Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 519 del 14/4/1999
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Si riprende la discussione del disegno di legge n. 5828 (ore 16,30).

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 5828)

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, svolgerò un breve intervento che sarà incentrato e limitato ad alcune questioni specifiche. Il provvedimento, rispetto al testo trasmesso dal Senato, è stato per alcuni aspetti già modificato in Commissione, ma credo che rimangano da fare alcune modifiche; mi auguro che vi sia l'assenso per apportarle, in modo che il provvedimento possa fare il suo corso nei termini stabiliti per la sua applicazione già in occasione della prossima tornata elettorale amministrativa.
Procederò seguendo l'ordine degli articoli. L'articolo 1, comma 1, affronta il problema dell'«anatra zoppa»; si tratta di un articolo che rimedia ad una palese assurdità. Infatti, poteva verificarsi il caso di un sindaco che vinceva le elezioni al primo turno ma le cui liste collegate non conseguivano la maggioranza dei voti; pertanto, diversamente da quanto previsto dalla legge per il sindaco vincente al secondo turno, il sindaco vincente al primo turno veniva penalizzato. Si tratta di una correzione doverosa che risolve il problema definito, lo ripeto, dell'«anatra zoppa». Di ciò parlerà più ampiamente il collega Valducci.
Forse, però, bisogna riflettere anche su un altro caso di «anatra zoppa». Quando la Commissione competente della Camera, molto tempo fa - se non erro all'inizio di questa legislatura - aveva affrontato tale problema, aveva previsto anche di eliminare il caso dell'«anatra zoppa» relativo all'ipotesi in cui il sindaco vince non al primo turno ma al secondo e, contestualmente, le liste collegate avversarie conseguono, al primo turno, più del 50 per cento dei voti. In questo caso si procede al ballottaggio ma, se vince il sindaco collegato


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alle altre liste, tale sindaco è condannato a governare senza maggioranza.
La Commissione affari costituzionali, (credo nel 1996 o il 1997), affrontando il provvedimento, aveva previsto di risolvere anche questo problema. Forse è bene riflettere perché ci sono casi in cui si verifica anche questa circostanza e bisogna capire se vogliamo privilegiare la governabilità a favore del sindaco che viene eletto, in questo caso, al secondo turno. Credo questo sia il parametro che va privilegiato al riguardo.
Per quanto riguarda il secondo comma che riguarda le elezioni provinciali, si compie qualche passo avanti prevedendo di eliminare alcune cause di dichiarazione di invalidità del voto perché il sistema, pur essendo apparentemente identico a quello dei comuni, in realtà è diverso: l'elettore non vota nello stesso modo. Questo è un altro aspetto che dovremmo assolutamente correggere.
La correzione che è stata fatta è positiva. Vi era una situazione assurda - come ha ricordato il relatore - poiché venivano annullate moltissime schede nel caso in cui l'elettore votava sia il candidato alla presidenza della provincia sia il candidato di un gruppo collegato. Viene posto rimedio a questo inconveniente, ma non si prevede e non si compie il passo che, a mio avviso, occorrerebbe fare. Perché non prevedere un sistema assolutamente identico a quello dei comuni? Il sistema è lo stesso: c'è l'elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia ma per i comuni prevediamo la possibilità del cosiddetto splitting, mentre per le province non la prevediamo e rimane una modalità di voto diversa. Dunque, i cittadini vanno a votare lo stesso giorno per le elezioni comunali e provinciali, devono esprimere il voto in maniera diversa, pur in elezioni sostanzialmente identiche. Non si comprende perché.
Alcuni colleghi della maggioranza hanno presentato emendamenti per introdurre per le province lo stesso sistema dei comuni, cioè lo splitting. Ritengo che questo sia un sistema positivo. Bisogna procedere ad una unificazione, non can cellando lo splitting nei comuni, - come qualcuno pensava - ma prevedendolo anche per le province non tanto perché siano numerosi gli elettori che praticano la differenziazione del voto fra presidente della provincia e liste collegate, ma perché l'esistenza di questo meccanismo - a mio avviso - costituisce un salutare deterrente affinché i partiti non presentino candidature a presidente della provincia o a sindaco di profilo non adeguato.
Quando la candidatura è di buon profilo, evidentemente, la tendenza da parte dell'elettore a mettere in atto un meccanismo di splitting si riduce fortemente. Forse il sottosegretario può fornirci dei dati statistici, se li ha, sulla percentuale degli elettori che ricorrono a questa differenziazione del voto (credo che sia molto contenuta). Essa è positiva perché privilegia la scelta della persona che deve governare e perché privilegia un meccanismo che spinge i partiti a presentare candidati del maggior profilo possibile. Io ritengo che sia un ottimo sistema quello che consente all'elettore di poter scegliere la persona e di individuare la responsabilità. Ritengo altresì che questo meccanismo debba essere introdotto anche alle elezioni provinciali, non solo per la bontà del meccanismo stesso ma anche per risolvere un problema di razionalizzazione, cioè per avere nei due ambiti lo stesso sistema di votazione.
Non si capisce perché si debbano ingenerare tanta confusione e disorientamento. Certamente non tutta la sfiducia e non tutto il distacco dei cittadini dalla politica e dalle istituzioni deriva da ciò, ma ritengo che ciò abbia una qualche incidenza perché, quando l'elettore si reca a votare - non solo quelli che hanno frequentato pochi anni di scuola ma anche persone laureate -, sbaglia a votare. Credo che dovremmo evitare di frustrare l'elettore che è andato al seggio, ha votato e poi vede la sua scheda annullata. Si tratta a volte di milioni di schede. Non è un fenomeno di poco conto! Uniformare le modalità di votazione credo sia un fatto positivo che andrebbe compiuto. Mi auguro che sulla questione dello splitting non si crei un


