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PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.
PIETRO CAROTTI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo alla terza lettura di un provvedimento che si iscrive molto decorosamente all'interno di un processo riformatore le cui dimensioni potranno avere una organicità solo quando verranno varati i provvedimenti dei quali oggi ci occupiamo. Si tratta di una costellazione che ruota intorno ad una modernizzazione del processo, ad un obiettivo che è stato largamente condiviso anche in termini visibili, vale a dire attraverso le votazioni pressoché all'unanimità sia alla Camera sia al Senato su una serie di provvedimenti con un punto di partenza comune, che è opportuno ricordare in questa sede. Premetto che chi vi parla auspica che il provvedimento all'esame venga approvato rapidamente; tra l'altro, esso è stato ulteriormente emendato, anche se in misura modesta, e quindi si renderà inevitabile un ulteriore passaggio al Senato della Repubblica.
poiché riguarda aggiornamenti e misure che non hanno la caratteristica della centralità, nel senso che sono riferiti a contenziosi di natura minore, anche se personalmente sono contrario a relegare alcune vicende a «giustizia figlia di un dio minore», perché la giustizia non ha connotazioni aggettivali. In sostanza, quindi, ci troviamo di fronte ad un provvedimento che affronta di petto il nodo processualpenalistico.
addirittura, osmosi tra sistema accusatorio e inquisitorio, tanto che tradizionalmente il tasso di accusatorietà che è stato più marcato, anche in chiave di revisione costituzionale, attiene soprattutto alla formazione della prova, che si differenzia in maniera alquanto discutibile, almeno per il suo risultato, rispetto a quello che invece era un portato proprio del sistema inquisitorio.
Cercando di mantenere la promessa che ho fatto di non ritornare su argomenti già ampiamente discussi nel corso della prima lettura del testo (per gli addetti ai lavori sarà sufficiente leggere i relativi resoconti stenografici), voglio segnalare alcuni aspetti sui quali si incentra il dibattito politico di questo momento storico-parlamentare.
competenza di un organo giudicante, specificare solo alcuni di quelli che superano tale quantificazione è un'imperfezione che non incide sull'interpretazione della legge. Questo è uno dei punti che la Commissione non ha ritenuto di modificare, se non nei termini da me riferiti e che, in qualche modo, risponde alle esigenze sollevate dalle camere penali, da parte della magistratura e dai componenti della Commissione giustizia ed, infine, raccolte dal Senato.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Carotti: evidentemente riesco a dare espressività anche allo scampanellio...!
MARIANNA LI CALZI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il testo licenziato dal Senato introduce alcune non secondarie innovazioni rispetto a quello approvato dalla Camera in prima lettura. Non si evidenziano, tuttavia, modifiche che incidano sulle linee ispiratrici del provvedimento. Le innovazioni, infatti, continuano a muovere il provvedimento in direzione del potenziamento delle garanzie nell'udienza preliminare e dell'incentivazione delle procedure per la definizione del giudizio che evitino comunque il ricorso al dibattimento. Permane,
dunque, la logica di un provvedimento che si inserisce in un più ampio quadro di interventi normativi già realizzati, ed in parte ancora da realizzare, finalizzati principalmente alla deflazione dei carichi oggi incombenti sul dibattimento.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Marino. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MARINO. Onorevole Presidente, onorevole sottosegretario, al testo di legge approvato dalla Camera il 10 febbraio 1999 il Senato ha apportato una serie di modifiche che hanno suscitato nuove polemiche e perplessità.
stato sempre corretto e lo spirito è stato sicuramente costruttivo.
LUIGI SARACENI. Ma è coerente con la vostra concezione dell'udienza preliminare!
GIOVANNI MARINO. Il che era assurdo e si protraeva da troppo tempo: da dieci anni, in sostanza dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Tale anomalia viene così eliminata e noi salutiamo questo fatto con molto piacere.
il quale, pur essendo stato presente nelle udienze precedenti, non lo era in quella della lettura del decreto. Si appesantiva così il già notevole lavoro delle cancellerie. Tale norma è stata opportunamente soppressa.
Stato; il magistrato di Santa Maria Capua Vetere ha comprato mezza pagina di un giornale ed ha dichiarato: «Abbiamo 30 mila processi, è il caos». E ancora: il procuratore della repubblica di Palermo, dottor Grasso, ha lanciato un grido d'allarme denunciando di trovarsi in estrema difficoltà.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saraceni. Ne ha facoltà.
LUIGI SARACENI. Desidero innanzitutto ringraziare il collega Marotta per avermi consentito di anticipare il mio intervento che, in termini di tempo, sarà molto più breve di quello che poi potrà svolgere lo stesso collega Marotta.
il giudice dell'udienza preliminare? Non certo perché quest'ultimo ha una particolare inclinazione alla subalternità, una naturale subalternità verso il pubblico ministero o perché abbia un'insufficiente specializzazione. La ragione della minore terzietà, della minore capacità di essere equidistanti dipendeva, dipende e, ahimé, continuerà a dipendere essenzialmente dalla contiguità della sua funzione con quella del pubblico ministero, dal fatto che il baricentro della funzione del GIP e del GUP si trova all'interno della fase delle indagini e che questi sono estranei, isolati dalla cultura, dalla logica e dalla prassi del dibattimento. Senza dubbio, naturalmente a parità delle altre qualità personali, un giudice per le indagini preliminari e, in particolare, un giudice dell'udienza preliminare che sia anche un buon giudice del dibattimento ha sicuramente maggiore capacità di essere equidistante e terzo rispetto alle parti; su questo punto c'è poco da discutere. Un giudice siffatto avrebbe maggiore autorevolezza e maggiore capacità di resistere alle suggestioni dell'accusa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marotta. Ne ha facoltà.
RAFFAELE MAROTTA. Signor Presidente, rappresentante del Governo, egregi colleghi, debbo innanzitutto constatare che parliamo in un'aula paurosamente e desolatamente deserta; eppure, stiamo trattando problemi dei quali pare che tutti si interessino! Tuttavia, se vi è una sede dalla quale può derivare l'opportunità di presentare o meno un emendamento anziché un altro, è proprio quella della discussione sulle linee generali. Se la gente non comprende quali sono i punti delicati
sui quali discutere e non sente le ragioni di colui il quale sostiene il contrario, non capisco come noi possiamo assolvere bene al nostro mandato. Questo lo dico per sfogo, perché poi, tra l'altro, molti colleghi che sono intervenuti nel dibattito, locuti sumus e se ne sono andati!
LUIGI SARACENI. Leggerò attentamente sul resoconto stenografico il tuo intervento.
RAFFAELE MAROTTA. Non voglio che sia letto, ma sapere che cosa fare e che cosa non fare.
LUIGI SARACENI. Sai quanto sono attento a quello che tu dici!
RAFFAELE MAROTTA. Non mi riferivo a te.
Trattandosi di una competenza territoriale derogabile, se questo non avviene alla prima udienza, non c'è niente da fare e la competenza rimane radicata presso quel giudice. Quindi, non vi sono problemi: una parte si attiverà e avrà tutti i diritti impregiudicati. Mi permetterei pertanto di scongiurare la presentazione di eventuali emendamenti su questo punto.
sono di una gravità tale per cui si ritiene di attribuirli al tribunale in composizione collegiale.
perché anche una parte dell'avvocatura sia contraria; si tratta, infatti, di sopperire ad una lacuna del difensore: non si possono acquisire prove che inducano a rinviare a giudizio l'imputato - vale a dire prove a lui contrarie -, ma penso sia nella logica delle cose acquisire prove a suo favore. La legge dice che persino il pubblico ministero può assumere prove, o meglio informazioni, a favore dell'imputato. Perché non dovrebbe poterlo fare il giudice? A mio avviso, non si viola il principio ne eat iudex ex officio perché, ripeto, al giudice dell'udienza preliminare viene richiesto di rinviare a giudizio, quindi deve poter fare tutto ciò che attiene al non rinvio a giudio; pertanto, non vedo perché anche la mia parte politica non sia tanto d'accordo sul punto.
a farmi condannare, non debbo essere rinviato a giudizio. È giusto? Benissimo, ho il consenso dell'illustre relatore. Con eventuali emendamenti dovremo «rintuzzare» in questo senso: questa è la mia opinione personale, perché in questo momento non conosco bene il parere del gruppo. Mi pare che siano insormontabili queste mie considerazioni su tale differenza formale: nel chiuso di quattro mura non si possono raccogliere prove; se sono stati raccolti indizi che non sono sufficienti a farmi condannare non devo essere rinviato a giudizio. Oltretutto, vi è l'articolo 125 delle norme di attuazione che dispone che il pubblico ministero ha il dovere di chiedere l'archiviazione se gli elementi non sono idonei a sostenere l'accusa: è quanto afferma l'articolo di cui stiamo parlando.
