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PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Tremaglia ed altri n. 6-00086 (Nuova formulazione), Comino n. 6-00087, Bertinotti ed altri n. 6-00088 e Malavenda n. 6-00089 (vedi l'allegato A - Risoluzioni sezione 1).
Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Comino. Ne ha facoltà.
DOMENICO COMINO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, a nome del gruppo complimenti per la sua egregia interpretazione del ruolo di servitor cortese.
PRESIDENTE. L'ascolto è la premessa per la comprensione, questo è un fatto tecnico. Prego, onorevole Comino.
DOMENICO COMINO. Nel momento in cui si svolge questo tardivo dibattito sono trascorsi esattamente cinquantacinque giorni dall'inizio dei bombardamenti e della guerra nei Balcani, senza che la stessa sia mai stata deliberata da alcuno dei Parlamenti che si autodefiniscono democratici e sovrani e che si riconoscono - più per sudditanza politico-militare che per effettivo rango paritetico - nella NATO, cioè nelle posizioni volute e imposte a questo Governo dall'amministrazione Clinton.
che vi era bisogno di mine antiuomo in Corea. Ci si chiede allora perché la NATO non abbia bombardato le città americane in cui sono fabbricate le mine e perché Bill Clinton non sia stato deferito di fronte al tribunale internazionale per i crimini contro l'umanità.
sono stati tutti. Infatti, le richieste formalizzate dalla lega nord per l'indipendenza della Padania al Presidente Milosevic sono state tutte accolte e sono state le sole, serie proposte avanzate dall'unico partito e movimento politico di opposizione occidentale non filoserbo, ma fermamente intenzionato a non avallare la liquidazione dell'ONU, ma anzi a ribadirne il ruolo di unico arbitro internazionale (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
tardi, dal 14 giugno - il primo compito del neoeletto Capo dello Stato fosse la constatazione della crisi e l'apertura formale della stessa con le consultazioni dei segretari di partito.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leccese. Ne ha facoltà.
VITO LECCESE. Presidente, colleghe e colleghi, Presidente del Consiglio, noi apprezziamo fortemente le parole di incoraggiamento che lei ha voluto rivolgere in apertura della sua comunicazione di quest'oggi al neo Premier israeliano Barak, perché anche noi riteniamo che il risultato delle elezioni politiche israeliane possa rappresentare la ripresa che noi tutti auspichiamo del processo di pace in Medio Oriente. Non possiamo, invece, condividere pienamente la valutazione che lei ha fatto sulla situazione militare e sui suoi futuri sviluppi e, in particolar modo, non possiamo condividere pienamente la cadenza temporale che lei ha illustrato in ordine ai passi da muovere nella direzione della pace.
PAOLO GALLETTI. Ministro della difesa, ascolti il Parlamento!
VITO LECCESE. Vuol dire, al contrario, incoraggiare e sostenere ogni cenno di disponibilità per verificare se quei segnali potranno diventare sufficienti alla ripresa del negoziato. Ogni segnale va incoraggiato e sostenuto anche perché il nostro interlocutore non può e non deve essere solo Milosevic ma anche quella parte della politica e della società civile serba che, oggi, finita la sbornia nazionalista, si interroga su quanto sta avvenendo. Proprio in queste ore si levano da Belgrado voci significative di un dissenso nei confronti della leadership di Milosevic.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Niccolini. Ne ha facoltà.
GUALBERTO NICCOLINI. Signor Presidente del Consiglio, con tutto il rispetto e l'affetto per la città di Bari, credo che una città più indicata per quell'incontro e quella conferenza sui Balcani avrebbe potuto essere Trieste, per la sua storia, per essere stata la prima città in Italia a conoscere da vicino, molto da vicino, la pulizia etnica, a conoscere da vicino, molto da vicino, il dramma dei profughi. Oggi parliamo di un milione di kosovari; poco meno di cinquant'anni fa parlavamo di 350 mila italiani, che non hanno avuto
modo né maniera di poter ritornare nelle loro terre. Credo quindi che una città più segnata di Trieste dalla follia della politica etnica balcanica non ci sia in questo momento in Italia. Ma Trieste può cedere il privilegio di questa conferenza anche a Bari, città adriatica gemellata a Trieste. Ricordo solo che questa conferenza panbalcanica fu propugnata proprio da forza Italia per prima, in questa sede, con un ordine del giorno votato quasi un anno fa, quando ritenevamo che soltanto mettendo attorno a un tavolo tutte le componenti di quel variegato e terribile mondo balcanico forse si sarebbe potuto trovare un equilibrio di pace.
i bombardamenti prima ancora di riuscire a parlare con questi signori, dando quindi ancora una volta a loro la vittoria (la stessa vittoria che hanno avuto in Bosnia qualche anno fa) e non discutiamo, invece, della necessità che la trattativa non avvenga con Milosevic. Ma di questo ancora non abbiamo mai sentito parlare; eppure quando si va in quei territori, a Skopje, a Tirana, si avverte questo grande desiderio dei più convinti pacifisti, di coloro che sono meno amici degli albanesi: con Milosevic, comunque, non si può trattare. Credo che su questo punto dovremo fare chiarezza (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Soro. Ne ha facoltà.
ANTONELLO SORO. Signor Presidente, abbiamo sostenuto con grande convinzione l'azione del Governo italiano, l'attuale ed il precedente, per riportare la pace nel Kosovo; in particolare dopo l'impasse di Rambouillet, abbiamo condiviso il giudizio secondo il quale, per risolvere la crisi nei Balcani, per interrompere la guerra di sterminio condotta dal Governo serbo contro i cittadini kosovari di etnia albanese, non fosse sufficiente l'azione politico-diplomatica, ma fosse necessaria un'azione militare.
comporta e anche per alcuni errori che, forse, ineluttabili non sono. Quest'ultima condizione è destinata con ogni evidenza a crescere con assoluta e inarrestabile velocità. Ma le scelte che noi vorremmo indicare al Governo non debbono fondarsi sulle emozioni, che pure sono legittime, signor Presidente, perché sarebbe davvero strano se una tragedia come l'attuale, che interroga e sollecita acutamente la coscienza dei cittadini italiani - anzi credo dei cittadini di tutto il mondo - non producesse dubbi e inquietudini nel Parlamento libero di un paese che ha fondato nel valore della pace la carta fondamentale della sua convivenza.
MARCO TARADASH. Vergognatevi di quello che state dicendo!
ANTONELLO SORO. Taradash, nella tua storia politica forse hai qualche ragione in più di noi per vergognarti (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).
MARCO TARADASH. No, vergognatevi voi!
ANTONELLO SORO. Signor Presidente, noi non abbiamo nessuna certezza che una sospensione dei bombardamenti possa favorire il progetto che lei qui ha rappresentato. Forse ciò sarà anche inutile, ma qualcuno può sostenere con certezza il contrario, cioè che una pausa nell'azione devastante di bombardamento aereo per qualche settimana possa impedire la pace, possa ritardare e compromettere l'obiettivo di un accordo diplomatico? Credo che nessuno possa avere tale certezza. Capisco la diffidenza dei titolari dell'azione militare per quella che può apparire un'indebita intrusione su tali scelte; capisco meno la diffidenza di quanti hanno responsabilità politiche.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Taradash. Ne ha facoltà.
MARCO TARADASH. Signor Presidente del Consiglio, non so se ho compreso male il suo intervento o se l'abbia compreso male il collega Soro, ma non mi sembra che le posizioni espresse poco fa rispecchino ciò che lei ha dichiarato nel suo intervento.
PRESIDENTE. Onorevole Taradash, deve concludere.
MARCO TARADASH. ...e la posizione di Bertinotti, Soro e della sua maggioranza che si dichiarano favorevoli ad un'immediata tregua unilaterale.
non un accordo bipartisan ma una sostituzione di maggioranza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhetto. Ne ha facoltà.
ACHILLE OCCHETTO. Signor Presidente, sono reduce da un'esperienza impressionante in Albania - dove le maggiori autorità di quel paese hanno dimostrato di volere chiaramente l'intervento di terra o, in mancanza di questo, bombardamenti a tappeto su Belgrado e sulla Jugoslavia - e in Macedonia, dove le autorità mi hanno parlato del pericolo di una bomba biologica, cioè dello scoppio di un'epidemia durante l'estate, e del rischio di una guerra civile nel caso di un eventuale intervento di terra.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, signori del Governo, colleghe e colleghi, ormai è chiaro che questa guerra non si sta facendo per il popolo albanese del Kosovo, né per alleviare le sofferenze dei profughi.
offesi. C'è un modo, tuttavia, per riscattare il fatto che l'Italia sia stata trattata da serva, come continuano a fare gli americani: intraprendere un'iniziativa di pace che veda l'Italia protagonista.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Follini. Ne ha facoltà.
MARCO FOLLINI. Signor Presidente, l'opposizione le ha dato atto, più volte, di aver assunto, su questo tema, una posizione più lineare e condivisibile di quella della sua stessa maggioranza. Questa differenza, che non riguarda solo i toni, gli accenti, gli aggettivi e le misure, ma riguarda, in qualche modo, anche i contenuti, noi l'abbiamo colta anche oggi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Orlando. Ne ha facoltà.
FEDERICO ORLANDO. Signor Presidente, colleghi, ringrazio il Governo di aver saputo mantenere nell'avventura della NATO l'autonomia compatibile con gli impegni internazionali dell'Italia, ancorché travisati dall'eclissi dell'ONU e dalla trasmutazione genetica della NATO stessa passata, per volontà anglosassone, da strumento di difesa dell'Occidente a strumento di guerra etica. Una definizione buona per veicolare ideali nobilissimi di tutti noi, ma anche interessi meno nobili di qualcuno fra noi.
in più pagandola con milioni di morti e mutilati o con la dittatura. Non di meno sono neutrale - anzi, non lo sono affatto - verso Milosevic. Se in politica vi fosse posto per sensazioni e istinti personali, avrei un pregiudizio fisico a trattare con lui, con quella faccia su cui mi sembra impossibile che si materializzi almeno l'ombra del dubbio e che ci ricorda quanta ragione avesse quel ribaldo di Lorenzino de' Medici quando nella Apologia del tirannicidio scriveva che i tiranni, comunque ammazzati, sono morti bene.
Costituzione della Repubblica italiana, quella che afferma il ripudio della guerra come mezzo per la soluzione di controversie internazionali, che ammette per l'Italia soltanto la guerra difensiva, che statuisce che il Presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dal Parlamento; dal Parlamento, colleghi, e non dalla NATO, da Clinton o da Blair.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tremaglia. Ne ha facoltà.
MIRKO TREMAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, qualche giorno fa, insieme all'onorevole Fini, sono stato in Albania. In Albania abbiamo visto tutto quello o parte di quello che si racconta sui giornali e nei discorsi che noi facciamo.
bombardamenti (ciò rientra pure nella discussione odierna). Signor Presidente del Consiglio, proviamo ad immaginare come sarebbe catastrofico il seguente scenario: si decide lo «stop» unilaterale dei bombardamenti; si tenta di trattare per vie diplomatiche con un interlocutore inaffidabile come Milosevic e nel frattempo gli albanesi del Kosovo continuerebbero ad essere perseguitati e cacciati dalle loro terre e i profughi perderebbero ogni speranza di tornarsene a casa. Sarebbe un incubo! «Tuttavia» - è sempre lei che parla - «una tregua nelle condizioni attuali può sfociare nella accettazione di una sconfitta non della NATO, ma della popolazione kosovara».
che allora scatta immediatamente il primo punto di questa dimostrazione attraverso la tregua. Ottenuto l'assenso del Consiglio di sicurezza, potremo dare corso - non è una questione di buona volontà, ma di fasi di una operazione che deve essere valida a tutti i costi - ad una tregua con la sospensione dei bombardamenti: nell'immediato Belgrado deve però dare esecuzione alle deliberazioni del Consiglio di sicurezza. E se non lo fa?
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Brunetti. Ne ha facoltà.
MARIO BRUNETTI. Signor Presidente, nel dibattito aperto in quest'aula all'inizio della sciagurata aggressione della NATO contro uno Stato sovrano non facevamo nessuna profezia particolare affermando che questa guerra insensata sarebbe durata a lungo. Leggevamo soltanto con un
po' di raziocinio la storia e gli avvenimenti, prevedendone gli sbocchi devastanti. Chiedevamo allora, come abbiamo continuato a chiedere, una presa di distanza dell'Italia dall'avventura e un suo ruolo attivo per riportare la drammatica vicenda del Kosovo nell'alveo di una trattativa diplomatica garantita a livello internazionale.
arsenali di guerra, riempiendo, magari, anche il mare di casa nostra di ordigni «umanitari».
che, ancora una volta, come sempre è avvenuto nella storia, il Mezzogiorno sia vittima sacrificale sul terreno economico di una guerra non sua e diventi una terra neocoloniale «gonfia» di disoccupati che la disperazione spinge a diventare carne da macello volontaria nelle operazioni di terra. In secondo luogo (è un aspetto che sento in modo particolare per la mia connessione sentimentale con il popolo albanese), con la fine della guerra, occorre impedire oggi ciò che gli angloamericani volevano realizzare nell'immediato dopoguerra: un'Albania come protettorato occupato permanentemente dalle loro truppe. Ciò offenderebbe la storia grande di un popolo che orgogliosamente ha difeso la propria indipendenza, per la quale hanno lottato l'italo-albanese De Rada, Isa Boletini, Ismail Kemali, Luigi Kuracuqi e, in tempi a noi più vicini, anche gli italiani del battaglione Gramsci impegnati nella lotta di liberazione di quel paese.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rebuffa. Ne ha facoltà.
