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PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza Garra n. 2-01340 e alle interrogazioni Biondi n. 3-02781 e Carli n. 3-02848 (vedi l'allegato A - Interpellanze ad interrogazioni sezione 3).
GIACOMO GARRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che sovente il ruolo del cosiddetto pentito, ovvero del collaborante di giustizia, sia quello di una sorta di conte di Montecristo alla rovescia, che sia cioè il ruolo di chi vuole vendicarsi non per i gravi torti subiti, bensì nei confronti dei tutori dell'ordine più zelanti e che magari hanno significativamente contribuito a scoprire l'organizzazione criminale della quale il pentito medesimo sia stato socio e sodale.
facendo profilassi sociale con l'eliminazione fisica di malavitosi che operavano in provincia di Palermo, all'altrettanto famoso pentito Di Maggio che, pur fruendo di un lautissimo regime di protezione e di copertura in sedi lontane dalla Sicilia, ha commesso gravi delitti di sangue in San Giuseppe Iato e in altre località della provincia di Palermo, mettendo allo scoperto le gravissime carenze e lacune delle autorità preposte alla vigilanza dei pentiti.
sconvolgente della sua vita il trasferimento, nella sostanza punitivo, dalla questura di Massa a quella di Lucca, presso la quale egli fu destinato a stare a tavolino, ruolo che per chi ha diretto la squadra mobile è davvero assai riduttivo, se non mortificante. È l'anno 1995 e il dottor Sardo entra e rimane in uno stato di depressione. Assai illuminanti potrebbero risultare in tema di «malagiustizia» le dichiarazioni rese dal defunto vicequestore ed affidate ad un memoriale pubblicato per stralci dal Corriere della Sera.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno ha facoltà di rispondere.
GIANNICOLA SINISI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, come preannunciato dal Presidente, risponderò congiuntamente all'interpellanza dell'onorevole Garra ed alle interrogazioni presentate dagli onorevoli Biondi e Garra e dall'onorevole Carli, che riguardano i suicidi di appartenenti alla polizia di Stato nella provincia di Lucca, una dolorosa e drammatica vicenda.
riferimento ai quesiti specifici che gli onorevoli Garra, Biondi e Carli hanno posto.
Nel procedimento non figura alcuna dichiarazione dell'Arrighi tra le fonti di prova indicate dall'accusa a carico del dottor Sardo.
PRESIDENTE. L'onorevole Garra ha facoltà di replicare per la sua interpellanza n. 2-01340 e per l'interrogazione Biondi n. 3-02781, di cui è cofirmatario.
GIACOMO GARRA. Ho ascoltato con attenzione la risposta avuta in ordine agli atti di sindacato ispettivo che recano la firma mia e del Vicepresidente della Camera, Biondi. Un magistrato che ben due volte interroga un imputato senza assistenza di avvocati di fiducia o di avvocato d'ufficio continua a farla in barba alla legalità: è questo il mio convincimento. Gli aggiustamenti non saranno sicuramente mancati, anche perché l'autodenuncia dell'Arrighi per calunnia la dice lunga.
Ma che poteva fare il dottor Sardo - che, mi dice il sottosegretario, non ha contestato il trasferimento - di fronte ad un trasferimento per incompatibilità ambientale, non determinata da dicerie, ma da un'inchiesta giudiziaria poi rivelatasi iniqua? La successiva condanna dell'Arrighi per calunnia non lenisce certo il calvario doloroso patito dal dottor Sardo. Figuriamoci se i magistrati inquirenti, secondo il rappresentante del Governo, non risultano aver agito correttamente.
PRESIDENTE. L'onorevole Carli ha facoltà di replicare per la sua interrogazione n. 3-02848.
CARLO CARLI. Signor Presidente, ringrazio vivamente il sottosegretario Sinisi per l'ampia, puntuale ed esauriente risposta.
Questa interpellanza e queste interrogazioni, che vertono sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente.
L'onorevole Garra ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01340.