favoreggiamento reale, di maltrattamenti in famiglia, di violazione di domicilio aggravata. Qui vale la stessa considerazione che abbiamo fatto per il tribunale in composizione monocratica e collegiale: avevamo il pretore giudice penale monocratico che decideva senza udienza preliminare su tutti i reati che prima ho indicato. Ora invece la serie di reati è stata ristretta e quindi il filtro dell'udienza preliminare è allargato perché si estende anche al favoreggiamento, ai maltrattamenti in famiglia, alla violazione di domicilio aggravata e all'omicidio colposo. Quest'ultimo è un reato delicatissimo perché l'elemento soggettivo della colpa (non parliamo di quella professionale) è difficilmente accertabile, in quanto bisogna cercare di capire il momento in cui un soggetto, dovendo fare una cosa, non l'ha fatta. Non ci si deve fermare al momento della commissione del fatto, nel senso che l'azione deve essere valutata in riferimento a momenti precedenti in cui, dovendo fare una cosa, questa non è stata fatta.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borrometi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORROMETI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei sottolineare alcuni passaggi che giungono alla nostra attenzione a seguito delle modifiche introdotte dal Senato. Purtroppo, anche per il provvedimento al nostro esame, come è accaduto per la competenza penale del giudice di pace, ci troviamo stretti tra l'esigenza di una rapida approvazione, per la necessità che entri in vigore la riforma, e la necessità, altrettanto stringente, di rivedere alcune delle novità introdotte dal Senato, che - almeno in qualche caso - ci sembrano di ardua condivisione.
sembra sia improntato ad una linea di equilibrio più che di mediazione; si tratta di una linea corretta, vista la necessità di pervenire ad una veloce entrata in vigore del testo e di consentire l'entrata in funzione del giudice unico in materia penale a partire dal 2 gennaio 2000: non è assolutamente ipotizzabile un ulteriore rinvio ed una ulteriore permanenza nell'attuale condizione di limbo. Attualmente ci troviamo, infatti, in mezzo ad un guado senza sapere esattamente come ci si deve regolare; le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti!
pure in Commissione al Senato era stato inserito, ma che l'Assemblea ha eliminato -, oltre che dalla soppressione dell'articolo 35 nel testo della Camera. Tale soppressione è assolutamente incomprensibile, perché produce l'effetto di disincentivare il patteggiamento, modificando, tra l'altro, una disposizione che noi guardavamo con grande favore perché andava nella direzione auspicata, quella cioè di affidare al giudice della cognizione la decisione in ordine all'applicabilità delle cosiddette pene alternative.
emendativi apportati. È per questa ragione che a nome del mio gruppo ne raccomando l'approvazione.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.
Avverto che la II Commissione (Giustizia) s'intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Carotti, ha facoltà di svolgere la relazione.
Siamo partiti dalla constatazione che, dopo dieci anni di valutazione del rito accusatorio, dal punto di vista scientifico la situazione si presentava abbastanza confusa, tanto che, se fosse stato indetto un «concorso di idee» per dare una definizione al nuovo tipo di procedimento e di processo costruiti con l'inserimento di quello che, molto enfaticamente, veniva definito il passaggio dall'inquisitorio all'accusatorio, probabilmente avremmo trovato difficoltà difficilmente superabili. Siamo in presenza, infatti, di una commistione di istituti ed anche, in qualche modo, di un'amplificazione dei principi di marcatura inquisitoria che sono rimasti all'interno del meccanismo che alcuni definiscono «ordigno processuale». Essi, tra l'altro, hanno riscontrato il favore di letture disinvolte di organi giurisdizionali di massimo livello e ciò ha reso inevitabile se non una deriva fallimentare, un momento di grande difficoltà per la tempistica giudiziaria. Essa è arrivata a livelli incomprensibili da parte degli utenti, vale a dire i cittadini ai quali ci rivolgiamo come legislatori.
Nel provvedimento in esame, la parte propriamente civilistica è marginale
Di fronte alle osservazioni su una tempistica ormai inaccettabile, che nasceva da una previsione piuttosto semplice, fatta a ridosso degli anni novanta (con la riforma del nuovo codice di procedura penale del 1987, entrata in vigore nel 1989), ci siamo resi conto che un sistema accusatorio che vede nel dibattimento la sua centralità, che privilegia - come è giusto - un'integrazione di contraddittorio, un momento di formazione della prova proprio della fase nella quale si realizzano gli stessi principi del giusto processo, era possibile in termini di economia processuale soltanto se ed in quanto fosse investita solo una percentuale minima del dibattimento. Esso diveniva un luogo costoso, non in termini economici naturalmente, ma in termini di dispendio di risorse umane, di risorse difensive ed anche giudicanti. Si affermava che i riti alternativi avevano funzionato male e che avevano subito l'aggravante di un'interpretazione vieppiù restrittiva nonché di alcuni atteggiamenti di diniego e di ribellismo intellettuale, da parte degli organi che, invece, erano deputati a far funzionare meccanismi non solo di tipo deflattivo ma che, in qualche modo, rispondessero anche alla diversa dinamica dei reati e del loro accertamento.
Pertanto, abbiamo preso una decisione che riguarda la maggior parte del Parlamento. È sufficiente osservare il frontespizio del provvedimento di cui stiamo discutendo per verificare il numero, oltre che la qualità, naturalmente elevatissima, di coloro che hanno sottoscritto le proposte di legge che hanno contribuito alla stesura del testo che è stato da me unificato in prima lettura, poi sottoposto al vaglio critico del Senato (che ha apportato alcune modifiche), ulteriormente esaminato dalla Commissione, con qualche aggiustamento - naturalmente, secondo noi migliorativo - e che ora proponiamo all'approvazione dell'Assemblea.
La vicenda nasce da lontano; vi sono state anche prese di posizione della magistratura e degli enti rappresentativi dell'avvocatura con cui sono stati segnalati al legislatore problemi che oggi non possiamo fingere di ignorare, perché non ci siamo trovati ad operare in un terreno vergine - se mi si passa il termine - in cui le cose funzionavano e che noi ora cerchiamo di far funzionare meglio, ma in un terreno in cui le cose non hanno funzionato quasi per niente. Quindi, si ricorreva ai tre metodi usuali - per così dire - di completamento e conclusione dei processi penali: il ricorso alle ricorrenti amnistie, l'estinzione del reato per prescrizione e - per fortuna in maniera meno frequente - la morte del reo, che è l'evento più traumatico e meno auspicabile.
Di fronte ad una situazione di questo tipo, abbiamo dovuto esaminare una serie di provvedimenti - ventidue, se non ricordo male -, i quali logicamente non avevano un contenuto assolutamente omogeneo. Quindi, vi è stato un primo sforzo da parte della Commissione e colgo l'occasione per ringraziare tutti i colleghi per la collaborazione che mi hanno fornito con suggerimenti e critiche, molto spesso preziose, provenienti sia da colleghi della maggioranza che dell'opposizione. Essi hanno richiamato la mia attenzione su alcuni punti incongruenti ed hanno consentito la presentazione di un prodotto che certamente richiederebbe ulteriori aggiustamenti, ma ciò fa parte del mondo scientifico e non del terreno della politica. Infatti, mi rendo ben conto che la risposta più appropriata alle problematiche di cui stiamo parlando sarebbe una riscrittura integrale del codice di procedura penale, con un modello unico di riferimento, in cui non vi siano commistioni, contiguità o,
Non voglio tornare alla discussione generale, perché, come ho detto, siamo alla terza - e credo penultima - lettura, ma è opportuno che la Camera dei deputati sappia che ci troviamo di fronte ad un riforma, che non definirei epocale, come enfaticamente a volte viene descritta nel linguaggio giornalistico, ma che certamente è di portata inusuale: credo sia la più importante in chiave processuale penalistica dall'entrata in vigore del codice del 1989; al riguardo mi pare difficile dissentire.
L'urgenza e l'ineludibilità di tutto ciò sono state sottolineate da tutti i gruppi parlamentari, che hanno inteso votare il provvedimento in maniera ampia, astenendosi su alcuni punti che erano irrinunciabili. Quindi, oggi arriviamo ad una fase che, secondo la valutazione del relatore, ha un indice di irreversibilità, perché stiamo modificando il rito monocratico all'interno della riforma del giudice unico di primo grado che è già legge dello Stato.