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problema ideologico; non riesco sinceramente a capire perché possiamo prevedere questo meccanismo per i comuni, mentre diventa un tabù o comunque un problema per le province. Credo che si possa prevedere benissimo questo stesso meccanismo per quanto riguarda le province.
Nell'articolo 2 si prevede la possibilità di consentire un terzo mandato, purché uno di quelli precedenti abbia avuto una durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno. Mi auguro che non si determinino meccanismi perversi, per cui, nell'ambito della stessa maggioranza, si creano situazioni tali da portare allo scioglimento proprio per ottenere un terzo mandato. Mi auguro che non sia così. Purtroppo, i comportamenti umani si incanalano lungo le occasioni che offrono le regole e mi auguro che questa previsione non abbia effetti perversi. Ho qualche timore, perché purtroppo i comportamenti umani e politici sono influenzati dalle regole che si trovano e se queste regole consentono di ricorrere ad escamotage di questo tipo, è difficile che poi non vi si ricorra. Voglio rivolgere un piccolo invito a riflettere se non sia il caso di attenuare o di non introdurre questa previsione del terzo mandato.
Vengo agli articoli 3 e 4, che sarebbero gli ex articoli 4 e 5, perché l'articolo 3, introdotto dal Senato, è stato giustamente soppresso dalla Commissione, in quanto in esso era prevista un'estensione assolutamente incomprensibile dei soggetti che possono autenticare le firme per presentare le liste, poiché tale funzione non deve essere svolta da soggetti politici, ma da soggetti che offrano garanzie nella raccolta delle sottoscrizioni (semmai, per questo problema, altri sono i rimedi, come ha accennato il relatore).
Mi soffermo quindi sul problema della introduzione di una soglia di sbarramento per poter accedere al riparto dei seggi, al quale possono partecipare, appunto, le liste che abbiano conseguito almeno il 3 per cento da sole, oppure quelle collegate - questo è il punto -, che lo conseguano nel loro complesso. Ritengo che questa seconda ipotesi dovrebbe essere eliminata. Si parla tanto da parte di chi si oppone al completamento del maggioritario di sistema tedesco, di soglia del 5 per cento, poi si arriva qui e altro che 5 per cento! Sul finanziamento pubblico dei partiti poi prevediamo l'1 per cento! Il ministro Amato va a criticare le «cento padelle», poi però non dice nulla quando si approva una norma che prevede come soglia l'1 per cento.
Si parla tanto di proliferazione, di frammentazione! E ci credo: con il finanziamento, avete - voi, non io - votato...

LUIGI MASSA, Relatore. È fuori tema.

GIUSEPPE CALDERISI. No, non vado fuori tema, perché questa norma è dettata dall'esigenza di evitare un processo di frammentazione, ma non possiamo pensare di evitare tale processo se contemporaneamente prevediamo di concedere il rimborso delle spese elettorali a chi prende l'1 per cento. Scusate, ma ci vuole un minimo di coerenza! Tra l'altro, si crea una situazione abbastanza paradossale, per cui il partito che prende il 2,9 per cento non accede al riparto dei seggi, mentre due partiti che si collegano, che prendono insieme il 3 per cento e separatamente l'1,5, hanno diritto a partecipare al riparto dei seggi. Mi sembra un po' paradossale. Se si deve prevedere uno sbarramento, mi sembra giusto e logico parlare di uno sbarramento chiaro e preciso, che riguarda anche il voto preso dalle singole liste: credo che questa sia la soluzione più auspicabile.
Infine, affronto come ultima la questione del cosiddetto election day, prevista dall'articolo 6 del provvedimento che giunge al nostro esame. Si sono fatti sicuramente dei passi avanti.
Vi è un dibattito all'interno del gruppo di forza Italia al riguardo: personalmente, condivido l'ipotesi di non escludere, sia pure in casi molto limitati, che vi sia anche una possibilità di voto in autunno, perché sinceramente l'ipotesi che possano esservi comuni con un commissario per un periodo fino a 16-17 mesi mi sembra