GIORGIO REBUFFA. Signor Presidente del Consiglio, ancora una volta stamattina ho apprezzato le sue dichiarazioni, anche se devo dire che ho riscontrato lo sforzo, ormai giunto al limite, che lei ha fatto per conciliare posizioni sempre più difficili da tenere insieme.
considerazione rispetto a 6 milioni di ebrei.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crema. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, i deputati socialisti apprezzano l'intervento del Presidente del Consiglio che è risultato coerente con l'operato del Governo in questa tragica ed inevitabile azione che stanno conducendo i paesi democratici dell'alleanza atlantica.
dei bombardamenti. Su questo vi è il nostro convinto sostegno né mancherà il nostro voto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mussi. Ne ha facoltà.
FABIO MUSSI. Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il desiderio di una pace giusta e di uno stop definitivo alla persecuzione del popolo kosovaro, alla pulizia etnica di Milosevic ed il desiderio della sconfitta di quell'odio razziale che ieri il Presidente Ciampi ha indicato in quest'aula come la «peste d'Europa» sono largamente condivisi in questo Parlamento, nella maggioranza ed oltre.
politiche sono due: in primo luogo, la disponibilità ad un'opera di mediazione, non interrotta nonostante l'acuta crisi politica degli scorsi giorni a Mosca, della Russia e la disponibilità di massima della Cina a partecipare al processo negoziale; in secondo luogo, la piattaforma, elaborata in otto punti, del G8, subito «gelata» dall'incidente - chiamiamolo così per amor di patria - del bombardamento dell'ambasciata cinese, che tuttavia resta sul tavolo come la proposta più elaborata, matura, condivisa per una soluzione politica della crisi, oltre i falliti accordi di Rambouillet e Parigi.
che esclude tregue indipendenti da esso ma che non può non includere un'idea, un'ipotesi di tregua e di sospensione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frau. Ne ha facoltà.
AVENTINO FRAU. Signor Presidente, credo che dobbiamo dare atto al Presidente del Consiglio, ormai nelle numerose volte in cui ci siamo ritrovati in quest'aula a discutere di questo terribile argomento, di aver mantenuto una sua personale coerenza che forse talvolta è contrastata da una coerenza politica della maggioranza che è costretto a tenere insieme nonostante le gravissime difficoltà.
Se, dunque, abbiamo fatto tutto questo, chiediamoci perché sia stato fatto e chi l'abbia fatto.
questo punto, possano operare solo organismi internazionali e solo nell'accordo generale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.
FRANCESCO MONACO. Ho giudicato dolorosamente inevitabile l'intervento militare in Kosovo. Ho sostenuto il Governo che ha saputo assumersi le proprie responsabilità nel quadro di alleanze liberamente scelte e, insieme, si è posto in prima fila nel soccorso umanitario e nel tenace e contestuale - cioè non differito nel tempo - impegno politico e diplomatico mirato ad una soluzione negoziata.
dunque fa bene il Governo a non darsi per vinto, a riproporre in tutte le sedi competenti la propria iniziativa.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone, al quale ricordo che
dispone di quattro minuti di tempo. Ne ha facoltà.
MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, io ritengo che in questo momento si debba fare una valutazione complessiva di questi giorni di guerra e della partecipazione del nostro paese ad azioni militari. Lei lo ha fatto anche nel suo intervento questa mattina e giudico estremamente apprezzabile lo sforzo di cercare una soluzione pacifica, così come è stato auspicato dal Parlamento e dalle forze politiche e sociali del nostro paese. All'inizio del suo intervento lei ha espresso il convincimento che l'intervento della NATO non abbia trovato uno sbocco e una soluzione: questo è un dato di fatto.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà, per tre minuti.
TEODORO BUONTEMPO. Le agenzie di stampa già diffondono le modifiche al documento del Governo e della maggioranza, ma i deputati ancora non ne conoscono il testo. Quindi, mi rivolgo al Presidente perché disponga che esso ci venga fatto conoscere in tempo utile, in modo che tutti i deputati possano fare il dovuto approfondimento.
quando è in difficoltà? È vero che la domanda ha fondamento, ma è vero anche il contrario: può l'opposizione continuare ogni volta e ancora una volta a sostituirsi a pezzi della maggioranza quando essa è in difficoltà? Credo che l'opposizione debba cambiare metodo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del Governo.
Nel momento in cui si svolge questo tardivo dibattito sulla situazione in Kosovo sono trascorsi esattamente (Commenti del deputato Aloi)...
Se hai la pazienza di ascoltare, puoi anche capire qualcosa!
Come scrive Tournier, la prima e fondamentale domanda riguarda il ruolo dell'America in questa vicenda. Ecco la risposta: non è l'America, è la NATO. Ma cos'è la NATO? Non sarà forse un altro nome dell'America?
Nel 1983 gli Stati Uniti hanno attaccato, invaso e colonizzato uno Stato sovrano vicino, l'isola di Grenada. Perché la NATO non è intervenuta per porre fine a quell'aggressione?
Nel dicembre 1997 a Ottawa, signor Presidente del Consiglio, 121 paesi hanno firmato un trattato che vieta la fabbricazione e la vendita di mine anti-uomo. L'America è stata l'unico Stato occidentale che non ha sottoscritto il trattato. La spiegazione che Bill Clinton ne ha dato è
In tutta questa vicenda non si è mai visto un moto di orgoglio, una volontà politico-negoziale dell'Europa, ma sempre e solo un suo appiattimento sul volere bellicoso degli angloamericani. Qualcosa sta forse cambiando in queste ore in cui molti di coloro che cinquantacinque giorni fa si sono schierati contro le nostre posizioni antinterventiste e pacifiste riscoprono oggi posizioni dettate, a mio avviso, più dall'approssimarsi delle elezioni europee che dalla voglia effettiva di pace (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
La verità è che i Governi europei non hanno autorevolezza politica e perciò non vogliono e non possono fare niente, salvo ciò che è voluto e dettato da oltre Atlantico. Forse proprio in questo senso è da leggersi la sua brusca virata di rotta, signor primo ministro, che, da convinto guerrafondaio dei primi giorni, si presenta in quest'aula oggi con in mano un ramoscello d'ulivo (senza allusioni politiche). Non sarà forse che il 24 maggio prossimo finisce il potere discrezionale di Clinton di bombardare la Jugoslavia senza la dichiarazione di guerra del Congresso? Questo lo stabilisce una legge americana del 1973, approvata dal Congresso nonostante il veto presidenziale. Si tratta della war power resolution, della quale tutti tacciono e che molti vorrebbero, perché mai applicata, fosse ignorata. Si tratta invece di una legge tuttora in vigore, che limita in sessanta giorni la facoltà nell'uso della forza militare da parte del Presidente degli Stati Uniti. In poche parole, lunedì 24 maggio o Clinton farà cessare i bombardamenti oppure chiederà al Congresso americano la formale dichiarazione di guerra degli Stati Uniti d'America contro la Repubblica federale di Jugoslavia.
È significativo in tal senso il comportamento del Congresso americano in merito alla tragedia del Cermis. Un aereo USA della base di Aviano con volo radente trancia i cavi di una cabinovia in località Cermis in Trentino, causando ventiquattro morti. La corte marziale americana assolve il pilota. Il Presidente Clinton promette a lei, signor Presidente del Consiglio, e prima ancora al suo predecessore, per ottenere il via libera all'uso delle basi USA in Italia per la guerra nei Balcani, un risarcimento di 40 milioni di dollari alle famiglie delle vittime. Il Congresso USA vota e nega lo stanziamento: vuol dire che, se l'esercito USA non ha responsabilità, come ha stabilito la corte marziale, non c'è motivo di risarcire le vittime. Solo chi ha torto deve pagare il risarcimento dei danni.
Il vero nocciolo della questione, però, onorevole D'Alema, è il braccio di ferro tra Clinton ed il suo Congresso. Negando lo stanziamento per il risarcimento delle vittime del Cermis, il Congresso statunitense ha preso le distanze dal Presidente, non condividendo l'uso che lo stesso fa delle forze armate americane all'estero.
Non possiamo cadere in questo tranello: se i bombardamenti dovessero cessare, non sarà per la sua azione politico-diplomatica in quel di Bari, ma sarà perché gli umori politici del Congresso americano sono contrari al Presidente Clinton e, soprattutto, sono contrari all'invio di truppe di terra che, guarda caso, non sono poi così americane, ma composte dalla popolazione etnicamente di colore americana ed ispano-americana. Questo è il prezzo che si fa pagare alle minoranze etno-americane negli Stati Uniti per ottenere il pieno diritto alla cittadinanza sotto la bandiera a stelle e strisce.
Signor Presidente del Consiglio, io che sono stato per libera scelta sotto le bombe di Belgrado con l'onorevole Bossi, il dottor Morandi ed altri, ed ho proposto a Milosevic di liberare i prigionieri americani, di investire l'ONU della controversia in Jugoslavia e di liberare Rugova, posso dire oggi di aver lavorato per la pace senza altri, reconditi scopi. I segnali di disponibilità da parte del Governo Jugoslavo ci
Voi, invece, avete voluto far credere alla gente di difendere le popolazioni del Kosovo con la guerra e, in realtà, le avete bombardate provocandone la diaspora; avete voluto far credere di colpire gli obiettivi militari ma, in realtà, avete commesso una strage di civili; volevate indebolire politicamente Milosevic con le bombe, ma invece con esse lo avete rafforzato al punto che è e rimane per lei, per la NATO, per Clinton e quant'altri, l'unico interlocutore politico per la soluzione della crisi. Diciamolo francamente: non è che i vostri consiglieri ed analisti politico-militari abbiano in qualche modo «toppato», signor Presidente del Consiglio?
Gli altri, lei, signor Presidente del Consiglio, i capi della sua maggioranza e quelli della sua opposizione, che hanno inneggiato alla guerra, che hanno acconsentito all'uso delle basi di Aviano, Ghedi, Istrana, Gioia del Colle per far partire le macchine mortali dei 19 paesi più grandi del pianeta contro le popolazioni inermi, che hanno voluto usare la forza invece della diplomazia, che hanno voluto distruggere ed uccidere invece che discutere, hanno dimostrato, oltre alla loro pericolosità, anche disprezzo verso il buonsenso e verso la pacifica convivenza dei popoli.
Nessuno è convinto che Milosevic sia un santo - anzi credo abbia responsabilità gravissime -, ma certamente i morti e coloro che sono stati costretti ad abbandonare le loro case e la loro terra avevano ed hanno tutto il diritto di essere difesi, tutelati e capiti e non di essere bombardati proprio da coloro che dicono di bombardarli per proteggerli.
È strana la politica. È spietata la ragion di Stato, quando antepone gli interessi economici, cioè il valore del denaro, ai valori degli esseri umani e dei popoli. Che questa sia stata una guerra fatta solo in nome della supremazia economica americana è fuori di dubbio. Sconcerta che paesi guidati da ex comunisti si siano schierati con i loro atavici nemici, cioè al fianco degli imperialisti americani, ma la gente sta capendo tutto: sta capendo! Infatti i guerrafondai del Polo e dell'Ulivo dovranno rispondere del loro cinismo e dovranno fornire spiegazioni ai cittadini del lago di Garda, come ai cittadini di Chioggia, in merito alle bombe colà sganciate da aerei NATO; dovranno rispondere, oltre che delle catastrofi umane, anche dei costi economici, non solo della guerra e della ricostruzione del Kosovo e della Serbia, ma pure dell'invasione di migliaia di clandestini che ogni notte con i gommoni ancora arrivano in Puglia. Per non parlare dei danni all'economia turistica del lago di Garda, della Puglia e dell'Adriatico in generale!
Non vorremmo, signor Presidente, che in caso di interruzione dei bombardamenti ci si scordasse di questa problematica: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto! Le vittime del Cermis stanno attendendo: non vorremmo che si trovassero nella stessa condizione di attesa anche questi cittadini danneggiati dall'evento bellico.
Se le cose stanno così, entro il 24 maggio dovrà essere rimesso all'ONU tutto il problema della guerra dei Balcani. Anche il percorso che, in qualche modo, lei ha individuato, signor Presidente del Consiglio, nelle sue comunicazioni al Parlamento pare riscoprire un problema di fondo: se oggi, a 55 giorni dall'inizio dei bombardamenti, si chiede all'ONU di approvare una risoluzione, significa che avete iniziato una guerra senza che vi fosse nessuna risoluzione dell'ONU. E se così è, ammesso che lei abbia ancora una maggioranza per seguire questa iniziativa politico-diplomatica negoziale, non vorremmo che dal 25 maggio - o, al più
A quel punto, signor Presidente del Consiglio, lei si dovrà chiedere e tutti ci dovremo chiedere perché 60 giorni di bombardamenti della NATO siano stati necessari per fare ciò che sarebbe stato possibile fare senza tutte le distruzioni ed i morti che vi sono stati.
Noi siamo orgogliosi delle nostre posizioni antinterventiste e pacifiste: non le abbiamo assunte per biechi fini elettorali, perché parliamo direttamente alla gente senza la mediazione ed i pietismi dei mezzi di informazione di regime. La ringrazio e buon lavoro, signor Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi della lega nord per l'indipendenza della Padania e misto-rifondazione comunista-progressisti - Congratulazioni)!
Dopo 55 giorni di guerra appare ormai chiaro a tutti, anche a coloro i quali hanno sostenuto strenuamente l'intervento militare (e noi verdi non eravamo certamente fra questi) che la strategia della NATO non ha raggiunto gli obiettivi prefissati, anzi le condizioni del conflitto si sono drammaticamente deteriorate e l'escalation dei bombardamenti ha stravolto la concezione iniziale, chirurgica e selettiva, che ad essi era attribuita. I bombardamenti sono diventati indiscriminati e crudeli, hanno colpito sempre più - non sappiamo se per errore o per scelta militare - obiettivi civili.