Si tratta di una scelta su cui non soltanto il Parlamento ha espresso il suo voto, ma sulla base della quale è stata approvata una legge che addirittura è entrata in vigore in epoca antecedente rispetto alla sua entrata in efficacia, avvenuta il 2 giugno 1999, e con la quale, sulla base della relazione di un membro del Parlamento appartenente all'opposizione, abbiamo deciso di introdurre una razionalizzazione del sistema attraverso la soppressione della duplicazione di organi, collegiali e monocratici - ciò viene ora inserito nuovamente per altra via, ma certamente non in maniera sovrapponibile, come avveniva per il pretore e il tribunale (naturalmente la corte d'assise è un giudice specializzato e, quindi, mi riferisco alla fase centrale) -, determinando così l'unicità del giudizio di primo grado, che prima si dispiegava invece attraverso organi giudicanti differenziati.
Questo è già legge dello Stato, la parte ordinamentale è già legge dello Stato, è già entrata in vigore per cui non siamo più nelle condizioni di poter decidere nuovamente se sia stato giusto scegliere il giudice unico di primo grado, perché questo è un fatto che appartiene alla storia parlamentare e non alle decisioni politiche che dobbiamo assumere; il vero ed unico problema è quello di verificare, come penso farà quest'Assemblea, se vi siano le condizioni per poter ulteriormente dilazionare l'entrata in vigore di una parte che completa e razionalizza quel segmento dell'ordinamento penale (per quanto attiene al rito monocratico e che viene in qualche modo a sostituire e ad ampliare l'opera svolta proficuamente dai pretori in questi anni di storia repubblicana), che non può non essere approvato se non attraverso un'assunzione di responsabilità politica che segnerebbe, però, il fallimento completo di tutta l'opera riformatrice.
Come ho già detto in più di un'occasione (naturalmente faccio riferimento ad occasioni ufficiali), sono fermamente convinto - e in questo penso di interpretare la volontà del Governo, del mio gruppo parlamentare e della maggioranza - che qualunque speranza extraparlamentare di slittamento dell'entrata in vigore del provvedimento sia legata più all'esperienza del passato che alle prospettive del futuro. Noi non siamo più in condizione di poter sostenere una situazione di ambiguità che, fra l'altro, si è protratta per troppo tempo, ma questo ci ha costretti a ripensare ad alcuni problemi di rapporto tra collegialità e monocraticità all'interno del provvedimento. Rimane fermo che per il 2 gennaio 2000 noi dobbiamo avere un sistema organico, completo, omogeneo, che consenta di completare, iniziare, far proseguire e concludere i processi nella maniera più fisiologica possibile.
Il Senato ha apportato al testo alcune modifiche che hanno un certo significato e qui alla Camera abbiamo introdotto altre modifiche che ne hanno un altro e che probabilmente costituiscono l'unico terreno possibile di contesa all'interno del quale non vi è alcuna preclusione in Commissione. I colleghi presenti mi daranno atto che nella relazione ho manifestato ampia apertura, raccogliendo tutte le indicazioni pervenute attraverso l'attività emendativa, sia pure molto sofferta, tanto che, cercando di unificare i principi più diffusi e più sentiti da parte dei componenti della Commissione giustizia, ho ritenuto doveroso proporre come relatore una serie di emendamenti che in qualche modo raccogliessero le esigenze più pregnanti e rendessero il dibattito non soltanto virtuale ma reale, al fine di un effettivo miglioramento del provvedimento.
Non so se ci siamo riusciti o meno, ma non sta a me dirlo; credo tuttavia che il punto sul quale possiamo aprire un dibattito riguardi la segnalazione di maggior sofferenza fatta da gruppi dell'opposizione e da enti esponenziali dell'avvocatura - e non soltanto dell'avvocatura - in relazione a quello che veniva lamentato come uno dei principali traumi presenti all'interno del testo. Mi riferisco ad una diversificazione di giudizio tra giudice collegiale e giudice monocratico che (secondo l'opinione dei critici raccolta dal Senato e che la Camera ha ritenuto di confermare) vedeva una specie di invasione di campo, cioè una sovraesposizione del giudice monocratico relativamente a reati la cui gravità forse avrebbe dovuto essere affidata alla ponderazione, allo scambio di idee e alla dialettica di un giudice collegiale.
Il Senato ha ritenuto addirittura di dimezzare il limite massimo della pena previsto nella legge di cui parliamo - che era già legge dello Stato - riducendo da venti a dieci anni la pena massima, con la possibilità di distribuire, sotto il profilo dell'affidamento al giudice monocratico, la decisione su una certa tipologia di reato.
Nelle due letture la Commissione ha fatto probabilmente di meglio: siamo scesi, infatti, in alcuni titoli di reato che per la loro dinamica non giustificavano un riferimento soltanto all'aspetto brutalmente quantitativo della pena; ne è venuta fuori una costruzione che è astrattamente migliorabile, ma che in qualche modo risponde ad un tessuto logico e che propone una soluzione che riesce a conciliare i costi processuali, l'esperienza del giudice monocratico vissuta fino ad oggi e la necessità di una ponderazione collegiale per i reati più gravi.
Non so se il mio possa essere considerato un intervento di tipo formale o se sarà necessaria la presentazione di una proposta emendativa: abbiamo una modifica del testo degli articolo 33-bis e 33-ter del codice di procedura penale. Essendovi stata una drastica riduzione quoad poenam, in termini di pena massima, da venti a dieci anni, non si è probabilmente tenuto conto che la logica della lettera c) dell'articolo 33 poteva essere comparabile soltanto con il testo precedente: infatti, per la maggior parte dei reati che venivano nominalmente attribuiti alla competenza della composizione collegiale è prevista una pena che supera i dieci anni; pertanto, non vi è più bisogno di indicarli nominativamente, in quanto sono già stati attribuiti prepotentemente di diritto al giudice, facendo riferimento soltanto alla pena. Mi farò carico, dunque, di sottoporre una proposta emendativa al Comitato dei nove per fare in modo che vi sia una razionalizzazione di tale imprecisione che, tutto sommato, potrebbe essere corretta in sede di coordinamento formale. È evidente, infatti, che se vi è un principio generale secondo cui tutti i reati per cui è prevista una pena che supera una certa quantificazione, vengono sottratti alla
Un altro punto sul quale la Commissione giustizia della Camera è intervenuta in terza lettura è quello del calcolo della pena. Così come si sarebbe potuto interpretare alla luce della normativa che sarebbe residuata dalla doppia lettura, si poteva sollevare il dubbio - anzi, secondo me, la certezza - che la competenza dei reati facenti riferimento, in particolare, ai furti aggravati, sarebbe stata sottratta al giudice monocratico; in tal modo si sarebbe fatto un passo indietro rispetto all'attuale assetto pretorile; pertanto, la modifica della norma che fa riferimento ai criteri interpretativi di cui all'articolo 4 del codice di procedura penale ci consente di avere un'armonica visione ed una equa distribuzione delle competenze, così come era stata originariamente disegnata.
In concorso intellettuale con la Commissione - tranne, naturalmente, coloro che hanno ritenuto giusto dissentire - ho raccolto le richieste avanzate da parte di numerosi esponenti della magistratura - e non solo - a proposito di uno dei punti più controversi della questione; su tale punto, infatti, vi era la possibilità di scegliere una soluzione alternativa, in maniera altrettanto decorosa: mi riferisco ai discussi articoli 60 e 61, soprattutto con riferimento al punto in cui si stabiliva un limite temporale per la partecipazione alle udienze e all'ufficio delle indagini preliminari da parte del magistrato; si trattava di un'idea che rispondeva ad una logica sulla quale, in prima lettura, mi sono espresso - è giusto che qui lo ribadisca - in maniera favorevole. Si riteneva, cioè, che perdurare per un periodo eccessivo potesse portare a quei fenomeni di contiguità intellettuale che eravamo chiamati a respingere; tanto che la prima stesura della norma partiva da una filosofia completamente rovesciata. Abbiamo avuto, poi, una serie di pentimenti intellettuali in corso d'opera, per cui abbiamo ricevuto le censure per non aver fatto quello che all'inizio ci era stato rimproverato di aver fatto. Comunque, il risultato è che a fronte di una difficoltà obiettiva - ecco perché abbiamo ritenuto di rispondere -, la quale però riguarda essenzialmente i modelli dei tribunali minori, cioè quelli con una consistenza inferiore alle venti unità, si sarebbero potuti determinare dei problemi. Ci è sembrato pertanto irragionevole non rispondere a quella esigenza e quindi abbiamo raddoppiato il termine.