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effettivamente eccessiva e di molto. Anche a tale riguardo dobbiamo interrogarci un attimo: è vero che, quando vi è un'elezione, anche nel comune più piccolo, tutto il sistema politico entra in fibrillazione; mi auguro e spero, però, che sia possibile, anche nel rispetto della nostra Costituzione che all'articolo 49 parla di partiti che devono concorrere a determinare la politica nazionale (o mi sbaglio, presidente Maccanico?), che, quando si vota, per esempio, a Mondovì o a Caltagirone, non necessariamente tutte le macchine dei partiti nazionali debbano entrare in fibrillazione, per trarre poi dallo 0,5 per cento in più o in meno considerazioni politiche che riguardano gli scenari politici. Questo, però, purtroppo avviene, credo, a danno di quella che dovrebbe essere una logica di autonomia: vi è infatti sicuramente da riflettere chiedendosi se, quando un comune ha un problema, la sua soluzione debba essere rinviata perché le elezioni devono tenersi sedici mesi dopo per evitare una sessione di voto ad hoc.
Personalmente non sono contrario alla proposta che ha avanzato il Governo: certamente, abbiamo comunque compiuto dei passi in avanti, perché abbiamo eliminato il caso in cui il governo del comune veniva lasciato al vicesindaco in caso di dimissioni del sindaco, il che poteva dar luogo a situazioni di staffetta o a particolari giochi politici, per esempio a tentativi da parte del vicesindaco di ribaltare il sindaco per poter governare, appunto, per sedici mesi. In sostanza, si sarebbe determinata una situazione assolutamente paradossale ed illogica, poiché, se una giunta va in crisi, viene sfiduciata oppure si dimette il sindaco, mi sembra che si debba ricorrere all'istituto del commissario e che non si debba rimettere il governo nelle mani del vicesindaco della stessa giunta, come attualmente prevede la legge. Ritengo, quindi, che sia un fatto positivo l'aver eliminato l'articolo 37-bis della legge n. 142, relativamente all'ipotesi delle dimissioni del sindaco, caso in cui, come per la sfiducia, entra in gioco il commissario. Ritengo, ripeto, che questo sia un fatto positivo, che sicuramente potrebbe in qualche modo attenuare l'ipotesi del mantenimento dell'unica finestra; però, pensiamoci bene: personalmente, ripeto, non sono affatto contrario a che rimanga anche una finestra autunnale.
Queste sono le considerazioni che volevo svolgere, signor Presidente: sono tutte questioni molto puntuali e specifiche. Credo che il provvedimento sia nel complesso positivo, con alcune correzioni che sono state apportate: mi auguro, peraltro, che altre possano essere introdotte nel corso della discussione, in tempi che siano tali da garantire la sua applicazione alla tornata elettorale delle prossime amministrative.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pistelli. Ne ha facoltà.

LAPO PISTELLI. Signor Presidente, colleghi, per gli esigui cultori degli atti parlamentari mi rimetto alla discussione più ampia che si è tenuta in Commissione affari costituzionali, limitandomi a preannunciare alcune - sei per l'esattezza - sinteticissime dichiarazioni di voto sulle questioni che sono state richiamate dal relatore e nella discussione fino a questo punto.
La prima: è un bene che si ritorni al mandato di cinque anni, dopo che il dibattito svoltosi durante gli anni novanta ha fatto emergere via via il carattere implicitamente punitivo che la riduzione a quattro anni dei mandati stabilita all'inizio di questo decennio aveva in realtà assunto.
Esprimo rincrescimento per il fatto che non si sia voluto accedere in tempi non sospetti, cioè all'inizio della legislatura, alla proposta che i popolari, fra gli altri, avanzarono per rendere applicabile la previsione del mandato di cinque anni a far data dal rinnovo generale avvenuto nel 1995.
Va da sé ed è assolutamente intuitivo che ciò avrebbe permesso di avere non soltanto un election day annuale nella finestra di primavera, ma un vero e proprio grande turno amministrativo generale che coinvolgesse comuni, province


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e regioni: almeno 15 regioni su 20, cioè quelle a statuto ordinario, sarebbero state coinvolte ed è un peccato che ciò non sia avvenuto. Non avendo previsto la retroattività di tali misure e non avendole adottate per tempo, per qualche decennio avremo una sfasatura tra comuni, province e regioni, mentre sarebbe stato probabilmente utile avere un grande rinnovo generale nel 2000 e così procedere, non dico ad anni pari, perché il 2005 è già un anno dispari, ma comunque a scadenze certe.
La seconda dichiarazione di voto riguarda il fatto che ritengo positivo che, per quanto restino in piedi le obiezioni appena avanzate dal collega Calderisi, si risolva il problema dell'«anatra zoppa», che via via si è affacciato anche durante i rinnovi amministrativi parziali di questi ultimi tre anni e che rendeva paradossalmente conveniente per un sindaco vincere al secondo turno piuttosto che al primo, distorcendo così lo spirito della legge n. 81.
La terza dichiarazione di voto è la seguente: reputo opportuno che la Commissione abbia ritenuto giusto inserire l'eliminazione della fattispecie delle dimissioni ex articolo 37-bis della legge n. 142, per evitare appunto la tentazione della «staffetta», resa possibile dalla permanenza in carica del vicesindaco e, dunque, della giunta, rispetto alla quale veniva meno la figura del sindaco, e dal lungo periodo previsto, cioè un anno o 15-16 mesi, che permetteva al vicesindaco di preparare da sindaco pro tempore la successiva campagna elettorale.
La quarta dichiarazione di voto è che, dette queste cose, credo tuttavia che occorra lavorare per un'unica finestra di voto primaverile, considerando quella autunnale un'eccezione. Il carattere di eccezionalità di tale finestra deve essere reso evidente dal fatto che chi vota nel turno eccezionale di autunno paga poi tale eccezionalità in termini di lunghezza del mandato, andando nuovamente ad allinearsi alla scadenza primaverile dei cinque anni insieme agli altri comuni. In tal modo, se non sopraggiungeranno cause di instabilità, morti o altri fatti analoghi, diventerà un'abitudine votare soltanto in primavera e non avere la finestra d'autunno.
La quinta dichiarazione di voto è la seguente: credo sia opportuno, e dunque migliore, lavorare sull'ipotesi della riduzione del numero delle firme per la presentazione delle liste e non, come il Senato ha invece previsto, sull'allargamento dei soggetti che possono autenticarle. Infatti, non sfuggono a nessuno le possibili distorsioni di un meccanismo di allargamento dei soggetti abilitati ad autenticare le firme, mentre credo sia opportuno porsi oggi il problema, anche alla luce della serena disamina delle condizioni in cui avviene la lotta politica in Italia, di abbassare il numero delle firme da raccogliere, soprattutto in quella gamma demografica di comuni sopra i 10 e i 15 mila abitanti e per le province in cui il rapporto fra popolazione complessiva, platea effettivamente votante e numero delle firme richieste rende veramente punitiva quella soglia.
Credo sia opportuno affrontare il problema e non so se lo abbiamo risolto correttamente immaginando di far uscire i funzionari o i dipendenti dei comuni dalle sedi abituali per rendere possibile l'autenticazione. Tuttavia, credo sia opportuno porsi il problema di rendere effettiva la possibilità per le forze politiche di raccogliere le firme e, quindi, di permetterne l'autenticazione, non dovendo necessariamente ricorrere all'«affitto» delle prestazioni di un notaio.
Vengono segnalate - non so se per eccesso di coloritura della cronaca o perché sono vere - situazioni pericolose, soprattutto nei comuni più piccoli, nei quali anche la disponibilità dei funzionari comunali e gli orari di apertura degli uffici per la raccolta delle firme diventano strumenti di lotta politica per i sindaci uscenti e per le maggioranze politiche che intendono, in questo modo, condizionare o limitare la possibilità di competizione politica.
Dobbiamo evitare questo secondo aspetto, ma ciò non giustifica la scelta di allargare ad libitum la platea dei soggetti abilitati ad autenticare le firme.