Si tratta di storie anche lontane nel tempo, dal famoso Salvatore Contorno che, secondo il «corvo», avrebbe operato sue personali vendette sotto l'ombrello delle autorità preposte, pur trovandosi formalmente in sede lontana dalla Sicilia,
Veniamo alla mia interpellanza n. 2-01340, risalente al 14 settembre 1998, e alla coeva interrogazione, a firma congiunta Biondi e Garra, che prendono lo spunto da un tragico fatto di cronaca: il suicidio del vicequestore Antonio Sardo. Anche nel nostro caso vi è una coppia di «cantanti», ossia di collaboranti di giustizia. I «cantastorie» si chiamano Flavio Lazzini ed Emilio Arrighi, il secondo dei quali - a quanto ne so - ha ritrattato in pubblica udienza nel gennaio 1997 le infami accuse in precedenza rivolte nei confronti del commissario di pubblica sicurezza, Antonio Sardo, già capo della squadra mobile della questura di Massa. È probabile che la procura di Massa, in conseguenza dell'inchiesta attivata nei confronti del dottor Sardo, a seguito della «cantata» dei due predetti pentiti, abbia preteso dall'amministrazione dell'interno il trasferimento del commissario Sardo dalla questura di Massa a quella di Lucca. Ebbe da lì inizio la buia vicenda che, alcuni anni fa, sconvolse l'attività professionale e la stessa vita del predetto tutore dell'ordine. Il commissario Antonio Sardo non è la solita vittima perché, come affermato dai sindacati di polizia e da quanto si è letto nell'interrogazione n. 3-02781 del Vicepresidente della Camera onorevole Biondi, da me sottoscritta, il suicidio del dottor Sardo è l'ultimo di una lunga serie di suicidi avvenuti a Lucca, che hanno interessato elementi delle forze dell'ordine in un quadro fosco di contrasti verificatisi tra la polizia di Stato e i carabinieri, ma anche con la magistratura inquirente.
Secondo notizie di stampa, l'ambiente della questura di Lucca è stato negli ultimi anni tragico teatro di una catena di suicidi: due poliziotti, già in servizio a Forte dei Marmi, si erano suicidati a seguito dell'avvio dell'inchiesta per corruzione; a ciò si sono aggiunti, nel giugno 1998, il suicidio con pistola di ordinanza di un altro agente e, il 24 agosto 1998, quello per l'impiccagione del vicequestore Antonio Sardo.
Non posso non partire dal processo svoltosi a carico di quest'ultimo ed altri, secondo quanto riferito dal Corriere della Sera il 26 agosto 1998. Nel corso di un'udienza dello stesso processo era saltato fuori un biglietto - il cui mittente rimaneva sempre di nome ignoto - nel quale si raccomandava al pentito Lazzini di raccontare tante cose contro il dottor Sardo, con riferimento all'attività svolta dallo stesso quale capo della squadra mobile di Massa. Dal verbale dell'udienza del tribunale di Massa in data 7 gennaio 1997, si evincerebbero inoltre le seguenti dichiarazioni rese dal pentito Emilio Arrighi: «Mi riconosco colpevole di calunnia, tutte le accuse contro i poliziotti me le sono inventate di sana pianta per uscire di galera». Si badi bene: ha calunniato per uscire di galera. È tragico che ciò avvenga, ma accade e non soltanto nelle inchieste svolte dagli inquirenti della procura di Massa. Infatti, dallo stesso verbale di udienza, secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, risulta che il magistrato, il quale più volte aveva interrogato l'Arrighi, lo aveva fatto senza la presenza di alcun difensore.
L'Arrighi, sempre secondo notizie di stampa, nel corso di due interrogatori avrebbe avuto promessi corposi benefici per le sue «cantate» e nella vicenda un ruolo assai angosciante sarebbe stato svolto da un non meglio identificato maresciallo. Non so se i comportamenti contra legem del magistrato e del maresciallo siano stati perseguiti in sede penale o disciplinare e confido che elementi di chiarezza vengano dalla risposta del rappresentante del Governo.
Torniamo al dramma personale vissuto dal commissario Sardo per le «cantate» dei pentiti, il quale subì come evento
Tra l'altro, all'Arrighi sarebbe stato preannunciato dal magistrato che lo interrogò senza alcun difensore, nemmeno d'ufficio, un ulteriore ordine di custodia in carcere ove non avesse collaborato, il che è l'equivalente del noto «tintinnio di manette», un modo assai cordiale e largamente diffuso in alcune procure italiane, dal nord al sud, da Milano a Palermo, magari passando da Lagonegro e non solo.