A seguito dello scampanellio minaccioso ed anche abbastanza perentorio del Presidente - contrariamente al garbo abituale -, mi rimetto alla relazione già svolta in prima lettura, facendo però presente che l'approvazione di questo provvedimento è assolutamente funzionale all'entrata a regime di tutta la normativa concernente lo snellimento del processo penale ed il funzionamento della «riforma delle riforme», quella del giudice unico, su cui tutti o quasi tutti ci siamo espressi favorevolmente in quest'aula.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
L'esame del provvedimento licenziato dal Senato, tuttavia, potrebbe indurre a riflettere ulteriormente su alcune modifiche apportate: infatti, qualche problema applicativo potrebbe derivare dall'applicazione delle modifiche all'ordinamento giudiziario. I maggiori problemi sembrano riconducibili, al riguardo, alla previsione della rotazione triennale dei giudici svolgenti le funzioni di giudice per le indagini preliminari, nonché alla soppressione delle disposizioni introdotte dal decreto-legge n. 327 del 1989. Il Governo è favorevole a rivedere le innovazioni che possono comportare un rischio di paralisi dell'attività, specialmente per gli uffici di minori dimensioni, e a rivedere, altresì, quelle limitazioni che siano di ostacolo alla funzionalità dell'ufficio del GIP. Le disposizioni concernenti le modifiche all'ordinamento giudiziario sono, inoltre, strettamente connesse a quelle relative all'incompatibilità tra le funzioni di GIP e quelle di GUP. Le modifiche apportate sul tema sembrano estendere le ipotesi originariamente contenute nel provvedimento in esame, potendo aprire il campo anche ad un'interpretazione che praticamente porti all'incompatibilità che maturi nella stessa fase del procedimento (ossia, quella del dibattimento). Occorre, dunque, attentamente riflettere sull'opportunità di introdurre nell'ordinamento la previsione in base alla quale, ad esempio, il giudice del dibattimento che si sia pronunciato de libertate non possa più proseguire il giudizio (mi riferisco, tanto per intenderci, all'articolo 14).
Meritano certamente, poi, di essere esaminate in contesti omogenei le modifiche concernenti la sospensione condizionale della pena e l'oblazione.
Altre innovazioni introdotte nel processo penale, come emerso in Commissione, potrebbero effettivamente risolversi in un inutile appesantimento procedurale, senza apportare un reale vantaggio in termini di garanzia per l'indagato e per l'imputato.
Il relatore ha certamente tenuto conto delle esigenze connesse al testo oggi sottoposto all'esame dell'Assemblea, elaborando correttivi di natura ordinamentale, sostanziale e processuale, nonché provvedendo al necessario coordinamento delle modifiche stesse.
Alla luce, quindi, delle ulteriori riflessioni della Commissione giustizia, il Governo esprime, in linea di massima, parere favorevole sul testo in esame, come emendato dalla Commissione, evidenziando l'urgenza di approvarlo in tempi rapidi, visto che si tratta di un provvedimento indispensabile per completare il quadro complessivo della riforma del sistema giustizia.
Il provvedimento, necessario per l'entrata in vigore del giudice unico, per la parte penale, il 2 gennaio, è quindi ritornato alla Camera e la Commissione giustizia, pur in tempi assai ristretti, ha dovuto compiere un esame molto approfondito dopo vivaci, ma corrette ed elevate discussioni, proponendo modifiche ed emendamenti che, almeno in parte, sono stati accolti dal relatore, onorevole Carotti, il quale si è sottoposto ad una nuova e dura fatica, dimostrando, ancora una volta, molto equilibrio e grande acume giuridico, soprattutto nel raccogliere le proposte avanzate da vari gruppi, e cercando di arrivare ad una sintesi accettabile da tutti. Alcuni emendamenti hanno certamente migliorato il testo approvato dal Senato ed alcuni articoli sono stati opportunamente soppressi. Come dicevo, il confronto in Commissione, pur vivace, è
Onorevoli colleghi, mi riservo di intervenire in maniera più approfondita in occasione dell'esame degli articoli, limitandomi ora a trattare solo alcuni aspetti salienti, pur essendo consapevole del fatto che, al momento dell'esame specifico dell'articolato, andrà chiarita nel miglior modo possibile la posizione assunta dai deputati del gruppo di Alleanza nazionale.
Esaminiamo alcuni punti fondamentali del testo di legge, come modificato dal Senato. Desidero innanzitutto richiamare l'attenzione dei colleghi sull'articolo 8, il quale stabilisce la validità degli atti compiuti dai procuratori legali, iscritti al relativo albo, in violazione dei limiti territoriali previsti dall'articolo 5 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni. Come i colleghi ricorderanno, prima che se ne abolissero le funzioni, i procuratori legali potevano esercitare in un ambito territoriale ristretto. Si rendeva pertanto necessaria una disposizione transitoria che facesse salvi determinati atti: per questo possiamo considerare positivamente quanto stabilito dall'articolo 8.
La Commissione giustizia della Camera ha opportunamente soppresso alcuni articoli del provvedimento: mi riferisco agli articoli 9, 10 e 11, relativi all'oblazione e alla sospensione condizionale della pena che stavano complicando o addirittura peggiorando le cose.
L'articolo 13 è molto importante ed è relativo alle disposizioni sull'attribuzione degli affari penali al tribunale in composizione collegiale o in composizione monocratica. Su tale questione il relatore, onorevole Carotti, si è soffermato sufficientemente nel suo intervento, svolgendo attente osservazioni. A me basta rilevare come la competenza del tribunale in composizione monocratica avesse destato forti perplessità e preoccupazioni per il fatto che in composizione monocratica potessero essere comminate pene fino a venti anni. Una durata esagerata della pena che, affidata alla decisione di un solo uomo, per quanto illuminato ed equilibrato, rappresentava comunque un certo rischio per il cittadino; tale durata è stata opportunamente abbassata e quindi non sarà più possibile andare oltre i dieci anni.
È stato soppresso dalla Commissione l'articolo 14 concernente le incompatibilità.
È di un certo interesse l'articolo 20 che la Commissione ha esaminato attentamente per le sue conseguenze; in ogni caso riprenderemo l'esame di questo articolo, perché esso merita una particolare attenzione.
Con riferimento poi all'articolo 22 del provvedimento al nostro esame e, in particolare, alla parte concernente l'articolo 420-ter, debbo dire che si è confermato quanto la Camera aveva già stabilito in ordine all'impedimento del difensore. A tale riguardo vorrei sottolineare che si tratta di una norma opportuna perché fino ad oggi, quando si era dinanzi al giudice dell'udienza preliminare, si verificava qualcosa di strano: l'impedimento del difensore non veniva considerato. Nelle numerose ordinanze che abbiamo letto veniva scritto che l'articolo 468 del codice di procedura penale riguarda soltanto il dibattimento, dunque quando si è dinanzi al giudice per l'udienza preliminare la necessità che il cittadino abbia un difensore non sussiste più.
Vorrei poi richiamare l'attenzione dei colleghi sull'articolo 27 concernente la notifica del decreto all'imputato contumace. In tale articolo era addirittura previsto l'obbligo della notifica - cosa manifestamente assurda - anche per colui
È stato mantenuto invece, nonostante qualche presa di posizione piuttosto netta da parte degli ambienti giudiziari, l'articolo 29 relativo al fascicolo per il dibattimento. Come si è formato fino ad oggi questo fascicolo? Il GUP si rivolgeva al cancelliere per la formazione di questo fascicolo sul quale, nel corso del dibattimento, sorgevano poi notevoli contestazioni. Ma sul punto il discorso cambia perché questa volta il giudice provvede alla formazione del fascicolo nel contraddittorio delle parti, per evitare eventuali future contestazioni. Una norma, questa, che a me pare molto interessante anche se può, per così dire, arrecare qualche particolare fastidio agli uffici allorché si dovrà procedere alla formazione del fascicolo.
L'articolo 30 riguarda i procedimenti speciali. Poco fa il relatore ha rilevato giustamente che parte del fallimento di questo codice è dovuta anche al fatto che troppi processi arrivano al dibattimento. Il ricorso al rito alternativo non avviene con la frequenza che si sperava, ora per un motivo ora per un altro. Cominciamo allora ad eliminare con il rito abbreviato la necessità del consenso del pubblico ministero che fino ad oggi è stato vincolante: se l'imputato chiedeva il rito abbreviato e il pubblico ministero si opponeva, il giudice doveva prendere atto della situazione e non poteva procedere oltre. Il discorso è ora completamente diverso e vi è una serie di articolazioni dell'iter che mi sembra molto opportuna.