Il gravissimo e imperdonabile errore - se di errore si tratta - del bombardamento dell'ambasciata cinese avvenuto mentre sulla proposta di pace del G8 si stava coinvolgendo proprio la Cina (perché è necessario, come lei ha ricordato nel suo intervento, far aderire alla causa della pace anche la Cina) rafforza la sensazione tremenda che, giorno dopo giorno, l'alleanza muti obiettivi e tattiche e che debba a tutti i costi perseguire un'operazione brutalmente militare e sostenere una prova di forza che, fin dagli inizi e a ragione, noi verdi abbiamo ritenuto non convincente, inutile e addirittura controproducente.
Non sembra che alcuno degli obiettivi umanitari sia stato raggiunto: la pulizia etnica ha subito una tragica recrudescenza; il Kosovo - come ci ha riferito il presidente Rugova - è ormai completamente svuotato; le città kosovare sono devastate; il signor Milosevic è arroccato sempre più nel suo delirio nazionalista; le popolazioni serbe sono allo stremo; le infrastrutture sono state distrutte; l'intero tessuto produttivo iugoslavo è in ginocchio; i danni ambientali prodotti dai bombardamenti avranno effetti di lungo termine sulla salute delle future generazioni; centinaia di migliaia di persone vivono in condizioni insostenibili nei campi di accoglienza. Per questo noi apprezziamo la grande attenzione e disponibilità - come lei ha ricordato nel suo intervento - dimostrata dal nostro Governo, anche sulla proposta avanzata dai verdi relativa all'uso della base di Comiso, ma non possiamo tacere il nostro sconcerto per i profughi che muoiono nell'Adriatico. Alla pulizia etnica e alle sue atrocità si aggiunge la tragedia causata per mano dei trafficanti senza scrupoli di carne umana.
È vero, come qualcuno dice - e noi lo condividiamo -, che tutto questo è il risultato di una guerra già in atto prima dell'intervento della NATO, ma non vorremmo ritrovarci nella situazione paradossale in cui un intervento militare prospettato per fini umanitari diventi una terapia peggiore del male da curare. Noi dobbiamo cambiare strategia. Abbiamo il dovere, ora, di cambiare strategia e di sfidare la dirigenza serba sul terreno della pace e non contrapporgli una assurda intransigenza militare.
Fino a quando i bombardamenti continueranno, noi offriremo un facile alibi a Milosevic e ai suoi alleati per non accettare il confronto sul terreno della pace.
Dobbiamo tornare alla politica e dobbiamo ostinatamente e pazientemente tornare al primato delle strategie politico-diplomatiche. Questo vuol dire non limitarsi a giudicare insufficiente ogni segnale e ogni spiraglio proveniente da Belgrado.
Signor Presidente, i bombardamenti contro un popolo non lo aiutano a svegliarsi!
Signor Presidente, noi siamo sempre più convinti che la sospensione dei bombardamenti sia la premessa essenziale per far sì che l'accordo di Petersberg dei G8 diventi patrimonio comune dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Siamo convinti che, trasformando l'insieme dei principi sottoscritti dai G8 in una risoluzione chiara e inequivoca - senza quelle ingannevoli e insidiose clausole, come fu per l'accordo di Rambouillet - sia sull'assetto istituzionale del Kosovo sia sulle modalità di presenza di una forza internazionale di pace nel Kosovo, si possano creare le condizioni per la pace e la stabilità di quell'area. Quell'accordo, sul quale il Presidente serbo Milutinovic ieri ha mostrato qualche segnale di apertura, certo è frutto soprattutto dell'iniziativa italiana e tedesca - di questo ne diamo atto e merito al nostro Governo -, ma ora il nostro Governo deve sostenerlo e svilupparlo. Non dobbiamo consentire che gli sforzi nella direzione della pace vengano vanificati da bombe poco intelligenti o forse diabolicamente più intelligenti di quanto noi pensiamo, perché al servizio di chi non vuole la pace.
Noi dobbiamo lavorare in questa direzione e con questa prospettiva, perché è l'unica capace di disegnare un futuro di pace e di stabilità nei Balcani, con l'Italia e l'Europa finalmente protagonisti ed attori autorevoli. Questa guerra ci ha quantomeno insegnato, come lei ha sottolineato ieri nel vertice di Bari, che abbiamo la necessità assoluta di costruire oggi quella politica estera e di sicurezza comune europea presente sulla carta dei trattati, ma tuttora tragicamente e colpevolmente inattuata (Applausi dei deputati del gruppo misto-verdi-l'Ulivo e del deputato Calzavara).
Signor Presidente del Consiglio, parliamo dei profughi: continuiamo nell'inganno che possano tornare nelle loro case? È da più di una settimana che Belgrado continua a dire, pubblicamente e ufficialmente, che in Kosovo vivevano 800 mila albanesi. Quindi, viene completamente cancellato oltre un milione di persone, che in questo momento vivono, sopravvivono fra l'Albania, la Macedonia e alcuni paesi europei, ma che probabilmente non potranno mai tornare nella loro terra.
L'autore di questa pulizia etnica, di questa folle, sanguinosa politica sarà l'uomo che andrà a trattare la pace. Ancora una volta Milosevic, l'uomo della guerra di Bosnia, che poi divenne l'uomo della pace di Bosnia, l'uomo della guerra del Kosovo diventerà l'uomo della pace del Kosovo. Con quale credibilità l'Occidente potrà trattare con quest'uomo? Pochi giorni fa, nel corso di una breve missione fra Albania e Macedonia, abbiamo ascoltato le versioni, diverse e contrastanti, chiaramente, dell'albanese, che vuole la distruzione finale della Serbia, e del macedone, che vuole invece il riequilibrio della Serbia. Entrambi, però, sia chi vuole la guerra sia chi non aspetta altro che la pace, dicono: non potremo trattare con Milosevic. Milosevic è l'uomo che ha destabilizzato i Balcani, non potrà essere l'uomo della pace dei Balcani.
Questa è la grave preoccupazione che notiamo quando parliamo di sospendere i bombardamenti, di arrivare ad una risoluzione dell'ONU, di seguire tutto il percorso previsto dal G8; un percorso tutto giusto perfetto, a parte il fatto che i bombardamenti si sospenderanno dopo e non prima, qual è il problema vero? Il problema vero è chi tratterà la pace.
Sarà ancora una volta il signor Milosevic, l'uomo del milione di deportati, delle centinaia di migliaia di persone scomparse nel Kosovo (l'ha ricordato egli stesso), l'uomo che si prepara a ribaltare la situazione in Macedonia e ad occupare militarmente il Montenegro, l'uomo che continua a bombardare il nord dell'Albania per coinvolgere più ampi territori nella sua folle ricerca della grande Serbia? Sarà presto l'uomo della pace? Ritengo che il problema non sia così semplice: non credo che l'occidente si potrà fidare di questo uomo, nel momento in cui all'interno della stessa Serbia cominciano i dissapori e le prese di distanza da questo terribile e sanguinario dittatore.
È un dittatore, ricordiamolo, che è stato protagonista, dal 1991 ad oggi, di quattro guerre all'interno dei Balcani e soprattutto che promette ulteriori guerre nel futuro: promette quindi destabilizzazione continua in un territorio così vicino al nostro paese. Ecco, credo che su questo punto l'occidente, la NATO, le Nazioni Unite, il G8 dovranno discutere a fondo, perché la non credibilità di Milosevic sarà destabilizzante anche per un tavolo della pace. In quel tavolo saranno peraltro coinvolte, ancora una volta, la Bosnia e la famosa pace di Dayton, che non è mai stata attuata fino in fondo perché è difesa da 30 mila uomini sul territorio: una Bosnia che dovrebbe essere unita e che ha tre polizie, tre divise, tre monete, tre diversi Governi. Non è possibile pensare, quindi, che questa sia la pace, né si potrà pensare ad un Kosovo diviso, che diventerebbe come è oggi la Bosnia: un Kosovo sempre pronto ad essere nuovamente destabilizzato.
Su questi temi non si è sentito discutere molto: si parla del processo di pace, dei procedimenti per arrivare al tavolo negoziale, si vorrebbero addirittura sospendere
Abbiamo condiviso, ed esplicitamente condividiamo, il fondamento di legittimità dell'azione militare da parte della NATO, in ragione del principio dell'ingerenza umanitaria ed in forza della violazione dei diritti umani, individuali e collettivi, da parte del Governo serbo, che ha contravvenuto alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU del 1998. Restiamo convinti che, per fermare la violenza di un governo sulla sua popolazione, il massacro e la deportazione di un popolo, la violazione palese e sistematica dell'atto finale di Helsinki, sia assolutamente legittimo che le organizzazioni internazionali si facciano carico di un'iniziativa di contrasto militare. Ma con la stessa chiarezza abbiamo sempre sostenuto che da sola l'azione militare non avrebbe potuto risolvere la questione aperta nella Jugoslavia.
Per queste ragioni abbiamo espresso ed esprimiamo sostegno a tutte le iniziative politiche per le quali il Governo italiano ha dato e dà in queste ore il massimo contributo. Il nostro obiettivo vero, lo abbiamo sentito riconfermare dal Presidente D'Alema questa mattina, non è sconfiggere la Jugoslavia e non è neppure l'acquisizione di un qualche maggiore prestigio, né il desiderio di rassicurare l'opinione pubblica internazionale circa l'inossidabile fedeltà dell'Italia all'Alleanza atlantica, anche perché non abbiamo bisogno, il nostro Governo non ha bisogno di questi riconoscimenti. Il vero obiettivo per il quale il Parlamento italiano, gli italiani condividono il ruolo politico e militare in questo conflitto è di interrompere i massacri, di favorire il ritiro delle truppe serbe, di restituire le case ai profughi, o almeno il territorio coperto da macerie dove sorgevano le loro case, di restituire la garanzia di un regime di sicurezza agli abitanti del Kosovo di etnia albanese.
Se questo è l'obiettivo vero, noi abbiamo il dovere di valutare quale sia lo strumento più efficace per conseguirlo; nessuno può spendere certezze su questo terreno, ma è ragionevole che solo una combinazione intelligente e duttile di azione militare e di azione diplomatica può avere successo. In questo senso, dopo due mesi di bombardamenti, non può essere censurato come un atto di slealtà il tentativo di chi propone, in un Parlamento libero, non già un consuntivo di azione militare, ma una serena valutazione dei dati disponibili. Alcuni di essi mi sembrano indiscutibili. Le strutture offensive serbe sono certamente indebolite, ma non annientate; forse un milione di profughi premono sul confine dell'Europa offrendo al mondo uno spettacolo apocalittico di miseria e disperazione; l'economia ed il complesso delle strutture dell'organizzazione civile della Jugoslavia sono in ginocchio; le vittime civili crescono con progressione geometrica per gli ineluttabili errori che la guerra aerea
A noi non spetta, tuttavia, un trasferimento acritico di sentimenti di crescente avversione nei confronti della guerra nei Balcani, che si avverte nei cittadini italiani; non è sulle emozioni che dobbiamo fondare il nostro giudizio e le nostre decisioni, bensì sulla maggiore efficacia della via diplomatica in questa fase del conflitto rispetto a quella militare.
Il Presidente D'Alema questa mattina ha illustrato un progetto serio, di forte iniziativa per incardinare nel Consiglio di sicurezza dell'ONU il massimo della responsabilità e dell'iniziativa politica, per riproporre e sviluppare i contenuti e le indicazioni approvate nella riunione del G8, per coinvolgere nella responsabilità di un progetto organico di pace nei Balcani i Governi cinese e russo.
Noi siamo favorevoli a questo suo progetto, signor Presidente, e intendiamo sostenerlo con tutta la nostra convinzione. Pensiamo che questo obiettivo possa essere facilmente raggiungibile se, in breve tempo, verranno sospesi i bombardamenti, non per una tregua fine a se stessa, non per una resa, ma per offrire le migliori condizioni alle iniziative che lei ha proposto e alla definizione di un accordo all'interno del Consiglio di sicurezza e, insieme, per offrire alle autorità serbe l'opportunità di valutare lucidamente i termini della situazione. Non abbiamo alcuna certezza, signor Presidente, che ciò possa verificarsi.
Sommessamente, vorrei rappresentare il timore che vincere il conflitto esclusivamente attraverso la strada militare possa aprire scenari assolutamente devastanti e capaci di riportare l'Europa cinquant'anni indietro. Noi sosteniamo la nostra idea di una tregua finalizzata al progetto di pace in capo al Consiglio di sicurezza come un progetto politico ed un obiettivo che il Governo dovrebbe ricercare all'interno dell'Alleanza atlantica.
Pensiamo che sia un dovere del Parlamento italiano, del paese più direttamente coinvolto nel conflitto far sentire ai Governi alleati una voce e un'opinione forti e chiare. Dobbiamo fissare un obiettivo politico: il Governo, entro i limiti e le difficoltà esistenti e nella complessità di un sistema di alleanze che nessuno pone in discussione, deve cercare la strada per renderlo possibile con le procedure proprie delle organizzazioni internazionali.
Signor Presidente, viviamo una fase di straordinaria incertezza nei riferimenti dell'ordinamento internazionale; le istituzioni del diritto internazionale e le organizzazioni che presiedono alla sicurezza appaiono in tutta la loro inadeguatezza rispetto a questo conflitto. Si tratta di istituti informati ad una storia conclusa e la nostra generazione, i nostri Parlamenti devono trovare un nuovo equilibrio, nuove forme e nuovi contenuti per regole che sappiano rispondere alle novità delle relazioni fra gli Stati, così come vanno disegnandosi in questa fine di secolo. In questa fase il ruolo dell'Europa appare in tutta la sua debolezza e nella congiuntura di una transizione fra due amministrazioni dell'Unione si avverte tutta la sua assenza.
