![]() |
![]() |
![]() |
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 aprile 1999, n. 110, recante autorizzazione all'invio in Albania ed in Macedonia di contingenti italiani nell'ambito della missione NATO per compiti umanitari e di protezione militare, nonché rifinanziamento del programma italiano di aiuti all'Albania e di assistenza ai profughi.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
MARIO GATTO, Relatore. Signor Presidente, il conflitto in atto nei Balcani, oltre a provocare morte e distruzione in tutto il territorio della ex Jugoslavia, ha prodotto centinaia di migliaia di deportati che non si lasciano alle spalle solo ricordi di rastrellamenti, di case bruciate, di deportazioni di massa, ma che portano dentro di sé anche l'incubo di eccidi di innocenti, di agghiaccianti visioni di fosse comuni, il ricordo di stupri, di prigioni-bordello, di bambini usati come «banche del sangue» per i feriti serbi, dei simboli nazionalisti serbi incisi con i coltelli sulla fronte dei prigionieri.
pace giusta, intendendo con questa espressione l'offerta ai profughi che rientreranno nel Kosovo della certezza di una vita tranquilla e senza alcun pericolo di aggressione.
dicembre 1999 e di un ulteriore contingente di 1.800 uomini dal 1 giugno al 31 dicembre 1999. Al comma 2 è autorizzata, dal 1 aprile fino al 31 dicembre 1999, la partecipazione di un contingente di 2.500 uomini in Albania per la missione di pace NATO denominata «Allied Harbour». Il comma 3 definisce gli aspetti giuridici e retributivi relativi al personale militare.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIOVANNI RIVERA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, quella che abbiamo ascoltato da parte del relatore mi sembra sia stata una buona relazione.
considerato di carattere amministrativo. Potremmo fermarci qui e parlare degli ottocento uomini che debbono essere spediti in Macedonia o dei 1.500 che sono già stati spediti in Albania. Dobbiamo, invece, fare qualche riflessione in più.
forte dell'Occidente. Milosevic viene ora considerato un criminale - come in realtà è -, ma egli fu l'interlocutore dell'Occidente ed, in occasione di quella vicenda, ebbe riconoscimenti molto importanti che lo fecero convincere di essere il nuovo capo della Jugoslavia e di avere anche il diritto di distruggere il Kosovo e la sua gente con atti incredibili di criminalità che ogni coscienza umana dovrebbe rifiutare.
Alcuni giorni fa la Commissione difesa ha ascoltato il commissario per gli aiuti umanitari in Albania, il generale Angioni, il qualche ci ha detto chiaramente che di questo Governo non ci si può fidare. Il commissario Angioni è stato nominato dal Governo e non dal sottoscritto! E poiché è un commissario nominato dal Governo, debbo ovviamente ritenere che sia stato oggetto di valutazione. Conosco il generale Angioni come una persona corretta, seria, che ha dato lustro al paese nelle sue attività e nei suoi impegni militari in Libano e via dicendo, penso quindi che quanto dice Angioni dinanzi alla Commissione difesa in maniera ufficiale sia apprezzabile, degno di considerazione e di fede. Se non dovessimo infatti prestar fede a chi viene ascoltato da una Commissione parlamentare perché ricopre un incarico altissimo, allora potremmo anche dire che la partita è chiusa.
delle truppe che organizzava dall'Albania l'invasione della Grecia. Qui non si deve invadere nulla, non si deve essere luogotenenti del Regno, si deve solo capire cosa fare. I quesiti sono: il Governo intende creare un protettorato nei confronti dell'Albania? Il Governo italiano avverte che abbiamo responsabilità maggiori rispetto ad altre nazioni? Sono temi che dobbiamo valutare seriamente. Non ritengo che si possano così tranquillamente mandare aiuti che si risolvono in vitalizi e che comportano ritorni drammatici perché la delinquenza e la criminalità si organizzano anche sulle sponde pugliesi, dando vita ad un'organizzazione italo-albanese che fa paura. Nel nostro paese abbiamo già abbastanza mafia e criminalità, vi sono territori controllati appannaggio di organizzazioni criminali, sui quali le forze di polizia non esercitano alcun tipo di controllo. Sarebbe assurdo che con i nostri soldi e con i nostri aiuti alimentassimo quest'organizzazione per criminali.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.
GUALBERTO NICCOLINI. Signor Presidente, fa un certo effetto discutere di Kosovo, di Albania e di invio di contingenti italiani in un'aula vuota, a Camere praticamente chiuse.
GIOVANNI RIVERA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Però non sorda!
GUALBERTO NICCOLINI. Non è ancora sorda forse, ma vuota!
umanitaria e non di guerra, di protezione e non di intervento, anche se gli errori delle bombe della NATO - evidentemente stupide, non intelligenti - creano gravi problemi di coscienza. Già, muoiono civili: perché, in guerra di solito si gettano confetti, caramelle e fiori? In guerra muoiono militari e civili.
l'invio di mille soldati in Albania e in Macedonia; per poi riparlarne magari tra un mese con riferimento ad un altro contingente.
che tali investimenti consentano almeno in parte di bloccare le ricadute negative sul territorio italiano.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruffino. Ne ha facoltà.
ELVIO RUFFINO. Signor Presidente, sarò molto breve perché, se è vero che questo provvedimento riveste una notevole importanza, è anche vero che la nostra Assemblea ha discusso più volte, ha deliberato e ha approvato importanti documenti di indirizzo. Dunque, non ritengo fondate le critiche rivolte a questa Assemblea per la situazione di oggi. Infatti, ben sappiamo che questo Parlamento si è espresso più volte e che su questi temi si è impegnato in modo approfondito. Inoltre, non credo che noi dobbiamo dare vita in questo momento in un dibattito di serie B, magari per mettere in libertà le parole.
centinaia di migliaia di profughi da ospitare. La presenza di queste persone mette in una situazione drammatica tutte le strutture del paese creando preoccupazioni di carattere politico ed etnico; è stato anche qui ricordato quanto siano esplosive tali situazioni. Naturalmente, dobbiamo ora essere molto vicini a questi paesi e cercare di offrire loro tutto l'aiuto possibile, affinché resistano nelle attuali pesantissime condizioni e, pur nelle loro difficoltà, possano intravedere una prospettiva di soluzione dei loro problemi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame impegna l'Italia in ulteriori interventi a sostegno delle popolazioni del Kosovo e delle popolazioni albanesi. Ovviamente, il nostro gruppo ha assunto una posizione di sostegno e di condivisione delle iniziative assunte dal Governo italiano nel quadro della NATO e, a maggior ragione, delle operazioni umanitarie, talune gestite direttamente dal nostro paese, come l'operazione Arcobaleno, comunque nell'ambito di un'opera di coesione della comunità internazionale.
ad hoc per gli stanziamenti, per gli organici e così via. Questo è sempre successo da circa vent'anni, dalle operazioni in Libano nei primi anni ottanta fino ai giorni nostri. Ciò significa che vi è una strutturale necessità di presenza militare italiana nei contesti di crisi internazionale: presenza talvolta più spiccatamente con funzioni umanitarie e di soccorso, altre volte con funzioni più spiccatamente militari.
MARIO TASSONE. Questa mozione è sparita!
MAURIZIO GASPARRI. In questo periodo di campagna elettorale, talvolta non partecipo ai lavori, ma normalmente sono un frequentatore abituale di quest'aula e non mi pare che sia stato dato seguito a quelle iniziative, eppure il dibattito si è svolto e tutti sono intervenuti, anzi di fatto la votazione è stata accantonata e rinviata sine die. Capisco che il Governo possa averci ripensato e che, di conseguenza, il ministro Scognamiglio non abbia presentato il disegno di legge per l'abolizione della leva obbligatoria e l'introduzione delle forze armate volontarie - sicuramente avrà altri problemi da affrontare -, ma la votazione delle mozioni in materia, signor Presidente Acquarone, deve essere messa all'ordine del giorno e colgo l'occasione odierna per sollecitarlo.
nulla, tuttavia dobbiamo presumere e sperare che i dibattiti parlamentari e le mozioni possano avere qualche incidenza, altrimenti potremmo andare tutti a casa e non partecipare nemmeno a queste discussioni. Vorrei pregare, quindi, la Presidenza della Camera di darci notizie in merito perché ciò non riguarda il Governo che, ripeto, sarà investito della questione solo successivamente, una volta approvate le mozioni che definiscono i termini temporali per la sua azione. Onorevole Rivera, questo è il problema, altrimenti ci si verrà a dire che, se vogliamo mandare altri 1800 soldati ne possiamo mandare pure 1809, tutti quelli che servono; che possiamo dare loro anche un po' di soldi, perché è gente che lavora; quindi da un punto di vista sociale, anche se si tratta di un'attività rischiosa, essa è remunerata. Agire in questi termini, però, non è serio.
