, Presidente.

PRESIDENTE. Non posso esprimere opinioni, lo farò quando sarà il mio momento.

VALENTINO MANZONI. Avrei voluto concludere perché vi sono tante altre osservazioni da fare.

PRESIDENTE. Comunque, lei ha esaurito il tempo, compreso quello previsto fin dall'inizio; quindi le sono grato se non mi mette in imbarazzo nel toglierle la parola.

VALENTINO MANZONI. Sì, signor Presidente. La ringrazio e le chiedo scusa. Mi riservo di esprimere le altre considerazioni nel corso dell'esame degli articoli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.

FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, mi vuol precisare qual è il tempo a me riservato?

PRESIDENTE. Tredici minuti, perché il suo collega Urbani ne ha impiegati dodici e lei ne aveva venticinque, comunque, io non sono così fiscale.

FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, signori deputati, mi spiace che l'onorevole Paissan, dopo aver lanciato nell'aula il fiammifero della sua indignazione, se ne sia allontanato. Io ero presente all'episodio che egli ha denunciato come una grave violazione della norma della tolleranza e addirittura delle esigenze di sicurezza della competizione politica. Posso affermare, proprio quale presente a quella circostanza, che egli è stato malamente informato e con questo chiudo appellandomi, come lei ha fatto poco fa rispetto al collega Manzoni, alla mia parola. Le cose sono andate assai diversamente di come sono state portate a conoscenza dell'onorevole Paissan.
E veniamo alla questione, la quale non si incentra nel problema di dar fuoco alle


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polveri ogni qualvolta l'opposizione esercita legittimamente e razionalmente il proprio diritto di non convenire con la maggioranza.
Questo è, prima ancora che la lettera, lo spirito della legge; questa è la finalità: mi riferisco al problema di questa temperie parlamentare. Si discute se sia legittimo che l'opposizione elevi la propria protesta ed il proprio dissenso in ordine a qualcosa che si introduce nell'ordinamento con finalità non certamente democratiche. Signor Presidente, spero che la mia afonia abbia ragione della forte pronuncia dei nostri colleghi a destra...

PRESIDENTE. Onorevole Mancuso, comprenderà che non posso intervenire; si regoli alzando il tono della voce.

FILIPPO MANCUSO. Combatto ad armi impari, come combattiamo in questo Parlamento! Purtroppo, sto sacrificando la mia voce anche all'impegno con cui oggi manifesto la pienezza dei suoi suggerimenti.
Torniamo al disegno di legge in esame. Ritengo che se fra qualche decennio vi sarà, in qualche parte del mondo, una Antologia di Spoon River, con le memorie e con le ceneri del nostro ordinamento sepolte nella tomba delle memorie peggiori di un paese, questa legge avrà diritto ad un mausoleo: tale e tanta è la somma di fallaci proposizioni che si figuri, signor Presidente, neppure la preziosa e rara presenza del ministro interessato - mai o quasi mai intervenuto in Commissione - rende in qualche modo più accettabile persino il discuterne!
Il titolo dei disegni di legge, quando è ben fatto e fedelmente fatto, ne denuncia l'anima. Questo disegno di legge reca un titolo degno della sua essenza: mendace, strumentale, bassamente politica. Duole vedere in esso, tra le altre firme dei proponenti, quella di un uomo, il qui preziosamente presente ministro Cardinale, il quale esercita la sua libertà e indipendenza di parlamentare, provenendo dalle stesse file da cui proviene chi, in questo momento, ne contesta l'opera, cioè il sottoscritto, il quale è rimasto, come altri, dove è partito (Applausi del deputato Viale). Egli, invece, è partito al contrario ed ha prodotto (o coprodotto) il disegno di legge in esame. Non so se il ministro Cardinale abbia nozioni di diritto, ma vorrei avere da lui, approfittando della sua presenza, risposta ad un quesito. Le leggi sono strumenti giuridici, non sono proclami, né lettere di estorsione. Chiedo, pertanto, al ministro Cardinale che significato abbia dire che la legge promuove l'informazione, quando il suo contenuto è tutto limitativo e ricco di soli divieti e di parziali sanzioni.
Il collega Urbani ha giustamente affermato che vi sono fatti illeciti, puniti secondo questa legge, ed altri impunibili: quelli commessi dal Governo. Vorrei sapere che senso ha, di fronte ad un popolo intelligente che è meno beota di quanto spera la vostra legge, dire che si promuove qualche cosa, quando la si ritrae! Allora, per l'articolo 625 del codice penale, che punisce il furto, dovremmo dire, modificandolo, che esso punisce la promozione della proprietà, non la sottrazione della proprietà. Proseguo (e non arrivo all'articolo 8, ne parleremo, caso mai, quando ad esso perverremo discutendo). Ma è possibile oggi, mentre il mondo evolve nell'etere in modo imprevedibilmente diffuso, utilizzare i sistemi che vietavano l'ascolto di Radio Londra? Avete il senso della storia o siete, come io penso, dei trogloditi in questo mondo civile? Sperate di vincere con questi sistemi, con queste fughe là dove meglio gorgoglia l'acqua della convenienza, ponendo a disposizione dei giudici vostri amici, protettori e complici, strumenti punitivi come questi? Voi rappresentate un paese civile, oppure le catacombe di un mondo scomparso?
Si indigni pure, signor ministro: prima che la nostra riprovazione, io le prometto che provocherò l'indignazione, in Sicilia, dei suoi elettori, passo passo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).