La nostra adesione ideale e politica all'Alleanza atlantica è così radicata nel nostro patrimonio di storia e di cultura che riteniamo di avere, senza complessi e timidezze, il diritto e il dovere di pensare ad un rapporto franco e diretto con i nostri alleati per concorrere alle decisioni, e non solo subirle, ed anche per partecipare alle responsabilità, come abbiamo fatto finora. La nostra speciale posizione nel Mediterraneo ci impone in modo imperativo il dovere primario di non commettere errori.
Per tali ragioni, signor Presidente, confidiamo che la sua iniziativa abbia successo (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e de i democratici-l'Ulivo).
Il collega Soro ha detto che, di fronte ad un massacratore, a colui che ha spinto 900 mila persone fuori dai confini del loro Stato e che ha provocato decine di migliaia di morti in un'ennesima ripetizione dei suoi massacri, è bene offrire una tregua unilaterale, perché abbia la possibilità di un ripensamento e di trovare la strada per cambiare i suoi comportamenti.
Il Governo italiano mi pare che dica di no: prima si arrivi ad una risoluzione dell'ONU che imponga a Milosevic di cessare dai suoi comportamenti e poi pensiamo alla tregua.
Io non condivido questa posizione - il nostro gruppo non la condivide - e mi domando se io abbia ben compreso che questa è la sua posizione, signor Presidente del Consiglio, perché altrimenti è chiaro che bisognerebbe fare interventi diversi. Comunque in sede di dichiarazioni di voto ne avremo la possibilità.
Mi sembra che il meccanismo a cui lei pensa, signor Presidente del Consiglio, sia davvero complicato. Lei dice infatti: una volta che l'ONU avrà votato una risoluzione (lei ha usato l'espressione «ci sia una convergenza su» che non so se voglia dire che sia stata votata una risoluzione; forse vuol dire la stessa cosa o forse no e quindi ce lo chiarisca, per favore), allora si interrompa l'azione di bombardamento nei confronti di Milosevic perché a quel punto l'ONU avrà maturato abbastanza forza da poter eventualmente intraprendere l'azione militare di terra. Questo è ciò che lei dice ed è molto complicato perché lei sa che in questo modo unisce due posizioni estreme, quella di Tony Blair, che è favorevole ad un immediato intervento militare e che è contraria a quella degli Stati Uniti (ricordiamolo che gli Stati Uniti sono la potenza più ostile all'intervento militare di terra: non l'Europa ma gli Stati Uniti)...
Le chiedo di chiarire questa divergenza perché altrimenti si renderà necessario
Ritengo che questa differenza a pochi chilometri di distanza sia la testimonianza di un problema, di un'inquietudine e anche di una domanda che abbiamo il diritto di porci, se cioè i rimedi siano stati peggiori del male. Chi vi parla è stato tra i primi, sei mesi fa di ritorno dal Kosovo, ad invocare un intervento internazionale perché la comunità non poteva assistere inerme di fronte alle vere e proprie efferatezze di Milosevic. Invocai un principio nuovo, quello di ingerenza umanitaria, un principio molto importante perché entra, oltre tutto, in contrasto con un altro principio internazionale, quello dell'impossibilità di usare la forza nei confronti di uno Stato sovrano. Quindi si tratta di difendere non solo la sovranità degli Stati ma anche i cittadini dallo Stato, con una visione liberale, alta del diritto internazionale. Questo diritto però si configura non come una guerra bensì come un'azione di polizia internazionale.
In qualsiasi paese la polizia, dinanzi ad un pazzo che tenga ostaggi in una casa, può impiegare la forza ma non fino al punto di bombardare la casa e distruggere il quartiere. Invece qui si rischia, con azioni sbagliate di cui siamo corresponsabili con gli alleati, di gettare via con l'acqua sporca il bambino, di vanificare e di indebolire il diritto di ingerenza umanitaria. Per questo non mi convince una strategia della furbizia, del gioco delle parti, del dividerci tra chi vuole trattare e chi no perché credo che in questo Parlamento siamo tutti d'accordo nel trattare.
In realtà bisogna «prendere il toro per le corna» e dire che la guerra nel Kosovo sta cambiando natura. È cominciata come una forma nuova di ingerenza umanitaria, al fine di difendere i kosovari, ma rischia ora di svilupparsi come una vera e propria guerra tradizionale.
La tregua, dunque, è necessaria per una verifica degli obiettivi, oltre che per quanto giustamente affermato nella risoluzione della maggioranza, che va approvata così com'è. È del tutto evidente che un'azione senza pause e senza momenti di riflessione, senza sospensione dei bombardamenti, si riduce a poco a poco alla ricerca di una vittoria finale, nella quale non si capisce più se l'obiettivo centrale sia il bene del popolo kosovaro oppure il prestigio strategico della NATO.
Comportandoci diversamente, rischiamo di favorire le posizioni che fin dall'inizio erano contrarie ad ogni forma di ingerenza umanitaria. Per tale motivo, dobbiamo parlare chiaramente con gli alleati; non dobbiamo dire dei «sì» che poi non sappiamo o non vogliamo onorare; occorre impegnare tutti i partner atlantici in una comune revisione della strategia fin qui praticata.
La tregua, dunque, non deve servire ad una generica dissociazione o a fare tre discorsi in uno oppure, ancora, a dividerci tra la posizione di denuncia puramente propagandistica di Blair e l'azione interessante di Schroeder; deve invece servire ad ottenere alla luce del sole una chiara definizione degli obiettivi.
Signor Presidente del Consiglio, deve essere del tutto chiaro che anche una buona politica, se condotta con metodi cattivi, diventa una cattiva politica (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo e di deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti).
Vi è un obiettivo non dichiarato - ma per noi del tutto evidente - di questa guerra, che è stato già raggiunto; è stato raggiunto a Washington, dove la NATO ha deciso ufficialmente di trasformarsi da alleanza difensiva in gendarme del mondo; è stato raggiunto nel momento in cui al G8 è stato assegnato il compito che dovrebbe spettare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: prendere decisioni politiche e mettere in campo mediazioni diplomatiche.
Non è un caso, signor Presidente del Consiglio, che lei in un'altra occasione abbia definito il G7 - che in casi particolari viene allargato e diventa G8 - «la riunione dei paesi più importanti del mondo»; sono parole sue, signor Presidente del Consiglio; per noi i paesi più importanti continuano ad essere quelli più grandi e più abitati del mondo: non adottiamo il metro del prodotto interno lordo per definire l'importanza di un paese.
Tutto ciò si è fatto con buona pace dell'Europa; un'Europa della quale tanto si è parlato e che subisce, oggi, dei colpi mortali sulla strada della sua possibile costruzione politica, democratica, sociale, unitaria.
Persino dal punto di vista della vita o delle sofferenze degli albanesi del Kosovo, questa guerra si è rivelata drammaticamente inefficace ed inutile; anzi, dopo due mesi di bombardamenti, le sofferenze degli albanesi del Kosovo sono enormemente aumentate. Mi lasci dire, signor Presidente del Consiglio, che considero cinica la sua definizione di «errori» riferita ai massacri compiuti dai bombardieri della NATO; tra l'altro, se alcuni di quei massacri vengono catalogati come errori dalla NATO stessa, altri massacri sono stati catalogati come raggiungimento degli obiettivi previsti; mi riferisco, ad esempio al bombardamento della televisione jugoslava.
Nessun sano di mente può credere che il bombardamento dell'ambasciata cinese a Belgrado sia stato uno spiacevole e drammatico errore: evidentemente, vi erano obiettivi politici che sono stati perseguiti anche calpestando l'ambasciata cinese a Belgrado, per preparare le condizioni per una soluzione diversa da quella che si sarebbe potuta prospettare con il pieno coinvolgimento della Cina e della Russia all'interno del processo di trattativa.
Signor Presidente del Consiglio, lei ha rivendicato con coerenza la linea politica di condotta tenuta dal Governo italiano in questi mesi: essere protagonisti di questa guerra e dell'intervento della NATO al di fuori del diritto internazionale, con l'obiettivo dichiarato di voler costruire su nuove basi il diritto internazionale.
Questo obiettivo è stato perseguito con buona pace del mondo multipolare e pacifico e del coinvolgimento della stragrande maggioranza dell'umanità nelle scelte che coinvolgono il suo futuro ed assegnando solo ed esclusivamente ai paesi ricchi il compito e l'arbitrio di arrogarsi il diritto di decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo, chi va premiato e chi va punito.
Non c'è nessun velo che possa coprire la vergogna del Governo italiano che, mentre si prodiga giustamente per gli albanesi del Kosovo, vende le armi che massacrano il popolo curdo: ha venduto le armi in tutto il mondo, ai regimi totalitari, e continua a farlo con il beneplacito dei ministri competenti (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti e del deputato Calzavara)!
Signor Presidente del Consiglio, un punto del suo discorso mi ha particolarmente colpito, glielo dico sinceramente. Sull'episodio del Cermis, come sulle bombe NATO nel mar Adriatico, lei ha balbettato. Tocca a noi, che non abbiamo nessuna retorica nazionalista, affrontare il problema perché il nostro paese e la nostra gente sono stati profondamente
Vi è un'ampia parte dell'opinione pubblica - lo sapete - che è contraria, non solo stanca, alla guerra. Si è svolta una grande marcia per la pace da Perugia ad Assisi che ha detto una parola nuova ed ha intrapreso un'iniziativa politica incisiva nei confronti dei parlamentari della maggioranza che sostiene il Governo. C'è una grande ansia di pace. Ci sono, altresì, alcune novità, signor Presidente del Consiglio, non è vero che non ci sono: la Russia e la Cina - lei lo sa bene - non accetteranno mai una convocazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite se non vi sarà prima la sospensione dei bombardamenti. L'Italia può compiere questo gesto, è nelle sue disponibilità, senza dover uscire dalla NATO e senza dover rompere le sue alleanze internazionali. Lo può fare perché vi è una mozione parlamentare, che spero non verrà modificata, che impegna il Governo (il quale, cioè, non dovrà solo tenerne conto, come ha detto lei stesso in un'intervista televisiva andata in onda ieri sera), che dovrà obbedire alla volontà del Parlamento nel caso in cui tale mozione fosse approvata.
Per questo motivo noi voteremo tale mozione con convinzione e vi chiederemo poi di applicarla con coerenza, non lasciandovi tregua (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti e del deputato Calzavara).
La sua esposizione contiene molti argomenti condivisibili: molti, ma non tutti. Si attende la presentazione di una risoluzione che, come viene anticipato dai giornali, pone la sospensione dei bombardamenti all'interno di una visione delle cose assai diversa dalla nostra, ma, per quello che è dato capire, anche dalla sua.
Noi non siamo guerrafondai e non siamo falchi in servizio permanente effettivo, ma avvertiamo anche noi il disagio della situazione in cui ci troviamo. Quello che ci divide, quello che divide il Parlamento non è il valore della pace ma il rapporto tra la pace e la sicurezza, tra la pace e gli impegni internazionali del nostro paese.
Siamo tutti convinti che vi debba essere un negoziato. Qual è allora la differenza? Noi pensiamo che l'azione militare debba cedere il passo solo ad un negoziato vero che garantisca una ragionevole tutela di quei diritti umani in nome dei quali ci siamo mobilitati, e la garanzia è che vi sia una contestualità tra la sospensione dell'azione militare e l'accettazione di quelle condizioni minime che la comunità internazionale ha posto.
La risoluzione della maggioranza parte invece dal presupposto che si debba subito cedere il passo non già ad un negoziato sicuro ma ad una sorta di auspicio rispetto al quale non è data alcuna garanzia.
Non evocherò per l'ennesima volta lo spirito di Monaco perché so bene quanta differenza vi sia in ordine al contesto storico, ma è evidente che abbiamo dinanzi un problema epocale che non riguarda soltanto il suo Governo ma anche il nostro paese e più in generale la comunità internazionale.
Noi non abbiamo un codice, una prassi, una regola che consenta di affrontare con qualche sicurezza quelle situazioni di violenza tribale che abbiamo visto scatenarsi alle porte di casa nostra.
Suona stridente per tutti, anche per noi, il pensiero di imporre la civiltà, la convivenza, i diritti umani, attraverso una azione militare, ma suona vana l'illusione che la civiltà si possa far largo in queste situazioni con le perorazioni, con gli appelli, con le preghiere laiche.
Il dramma del Kosovo mette in luce due grandi debolezze. Anzitutto la debolezza degli organismi della comunità internazionale, privi di operatività e in alcuni casi privi di coesione (questa è la difficoltà che si è incontrata nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite). Vi è poi la debolezza dell'Europa socialista, divisa e oscillante tra «zelo» atlantico e malumore, tra la posizione del primo ministro inglese che sollecita l'intervento di terra, e le posizioni ben diverse che abbiamo sentito echeggiare anche in questo Parlamento.
La domanda che si pone è se vi sia una debolezza italiana. Segnalo e registro per l'ennesima volta che sulla politica estera una maggioranza non c'è. Abbiamo avuto una maggioranza per l'Albania; abbiamo avuto una maggioranza leggermente diversa per l'allargamento della NATO ad alcuni paesi dell'est; abbiamo un'altra maggioranza per il Kosovo, che però è percorsa da divisioni interne assai profonde: è come se alla maggioranza variabile si sostituissero oggi i documenti variabili, l'infinita variabilità del comportamenti, degli aggettivi, dei pronunciamenti sui quali l'aula sarà chiamata ad esprimersi tra poche ore.
Il Presidente del Consiglio ha indicato in una recente intervista i termini autentici del problema: o riprende con forza la strada di una mediazione delle Nazioni Unite, oppure si impone la necessità di un intervento di terra. Ma se le cose stanno così - ed io credo che così stiano -, se la mediazione è l'ultima risorsa che evita l'intervento, allora credo che essa debba essere messa al riparo dalle improvvisazioni e dalle imboscate; penso che debba essere gestita con ragionevole forza e che non possa essere dissipata in un tripudio di parole d'ordine equivoche che Belgrado può facilmente scambiare per un segno di cedimento.