agli aiuti all'Albania in cambio di rispetto della legalità - si puntava l'indice sulle coltivazioni di cannabis in Albania che alimentano i traffici di droga verso l'Italia, per cui, insieme ai clandestini, arrivano armi e droga - s'impegnava il Governo (e l'ordine del giorno fu approvato, mentre il precedente era stato accettato come raccomandazione dall'onorevole Rivera) a condizionare l'effettiva corresponsione degli aiuti finanziari previsti dagli articoli 1 e 2 del provvedimento, simile a quello attuale, con cui si davano soldi all'Albania, nonché le cessioni a titolo gratuito previste dall'articolo 3 - i soliti materiali che diamo loro - alla fattiva collaborazione delle autorità albanesi sul piano della prevenzione e della repressione delle attività illecitamente svolte sul suolo albanese. Si condizionava, dunque, la corresponsione di tali aiuti alla distruzione delle coltivazioni di cannabis e al controllo dei traffici illeciti nel porto di Valona. È ovvio che sarebbe stato meglio se un tale strumento fosse stato approvato dal Parlamento di Tirana, ma lì ogni tanto sparano perfino e tempo fa fu ammazzato un rappresentante dell'opposizione: noi ci lamentiamo della nostra Assemblea, ma qui tutto sommato nessuno ci spara. Come dicevo, dunque, tale atto parlamentare impegnava il Governo a bloccare gli aiuti qualora proseguisse l'attività di coltivazione della droga o non si avviasse la riconversione.
avranno qualcosa da dire e come al solito l'opposizione seria, responsabile, matura, brava e buona, vota, assiste ed aiuta.
MIRKO TREMAGLIA. O a quello aspirante...
MAURIZIO GASPARRI. Certo, anche quello aspirante: tutti. Non faccio elenchi, ma dalla Farnesina ai dintorni gli aspiranti erano numerosi (anche quelli uscenti, per la verità)!
Dobbiamo fare attenzione, anche quando si annuncia che verranno inviate navi. Ricordo le immagini di altre navi che portavano via i profughi istriani, i dalmati dalle zone in cui imperversava la pulizia etnica del croato Tito. Dobbiamo ricordarcele queste cose! Personalmente, non riesco a rimanere insensibile di fronte alla somma di tragedie che ha visto protagonisti tutti i popoli e le etnie di quell'area: sloveni, croati, serbi, che da secoli sono in guerra tra loro. Il croato Tito fu, quindi, protagonista di una pulizia etnica che provocò la partenza di alcune navi con cittadini istriani, fiumani e dalmati che non sono più tornati nelle loro terre.
qualcuno dei colleghi avrà letto la cronaca di questo fatto -, dopo di che ha chiamato la polizia dicendo: «sono il pentito Tal dei Tali, ho ammazzato questo straniero»; ebbene, si è già pentito di questo nuovo omicidio e forse ora starà contrattando l'aumento dell'indennità da pentito, perché, essendo un cottimista del pentimento, in quanto continua ad ammazzare e poi a pentirsi, avrà un premio di produzione!
a poche miglia di mare dall'Italia, da cui la droga arriva al nostro paese ed alimenta un traffico già rigoglioso! Il governo albanese cosa fa, prende solo i soldi e non ci aiuta? I nostri militari, le nostre forze di polizia che ci stanno a fare? A farsi sbeffeggiare dagli scafisti, come è già accaduto? È necessaria, allora, una più stringente politica di verifica degli impieghi delle nostre risorse e del rispetto delle deliberazioni del nostro Parlamento.
PRESIDENTE. Onorevole Gasparri, poiché nel suo intervento ha richiamato l'attenzione della Presidenza sulla discussione di alcune mozioni, visto che quelle relative al Kosovo sono state discusse il 19 maggio scorso, vorrei sapere se lei intendesse riferirsi a nuove ed ulteriori mozioni.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, mi riferivo a mozioni sulla difesa, sulle Forze armate. L'esame di tali mozioni è rimasto in sospeso e gli uffici dovrebbero ricordarsene.
PRESIDENTE. Va bene, onorevole Gasparri.
Avverto che la IV Commissione (Difesa) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Gatto, ha facoltà di svolgere la relazione.
Questi tragici eventi hanno ingenerato in tutti i parlamentari, al di là dell'appartenenza politica, un sentimento unanime, una comune aspirazione: il desiderio che torni presto la pace in questo martoriato comprensorio d'Europa, una
Bisogna convenire che questo unanime desiderio di pace è in parte generato da un senso di colpa, da una sensazione di rimorso per la superficialità con la quale abbiamo osservato da spettatori distratti i prodromi di questa immane tragedia dell'umanità.
La revoca dell'autonomia del Kosovo operata da Milosevic nel 1989, l'autoproclamazione della Repubblica indipendente del Kosovo nel 1992, la coesistenza parallela di strutture amministrative e di servizi duplicati non furono recepiti dalla comunità internazionale come segnali forti di una situazione geopolitica che stava precipitando.
Nel marzo 1998 violenti scontri tra polizia serba ed albanesi nel Kosovo provocarono centinaia di morti. Solo allora NATO, ONU e UEO, seriamente preoccupati del precipitare degli eventi in quella parte d'Europa, cercarono di dare riparo ma, a parer mio, in ritardo in quanto gli equilibri non erano più raggiungibili e l'odio etnico aveva pervaso l'intera popolazione.
Le risoluzioni ONU e il successivo intervento di osservatori OSCE in Kosovo venivano considerati operazioni di facciata dal Governo serbo. Mentre era in atto la conferenza di pace di Rambouillet, Milosevic implementava i reparti militari nel Kosovo. L'intento era chiaro: la conferenza di pace di Rambouillet doveva fallire, perché Milosevic doveva sentirsi libero di agire e quasi autorizzato a proseguire con maggiore intensità la sua opera di persecuzione etnica finalizzata all'espulsione dal Kosovo di tutti gli albanesi.
Kadaré, poeta albanese vivente a Parigi, definisce Milosevic un piccolo tiranno e un uomo mediocre che pensa di diventare un importante personaggio della storia dell'umanità perpetrando grandi crimini. Eppure, questo mediocre, con le sue idee paranoiche e con la sua follia lucida sta procurando distruzione, sofferenza e morte e sta dando scacco alle più grandi potenze mondiali.
Oramai a 70 giorni dall'inizio dei raid aerei della NATO sui territori della ex Jugoslavia, gli sforzi diplomatici della comunità internazionale per porre fine al conflitto si vanno moltiplicando. In queste ore Chernomyrdin e Ahtisaari sono a Belgrado per incontrarsi con le autorità jugoslave al fine di verificare la disponibilità di Milosevic ad accettare le condizioni fissate dal G8 e proprio questa mattina il Parlamento jugoslavo è riunito per decidere in merito.
La speranza di tutti è che questo incontro possa portare a risultati positivi, ma prudenza vuole, data l'instabilità caratteriale dell'interlocutore, che si attenda con tranquillità la sottoscrizione materiale di un atto di pace.
Ci auguriamo che il popolo kosovaro, privato di ogni diritto ed espulso in modo violento e sistematico secondo un disegno politico preparato da tempo, possa ritornare presto nel comprensorio originario. Oggi contiamo ben 700 mila profughi ammassati nei campi di accoglienza in Macedonia e in Albania, che abbisognano di tutto. L'Italia, come nazione più vicina geograficamente allo scenario del conflitto, ha sentito prima e più degli altri paesi il dovere di soccorrere un popolo in difficoltà, approntando campi di accoglienza e strutture igienico-sanitarie, nonché distribuendo generi di prima necessità sia attraverso la missione «Arcobaleno», sia attraverso associazioni di volontariato e attualmente anche attraverso la missione umanitaria della NATO denominata Allied Harbour.
Il provvedimento in esame dispone, appunto, la partecipazione di truppe italiane alle missioni umanitarie della NATO in Albania e Macedonia e prevede inoltre la prosecuzione dei programmi di aiuti per la ricostruzione dell'Albania.
Passo ora brevemente all'esame dell'articolato. Con l'articolo 1 si autorizza la partecipazione di un contingente di 800 militari alle operazioni in Macedonia a partire dal 15 febbraio e fino al 31
L'articolo 2, per far fronte alle carenze determinatesi nei reparti territoriali dell'Arma dei carabinieri per effetto delle missioni internazionali, autorizza per l'anno 1999 l'ammissione in ferma biennale di ulteriori 500 unità. Inoltre, nei limiti di invarianza della spesa, per le esigenze relative alle missioni, si garantisce la possibilità per le Forze armate di raffermare per ulteriori due anni i volontari in ferma triennale già in servizio.