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PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.
Le dico anche il tempo a sua disposizione: 16 minuti, onorevole Taradash, se li amministra con la nota facondia...

MARCO TARADASH. Lei oggi è troppo generoso con me, Presidente.
Il collega Urbani poco fa, pronunciando una frase che nessuno di noi può condividere, ma credo male interpretata da alcuni colleghi, ha lasciato intendere che alle monetine potrebbe seguire qualcos'altro: ma il collega Urbani è un pensatore liberale, quindi l'unica cosa che poteva pensare è che dopo le monetine sarebbero arrivate le banconote. Ecco, credo che sia questo il massimo della minaccia a cui il collega Urbani possa arrivare. Certo, ci possono sfuggire, nel corso del dibattito, espressioni un po' calorose e quella era abbastanza calda, ma credo che si sia intiepidita nel frattempo.
Vedete, colleghi, il problema è molto serio ed ha assunto, come direbbero i filosofi, una torsione un po' troppo specifica, un po' troppo partigiana, in una fase come questa. Faccio una premessa a titolo d'esempio. Se io mi trovassi a dover discutere il testo del provvedimento sulla par condicio come rappresentato nel progetto alternativo di Forza Italia, la mia opposizione sarebbe altrettanto ferma quanto quella che manifesto nei confronti di questo testo. Il testo di Forza Italia, infatti, è assolutamente illiberale, prevede che in caso di campagna elettorale lo spazio venga ripartito per l'85 per cento tra le coalizioni che appartengono ai due poli maggiori e che il restante 15 per cento sia suddiviso tra le formazioni rappresentate in Parlamento e tra le nuove formazioni. Quindi, prima di tutto, una nuova formazione non avrebbe neppure le «monetine» dello spazio ed una terza coalizione, ritenuta inferiore, sarebbe condannata all'inferiorità, avendo, al contrario delle due maggiori (magari in una situazione, come quella italiana, molto volubile: sembra di essere al giorno prima dell'arresto di Mario Chiesa, oggi, nella vita politica di questo paese), una quota minima. Le due coalizioni maggiori possono avere, secondo i sondaggi oppure secondo la proporzione dei seggi in Parlamento, l'una, ad esempio, il 42 per cento e l'altra il 38; la terza, magari, potrebbe avere una quota molto vicina alla seconda, ma zero spazio in televisione per la campagna elettorale: forse l'esempio in termini matematici può non essere corretto, ma il concetto è chiaro. Si tratterebbe, insomma, di una cosa totalmente assurda. Basti pensare a cosa sarebbe successo nel 1994 se il testo alternativo proposto da Forza Italia fosse stato allora una legge in vigore: non sarebbe esistito il Polo per le libertà, non sarebbe esistita Forza Italia e l'Italia sarebbe stata mummificata, presa come una farfalla un po' putrescente, come era allora, ed affissa al muro per vederne cadere i pezzi delle ali sbrindellate. Ahimè, la situazione di oggi rischia di evolvere in una situazione non più felice. Quindi stiamoci molto attenti, cari colleghi del Polo, quando facciamo delle proposte.
Nell'opposizione, invece, siamo assolutamente d'accordo: questo testo che ci viene proposto si chiama, del tutto abusivamente, di par condicio. Noi ce l'abbiamo già - purtroppo, io dico - una legge sulla par condicio, approvata durante il Governo Dini, se non sbaglio, riformulata in varie rifritture, che eredita norme antecedenti e che in pratica impedisce la comunicazione politica in campagna elettorale. A causa dell'esistenza di questa legge, che non consente di mettere piede nelle televisioni, in primo luogo in quelle locali, durante la campagna elettorale, se non a condizioni talmente drastiche e draconiane che nessun editore di televisione privata si concede il lusso di rischiare la multa di quello che era ieri il garante, oggi l'autorità, proprio perché non c'è la possibilità di accesso gratuito al dibattito politico durante la campagna elettorale, si è verificata la necessità di avere gli spot. Allora, aboliamo la par condicio e vedrete che si aboliscono anche gli spot. E invece no: voi mantenete la par