Questo è il punto che ci sta dinanzi, questa è la responsabilità che dovremo assumere. Si può aprire un negoziato e contestualmente stabilire una tregua - ripeto, contestualmente -, ma chi immagina che oggi vi debba essere una tregua e domani forse - chissà! - il negoziato e le relative garanzie e condizioni, chi immagina questo, rischia di avere una falsa tregua oggi e nessun negoziato vero domani (Applausi dei deputati del gruppo misto-CCD).
In particolare, ringrazio il Presidente D'Alema anche per l'attenzione che concesse giorni fa ad alcuni di noi in rappresentanza dei 190 parlamentari della maggioranza autori di un documento contro la guerra che ci auguriamo, signor Presidente del Consiglio, le sia stato di qualche modesto aiuto nel sostenere l'iniziativa italiana che consente al nostro paese di indicare una via della pace possibile, con la stessa convinzione con cui il Premier Tony Blair indica la via della guerra a tutti i costi.
Ringrazio il ministro Dini per non essersi mai preoccupato delle accuse di filoserbismo lanciategli da eredi di una politica anti-jugoslava che, fino al trattato di Londra del 1915, identificava la questione adriatica con l'espansionismo italiano in Dalmazia, per non dire di quello che accadde dopo, negli anni del fascismo.
Ho detto anche nel gruppo dei 190 che personalmente non sono un pacifista, concetto sociologico o religioso che esula dalle categorie della politica. Sono un giolittiano, come avrebbe detto la generazione di mio padre, di quelli cioè che preferiscono conseguire il parecchio al tavolo del trattato anziché strappare qualche terra
Ci auguriamo, perciò, che a Belgrado non solo cessino di cadere le bombe che colpiscono anche l'Europa in costruzione, ma che fiorisca una cultura liberale del patriottismo consistente non nel razzismo ma nel pensare, creare e operare quotidiano che ci ha ricordato ieri sera il Presidente Ciampi. Per favorire questa cultura del patriottismo creativo e pacifico, è necessario riconoscere a tutti gli stessi diritti. Come vi sono diritti etnici per i kosovari - e dobbiamo ripristinarli - dovrebbero essercene anche per i serbi delle Kraijne espulsi a centinaia di migliaia dai croati (Applausi del deputato Calzavara), nonché per i serbi della Bosnia aggregati in una «riserva indiana», la repubblica serba di Bosnia, per compiacere i contorti cervelli di chi per tutto il novecento ha inventato Stati di carta, fomiti di altre guerre, magari combattute come questa, senza l'obiettivo naturale di sconfiggere il nemico, benché definito efferato, o di chi ha fondato l'ordine europeo del secondo dopoguerra proprio sulla pulizia etnica: milioni di polacchi espulsi e spostati in Germania per far posto ai sovietici, 10 milioni di tedeschi espulsi per ospitare polacchi, 2 milioni di sudeti cacciati dalla Cecoslovacchia, centinaia di migliaia di italiani cacciati dall'Istria e dalla Dalmazia.
L'iniziativa di pace del Governo italiano idealmente si ricongiunge alla pacifica ambizione di una partnership economico-culturale italiana nei Balcani che fu, ministro Dini, l'onesta, ancorché inadeguata, politica balcanica di Sforza prima del fascismo: politica incentrata sull'opposizione ad ogni tentativo di sovvertimento degli Stati successori dell'Impero austro-ungarico. Alternativa a questa politica italiana della partnership economico-culturale è la cultura neoimperialista degli anglosassoni dai quali avevamo sperato più democrazia liberale. Ho riletto alla luce delle bombe il «libretto rosso», il nuovo labour di Tony Blair, e vi ho trovato affermazioni molto più che allarmanti, come «La Gran Bretagna è stata la guida delle nazioni, con i conservatori ha perso la sua influenza e con il nuovo Governo laburista avrà una forte difesa, combatterà per i propri interessi e difenderà la democrazia ed i diritti umani nel mondo» (pagina 73), «La realtà è che la Gran Bretagna sarà più forte a Tokyo o a Washington se sarà più forte in Europa» (pagina 76). Ne consegue l'elogio dei missili Trident, dell'industria militare inglese definita «punto nevralgico della nostra economia» e della stessa deterrenza nucleare britannica, della quale si dice che sarà posta in discussione soltanto quando tutte le altre deterrenze saranno state eliminate.
Questi il linguaggio e la cultura dei nostri alleati anglosassoni, purtroppo (dico purtroppo da liberale); non sono il linguaggio e la cultura di D'Alema, di Dini, di Scognamiglio, di Schroeder, ma credo non lo sarebbero nemmeno di un governo della destra italiana, così come non lo è di Chirac.
Dobbiamo allora fare qui due affermazioni molto pesanti. La prima è la seguente. Ci auguriamo che le trattative in corso con Belgrado sulla composizione e sull'armamento della forza di interposizione arrivino in porto e favoriscano quindi la cessazione dei bombardamenti e le deliberazioni dell'ONU, ma se dovessero fallire, se la sfinge Milosevic o i falchi apache di Londra e di Washington dovessero far saltare l'intesa, non è, signor Presidente del Consiglio, che andremo automaticamente a fare la guerra; non c'è alcun automatismo in queste cose. Se la trattativa fallirà, il Governo tornerà in Parlamento e qui sarà ripristinata la
Ho detto che sarà ripristinata la Costituzione ed è questa la seconda cosa che voglio ricordare. Finita questa guerra, dovremo rimettere ordine non solo nei Balcani, ma anche nella NATO, perché questa guerra - sia pure mossa da giusta causa, come ha ricordato ieri sera Ciampi e questa mattina lei, Presidente D'Alema - ha rovesciato la legalità internazionale, le costituzioni di singoli Stati e la costituzione della comunità degli Stati.
Era l'ONU il foro delle controversie internazionali e delle decisioni, poi si è lasciato che crollasse insieme agli equilibri di potenza bipolari. Un'alleanza militare concepita nel sistema bipolare per la difesa - appunto la NATO - ha riempito il vuoto di potere mondiale, ma lo ha fatto con l'indirizzo unilaterale della leadership anglo-americana ed ha cambiato il diritto alla difesa con il diritto all'interferenza. Occorre allora ridiscutere la NATO e vedere se i suoi partner vogliano impegnarsi a portare nel mondo con le armi la cultura dei diritti umani, dovunque violati.
Noi, colleghi, possiamo far nostra questa scelta ed inserirla nella Costituzione: dovunque il razzismo o l'espansionismo conculchino un popolo, lì andranno i soldati italiani a fare la guerra.
Noi possiamo far nostra la filosofia di Norberto Bobbio sulla guerra giusta. Ricorderete il suo saggio in occasione della guerra del Golfo. Bobbio, che oggi è con noi per la fine dei bombardamenti, dubitava di una cultura della non violenza spinta fino a negare la legittima difesa. Noi possiamo accettare che, in casi estremi - come diceva Bobbio - e dopo aver prestabilito cosa si intende per estremi, la forza possa essere giustificata. Possiamo scrivere questo nella nostra Costituzione, in armonia con l'Unione europea e con l'ONU, se rinascerà; nessuno però può farlo al posto nostro, nessuno può costringerci ad operare contro la nostra legge. Questo ci chiede la cultura del diritto ed a questa cultura molti di noi intendono rimanere fedeli (Applausi dei deputati del gruppo de i democratici-l'Ulivo).
Volendo trarre qualche conclusione su tale visita, mi soffermerò sulle sue prese di posizione, signor Presidente del Consiglio, alle quali presto particolare attenzione.
Tutti quanti affermiamo che non bisogna dimenticare che nel Kosovo prima vi era già una guerra, che ha visto gli albanesi del Kosovo cacciati, depredati, violentati in tutti i sensi e perseguitati: una guerra che era già in corso e che bisognava a tutti i costi fermare!
Signor Presidente del Consiglio, dicevo che sono molto attento alle sue affermazioni e a quello che è stato definito il «piano D'Alema». Lei ha detto: guai a dimenticare che lì vi è un'altra guerra, che fa dieci volte più vittime: è quella che le milizie serbe continuano a condurre contro la popolazione kosovara albanese, nonostante i falsi annunci di Milosevic sui ritiri delle truppe.
A proposito dello «stop» dei bombardamenti, lei ha affermato che essi non sono stati sempre efficaci, ma che hanno costituito certamente un punto di grande rilevanza; nella sostanza, ha detto: fermiamo la guerra di Belgrado; fermiamo gli efferati delitti contro l'umanità e fermiamo gli eccidi.
Questi bombardamenti non sono riusciti a dare una soluzione al problema in termini positivi, ma si possono arrestare i
È stato allora chiamato in causa il famoso G8. Forse non tutti sanno che cosa significhi, ma questa è un'operazione politico-diplomatica diversa, un'iniziativa importante nella quale è coinvolta in primo piano la Russia. Voi sapete che quest'ultima fa parte del G8 e che a queste proposte ha detto di sì; ora bisogna allargare questa convergenza alla Cina, che era stata vittima dell'errore veramente assurdo rappresentato dall'attacco all'ambasciata cinese a Belgrado.
Si sono svolti dei colloqui tra i responsabili di Washington e di Pechino e forse si è pronti ad arrivare al Consiglio di sicurezza.
Che significato avrebbe il ricorso al Consiglio di sicurezza? Avrebbe un grande rilievo perché toglierebbe un alibi a chi continua a sostenere, anche in questa sede, che noi dobbiamo uscire dalla NATO e che la NATO porta avanti iniziative catastrofiche contro le libertà e le indipendenze. Tutti si sono sempre aggrappati a questa sorta di maschera, a questa immagine dell'ONU, che non è sempre determinante e decisiva, per la verità; infatti, esiste ancora il diritto di veto che può essere esercitato dalle famose cinque grandi potenze che hanno vinto, cinquant'anni fa, la seconda guerra mondiale!
Era impossibile andare direttamente all'ONU.
È già accaduto sul piano internazionale - ad esempio per la Bosnia, quando noi richiedemmo fermamente l'intervento della Russia - che furono approvate 22 risoluzioni dell'ONU con un risultato veramente negativo, trattandosi di petizioni di principio. Soltanto con la riunione della NATO del 21 luglio 1996 a Londra si cominciò a fare sul serio. Seguirono i bombardamenti, l'azione militare e l'iniziativa politica che portò agli accordi di Dayton. Noi siamo a questo punto!
Ma è mai possibile, a questo punto, che si continui l'azione diplomatica - non parlo in questo momento al Presidente del Consiglio ma ad ampi settore di questa Assemblea - e cessino i bombardamenti senza poter assicurare protezione (certamente non possiamo più dare speranza) ai kosovari rimasti e alle centinaia di migliaia di kosovari che sono stati cacciati dalla loro terra e dalle loro case?
Ecco il problema di grande rilievo in termini politici: noi dobbiamo far sì che le cinque grandi potenze diano il via libera alle operazioni del Consiglio di sicurezza. Questo è il punto!
È perfettamente inutile agire senza il consenso della Cina e della Russia. In questa situazione non possiamo dare alcun affidamento, non possiamo dire «grazie» a Belgrado e dobbiamo continuare le operazioni di bombardamento.
Ecco perché l'azione diplomatica di oggi deve essere solo quella! E devo dare atto al Governo italiano, al Presidente del Consiglio e al ministro degli esteri di essersi dedicati a quell'azione per poter arrivare ad una situazione positiva. Infatti, se adiamo l'ONU e non riceviamo l'assenso di tutti, ci troveremo in una situazione gravissima e pericolosa. Il fatto nuovo, eccezionale e straordinario del consenso sul documento del G8 richiede anche una serie di iniziative sul piano delle garanzie fondamentali per la gente che deve tornare, come la forza di interposizione (si parla anche di sicurezza) di carattere militare.
Dopo il consenso del Consiglio di sicurezza, dovremo fare in modo che Belgrado dia esecuzione alle richieste. Ecco
Torniamo per un momento al piano D'Alema. Esso dice molto chiaramente: dopo aver effettuato i bombardamenti, che non hanno avuto l'effetto che dovevano avere, e dopo aver assunto una posizione politico-diplomatica internazionale importantissima con il consenso della Cina e della Russia, se non si raggiunge la soluzione indicata dal G8 o vi è una soluzione politica oppure bisognerà inviare le truppe di terra. Naturalmente, D'Alema si augura che l'invio non sia necessario e spera che l'entrata in campo delle Nazioni Unite con una iniziativa politica offra una via d'uscita all'orgoglio serbo. E ancora: «Se anche le Nazioni Unite non ottenessero il ritiro delle truppe serbe dal Kosovo, la comunità internazionale non potrebbe tirarsi indietro». E nella parte finale, che condivido, rispondendo alla domanda «e in quel caso l'Italia parteciperebbe con le sue truppe all'intervento terrestre?», D'Alema dice: «Sì, l'Italia si prende tutte le responsabilità. Del resto si è già assunta responsabilità enormi da protagonista, sopportando oneri superiori agli altri».
Questo è lo scenario. Nessuno di noi vuole che si arrivi all'azione militare con le truppe terrestri, ma non possiamo andare avanti con ipocrisie o con finzioni. Poniamo in essere tutta l'operazione politica internazionale necessaria ad arrivare al Consiglio di sicurezza dell'ONU, così sarà l'ONU - e non più la NATO - a prendere le decisioni e nessuno ci potrà dire: «ma questa è un'iniziativa che non dobbiamo prendere»; saranno la Cina, la Russia, le Nazioni Unite, le nazioni del Patto atlantico, sarà l'Europa a deciderlo! A questo punto, non c'è altra soluzione.