All'articolo 3, per le esigenze connesse alle missioni umanitarie, in caso di necessità ed urgenza, si prevede che possano essere fatti acquisti e lavori in economia senza limiti di spesa, in deroga alle disposizioni di legge in materia di contabilità generale dello Stato.
Analogamente si dispone la deroga ai limiti stabiliti dalla norma per l'effettuazione di prestazioni di lavoro straordinarie da parte del personale impiegato in territorio nazionale in attività di supporto logistico.
Con l'articolo 4 si convalidano, nell'ambito delle missioni umanitarie, le attività e le prestazioni svolte fino all'entrata in vigore del decreto-legge.
L'articolo 5 prevede il rifinanziamento della legge 3 agosto 1998, n. 300, relativamente a programmi di intervento a sostegno del processo di ricostruzione dell'Albania, utilizzando le risorse finanziarie accantonate nella legge finanziaria 1999.
Con l'articolo 6 si dispone il rifinanziamento del programma italiano di aiuti all'Albania e di assistenza ai profughi del Kosovo, destinandovi 100 miliardi di lire da reperire dall'unità previsionale di base dell'8 per mille dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
L'articolo 7 prevede la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 1, commi 1 e 2, e dell'articolo 2, comma 1, ai sensi dell'articolo 1, comma 63, della legge 28 dicembre 1995 n. 549.
Per la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione dell'articolo 5, si provvede attingendo all'unità previsionale di base di parte corrente del fondo speciale dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, utilizzando in parte l'accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Questo è un passaggio difficile per il Governo, per il Parlamento e per chi deve svolgere il ruolo di relatore di un tale disegno di legge. Difatti, non si tratta di un provvedimento burocratico ed amministrativo - come lo si vorrebbe far passare -, ma di un provvedimento che ha il compito di recuperare tutti gli aspetti politici della vicenda ancora presenti: mi riferisco a tutte le storie dei profughi, cariche di tragedie, di drammi, ma anche di speranze.
Vi è, in queste ore, ancora qualche filo di speranza che sia intessuto un rapporto vero ed effettivo per raggiungere la pace. Ovviamente, non ci sbilanciamo e non diamo giudizi né facciamo previsioni su quelli che potranno essere i risultati dei nuovi incontri tra gli emissari della NATO e Milosevic.
Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, non siamo di fronte ad un provvedimento che possa essere
Abbiamo distribuito per il mondo una serie di strutture militari e di uomini. Certamente, il nostro paese ha partecipato e partecipa a missioni umanitarie sotto le bandiere dell'ONU e all'interno di organizzazioni internazionali, di lavoro, soccorso e recupero, non solo sul piano umano, ma anche su quello istituzionale.
Al di là di ogni considerazione, nutriamo, però, alcuni dubbi in merito a questa vicenda: non vi è dubbio, difatti, che si evidenzia il fallimento dell'ONU.
Se l'ONU continua in questo modo, rischia di essere considerata un ente inutile. Ieri in Commissione difesa si è svolta l'audizione del rappresentante dell'ONU in Italia, l'ambasciatore De Mistura, il quale ci ha riferito, ovviamente, sull'attività delle Nazioni Unite, che in questo particolare momento si limita ad un'azione umanitaria di soccorso, che rientra certamente nei compiti dell'ONU, ma è un aspetto particolare, significativo ed importante, non c'è dubbio, ma non preponderante. Tutta l'attività inerente alla trattativa per dirimere le controversie l'ONU non è riuscita a svolgerla, anche perché nessuno ha mai tentato realmente di risolvere in modo positivo le questioni poste dal patto di San Francisco, come quella delle cinque nazioni con diritto di veto, che rappresenta un fatto anacronistico. Prima di tutto, ritengo che gli stessi Stati Uniti non abbiano intenzione di risolvere questo problema. Io non sono mai stato antiamericano, però la storia è questa: gli Stati Uniti d'America non hanno dimostrato grande slancio nella risoluzione del problema inerente alle decisioni del Consiglio di sicurezza. Quando parliamo di questi argomenti, dobbiamo fare un po' mente locale al ruolo svolto dalle nostre missioni diplomatiche in questi anni nell'ambito dell'Assemblea delle Nazioni Unite per ridefinire il ruolo del Consiglio di sicurezza: voglio ricordare, per tutti, l'ambasciatore Paolo Fulci.
Noi abbiamo, allora, un'ONU ingessata ed anche le altre organizzazioni internazionali, come per esempio l'OSCE, nata come Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa, non credo abbiano avuto oggi un ruolo fondamentale. D'altronde, non credo lo abbia la stessa Europa, un ruolo fondamentale: non lo ha l'ONU, che subisce un condizionamento da parte degli Stati Uniti, né l'OSCE, che raccoglie la maggior parte delle nazioni europee, pertanto non lo ha l'Europa, che anzi a questo proposito ha delle responsabilità.
Se riflettessimo, infatti, sulla vicenda jugoslava, sulla rottura dell'equilibrio nella Repubblica jugoslava all'indomani della morte di Tito, certamente daremmo un giudizio tranciante e negativo nei confronti dell'Europa, che ha giocato in quello scacchiere recuperando vecchie politiche anteriori alla prima guerra mondiale, tentando ancora di introdurre la strategia dei condizionamenti, delle influenze, dei protettorati. È un dato che non possiamo assolutamente nascondere, perché la vicenda del Kosovo non differisce poi molto da quella della Bosnia. In Bosnia si è intervenuti con quattro anni di ritardo, dopo che si erano consumati 200 mila delitti.
La verità è che vi è stata una strategia del confronto e della tensione all'interno dell'Europa, che ha aiutato la deflagrazione e la balcanizzazione della crisi jugoslava: già i Balcani, in tutta la loro storia, non sono mai stati tranquilli, perché la conformazione delle regioni e la distribuzione delle etnie hanno creato un crogiolo incredibile di tensioni. Tito era riuscito, nel dopoguerra, a tenere unita, anche con la forza, la Repubblica jugoslava, ma dopo la sua morte certamente l'Europa non era preparata o, se lo era, lo era malamente, a far fronte alla situazione che si veniva a creare; tant'è vero che, nella frenesia delle vicende che si sono susseguite, in occasione della vicenda della Bosnia Milosevic è stato un interlocutore
Quindi, le responsabilità sono diffuse ed il Governo deve svolgere il suo ruolo. Sono stato e sono ancora a favore di questo intervento umanitario, anche se, onorevole Rivera - l'ho detto molte volte anche ai ministri della difesa e degli esteri, nonché al Presidente del Consiglio - non ho capito per quale motivo consideriamo la NATO un soggetto a parte, come se noi non ne facessimo parte e come se al suo interno non si decidesse all'unanimità. Vorrei capire quale sia il ruolo dell'Italia.
Le ricordo che, per quanto riguarda la vicenda del rilascio delle bombe nel mare Adriatico, ne siamo venuti a conoscenza solo in un momento successivo: non mi sembrava un incidente di poco conto. Il problema è che noi veniamo a sapere le cose solo in momenti successivi: questo vale per le operazioni militari che si svolgono e per gli obiettivi che vengono colpiti.
Pertanto, vorrei sapere dal Ministero della difesa quale sia il ruolo della NATO, ma, soprattutto, quale sia il compito dei nostri ufficiali all'interno delle operazioni nel Kosovo ed in Serbia. Credo questa sia una domanda legittima. È inutile, infatti, fare statistiche sul numero delle operazioni militari compiute e degli obiettivi colpiti. Dobbiamo avere un quadro di carattere generale per capire quale sia il nostro ruolo in questa vicenda di guerra.
Io sono favorevole al soccorso umanitario perché la vicenda del Kosovo ripugna alla coscienza civile. Milosevic è l'ultimo mostro, ce lo auguriamo, di questo secolo che ha prodotto molti mostri. Tuttavia, lo ripeto, speriamo che Milosevic sia l'ultimo. Alcuni di questi mostri sono stati prodotti in vitro o per incoscienza e insipienza. Chamberlain non si era reso conto di chi fosse Hitler ed oggi l'Occidente si è reso conto di chi sia Milosevic in ritardo. Allo stesso modo, la Gran Bretagna si rese conto solo dopo la conferenza di Monaco di chi fosse Hitler.