Vi sono poi alcune disposizioni che riguardano il giudizio. L'articolo 41 può sembrare una norma di poco conto, ma non è vero. In base alla nostra esperienza quotidiana, fino ad oggi si è presentata la lista e si è disposta la citazione per il dibattimento. Se un avvocato presentava una lista di trenta testimoni ed un altro una lista di dieci, venivano tutti citati per una determinata udienza. Il giorno dell'udienza l'aula veniva affollata da venti o trenta testimoni, pur nella consapevolezza che non sarebbe stato possibile ascoltarli. Se teniamo presente che in un'udienza del tribunale non si celebra mai un solo processo, ma ve ne sono sempre di più, possiamo immaginare quali complicazioni si siano fino ad oggi verificate. I testi rimanevano alle udienze fino ad ora tarda per sentirsi poi dire che la causa sarebbe stata rinviata ad altra data. La gente chiamata a testimoniare malediceva la giustizia. Ora, invece, si dà la possibilità al presidente di citare i testimoni in date precise in considerazione dell'importanza e della complessità del processo e ciò mi sembra molto opportuno.
Passiamo all'articolo 60 - procedo a grandi tappe perché l'ora non mi consente di tediarvi molto - che ha determinato le reazioni dell'associazione nazionale magistrati che ha sostenuto che le previsioni in esso contenute avrebbero complicato ulteriormente la situazione. Il gruppo di Alleanza nazionale ha presentato un emendamento soppressivo dell'articolo 60 perché ritiene che la regolamentazione di questa materia debba essere demandata interamente al Consiglio superiore della magistratura. Il nostro emendamento è stato respinto ma, se non erro, onorevole Carotti, su proposta del relatore si è operato un correttivo, elevando il termine da tre a sei anni e, se non si è raggiunto il migliore risultato, bisogna però riconoscere che qualche passo in avanti si è fatto.
Questi sono gli aspetti salienti del provvedimento; ve ne sono altri ma ne ho voluti indicare solo alcuni e, come dicevo, faremo ancora sentire la nostra voce nel seguito del dibattito.
A conclusione del mio intervento debbo osservare che, per assicurare il vero decollo della giustizia, non basta approvare le leggi, ma occorre provvedere a ben altro. È dei giorni scorsi il grido d'allarme, onorevole relatore e onorevoli colleghi, lanciato da alcuni magistrati. Cito le notizie più recenti: 77 giudici hanno denunciato di essere stati abbandonati dallo
Badate che la procura di Palermo è quella più esposta nella lotta contro la mafia, che non si fa con le parole né con le affermazioni di principio, ma con i fatti ed organizzando queste strutture, che debbono essere opportunamente potenziate.
Occorre allora colmare ed aumentare gli organici per quanto riguarda sia i magistrati sia il personale amministrativo. Solo così le riforme potranno veramente decollare, altrimenti la situazione continuerà ad aggravarsi fino alla completa paralisi. Si muova dunque il Governo, onorevole sottosegretario, nella giusta direzione e prima che sia troppo tardi.
Anch'io credo ci si debba comunque augurare che dopo questo passaggio quello presso il Senato sia l'ultimissimo. Spero che l'altro ramo del Parlamento non si risenta troppo della «stroncatura» di alcune norme introdotte nel testo previo un consenso che era stato acquisito anche dai colleghi senatori proprio per non trovarsi di fronte a sorprese che invece poi si sono verificate e mi auguro che tali «stroncature» non determinino una reazione che porti a non approvare il provvedimento.
Disponendo soltanto di pochissimi minuti non potrò ovviamente parlare in modo complessivo del testo in esame e quindi neanche delle tante cose buone in esso contenute. Parlerò invece dell'occasione perduta - a mio avviso una grande occasione perduta - di questo provvedimento. Mi riferisco, in particolare, alla famosa questione dell'assetto da dare all'ufficio ed alle funzioni del giudice per le indagini preliminari e del giudice dell'udienza preliminare. Per anni si è strillato - a volte con enfasi eccessiva - in merito al cosiddetto appiattimento del GIP e del GUP sul pubblico ministero, sulla mancanza di terzietà e di indipendenza, su un legame troppo stretto tra l'ufficio del pubblico ministero e quello del giudice per le indagini preliminari. Per rispondere a questa esigenza, sia pure enfatizzata, a volte allarmisticamente, propagandisticamente e strumentalmente, anche la proposta originaria del provvedimento in esame partiva dalla constatazione di due dati, a mio avviso incontrovertibili, cioè che il giudice per le indagini preliminari ed il giudice dell'udienza preliminare non hanno, come dire, una specifica professionalità, nel senso che per avere l'attrezzatura tecnica per fare il giudice per le indagini preliminari non è necessaria una professionalità specifica, tant'è che all'inizio si temeva che quel giudice sarebbe stato di serie B perché avrebbe dovuto fare piccole cose. Non vi è quindi la necessità di una specifica professionalità tecnica. Di una cosa però il giudice per le indagini preliminari ed il giudice dell'udienza preliminare hanno bisogno, che è la loro vera professionalità, ossia la capacità di indipendenza e di equidistanza dalle parti. Quella è la vera professionalità, la loro autorevolezza anche di fronte al pubblico ministero.
Partendo da questa inconfutabile verità, che aveva avuto anche la sperimentazione della prassi, quella originaria proposta dava una risposta fondata su questa osservazione, ancora della prassi: il problema della terzietà, dell'imparzialità, dell'indipendenza e della equidistanza fra le parti si pone per il giudice dell'udienza preliminare, come la pratica dimostra, molto di più di quanto non avvenga per quello del dibattimento o del tribunale del riesame. Perché si pone in termini così specifici - e per alcuni allarmanti - per
Qual era lo strumento che si riteneva idoneo a raggiungere il risultato dell'acquisizione di una maggiore autorevolezza ed indipendenza? La «circolazione» delle culture e delle prassi e, quindi, un giudice per le indagini preliminari e un giudice dell'udienza preliminare che, contemporaneamente, ovviamente in procedimenti diversi, svolgessero anche le funzioni di giudice del dibattimento. Questa previsione normativa, però, non la si è voluta per convergenti e legittimi interessi, che sono riusciti ad escludere una soluzione che, addirittura, il collega Marino riteneva pericolosa.
Il Senato aveva trovato un compromesso: la rotazione triennale. A quel punto, alcuni di coloro che si erano opposti all'originaria impostazione, hanno «scoperto» che la rotazione non andava bene.
Il provvedimento va certamente approvato ma, secondo me, abbiamo perso una grande occasione; non vi è dubbio che l'elevazione della rotazione a sei anni non risolve alcuna questione in quanto, al termine dei sei anziché dei tre anni, avremo gli stessi problemi: il cambio, il fatto che i nuovi avranno poca esperienza e le persone che tratteranno gli ultimi processi. Secondo me, però, il vero obiettivo non era l'avvicendamento, l'articolo 60, ma l'articolo 61, quello dei «galloni»; non mi riferisco all'onorevole Galloni, per carità, ma ai galloni nel senso dei gradi, acquisiti nel 1989 con un singolare decreto-legge. Tale è la forza di chi ha sollecitato la soppressione della norma relativa ai «galloni» che, raggiunto il risultato perseguito, quelle voci si sono immediatamente acquietate, a dimostrazione del fatto che con la questione della rotazione dei GIP non avevano nulla a che vedere.
In conclusione, Presidente, certamente la politica deve essere sensibile alle sollecitazioni che vengono dall'esterno, non deve essere sorda, ci mancherebbe altro. Le conclusioni politiche che si devono trarre da questa vicenda, però, le espongo con disagio e amarezza; non si tratta di ascoltare le esigenze segnalate dal paese, ma di una subalternità ad interessi di carattere corporativo. La destra, l'opposizione, fa la sua parte; credo, purtroppo, che se questa maggioranza e questo Governo non riusciranno a scrollarsi di dosso, almeno in materia di giustizia, la subalternità da tali istanze corporative, le difficoltà che già hanno davanti aumenteranno sempre di più.
Stiamo esaminando il testo unificato dei progetti di legge che è conosciuto come «legge Carotti», dal nome dell'illustre collega relatore sul provvedimento, e che è il frutto della unificazione di un disegno di legge e di numerose proposte di legge. Dopo avere ampiamente discusso in Commissione la prima volta, la Camera lo ha approvato il 10 febbraio 1999; il Senato ce lo restituì con alcune modifiche e lo approvò nella seduta del 6 ottobre ultimo scorso.