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L'ultima dichiarazione di voto riguarda lo splitting, più giustamente denominabile «voto disgiunto», dal momento che ci troviamo nel Parlamento nazionale. Ritirerò, prima che venga sottoposto all'esame dell'Assemblea il mio emendamento analogo a quello presentato dal collega Calderisi, volto ad introdurre anche per l'elezione del presidente della provincia, la possibilità di voto disgiunto completo, cioè non soltanto la possibilità di votare il presidente, il presidente ed il consigliere o il consigliere, ma di autorizzare l'elettore - come avviene per i comuni - a votare il presidente alla provincia e un candidato nei collegi uninominali che si richiami ad un altro candidato presidente.
So che su questo tema si dividono le valutazioni della Camera e quelle già espresse dal Senato, nel senso che quest'ultimo, come risulta agli atti, avrebbe teso ad eliminare la discrasia tra sistema comunale e sistema provinciale, eliminando il voto disgiunto nei comuni e non introducendolo nelle province.
Credo che questo sia il segnale di una riflessione critica che le forze politiche ed il Parlamento nazionale stanno operando sulla legge n. 81 e sulla dinamica introdotta nel sistema degli enti locali. È davanti agli occhi di tutti la tendenza dei sindaci a rappresentare, sulla base della logica del valore aggiunto, qualcosa che va al di là della maggioranza della coalizione che direttamente esprime quella candidatura e sappiamo che talvolta, sia per questo motivo sia per evitare il rischio dell'«anatra zoppa», i sindaci hanno nelle ultime tornate cercato di creare liste del sindaco proprio per rappresentare questo valore aggiunto potenziale.
Quando ho esaminato il progetto di legge, non sapevo se la soluzione migliore fosse eliminare il voto disgiunto nei comuni o introdurre la presidenza della provincia; un problema però lo avevo: nel momento in cui tendevamo ad allinearci al sistema dei comuni, introducendo modalità diverse anche per l'espressione del voto da parte dei singoli cittadini, mi chiedevo cosa avrebbe pensato il cittadino il prossimo 13 giugno quando, davanti ad un sistema elettorale appena modificato dal Parlamento, non troverà comunque risolto questo problema e si troverà a votare per il comune con un sistema e per la provincia con un altro.
Prendo atto che oggi non siamo in grado di esprimere un parere politicamente uniforme ed omogeneo in tempi tali da consentire che questa riforma esplichi i suoi effetti nel prossimo turno amministrativo; però, per quanto possa sembrare ingenuo (lo abbiamo già detto per la legge elettorale relativa al Parlamento europeo), invito i colleghi a occuparsi nuovamente di questo tema in un breve arco di tempo per portare a termine questa riflessione senza la pressione esercitata da problemi urgenti, senza il fiato sul collo degli amministratori in scadenza, prendendo in considerazione anche un tema che il collega Calderisi ha testé richiamato, cioè l'omogeneità degli sbarramenti previsti per comune e provincia. Se facciamo questa riflessione lontano dalle scadenze elettorali (dunque a partire dal prossimo mese di giugno), è possibile che, se non l'abbiamo fatto per questa volta, saremo in grado la prossima volta di rileggere complessivamente non soltanto l'architettura ordinamentale degli enti locali ma anche quella elettorale, consegnando così agli elettori un sistema più chiaro, meno conflittuale e quindi dando anche buona prova di noi stessi come legislatori.
Per questi motivi, lo ripeto, accedo all'ipotesi di ritirare l'emendamento, immaginando che questo testimoni la volontà dei popolari di arrivare ad una rapidissima approvazione del testo in esame (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, penso che con questo provvedimento potremo compiere dei passi in avanti ma non daremo soluzioni definitive.
Cominciamo con il discorso dell'«anatra zoppa»; volendo fare una disquisizione


