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PRESIDENTE. Sono arrivati in aula i membri della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio? Bene, do loro il benvenuto, visto che avrebbero dovuto essere qui alle 10.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Signor Presidente, la ringrazio per avermi dato la parola prima del relatore Berselli.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole La Russa. Prego l'onorevole Previti di prendere posto. Prego, onorevole La Russa, può continuare.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Dopo l'arrivo degli atti da parte del GIP e, quindi, dopo l'arrivo dell'ordinanza di custodia cautelare e della relativa richiesta di autorizzazione, sono giunti al Parlamento - e sono stati trasmessi dal presidente alla Giunta - ulteriori atti che hanno preceduto la decisione della Giunta.
un ulteriore documento: esattamente, una parte di interrogatorio e segnatamente l'inizio di un interrogatorio, che era stato sospeso per necessità di ufficio e rinviato ad altra data; si tratta, comunque, di una parte significativa di interrogatorio.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Berselli.
FILIPPO BERSELLI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'onorevole Dell'Utri è indagato per due reati specifici, all'attenzione di quest'Assemblea: il reato di tentata estorsione ed il concorso nel reato di calunnia. Per questi due reati la procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo chiese al giudice per le indagini preliminari di quel tribunale una misura cautelare carceraria, che fu disposta. La procura della Repubblica di Palermo, prima di dare esecuzione a quel provvedimento, ha chiesto la doverosa autorizzazione da parte di questo ramo del Parlamento. Come i colleghi sanno, perché possa essere disposta legittimamente una misura cautelare è indispensabile che vi siano gravi indizi di colpevolezza: una volta erano previsti «sufficienti indizi» di colpevolezza, mentre oggi sono necessari «gravi indizi» di colpevolezza.
Garaffa medesimo. Quindi, in sostanza, l'impianto accusatorio si basa esclusivamente sulle dichiarazioni rese dal Garraffa molto tempo dopo i fatti che sono oggi contestati all'onorevole Dell'Utri.
duplice richiesta di autorizzazione a procedere e di autorizzazione all'arresto, in assenza del fumus persecutionis veniva concessa l'autorizzazione a procedere, ma nello stesso tempo sia la Camera dei deputati sia il Senato della Repubblica hanno sempre respinto - lo ripeto - la richiesta di arresto del parlamentare.
presupposto? Sul presupposto che un testimone avrebbe reso dichiarazioni non veritiere, menzognere.
Dicevo prima che non credo alla congiura e neanche al fumus persecutionis. Certamente non esistevano però le esigenze cautelari per chiedere ed ottenere l'arresto dell'onorevole Dell'Utri. Indubbiamente il problema dell'incompetenza per territorio ha, tuttavia, una ricaduta pesante e - direi - decisiva nel vostro e nel nostro giudizio. L'assenza di esigenze cautelari e di gravi indizi di colpevolezza, nonché la tutela doverosa che si deve assicurare al plenum perché non è consentito in nessun Parlamento che una maggioranza possa ridurre numericamente la minoranza attraverso provvedimenti cautelari posti in essere da una magistratura in qualche modo disponibile, inducono a rigettare l'istanza di autorizzazione dell'arresto formulata nei confronti dell'onorevole Dell'Utri. La tutela del plenum del Parlamento non rappresenta una garanzia per il singolo parlamentare, bensì per l'intero Parlamento così come previsto dalla nostra Costituzione. L'articolo 68 prevede la possibilità per il parlamentare di non andare immediatamente in carcere, ma prevede anche la possibilità per lo stesso parlamentare di finirci in presenza di determinate circostanze.
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia: chi non è interessato può uscire dall'aula, gli altri non dovrebbero disturbare.
MICHELE ABBATE. La delicatezza del tema credo renda difficile il compito mio e di tutti coloro che debbono intervenire, in relazione al tempo assegnato a ciascuno di noi sulla base di una ripartizione dei tempi di cui, peraltro, capisco la necessità. Chiedo scusa pertanto se mi sarà impossibile esprimere compiutamente il mio convincimento.
nostri interventi su questa materia non ci ha purtroppo consentito, forse per la delicatezza estrema del compito, la formazione di criteri per un orientamento uniforme. Alcuni punti, tuttavia, sono stati fissati, come quello relativo ad un fatto (peraltro, credo che questa finisca per essere un'ipocrisia, almeno nelle dichiarazioni di intenti): noi non siamo tenuti ad una esplorazione minuziosa, anche se questo mi riesce difficile pensarlo, visto che su di noi sono stati rovesciati chili di carte, decine di migliaia di pagine. Credo sia ormai superato il principio del fumus persecutionis, la persecuzione intenzionale, come unica condizione ostativa all'accoglimento della richiesta di esecuzione di arresto di un deputato. Su tale argomento sorvolo perché, diversamente, spenderei molto tempo. In effetti, credo siamo tutti d'accordo sul fatto che le nostre valutazioni debbano essere tese a ricercare anomalie, vizi, eccessi in qualche modo incidenti sui momenti di sintesi di qualsiasi misura cautelare, da tutti conosciuti, ossia l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari.
PRESIDENTE. Onorevole Abbate, il tempo a sua disposizione è esaurito.
MICHELE ABBATE. Signor Presidente, vorrei comunque tirare le mie conclusioni sul tema della tentata estorsione. In
Giunta ho espresso un giudizio di non condivisione della richiesta dell'arresto, che confermo in questa sede. Sul tema della calunnia, che è molto più delicato e che esigeva chiarimenti che non sono in grado di esprimere, preannuncio in questa sede l'astensione (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo e di alleanza nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saponara. Ne ha facoltà.
MICHELE SAPONARA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, forza Italia ha votato in Giunta e voterà in aula a favore della proposta dell'onorevole Berselli e, quindi, contro la richiesta di arresto dell'onorevole Dell'Utri avanzata dalla procura e dal GIP di Palermo, non tanto per motivi di schieramento politico quanto per motivi di ordine giuridico e costituzionale che qui di seguito si richiamano. Secondo l'articolo 27 della Costituzione l'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva, dal che dovrebbe discendere che è vietata la carcerazione preventiva. Essa è, invece, consentita dall'articolo 13 della Costituzione e dall'articolo 272 del codice di procedura penale ma solo nei casi previsti dall'articolo 273 e 274 del codice di procedura penale e cioè in presenza di gravi indizi di colpevolezza, di situazioni di concreto e attuale pericolo di fuga, di situazioni di concreto pericolo di inquinamento probatorio e di concreto pericolo di reiterazione del reato. Inoltre, secondo l'articolo 25 della Costituzione nessuno può essere sottratto al proprio giudice naturale. Alla stregua di detti principi la carcerazione preventiva dovrebbe essere considerata eccezionale, come ultima ratio e, comunque è stato considerato eccezionale l'arresto di un deputato, atteso che in cinquant'anni di storia repubblicana si sono verificati solo quattro arresti per fatti molto gravi e per reati di sangue poiché occorre conciliare, fra l'altro, le esigenze di giustizia con le esigenze di rispetto del plenum del Parlamento, inteso non già in senso numerico ma in senso complessivo e politico, specialmente quando si tratta di arrestare un deputato dell'opposizione.
procedeva a suo carico. Essa viene portata avanti soltanto perché i pubblici ministeri lo avevano «invitato» a sottoscrivere un verbale, che si era rifiutato di firmare. Il pubblico ministero procedente e l'assistente giudiziario a quell'interrogatorio avevano redatto una relazione e quindi il pubblico ministero ha dovuto portare avanti questa accusa. Si tenga presente, onorevoli colleghi, che nell'interrogatorio del 9 ottobre 1997 il Garraffa dimostra di essere animato da grande rancore nei confronti di Dell'Utri, giacché si lamentava di non essere stato appoggiato nelle elezioni del 1994 (mentre fu appoggiato un suo avversario, un certo senatore D'Alì), che gli fosse stato impedito di parlare con Berlusconi e di essere stato depennato dalla lista elettorale preparata dall'onorevole Micciché; infatti, nel momento in cui Dell'Utri avrebbe visto quel nome, sarebbe saltato sulla sedia e lo avrebbe fatto depennare. E come mai dell'Utri - che avrebbe detto a Garraffa: «abbiamo uomini e mezzi»; che manda Virga, un mafioso di Trapani, a detta dei giudici, che peraltro era amico di Garraffa, che gli aveva addirittura salvato un figlio ... che è così potente poi non fa niente in danno di Garraffa e si limita a non farlo partecipare al Maurizio Costanzo show? Non desta sospetto, onorevoli colleghi, il fatto che si chieda l'arresto dopo che sono trascorsi due anni dall'iscrizione della notizia del reato nel registro degli indagati, senza che ricorra alcuna esigenza di carattere cautelare? Qual era il giudice competente? Quello di Palermo o quello di Trapani?