A proposito della procura di Lagonegro debbo dire che l'imitazione della procura di Milano è quasi perfetta: non è sufficiente chiedere il rinvio a giudizio, ma ciò deve avvenire nel modo più spettacolare. Ricordate la conferenza mondiale sulla lotta alla criminalità del novembre 1994? Nel corso di quell'assise l'allora Presidente del Consiglio, onorevole Silvio Berlusconi, venne raggiunto da un avviso di garanzia che avrebbe potuto essere inviato una settimana prima o dopo, ma allora non ci sarebbe stato il gusto sadico di spostare il recapito. A Napoli, nel novembre 1999, il cardinale Giordano è stato analogamente raggiunto dalla notizia della richiesta di rinvio a giudizio mentre era in corso la settimana sociale dei cattolici italiani.
Nel concludere mi chiedo e domando cosa sappia e cosa voglia dirci il Governo sulle vicende ricordate. È possibile che il magistrato ed il maresciallo, ispiratori entrambi non solo dei pentiti Lazzini e Arrighi (quest'ultimo poi accusatosi di calunnia), non siano stati identificati e sottoposti a procedimento penale o, quantomeno, disciplinare? È possibile che il ministro dell'interno non sia stato allertato a fronte della catena di suicidi avvenuti nell'ambiente della questura di Lucca e che non abbia acquisito accertamenti ispettivi? Con quali risultanze? È possibile che il ministro della giustizia, quello uscito di scena nell'ottobre 1998 e quello subentrante, l'onorevole Diliberto, siano rimasti inerti? C'è stata ispezione? Con quali risultati? C'è una politica governativa idonea a stroncare eventuali scontri nell'ambito delle stesse forze dell'ordine e tra forze dell'ordine e procure? Attendiamo una risposta esauriente e che, soprattutto, ridia ai cittadini fiducia nei confronti della magistratura inquirente e delle forze dell'ordine in Toscana e non solo in quella regione.
Gli elementi scaturiti dalle inchieste giudiziarie e gli accertamenti disposti dal Ministero dell'interno fanno ritenere non verosimile l'ipotesi di un collegamento tra i vari episodi che sono maturati, peraltro, in contesti differenti in un arco temporale che va dal 18 dicembre 1994 al 24 agosto 1998. Quanto alla tragica vicenda del vicequestore Antonio Sardo, morto il 24 agosto 1998, egli era da poco tempo in servizio a Lucca; a suo carico erano stati aperti due procedimenti penali risalenti al periodo in cui il funzionario aveva diretto la squadra mobile di Massa Carrara.
Per disporre degli elementi processuali della vicenda, tramite il Ministero della giustizia, è stata interessata la procura della Repubblica di Lucca. Sulla base delle precisazioni fornite, quindi, cercherò di ricostruire gli aspetti giudiziari in
Il funzionario si è tolto la vita in conseguenza di un - cito tra virgolette - «verosimile stato di disagio psicologico connesso a vicende personali». Le indagini si sono concluse con il provvedimento del giudice delle indagini preliminari del 1o febbraio 1999, che ha disposto l'archiviazione degli atti. Secondo il magistrato inquirente, non sono emersi elementi che possano far ipotizzare una qualsiasi connessione tra il suicidio del dottor Sardo, le inchieste condotte dalla procura, anche su vicende che hanno interessato appartenenti al personale del posto fisso di pubblica sicurezza di Forte dei Marmi, ed altri episodi simili.
Le inchieste della procura hanno riguardato, complessivamente, ventiquattro persone per diverse e gravi fattispecie di reato; otto indagati sono stati o sono agenti o ufficiali di polizia giudiziaria in servizio presso il posto di polizia di Forte dei Marmi. Uno degli imputati, ex ispettore della Polizia di Stato, è tuttora latitante. In ordine a tale vicenda, il pubblico ministero ha formulato richiesta di rinvio a giudizio e la relativa udienza preliminare si terrà il 7 dicembre prossimo.
I due poliziotti in servizio presso la squadra volante di Lucca, ai quali fa riferimento l'onorevole Carli, sono stati già rinviati a giudizio per i reati di detenzione di stupefacenti, falso e calunnia. Il procedimento si trova nella fase degli atti preliminari al dibattimento e l'udienza è fissata per il 17 aprile del prossimo anno.