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semantica, sarebbe meglio parlare, invece che di un'anatra, di un'aquila o di una tigre: perché definire il sindaco di un comune un anatroccolo? Non mi sembra questo il caso di copiare la terminologia inglese.
In ogni caso, siamo d'accordo che occorre risolvere tale problematica; ne prendiamo atto, in quanto si tratta di un'iniziativa positiva.
Per quanto riguarda le modalità di elezione dei consigli provinciali, la miglior soluzione sarebbe quella di assicurare la libertà di scelta al cittadino. L'elezione diretta del sindaco ha dato visibilità ai sindaci ed i cittadini si identificano con le istituzioni e con il proprio sindaco, piaccia o meno il suo colore politico. Non vedo, allora, perché non si debba lasciare la possibilità di scelta al cittadino, tanto più che è difficile la creazione di liste del presidente della provincia; infatti il cittadino si identifica con maggiore difficoltà nelle istituzioni provinciali in quanto, di solito, la provincia è composta di più realtà rispetto al comune, che costituisce una singola realtà.
Non vedo, pertanto, per quale motivo si debba sottrarre al cittadino la possibilità di scegliere il candidato che ritenga più adatto ed il suo partito di riferimento: meglio assicurare una libertà in più al cittadino, piuttosto che una in meno. In ogni caso, poiché si rende necessario provvedere con legge nel termine più breve possibile e rendendomi conto che ci troviamo di fronte ad una problematica particolarmente delicata, non insisto ulteriormente. Questa è, comunque, un'occasione persa: recupereremo voti nulli, ma non assicureremo la libertà di scelta del cittadino.
Per quanto riguarda la problematica della raccolta e dell'autenticazione delle firme, non mi sembra il caso di fare una guerra sul punto. Sono anch'io scettico circa il fatto che i consiglieri comunali e provinciali possano autenticare le firme. Si è detto che si tratterebbe di una autenticazione politica delle firme. Mi chiedo: non sono forse anche i consiglieri circoscrizionali espressione di forze politiche? Non lo sono anche gli assessori, i delegati del sindaco e il sindaco stesso? Voglio capire, allora, perché l'autenticazione del consigliere comunale o provinciale debba valere di meno di quella di un sindaco o di un presidente di circoscrizione. Se una persona è seria, non autentica firme false. In realtà, il problema è un altro: sarebbe stato più opportuno riprendere la normativa vigente nel 1975, secondo la quale i partiti con gruppi parlamentari presenti nella Camera ed in Senato, rappresentativi di realtà politiche effettivamente esistenti, non incorrevano nell'obbligo della presentazione delle firme; teniamo conto, infatti, che il simbolo del partito è conferito secondo uno schema verticale dal segretario nazionale di partito al presidente regionale o provinciale, al singolo presentatore della firma e che, quindi, si verifica un controllo in senso verticale; di conseguenza, solo nel caso di liste che potremmo definire «fai da te», al fine di evitare che si producano «schede lenzuolo» sarebbe opportuno procedere alla raccolta delle firme. Questa mi sembrerebbe la soluzione più semplice.
Rischiamo, anche in questo caso di impantanarci per mesi; sarebbe opportuno, allora, ridurre il numero di firme ma, comunque, rimarremmo in una situazione assurda; se lo scopo è evitare un eccessivo proliferare di liste cosiddette di ricatto, non è riducendo il numero delle firme che risolveremmo il problema. Questa è una dimostrazione del fatto che la proposta di legge al nostro esame non dà soluzione a tutte le problematiche, ma costituisce un tentativo, un esperimento di soluzione.
Venendo al discorso del barrage al 3 per cento, per quanto mi riguarda avrei ritenuto opportuna anche una percentuale più elevata; se questa è una soglia di contrattazione tra diversi punti di vista, si applichi pure; tuttavia, non posso non sottolineare che appena un mese fa eravamo contrari al finanziamento pubblico ai micropartiti. Se avessimo applicato uno sbarramento del 3 per cento anche per il finanziamento ai partiti, avremmo dato