Signor Presidente, onorevole sottosegretario, questo provvedimento può rappresentare l'occasione per svolgere un confronto serio. Infatti, sul Kosovo sono state presentate e discusse alcune mozioni caratterizzate più per il loro equilibrismo che per altro, viste le parole a doppio senso in esse contenute. Tali mozioni hanno messo il nostro paese in una posizione di estrema difficoltà. Tuttavia, vi è altresì da registrare, credo, che questo governo di sinistra del mondo, di fatto, almeno in politica estera, non esista più. Infatti, non credo che le posizioni di Jospin e di D'Alema siano uguali a quelle di Blair e Clinton. Se non vi sarà convergenza in politica estera e sulla sicurezza, Prodi, che con l'asinello entrerà in Europa, non potrà avere grandi ambizioni - o forse è meglio dire grandi possibilità perché le ambizioni possono essere frustrate - di essere lui il governante del mondo. Noi gli auguriamo che questa sua grande speranza si realizzi; lo accompagnano le nostre preghiere. Sono certo che la forza ed il coraggio che il senatore Di Pietro mette nella sua attività ed impegno politico riusciranno a non far disarcionare dall'asinello il presidente Prodi.
C'è infine un'altra vicenda su cui dobbiamo soffermarci, quella dell'Albania. Signor Presidente, signor sottosegretario, non possiamo dare all'Albania, all'infinito, un vitalizio senza capire quale «ritorno» se ne abbia. I vitalizi sono un'altra cosa! Le pensioni sono un'altra cosa (e ovviamente ci penserà l'attuale ministro del tesoro ad una loro revisione)!
Ormai da moltissimi anni stiamo aiutando l'Albania (ricordo l'operazione «Pellicano»). Ebbene, vorrei sapere quale sia il «ritorno» di tali aiuti. Non vi è stato, infatti, né un ritorno nelle attività economiche e nello sviluppo né un rafforzamento delle istituzioni.
Ricordo che avevamo stanziato dei fondi anche per la riorganizzazione delle forze dell'ordine. Certo, alcuni risultati sono stati raggiunti; in fondo, come taluni hanno detto, in Albania ci sono state le elezioni ma non sappiamo se esse si siano svolte democraticamente e in maniera corretta. Questo è un risultato e noi lo accettiamo.
Il relatore su questo provvedimento di legge ha denunciato, insieme ad altri colleghi, una situazione gravissima. L'onorevole Gatto al suo rientro dall'Albania, ha denunciato una serie ruberie, di taglieggiamenti. Sugli aiuti umanitari, in particolare quelli italiani, mettono le loro mani organizzazioni criminali che hanno il pieno controllo di quel territorio, dei porti di Durazzo e di Valona. E noi che facciamo? Diamo i vitalizi?
Signor sottosegretario, vi sono alcune zone del territorio calabrese, da cui provengo, che avrebbero bisogno di vitalizi. Noi però abbiamo detto che siamo contrari ad una politica assistenziale, ma, se è così, lo siamo non solo per una politica assistenziale per tutto il nostro territorio nazionale ma anche per i territori esteri, soprattutto quando questa politica assistenziale alimenta la criminalità organizzata.
Penso che si debba pur mettere un punto fermo, altrimenti per quale ragione inviamo 2.500 uomini in Albania? Non c'è dubbio che, se si dovesse arrivare - come noi auspichiamo fortemente - alla pace, ci sarà bisogno di una struttura e di un intervento militare, intesi come una organizzazione mista, ossia di carattere militare e civile, per creare una struttura che possa favorire il rientro dei profughi nelle loro case (lo diciamo tanto per dire, per usare un eufemismo, visto che le loro case sono distrutte), per tentare di ricostruire il Kosovo.
Ho voluto porre una serie di quesiti e di problemi inerenti il disegno di legge in esame sul quale ovviamente esprimerò un voto favorevole. Del resto, che faccio? Dico di «no»? E chi lo capirebbe? Però al Governo interessa esclusivamente il fatto conclusivo, il voto. La relazione su questo provvedimento di legge si è svolta qui in aula di fronte a pochi colleghi, essendo tutti gli altri interessati, in questo momento della vita del Parlamento, alle prossime elezioni europee. Di fatto, in vista di tali elezioni, da ieri la Camera ha sospeso i propri lavori.
Signor sottosegretario, so che lei segue queste vicende con grande interesse. Lei è un uomo di grande equilibrio, ma deve capire che queste cose le facciamo da tempo: per l'Albania e sull'Albania ogni volta abbiamo ripetuto le stesse argomentazioni. Se leggessimo i resoconti stenografici troveremmo le stesse valutazioni e le stesse parole.
L'unica cosa che mi rammarica - lo debbo dire in questa sede - è che l'onorevole Fassino, che aveva seguito tanto bene la vicenda con l'Albania, sia oggi ministro del commercio con l'estero. Perché questo Governo non conferisce a Fassino anche l'incarico di seguire l'Albania? Attento, onorevole Gianni Rivera, non voglio fare di Fassino un nuovo Jacomone, luogotenente del Regno negli anni 1940-1941, anche perché non troviamo neanche Visconti Prasca, il comandante
Termino a questo punto il mio intervento; temo di essermi dilungato, ma l'argomento era importante e decisivo per il futuro. Ci auguriamo che vi sia una politica del Governo e che l'opinione pubblica non sia impegnata a stabilire se abbia ragione il ministro della difesa o il ministro degli esteri. Questo, ovviamente, non è un buon viatico nei confronti di nessuno e non lo è soprattutto per una vicenda così tragica qual è quella del Kosovo.
Chiediamo che il Presidente del Consiglio dei ministri faccia chiarezza per evitare che su questa vicenda i ministri Scognamiglio e Dini diano l'impressione di essere protagonisti di vecchi schemi che non esistono più, ma che sono ancora presenti nell'immaginario comune e che non accettiamo siano inseriti in questo contesto della situazione internazionale.
Grazie, signor Presidente e onorevole sottosegretario; un ringraziamento particolare rivolgo al relatore di questo provvedimento.
Siamo nella NATO, la NATO è in guerra. Vi è uno Stato in guerra a pochi chilometri da casa e questo Governo insieme alla sua maggioranza preferisce che si parli di questi argomenti tra cinque persone. Forse stamattina c'è troppo pubblico: sarebbe stato meglio non fosse venuto nessuno perché, in tal modo, non sarebbero emersi problemi e differenze di valutazione. Abbiamo volontari, pacifisti italiani, che vogliono assolutamente recarsi in Kosovo perché pensano di condizionare con la loro presenza l'azione militare della NATO, violando quindi il mandato del Parlamento al Governo italiano di seguire la tragica vicenda kosovara.
Mi meraviglia che di tutto questo si parli tra noi, tra pochi intimi al bar, quando l'invio di mille soldati in più o in meno non cambia il drammatico problema dei Balcani e, quindi, la questione dell'impegno italiano in quella vicenda.
Abbiamo sentito i ministri parlare lingue diverse: il ministro degli esteri ha fatto un certo discorso ed il giorno dopo, recatosi a trovare la signora Albright, ha detto esattamente l'opposto; il ministro Scognamiglio doveva correggere quanto diceva il ministro Dini e poi il Presidente D'Alema modificava quanto avevano detto Dini e Scognamiglio. Mi sembra insomma che si sia fatta una grande confusione e soprattutto che si sia cercato di gettare moltissimo fumo negli occhi degli italiani anche perché siamo alla vigilia di un turno elettorale. Sappiamo quindi che sotto elezioni dobbiamo parlare di missione
Ci siamo giocati tutto questo periodo con la questione guerra o non guerra. Signori, a pochi chilometri dall'Italia è in atto una situazione drammaticissima. Continuiamo a parlare della questione del Kosovo e non vogliamo tenere conto del fatto che essa fa parte di un problema molto più vasto, che è soltanto un episodio, cui purtroppo ne seguiranno ancora altri, almeno finché Milosevic sarà al potere in Serbia.
Il problema balcanico non nasce né due anni, né un anno, né sei mesi fa, ma nel 1990, quando le Repubbliche sono esplose l'una contro l'altra. L'Occidente, senza tenere conto del problema che stava scoppiando, ha concesso immediatamente, in ventiquattr'ore, il riconoscimento prima alla Slovenia e poi alla Croazia e alla Bosnia, creando il problema di un nuovo status con tutto ciò che ne è conseguito.