Dell'Utri un provvedimento restrittivo? Vivaddio, è il tribunale di Palermo! Dell'Utri aveva presentato una lista testimoniale, il 22 settembre 1998 aveva parlato degli incontri con Chiofalo e con Cirfeta, aveva chiesto una sollecita audizione perché i fatti indicati nella lista testimoniale erano gravi: si oppose però il pubblico ministero che, letta l'istanza testimoniale ed individuato il nome dei pentiti che si erano proposti come testimoni, ha ritenuto di portare avanti un processo parallelo. Questa situazione è anomala e grave: essa sta a dimostrare come la Costituzione sia stata violata con riferimento all'articolo 25...
PRESIDENTE. Onorevole Saponara, il tempo a sua disposizione è terminato; concluda.
MICHELE SAPONARA. Confermo dunque sul piano delle conclusioni le mie considerazioni iniziali e dichiaro una posizione contraria all'arresto di Dell'Utri: invito pertanto i colleghi a votare a favore della proposta dell'onorevole Berselli (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
MAURO PAISSAN. Chiedo di parlare sull'ordine di lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAURO PAISSAN. Signor Presidente, la seduta odierna era inizialmente programmata per le ore 9: la decisione dei presidenti di gruppo di ieri sera e poi il ritardo della Giunta l'hanno fatta effettivamente iniziare alle 10,20, se non dopo. Questo ritardo rischia di collocare la votazione, delicatissima, sul caso che stiamo discutendo verso le ore 14, orario in cui sono programmate diverse riunioni, nonché alcune tribune televisive e radiofoniche sul tema del referendum: le chiedo pertanto, signor Presidente, di volere programmare i nostri lavori in modo che la votazione abbia luogo alle 15. Potranno così essere rispettati gli appuntamenti politici extra-aula.
PRESIDENTE. Colleghi, cercherò di dare un elemento di certezza; facendo un po' di conti, la discussione generale richiederà ancora circa tre ore, anche perché ho visto che i colleghi utilizzano interamente il tempo a loro disposizione, come era prevedibile e come è giusto per una questione delicata. Quindi, visto che sono le 11, potremo terminare la discussione generale alle 14; per le dichiarazioni di voto avremo poi bisogno di circa due ore. Propongo, quindi, di sospendere la seduta mezzora e di riprendere alle 14,30, per giungere al voto tendenzialmente tra le 16 e le 16,30, a seconda del tempo che i colleghi utilizzeranno. Questo perché tutti abbiano più o meno certezza sui tempi di votazione.
MARIDA BOLOGNESI, Presidente della XII Commissione. E le Commissioni?
PRESIDENTE. Questo è il lavoro dell'Assemblea: le Commissioni non sono state da me sconvocate, né mi è giunta richiesta in tal senso.
VITTORIO SGARBI. Onorevoli colleghi, onorevole Presidente, collega Dell'Utri, piuttosto che rammentare come è stato fatto fino ad ora questioni tipiche dei tribunali con citazioni quasi caricaturali dei nomi dei pentiti che sembrano usciti da romanzi di Gadda o di Pasolini come «ciofeca Chiofolo» o «Cirfocolo» (pentiti i cui nomi corrispondono ad una vaghezza rispetto all'attendibilità che a loro può essere riconosciuta, la quale porta a considerarli affidabili quando parlano con i magistrati; affidabili quando contribuiscono a smantellare la Sacra corona unita; inaffidabili, quando testimoniano a favore di Dell'Utri; e poi ancora affidabili quando testimoniano contro Dell'Utri), credo che dovremmo - in questa chiave pirandelliana, in cui la letteratura è dominante
sia nei nomi che nei comportamenti - cominciare a valutare una serie di paradossi. Il primo di tali paradossi dovrebbe essere il seguente: io, che ho combattuto per anni per difendere il Parlamento dalle aggressioni di una magistratura che ha un programma politico definito, chiarito, preciso e che è arrivata, attraverso alcuni suoi esponenti, a dichiarare che questo Parlamento ha abrogato la mafia essendone complice, dovrei essere a questo punto nella condizione di chiedere l'arresto per Marcello Dell'Utri.
della lega, che hanno il loro fantasma in Papalia, ma non sono soddisfatti di aver avuto un'adesione forte, da parte mia soprattutto, a loro sostegno e sono pronti a massacrare il mafioso Dell'Utri per dire: «Siamo il partito del nord e non il partito della mafia». Questa è politica, non è il voto di coscienza.
reati intollerabili contro la Costituzione! Qui si tratta non di valutare (questo è il vero punto) ma di esecrare pubblicamente, come io faccio ogni giorno, perché un parlamentare, caro Bielli, a meno che non sia nell'Unione Sovietica e con il KGB, non può essere pedinato, spiato, fotografato dalla DIGOS, non può essere intercettato! Non si possono inviare alla Camera dei deputati intercettazioni illegali e anticostituzionali, se non con la paura e la ritrosia di questa Giunta nel dichiarare irricevibili...
PRESIDENTE. Onorevole Sgarbi, dovrebbe concludere perché lei ha esaurito il tempo assegnatole complessivamente.
VITTORIO SGARBI. ...quei documenti in cui i magistrati propongono l'indicazione di reati contro la legge.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sgarbi (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-CCD).
GUSTAVO SELVA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, dal programma che lei ha annunciato risulta che noi voteremo intorno alle ore 16. Poiché penso che tutti i colleghi siano interessati ad assistere, anzi doverosamente dovrebbero assistere, trattandosi di una vicenda molto delicata, ai lavori dell'aula, le chiedo di far sconvocare le Commissioni perché altrimenti corriamo il rischio di trovarci in pochi a partecipare a questo importante dibattito.
PRESIDENTE. Penso che poi, sicuramente, ci saranno molti colleghi presenti in aula; comunque prendo atto della sua richiesta.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei utilizzare i minuti che ho a disposizione per richiamare la vostra attenzione su una vicenda connessa a questo ruolo dei pentiti o cosiddetti collaboratori di giustizia, che diventa centrale in quella di cui ci stiamo occupando, anche alla luce degli ultimi fatti. Per altro voglio invitare a riflettere taluni che hanno una visione altalenante di questi collaboratori, a seconda delle tesi che sostengono. Per questo motivo voglio fare riferimento ad un'altra vicenda, che non ha nulla a che fare con quella in esame: mi riferisco al caso che ha investito la procura di Palermo, il caso Lo Forte.
Cassazione o come l'elemento sul quale si fondano processi importantissimi (mi riferisco al caso Andreotti e al suo significato politico), reputandolo credibilissimo ed in altri casi come un soggetto cui non credere assolutamente. Se Buscetta è Cassazione in alcuni casi, che lo sia anche in questo!
che addirittura potrebbe confermare la validità della tesi difensiva, nonché la debolezza di queste indagini, caratterizzate da carte predisposte ad orologeria, da un determinato uso del collaboratore, nonché da pressioni che vengono fatte su alcune persone. Su questo vorremmo che si puntassero i riflettori: sui collaboratori che cambiano versione per capire a seguito di quali pressioni e di quali sollecitazioni ciò avvenga.
PRESIDENTE. Onorevole Gasparri, deve concludere.
MAURIZIO GASPARRI. Concludo, Presidente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rebuffa. Ne ha facoltà.
GIORGIO REBUFFA. Signor Presidente, non ho intenzione, nel mio breve intervento, di parlare degli uomini. Non parlerò di Marcello Dell'Utri né dei procuratori e sostituti procuratori di Palermo, mi interessa soltanto parlare delle istituzioni, del loro ruolo, dei loro compiti e del problema che abbiamo davanti. Degli uomini voglio soltanto dire una cosa: mi dispiace di nutrire una convinzione personale della non colpevolezza di Marcello Dell'Utri, perché avrei voluto difendere in quest'aula il diritto di un imputato ad avere un procedimento giusto, legale e costituzionale.
secondo è quello di essere non solo dei parlamentari, ma anche dei cittadini.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maroni. Ne ha facoltà.
ROBERTO MARONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Giunta per le autorizzazioni a procedere è stata chiamata, in quest'occasione, a svolgere un compito impegnativo e difficile. Devo dire che il lavoro è stato svolto in maniera corretta e approfondita: di ciò voglio rendere merito innanzitutto al Presidente della Giunta, l'onorevole La Russa, che in questa, come in altre occasioni, si è dimostrato uomo non di parte. Anche gli interventi dei colleghi sono stati improntati all'esigenza fondamentale di capire le ragioni di una richiesta così grave per un parlamentare, quale la custodia cautelare. Tutto ciò, al di là degli schieramenti politici che comunque entrano in gioco. Credo non sia un caso, infatti, che i «sì» ed i «no» alla richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare rispecchino gli schieramenti politici.
PRESIDENTE. Le chiedo scusa, onorevole Maroni. Colleghi, per piacere! Prosegua pure, onorevole Maroni.