Mi auguro che così sia, e cioè che si possa giungere definitivamente alla pace; ma la guerra, con gli eccidi, con le deportazioni, l'ha fatta Belgrado, non l'ha decisa la NATO e domani non la farà l'ONU. Dobbiamo essere seri, dobbiamo sapere come si deve stare negli organismi internazionali, altrimenti, signor Presidente del Consiglio, nonostante tutta la sua buona volontà, non sappiamo dove andrà a finire la credibilità dell'Italia. Noi di alleanza nazionale, noi dell'opposizione in questo Parlamento abbiamo garantito questa credibilità dell'Italia. L'operazione in Albania e le altre hanno dimostrato una coscienza, un senso di responsabilità e di impegno, da parte dell'opposizione, che non ha gravato alle maggioranze di parte, comprendendo che rispetto a questi problemi di natura internazionale e di politica estera le posizioni di partito debbono essere tenute lontane.
Così ci siamo comportati, ma ci deve essere una risposta, che non può essere soltanto del Presidente del Consiglio, ma deve essere di questo Parlamento. Noi abbiamo detto di sì per la credibilità dell'Italia, che abbiamo sostenuto e tutelato. Però, non si può - e lo dico con molta onestà intellettuale e con decisione - fare il doppio gioco, così come si deve stare nella NATO senza sudditanza alcuna, ma allo stesso tempo con grande lealtà.
In questi termini, mi pare di aver individuato il problema, che attiene a grandi responsabilità sul piano politico, ma soprattutto sul piano del rispetto della verità, della giustizia e dei diritti umani (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Oggi, dopo due mesi in cui le bombe e i missili hanno prodotto oltre alle morti un deserto nelle strutture civili della Jugoslavia e la pulizia etnica è completata nel Kosovo, siamo qui a constatare tutta l'insensatezza dell'aggressione «umanitaria» e il fallimento di ogni obiettivo proclamato dagli artefici di questa carneficina.
Vi era in quel nostro «no» alla guerra innanzitutto un rifiuto dell'ipocrisia delle giustificazioni umanitarie dei bombardamenti: in realtà, come appare sempre più chiaramente, gli USA hanno voluto autolegittimare un'aggressione mascherata da motivi umanitari, prefigurando un nuovo ordine internazionale fondato sull'idea che per la più grande potenza del mondo diventa legittima la violenza contro altri Stati sovrani senza alcun accordo o autorizzazione. Si chiamano, anzi, gli aggregati europei ad una sorta di «guerra santa» del bene contro il male, imponendo con la forza un'egemonia culturale e politica sul mondo, per cui, come è stato osservato da Ferraioli, contestando le tesi di Bobbio sulla guerra, «il potere senza rivali» degli Stati Uniti pone questi al di fuori dell'ordine internazionale e li autorizza ad usare come strumento di dominio mondiale l'intervento NATO, senza più nessuna giustificazione legale.
Questa filosofia è, per noi, la fine del ruolo autonomo dell'Europa e dunque costituisce, al di là di una pur essenziale posizione di principio sull'opzione della pace come problema di identità per i comunisti, una ragione di fondo per contrastare rigorosamente questa guerra, la cui logica tenta di rialzare nuovi steccati, che già oggi creano insofferenza e inquietudine, se si leggono con serietà i segnali che vengono dalla Cina, dalla Russia, dalla stessa India. In questo nostro concreto essere contro la guerra vi era già dall'inizio, e vi è ancora oggi davanti agli avvenimenti, una profonda rivolta morale, per le mistificazioni sulla «guerra umanitaria», le cui argomentazioni vuote sono divenute ormai un'asfissiante litania.
No, signori, io non credo che abbia nulla di umanitario la distruzione della Jugoslavia con gli applausi fanatici di chi si proclama civilizzato e si dice difensore dei diritti umani; non ha nulla di umanitario la desertificazione del Kosovo, raso al suolo da una selvaggia pioggia dal cielo di missili e bombe e «ripulito» a terra dallo sciagurato odio etnico di Milosevic, che ha avuto mano libera con l 'inizio dei bombardamenti e con il ritiro dei rappresentanti dell'OSCE; non ha niente di umanitario questo dannato esodo che sta disperdendo biblicamente un popolo e che ci mostra bambini con gli occhi da cui non escono lacrime che ci parlano di rassegnazione, vecchi con lo sguardo lontano ed assente che fissano le incognite del futuro, donne dai volti dolenti e disperati.
No, i massacri, le distruzioni di ponti, di televisioni, di ferrovie, di ospedali, di centrali elettriche (bloccando il funzionamento delle incubatrici negli ospedali e soffocando i neonati), le bombe che si abbattono sulle ambasciate di altri paesi, non hanno niente di umanitario: sono immagini che ci opprimono il cuore, producono angosce e ci dicono che il nostro compito di uomini è quello di lavorare perché finisca questa carneficina. È evidente che non sto dando un giudizio moralistico su una tragedia che segna certamente una sconvolgente decadenza morale ed una verticale caduta di civiltà: sto esprimendo rabbia e sofferenza per questa lettura mistificata di una mattanza che Clinton ed il suo fedele scudiero Blair intendono continuare, indifferenti ai richiami del mondo, rifiutando gli appelli del Papa, l'iniziativa della Russia, gli stessi generosi tentativi compiuti dall'Italia ed anche dal nostro partito: a loro serve bombardare all'infinito per svuotare gli
È questa una mistificazione che copre una volontà folle di distruggere culture, civiltà, ideologie, religioni che si ritiene non si inquadrino nei valori imposti dalla logica americana, come mostra la benevolenza che si sta dimostrando verso la Turchia che massacra i curdi, a cui si chiede paradossalmente di prestare le sue basi e di intervenire direttamente nell'azione umanitaria della NATO: se si pensa a questo, si constata come dentro la cinica teorizzazione della filosofia dei due pesi e due misure si metta in campo una dottrina di annientamento del mostro di volta in volta inventato, a seconda delle esigenze americane, e che però non si riesce a piegare. Ciò perché, offuscato da una cieca teologia di dominio, Clinton dimostra una totale ignoranza della storia dei Balcani, ossessionato com'è solo dall'idea che i bombardamenti possano diventare strumenti di pulizia planetaria. È da secoli che quest'area del mondo, che si chiama Balcani, macina diaspore, deportazioni, dolore, sradicamenti e consuma se stessa in tumultuose migrazioni, i cui esempi potrebbero emblematicamente trovarsi nelle guerre balcaniche del 1912-1913 e, negli anni successivi, con gli avvenimenti della prima guerra mondiale. Soltanto l'improvvisazione dei prepotenti e il mito della infallibilità dell'arroganza potevano pensare ad una guerra vinta dopo le prime bombe. I due mesi di guerra e di distruzioni, con il «mostro» ancora in piedi, sono un'amara sorpresa per chi non sa che nei Balcani la guerra si accetta come destino; ci dicono che si illude chi pensi che basta decapitare una leadership, se mai questo avvenga, per far deragliare dai binari una storia secolare. È questo mondo particolare che Clinton e Blair non capiscono e con il quale - come dice Paolo Rumiz - né la cultura atlantica né le bombe e i missili del generale Clark possono interferire.
Per questo abbiamo agito perché si fermasse la follia della guerra in atto; per questo lottiamo affinché si spengano immediatamente le pulsioni suicide dell'intervento di terra che trasformerebbe i Balcani in un nuovo Vietnam. Del resto i segnali che vengono da quell'area sono davvero inquietanti: Macedonia, Bosnia, Croazia, Ungheria e poi Albania, Russia, Romania, Bulgaria, Estonia e Lettonia diventerebbero davvero una miccia pericolosa per un allargamento dell'attuale guerra sciagurata, trasformandola in un grande e generalizzato conflitto europeo, con tutte le conseguenze internazionali.
La mia non è una forzatura in visione apocalittica: è la constatazione di processi di fatto che ci sconcertano. La recente missione della Commissione esteri - ricordata in questa sede - in Albania e in Macedonia, alla quale ho partecipato e alla quale si erano aggregati padre Nicola Giandomenico e Hilarion Capucci, che stanno dimostrando un forte impegno nell'iniziativa di pace, mi porta a fare queste affermazioni allarmate e mi spinge a chiedere, se possibile, con maggiore forza la fine di questa guerra suicida. Occorre collegarsi con urgenza alla volontà di pace della società che, anche in Italia, si va allargando e che ha trovato nella grande marcia Perugia-Assisi un forte punto di coagulo. Dunque, bloccare la guerra, anche con una dichiarazione unilaterale dell'Italia: questo è l'imperativo! Cogliamo oggi un primo atto positivo del Governo, anche se leggo alcune affermazioni del Presidente D'Alema come insidie, perché considero preoccupante l'alternativa: sconfitta del male o guerra di terra, alla quale potrebbe partecipare anche l'Italia. Vedo questo come una follia. Guardo, però, con speranza i segnali che vengono da Belgrado in queste ore. La fine della guerra, che rivendichiamo, consente di riproporre «a bocce ferme» le condizioni per il rispetto del diritto all'autonomia del Kosovo, che deve essere garantito a livello internazionale, con il ritorno degli albanesi profughi nelle loro terre: la continuazione della guerra lo renderebbe quasi impossibile, disperdendoli in tutto il mondo.
La fine di questa guerra ha anche altri due risvolti positivi. Innanzitutto, impedire
Capirete la mia amarezza nel constatare che Scanderbeg nel XV secolo lottò vent'anni per liberare l'Albania dagli ottomani e, oggi, i governanti di quel paese - che pure conosco e stimo - sono costretti per motivi interni a chiedere l'occupazione dell'Albania e del Kosovo da parte dei nuovi ottomani con la veste della NATO. La fine della guerra bloccherebbe questo processo che offende una grande storia e che non mi sarei mai aspettato che l'imprudenza del ministro della cultura albanese offuscasse attraverso la televisione italiana.
Anche per tali ragioni siamo qui ad incoraggiare con il nostro voto la fine immediata dei bombardamenti e, con essa, il ritorno alla ragione e ad un concordato per la pace nel Kosovo: chiediamo ciò anche in nome del diritto alla vita e all'autonomia dei kosovari, di cui tanto si parla in questo momento, non si tiene conto del fatto che essi oggi vanno disperdendosi in tutto il mondo e che, se non si blocca la guerra, sicuramente sarà difficile farli ritornare nelle loro case e nella loro terra (Applausi dei deputati del gruppo comunista).
Su alcuni punti ho delle domande che, come al solito, porrò più a me stesso che a lei. Ad esempio, vorrei capire cosa significhi l'espressione «un passo più in là rispetto agli alleati»; posso cercare di capirlo, ma allora vorrei porre un'altra domanda: la tregua deve essere chiesta prima o dopo la risoluzione del Consiglio di sicurezza? È questo il punto centrale della questione.
Mi giunge amichevolmente notizia che è stato raggiunto un accordo fra la maggioranza ed il Governo: ne sono lieto. Segnalo la patologia, per un sistema parlamentare, di una situazione del genere, che impone l'accordo fra maggioranza e Governo su questioni sulle quali non solo si richiede tale accordo, ma anche quello fra la maggioranza, il Governo e l'opposizione, come ci siamo detti retoricamente e stiamo ripetendo da settimane.
Vedremo cosa prevede tale accordo; non conosco il testo della mozione, ma solo la «premozione», l'annuncio di mozione, la risoluzione «civetta», ma devo dire che quest'ultima contiene alcuni elementi vergognosi, non in senso oggettivo, ma soggettivo, cioè per chi li ha espressi. Ma ancora più vergognose - glielo voglio dire quasi amichevolmente, signor Presidente - sono le argomentazioni che privatamente sono state sostenute per chiedere la tregua. Fior di pacifisti hanno chiesto la tregua; ho sentito dire da un collega - che non nomino, perché bisogna voler bene a tutti i colleghi - che bisogna tenere presenti le esigenze di 10 milioni di serbi rispetto a quelle, inferiori quantitativamente, di un milione di kosovari. È un bel ragionamento - non dico chi lo ha fatto -, ma in base ad esso 90 milioni di tedeschi erano da tenere in maggiore
Un'altra argomentazione più frivola, per così dire, ma non meno vergognosa è quella secondo la quale non possiamo perdere un milione di voti: per carità di Dio, io non ho neanche un voto - o forse ho soltanto il mio - ma mi piacerebbe sacrificare un milione o anche 10 milioni di voti per la dignità del mio paese.
Spero che si esca da questa situazione ma vorrei ricordare a tutti (quelli che fanno i pacifisti, quelli che invocano la tregua subito, l'onorevole Mussi che auspica un ragionevole equilibrio o che forse spera, da buon piombinese, di bombardare Pisa) che non dobbiamo rispondere alle nostre fibrillazioni culturali, bensì alle aspettative che dai Balcani vengono e di cui non ho sentito parola nel discorso del Presidente del Consiglio. Mi riferisco, per esempio, alle aspettative della Macedonia o del Montenegro. Che ne è delle aspettative di questi paesi che attendono, non dalla NATO soltanto, ma dall'Italia una risposta positiva? Questo significa avere senso della responsabilità nazionale.
Se la mozione conterrà quello che ha annunciato, io non la voterò - questo voglio dirlo subito - pur apprezzando le sue dichiarazioni.
Non dobbiamo meravigliarci se, all'interno delle forze politiche e quindi nella società italiana, vi siano posizioni diverse, si vivano contrapposizioni, lacerazioni, financo drammi di carattere ideale e politico. Noi per altro riteniamo che oggi il Parlamento debba adoperarsi perché il Governo sia più forte. È infatti opportuno che in questa fase il Governo abbia, come per tutti gli altri paesi europei e della NATO, il massimo di autorevolezza e di consenso. Noi lavoriamo affinché la maggioranza trovi un punto di unità anche con l'opposizione democratica del Parlamento; l'Italia non può uscire dalla solidarietà verso tutti gli altri alleati facendosi promotrice dell'iniziativa, chiesta da alcune parti, di una tregua dei bombardamenti che non può assumere la caratteristica di una tregua unilaterale.