Dicevo che il Senato ha apportato delle modifiche che, contrariamente a quanto può apparire scorrendo il testo, non sono numerose: alcune sono semplicemente di carattere formale ed altre le possiamo definire «topografiche» o sistematiche perché, ad esempio, inseriscono una disposizione in un determinato articolo anziché in un altro; ed altre sono di carattere sostanziale.
Alcune di queste modifiche di carattere sostanziale sono condivisibili perché, a mio giudizio, sono migliorative, altre lo sono meno; ed infatti, nel corso dell'esame in Commissione del provvedimento alcune le abbiamo ulteriormente modificate ed altre sono state interamente soppresse.
Entrando nel merito del provvedimento, vorrei evidenziare il fatto che i primi sei articoli non presentano alcuna difficoltà; si è trattato sostanzialmente di un alleggerimento del carico giudiziario del tribunali che, dal 2 giugno 1999, hanno avuto tutte le cause che pendevano presso le preture. Si è allora provveduto al trasferimento di alcune di queste cause al giudice di pace, rispettando però la competenza per valore perché, quando è stata aumentata la competenza per valore del pretore e del giudice di pace, si è affermato che le cause sarebbero rimaste presso il giudice presso il quale pendevano. Ciò ha comportato che molte cause che pendevano presso il pretore fossero diventate di competenza per valore del giudice di pace; per cui, nell'ambito di tale competenza, i processi sono stati trasferiti al giudice di pace. Sottolineo inoltre che sono state trasferite al giudice di pace anche alcune cause che già appartenevano ad esso, ma a decorrere dal 1o maggio del 1995, e che in precedenza erano di competenza del pretore: mi riferisco, ad esempio, alle cause riguardanti l'apposizione di termini, le immissioni non tollerabili e via dicendo. Sono state invece trasferite alle sezioni stralcio alcune cause che appartenevano ratione materiae alla competenza del pretore (nulla quaestio).
Il Senato ha individuato molto opportunamente il giudice di pace territorialmente competente (articolo 2): si tratta del giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio giudiziario presso il quale la causa da trasferire pendeva. Su questo punto verranno forse presentati alcuni emendamenti, ma io non ritengo che ciò sia opportuno perché la competenza territoriale è una competenza derogabile (articolo 38 del codice di procedura civile).
Sicché, ove per avventura o disavventura una causa fosse trasferita ad un giudice di pace territorialmente non competente, le parti - lo dice la legge - hanno tutto il diritto, nella prima udienza fissata dal giudice di pace, di eccepire l'incompetenza.
Noi avevamo creato uno sportello, cosiddetto di giustizia, presso la cancelleria di qualsiasi giudice di pace per il deposito di atti e per il deposito di dichiarazioni. L'articolo è stato però soppresso, forse perché - parliamoci chiaro - il personale delle cancellerie dei giudici di pace può darsi che non abbia la capacità organizzativa che si richiede per ricevere questi atti e per poi trasmetterli ai vari uffici giudiziari competenti di tutta Italia.
A mio giudizio, è stata importante, per la mia tesi, la soppressione della famosa oblazione dei delitti. Mi permetto di dire che quella tesi la sostenevo io, ma non riuscì a passare in Commissione giustizia, dove si arrivò ad un accomodamento: per i delitti perseguibili a querela occorreva il non dissenso del querelante perché si potesse procedere alla oblazione dei delitti. Opportunamente, il Senato ha abolito la previsione dell'oblazione dei delitti punibili con pene alternative. È giusto! E mi permetto, anche qui, di scongiurare la presentazione di emendamenti contrari per la ragione che l'oblazione è un istituto di diritto pubblico che estingue i reati: essa è concepibile solo in ordine alle contravvenzioni che tutelano gli interessi della generalità e non dell'individuo. Infatti, non si troverà mai una contravvenzione punibile a querela della persona offesa, perché non vi è una persona determinata offesa da un reato contravvenzionale. Invece, in ordine ai delitti, se è vero che vi è la lesione del bene comune, vi è essenzialmente la lesione del bene dell'individuo. Allora, se lo Stato può disporre delle sue cose, non può disporre dei beni dell'individuo, del cittadino, del privato (non so se ho reso bene l'idea). Quindi, una oblazione in ordine ai delitti, secondo me, non è concepibile.
Vi sono poi i delitti perseguibili a querela. Lo Stato, per un verso, afferma di voler procedere in seguito alla presentazione di una querela da parte della persona offesa ma, per un altro verso, dice all'offensore, all'imputato, a colui che ha commesso il fatto, che può oblare il delitto. Secondo me, questo modo di agire è schizofrenico e, poi, monetizza il delitto.
Dunque, mi devo riconoscere nelle considerazioni del senatore Fassone e del professor Smuraglia, pur appartenendo ad una parte politica contraria a quella a cui appartengono i predetti senatori. Si tratta delle stesse considerazioni che io facevo valere in sede di Commissione, ma che purtroppo non ebbero buon esito.
Noi avevamo modificato - e il Senato ha introdotto a sua volta una modifica - l'articolo che prevede la sospensione condizionale dell'esecuzione della pena. Però, opportunamente, abbiamo soppresso questo articolo perché nei provvedimenti relativi agli interventi in materia di sicurezza è già prevista la revisione dell'istituto. Perciò, per evitare che la destra non sappia quello che fa la sinistra, noi opportunamente l'abbiamo soppressa per discuterne in quell'altra sede. Conseguentemente, abbiamo soppresso la disposizione che riguardava l'articolo 165.
Veniamo all'articolo 13 del testo approvato dal Senato, divenuto l'articolo 9 del testo della Commissione al nostro esame, con il quale si attribuisce la competenza al tribunale nella composizione monocratica e collegiale. Collega Carotti, l'addebito maggiore che si faceva alla legge istitutiva del giudice unico era che il tribunale in composizione monocratica potesse giudicare su reati punibili con pena fino a venti anni di reclusione: effettivamente, la critica era opportuna ed il Senato, quindi, ha opportunamente modificato la norma, prevedendo una competenza per reati punibili con pena non superiore ai dieci anni (quindi dimezzando il relativo periodo di reclusione). Oltre al criterio quantitativo, però, il Senato ha introdotto anche un criterio qualitativo, indicando una serie di delitti che, indipendentemente dalla pena edittale,
Di conseguenza, l'ampliamento della competenza del tribunale in composizione monocratica è poca cosa rispetto all'originaria competenza del pretore in materia penale (articolo 7): la differenza è, direi, irrisoria. D'altronde, il pretore è giudice monocratico per eccellenza e noi abbiamo ampliato di poco la relativa competenza: sono infatti pochi i reati aggiuntivi previsti, esclusa la serie di reati su cui si interverrà con un emendamento, escludendone alcuni che sono già punibili con pena superiore ai dieci anni e che, dunque, già rientrano nella competenza del tribunale in composizione collegiale. Condivido quindi pienamente il testo dell'articolo approvato dal Senato, in quanto alla Camera non avevamo previsto l'opportuna riduzione di competenza di cui all'articolo 9 del testo in esame.
Quanto all'articolo 14 del testo del Senato, recante disposizioni sull'incompatibilità, a mio avviso, abbiamo fatto bene a prevederne la soppressione. Ricordo infatti la discussione sul decreto-legge n. 145 del 1999, che riproponeva la stessa incompatibilità, con le testuali eccezioni previste alle lettere b), c) e d): nel testo in esame, vi è solo una novità relativa alla norma che dovrebbe essere di chiusura, la quale fa riferimento al giudice che abbia emesso un provvedimento che incida addirittura sulla responsabilità dell'indagato. In ogni modo, nessun giudice per le indagini preliminari può emanare provvedimenti sulla responsabilità dell'imputato; eventualmente, troviamo una motivazione sulla responsabilità nella sentenza di condanna del giudice del dibattimento, molte volte insufficiente. Il giudice per le indagini preliminari, però, giudica sull'esistenza o meno di indizi più o meno gravi, non certo sulla responsabilità. Abbiamo quindi una norma che si vorrebbe di chiusura, ma che non è tale.
Vi è, comunque, una ragione sostanziale per la quale abbiamo voluto la soppressione dell'articolo 14 del testo del Senato, sulla quale abbiamo incontrato il consenso anche dell'illustre relatore: vogliamo che il giudice dell'udienza preliminare non abbia alcuna contiguità con il pubblico ministero. Forza Italia è per la separazione delle carriere, perché, se vogliamo veramente un giudice terzo, la separazione delle carriere è inevitabile: credo che tractu temporis lo capiranno tutti. Comunque, a parte la separazione delle carriere, deve almeno esservi una netta distinzione delle funzioni, per cui non si può passare facilmente dall'una all'altra, senza esami e così via. Parliamoci chiaro: il pubblico ministero deve avere attitudini diverse da quelle del giudice; personalmente, ho sempre fatto il giudice e non avrei saputo fare il pubblico ministero. Questo è pacifico, lo sanno tutti, tant'è vero che la soppressione dell'articolo 14 è stata approvata su parere conforme dell'illustre relatore, che ha presentato un emendamento al riguardo, ed anche su parere conforme del Governo, nonché della stragrande maggioranza della Commissione, forse con l'opposizione soltanto di uno o due colleghi.