ROBERTO MARONI. Come stavo dicendo, si tratta, dicono i magistrati palermitani, per quanto riguarda il capo a), di un'estorsione posta in essere da Dell'Utri, già a capo della struttura di raccolta pubblicitaria e Publitalia ed ora parlamentare della Repubblica, oltre che imputato per concorso in associazione mafiosa davanti al tribunale di Palermo a danno del dottor Vincenzo Garraffa, poco dopo i fatti divenuto senatore della Repubblica, che era senatore anche nell'ultima occasione in cui Dell'Utri gli chiese la consegna della detta somma.
tra Dell'Utri e alcuni mafiosi, secondo quanto risulta dal capo B. Si è trattato di una difesa debole e inefficace che non ha sgomberato, a mio avviso, il campo dal dubbio o, meglio, non ha ingenerato il ragionevole dubbio che questa iniziativa della procura di Palermo abbia un carattere persecutorio nei confronti del parlamentare.
di mesi le cose dette al Chiofalo da Dell'Utri possono anche essere diverse. Mi interessa però sottolineare che questo interrogatorio segna sostanzialmente la presa di distanza del Chiofalo da Dell'Utri, infligge cioè un colpo probabilmente mortale, comunque molto duro, alla difesa dell'onorevole Dell'Utri.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella discussione svoltasi nell'ambito della Giunta, in questo dibattito, ma anche in quelli analoghi che abbiamo sviluppato allorché si sono affrontati i casi Previti, Giudice e Cito, mi ha colpito una sorta di liturgia del tormento. Molti colleghi, in altri termini, sono intervenuti per richiamare la difficoltà di un voto, un voto che è determinante e decisivo in relazione allo stato di libertà di un cittadino e di un deputato.
condotte anomale degli inquirenti palermitani configurano i gravi delitti dell'abuso di ufficio, ex articolo 323 del codice penale, e della rivelazione di segreti d'ufficio, ex articolo 326 del codice penale, puniti entrambi con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni».
VITTORIO SGARBI. Lo sapevi tu!
FRANCESCO BONITO. I giudici - lei dice - commettono i reati e i pubblici ministeri sono pazzi. Noi vogliamo evocare qui non tanto le dichiarazioni di questo o di quel pentito, ma che i colleghi deputati decidessero sulla base di dati oggettivi, cioè solamente di quei dati che siano inconfutabili; che decidessero sulla base delle telefonate intercettate che sono dati oggettivi. Perché non si va a leggere e rileggere il resoconto della telefonata che fa Sartori nel mese di ottobre, subito dopo essersi recato presso l'ufficio milanese dell'onorevole Dell'Utri? Quando Sartori esce e da un telefono chiama un altro degno mafioso, Currò (dedito allo spaccio internazionale di droga), gli dice: sono stato là. E Currò che, immediatamente, capisce che per «là» si intende l'ufficio milanese di Dell'Utri e non l'ufficio cerignolano di Francesco Bonito parla e dice cose interessantissime. I due mafiosi parlano di quello che si sono appena detti Sartori e Dell'Utri nell'ufficio milanese. Leggiamo quell'intercettazione: quelle sono cose e dati oggettivi ed infatti è una delle poche intercettazioni che, verosimilmente, non darà luogo ad una dichiarazione di inammissibilità. Ci sono i pedinamenti, ci sono le ammissioni, le fotografie, come la n. 29, del 31 dicembre 1998, quando Dell'Utri raggiunse la casa di Chiofalo con la sua macchina, il suo autista e i suoi doni, una bella valigetta ventiquattr'ore che fa il viaggio di andata e non quello di ritorno. Che non faccia il viaggio di ritorno, poi, lo testimonia anche l'autista di Dell'Utri: nessuno può dubitare di questo! È l'autista di Dell'Utri (dunque un suo dipendente), che dice: ho portato la valigetta, in quella fotografia ci sono io, sono io l'autista di Dell'Utri, ho in mano una ventiquattr'ore, l'ho portata da Chiofalo e non l'ho riportata a Milano.
Basta leggere quello che si dicono i due per capire che l'indagine difensiva è lontana distanze siderali da quel colloquio e che quel colloquio ubbidiva a logiche perverse e tutt'altro che legittime.
AVENTINO FRAU. E tu che ci fai lì!
FRANCESCO BONITO. I giudici sono disonesti, dice Dell'Utri, i pubblici ministeri sono dei pazzi. Ma è pazzesco credere al senatore Garraffa, al primario di radiologia, dottor Garraffa? Non è un pentito, non è un imputato di reato connesso, è un cittadino come noi. E perché mai dovrebbe accusare di fatti estorsivi l'onorevole Dell'Utri? Garraffa dice: «ero presidente della Pallacanestro Trapani, mi sono procurato tramite Publitalia una sponsorizzazione di un miliardo e mezzo e, dopo che l'ho avuta, ho ricevuto una telefonata di Dell'Utri, il quale mi ha detto che voleva 750 milioni». Non è vero, dice e grida Dell'Utri; non è vero, dicono i difensori di Dell'Utri. Eppure quelle dichiarazioni sono state confermate in tempi non sospetti da altri testi, da Rapisarda, dalla cognata di Dell'Utri, da Vento, da Todaro, da Barbera, da Renzi. E ci sono poi tutte le attività istruttorie, da cui si capisce come pesantemente, puntualmente, sistematicamente, reiteratamente, intervenga l'onorevole Dell'Utri per alterare e mascherare le prove, per nascondere le sue responsabilità.
sulla scorta di una normativa che presume la sussistenza dei requisiti per l'arresto in presenza dell'articolo 416-bis e invece non lo hanno fatto, come non lo hanno fatto, caro Sgarbi, per Andreotti. Andreotti, però, non è andato poi mendicando per vicoli, piazze e valli, per cercare di alterare le prove: è qui la differenza! Non l'hanno chiesto per l'articolo 416-bis, ma lo chiedono nello stesso momento in cui si rendono conto che vi è una spasmodica attività di inquinamento delle prove, di alterazione delle regole del processo, sistematicamente posta in essere dall'onorevole Dell'Utri, il quale non è nuovo, colleghi, a queste cose!
portato in questo Parlamento! Ma di questo non voglio parlare perché probabilmente sarei accusato, una volta tanto anche a ragione, di faziosità.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borrometi. Ne ha facoltà.
ANTONIO BORROMETI. Anch'io, come il collega Abbate, cercherò di limitare il mio intervento nei tempi concessi in modo da spiegare le ragioni del mio voto di astensione. È un voto di carattere personale perché, come è noto, il mio gruppo ha lasciato libertà di voto ai
propri componenti; e quindi ognuno voterà - come credo poi sia giusto fare in ogni gruppo - secondo il proprio personale orientamento.
coinvolgimento nella fattispecie più grave che gli è addebitata, cioè la calunnia aggravata, appare obiettivamente assai flebile e comunque tale da non consentire l'arresto, men che meno nei confronti di un parlamentare per il quale viene in considerazione (questo bisogna sottolinearlo) non tanto la sua posizione personale, il suo status di parlamentare, quanto il valore costituzionalmente garantito del plenum, rispetto al quale non ha alcuna importanza che Dell'Utri abbia o no partecipato ai lavori del Parlamento, in quanto valore del plenum non vuol dire che tutti i 630 deputati debbano essere sempre presenti (fatto che non accade mai, tanto più che la presenza di tutti non è richiesta) ma significa la necessità di correlare il voto degli elettori, la volontà democraticamente espressa con il voto dal corpo elettorale, alla composizione del Parlamento per una corretta relazione tra maggioranza ed opposizione.
comportamento di Dell'Utri, avrebbe dovuto essere fatta da quel magistrato e non dalla procura della Repubblica di Palermo che, a mio avviso, non è competente rispetto a tale procedimento.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Matranga. Ne ha facoltà.
CRISTINA MATRANGA. Signor Presidente, qui oggi c'è aria di gran giurì, c'è troppa attesa di sentenze politiche. In particolare a lei, onorevole Bonito, debbo dire che oggi mi è sembrato un pit bull addestrato a non mollare la presa sul collo dell'avversario, fino ad ucciderlo. A questo gioco io non mi presto, perché nutro ancora la speranza che quella di oggi possa essere una battaglia di libertà: e le battaglie di libertà uniscono, a dispetto delle casacche politiche che si indossano, perché esse sono la realizzazione naturale della cultura antropologica che innerva la condizione umana dell'uomo libero. Qualsiasi compromesso con tali principi, camuffato dietro giochi di palazzo e dietro bardature partitiche, è codardia, è connivenza colpevole con chi vuole minare alla radice il diritto democratico all'esistenza di chi si oppone politicamente.
possono esserci armi buone ed armi cattive, quindi vi ricordo che non possono esserci epurazioni buone ed epurazioni cattive. Come è noto, non appartengo al novero di coloro che in più di un caso hanno definito «eversivo» il ruolo insostituibile della magistratura; non ho mai alzato i toni, né mai mi sono accodata alle voci che in tanti casi si sono levate contro il cosiddetto «partito dei giudici»; allo stesso modo non voglio sottrarmi - né l'ho mai fatto - al dovere politico di denunciare le norme più «giovani», ma già fortemente ossificate, del nostro ordinamento giudiziario inerenti ad alcuni aspetti del ricorso ai cosiddetti collaboratori di giustizia. Sono quegli aspetti che alimentano la giungla delle dichiarazioni che in qualche caso stanno contribuendo a produrre effetti negativi anche per la credibilità di operatori e comparti giudiziari duramente impegnati sul fronte della lotta alla criminalità mafiosa. Signor Presidente, visto che mi accingo alla conclusione del mio intervento, vorrei analizzare il lato personale della questione perché mi sembra che oggi, in quest'aula, ce ne siamo dimenticati.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Matteoli. Ne ha facoltà.