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una grossa spinta per evitare la frantumazione del panorama politico italiano; un obiettivo che tutti vogliono a parole, ma che nessuno persegue.
Sono d'accordo, poi, sulla fissazione della durata degli organi elettivi in cinque anni. Inoltre, si pone una problematica che considero molto importante: la figura del vicesindaco diventa credibile, diventa espressione popolare nel momento in cui la sua candidatura viene scritta sulla scheda elettorale. Alleanza nazionale aveva chiesto che il vicesindaco fosse indicato sulla scheda; il Presidente degli Stati Uniti, ad esempio, viene eletto insieme al suo Vicepresidente, per far sì che quest'ultimo lo sostituisca, se necessario. E non è che Al Gore - consentitemi una battuta, visto che in questo momento l'aula è semivuota - stia pensando di mandare un'altra Monica al presidente Clinton, in maniera che egli sia costretto poi alle dimissioni; magari se la tiene per sé!
In ogni caso, il vicesindaco indicato sulla scheda elettorale e legittimato dal voto popolare, costituirebbe una garanzia di continuità. Quello che dobbiamo evitare non è che decada il sindaco - anche se chiaramente auspichiamo che rimanga in carica il più possibile -, ma che decada l'amministrazione: e se sindaco e vicesindaco sono espressione della squadra che i cittadini hanno scelto e quindi hanno dietro di loro un blocco di consiglieri comunali o provinciali che i cittadini hanno votato, l'amministrazione non cade. Certo, potrebbe esserci un cambiamento di ruolo: beh, potrebbe succedere; ritengo che non ci sia poi nulla di male, al limite, nella staffetta, ma in ogni caso si avrà una continuità amministrativa. Allora, se uno è assessore, non può tentare di fare le scarpe al sindaco uscente per prepararsi a fare il sindaco la volta successiva?
Il problema si sarebbe risolto comunque legittimando la posizione del vicesindaco, rendendolo visibile sulla scheda elettorale, anche perché in tal modo i cittadini avrebbero avuto una doppia garanzia e se, al limite, avessero visto che uno dei due candidati non era affidabile, avrebbero potuto scegliere un'altra coalizione. Teniamo conto del fatto che oggi il vicesindaco ed il vicepresidente sono assessori e sono scelti al di fuori dei consigli comunali: mentre il sindaco è eletto dal popolo, oggi nessuno elegge il vicesindaco, anzi, se è un consigliere deve dimettersi per poter ricoprire la nuova carica. Questa è una incongruenza, perché come abbiamo già detto i responsabili devono essere dei tecnici: è giusto che sia così, ma allora vicesindaco e vicepresidente vengano scelti dalla gente che ha dato loro la maggioranza dei voti. Io sono presidenzialista, colleghi, e ritengo che dall'elezione del Presidente della Repubblica al consiglio di circoscrizione il cittadino debba direttamente scegliere il capo dell'amministrazione o dello Stato che va ad eleggere. È questo il mio modo di vedere e ritengo si tratti di una soluzione utile.
Per parte mia, sono poi favorevole al turno unico annuale, perché aprire finestre o finestrelle comporta comunque delle perturbazioni, mentre mi sembra utile prevedere che si proceda al voto amministrativo in una sola tornata. Non mi sembra invece un gran problema che vi siano momenti di scadenza diversi tra province e regioni. Vediamo, per esempio, che il 13 giugno in molti luoghi si dovrà votare per circoscrizioni, comuni, province e per il Parlamento europeo. Le persone non particolarmente addentro alle questioni politiche, che si troveranno a votare con quattro sistemi diversi, con simboli ed aggregazioni differenti, avranno davvero grossi problemi per capire come votare. Quindi, se anche le elezioni regionali, che hanno un sistema di votazione ancora diverso, si svolgeranno in un altro turno, non sarà poi una cosa così sbagliata.
Sono invece pienamente condivisibili alcune norme, quali quelle relative all'albo degli scrutatori ed alla riduzione in alcuni casi del numero degli scrutatori nei seggi.
Presenterò un emendamento all'articolo 12, che mi auguro il Governo accetterà. La logica di tale proposta è molto semplice: noi assistiamo ad una drammatica caduta del numero degli elettori al ballottaggio e questo avviene anche perché


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molti cittadini nei quindici giorni che intercorrono tra le due votazioni perdono il certificato elettorale e devono tornare a richiederlo alla sede del comune, che non si sa mai quando sia aperta, e così via. Propongo allora che, in attesa che si arrivi al sistema della tessera, chi ha già votato in un seggio possa tornarvi per le votazioni di ballottaggio anche senza il certificato elettorale, facendosi identificare dal presidente del seggio tramite un documento di identità, i cui estremi verranno registrati sul verbale della votazione. Se, infatti, il cittadino ha votato la prima volta, può farlo anche la seconda, purché si accerti la sua identità.
Desidero infine raccomandare all'attenzione del sottosegretario che ci ascolta l'esigenza di risolvere in anticipo rispetto al prossimo turno elettorale il problema del costo delle spedizioni, evitando che accada di nuovo che a dieci giorni dalle elezioni non si sappia ancora se queste costino 70, 450 o 700 lire. Il Governo, per favore, decida subito e stabilisca che nei trenta giorni precedenti alle elezioni, sia in Italia sia all'estero, le spedizioni costano 70 lire. Ho fatto riferimento all'estero perché questa volta per le elezioni europee voteranno anche gli italiani temporaneamente residenti all'estero o residenti nei paesi dell'Unione europea, per cui non si può pensare che per spedire loro un avviso, una lettera o un cartoncino pubblicitario si debba spendere undici volte di più di quanto si spende per inviarli in Italia. Secondo me, anziché attribuire finanziamenti ai partiti, è opportuno assumere provvedimenti di questo genere, che consentano di fare la campagna elettorale a basso costo: questa è garanzia di libertà per tutti i candidati, siano essi appartenenti a partiti grandi o piccoli. Mi auguro che il Governo si impegni celermente da questo punto di vista.
Concludendo, quindi, vorrei dire che questo provvedimento, a mio parere, risolve solo una parte dei problemi, non tutti: mi permetto di dire, che in questo modo, però, si perde una buona occasione di definire questioni che rimangono aperte.
Il gruppo di alleanza nazionale non ha intenzione, comunque, di far perdere altro tempo e ritiene indispensabile che questo provvedimento venga approvata prima del 4 maggio prossimo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Valducci. Ne ha facoltà.

MARIO VALDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche il gruppo di forza Italia è interessato ad approvare in tempo utile questo provvedimento in modo che possa essere applicato al prossimo turno elettorale.
Il mio gruppo accoglie, altresì, l'appello lanciato dall'onorevole Pistelli concernente la necessità di provvedere ad una riforma più organica della legislazione elettorale in Italia, anche se ciò va fatto non in prossimità di turni elettorali. Infatti, la questione si era già posta per le elezioni del Parlamento europeo e adesso, per l'elezione degli organi degli enti locali, siamo costretti a correre per approvare un provvedimento che, però, non costituirà un testo di legge organico in materia elettorale. Oggi non affrontiamo, ad esempio, la questione che diventa sempre più ricorrente man mano che ci si avvicina al periodo di svolgimento della campagna elettorale: mi riferisco alle norme relative all'incompatibilità ed alle cause di ineleggibilità. Non si riuscirà mai ad approvare una legge organica su tali questioni in prossimità delle elezioni, perché in quel periodo scattano una serie di fattori personali che fanno sì che quello che dovrebbe costituire oggetto di una serie di incompatibilità e di cause di ineleggibilità non venga mai preso in considerazione a tali fini.
Mi auguro, pertanto, che già nel prossimo autunno si possa iniziare una revisione organica delle norme in materia elettorale. Per quanto riguarda, ad esempio, il sistema elettorale dei comuni e delle province, il gruppo di forza Italia è favorevole ad uniformare i due sistemi