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condicio nei termini in cui preesisteva ed a ciò aggiungete questa legge che è stata caricata di tanti e tali significati da far intimidire il paese ma che, in realtà, ha un solo e semplice titolo «legge anti-spot», con l'aggiunta, visto che il male non viene mai da solo - c'è anche il peggio -, di altre norme che riducono ulteriormente la possibilità di spazio in campagna elettorale e anche al di fuori di essa.
Ora il relatore ci dice che, graziosamente, la maggioranza ha aderito ad alcune proteste ferme dell'opposizione - in particolare dell'onorevole Calderisi - in Commissione; quindi, almeno per le televisioni private, qualche spazio di comunicazione sarà lasciato. Per esempio io che, non avendo altri accessi disponibili, né da Vespa, né da Costanzo, né da Fede, né da Borrelli (il conduttore del TG1, non quell'altro, dal quale lo spazio spero di non averlo mai), ogni mese e mezzo o due alle 22,30, generalmente del giovedì o del venerdì, faccio una trasmissione a Teletuscolo, che ringrazio, se questa legge venisse varata come è oggi nel testo non ancora emendato dovrei rinunciare anche a Teletuscolo perché fili diretti non si potrebbero più fare, a meno che tutti non venissero chiamati a contraddittori, eccetera.
Voi dite: «l'Europa, l'Europa, l'Europa...». Io vi dico: «l'Italia, l'Italia, l'Italia...». Ditemi voi se c'è un paese in Europa - non so in Africa, in Asia, in Groenlandia o altrove - dove il servizio pubblico radiotelevisivo è, sicuramente a torto, oggetto da alcuni decenni di scontro feroce per due motivi: primo per impadronirsi del controllo, secondo per aprire qualche spazio di libertà all'interno del servizio pubblico, cioè di una cosa pagata dallo Stato, finanziata dai contribuenti e che dovrebbe essere aperta a tutti. In realtà non è così, non è mai stato così: dai tempi della partitocrazia dominante e consociativa a oggi, il servizio pubblico della RAI è nelle mani e nel pugno stretto di chi controlla il Governo del paese. E il compito principale della RAI è, oltre che far soldi, quello di impedire a voci non controllabili di emergere attraverso le trasmissioni di informazione della RAI. Ditemi voi: c'è un altro paese in Europa dove il servizio pubblico radiotelevisivo è oggetto di così forti contrasti e controlli come in Italia? È questa, sì o no, un'anomalia italiana?
È c'è l'altra anomalia, senz'altro: quella che il leader dell'opposizione è anche il principale proprietario delle tre reti nazionali private. Anomalia. Ma allora voi cosa state sostenendo con questa legge? Forse che si fa una legge funzionale agli interessi di chi non è leader dell'opposizione, che dobbiamo mettere un rimedio ad una situazione di fatto. Resto ancora del vecchio principio che le leggi debbono avere il maggior grado di astrattezza possibile e che, se vi è una anomalia, va curata sul terreno dell'anomalia.
Esiste il conflitto di interessi? Credo che il Polo, anche sinceramente in alcuni momenti, abbia proposto di portare a termine la legge sul conflitto di interessi. Questo non è stato fatto. Si preferisce, invece, dato che c'è l'interesse della maggioranza ad avere il conflitto di interessi aperto nell'opposizione, non affrontare il tema principale, quello del conflitto di interessi, e dire poi: «Come facciamo, noi poverini, se paghiamo gli spot al cavaliere Berlusconi, proprietario di Mediaset?». Così non si fanno le leggi, così forse non si fanno nemmeno i colpi di Stato, ma certamente si viola lo Stato di diritto; certamente si sottrae un bene collettivo in nome del benessere privato di una parte del mondo politico. Certo, senza gli spot delle reti Mediaset, starà meglio la maggioranza che avrà la RAI a propria disposizione e, magari, la possibilità di pubblicizzare anche i numeri dell'università di Pavia, tranne il fatto - come è stato ricordato - che questi numeri in minuti non significano nulla perché un conto è un minuto alle 20 della sera e un conto sono tre minuti alle 24. Eppure, non si riesce ad avere dall'università di Pavia, dalla RAI e dall'Autorità garante - spero che si avrà - una valutazione così semplice quale il calcolo dello spessore di