ALTERO MATTEOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo in questo dibattito da laico non essendo un operatore del diritto. Lo sottolineo in considerazione del fatto che tutti coloro che mi hanno preceduto sono avvocati o magistrati.
dell'onorevole Dell'Utri. In essa non possiamo non rilevare alcune contraddizioni.
il proprio voto. In altra veste istituzionale, ossia quale componente della Commissione antimafia, ricordo che abbiamo ascoltato personaggi come Buscetta, Anacondia, Galasso, Mutolo, Messina, Marchese e molti altri ancora. Lei, signor Presidente, che allora presiedeva la Commissione antimafia, sa quante volte ci siamo confrontati in quel consesso e sa anche che noi non approvammo il testo della relazione da lei presentata, e che scrivemmo una relazione di minoranza anche perché non ci trovammo in sintonia proprio sull'uso e sul ruolo dei pentiti. Molti commissari interrogavano i pentiti quasi con uno stato psicologico di soggezione per il modo cinico con il quale ci raccontavano i loro crimini e le banali e puerili motivazioni che li avevano portati al pentimento. Alcuni di loro ci raccontarono di aver commesso decine di omicidi. Ci colpì l'atteggiamento del collaboratore di giustizia Anacondia che non solo dichiarò di non ricordare quanti uomini aveva ucciso, ma con la sua arroganza e il suo cinismo rivendicò quasi con orgoglio i crimini commessi. Anacondia disse tra l'altro, cito più o meno a memoria: «Ora mi vedete così di fronte a voi, ma sul territorio ero qualcuno e quando fui arrestato facevano a gara per portarmi in carcere un cellulare per parlare con i complici all'esterno. Ero temuto ed ero rispettato». Persone - uso questo termine anche con un certo dispiacere - con questa faccia tosta e con questa sicurezza possono inventarsi qualsiasi teorema. I giudici hanno l'obbligo e il dovere di controllare ogni loro frase e atteggiamento, di fare tutte le verifiche, di provare ciò che dichiarano prima di prendere qualsiasi decisione.
Vi è ancora, a nostro modesto avviso, il fondato pericolo che le forze dell'ordine confondano il collaboratore di giustizia con il classico confidente. È bene sottolineare che il pentito è uomo d'onore e resta tale. Quello che cambia è la natura della sua richiesta di protezione verso lo Stato: quando è in servizio permanente effettivo chiede protezione alle istituzioni per pilotare un appalto o per aggiustare un processo, quando si pente continua a chiedere protezione alle istituzioni per non finire in galera. Il pentito, insomma, vuole le stesse cose che vuole la mafia, ma con metodi diversi. Egli, infatti, continua a volere protezione dallo Stato.
PRESIDENTE. Onorevole Matteoli, mi scusi, dovrebbe concludere.
ALTERO MATTEOLI. Concludo davvero, Presidente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bielli. Ne ha facoltà.
VALTER BIELLI. Signor Presidente, colleghi, al pari del collega Matteoli non sono un uomo di tribunali, la mia è una formazione politica e culturale che ha fatto poco i conti con la magistratura. Da questo punto di vista cercherò quindi di esprimere qualche valutazione politica, attenendomi ai fatti che sono venuti alla nostra conoscenza a seguito della richiesta presentata dalla procura di Palermo per quanto riguarda l'autorizzazione alla custodia cautelare del collega Dell'Utri.
si tratti di un'accusa ingiusta che sicuramente non fa onore al Parlamento medesimo.
calunnia rappresenta sicuramente un reato che può apparire minimale rispetto ad altri; anche persone non esperte di diritto si rendono conto di ciò. Però, onorevoli colleghi, dobbiamo anche riferire in quale contesto si inserisce. Perché c'è da parte dell'onorevole Dell'Utri questa accusa? E, perché la procura di Palermo dovrebbe, per un reato minore chiedere l'arresto di Dell'Utri? Sono pazzi, come il collega Dell'Utri ha provato a definirli?
Allora, questi sono i fatti. C'è qui un'attività persecutoria da parte nostra verso il Dell'Utri? Ma a quale pro, a quale fine, colleghi? Io faccio parte della maggioranza che sostiene questo Governo, ma che interesse dovremo avere noi ad assumere un atteggiamento di questo tipo verso forza Italia? Per pensare di risolvere un problema politico con la magistratura? Ma quando mai! Sarebbe la fine della politica. Da questo punto di vista, lo dico con forza ai colleghi, io voglio continuare a far politica e ad avere con forza Italia un rapporto di critica politica e di scontro. Ma detto questo, voglio anche fare in modo che un potere autonomo come la magistratura possa svolgere la propria parte e qui dobbiamo salvaguardare l'esigenza che la giustizia faccia la propria parte.
GIUSEPPE ALEFFI. Faccia il processo!
VALTER BIELLI. Si celebrerà il processo nella misura in cui impediremo che in questo periodo qualcuno possa inquinare le prove, perché i dati di inquinamento sono molto presenti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Deodato. Ne ha facoltà.
GIOVANNI GIULIO DEODATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi sembra opportuno richiamare all'attenzione dell'Assemblea il fatto che la Camera si trova a dover esprimere una valutazione non sulla colpevolezza del deputato né sul merito dei fatti ascrittigli. Dico questo dopo aver sentito la requisitoria pronunciata con una certa veemenza dall'onorevole Bonito. La valutazione sulla colpevolezza è riservata all'autorità giudiziaria, davanti alla quale il giudizio penale deve avere il suo regolare corso e deve condurre, in termini ragionevolmente brevi, all'accertamento dei fatti.
è esclusa dal nostro esame l'altra imputazione, che è stata richiamata in modo strumentale dal GIP di Palermo al solo scopo di creare uno scenario criminoso in cui inserire le altre due imputazioni, per le quali lo stesso GIP ha espressamente riconosciuto che non sussistono i gravi indizi di colpevolezza necessari per la custodia cautelare. Ora, dall'approfondimento degli atti, risulta che l'imputazione di tentata estorsione è frutto esclusivamente delle dichiarazioni rese due anni fa al pubblico ministero di Trapani da tale Garraffa, inspiegabilmente ad oltre sette anni di distanza dai fatti da lui lamentati, ed è frutto anche delle dichiarazioni di alcuni testimoni a cui lo stesso Garraffa aveva riferito le presunte minacce ricevute. Si tratta di testimoni che non conoscono direttamente le circostanze e quindi sono inattendibili, proprio perché ripetono i fatti che il Garraffa ha ritenuto di comunicare ad essi.
disattesa la garanzia che l'articolo 68 della Costituzione attribuisce al parlamentare.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.
SERGIO COLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi è purtroppo una certezza inquietante: che una decisione sul più prezioso ed insostituibile dei beni, la libertà, sarà presa non in forza di una corretta e completa consultazione degli atti, ma sulla base di orientamenti politici e di ordini di scuderia che, magari, sono connessi a particolari contingenze di carattere politico, oppure forse sarà presa per l'abilità - in un senso o nell'altro - di chi sta parlando in questo momento e di chi ha parlato in precedenza.
vorrei invitare l'onorevole Bonito a consultare le carte e a prendere in esame quei «passaggi» che vanno dalla sua società di medicina alla Pallacanestro Trapani e viceversa. Vada ad esaminare soprattutto quello che dice Messina, collaboratore di giustizia degno di ogni considerazione per i giudici di Palermo, che ha definito Garraffa colluso con Virga, aggiungendo che prendeva ordini da Virga! Vorrei che mi si contestasse ciò che sto dicendo in questo momento, purtroppo in un'aula vuota.
anni fa, che non hanno più nulla da temere: Izzo, il mostro del Circeo; Mercurio, condannato all'ergastolo 12 anni fa; Sparta Leonardo, condannato all'ergastolo. Come si inseriscono costoro in questa vicenda? Attraverso l'invio di una lettera ai procuratori della Repubblica di Palermo con la quale rendono noto fatti a loro conoscenza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frattini. Ne ha facoltà.
FRANCO FRATTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, cosa distingue l'esercizio legittimo del potere dell'accusa da un'attività persecutoria? È questo il punto che interessa il Parlamento perché, se interferissimo sull'attività dell'accusa, saremmo, noi Parlamento, autori di una violazione delle regole costituzionali. Non siamo soltanto noi ma, ad esempio, il presidente della Commissione antimafia, a definire un'invasione di campo inammissibile il riferimento, contenuto nell'ordinanza del GIP di Palermo, al carattere collusivo con la mafia delle iniziative parlamentari volte alla modifica legislativa delle norme sui pentiti.
