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PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Taradash n. 3-03170 (vedi l'allegato A - Interrogazioni sezione 3).
MARETTA SCOCA, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, anche nel rispondere all'interrogazione dell'onorevole Taradash, non posso, purtroppo, ignorare la delicatezza del problema sottoposto alla nostra attenzione in quanto impone il difficile contemperamento tra il principio del rispetto delle regole processuali e la rigorosa repressione dei reati commessi nei confronti dei minori, tema al quale sono estremamente sensibile.
indagini, è stato sentito in qualità di persona imputata in procedimento connesso in quanto indagato per il reato di falso in atto pubblico in relazione alle indagini svolte.
vincolo associativo e per tale ragione pronunciava l'annullamento dell'ordinanza cautelare in relazione al reato di cui all'articolo 416 del codice penale, pure contestato al Rapacciuolo.
profili di rilievo disciplinare a carico dei magistrati; come è noto, i provvedimenti dell'autorità giudiziaria sono sindacabili in sede amministrativa solo se palesemente abnormi, illegittimi, ovvero posti in essere non per finalità di giustizia, circostanze che, allo stato, non sono ravvisabili nel caso di specie, con particolare riferimento ai diversi provvedimenti applicati in relazione alla misura cautelare detentiva a danno del Rapacciuolo.
PRESIDENTE. L'onorevole Taradash ha facoltà di replicare.
MARCO TARADASH. Signor Presidente, che bel paese ci ha descritto, sottosegretario Scoca!
per delinquere eppure non conosceva e non era in contatto con nessuno degli altri delinquenti tanto che la Cassazione e poi lo stesso tribunale del riesame ha cancellato l'ordine di custodia cautelare per associazione per delinquere. Non li conosceva e non era in contatto, non aveva nessun materiale, non aveva nessun precedente, era un fotografo di 45 anni con famiglia a carico che, per qualche strano motivo, era stato individuato come responsabile da un maresciallo che aveva commesso una illegalità e che (non lo sapevo, lei mi dice) era sospettato di averne commesse altre. Dai magistrati che dovevano controllarlo è stata richiesta l'archiviazione. Si andrà ad un giudizio disciplinare e non si sa come andrà a finire perché, mi pare, per ora, che a questo maresciallo-Serpico sia andato tutto bene.
Il sottosegretario di Stato per la giustizia ha facoltà di rispondere.
L'onorevole Taradash nella sua interrogazione fa riferimento alla detenzione cui è stato sottoposto Catello Rapacciuolo, imputato, unitamente ad altre diciassette persone, in un processo per violenze sessuali ed abuso in danno di minori.
L'onorevole Taradash sottolinea, in particolare, due aspetti della vicenda: innanzitutto, osserva che la Corte di cassazione annullò un'ordinanza con la quale il tribunale del riesame aveva confermato il provvedimento del GIP che aveva disposto tale misura. I giudici di rinvio, tuttavia, confermarono nuovamente la misura restrittiva. Sottolinea, inoltre, che nel corso del processo il maresciallo Camerino, che aveva avuto un ruolo significativo nelle
Venendo al primo dei due profili, rilevo che le censure mosse dal giudice di legittimità all'ordinanza del 24 settembre 1997 con la quale il tribunale di Napoli, sezione di esame, aveva confermato il provvedimento applicativo della custodia cautelare emesso dal GIP presso il tribunale di Torre Annunziata nei confronti del Rapacciuolo, indagato per i reati di cui all'articolo 416 del codice penale, associazione per delinquere, e 519 del codice penale, violenza carnale, avevano sostanzialmente riguardato la mancanza di indizi in relazione al reato associativo, l'omessa indicazione delle modalità acquisitive delle ricognizioni fotografiche nella persona dell'indagato, ai fini della valutazione critica degli esiti dei riconoscimenti stessi, nonché la mancata indicazione della genesi dell'individuazione di una seconda persona di nome ignoto o diverso rispetto ad altra originariamente additata dai testi.