Pensiamo che un lavoro diplomatico vero, persuasivo verso la Cina e la Russia (le due importanti nazioni che siedono nel Consiglio di sicurezza e che sono determinanti per una risoluzione nei confronti della dittatura attuata da Milosevic che sia accettabile dai paesi occidentali) sia possibile verso un punto di arrivo, cioè una risoluzione che recepisca quanto fissato dai paesi del G8. Solo a quel punto una tregua sarà ragionevole e quindi la mozione che dovremmo approvare oggi deve dare forza all'azione diplomatica del Governo; per dirla in breve, non può e non deve disarmare la diplomazia, gli sforzi veri per porre fine al conflitto e per permettere che, da un lato, cessi il genocidio e, dall'altro, sia possibile dare uno sbocco democratico al Governo di questo paese della Jugoslavia. Il popolo che rappresentiamo non ha nulla contro quello serbo, anzi vogliamo ribadire lo spirito di solidarietà e di amicizia con la popolazione serba che sta subendo due disgrazie: la prima, la dittatura di Milosevic e, la seconda, i bombardamenti che, in quanto atto militare tremendo, non risparmiano - nonostante la volontà della NATO - il coinvolgimento dei civili.
Riteniamo logica e sostenibile la proposta del Presidente del Consiglio dei ministri là dove afferma che un'iniziativa di sosta dei bombardamenti deve essere parte essenziale di un processo politico e negoziale. Noi concordiamo anche quando egli ribadisce che, in presenza di un accordo su un testo di risoluzione del Consiglio di sicurezza pronto ad essere votato, appare opportuna ed intelligente, forse addirittura necessaria, una tregua
Ci rivolgiamo a quelle parti della maggioranza che legittimamente hanno sostenuto una posizione pregiudiziale, vista come una sospensione unilaterale dei bombardamenti, invitandole a compiere un passo in avanti verso il rafforzamento dell'iniziativa del Governo che ci pare lodevole e meritevole di tutto il nostro appoggio.
Il gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo, da me rappresentato, condivide la condotta del Governo e le affermazioni del Presidente del Consiglio formulate in quest'aula stamani. Si tratta di affermazioni meditate e chiare sulla strategia che si intende perseguire e che parlano dell'assunzione piena di responsabilità. Un'assunzione piena di responsabilità che si è avuta sin dall'inizio - nell'azione militare resasi necessaria da parte del nostro paese in piena lealtà all'Alleanza atlantica ed agli impegni internazionali dell'Italia, nonché nell'impegno totale della ricerca di una soluzione politica del conflitto - e che si è spinta anche oltre i limiti della piattaforma del G8, fino a quell'ipotesi di contestuale tregua che il Presidente del Consiglio ha affacciato in una intervista rilasciata domenica alla vigilia del suo incontro con il cancelliere Schroeder.
È evidente, signor Presidente del Consiglio, che il tempo stringe, che la marea dei profughi si ingrossa e che aumentano le preoccupazioni per le settimane ed i mesi che verranno, nonché per lo spettacolo quotidiano che abbiamo sotto gli occhi e che scuote la coscienza di tutti. Non c'è dubbio, occorre prevalere sulla barbarie e sulla violenza; occorre garantire a quegli uomini, donne e bambini di poter vivere sicuri e di poter tornare nelle loro case ed alle loro terre con sicurezza. Questo è il senso originario della missione della NATO, i cui caratteri sono umanitari. Tale senso originario non deve essere disperso. Ritengo che non si possa e non si debba cambiarne natura in corso; non è compito nostro né di alcun altro nel mondo abbattere i dittatori, troppi ce ne sarebbero (Applausi del deputato Possa), né invadere nazioni per esercitare protettorati.
Compito della comunità internazionale è certamente quello, valutando di volta in volta le condizioni specifiche, di fare tutto quel che è possibile per difendere i diritti umani dei 6 miliardi di abitanti di questo pianeta. Naturalmente, non in tutti i casi si può pensare ad un intervento militare; in questo caso si è pensato che non vi fossero altri mezzi.
Siamo però a cinquantasette giorni di guerra. L'intervento non è stato né rapido, né conclusivo, come ci si poteva aspettare e come da qualche parte si era previsto. Finora c'è stata e c'è coesione della NATO. L'Italia - è bene ricordarlo a noi stessi ed ai nostri alleati - è il paese di prima linea: se ci voleva una rappresentazione vivida, ecco le bombe in Adriatico, che ci pongono anche un problema - certamente minore di quello del Kosovo, ma non irrilevante - di sostegno immediato ai pescatori e alle imprese turistiche di quella costa e che ci pongono anche altri problemi, visto l'alternarsi delle dichiarazioni di questi giorni. Per esempio, spiegare al signor Jamie Shea che la NATO non si identifica con lui, ma anche con noi.
Insomma, se si guarda alla sostanza delle nostre discussioni, bisogna ricordare - come lei ha fatto nelle sue comunicazioni - che dall'inizio dell'azione militare, in questi cinquantasette giorni, le novità
Ci sembra che il nostro Governo ed anche altri spingano, con particolare determinazione e convinzione, affinché la piattaforma del G8 diventi la base di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU, in modo da restituire a tale organizzazione la legittimazione e la titolarità dell'azione politica, restando il compito dell'azione militare alla NATO, la sola in grado di condurla allo stato attuale dei rapporti mondiali.
È questa l'idea politica maturata nei cinquantasette giorni di guerra, con un particolare protagonismo del nostro Governo; a me pare sia questa l'idea che la maggioranza condivide totalmente e che trova larghi consensi - se ho ben compreso, collega Selva, alcune parti analitiche della vostra risoluzione - anche in gruppi firmatari di altre risoluzioni.
Da tale idea deriva, ovviamente, affinché si possa arrivare ad una risoluzione dell'ONU, la necessità del consenso di tutti i membri del Consiglio di sicurezza, dunque anche di Cina e Russia. Sul punto, vi sono posizioni curiose. Ad esempio, sarebbe un curioso paradosso per chi, durante questo secolo, ha combattuto i dispotismi nazionali e la volontà di dominazione di tali paesi in altre situazioni e ha lavorato ad una inedita e nuova partnership con le democrazie occidentali, ricollocare forzosamente detti paesi nel campo dei nemici: sarebbe una pazzia. Spero nessuno immagini di regredire dalla strategia della partnership, che si è affermata in questi anni, ad una dottrina del contenimento del mondo slavo! Strategicamente sarebbe una pazzia e significherebbe buttare al vento mezzo dopoguerra.
Ho letto le prime dichiarazioni - dobbiamo preoccuparci di questi rumori, non credo siano segnali risolutivi - del candidato premier a Mosca Stepashin, che ha affermato: «Riarmo, riarmo, riarmo!». Non dobbiamo spingere in quella, ma in direzione opposta, verso la quale abbiamo spinto negli anni recenti.
In tale contesto si colloca la questione della sospensione dei bombardamenti. Vorrei pregare tutti di uscire dal campo simbolico del puro inseguimento dell'opinione pubblica e di restare in quello della realtà, esattamente del contesto, come ha ricordato il Presidente del Consiglio.
È evidente che il Consiglio di sicurezza dell'ONU può riunirsi e deliberare - così si immagina - soltanto con i bombardieri a terra; è evidente che, se Cina e Russia fossero disponibili al passo importantissimo di un accordo su una risoluzione da imporre a Milosevic, che avrebbe anche il non disprezzabile effetto collaterale di una legittimazione da parte loro dell'azione della NATO, e che se tali paesi escludessero di votare a favore di tale risoluzione a bombardamenti in corso, non si comprenderebbe la ragione del non considerare l'ipotesi di una sospensione dei bombardamenti stessi.
È evidente che se ci sarà una risoluzione che sia in linea col G8, ci vorrà un tempo di tregua necessario a verificare se Milosevic la rispetti oppure no. Stiamo parlando di una sospensione e non di un annuncio: tutti a casa, fine dell'azione!
È evidente che, se ci sarà l'inizio dell'autentico ritiro delle truppe serbe dal Kosovo, non potremmo - immagino - tenerle, durante il ritiro, sotto il tiro dei cacciabombardieri!
Queste sono esattamente le cose che ha detto il Presidente del Consiglio e che saranno scritte nella risoluzione della maggioranza.
Spero che il Governo italiano e la maggioranza - e più largamente il Parlamento italiano - possano indicare questa strada chiara di un processo politico
Ci sono altre ipotesi? Tutte le ipotesi in campo sono gravate dell'onere della prova; nessuna reca il marchio di garanzia del successo, compresa quella di una pura escalation militare.
Questa, però, è una linea politica da perseguire che ha con sé chance di successo; è quanto scriveremo nella risoluzione della maggioranza ed è per questo che abbiamo qui apprezzato e condiviso le dichiarazioni del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo).
In realtà la pace, l'amore per la pace, che è diverso dal pacifismo, non possono essere la discriminante tra le forze politiche che siedono in questo Parlamento.
Noi dobbiamo chiederci che cosa fare, ma se lo devono chiedere soprattutto il Governo e la maggioranza. Finora quest'ultima è stata tenuta insieme anche dalla sensazione che comunque ci sarebbe stata una opposizione a garantire quel senso di unità nazionale, di coerenza nazionale e di fedeltà, come si dice, alle alleanze in modo tale che il Governo potesse consentirsi delle «cadute» di maggioranza.
Ebbene, mi chiedo quale responsabilità abbia l'opposizione in questa situazione, quale sia il problema di politica estera e quale sia il problema di politica interna dietro a tutti questi dibattiti. Non c'è maggioranza in politica estera! È una geometria variabile quella che caratterizza l'azione di questo Governo nel suo rapporto con il Parlamento.
Dobbiamo però chiederci quali ragioni siano state alla base di questo intervento militare. Quando sento parlare della NATO come di un qualcosa di estraneo a noi, con il quale trattare, dialogare o contrastare, mi chiedo se effettivamente nella NATO vi sia la rappresentanza di altri paesi o se vi sia anche la rappresentanza dell'Italia. Vorrei ricordare anche che nella NATO le decisioni non si adottano a maggioranza ma all'unanimità e quindi la coerenza e la lealtà rispetto agli altri altro non sono se non la lealtà e la coerenza rispetto alle nostre stesse decisioni. Decisioni che i paesi membri hanno consapevolmente preso perché non possiamo pensare ad una NATO che decida da sola.
È stato assunto un comune atteggiamento e sono state compiute delle scelte, tenendo in considerazione i due obiettivi dichiarati: fermare il genocidio che Milosevic stava perpetrando nel Kosovo e favorire un ritorno ad un minimo di chiarezza e di stabilità politica nell'area. Si diceva da più parti che si sarebbe comunque dovuta fare una conferenza politica sui Balcani per stabilire una logica nel diritto internazionale in una vicenda così complessa.
A questo punto cosa è mutato, se non la consapevolezza della possibilità di un insuccesso? Se vi è stato un insuccesso, di chi è la responsabilità di aver iniziato una guerra, anche se motivata da interventi umanitari - come qualcuno li ha definiti - con un'innovazione nel diritto internazionale, che potremmo anche accettare se fosse più generalmente condivisa?
Questa guerra è sulla via di essere perduta. Era stata fatta per arrivare - qualcuno dice - ad una soluzione politica. Ben strano obiettivo per cominciare a sganciare bombe su un paese la cui sovranità, comunque, doveva essere rispettata!
Abbiamo sentito più volte dire in questa sede, e soprattutto fuori, che quest'Europa è socialista, innovativa, progressista. Stamattina abbiamo sentito parlare un autorevole collega che, peraltro, stimo molto, l'onorevole Orlando, di Tony Blair come di una specie di rappresentante della perfida Albione, assolutamente fuori dalla logica della sinistra, sapendo noi che la sinistra ha gestito unitariamente questa vicenda e che la NATO, in cinquant'anni di biechi Governi conservatori, non ha fatto guerre e che, improvvisamente, nell'esplodere della sinistra europea si è trovata impigliata, certo non volontariamente, in una guerra di questa natura! Allora, ha fallito tutta la sinistra europea, ha causato danni all'Europa e ha provocato un'esplosione migratoria che potrebbe essere - lo ha detto il Presidente del Consiglio stamane - addirittura drammatica per l'Italia, a causa di un milione di persone che potrebbero rivolgersi all'esterno. Essi si potrebbero rivolgere all'esterno nel momento in cui avessero perso la fiducia, sia pure minima, di restare nel loro paese.
A questo punto il discorso diventa estremamente difficile: questa maggioranza può pensare di coinvolgere l'opposizione in una logica del sostegno nazionale? L'opposizione ha certamente il dovere di sostenere il Governo in simili situazioni, come avviene in tutti i paesi più civili del mondo: negli Stati Uniti i repubblicani non sono certamente molto contenti di come vanno le cose, ma non parlano proprio perché in tempo di guerra, in genere, i paesi esprimono una solidarietà che in altri momenti sentono meno forte.
Ma ci siamo accorti solo adesso che le bombe sono brutte e cattive, che vengono lanciate in posti in cui non si dovrebbe, che si sta facendo una guerra che non può colpire solo gli obiettivi cattivi, ma che inevitabilmente colpisce anche obiettivi non colpevoli?
Credo che si sia rimasti «incartati» nel gioco - posto che si possa chiamare così, e così non è - che si sta conducendo. Si è rimasti «incartati» con una profonda divergenza interna alla maggioranza e, direi di più, con una profonda divergenza interna al Governo stesso: non possiamo non rilevare i silenzi del ministro della giustizia, le diverse tonalità del ministro della difesa e del ministro degli esteri rispetto a quelle molto più vocalizzate del ministro degli affari sociali.