Potrà certo in qualche occasione perseguire questo vantaggio coniugandolo con una collaborazione a vantaggio della verità ma può, allo stesso modo, molto spesso perseguirlo depistando e confondendo il fronte nemico rappresentato dalle istituzioni; non solo, può perseguire tale vantaggio cercando di indovinare cosa può essere utile a coloro che detengono le chiavi del suo destino, i rappresentanti della pubblica accusa.
Oggi siamo chiamati ad applicare questa regola: per ragioni di ordine costituzionale e giuridico e per il rispetto verso le istituzioni, verso la mia e la vostra coscienza, vi chiedo di votare «no» alla richiesta di arresto dell'onorevole Dell'Utri (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.
ALFREDO BIONDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi rivolgo a quelli che sono rimasti. È un problema, anche questo, di responsabilità. Il mio grande maestro Luigi Einaudi diceva: «conoscere per deliberare». Temo che qualcuno delibererà senza conoscere.
testi della difesa, per ragioni di garanzia, siano sentiti dopo quelli dell'accusa. Egli supera questo vallo di tuziorismo giudiziario e chiede che siano sentiti questi testimoni.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Biondi, deve concludere!
ALFREDO BIONDI. Ho terminato, Presidente, ancora un attimo! Penso che si possa consentire di terminare un concetto.
È anche pericoloso leggere che se uno si difende da un'accusa, mettendo in dubbio i pentiti può o difendersi, e quindi essere accusato di «inquinare», o addirittura fare il gioco della mafia, come se chi dice che occorre modificare il codice di procedura penale o la legge che regola i rapporti con i collaboratori di giustizia fosse anche lui associato. Questo è un altro dei tentativi che dobbiamo sventare per evitare di essere considerati, anche noi, dei collaboranti della mafia per il solo fatto che abbiamo ancora il coraggio di dire ciò che pensiamo (Applausi dei deputati dei gruppi dei deputati di forza Italia e di alleanza nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mancuso. Ne ha facoltà.
FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, signori deputati, non occorre - è quanto io credo - accedere al merito dei fatti ascritti all'onorevole Dell'Utri per negare il nulla osta alla iniziativa della custodia cautelare a suo carico, né approfonditamente accedere alle tematiche del fumus persecutionis, sebbene questo non sia qui del tutto estraneo. Resta però che tale iniziativa, ancora non compiutosi il triennio della legislatura, risulta la quarta nel suo genere, la seconda proveniente dalla procura di Palermo, in linea con i precedenti in materia, tutti orientati contro deputati dell'opposizione.
fatto delittuoso. Competenza, però, al tempo stesso negata sul piano funzionale al tribunale del luogo, sebbene questo fosse stato già investito della cognizione del reato di associazione mafiosa a carico dello stesso Dell'Utri, reato associativo più grave - come è evidente - al quale la calunnia ipotizzata è chiaramente connessa ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale, lettera c).
Tale alterazione viene prodotta anche intervenendo, fino alla vigilia della deliberazione dell'Assemblea, come se, in complesso, la procura di Palermo avesse puntato sulla richiesta di custodia cautelare alla stregua di un obiettivo al fine di stabilire la supremazia giudiziaria sullo stesso Parlamento; ciò anche attraverso un voto, ironia il dirlo, proprio della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meloni. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MELONI. Signor Presidente, anch'io vorrei cominciare il mio intervento, come sembrava volesse fare all'inizio il collega Mancuso, con un bilancio, che ora si può cominciare a trarre, dell'andamento delle discussioni, che vi sono state in questa legislatura, sulla materia di cui dibattiamo oggi.
conosciute dagli ordinamenti giuridici prima dell'avvento dello Stato di diritto. Per questa ragione, con ogni possibile forza - che nel mio caso è una debolezza - rifiuto questo ragionamento. Se si vuol fare prevalere il primato della politica, ritengo che non lo si possa fare stabilendo delle sacche di esenzione rispetto alla legge ma, al contrario, pretendendo il rispetto delle regole, anche con maggiore rigore proprio da parte di coloro che rappresentano il popolo. No, onorevoli colleghi, la ragione per la quale la restrizione della libertà del parlamentare è sottoposta alla cautela costituita dall'autorizzazione è - a me sembra evidente - tutt'altra. L'Assemblea è chiamata a valutare se la richiesta del giudice abbia carattere politico - di questo stiamo parlando quando trattiamo di fumus persecutionis -, se cioè vi sia l'intento del giudice di abusare gravemente del suo potere fino ad ostacolare il regolare ed autonomo adempimento delle funzioni parlamentari.
campo risultati concreti assai rilevanti, per aver svelato intrecci inconfessabili tra politica e malaffare. Cari colleghi, se le ragioni del sospetto nei confronti di questi uffici non fossero più che comprensibili, chi potrebbe allontanare da questa Camera il dubbio - che facilmente potrebbe diventare timore, paura nel cittadino - che il diniego all'autorizzazione dipenda proprio da queste circostanze, dal modo di essere di questi uffici, proprio da quell'impegno, nonché dalla volontà - che apparirebbe protervia - di tutelare non interessi generali e l'integrità della funzione parlamentare, bensì interessi di parte e odiosi privilegi. Chi potrebbe allontanare questo dubbio, questo sospetto, questa paura da noi?
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
IGNAZIO LA RUSSA, Presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio. Molto brevemente, signor Presidente, anche se giustamente a quest'ora siamo rimasti doverosamente in pochi: credo tuttavia, come presidente della Giunta, di dover esprimere in aula un ringraziamento ed un apprezzamento a tutti i componenti la Giunta, nessuno escluso, per il modo in cui si sono impegnati, per la correttezza e la lealtà con cui hanno manifestato le loro opinioni, a volte naturalmente diverse, ma anche per il modo in cui si sono atteggiati fuori dall'aula, non rincorrendo magari spunti e polemiche, che lecitamente o meno (non ha nessuna importanza) arrivavano da chi non partecipava ai lavori in aula.
In conclusione, rinnovo il ringraziamento al Presidente per la pazienza dimostrata anche per questo mio breve intervento.
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Berselli, rinunzia alla replica.
Ha facoltà di parlare il presidente della Giunta per le autorizzazioni a procedere in giudizio.
Prego i colleghi di prendere posto. La prego, onorevole Sgarbi, prenda posto. Prego, onorevole La Russa, ha facoltà di parlare.
Vorrei mostrare a lei e ai colleghi dell'Assemblea quello che, peraltro, è già noto sulla stampa se non completamente, almeno, nella sua cornice.
Nella giornata di ieri...
Subito dopo la decisione della Giunta - quando essa si era già spogliata del procedimento, avendolo trasmesso alla Camera -, nella giornata di ieri è pervenuto
Pertanto, abbiamo valutato insieme allo stesso Presidente della Camera, l'opportunità di riunire la Giunta dopo aver fatto prendere contezza di quel documento a tutti i suoi componenti, per anticipare i tempi ed essere in grado di riferire all'Assemblea sulla qualità del documento e sulla eventuale possibilità di un rinvio del procedimento in Giunta.
La Giunta si è riunita dalle ore 8,30 di stamattina sino a poco fa; chiedo scusa, con l'occasione, all'Assemblea per il ritardo con il quale i componenti della Giunta sono arrivati in aula, ma ci siamo trovati nella necessità di concludere l'esame in breve tempo.
La Giunta non si è espressa in maniera univoca; debbo dire che, in un clima assolutamente sereno, parte dei membri hanno ritenuto che fosse possibile decidere già oggi - avendo, comunque, i componenti della Giunta preso atto della natura del documento -, mentre un numero altrettanto ampio di membri dell'organo hanno ritenuto che il documento sia tale da richiedere un'ulteriore valutazione ed un possibile ripensamento della proposta della Giunta.
Debbo sottolineare che anche i componenti della Giunta che hanno valutato più opportuna una ipotesi di ritorno del provvedimento all'esame dell'organo hanno ritenuto necessario che il tutto avvenga con estrema rapidità; la Giunta è disponibile, in tale evenienza, a riconvocarsi oggi pomeriggio o, al massimo, domani.
Ripeto, in ogni caso, che la Giunta non è in grado di esprimere un parere univoco, essendo le due posizioni formulate sostanzialmente equivalenti.