Il tribunale, con provvedimento dell'11 agosto 1998, riformava parzialmente l'originaria ordinanza custodiale annullando la stessa relativamente al contestato reato associativo per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato, ma confermandola nel resto. Nella specie, il collegio, nel redigere la propria ordinanza, curava di affrontare le tematiche poste in evidenza dalla Corte di cassazione in sede di giudizio di rinvio. In particolare, per quanto riguardava la genesi dell'atto di individuazione, evidenziava in quali tempi e a seguito di quali processi rievocativi si fosse addivenuti all'individuazione dell'indagato Rapacciuolo da parte dei piccoli testi.
Con riferimento alle modalità di acquisizione dei riconoscimenti fotografici nei confronti del Rapacciuolo, il tribunale sottolineava il percorso all'epoca seguito dagli inquirenti in ordine all'attività investigativa svolta criticamente, vagliando l'iter che condusse al suo riconoscimento. In particolare, circa l'indicazione dell'ulteriore fotografo presente ai gravi episodi di atti di violenza sui minori, l'ordinanza citata, prendendo atto del rilievo contenuto nel provvedimento della Corte di cassazione, osservava come l'ordinanza cautelare avesse individuato, nella gradualità del processo rievocativo dei minori, la genesi di ulteriori riferimenti mnemonici da parte degli stessi. Il tribunale riferiva poi anche delle modalità del racconto di tale ricordo: se quello di uno dei minori appariva senza dubbio sollecitato dalla madre, assolutamente spontaneo appariva, invece, quello degli altri due minori i cui verbali di ascolto da parte del pubblico ministero erano allegati al fascicolo della procedura. Si dava altresì atto che, anche a fronte di una descrizione dell'individuo non perfettamente coincidente nelle rispettive dichiarazioni dei tre minori, essi avevano riconosciuto nelle numerose fotografie loro mostrate il Rapacciuolo quale fotografo pure presente ai tristi incontri che li avevano coinvolti, delineando il suo ruolo nella vicenda e mostrando un'indubbia capacità di riferimenti mnemonici nel descrivere compiutamente gli strumenti utilizzati.
Il tribunale riteneva poi assorbente per la configurazione dei gravi indizi di reità nei confronti del Rapacciuolo per tutti i reati contestati, tranne che per la partecipazione all'associazione per delinquere, l'individuazione fotografica effettuata dai tre minori separatamente e senza alcun contatto reciproco. Sul punto motivava - rispondendo così ad un'altra delle censure della suprema Corte - ritenendo che anche se l'individuazione di uno dei minori, per le indubbie ingerenze della famiglia del minore stesso nel suo ricordo, doveva essere valutata con maggiore rigore, non si vedeva quale sospetto di tale tipo potrebbe ingenerarsi relativamente a quella operata dagli altri testi. Il tribunale aggiungeva che il mancato reperimento di materiale fotografico in possesso dell'indagato, atto a corroborare ab extrinseco la prova del suo coinvolgimento nei fatti, costituiva elemento ostativo all'affermazione inequivoca della stabilità di un suo
In relazione infine alle esigenze cautelari, la gravità dei fatti attribuiti all'indagato, nonché la sua partecipazione ripetuta alle riprese fotografiche dei convegni carnali con i minori, inducevano il tribunale a confermare, ai sensi dell'articolo 274, lettera c), del codice di procedura penale, la custodia cautelare irrogata dal GIP allo stesso Rapacciuolo. Tali valutazioni del tribunale in sede di rinvio sono state poi pienamente condivise dalla suprema Corte di cassazione, che ha confermato integralmente il provvedimento emesso.
Per quanto riguarda l'operato del maresciallo Camerino deve precisarsi quanto segue. Effettivamente egli fece effettuare un riconoscimento visivo del Rapacciuolo ai due minori il 30 luglio 1997, dunque in data anteriore alla ricognizione fotografica disposta dal pubblico ministero il successivo 20 agosto. Al riguardo l'ufficio di procura ha fatto presente che la circostanza è emersa soltanto all'udienza dell'8 luglio 1998, a seguito della deposizione di un testimone. Per tale vicenda fu iscritto procedimento penale a carico del Camerino per i reati d'abuso d'ufficio e falso in atto pubblico.