L'ho già ricordato in quest'aula, ma evidentemente bisogna farlo ogni volta: la Slovenia ha avuto la fortuna di fare una guerra di tre giorni, che ha causato quattro morti, per liberarsi del giogo serbo. Perché le è bastato così poco? Perché non c'era una presenza serba, una minoranza serba, sul territorio sloveno. Se Milosevic avesse avuto in Slovenia 50 o 100 mila serbi, anche lì la guerra sarebbe stata più dura.
Dopo, piaccia o meno, qualcuno diede mandato a Milosevic e a Tudjman di evitare la formazione di Repubbliche islamiche nel cuore dei Balcani - quindi dell'Europa - ed ecco la tremenda guerra di Bosnia. Solo dopo quattro anni ci siamo accorti dei massacri reciproci: Milosevic non era migliore o peggiore degli altri; erano tutti sullo stesso piano e si massacravano l'un l'altro in maniera spaventosa, ma qualcuno ha vinto la guerra dell'immagine, Tudjman, e qualcuno l'ha persa, Milosevic. Ad aver perso tutto in un massacro spaventoso sono croati, bosniaci e serbi.
L'Europa non ha saputo fare nulla. Oggi ce la prendiamo con la NATO e con gli americani cattivi ed imperialisti che vengono a comandare sul territorio europeo, ma gli americani sono stati coinvolti dall'Europa. Gli statunitensi dissero: per un anno arrangiatevi voi, è un problema europeo. L'Europa, non ha saputo farlo e quindi ha perso anche quella volta. L'Europa, l'Occidente e gli Stati Uniti non hanno però tenuto conto di chi fosse Milosevic né di quale pericolo costituisse per il futuro, a meno che non avessero potuto tenerne conto, a meno che, cioè, Milosevic non avesse in mano qualche arma, qualche carta o qualche lettera con cui tenere per la gola l'Europa e Stati Uniti.
Allora l'Europa non ha saputo sfruttare l'opposizione che era scoppiata molto forte in Serbia e neppure ha saputo dare una mano a Rugova e ai pacifici kosovari, che avrebbero voluto un certo tipo di autonomia senza arrivare a questo tipo di guerra. Alla fine, abbiamo dovuto addirittura dare una mano all'UCK; e così facendo, abbiamo finito con il dare una mano a Milosevic! Questi sono gli errori strategici commessi dall'occidente, dall'Europa e dagli Stati Uniti!
In ogni caso, l'Italia è coinvolta in tutto questo gioco e lo è fino al collo e ancora di più, perché non è soltanto un alleato della NATO, ma è anche il paese più vicino ai problemi provocati dalla guerra; anzi, li ha in casa: mi riferisco all'arrivo dei profughi, alle bombe nell'Adriatico e a tutto ciò che ne consegue.
Tuttavia, non abbiamo il coraggio di dire alla gente che siamo in guerra e continuiamo a giocare con le parole, ad evitare vere discussioni in Parlamento; evitiamo, inoltre, di dire che, fino a quando l'alleato NATO nel suo complesso, non deciderà di sospendere i bombardamenti o dovesse decidere ulteriori azioni di guerra, noi saremo costretti ad adeguarci a tali decisioni. Allora, si presentano questi provvedimenti che prevedono
In ogni caso, è meglio discutere di tali problemi il lunedì mattina o il venerdì sera e sotto elezioni, alla presenza di nove-dieci deputati e di un sottosegretario! Se in una situazione di questo tipo un Parlamento deve decidere alla presenza di dieci deputati e di un sottosegretario, mi sembra che si stia veramente facendo una bruttissima figura, senza avere il coraggio di dire alla gente quanto sta avvenendo.
Il collega che mi ha preceduto ha ricordato il problema albanese.
Chi ha la fortuna o la sfortuna di recarsi ogni tanto in Albania, può constatare che la situazione peggiora ogni volta di più: la situazione che ho trovato la settimana scorsa è senz'altro peggiore di quella di due anni fa, quando era in corso una rivolta e quando si verificavano veri e propri massacri!
È opportuno precisare che l'Albania non chiede di diventare un protettorato italiano. L'Albania ha ormai deciso: vuole diventare un protettorato americano e chiede soltanto che gli americani si siedano lì e che assicurino un «affitto mensile», così da consentire ai cittadini albanesi di sopravvivere tranquillamente. A tale riguardo, vorrei sottolineare che questa generazione di albanesi non ha alcuna intenzione di rimboccarsi le maniche e di lavorare! In Albania il dopo-comunismo è talmente massacrante che saranno necessarie quattro-cinque generazioni prima che questo paese sappia lavorare da solo. Sottolineo, inoltre, che potrebbe essere un paese molto ricco poiché dispone di ricchezze naturali e potrebbe godere dei vantaggi sia del turismo sia dell'agricoltura.
Ribadisco, quindi, che in questo momento l'Albania non chiede di essere un protettorato italiano, ma di diventare un protettorato americano. Del resto, ce lo hanno detto apertamente sia il presidente della commissione esteri e il ministro degli esteri, sia i rappresentanti di numerose forze politiche. Quello che invece preoccupa è il rapporto mafie albanesi-governo albanese: questi sono problemi che hanno una ricaduta sull'Italia!
Ricordo che quando si combattevano Nano e Berisha la disputa non era tra due partiti politici; dietro al velo dei partiti politici, vi erano, infatti, due mafie diverse: quella greca del sud e quella islamica del nord! Vinse quella del sud perché l'occidente in quel momento non voleva più Berisha. Adesso pare che lo abbiamo perdonato e che potrebbe anche tornare.
Ribadisco che quello era un gioco di mafia, nel quale sono stati e sono coinvolti, loro malgrado, i nostri militari, i carabinieri ed i finanzieri e - quello che è più grave - i nostri servizi segreti! Credo che o questi ultimi fanno il proprio dovere, consentendo di bloccare quanto avviene con i traffici di clandestini, di droga e via dicendo, oppure dovrebbe essere cambiato il personale presente sul posto.
Ricordo che in Albania vi sono personaggi stupendi: mi riferisco ai carabinieri ed ai militari che dal punto di vista umanitario stanno facendo miracoli. Alcuni carabinieri, infatti, adottano bambini e poi si preoccupano di telefonare in Italia per trovare un posto di lavoro ad un esule piuttosto che a un profugo. Possiamo quindi contare su persone splendide; e tutti ce lo riconoscono!
È possibile poi che sul piano pratico, militare e di informazione non riusciamo a risolvere quei problemi e che quei quattro scafisti la facciano da padroni? Sono i padroni perché hanno la mafia dietro alle spalle; ma è possibile che non sappiamo combatterla? Fino a quando non troviamo un pentito, infatti, non riusciamo a combattere questo fenomeno!
Questi sono i veri problemi che abbiamo di fronte e nessun membro del Governo dell'Albania può impegnarsi a darci una mano.
Visto che questi sono i problemi dell'Albania, è logico che continueremo a dare soldi a quel paese ed a investire sperando
Quelle che ho fatto sono solo alcune considerazioni del giovedì mattina per dire che sicuramente anche il Polo per le libertà e forza Italia voteranno a favore del provvedimento al nostro esame. Al riguardo non vi sono dubbi.
Avremmo preferito - lo ribadisco e lo ribadiremo anche durante le dichiarazioni di voto - che su questo argomento, al di là del fatto tecnico e dell'approvazione necessaria di questo provvedimento, ci fosse stato un chiarimento politico sulla problematica sia di carattere storico sia di attualità connessa alla vicenda del Kosovo. Questa, infatti - come ho detto all'inizio - è solo un piccolo capitolo della più ampia questione del ribaltamento balcanico che non finirà sicuramente con una pace come quella di Dayton, così come non è finita la vicenda della Bosnia. Essa terminerà soltanto quando l'occidente prenderà realmente coscienza dei problemi etnici, religiosi, economici e politici del territorio balcanico che, come tutti ricordano, ha dato il via alle peggiori guerre di questo secolo.
Con questi intendimenti e con l'auspicio che il Governo abbia la forza e il coraggio di confrontarsi con l'Assemblea nella sua interezza sulla guerra del Kosovo, ribadisco che comunque il voto di forza Italia sarà positivo.
Mi limito a due considerazioni e condivido in modo completo la relazione dell'onorevole Gatto.
Innanzitutto intendo formulare un apprezzamento, seppure siano state espresse riflessioni preoccupate e critiche (naturalmente sempre giustificate in una concomitanza come questa), sul ruolo svolto dal nostro paese in questa situazione. Occorre considerare che in queste ore sta avvenendo una cosa importante che speriamo sia decisiva per la soluzione di questo problema: la Russia sta giocando un ruolo importante e l'ONU può tornare ad essere la sede fondamentale per la soluzione del conflitto e la gestione della fase transitoria per giungere all'approdo di una pace vera e consolidata.