Allora, se tutti abbiamo la stessa opinione al riguardo, dobbiamo avere il coraggio di affermare il principio: siamo tutti convinti che si debba arrivare alla separazione delle carriere, o quanto meno alla distinzione netta delle funzioni, se vogliamo avere un giudice terzo e tuttavia nessuno ha il coraggio di affermarlo chiaramente sul piano politico.
Passiamo ad altre due modifiche importanti. Abbiamo detto che il giudice dell'udienza preliminare può indicare, ove ritenga che le indagini siano incomplete, quelle da compiere ulteriormente e fissa un termine per l'espletamento delle stesse. Inoltre, egli fissa la data dell'udienza successiva.
Comunque, ciò è già previsto dall'attuale codice, quindi la modifica importante nel testo unificato del relatore Carotti riguarda il fatto che il giudice dell'udienza preliminare - correggetemi se sbaglio - ha la possibilità di assumere d'ufficio prove che siano decisive per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere. Apriti cielo! Non capisco
Un'altra innovazione importantissima, che vi prego di considerare con molta attenzione, mi sembra costituisca la chiave di volta per molti aspetti della questione. Onorevole Carotti, mi ascolti attentamente perché vorrei sapere se ho torto o ragione. Mi riferisco ai poteri del giudice dell'udienza preliminare che deve pronunciare sentenze di non luogo a procedere; si tratta di un'innovazione contenuta nel testo unificato del relatore Carotti sul quale si sono concentrate alcune critiche. Il giudice deve procedere a pronunciare sentenze di non luogo a procedere non solo quando manchino elementi di prova, ma anche quando questi siano insufficienti, contraddittori o non idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Anche in questo caso non si può parlare di una violazione del principio ne eat iudex ex officio per la ragione che prima dicevo. Il punto è il seguente: alcuni fanno questa affermazione sulla base addirittura del codice Rocco, ormai superato. Si dice che vi può essere un caso in cui l'indizio sia sufficiente per rinviare a giudizio, ma non per giungere alla condanna. Ciò poteva essere affermato in passato, ma non oggi perché la distinzione tra elementi o indizi e prove è data dal fatto che si può definire prova solo quella che viene assunta in dibattimento, nel contraddittorio delle parti e davanti a un giudice terzo. Questo è il punto; la stessa informazione assunta dal pubblico ministero non si chiama prova non perché non lo sia, ma perché non è stata assunta secondo i suddetti criteri.
Ma se noi a priori abbiamo la prova, la convinzione, la certezza che quegli elementi assunti nel corso delle indagini preliminari, anche se resistono in dibattimento, non sono sufficienti a far condannare, perché rinviare a giudizio? È una balordaggine.
Ho letto sul giornale che ieri un alto magistrato ha affermato che gli indizi sufficienti per rinviare a giudizio possono non essere sufficienti per una condanna. No, oggi vi sono le indagini preliminari e quelle dichiarazioni e informazioni non si possono definire prove, a prescindere dal loro contenuto; la prova può essere anche schiacciante, ma si deve formare in dibattimento. Se gli elementi assunti nel corso delle indagini preliminari, a giudizio di chi li ha assunti e poi del giudice per le indagini preliminari, non sono a priori sufficienti per la condanna, non si può rinviare a giudizio. Questo è ovvio, secondo me, altrimenti potremmo rinviare a giudizio tutti, tanto poi si vede in dibattimento. Non è più così!
Vogliamo dare un contenuto a questa udienza preliminare? Altrimenti togliamola, rinviamo tutti a giudizio e si vedrà in dibattimento. Non è così, Carotti? Quindi, non è una sciocchezza quella che è stata introdotta dal «testo Carotti» a tale proposito, né è una forzatura. Da un punto di vista filosofico, non è la stessa cosa se la prova manca oppure è insufficiente o contraddittoria. Che differenza c'è? Se è contraddittoria, non prova niente; se è insufficiente, non prova niente, per la ragione stessa che è insufficiente. Non so se ho torto o ragione.
Quella assunta dal pubblico ministero non si chiama prova solo perché non si tratta del luogo deputato alla formazione della prova, che potrebbe anche essere schiacciante, ma costituirà una prova solo se resisterà in dibattimento. Ma se quell'indizio, quell'elemento, anche se resiste a pieno titolo in dibattimento, non è sufficiente
Vi è poi un'altra norma che è stata introdotta dal Senato e che condivido, quella relativa all'avviso della conclusione delle indagini. Si va verso una sempre più accentuata giurisdizionalizzazione dell'udienza cosiddetta preliminare: debbo essere avvisato e debbo anche poter estrarre copia dei documenti e presentare memorie, altrimenti come mi presento? Sono cose ovvie secondo me. Quindi il Senato ha fatto molto bene - noi non lo avevamo fatto - ad introdurre l'articolo 20, che poi è diventato l'articolo 15 nel nostro testo, per la soppressione di alcuni articoli.
Anche per quanto riguarda i provvedimenti speciali vi è stata qualche modifica opportuna. Ad esempio, il giudizio abbreviato si può chiedere anche senza il consenso del pubblico ministero, anche nel giudizio direttissimo, immediato e nell'udienza preliminare, che posso far fissare proprio a tal fine. Anche per quanto riguarda il patteggiamento vi è qualche modifica.
Per la verità su quella modifica di cui all'articolo 35, onorevole Carotti, relativamente alla possibilità di condizionare il patteggiamento alla concessione del beneficio dell'affidamento in prova ai servizi sociali o della detenzione cosiddetta domiciliare in un primo momento fui d'accordo. Ora non la condivido più perché la concessione del beneficio dell'affidamento in prova ai servizi sociali presuppone un'osservazione sulla persona per un periodo minimo di un mese in un istituto. Come può effettuarsi questo controllo mentre è in corso un dibattimento? Vi è poi un'altra ragione, e cioè che è revocabile. Poiché, secondo la nostra previsione, a sostituirla deve essere lo stesso giudice del dibattimento, chi deve revocarla? Il giudice del dibattimento, il giudice della sentenza? Secondo me, opportunamente, il Senato - re melius perpensa - ha eliminato questo articolo 35, sul quale fino alla settimana scorsa ero contrario per le ragioni che prima ho espresso.
Mi avvio a conclusione, signor Presidente. Opportunamente il Senato ha anche soppresso la disposizione secondo la quale in caso di contestazione, di cui all'articolo 500, solo quella parte delle dichiarazioni rese al pubblico ministero che sono state contestate andrebbe acquisita al fascicolo del dibattimento. Infatti si tratta di una dichiarazione inscindibile ed è per questo che sono favorevole alla soppressione di quella modifica che noi volevamo apportare all'articolo 500. La dichiarazione resa, se viene contestata, deve essere tutta acquisita al fascicolo; non può essere acquisita solo parzialmente, almeno secondo la mia opinione.
Anche per quanto riguarda la citazione diretta è stato compiuto un passo in avanti. Il pretore giudice monocratico non teneva l'udienza preliminare, rinviando a giudizio direttamente per i reati di sua competenza - quelli con una pena fino a quattro anni - e per una serie di reati ulteriori che prescindevano dalla pena, anche se maggiore: violenza e minaccia a pubblico ministero, resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio a magistrato in udienza, violazione di sigilli, favoreggiamento reale, maltrattamenti in famiglia, rissa aggravata, omicidio colposo, furto aggravato, ricettazione. Oggi questa possibilità è stata ristretta e quindi il filtro dell'udienza preliminare si è allargato, secondo la previsione Carotti, perché sono esclusi i reati di omicidio colposo, di
L'articolo 60 è stato opportunamente modificato dalla Commissione. Avevo proposto cinque anni ma il relatore, giustamente, ha affermato che si trattava di un periodo breve ed ha proposto una durata di sei anni per la funzionalità degli uffici cosiddetti minori. Colleghi, se vi è un tribunale che funziona è proprio il tribunale minore! Vi saranno pure tribunali che debbono essere soppressi, ma il modello del tribunale di grandi dimensioni è un modello sbagliato, da distruggere.