All'esito delle investigazioni preliminari il pubblico ministero, in data 3 novembre 1998, ha avanzato al GIP richiesta di archiviazione, accolta nel mese di febbraio dell'anno 1999. Dalla lettura della motivazione del provvedimento di archiviazione emerge che si è ritenuto che non ricorressero gli elementi costitutivi dei reati ipotizzati. Peraltro, dal contenuto di alcune intercettazioni telefoniche emergeva un'attività posta in essere dal Camerino successivamente all'episodio che poteva fare presumere che egli volesse indurre i minori, tramite le madri, a tacere o a negare i fatti. Anche con riferimento a tale condotta è stato però ritenuto che non potesse ravvisarsi il reato previsto dall'articolo 377 del codice penale, mancando l'offerta di denaro od altra utilità, e che non fossero ravvisabili altre fattispecie di reato, quantomeno per mancanza di elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio.
Sia sulla richiesta che nel provvedimento di archiviazione viene peraltro sottolineato che nella condotta erano certamente ravvisabili a carico del Camerino rilievi di natura disciplinare. In merito ai predetti fatti è stato quindi avviato procedimento disciplinare da parte della competente procura generale presso la corte d'appello di Napoli.
Dalle informazioni acquisite è emerso che il Camerino fu anche indagato per i reati previsti dagli articoli 323 e 479 del codice penale, a seguito delle dichiarazioni rese da due testimoni all'udienza del 15 luglio 1999. I testi dichiararono che nel corso delle operazioni di perquisizione nell'abitazione di Pasquale Sansone, il Camerino avrebbe sequestrato una telecamera nell'abitazione della figlia del Sansone (abitazione non indicata nel decreto di perquisizione ed ubicata al primo piano dello stesso stabile) facendola poi figurare nella disponibilità del Sansone.
All'esito delle indagini tali accuse sono però risultate infondate. Il procedimento è stato archiviato e gli atti trasmessi al pubblico ministero per procedere per i reati di calunnia e falsa testimonianza nei confronti dei testimoni. Per tali ragioni, il Camerino è stato esaminato nell'udienza del 2 dicembre 1998 dal tribunale di Torre Annunziata con le modalità di cui all'articolo 210 del codice di procedura penale; come già ricordato, in tale sede egli ha reso ampie dichiarazioni, ricostruendo l'accaduto. Il processo a carico del Rapacciuolo, invece, si è concluso il 9 giugno 1999 con una sentenza di condanna a pene detentive di Sansone Pasquale e di altri imputati e di assoluzione dello stesso Rapacciuolo con riguardo a tutti i reati ascrittigli, con ordine di scarcerazione dagli arresti domiciliari, se non detenuto per altra causa.
La motivazione della sentenza non è stata ancora depositata e, sulla base di quanto emerso finora, non sono ravvisabili
Ampiamente e correttamente motivati sono anche i provvedimenti di archiviazione relativi ai procedimenti avviati a carico del Camerino. Quanto, poi, alla condotta dei pubblici ministeri, il procuratore della Repubblica di Torre Annunziata ha ribadito che i sostituti che conducevano l'indagine ignoravano che il maresciallo Camerino avesse proceduto ad un riconoscimento del Rapacciuolo da parte dei minori precedente a quello da loro disposto.
Conclusivamente, almeno allo stato, non emergono profili che possano giustificare ulteriori accertamenti sulla vicenda, fermo restando, tuttavia, che una più completa e definitiva valutazione dei fatti potrà essere data solo quando si conosceranno le motivazioni della sentenza del tribunale, con specifico riguardo alla parte di essa concernente l'assoluzione del Rapacciuolo.
Ho presentato questa interrogazione il 15 dicembre 1998. Rapacciuolo, che era in galera da quindici mesi, è arrivato al processo stando in carcere (quindi sono trascorsi altri sette mesi); quindici più sette dà un totale di ventidue mesi di custodia cautelare.