Ciò non avviene per caso ma per il fatto che il nostro paese, fra gli altri - ma, credo, con una particolare determinazione e chiarezza di obiettivi -, e per esso il nostro Governo e il Parlamento che ha formulato gli indirizzi, ha sviluppato un'iniziativa che aveva proprio le seguenti finalità: richiamare la Russia ad un ruolo internazionale; creare le condizioni politiche e concrete - non limitandosi ad invocazioni astratte - affinché il punto di soluzione della crisi sia rinvenuto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Questo potrebbe avvenire! Per questo stiamo lavorando. Su questa linea si è espresso il Parlamento. Di tutto ciò non possiamo non tenere conto anche apprezzando il ruolo che il nostro paese ha svolto in questa condizione, in una situazione difficilissima compiendo le scelte difficili sia dell'intervento militare sia di una forte iniziativa politica, nonché scelte di grande valore riguardanti l'intervento civile, sanitario ed umanitario in genere.
Vorrei fare una seconda considerazione. Sono state espresse valutazioni e ho ascoltato frasi di commento sull'Albania. Credo, invece, che in questo momento noi dobbiamo essere vicini all'Albania e alla Macedonia che vivono in una situazione di grande difficoltà. È una situazione particolare che può diventare esplosiva: ci sono
Concludo dichiarando di concordare con le valutazioni del relatore ed esprimendo il consenso del mio gruppo alla conversione del decreto-legge in esame: inoltre, considerato che lo stesso scadrà, se non erro, il 22 giugno e tenuto conto della sospensione per una settimana dei lavori della Camera, formuliamo l'auspicio che il testo approvato dal Senato non venga emendato in modo che il decreto-legge possa essere convertito nei termini stabiliti. Ritengo infatti che non possiamo permetterci che il decreto-legge decada o che si pongano problemi a tale riguardo.
È pertanto evidente che noi, avendo compiuto questa scelta non da oggi ma fin dalla fase in cui si decise l'invio di truppe in Albania, quando era ancora in carica il Governo Prodi, continueremo a sostenere questa politica di intervento militare ed umanitario; tuttavia, il provvedimento in esame, come peraltro altri colleghi hanno già rilevato, ci consente di svolgere una serie di osservazioni e di rilievi che attengono all'organizzazione della nostra politica militare, della nostra politica estera e della nostra politica di presenza, per non dire di assenza, nell'area mediterranea.
Buona parte del provvedimento, sottosegretario Rivera, è dedicata all'ampliamento del numero di volontari a ferma prolungata che devono essere trattenuti in servizio per poter organizzare i contingenti italiani in Macedonia ed in Albania, i quali hanno naturalmente scopi prevalentemente umanitari; tuttavia, come sappiamo, il rafforzamento della presenza delle truppe dei paesi della NATO nelle aree limitrofe al Kosovo risponde probabilmente anche alla scelta di effettuare una pressione ulteriore nei confronti della Serbia, nonché di valutare un loro eventuale impiego, qualora si dia luogo a forze di interposizione (vedremo se composte o meno dalla NATO, dato che le trattative proseguono con difficoltà, in via più ufficiosa che ufficiale). È comunque una scelta rischiosa, di carattere militare, poiché non si può pensare che i nostri soldati vadano in quelle zone solo per distribuire viveri ed aiuti.
Ebbene, constatiamo che vi è un rimaneggiamento continuo: un anno in più, apriamo nuovi ruoli, stanziamo altri fondi. Ma perché, dico io, non si compie fino in fondo una scelta di ristrutturazione delle nostre forze armate? Si dirà che siamo in una situazione di emergenza e che occorre intervenire: certo, siamo qui per fare in modo che il provvedimento vada avanti nel suo iter e non saremo noi a sostenere che non si deve intervenire; tuttavia, l'occasione ci consente di ripetere a chiare note quello che da molti anni sosteniamo. La riforma dello strumento militare, l'abolizione della leva obbligatoria, l'introduzione di una forza armata professionale con volontari servono a far sì che l'Italia non debba, come è sempre accaduto, emanare, ogni qualvolta vi sia una missione internazionale, un decreto
Abbiamo partecipato alla guerra del Golfo ed alle operazioni in Somalia ed anche in Albania e dintorni, che non erano prive di rischi e che talvolta avevano connotazioni più militari, altre volte più umanitarie.
Allora, invece di fare sempre decreti per decidere se aumentare il numero dei volontari a ferma prolungata - tra l'altro, faccio presente che alcuni passaggi del provvedimento sono scritti nel classico burocratese, quindi sono incomprensibili ed illeggibili - vorremmo sapere, caro rappresentante del Governo, che fine abbia fatto il disegno di legge che il Governo D'Alema, in questo caso il ministro Scognamiglio, ha enfaticamente annunciato, teso all'abolizione della leva obbligatoria ed all'introduzione delle forze armate volontarie. Siccome è presumibile che, come ci insegna la storia recente, dopo la crisi del Kosovo - che tutti ci auguriamo finisca presto - potrebbero riproporsi focolai di crisi che necessitano sempre di interventi militari, questa riforma vada fatta. Ciò proprio al fine di evitare che tra un anno, due anni, dieci anni per fare fronte all'emergenza si debba rifare un decreto per trattenere militari a ferma prolungata o altro.
Scognamiglio disse, con grande enfasi, che entro quindici giorni il Governo avrebbe provveduto, non ricordo esattamente la data di scadenza, ma sicuramente sono trascorsi più di quindici giorni da quell'annuncio, come ricordano i colleghi della Commissione.
Desidero rivolgermi al Presidente della Camera di turno per sottolineare che noi abbiamo fatto un dibattito in aula su alcune mozioni presentate da diversi gruppi, fra le quali anche una del collega Tassone, qui presente, ed una mia; si è trattato di un dibattito molto ampio volto ad impegnare il Governo a presentare questo disegno di legge, fissando alcune date di scadenza. Le date da noi proposte, onorevole Rivera, andavano ben oltre il termine di quindici giorni cui aveva fatto riferimento il Governo; a mio avviso prudentemente, alcuni proponevano trenta giorni, altri sessanta, anche perché un provvedimento di questo genere non può essere varato in quarantotto ore. Si tratta, infatti, di una riforma che richiede tempo, ma se non si comincia da subito, non si arriverà mai da nessuna parte.
Posto che non colleghiamo il provvedimento all'invio di truppe che comunque invieremo, in Kosovo, in Macedonia e in Albania, è necessario cominciare a porre mano a questa riforma perché anche questa è una delle tante riforme annunciate e mai realizzate.
Stavo dicendo, signor Presidente, che il dibattito che si è svolto in Assemblea non si è mai concluso.
Sappiamo tutti che, una volta votata la mozione e dato un vincolo temporale al Governo, probabilmente non succederà
Un altro aspetto del provvedimento che desidero richiamare riguarda il fatto che si elargiscono anche dei fondi all'Albania. Vi sono ulteriori stanziamenti per 70 miliardi che, a vario titolo, servono a sostenere le attività di crescita di questa nazione. Ieri, in Commissione difesa, il generale Angioni, che ha un compito operativo, ha aggiornato la situazione fornendo documentazione circa i programmi in atto. Benissimo, bisogna aiutare gli albanesi, ma questi ultimi ci aiutano? Si dirà che sono poveri e non hanno una lira; allora, mi spiego: il controllo dei porti, visto la fuga continua dei clandestini e la collaborazione con le nostre forze di polizia a che punto sono? Ho parlato diverse volte con l'attuale Premier Majko e mi sono reso conto che, purtroppo, non controlla assolutamente nulla, non ha alcun potere sul territorio albanese. Poco fa il collega Niccolini parlava di bande che combattono tra loro e questa è la tragica verità; a Valona e dintorni le nostre forze militari furono umiliate, qualche tempo fa gli scafisti presero i loro scafi sequestrati dalla guardia di finanza e quasi con il dito puntato dissero di non farlo più.
Quindi, mandiamo le truppe e stanziamo i soldi, ma mi chiedo che cosa le mandiamo a fare: se gli scafisti si riprendono i loro gommoni, quasi punendo e minacciando i nostri militari, facciamo figuracce, spendiamo soldi e ci facciamo mortificare (Applausi del deputato Armani).
Allora, vogliamo chiedere al Governo albanese che cosa faccia? Diamo loro i soldi - altri 70 miliardi - ed è giusto, altrimenti gli albanesi vengono tutti in Italia - perciò abbiamo sposato la causa della cooperazione, dello sviluppo e dell'aiuto all'Albania, e non da oggi -, però vorremmo anche sapere cosa si fa.