Credo che il documento che ci sembra sia presentato dalla maggioranza esprima sostanzialmente una cosa di cui l'onorevole Rebuffa ha chiesto il significato: se si tratti cioè di una fermata unilaterale. Ma ci rendiamo conto a cosa psicologicamente può portare, sia a livello internazionale, sia nazionale, un atteggiamento di questo genere, che rappresenterebbe veramente la destabilizzazione dell'area e il suo abbandono alla logica di Milosevic e ad una pulizia etnica che, di fatto, è già stata realizzata e che si è sviluppata entro limiti più ampi della stessa area del Kosovo, semplicemente perché esiste la speranza, da parte dei kosovari, di poter rientrare nel loro paese?
Questa speranza, nonostante tutto e malgrado le difficoltà del momento, è legata al sostegno dell'Europa e della NATO, con tutti i problemi che questo comporta.
Diciamo pure, allora, che la linea del G8 è accettabile. Il G8 come nuovo governo - lo ha detto questa mattina un collega di rifondazione comunista - che rappresenta la sostituzione del Consiglio di sicurezza, così come la NATO rappresenta ormai una sorta di polizia internazionale.
Qual è, quindi, la nostra diversa proposta? Non più quella di un sostegno alla mozione del Governo, né quella di una sorta di accettazione acritica di ciò che avviene semplicemente per amor di patria, ma l'espressione di un dissenso che tiene conto della profonda esigenza di pace, ma anche dei gravi errori che sono stati compiuti e, quindi, della necessità che, a
È vero, onorevole Mussi, che non si può trattare con i bombardieri che sono in volo, ma non si può nemmeno cominciare a trattare, lasciando a Milosevic la possibilità di mandare avanti non i bombardieri, ma i carri armati (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Dico di più. Con qualche rammarico non ho sottoscritto il documento firmato da 200 parlamentari della maggioranza, cui invece hanno apposto la loro firma altri amici e colleghi anche del mio gruppo, perché mi è sembrato di cogliere in esso una certa contraddizione con il senso del voto a sostegno del Governo, quasi un gesto autorassicurante a fronte del peso soverchiante di una responsabilità. Ora, però, si impone una pausa di riflessione. A fronte di palesi, gravi errori nella conduzione dell'intervento, errori sia negli obiettivi da colpire, sia nel calcolo e nella previsione degli effetti pratici dell'azione, si pone un problema direi di conformità e insieme di efficacia dell'intervento rispetto allo scopo stesso che ci si era assegnati e questo, alla lunga, può mettere in discussione la sua stessa legittimità.
Sta qui, se non ho inteso male, il senso dell'evoluzione del punto di vista di coscienze alte; penso, ad esempio, a Norberto Bobbio, in origine decisamente favorevole all'intervento NATO e che oggi confessa lealmente i suoi dubbi al riguardo; lo ha fatto poco fa in sede politico-parlamentare anche l'onorevole Occhetto.
I cultori di dottrina militare protestano, affermando che non si può sperare in un intervento vincente, coronato da successo - ahimè, questa parola -, con le mani legate. Eppure, il dovere di autolimitarsi è iscritto nella natura stessa di un'azione di forza con fine umanitario che, altrimenti, degenera in una guerra come le altre che, per definizione, si chiude con i suoi vincitori e con i suoi vinti. Solo se si possiedono le tecniche e, soprattutto, la cultura del limite ci si può imbarcare in operazioni così impegnative, non disponendo ancora in tema di ingerenza umanitaria né di una collaudata esperienza, né di una organica codificazione di tale istituto.
È chiaro che siamo ad un bivio: dobbiamo decidere se lo scopo dell'azione militare fosse e sia quello di porre fine alla pulizia etnica ovvero quello di annientare Milosevic e di umiliare i serbi. Rammento perfettamente le parole del Presidente del Consiglio al riguardo. Quelle parole mi convinsero, ad esse vorrei si tenesse fede. Da quell'impegno ed anche dai limiti fissati in tale impegno feci dipendere il mio consenso.
In tema di limiti e di primato della politica sull'azione militare osservo con disappunto - ma lo ha già fatto più autorevolmente di me il ministro Dini - che la stessa recente proposta avanzata dal Presidente D'Alema (che ha il merito di restituire centralità all'ONU, di impegnare l'autorità della Russia e della Cina, di fornire una chance estrema a Milosevic, di ridare la parola alla diplomazia) sulle prime era stata respinta seccamente e a stretto giro di posta dai vertici militari della NATO. È un episodio alle nostre spalle, ma che menziono solo perché rivelatore dell'esigenza - come affermava il collega Orlando - di mettere ordine anche nella stessa NATO.
Mi chiedo: è lecito che sui Governi e dunque sulla politica abbia il sopravvento quella che è pur sempre una struttura militare? La mia risposta è «no»! E
Nelle ultime ore la disputa si è concentrata sul tema «tregua unilaterale sì, tregua unilaterale no». Questo mi pare un modo riduttivo di porre la questione; un modo - come si usa dire - un po' ideologico.
La tregua unilaterale può forse e per qualche ora dare respiro ai serbi e magari alle nostre coscienze turbate e divise, ma da sé sola non assicura la soluzione. Si richiede di più e, cioè, la più precisa elaborazione di un percorso suscettibile di produrre una soluzione negoziata che per definizione mal si concilia con gli aut aut, con il prendere o lasciare. In questo quadro, uno stop ai raid aerei può essere utile e necessario giusto per dare prova di un supplemento di disponibilità negoziale che, se non ricambiata, farebbe ricadere tutta intera su Milosevic la responsabilità di una ripresa delle ostilità. Si tratterebbe dunque di una pausa per fare ripartire su nuove basi la diplomazia internazionale; ma sarebbe, appunto, una pausa iscritta in un processo politico che dovrebbe sfidare non più le capacità di resistenza militare di Milosevic - lo si è già fatto in abbondanza e con risultati controversi -, ma la sua ostinazione nel respingere una opportunità di pace che la comunità internazionale gli offre e che potrebbe essere l'ultima. Forse su questo terreno gli sarebbe più difficile resistere, preservando attorno a sé la solidarietà dell'opinione pubblica del suo stesso paese che, in verità, nelle ultime ore è stata incrinata.
E proprio il piano di pace italiano interviene utilmente a dare senso, organicità e praticabilità alla proposta di sospensione dei raid; altrimenti insufficiente e contrassegnata da sé sola da due limiti: il suo carattere episodico, cioè senza seguito e senza uno sviluppo concludente e il suo carattere in tal caso velleitario, se fosse sostenuto in solitudine da noi, senza un più largo coinvolgimento.
In sintesi, le quattro premesse-condizioni che intendevo fare sono le seguenti. In primo luogo, l'esigenza di fare un bilancio onesto ed oggettivo degli effetti dell'intervento NATO in rapporto con i suoi scopi originari e, in concreto, di considerare che la mera prosecuzione dei bombardamenti non risponde a tali scopi. In secondo luogo, che la premessa per una soluzione negoziata sia quella della restituzione all'ONU di una centralità nella gestione della crisi da concretizzare in un'apposita e mirata risoluzione del Consiglio di sicurezza. In terzo luogo, che solo grazie al previo coinvolgimento della Russia e della Cina si potrà sperare, da un lato, di influire efficacemente sulle autorità jugoslave e, dall'altro, di non incappare nel loro veto, altrimenti certo, alla suddetta risoluzione dell'ONU. In quarto luogo, che Russia e Cina condizionino il proprio attivo coinvolgimento ad una sospensione dei raid della NATO.
Poste queste premesse, si chiede al Governo di dare seguito formale in sede NATO prima e in sede ONU poi alla proposta avanzata dal Presidente D'Alema, ove la sospensione dei bombardamenti rappresenta l'inizio di un percorso suscettibile di ridare la parola alla politica ed ai negoziati nell'ambito di un quadro di garanzie e di impegni sottoscritti da tutti i protagonisti.
Lo so bene, vi è un qualche distinguo da fare tra il Governo e la maggioranza; mi pare però che questo si possa includere nell'ambito di quella dialettica virtuosa tra esecutivo e Parlamento che è una risorsa della democrazie; una dialettica virtuosa che si affianca ad un'altra: quella di un'Italia su posizioni negoziali più avanzate all'interno dell'Alleanza atlantica.
In conclusione, mi piace dare atto al Governo ed al Presidente del Consiglio (con il quale talvolta abbiamo qualche scaramuccia su questioni decisamente minori) di avere contribuito a fare di Roma e dell'Italia un crocevia del negoziato (Applausi dei deputati del gruppo de i democratici-l'Ulivo).
È la prima volta che prendo la parola su questa vicenda. Lei ricorderà, signor Presidente del Consiglio dei ministri, che vi erano autorità militari distribuite sul territorio europeo, e non solo, che erano convinte che la guerra sarebbe durata al massimo dieci giorni. Forse possiamo ricordare il momento in cui l'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940: allora alcuni erano convinti, concordando con chi l'aveva provocata, che la guerra avrebbe avuto un rapido decorso.
L'iniziativa torna dunque alla politica e al recupero del ruolo dell'ONU. È allora d'obbligo porsi in questo momento una domanda: perché l'ONU non ha funzionato? Per l'ipotetico veto della Russia o della Cina? È nata male l'ONU? È nato male quell'organismo che l'ha paralizzata nel corso degli anni?
Perché, dunque, non si sono intraprese alcune iniziative per verificare quaranta, cinquanta o sessanta giorni fa le posizioni della Russia e della Cina? Forse avremmo evitato questo black out della pace e avremmo determinato ovviamente una svolta più sicura e pacifica della crisi che imperversa da molto tempo nel Kosovo.
Credo che bisogna valutare attentamente la proposta del Presidente del Consiglio dei ministri.
Signor Presidente del Consiglio, noi non dobbiamo fare una proposta perché, in fondo, la NATO siamo anche noi. La NATO non è una controparte o un soggetto estraneo all'Italia, come ha detto anche qualche collega che mi ha preceduto. Noi dobbiamo allora rivedere le nostre posizioni politiche anche nell'ambito dell'Europa (non parlerò dell'Europa che rimane assente), anche perché esistono all'interno dei paesi europei posizioni differenziate.
Vorrei poi dire all'onorevole Orlando che con la vicenda della guerra nel Kosovo è tramontata, almeno per il momento, anche se la politica interna ha ricadute a livello internazionale, quella idea di un Governo dei democratici a livello internazionale.
Se Blair è guerrafondaio e se Clinton (che non si nomina molto) è il soggetto principale di questa situazione, cadono alcuni sogni portati avanti con grandi sicumera e sicurezza da alcune forze politiche. Finisco qui.
Non dico se esprimerò un voto favorevole o contrario: vediamo quale sarà la risoluzione; io sono anche rappresentato, in questo momento, dal ministro della difesa. Si tratta di un passaggio delicato!
Dire che esprimo un voto contrario significherebbe far squillare un ulteriore campanello - ho terminato, signor Presidente - in ordine ad alcune posizioni all'interno del Governo. Credo, invece, che in questo momento debba prevalere una posizione di saggezza e di responsabilità.
Nel suo onesto intervento, il collega Frau di forza Italia si chiedeva: può il Governo ancora contare sull'opposizione
Mi dispiace dover dire che D'Alema, che pure ha vissuto una serie di conflitti con se stesso, con le sue idee, ha privilegiato alla fine la volontà di mostrarsi affidabile a livello internazionale; anche dai suoi interventi traspaiono in maniera molto chiara i tanti dubbi che ha avuto, di fronte alla superficialità criminale con la quale la NATO ha mosso i bombardamenti senza predisporre un piano di emergenza sanitaria, una via di fuga per i profughi. Ancora oggi, Presidente del Consiglio, non so con quale serenità lei possa guardare le immagini che vengono trasmesse e sapere che in quei campi profughi mancano ancora mezzi di comunicazione (hai voglia a parlare di ricongiungimenti delle famiglie!) e medicinali sufficienti (non c'è ancora un'assistenza sanitaria degna di questo nome). Occhetto questa mattina con una frase ha sintetizzato la situazione, dicendo che i rimedi sono stati peggiori dei mali; lo ha detto chi è stato segretario del partito del Presidente del Consiglio.
È indispensabile per tutti avere un momento di riflessione. Non si può pensare di dare avvio ad una trattativa di pace mentre si continuano a bombardare alla cieca obiettivi civili e mentre diventano milioni i disperati che non hanno più patria, che non sanno più da dove arrivi la morte! Non so se un domani sarà possibile giudicare i capi dei Governi dei paesi della NATO per l'efferatezza e il cinismo con cui questa ha bombardato le popolazioni civili.
La tregua serve anche, Presidente del Consiglio, perché quella parte del popolo serbo che dissente da Milosevic e dalle sue azioni criminali abbia la possibilità e il tempo necessario, senza i bombardamenti, di parlare con il resto della popolazione. Finché continueranno i bombardamenti, Milosevic sarà un gigante e il dissenso non potrà emergere.
Nei pochi secondi che mi rimangono, voglio solo osservare, guardando a questa destra che si dice gollista, che essa oggi poteva dimostrare nei fatti di esserlo, ma sposa, invece, la peggiore destra guerrafondaia. Paradossalmente, quindi, mi trovo d'accordo con il ministro Dini, al quale chiedo scusa per averlo accusato nel mio primo intervento in dissenso; egli, infatti, ha espresso una posizione da destra gollista: fedeltà all'Alleanza atlantica, ma autonomia dell'Europa.
Avverto che sono state presentate le ulteriori risoluzioni Pisanu ed altri n. 6-00090 e Mussi ed altri n. 6-00091 (vedi l'allegato A - Risoluzioni sezione 1).
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14,30 con la replica del Presidente del Consiglio dei ministri.