Nella mia interrogazione ho descritto il caso di un fotografo accusato di un reato gravissimo, come lei ha sottolineato, quello di associazione per delinquere finalizzata al compimento di atti di violenza sessuale su minori, un reato spregevole. Dico questo anche perché ieri il dottor Gerardo D'Ambrosio, capo della procura di Milano, nell'ambito di una delle sue numerose esternazioni da superministro della giustizia del nostro paese, ha fatto riferimento all'esposto che ho presentato al Consiglio superiore della magistratura nei suoi confronti, esposto motivato dalle continue ingerenze del dottor D'Ambrosio sull'attività parlamentare e dal fatto che, spesso, nei suoi interventi politici, fa riferimento a suoi imputati (Berlusconi, Previti ed altri), come se un magistrato, il capo della procura di Milano, potesse tranquillamente svolgere attività politica a larghissimo raggio senza mettere in discussione i principi dello Stato di diritto.
Ieri il dottor D'Ambrosio ha avuto la bontà di replicare, dicendo che a Milano si lavora alacremente anche nei confronti della criminalità comune, che vi sono stati moltissimi arresti e che certe reazioni, come la mia, dipendono dal fatto che vi è chi vuole proteggere i «colletti bianchi». Mi guardo bene dal querelare le affermazioni diffamatorie del dottor D'Ambrosio, perché non ho abbastanza soldi per farlo; infatti, se andassi in giudizio, il dottor D'Ambrosio verrebbe prosciolto ed io sarei condannato a pagare le spese legali. Chi me lo fa fare (non ho abbastanza soldi - lo ripeto - per avvalermi dello Stato di diritto)?
Faccio tali affermazioni perché non mi sono occupato di un «colletto bianco», ma di uno stupratore di bambini (tale era considerato il signor Rapacciuolo) che si trovava in galera da quindici mesi. Perché? Perché un maresciallo dei carabinieri si sentiva Serpico, era convinto che quello era il colpevole e allora aveva organizzato una messa in scena con alcuni dei bambini vittime di questo losco circuito: li aveva portati a riconoscere l'immagine di Rapacciuolo al di fuori di qualsiasi procedura legale, senza il permesso dei pubblici ministeri. Da questo atto illegale era partita l'odissea del Rapacciuolo. Non si era trovato nulla a casa sua. Era stato accusato di associazione
Insomma, Rapacciuolo era in galera per un reato spregevole, in condizioni che si possono immaginare, da 15 mesi. È arrivato al processo dove, come lei ha detto, è stato condannato il Sansone. Nel documento che le è stato affidato, infatti, non si dice che Rapacciuolo è stato assolto, ma che è stato condannato Sansone e Rapacciuolo è stato assolto. È diverso dire così! Infatti, si doveva dire: al giudizio, Rapacciuolo è stato assolto! Perché a me, a noi, all'Assemblea, della condanna di tal Sansone non ce ne «frega» niente! Quello che ci interessa era la ragione per cui Rapacciuolo era stato portato in galera dove era stato tenuto 15 mesi al momento della mia interrogazione e, riconfermata l'ordinanza di custodia cautelare, la questione era aperta.
Di fronte alla mancanza completa di qualsiasi indizio stava in galera perché il reato che gli era attribuito era un reato feroce, ma solo per questo motivo! Non c'era altro, se non quelle ricostruzioni di cui lei stessa ha parlato, ma che, evidentemente, alla prova del giudizio si sono rivelate assolutamente false.
Di fronte a tutto questo, il cittadino, come il cittadino parlamentare, non può querelare un magistrato perché sa che il giudizio sarà sempre dalla parte del magistrato, come la storia di tutte le querele fatte dai magistrati o contro i magistrati degli ultimi anni dimostra.
Così, un cittadino accusato di pedofilia e di concorso in associazione camorristica a scopo di pedofilia, che cosa deve fare? Deve aspettare per vedere prosciolti tutti coloro che hanno commesso illegalità nei suoi confronti e non avere il bene di potersi difendere in nessun modo perché noi sappiamo bene che in questo paese non ci sono possibilità di rivalsa nei confronti di chi ha sbagliato perché la corporazione dei magistrati e dei Serpico si chiude a riccio a tutela dei suoi errori e, alle volte, come in questo caso, dei suoi orrori.
Signor sottosegretario, sono molto insoddisfatto della sua risposta.