Io faccio sempre questo esempio: è come se la mattina dessimo 100 mila lire ad un vicino di casa povero e bisognoso per aiutarlo a campare e il giorno dopo egli ci graffiasse la macchina, rompesse la nostra cassetta della posta e facesse delle scritte sulla nostra porta di casa. Purtroppo, in molti casi gli albanesi si stanno comportando così: noi li aiutiamo, diamo loro i fondi e in cambio, soprattutto i clandestini che giungono in Italia, in percentuale rilevante, non mi pare (ahimè, i dati statistici lo dimostrano) che si comportino in maniera molto disciplinata - anche se poi vi è anche tanta brava gente, per carità -, mentre il Governo albanese non fa assolutamente nulla.
Ricordo anche al Governo, e in particolare all'onorevole Rivera che è stato protagonista di questi dibattiti, che in data 10 marzo 1998, discutendo sempre i soliti provvedimenti di aiuto all'Albania - miliardi e soldati -, ho presentato un ordine del giorno, firmato anche dal collega Rivolta del gruppo di forza Italia, che impegnava il Governo ad immediate intese per la riconversione delle coltivazioni di cannabis presenti in Albania.
L'onorevole Rivera accolse l'ordine del giorno come raccomandazione (questo tipo di raccomandazioni sono lecite, mentre le altre ovviamente, almeno in teoria, sono vietate). Successivamente, poiché le raccomandazioni servono a poco, in data 29 luglio 1998 - quindi più o meno 11 mesi fa - fu votato un ulteriore ordine del giorno firmato dagli onorevoli Fini, Tatarella, Tremaglia, Selva, Amoruso e Poli Bortone, con il quale, sempre in riferimento
Noi abbiamo appreso tali notizie nel luglio dell'anno scorso, da un'audizione parlamentare del prefetto Sotgiu, un prefetto italiano che è andato per conto dell'ONU (settore affidato all'ex senatore Arlacchi) a fare un'ispezione in Albania e che, durante un'audizione informale - quindi non verbalizzata, ma con documenti lasciati agli atti - presso la Commissione esteri, disse che le coltivazioni di droga in Albania esistevano. Recentemente, il 22 aprile, durante un'altra audizione informale presso la Commissione esteri il già senatore Arlacchi, vicesegretario dell'ONU e responsabile degli uffici dell'ONU di Vienna che si occupano della lotta al traffico di droga, ha rilasciato alcune dichiarazioni e consegnato un documento, che è agli atti della Commissione esteri, in cui è pubblicata una mappa delle coltivazioni di cannabis in Albania: sono presenti in 36 dei circa 38 distretti in cui è articolata l'Albania, quindi un po' ovunque.
Non vi è, dunque, soltanto la rilevazione del prefetto Sotgiu, ma anche la conferma del senatore Arlacchi, che certamente è un personaggio più gradito alle forze di Governo che non all'opposizione per i suoi precedenti orientamenti politici. Pertanto, cito una fonte quasi sacrale: quando parla Arlacchi non c'è null'altro da aggiungere o da obiettare.
Vorremmo sapere se il Governo si stia occupando di queste cose. Mi si risponderà che è difficile perché in Albania vi è un profondo degrado dell'ordine pubblico e civile. Lo sappiamo anche noi che vi è un grande caos, tuttavia si stanziano ulteriori 70 miliardi. Il generale Angioni ci ha raccontato dei vari programmi che l'Italia sta portando avanti, come quelli per la pubblica istruzione con la collaborazione del nostro Ministero dell'università (4 miliardi), per le politiche agricole e la riorganizzazione fondiaria (2 miliardi e mezzo), per la riorganizzazione delle corti di giustizia (15 miliardi), per i trasporti urbani (4 miliardi e mezzo). In quest'ultimo caso mi auguro che lo stanziamento non serva solo per fornire autobus della FIAT, che vengono distrutti in occasione delle rivolte e poi nuovamente forniti per arricchire ancora di più la famiglia Agnelli o gli altri produttori di autobus (anche se mi sembra che non vi siano molti altri «marchi controllati» oltre la FIAT).
Noi chiediamo al Governo di non ritenere i nostri atteggiamenti responsabilmente positivi irreversibili e da beoti. Sappiamo infatti che nei confronti del provvedimento in esame, che si occupa di soldati, di volontari a ferma prolungata, di personale che si reca in Macedonia e in Albania con i pacchi di pasta ma anche con qualche arma (perché non si sa mai che cosa potrebbe succedere), rifondazione comunista e verdi probabilmente
Noi vorremmo che fossero rispettati almeno gli atti parlamentari. Mi rendo conto che, bloccando gli aiuti all'Albania, si corre il rischio di far scappare tutti in Italia. Quegli ordini del giorno approvati (è auspicabile che l'Assemblea si renda conto di ciò che vota) sono un indirizzo, un orientamento; non mi illudo che, bloccando i fondi, gli albanesi distruggano nel giro di qualche giorno le coltivazioni di marijuana, ma un atto, una dichiarazione del Governo in tal senso vi è stata?
Per fortuna sono finite rapidamente le elezioni del Presidente della Repubblica perché i profughi kosovari sarebbero stati ancora costretti al bacio ed all'abbraccio, dalla sera alla mattina, degli aspiranti candidati al Quirinale. Avete notato che sono un po' diminuite le visite nei campi profughi? Non c'è più bisogno che uscenti ed aspiranti quirinalisti vadano nei campi profughi a baciare bambini per apparire nei telegiornali e commuovere non si sa chi. Noi che siamo deputati ad eleggere il Presidente della Repubblica non siamo insensibili ma neppure tanto fessi, per cui non ci facciamo condizionare dalle immagine serali dei telegiornali relative al Presidente uscente o a quella entrante che, baciando bambini, volevano prendere voti...
Qualcuno si è occupato di queste cose, onorevole rappresentante del Governo? Penso anche al ministro Turco e agli altri esponenti politici che, dopo essersi recati in quelle zone, hanno posto questi problemi. L'onorevole Fini, per esempio, a seguito di un incontro in Albania, pose il problema di un piano per la sicurezza in quel paese, che non fu accolto in maniera credibile dal Premier Majko, mentre maggiore attenzione dimostrò il capo dell'opposizione Berisha; quindi Fini rilevò la non affidabilità delle iniziative del Governo albanese. Noi però stiamo all'opposizione e non abbiamo la possibilità di incidere più di tanto.
Sicuramente va bene il provvedimento che approveremo - non so quali equivoci potrebbero ingenerarsi se assumessimo atteggiamenti diversi: si direbbe che non siamo a favore della NATO, che non siamo occidentali, che non siamo umanitari, che non siamo buoni, che non ci commuoviamo per i bambini -, ma vorremmo capire la situazione anche sotto altri profili. Il Presidente del Consiglio propone di inviare le navi a prendere i profughi. Chi garantisce? Non dimentichiamo che il provvedimento in esame contiene una norma molto generosa - gli articoli 6-bis e 6-ter - in base alla quale si riconosce lo status di rifugiato più o meno a tutti coloro i quali sono giunti in Italia dal Kosovo dichiarandosi kosovari. Ho detto «dichiarandosi» perché i kosovari sono perseguitati, massacrati e sottoposti a pulizia etnica (non tocca a me richiamare la nostra tempestiva attenzione nei confronti di questo popolo) ma in Kosovo, fra le tante cose fatte da Milosevic, vi è stata la distruzione dell'anagrafe. I kosovari hanno difficoltà oggettiva a certificare la loro provenienza da quei luoghi. È difficile distinguere un macedone da una persona che viene da altre zone dei Balcani o dall'Albania in senso stretto o da un kosovaro.
Quali sono le procedure di riconoscimento e di identificazione che consentono di applicare l'articolo 6-bis? La norma si applica a tutti coloro che giungono dal Kosovo e non soltanto a coloro che, con l'assistenza del nostro paese, sono stati accolti nella base di Comiso e sono stati, in qualche modo, individuati ed identificati nei centri di raccolta.
È in grado il Governo di verificare se un profugo che chiede di entrare nel nostro paese venga effettivamente dal Kosovo o se si tratti di un clandestino proveniente da altre aree balcaniche?
Il nostro paese sta facendo una guerra di notte; anche l'Italia - nonostante mille ipocrisie - sgancia bombe che cadono talvolta in Adriatico, talvolta su obiettivi sbagliati e talvolta sugli obiettivi giusti; facciamo la guerra di notte per evitare che i kosovari siano cacciati dal Kosovo; dopodiché decidiamo, con il disegno di legge al nostro esame, di mandare le navi per portare via i profughi da quel paese. Il risultato è che, di fatto, si sta facendo quel che vuole Milosevic: che i kosovari vadano via.