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audience delle presenze politiche. Certamente, in questi termini ci si prende in giro.
In una situazione come quella italiana dove non c'è possibilità di accesso gratuito alle televisioni, dove l'informazione televisiva è strettamente sotto il controllo di due blocchi di potere, non avere la possibilità dell'accesso a pagamento significa, in realtà, impedire alle voci che emergono dalla società civile, e che vogliono trasformarsi in iniziativa politica, di esistere; significa impedire e mantenere in una stretta feroce di controllo tutto ciò che non corrisponde agli interessi di chi ha la fortuna di controllare le emittenti televisive. Questa è la realtà di oggi e voi - voi maggioranza, certamente - siete preoccupati non soltanto degli spot di Berlusconi, ma anche di quelli della Bonino. Per molto e molto tempo la polemica è stata più sugli spot della Bonino che su quelli di Berlusconi perché, alla fine, voi pensate che con Berlusconi una qualche soluzione la si possa trovare: o lo si schiaccia o lo si relega in una condizione di non nuocere minacciando i suoi beni grazie al vostro conflitto di interessi, perché vostro è diventato, non volendo voi chiuderlo. Ma con voci come sono oggi quella della Bonino e domani chissà non avete possibilità di transazione e di patteggiamento: voi dovete semplicemente impedire che queste voci si esprimano!
Nella proposta che Calderisi ed io abbiamo presentato, firmata anche dagli onorevoli Romani, Follini e Storace - non so quanta parte di questa proposta sia ancora nelle loro intenzioni, spero lo sia, considerato il resto della discussione - sostenevamo una tesi opposta: uguale par condicio, non la par condicio che è il divieto assoluto per tutti tranne per chi c'è già, ma la par condicio delle pari opportunità. Si stabiliscono tetti che sono tetti di orario e quindi, di fatto, tetti di spesa; si danno spazi a tutti alle stesse condizioni e se poi qualcuno vuole pagarci il giornale di partito sia che si tratti de l'Unità, de Il Popolo o de Il Secolo d'Italia, piuttosto che fare lo spot televisivo, si tratterà di una scelta politica e di una condizione di concorrenza leale.
No, voi volete i soldi per l'Unità, volete usufruire de l'Unità senza pagarla - o pagandola il meno possibile, ma so che costa sempre troppo - e, al tempo stesso, volete impedire agli altri, i quali hanno risparmiato e magari fatto dei buoni investimenti in termini d'informazione politica e di politica - che poi diventano anche buoni investimenti di denaro, perché l'autofinanziamento, se c'è iniziativa politica, può essere robusto -, di utilizzare lo strumento per farsi conoscere e sentire.
Questa è una proposta illiberale; è illiberale in linea teorica ed in linea pratica nella situazione italiana, perché non vale per tutti, ma soltanto per coloro i quali non hanno accesso alla televisione, per coloro i quali non controllano TG1, TG2, TG3, Bruno Vespa, Santoro e tutta la congrega dei controllori della televisione - lasciatemelo dire - di regime, perché questa è la televisione italiana oggi, così come ieri e l'altro ieri, e vale anche per chi non ha l'accesso da Fede, da Liguori, da Maurizio Costanzo o quant'altri.
La legge sulla par condicio, cioè sull'impossibilità teorica e pratica di comunicare politica, vale - durante l'anno e soprattutto, quando è più necessaria, durante la campagna elettorale - soprattutto per gli altri.
Non ditemi poi che Berlusconi ha guadagnato dagli spot. Berlusconi vince con la televisione quando ha qualcosa da offrire, come vincereste voi con la televisione se aveste qualcosa da offrire. Voi non potete andare in televisione perché siete una «marmellata» di coalizione divisa; domani Berlusconi magari metterà in scena un'altra «marmellata» di coalizione divisa ed anche a lui sarà difficile andare in televisione a fare gli spot. Questo può succedere e magari sta già succedendo, chi lo sa.
Buon ultima arriva poi la Lega, con le sue proposte illiberali, ad imitare la parte illiberale delle proposte del Polo e ad aggiungere la sua dicendo: referendum?