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sulla base di quello comunale, con l'eliminazione dei collegi uninominali e la possibilità sia di un voto disgiunto sia di passare da un sistema basato sui collegi uninominali ad un sistema proporzionale, con voto di preferenza, che assicuri una maggiore possibilità ai cittadini di scegliere i propri candidati.
Oggi, infatti, nelle elezioni provinciali assistiamo ad una corsa dei candidati non tanto a svolgere una campagna elettorale efficace, ma ad essere piazzati nei collegi più favorevoli al proprio partito. Pertanto, i partiti decidono fin dalla candidatura chi dovrà essere eletto alla carica di consigliere provinciale. È per questo che riteniamo che il sistema debba essere uniformato sull'esempio dell'elezione dei consigli comunali.
Per quanto riguarda il discorso della cosiddetta «anatra zoppa», ripeto quanto già ho avuto modo di affermare in Commissione nel settembre 1997 e che sono tornato a ripetere il 23 ottobre dello stesso anno. Allora, un emendamento presentato dall'onorevole Massa fece sì che la soluzione proposta al problema dell'«anatra zoppa» non risolvesse alcuni casi presenti nel nostro paese. Infatti, può avvenire che al primo turno la coalizione che ha ottenuto più del 50 per cento dei voti di lista non veda eletto il proprio candidato alla carica di sindaco e che, al secondo turno, il candidato sindaco che aveva raggiunto solo il 45 o 47 per cento dei voti di lista venga eletto: avendo già ripartito i seggi del consiglio comunale in base ai voti ottenuti dalle liste al primo turno, potremmo trovarci - ricordo, ad esempio, i comuni di Grosseto e di Melfi - di fronte a casi in cui i sindaci sono in minoranza.
Pertanto, bisogna vedere cosa ha intenzione di fare il legislatore.
Se il legislatore vuole dare priorità al voto di lista rispetto all'elezione diretta, allora vi seguo nel ragionamento che fate, ma se il legislatore vuole invece dare priorità all'elezione diretta del sindaco, allora in questo caso bisogna ripristinare il testo unificato approvato dal Comitato ristretto il 30 settembre 1997 che prevede che, qualora liste di un'unica coalizione superino il 50 per cento ma non abbiano il proprio candidato eletto, non si debba provvedere alla ripartizione dei seggi al primo turno ma al secondo turno.
Voglio poi ricordare che già allora sostenemmo che non bisogna esagerare con la «forbice»; infatti, se una coalizione di partiti raggiunge il 40-41 per cento dei voti e il candidato sindaco raggiunge il 51-52 per cento dei consensi, è evidentemente esagerato prevedere un'attribuzione del 60 per cento, altrimenti si penalizza drammaticamente una coalizione politica che magari ha commesso lo sbaglio nel candidare una certa persona a sindaco, ma ha comunque ottenuto molti più voti. Anche allora, dunque, all'articolo 3, lettera c), del testo unificato licenziato dal Comitato ristretto avevamo inserito una norma che prevedeva questa possibilità, ossia che, qualora le liste che presentavano un certo candidato come sindaco non superassero il 40-45 per cento dei voti, veniva loro attribuito il 50-55 per cento ma non il 60 per cento.
Penso che questo punto meriti un ulteriore approfondimento, anche se a nome di forza Italia mi sento di dire che noi privilegiamo l'elezione diretta del sindaco rispetto al voto di lista. Del resto, penso che il legislatore, quando negli anni novanta varò la legge n. 81, abbia voluto dare questo tipo di indicazione.
Per quanto riguarda l'articolo 2, debbo dire che su di esso sono molto scettico. Questa norma era accettabile in presenza di una «anatra zoppa» da sistemare; era cioè accettabile la possibilità di prevedere un terzo mandato per sanare una certa anomalia. A tale riguardo ciò che ha detto il collega Calderisi è vero, ossia che la norma potrebbe essere in qualche modo strumentalizzata. C'è infatti la possibilità che qualcuno possa «giocare» e si passi da una legislazione che prevedeva due mandati secchi di quattro anni ciascuno ad una che prevede un mandato di dodici anni e mezzo. Questa norma può dunque essere valutata non come una disposizione normativa definitiva ma come una norma transitoria per eventualmente sistemare