Per quanto riguarda il reato di tentata estorsione, tutto parte da una denuncia presentata da tale Garraffa, presidente della Pallacanestro Trapani, il quale riferisce di un tentativo di estorsione posto in essere in suo danno nei primi anni novanta: da allora ad oggi sono trascorsi nove anni. Questo tentativo di estorsione sarebbe legato ad una iniziativa di sponsorizzazione attraverso la quale la Birra Messina (gruppo Dreher-Heineken) corrispose alla Pallacanestro Trapani, appena promossa dal campionato di serie A/2 a quello di A/1, la somma di 1 miliardo 500 milioni. Il Garraffa riferisce, a distanza di sette anni dai fatti, di essere stato oggetto di un tentativo di estorsione da parte dell'onorevole Dell'Utri, allora presidente di Publitalia, che lo sollecitava a restituire il 50 per cento dell'importo della predetta sponsorizzazione, cioè 750 milioni di lire. All'iniziale pressione telefonica sarebbe poi seguita una vera iniziativa diretta, da parte di due esponenti della mafia locale, tali Buffa e Virga, che si sarebbero recati presso l'ospedale in cui era primario il Garraffa e, in occasione di questo incontro, avrebbero esercitato ulteriori pressioni, giungendo alle minacce. Il tentativo di estorsione si sarebbe concluso in un secondo tempo, a seguito di ulteriori telefonate fatte dall'onorevole Dell'Utri al
Signor Presidente, onorevoli colleghi, per il reato di tentata estorsione in linea generale il comune cittadino non viene mai sottoposto a carcerazione preventiva, quindi non è giusto richiamare una pretesa disparità di trattamento, invocando l'articolo 3 della Costituzione, tra il parlamentare che per un tentativo di estorsione non va in carcere ed il comune cittadino che invece ci andrebbe, non essendo coperto dall'articolo 68 della Costituzione. A parte il fatto che l'articolo 68 prevede garanzie non tanto a tutela del parlamentare quanto dell'intero Parlamento, vi è da dire che nel caso di specie sarebbe uno scandalo se un comune cittadino andasse in galera per un reato di questo tipo: ripeto, non si è mai visto, non accade mai che per il tentativo di estorsione un comune cittadino finisca in carcere.
Il secondo reato contestato all'onorevole Dell'Utri è quello di concorso nel reato di calunnia commesso da tali Cirfeta e Chiofalo. L'attività che si assume posta in essere dall'onorevole Dell'Utri è certamente successiva alle iniziali denunce fatte dal Cirfeta nei confronti di un gruppo di pentiti che si sarebbe organizzato per coinvolgere sia l'onorevole Dell'Utri sia l'onorevole Berlusconi. La pretesa attività messa in essere dall'onorevole Dell'Utri è quindi pacificamente successiva a queste iniziali denunce, tant'è che da parte di alcuni componenti la Giunta si è prospettata anche l'ipotesi che non ci si trovi in presenza di un concorso nel reato di calunnia, bensì di un tentativo di subornazione di teste. Ciò in quanto il reato di calunnia, che si suppone sia stato commesso dal Cirfeta, sarebbe antecedente all'attività posta in essere dall'onorevole Dell'Utri: si sarebbe consumato, quindi, in un periodo precedente.
Voglio ricordare all'onorevole Presidente e agli onorevoli colleghi che il reato di calunnia è particolarmente difficile da individuare, tant'è che è abbastanza raro che si proceda ed è ancor più raro che si arrivi ad una condanna in sede penale. La regola è che comunque il supposto calunniatore non venga mai sottoposto a misura carceraria, in quanto è il tribunale che deve decidere se questi debba essere condannato; neppure in quella sede viene mai disposta una misura cautelare carceraria.
Per il reato di calunnia non vi è mai custodia cautelare: il calunniatore va in galera solo quando la sentenza è definitiva e quando non abbia potuto beneficiare della sospensione condizionale. La regola, quindi, che riguarda tutti, e non solo i parlamentari, è che in presenza di un reato di calunnia il parlamentare non vada in carcere così come, peraltro, qualsiasi altro cittadino. In questo caso non è invocabile l'articolo 3 della Costituzione, che stabilisce che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, perché, anche se l'articolo 68 della Costituzione garantisce una tutela, non al parlamentare ma al plenum, va ricordato che nessun cittadino finisce in carcere per aver commesso un reato di questo tipo.
Pertanto, dobbiamo valutare la posizione dell'onorevole Dell'Utri senza farci minimamente influenzare dal fatto non vero che se non fosse parlamentare sarebbe già in carcere. Sono stati oggetto di misure cautelari carcerarie i coindagati dell'onorevole Dell'Utri, ma in tutti gli altri procedimenti penali di questo tipo nessuno finisce in carcere sia nel caso del reato di tentata estorsione sia nel caso di concorso nel reato di calunnia.
Che cosa è chiamato a valutare questo ramo del Parlamento in funzione dell'ordinanza emanata dal giudice delle indagini preliminari che ha disposto la misura cautelare nei confronti dell'onorevole Dell'Utri? Secondo alcuni, deve valutare se sussista il cosiddetto fumus persecutionis che era indubbiamente rilevante prima della riforma dell'articolo 68 della Costituzione quando, cioè, esisteva ancora l'istituto dell'autorizzazione a procedere. Anche allora, però, quando la Camera dei deputati veniva ad essere investita di una
In questi cinquant'anni di vita parlamentare solamente in quattro casi fu concessa l'autorizzazione all'arresto. Per quanto riguarda l'onorevole Abbatangelo, egli fu posto in carcere in seguito ad una sentenza definitiva: pertanto, il voto della Camera si risolse sostanzialmente in un atto dovuto, visto che la sentenza di condanna non era ormai più impugnabile e la Camera non avrebbe potuto fare diversamente.
Gli altri tre casi nei quali la Camera autorizzò l'arresto del parlamentare riguardarono l'onorevole Saccucci, l'onorevole Toni Negri e l'onorevole Moranino. Tutte e tre le vicende erano molto gravi in quanto riguardavano, tra gli altri, casi di tentato omicidio, omicidio, banda armata e strage: casi tutti gravissimi, voglio sottolinearlo, onorevoli colleghi. Essi, lo ripeto, non sono in alcun modo paragonabili ai due reati che sono stati contestati all'onorevole Dell'Utri e per i quali si chiede l'autorizzazione all'arresto.
Pensare di paragonare a quei casi gravissimi un tentativo di estorsione o un concorso nel reato di calunnia è veramente cosa che offende la comune intelligenza.
Voglio anche ricordare, a tale riguardo, che in questa legislatura abbiamo avuto altri casi sottoposti al nostro esame. Senza entrare nel merito di essi, per i quali l'aula, sempre e comunque, ha respinto la richiesta di arresto, dirò che si trattava di reati obiettivamente più gravi di quelli oggi contestati all'onorevole Dell'Utri.
La Camera fece bene - allora - a respingere la richiesta di arresto; deve fare altrettanto bene a respingere - oggi - la richiesta di arresto dell'onorevole Dell'Utri per reati infinitamente meno gravi rispetto a quelli di allora.
È necessario valutare il fumus persecutionis? A mio avviso ed a avviso della maggioranza della Giunta, no! Nella memoria dell'onorevole Dell'Utri si parla di una congiura posta in essere nei suoi confronti da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo; da parte di alcuni è stato invocato il fumus persecutionis o comunque un certo accanimento giudiziario nei confronti del Dell'Utri. Ho cercato di ricordare prima che nella storia di questo Parlamento ben poche volte è stata negata l'autorizzazione all'arresto in presenza del fumus persecutionis; quasi sempre non si trattava di fumus persecutionis, ma di altre e diverse circostanze che la Camera dei deputati prese in considerazione per respingere la richiesta di arresto.
Onorevole Presidente, in questa sede noi dobbiamo assicurare una sorta di bilanciamento tra il diritto indubbio della giustizia a proseguire il suo corso e la tutela doverosa del plenum del Parlamento; dobbiamo valutare se esistano in concreto indizi gravi di colpevolezza a carico dell'onorevole Dell'Utri; dobbiamo valutare se esistano in concreto attuali, gravi pericoli di inquinamento probatorio e se esistano in concreto gravi e fondati pericoli di reiterazione del reato.
Per quanto riguarda il tentativo di estorsione - lo ricordavo prima - ci si riferisce ad un episodio che si suppone sia stato commesso nove anni fa. È da due anni che la procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo ha avviato le indagini; soltanto dopo questi due anni è stato chiesto ed è stato ottenuto l'arresto dell'onorevole Dell'Utri, per un periodo, onorevoli colleghi, di quattro mesi. Mi sto riferendo ad un reato commesso nove anni fa, un reato infinitamente meno grave rispetto a quelli per i quali è stato autorizzato l'arresto nei tre casi che ho prima citato e per un periodo di quattro mesi. Questa è la situazione in ordine ai pretesi gravi indizi di colpevolezza.
Si assume che l'onorevole Dell'Utri, in riferimento al tentativo di estorsione, avrebbe posto in essere iniziative volte all'inquinamento probatorio. Su quale
Dando per ammesso, onorevoli colleghi, che tale Piovella non abbia dichiarato il vero allorquando è stato ascoltato, manca però, nel caso di specie, la prova di qualsiasi contatto, di qualsiasi collegamento tra lui e l'onorevole Dell'Utri. Mancando tale collegamento, non è pensabile sostenere che ci si trovi in presenza di un tentativo di inquinamento da parte dell'onorevole Dell'Utri.