Sui procedimenti nei quali è stato coinvolto a vario titolo il dottor Sardo, riferisco quanto emerso dall'acquisizione di atti e documenti disposti dal magistrato. A seguito delle dichiarazioni rese, tra gli altri, da Emilio Arrighi e Flavio Lazzini, la procura della Repubblica di Massa Carrara ha iscritto il procedimento n. 501 del 1994; a conclusione degli accertamenti disposti sui fatti, il magistrato inquirente, il dottor Capizzoto, ha chiesto il rinvio a giudizio dell'Arrighi per calunnia nei confronti del dottor Sardo, per il quale è stato sollecitato ed ottenuto il provvedimento di archiviazione.
Il processo a carico dell'Arrighi è stato definito in primo grado dal tribunale di Massa Carrara che, con sentenza 7 maggio 1999, lo ha condannato alla pena di cinque anni di reclusione e di 7 milioni di multa, nonché al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese di lite in favore della vedova del dottor Sardo, costituitasi parte civile, con l'assegnazione di una provvisionale di 5 milioni.
A seguito di dichiarazioni rese al pubblico ministero da Flavio Lazzini, Raffaele Martini ed altri nei confronti di terze persone, tra cui pubblici ufficiali appartenenti alla questura di Massa Carrara, compreso il dottor Sardo, è stato iscritto distinto procedimento nell'ambito del quale fu contestato al dottor Sardo di avere, in concorso con altri pubblici ufficiali appartenenti alla questura di Massa Carrara, indebitamente rifiutato di operare l'arresto di Flavio Lazzini, all'epoca latitante.
Quanto alle censure sulle modalità di conduzione delle indagini preliminari, sul contenuto dei diversi provvedimenti adottati e sui comportamenti del magistrato nell'ambito del processo stesso, riferisco i chiarimenti forniti espressamente dal Ministero della giustizia. In primo luogo, sono risultati privi di fondamento i rilievi relativi all'assenza del difensore d'ufficio nel corso dell'interrogatorio di Emilio Arrighi; infatti, l'Arrighi venne interrogato la prima volta il 4 giugno 1994 alla presenza del difensore d'ufficio, avvocato Carletti. Nella fase preliminare del successivo interrogatorio del 9 giugno, lo stesso Arrighi nominava difensore di fiducia l'avvocato Marco Valerio Corini. L'interrogatorio del 13 giugno 1994 è avvenuto con l'assistenza del difensore di fiducia, avvocato Corini, e i difensori nulla hanno mai eccepito sulla ritualità della conduzione degli interrogatori da parte del dottor Capizzoto.
Quanto agli altri profili di censura, il giudice per le indagini preliminari, con decreto del 7 febbraio 1998, ha disposto l'archiviazione del procedimento a carico del dottor Capizzoto. L'istruttoria avviata in sede amministrativa sui fatti addebitati al magistrato non ha evidenziato elementi idonei a giustificare iniziative di specifica competenza del Ministero della giustizia. Infatti, i rilievi mossi dal dottor Sardo con un esposto sono risultati non valutabili sul piano disciplinare, in quanto relativi all'esercizio di attività giurisdizionale ritenuta non abnorme, né manifestamente erronea o scorretta, né finalizzata a scopi contrari a quelli di giustizia.
Con riguardo invece agli asseriti comportamenti tenuti dal dottor Capizzoto nel corso delle predette indagini, quali espressioni offensive usate nei confronti dell'imputato e rivelazione alla stampa di elementi istruttori, si è potuta accertare l'assoluta infondatezza di quanto lamentato nell'esposto dal dottor Sardo. Nello stesso esposto veniva anche segnalato che un sottufficiale avrebbe esercitato pressioni sull'Arrighi per indurlo a confermare le accuse nei confronti del funzionario di polizia. La procura della Repubblica di Massa Carrara ha iscritto il procedimento n. 935 del 1995, nell'ambito del quale, all'esito delle indagini compiute, è stata formulata richiesta di archiviazione, interamente accolta dal GIP con decreto del 25 luglio 1996.
Con gli esposti che ho ricordato il dottor Sardo ha sempre professato la propria innocenza e, pur rilevando aspetti critici delle indagini nei suoi confronti, non ha mai contestato la correttezza e l'opportunità del provvedimento amministrativo con il quale il Ministero dell'interno, per motivi di incompatibilità ambientale, aveva disposto il suo trasferimento dalla questura di Massa Carrara a quella di Lucca. Il dipartimento della pubblica sicurezza non ha mancato di attivare a favore del dottor Sardo le misure di assistenza relative alla tutela legale prevista dalla legge, mentre il fondo di assistenza ha prestato l'assistenza economica richiesta.