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La Corte di cassazione ha detto che la non partecipazione al voto non è espressione di voto? La logica ed il buonsenso ci dicono che là dove c'è un quorum del 50 per cento - altrimenti il referendum non è valido - l'astensione ed il non voto rappresentano ugualmente un fattore politico di contrasto al «sì» e cosa propone la Lega (e qualcuno nel Polo fa l'occhiolino)? Propone di dividere per tre: un terzo al «sì», un terzo al «no», e un terzo al «non so». Si va avanti così, si riducono cioè sempre più lo spazio e le condizioni del confronto politico, si altera il mercato politico.
Si dice «comprate BOT», vale a dire comprate l'Unità, il Secolo d'Italia (mi scuso con i colleghi di Alleanza nazionale che non c'entrano nulla; era per fare un esempio riferito a tutte le parti), comprate Il Popolo, comprate quello che resta dei giornali di partito, comprate BOT; a voi, però, non è permesso comprare azioni private, gli spot, perché questi ultimi rendono di più e noi non vogliamo che rendano di più a chi ha di più da mettere negli spot. Questo è il vostro problema: è che le vostre azioni, quelle degli spot, non renderebbero un bel nulla, sarebbero tutti i giorni in crollo catastrofico nei listini di borsa.
Voi allora volete impedire che gli altri, i quali hanno invece un prodotto politico decente da immettere sul mercato, possano arrivare alla comunicazione politica. Questo è lo scontro, cari colleghi, caro ministro, caro sottosegretario con il quale da decenni combattiamo su questi temi. Questa è la realtà: il vostro tentativo di mettere il bavaglio a chi pensate di non controllare, direttamente o indirettamente. Queste, in conclusione, sono le ragioni signor Presidente, per le quali continuiamo con fermezza la nostra opposizione al provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione generale.

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