Riteniamo, pertanto, giusta l'assistenza temporanea a donne, bambini e malati, ma dobbiamo soprattutto puntare alla permanenza in condizioni decenti dei profughi nei centri di raccolta e nel loro paese. Del resto, i profughi si lamentano perfino del trattamento riservato loro a Comiso, come leggiamo dalle cronache dei giornali in cui si parla di disorganizzazione e di problemi nell'alimentazione. Allora, se si sta male nella base di Comiso che dovrebbe essere - almeno dal punto di vista edilizio - accogliente, figuriamoci come si possa stare a Kukes o altrove.
In conclusione, non possiamo fare annunci del genere in cui si dice che manderemo le navi. Infatti, in primo luogo, consentiamo a Milosevic di realizzare il suo obiettivo; in secondo luogo, generiamo un'aspettativa che si combina con quella suscitata da quanto disposto dall'articolo 6-bis: chiunque arriva da quell'area ottiene il permesso di rifugiato, dopodiché è difficile dimostrare che si tratti effettivamente di un profugo kosovaro o di un clandestino proveniente dall'area balcanica. Il risultato è appunto quello di incoraggiare un esodo di clandestini e, unitamente, le attività degli scafisti e dei mascalzoni. Infatti, l'Albania diventerebbe sempre più un luogo di passaggio e gli scafisti - che seguono quanto viene deciso in Italia - continuerebbero la loro attività aumentando il costo dei passaggi ed alimentando il flusso di clandestini.
Signor Presidente, provvedimenti così generalisti ed utopistici rischiano di far lievitare la borsa dello scafismo e di far aumentare il transito non dei veri profughi kosovari, ma dei clandestini in genere.
È necessario, invece, che i profughi kosovari siano aiutati affinché non siano allontanati dalla propria terra, così come si sta sostenendo in Europa. Leggevo, infatti, alcune dichiarazioni preoccupate sulla politica di svuotamento umanitario che si sovrapporrebbe allo svuotamento disumano dei massacri serbi.
Vi è poi la disposizione contenuta nell'articolo 6-ter, in virtù della quale verrebbero ammessi sul territorio nazionale i cittadini stranieri provenienti dalle aree interessate dagli eventi bellici, in età di leva, che siano disertori, renitenti o obiettori di coscienza. Il senso di questa norma è evidente: il giovane serbo, mandato a fare la guerra contro i kosovari, se si dichiara obiettore o renitente alla leva e non partecipa ai massacri, viene applaudito dalla comunità internazionale e accolto in Italia. La ratio della norma, apparentemente, è valida: vogliamo togliere soldati, giovani di leva a Milosevic, proponendo loro di sfuggire alla prevedibile persecuzione e di rifugiarsi in Italia.
Signor Presidente, signor sottosegretario, ammettiamo che un serbo compia stupri e massacri nel Kosovo, dopodiché decida di dichiararsi disertore e di rifugiarsi nel nostro paese.
L'altro giorno un pentito, che era ospitato non so dove a spese dello Stato, ha ammazzato un extracomunitario -
Non vorremmo che questo articolo per i disertori serbi portasse, allora, ad un cottimismo dello stupro. Uno potrebbe, infatti, aver partecipato a guerra e massacri ma poi, vedendo che arrivano le forze della NATO, potrebbe ragionare in questo modo: visto che le cose volgono al peggio, quasi quasi mi faccio disertore. Ricordo una vecchia scenetta di Aldo Fabrizi il quale impersonava un bambino a cui veniva chiesto che cosa volesse fare da grande. Egli rispondeva che voleva fare il soldato e quando gli veniva obiettato che si tratta di un mestiere pericoloso, perché c'è il nemico che spara, replicava: «Ah sì, il nemico spara? Allora io fo il nemico!» Non vorremmo, insomma, che il soldato serbo, dopo aver completato la sua opera, ad un certo punto si dichiarasse pentito e favorevole alla NATO per venire in Italia: c'è il rischio, infatti, che poi i kosovari - o i cosiddetti kosovari - ed i disertori - o i cosiddetti disertori - si rincontrino in Italia e riprendano le guerre etniche.
Insomma, signori, noi vorremmo che tali questioni venissero trattate con maggiore serietà. Sappiamo che le vicende belliche e gli esodi di massa sono situazioni tragiche e difficili da governare, tuttavia vediamo debolezze strutturali nella politica estera e militare italiana. Nel mio intervento ho voluto rilevare, in primo luogo, la mancata riforma dello strumento militare (non parlo del nuovo modello di difesa, di cui in Commissione difesa sono ormai state raccolte vere collezioni, che probabilmente verranno vendute a fascicoli con i CD-Rom e le videocassette in omaggio). Ci sono i quindici giorni di Scognamiglio: prego il suo sottosegretario di ricordarglieli.
Non so se si farà il rimpasto, ma poiché, stando a quanto si legge, potrebbe rischiare il posto, presenti questo disegno di legge, al massimo lo cacceranno (Applausi del deputato Armani)! Visto che, a quanto pare, forse lo cacceranno lo stesso, almeno il suo nome rimarrà negli atti parlamentari e qualcuno lo ricorderà! Se il disegno di legge sarà fatto bene, noi lo sosterremo apertamente: dico questo per agevolare la possibilità che Scognamiglio sia allontanato dal Governo, considerato che il suo presunto disegno di legge, simile a quelli che noi presentiamo da vent'anni, ci vede d'accordo, il che certamente non lo aiuta! D'altronde, noi abbiamo il dovere di aiutare i kosovari, non Scognamiglio.
Rileviamo, insomma, la mancanza di una strategia precisa e fattiva che permetta di avere reparti di qualità che ci consentano di evitare decreti-legge di questo tipo e di disporre di quegli organici militari che ci consentano, in situazioni come quelle della Somalia, del Libano, della Bosnia, del Kosovo e di tutte quelle vicende che ci auguriamo domani non si verifichino anche se temiamo il contrario, di trovarci preparati.
In secondo luogo, riteniamo necessario il rispetto da parte dell'Albania di alcuni obiettivi di fondo, sanciti dal Parlamento. Le coltivazioni di droga esistono, non lo dice alleanza nazionale, ma il prefetto Sotgiu e non solo lui, anche il vicesegretario generale dell'ONU Arlacchi, come risulta dall'audizione del 22 aprile 1999 presso la Commissione esteri: c'è pure una piantina dell'Albania con l'indicazione, nei vari distretti, delle piantagioni di marijuana, perché le Nazioni Unite hanno realizzato una sorta di mappa delle coltivazioni di droga!
Abbiamo allora il diritto di chiedere - a fronte degli ulteriori 70 miliardi - un impegno tendenziale, un inizio di riconversione. È inutile che poi ci facciano vedere i roghi di hascisc bruciati in Iran, perché vorremmo capire anche cosa succeda
Se si uscirà dalla fase topica dell'emergenza, chiederemo formalmente al Governo di rispettare le mozioni del Parlamento, che si è pronunciato in proposito. Non vogliamo che si blocchino gli stanziamenti, ma almeno che ci venga data notizia - e prego il sottosegretario di farsene carico - in merito all'esistenza di un tentativo di avviare una politica di riconversione di queste coltivazioni. Ho più volte proposto che si provveda alla piantagione di ulivi: visto che l'ulivo non va più di moda in Italia, piantiamolo in Albania, a spese nostre! Prodi adesso è anche Presidente della Commissione europea, quindi può portare questa pianta!
Riteniamo infine giusto il principio dell'accoglienza, ma nel testo è accompagnato da criteri troppo vaghi ed equivoci, troppo aperti ad infiltrazioni di non profughi e troppo generosi anche nei confronti dei presunti disertori. Si sa, infatti, che «fatta la legge, trovato l'inganno». Non vorrei che alla fine si registrasse un fallimento ulteriore della nostra politica militare in Adriatico. Inoltre, stiamo parlando di un'emergenza certamente grave, ma che riguarda un piccolo territorio. Non parliamo, poi, dell'Italia che si proietta su scenari più vasti.
Il nostro assenso a questo tipo di provvedimenti è molto condizionato dalle critiche che abbiamo voluto esprimere in modo che il Governo non si illuda che la nostra responsabilità sia, in realtà, un'irresponsabilità di fronte alle questioni di fondo che ci stanno a cuore e che abbiamo voluto ricordare, perché noi ci battiamo per esse in favore degli italiani, dei kosovari e di tutta la comunità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.