Preciso inoltre che nei confronti dell'Arrighi e del Lazzini non è mai stato chiesto l'inserimento in un programma di protezione quali collaboranti.
Quanto al trasferimento del dottor Scandurra e alla successiva morte del figlio Ivanoe, devo rilevare che il trasferimento non può di per sé essere considerato dall'amministrazione come un evento suscettibile di così drammatiche conseguenze. Devo invece precisare che l'avvicendamento di sede, con pari funzioni di questore, è avvenuto nel caso del dottor Scandurra dopo più di tre anni di permanenza nella sede di Lucca e si è inserito in un più ampio quadro che ha visto coinvolti diversi dirigenti della polizia di Stato, in attuazione di una politica gestionale che prevede una frequente mobilità del personale sul territorio, soprattutto nelle posizioni dirigenziali. La scelta della nuova sede, la questura di Pistoia, è avvenuta tenendo conto del desiderio manifestato dal funzionario di non allontanarsi dalla città di Pisa per esigenze familiari e per quelle scolastiche dei propri figli.
Il 18 dicembre 1994, data richiamata dal sottosegretario, mi sembra davvero l'inizio di una spaventosa tragedia personale.
Il vice questore dottor Antonio Sardo, a me sembra l'emblema dei tanti uomini morti due volte (la morte fisica è talvolta preceduta da quella morale) per effetto dei gravissimi danni arrecati ai cittadini onesti dai giochi nefasti condotti talvolta persino consapevolmente (in genere ovviamente non consapevolmente) da «operatori di giustizia»; e quelle volte in cui vi è la consapevolezza dell'agire illecito, quale menzogna diventa il nome «operatore di giustizia» per chi lo porta in tandem con quelle mine vaganti che divengono sovente i pentiti.
Il sottosegretario Sinisi ha parlato di fatti personali che avrebbero condotto il dottor Sardo al suicidio.
Faccio chiarezza; non ho difficoltà a farlo, anche se le affermazioni che aveva fatto vennero depennate nell'interpellanza dagli uffici della Camera.
Si è detto che probabilmente l'abbandono del dottor Sardo da parte della moglie possa essere stata la causa scatenante del suo suicidio. Ma perché nella generalità dei casi alle separazioni legali e alle sentenze di divorzio non fanno seguito esiti così tragici?
Rispetto alle vicende pregresse quella familiare può essere considerata solo occasionalmente scatenante; ma è stata la depressione seguita alle sue traversie giudiziarie e professionali la vera causa del tragico destino di quel servitore dello Stato, del quale si può ben dire che è morto due volte: una prima volta per le calunnie ed il processo che lo hanno infangato come uomo e come funzionario; una seconda volta allorché l'angoscia protrattasi per tre anni gli ha dato l'insana spinta a trovare una corda alla quale impiccarsi.
Non posso sicuramente dichiararmi soddisfatto della risposta del Governo che mi è parsa una cortina fumogena anch'essa lanciata per non vedere chiaro.
Nell'esprimere dolore e rinnovare i sentimenti di condoglianze ai familiari delle persone che si sono suicidate legate alla questura di Lucca, devo dire che la risposta del Governo è un atto decisamente chiarificatore che rafforza l'efficacia dell'azione delle forze di polizia ed inoltre rassicura l'opinione pubblica. L'intervento di oggi è utile, anche se dallo svolgimento di quei fatti è trascorso un po' di tempo.
Voglio ricordare che la questura di Lucca ha conseguito negli ultimi anni importanti risultati nella lotta alla criminalità organizzata su tutto il territorio della provincia che, come è noto, è articolata in varie aree (Lucca e Piana, Versilia e Garfagnana). Anche in questa circostanza, voglio apprezzare le capacità e i risultati ottenuti dagli agenti di polizia.
Esprimo piena fiducia nella magistratura per l'azione di sua competenza che ha svolto.
Tutte queste sono le ragioni che mi inducono a dichiararmi pienamente soddisfatto della risposta fornita dal sottosegretario.