Può darsi che Piovella ed altri non abbiano dichiarato il vero; può darsi che Piovella ed altri abbiano reso dichiarazioni menzognere, ma da qui a dire che le responsabilità di queste menzogne o di queste non veritiere dichiarazioni debba ricadere in capo alla persona dell'onorevole Dell'Utri, francamente mi sembra che il passo sia troppo lungo. Non vi è alcun elemento per collegare queste pretese, supposte non veritiere dichiarazioni ad un intervento svolto da parte dell'onorevole Dell'Utri.
Onorevole Presidente e onorevoli colleghi, abbiamo già sollevato nella nostra iniziale relazione per la Giunta il problema dell'incompetenza per territorio in capo alla procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo per quanto attiene alla richiesta di un provvedimento restrittivo nei confronti dell'onorevole Dell'Utri da parte del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo. Qualcuno ha sostenuto che la questione dell'incompetenza per territorio sarebbe un argomento che non ci dovrebbe interessare. Vediamo come si sostanzia la nostra asserita incompetenza per territorio, onorevole Presidente e onorevoli colleghi. La questione è stata affrontata dalla Giunta e sono risultati molto più numerosi gli argomenti addotti da coloro che sostenevano l'inesistenza della competenza, rispetto a quelli di coloro che sostenevano, invece, l'esistenza di quella competenza.
Il reato di tentata estorsione inizia, onorevoli colleghi, con le supposte telefonate minacciose dell'onorevole Dell'Utri da Milano al Garraffa, prosegue con i due interventi intimidatori di Buffa e di Virga a Trapani e si conclude con ulteriori telefonate intimidatorie e pressanti dell'onorevole Dell'Utri sempre da Milano al Garraffa. Il reato inizia, quindi, a Milano, continua a Trapani, si consuma a Milano. La competenza della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo non esiste assolutamente.
Per quanto riguarda il reato di calunnia, esso nasce con le denunce del pentito Cirfeta presso la casa circondariale di Paliano e continua con altre denunce inviate alle Direzioni distrettuali antimafia di Lecce e di Bari. Il reato è, quindi, di competenza o del tribunale all'interno del cui circondario si trova la casa circondariale di Paliano, oppure è di competenza dei tribunali di Bari o di Lecce, ma in nessun caso può essere individuata la competenza della procura della Repubblica prima, e del giudice delle indagini preliminari poi, di Palermo. L'argomento sottoposto all'attenzione della Giunta, sviluppato anche da altri colleghi e da me riportato nella relazione conclusiva, è rilevante perché non si può accettare il principio secondo il quale, in presenza di un incompetenza per territorio, la questione non dovrebbe interessare questo ramo del Parlamento. Interessa, eccome!
Onorevoli colleghi, pensate al caso in cui un pubblico ministero incompetente per territorio chieda a un giudice per le indagini preliminari parimenti incompetente un provvedimento restrittivo che il giudice incompetente dispone, mentre un altro pubblico ministero (quello sì competente) avrebbe potuto non richiederlo ad un giudice (quello sì competente) che avrebbe potuto non adottarlo. Non ci troviamo forse in presenza di una situazione particolarmente anomala e di una vicenda di cui non possiamo non interessarci nel momento in cui ci è chiesta l'autorizzazione ad arrestare un collega? Dobbiamo certamente valutare anche il problema dell'incompetenza per territorio al fine di concedere o meno l'autorizzazione all'arresto.
Riteniamo che nel caso concreto non vi siano assolutamente le condizioni per addivenire ad una decisione di quest'Assemblea favorevole alla richiesta di arresto siccome sproporzionata rispetto ai reati contestati. Pertanto, onorevoli colleghi, mi riporto alla relazione scritta invitandovi a votare a favore delle nostre conclusioni per il rigetto dell'istanza di autorizzazione dell'arresto disposto dal giudice per le indagini preliminari nei confronti dell'onorevole Dell'Utri (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e misto-centro cristiano democratico).
È iscritto a parlare l'onorevole Abbate. Ne ha facoltà.
Dirò subito, signor Presidente, signori deputati, che il documento al nostro esame mi appare inutilmente ridondante di persone, di riferimenti, di fatti, di allegati, di sopravvenienze di documenti che credo non favoriscono un approccio sereno al tema. Si tratta di una ridondanza indicativa, a mio avviso, di una preoccupazione, starei per dire di una consapevole debolezza, piuttosto che volta ad ampliare l'area delle notizie utili e delle conoscenze che possono aiutarci nell'esame della vicenda alla nostra attenzione.
A mio avviso, signor Presidente, signori deputati, il primo segnale di questa debolezza è il riferimento, tenacemente coltivato, ad un episodio, quello relativo alla supposta associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, che rimane sostanzialmente estranea al tema della custodia cautelare; estranea perché in alcun modo oggettivamente correlata e con l'unico punto di collegamento di una connessione soggettiva di scarsa significazione. Eppure, a questo episodio l'ordinanza dedica ben oltre cento pagine, espressione di una tenacia investigativa che, a mio avviso, ha una limitata utilità in questa sede.
Comprendo che da quelle pagine possano e direi debbano trarsi severe indicazioni su talune frequentazioni non proprio da oratorio dell'onorevole Dell'Utri. Comprendo meno che questi fatti possano concorrere ad irrobustirne probatoriamente altri, quelli cioè in relazione ai quali si chiede la misura cautelare, sicché ne risulterebbe esaltato il compendio delle ragioni legittimanti l'arresto. Dirò con molta franchezza che questo mi sembra un artificio dialettico.
Entrando nel tema, dirò che la non esaltante vicenda della reiterazione dei
Alla luce di tali premesse, l'ipotesi del tentativo di estorsione ricostruita nel documento al nostro esame, oggetto giustamente di caparbie ed anche affannose indagini, rivela eccessi interpretativi dei fatti e, se volete, in certa misura anche delle norme violate; tali eccessi finiscono inconsapevolmente per atteggiarsi a pregiudizi, che possono condizionare la nostra valutazione proprio sui momenti di sintesi dei quali ho parlato, cioè, lo ripeto, l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari.
In relazione all'ipotesi di estorsione - entro subito nel tema - osservo che essa risale a circa nove anni fa e che, pertanto, anche il più sprovveduto e meno scaltro degli indagati avrebbe avuto la possibilità di preparare una difesa impenetrabile; tale ipotesi, peraltro, è stata sottoposta a minuziosi controlli ai quali, forse, è mancata soltanto qualche verifica, pure opportuna, relativa a fatti da addurre a discolpa. Rispetto ad una ipotesi di reato che risale a nove anni fa, è sostenibile immaginare una esigenza cautelare di non inquinamento delle prove, peraltro legata ad un termine di quattro mesi e a ragioni neppure dichiarate e, data l'enorme congerie della materia, neanche facilmente immaginabili?
Pur nel quadro di un sincero apprezzamento della scrupolosa compiutezza funzionale dei pubblici ministeri, faccio fatica a condividere le loro valutazioni su tale aspetto della vicenda. Mi chiedo - è una curiosità che nasce proprio dall'osservazione di taluni eccessi logici rivelatori delle anomalie delle quali vi ho parlato - come e perché il Garraffa si sia ricordato di aver subito un tentativo di estorsione a distanza di sette anni; infatti, lo ha riferito al giudice soltanto sette anni dopo).
Non so - e credo mi sia difficile saperlo - se, come ha sostenuto l'onorevole Dell'Utri dinanzi alla Giunta, quella che quest'ultimo ha definito una falsa macchinazione del Garraffa sia stata animata da poco nobili sentimenti di vendetta o da altre addirittura ignobili ragioni. So per certo, però, che tale inopportuno e sospetto ritardo ha indubbiamente ostacolato una immediata, efficace e trasparente ricostruzione dei fatti, provocando, o comunque favorendo, un serio inquinamento della ricerca.
Mi domando ancora come, da chi o per il tramite di chi fu concluso il contratto di sponsorizzazione tra la Birra Messina e la Pallacanestro Trapani, posto che la presenza di Dell'Utri - credo che tale dato sia pacifico -, la sua supposta partecipazione, avvenne non nella fase della formazione della volontà negoziale ma in quella dell'adempimento, se volete del mancato adempimento, degli obblighi nascenti dal contratto. E ancora, come e perché sono rimasti fuori dalla vicenda giudiziaria...
È lecito presumere e sperare che ogni giudice, allorché giudica e dispone l'arresto del più umile dei cittadini, sia sereno e persegua solo fini di giustizia ed applichi rigorosamente le norme di diritto processuale e sostanziale e si riferisca alla Costituzione, ma può anche non accadere. È per questo che, allorché si tratta di procedere all'arresto di un parlamentare, il provvedimento del giudice viene sottoposto al vaglio del Parlamento ai sensi dell'articolo 68 della Costituzione. Il Parlamento non è certo il tribunale del riesame, ma è chiamato solo a giudicare se il giudice sia stato sereno o prevenuto nei confronti del parlamentare, cioè se ricorra il fumus persecutionis. Solo se non vi è traccia di alcun fumus, cioè se si accerta che il giudice è stato sereno in tutta la procedura, e solo in quel caso, si può procedere all'arresto.