In conclusione, considerato che per quanto da me affermato il provvedimento al nostro esame è largamente migliorativo rispetto a quello che è stato approvato dalla Camera dei deputati con l'astensione dei deputati del gruppo di Forza Italia, ritengo che il mio gruppo non possa non esprimere almeno la propria astensione. Non so, tuttavia, quale sia il suo orientamento. A mio personale avviso, il provvedimento al nostro esame deve essere approvato.
Vorrei associarmi alla considerazione espressa nei confronti del relatore per il lavoro impegnativo che ha portato avanti, anche se, probabilmente, il Senato è riuscito a sfuggire alla sua «giurisdizione», in quanto alcune delle novità introdotte dall'altro ramo del Parlamento sembrano, come ho già detto, difficilmente condivisibili. Ciò non solo e non tanto per la riduzione della monocraticità del giudice - che risponde a sollecitazioni provenienti da più parti, volte ad un recupero di una maggior collegialità, ma che si pone, peraltro, in contraddizione con l'attribuzione al giudice monocratico di tutta la materia relativa agli stupefacenti - quanto, soprattutto, per alcune modifiche che vanno dalla soppressione del cosiddetto «sportello giustizia» (previsto dall'articolo 7 del testo approvato dalla Camera dei deputati), alla riscrittura della sospensione condizionale, alla previsione di una temporaneità molto estesa per i giudici delle indagini preliminari, fino ad un certo sfavore che complessivamente è dato cogliere con riferimento ai riti alternativi.
Ritengo condivisibile la scelta operata nel testo esitato dalla Commissione giustizia della Camera nell'ultima lettura: in qualche caso esso modifica - laddove è indispensabile - le nuove previsioni del Senato; in altri casi, si propone di stralciare tali previsioni; in ogni caso, mi
La Commissione giustizia della Camera ha opportunamente elaborato un testo che si preoccupa di far in modo che la riforma possa entrare in vigore come previsto e che si preoccupa, altresì, di inserire alcune modifiche che riteniamo assolutamente indispensabili.
Per quanto attiene alla soppressione del cosiddetto sportello giustizia, di cui parlavo in precedenza, io sarei stato favorevole (anche per superare in qualche modo i problemi organizzativi che il Governo aveva evidenziato al Senato e che poi avevano dato luogo all'intervento soppressivo) ad escludere, almeno per il momento, lo sportello per tutto il settore civile, per l'obiettiva difficoltà, di cui tutti ci rendiamo conto, provocata dal deposito in un qualsiasi ufficio giudiziario dei fascicoli del civile. Avrei invece mantenuto lo sportello per il settore penale. La soluzione radicale a me francamente appare eccessiva, ma tant'è: ne prendiamo atto.
Concordiamo invece sulla soluzione dello stralcio per quanto attiene alla sospensione condizionale della pena con le modalità che ci ha consegnato il Senato, per trattare la materia nell'ambito del provvedimento sulla sicurezza dei cittadini. In proposito avevamo espresso perplessità ed avevamo anche presentato un emendamento parzialmente soppressivo della nuova previsione inserita dal Senato, per evitare che la sospensione condizionale potesse essere legata - come si leggeva nella disposizione approvata dall'altro ramo del Parlamento - a determinate prescrizioni funzionali alla rieducazione del condannato, peraltro non meglio specificate, di talché l'interprete, il giudice chiamato ad applicare questa norma, avrebbe potuto legare alle cose più disparate la sospensione condizionale della pena, il che francamente ci lasciava estremamente perplessi. Da qui la necessità di una riscrittura, che avevamo sollecitato con l'emendamento che, insieme con altri colleghi, avevo presentato. La questione ovviamente si riproporrà quando affronteremo il problema in sede di esame del pacchetto sulla sicurezza dei cittadini.
Rappresenta invece un punto di equilibrio accettabile - come opportunamente è stato poc'anzi sottolineato - l'allungamento a sei anni del limite di permanenza nell'ufficio del GIP. Anche in questo caso, assieme ad altri colleghi del mio gruppo, in Commissione giustizia avevo presentato un emendamento soppressivo della norma che prevedeva la permanenza triennale, inserita dal Senato, rispetto alla quale, a mio avviso, a ragione era stata sollevata tutta una serie di perplessità, soprattutto per le conseguenze di carattere organizzativo che si sarebbero determinate nei tribunali medio-piccoli. Condivido quanto or ora affermato dall'onorevole Marotta in ordine alla funzionalità dei tribunali medio-piccoli, giacché non è nei megatribunali che si amministra la giustizia in modo esemplare: anzi, spesso si tratta di uffici oltremodo intasati, nei quali l'utente della giustizia paga il prezzo dell'intasamento, mentre negli uffici più piccoli la giustizia, come dire, è più a misura d'uomo. Credo che di queste esigenze di funzionalità il legislatore in qualche modo si debba fare carico: l'efficienza è un valore in sé e va in qualche modo ricercata, soprattutto in quei tribunali in cui la presenza di un numero ridotto di magistrati non consentirebbe quella rotazione che la norma prescriveva.
Come dicevo in precedenza, dall'esame del testo non può non cogliersi un orientamento scarsamente favorevole verso i cosiddetti riti alternativi, testimoniato da alcune norme, dall'esclusione del maggiore aumento di pena per l'abbreviato - che
È di qualche giorno fa l'intervento del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura - del quale credo continueremo a parlare in occasione dell'esame dell'articolato - con il quale è stata sottolineata la particolare difficoltà nella quale si è venuta a trovare la giustizia, visto il pericolo di prescrizione di un numero rilevantissimo di processi. È del tutto evidente che l'unico modo per evitare che si continuino a far cadere in prescrizione i processi sia quello di incentivare i riti alternativi ed evitare che si arrivi al dibattimento con la frequenza attuale, un lusso che credo non possiamo più permetterci.
In modo assolutamente incomprensibile rispetto a questa esigenza, invece, le indicazioni del testo approvato dal Senato vanno in tutt'altra direzione. Poiché sempre dal vertice del Consiglio superiore della magistratura vengono giustamente lamentati vuoti di organico, soprattutto al sud, credo che, come opportunamente ha fatto (riprenderò questo discorso quando esamineremo l'articolato, non solo perché ora siamo tra pochi intimi, ma sperando comunque in un auditorio più numeroso), il Consiglio superiore della magistratura ed i suoi vertici dovrebbero allo stesso modo interrogarsi non solo sulla direzione di marcia del Parlamento, dando legittimamente autorevoli indicazioni sulle quali bisogna riflettere, ma anche sull'applicazione che è stata fatta finora di alcune norme approvate dal Parlamento in questa legislatura. Mi riferisco, in particolare, al provvedimento di legge, del quale sono stato relatore, relativo al trasferimento d'ufficio dei magistrati nelle zone disagiate delle regioni meridionali e sulle cosiddette tabelle infradistrettuali.
È assolutamente indubbio che se quella norma, che imponeva la copertura delle sedi «difficili» di alcune regioni, fosse stata applicata dal Consiglio superiore della magistratura come previsto, il vicepresidente del medesimo Consiglio non si sarebbe lamentato, a fine 1999, dei vuoti di organico nelle regioni del sud. Allo stesso modo, se le tabelle infradistrettuali previste dallo stesso testo di legge e che rappresentavano un'innovazione al fine di evitare temporanei vuoti di organico non avessero registrato lo sfavore da parte della corporazione dei magistrati, che gradisce poco la mobilità imposta, credo che le conseguenze dannose, giustamente lamentate, anche per i temporanei vuoti di organico, non sarebbero state registrate.
Tutto questo per dire che ognuno deve fare la sua parte. Anch'io a volte ho lamentato un certo modo di legiferare non sempre coerente da parte del Parlamento e, giustamente, il Consiglio superiore della magistratura ci richiama ad una maggiore attenzione in questo momento di passaggio fondamentale per la giustizia. Tuttavia, ritengo che se tutti facessero fino in fondo la propria parte le cose andrebbero meglio.
Avviandomi alla conclusione, ribadisco che le novità che il testo ci presenta a mio avviso non sempre si affinano e tuttavia concordo con la linea scelta, che politicamente è la più corretta, ossia quella di limitare al massimo un ulteriore intervento emendativo per evitare altri rinvii e per fare in modo che il provvedimento sul giudice unico - non più rinviabile, lo ripeto ancora - trovi la sua attuazione ed entri in vigore nei termini previsti di cui non è infatti ipotizzabile, come ho detto poc'anzi, un ulteriore prolungamento.
In questa chiave vanno letti il testo licenziato dalla Commissione giustizia della Camera ed i limitati ma, a mio avviso, assolutamente indispensabili interventi
Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.