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certi casi. Del resto, tutti sappiamo che l'umanità è tale per cui c'è il rischio che si passi da un mandato complessivo di otto anni ad uno di dodici anni e mezzo.
Per quanto riguarda l'articolo 3, condivido l'operato della Commissione; è evidente a tutti, infatti, come si procederebbe alla raccolta delle firme autenticate, quando magari io stesso fossi chiamato a sottoscrivere un elenco di firme di cittadini iscritti al mio movimento politico! Una simile procedura sarebbe, per usare un termine anglosassone, quanto meno poco fair.
Sono invece favorevole alla riduzione del numero di firme necessarie per poter presentare le liste. A tale riguardo aspettiamo comunque una proposta del relatore.
Per quanto riguarda lo sbarramento del 3 per cento della coalizione intera che sostiene il candidato sindaco o presidente della provincia, stiamo andando nella direzione giusta anche se avremmo preferito, come ha già detto il collega Calderisi, che tale percentuale si riferisse alla singola lista. Questo, comunque, dovrebbe rientrare in futuro nella revisione organica delle leggi elettorali che mi auguro sia realizzata quanto prima.
Per quanto riguarda la durata degli organi elettivi di comuni e province, non sono d'accordo con quanto sostenuto dal collega Pistelli o, meglio, riconosco che un unico turno elettorale sarebbe ideale per comuni, province e regioni. Ma questa è un'utopia perché sappiamo tutti che, al di là delle regioni che hanno sempre avuto stabilità, in genere governate dal centro-sinistra, se consideriamo la mia regione, la Lombardia, constatiamo che il 13 giugno si voterà solamente per due comuni capoluoghi di provincia: Bergamo e Cremona. Avrei certamente seguito questa impostazione se si fosse potuto giungere all'«azzeramento» di tutti i comuni, ma non credo che noi legislatori avremmo potuto sostenere un discorso che stabilisse la decadenza di tutte le legislazioni in corso, sia comunali che provinciali, nel 2000, anno in cui procedere poi alla grande votazione per comuni, province e regioni a statuto ordinario. Questo è il motivo fondamentale per cui forza Italia si è battuta contro la norma di retroattività, anche per un principio di correttezza nei confronti dei cittadini. La durata del mandato è, infatti, elemento essenziale del contratto cittadini-movimenti politici e ci è sempre sembrato scorretto spostare, in corso d'opera, da quattro a cinque anni la durata del mandato. Siamo, quindi, favorevolissimi a questa norma che differisce da quattro a cinque anni tale durata prevedendo anche per il Governo nazionale la durata di cinque anni. Quando iniziammo l'esame del provvedimento, eravamo in fase di Commissione bicamerale e non sapevamo ancora se la scelta in ordine alla durata del Governo nazionale sarebbe stata di quattro o cinque anni. Siamo, pertanto, soddisfatti della scelta compiuta di prevedere, anche per il Governo nazionale, la durata di cinque anni.
Passiamo ora all'articolo 6. Sono assolutamente favorevole alla previsione che, in caso di dimissioni, non debba subentrare il vicesindaco. Il gruppo di forza Italia è, infatti, orientato ad una scelta di presidenzialismo e, quindi, di governo diretto del sindaco. Poiché sulla scheda elettorale non compare la carica di vicesindaco, mi sembra giusto che non vi siano passaggi di testimoni più o meno pilotati in questa direzione. Aggiungo però che abbiamo previsto che, in casi di decadenza o morte - come diceva già la legge - la staffetta sia fatta al vicesindaco o al vicepresidente della provincia. Non considero, pertanto, negativa la durata di dodici o tredici mesi perché la coalizione vincente delle elezioni dovrebbe guidare i governi comunali e provinciali. Ma, laddove vi siano dimissioni, ovvero laddove le forze politiche - parliamoci molto apertamente - decidano di mandare a casa un sindaco o un presidente della provincia, devono essere degli irresponsabili se lo fanno in un periodo che preceda la data del 24 febbraio. Certamente il discorso non vale per quest'anno, perché abbiamo posticipato al 31 marzo l'approvazione dei bilanci, ma mi auguro che, a regime, arriveremo ad approvare questi bilanci, al più tardi, entro il 31 gennaio di ogni anno.


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Pertanto, se forze politiche irresponsabili mandano a casa la giunta comunale o provinciale dopo il 24 febbraio, sapendo che la prossima votazione avverrebbe l'anno successivo, i cittadini devono prendersela con quelle forze politiche. Sono contrarissimo alla riapertura di una finestra elettorale in autunno, perché ciò significherebbe far votare due, tre o quattrocentomila persone. Si tratterebbe di un test elettorale che implicherebbe un impegno politico da parte dei movimenti elettorali che seguono l'attività del nostro paese.
Ritengo che abbiamo tutti condotto questa battaglia e ottenuto la grande soddisfazione di aver trovato la formula dell'election day. Buttarla al mare per un qualcosa che - ribadisco - ricadrebbe comunque sotto la nostra responsabilità (perché, laddove vi sia decadenza o morte, subentrano il vicesindaco o il presidente della provincia), sarebbe un fatto molto grave. Significherebbe che abbiamo preso in giro ancora una volta i nostri concittadini, ai quali abbiamo detto di aver trovato la formula magica e che non li avremmo chiamati al voto in autunno, mentre poi li chiamiamo a votare in casi eccezionali. E i casi eccezionali sarebbero quelli che vogliamo noi perché - ribadisco - si andrebbe al voto, comunque, in modi non voluti e, per giunta, in un periodo anomalo. Tra febbraio e giugno, infatti, sarebbe necessario presentare una mozione di sfiducia perché, altrimenti, nell'attività comunale e provinciale non dovrebbe essere prevista - speriamo - l'approvazione del bilancio che è, di solito, un momento decisivo. Ecco perché la mia convinzione è quella di ripristinare, per quanto riguarda questo passaggio, il testo uscito dal Senato, ovvero di non prevedere la finestra autunnale.
Un plauso va rivolto agli altri articoli che si collocano nell'ottica di assicurare trasparenza dell'analisi del voto attraverso la trasparenza dell'albo degli scrutatori, il sorteggio e quant'altro. Su tutti gli altri punti, quindi, c'è una condivisione assoluta da parte di forza Italia del testo già approvato dal Senato.
Ritengo, peraltro, si debba valutare attentamente la proposta del collega Zacchera circa la possibilità, finché non vi sarà la scheda elettorale elettronica, di andare al voto al secondo turno per coloro che hanno smarrito il certificato elettorale anche con un documento.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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