È assurdo pretendere che i magistrati ammettano nel loro provvedimento il loro eventuale pregiudizio nei confronti del parlamentare però si possono verificare delle forzature, delle smagliature, degli eccessi di interpretazione, sia della legge processuale sia della legge sostanziale, tali da far nascere il sospetto, sia pur vago, di un giudizio non sereno nei confronti del parlamentare. E nel caso di Dell'Utri le forzature ci sono state, tante e non di poco rilievo, sia nella formulazione della richiesta di custodia cautelare, sia nella interpretazione delle esigenze cautelari, che non sussistono, sia nel sentirsi competenti per emettere un determinato provvedimento, laddove quest'ultimo sarebbe stato di competenza di altro giudice.
Mi domando se sia necessario chiedere e disporre l'arresto di un parlamentare per una tentata estorsione, asseritamente commessa nel lontano 1991, priva di un serio supporto probatorio e senza che ricorra nessuna delle esigenze cautelari citate innanzi. La denunzia viene formulata a fine febbraio del 1997, a margine di un interrogatorio cui il Garraffa era stato sottoposto per altri fatti gravi per cui si
Altro indizio grave di fumus o comunque di interpretazione eccessivamente prevenuta nei confronti del Dell'Utri è stato richiamato poc'anzi dall'amico onorevole Abbate e si riferisce al fatto che nella richiesta di custodia cautelare si inserisce il capo B, relativo ad un asserito traffico di droga, per il quale, sia a detta del pubblico ministero, sia a detta del GIP, non vi sono a carico di Dell'Utri elementi che possano giustificare la richiesta di custodia cautelare. Allora perché hanno inserito nell'ordinanza di custodia cautelare questa vicenda? La deduzione che ciò sia stato fatto per presentare all'opinione pubblica una situazione processuale più grave di quella effettiva è inevitabile: certamente, presentare un deputato come un trafficante di droga rende legittima, anzi doverosa, agli occhi della collettività, ignara della realtà processuale, qualsiasi richiesta, anche la più grave.
Ma dove la violazione delle norme costituzionali e di diritto processuale sulla competenza assume aspetti inquietanti, da rendere evidente il fumus persecutionis, è nella richiesta di custodia relativa alla calunnia, che è un reato difficile a dimostrarsi e punito con una pena non grave. Comunque un fatto è certo: negli ultimi anni vi sono state solo una o due richieste di custodia cautelare per calunnia. Perché sussista il reato di calunnia è necessario che si accusi taluno sapendolo innocente. Chi sono i protagonisti di questa vicenda? Sono i pentiti.
I pentiti sono un argomento delicatissimo, da affrontare con grande prudenza: avendo i giudici di Palermo trattato alcuni pentiti in un modo ed altri in un altro modo, avendone considerati alcuni come il Vangelo ed altri come roba da marciapiede, già questo dimostra che vi è una valutazione dei giudici sull'argomento dei pentiti diversa da ciò che normalmente avviene o dovrebbe avvenire in tutte le aule giudiziarie.
Abbiamo visto che Chiofalo ha detto una cosa e poi ne ha detta un'altra: quale attendibilità possiamo riconoscere a persone che sono imputate di gravissimi reati, alcune delle quali sono state condannate per diffamazione e per calunnia ed altre dichiarate inattendibili da sentenze passate in giudicato? Per altro, Cirfeta era stato dichiarato, invece, attendibile ed aveva dato la possibilità di sconfiggere la Sacra corona unita. Già questo atteggiamento dei giudici non è normale, rappresenta una forzatura nell'interpretazione di tutte le situazioni relative ai pentiti.
Qual è il giudice competente per verificare l'attendibilità dei pentiti ed eventualmente emettere a carico dell'onorevole
È iscritto a parlare l'onorevole Sgarbi, al quale ricordo che ha a disposizione complessivamente 13 minuti, che può utilizzare come ritiene tra questa fase e quella delle dichiarazioni di voto. Ne ha facoltà.
Questa sarebbe forse la posizione nello stesso tempo più paradossale e più logica perché il dato vero, il dato drammatico di queste ore è che noi siamo in piena campagna elettorale. Accettando allora una indicazione che ha sovvertito alcuni princìpi di questa Camera, che per decenni ha affrontato argomenti delicati relativi alla coscienza con il voto segreto, a partire dal 1993 quel voto è diventato palese, per una trasparenza rispetto ai cittadini che in realtà è la forma più alta di ipocrisia: si è inteso, cioè, barattare la coscienza con la fedeltà ad un partito!
La norma prevede quindi che il voto su questioni tanto delicate sia segreto; però, Napolitano, nel 1993, con un gesto demagogico e populistico, stabilì la regolarità del voto palese. Si arrivò al paradosso, nello specchiarsi dell'aula della Camera in quella del Senato, che il senatore Andreotti (il primo ipocrita di questa Repubblica) votò contro se stesso per andare ad un processo nel quale non credeva, con dei giudici di cui non si fidava, ma di cui diceva di fidarsi!
Ed il paradosso continua, perché per il capo della mafia i prudentissimi magistrati di Palermo (tanto amati dal mio amico e collega Bielli), arrivano oggi a chiedere quindici anni di carcere per bocca di un magistrato inquisito per mafia.
È un doppio paradosso: abbiamo una richiesta di quindici anni per mafia, per concorso esterno e poi per associazione interna di stampo mafioso, avanzata da un pubblico ministero che è a sua volta sotto inchiesta per associazione mafiosa! Il buon gusto, il passo indietro, che tante volte si è chiesto, non connota evidentemente i comportamenti del dottor Lo Forte.
Sottolineo però che, in tanto grave, paradossale e pirandelliana situazione, si innesta un altro elemento, onorevole Bielli: che mai quei magistrati, convinti della colpa gravissima contro lo Stato e nello Stato del senatore Andreotti, hanno neppure per un attimo pensato di chiederne l'arresto (guarda un po'!). Abbiamo il grande Andreotti, per il quale si chiedono quindici anni, che non è stato neanche sfiorato da una richiesta cautelare di detenzione, e abbiamo il piccolo Dell'Utri, che ha una sola grave responsabilità in 58 anni di vita, di cui almeno 30 legati sicuramente alla mafia, secondo questa ricostruzione, che, nella distrazione dei magistrati, per trent'anni non è stato in nessun modo indagato, né riguardato come criminale, pregiudicato e, tanto meno, mafioso.
Guarda caso, l'urgenza di inquisirlo e di chiederne l'arresto interviene quando egli diventa il motore e l'animatore fondamentale di un partito notoriamente mafioso, quale forza Italia. E dite che questa inchiesta è di natura giudiziaria? Si tratta di un'inchiesta in cui si vuol fare l'estremo sfregio ad un partito in piena campagna elettorale, così come si è fatto un estremo sfregio al partito popolare con la richiesta di quindici anni per Andreotti, perché siamo in campagna elettorale.
Forza Italia cammina anche senza il motore di Dell'Utri, ma occorre ricordare che alla sua origine c'è l'acqua inquinata del mafioso Dell'Utri. Allora, come pensare che quest'Assemblea voti secondo coscienza, quando tra qualche giorno si svolgerà il referendum, simbolo del nuovo, dell'Italia pulita, dei partiti che finalmente muoiono e possono comodamente ricattare nei due poli, secondo il modello indicato dal senatore Di Pietro e da lui applicato in maniera assolutamente rigorosa? Come farlo, quando siamo a meno di due mesi dalle elezioni europee ed amministrative in cui occorrerà che ogni partito si esprima, a partire dagli amici
Soltanto il voto segreto può ristabilire la storia, la cultura, la civiltà, il rispetto della coscienza, quello che per quaranta anni in quest'aula è stato il segnale di un metodo, del rispetto delle persone al di là delle questioni politiche. Eppure, il voto palese è il voto della trasparenza. Spero che forza Italia abbia il coraggio di chiedere il voto segreto per restituire la coscienza ai singoli parlamentari e consentire un voto individuale e non legato agli schieramenti, ai partiti e al ricatto elettorale.
D'altra parte, se analizzo con attenzione questa vicenda, individuo vari elementi: vedo un uomo e a tale proposito richiamo ancora all'amico Bielli, un tenace sostenitore della necessità dell'arresto per il criminale Dell'Utri, la memoria di Tito Balestra, cioè la chiarezza dei poeti, la loro lucidità e la loro intuizione, che è molto più alta di quella dei magistrati. Basta leggere Manzoni e dimenticare Caselli per sapere cosa sono i pentiti.
Il più grande poeta italiano, che scrive in lingua milanese e non è in nessun modo uomo di destra ma, anzi, militante in una sinistra umanistica e illuminata - e che certamente l'amico Bielli conosce -, Franco Loi, poeta di lucidissima intuizione, amico di Tito Balestra, si è espresso con serenità dicendo: «Conosco Marcello da almeno trent'anni; so che è un uomo onesto, so che le sue azioni sono chiare, so che il suo comportamento è tutto meno che mafioso».
L'intuizione di quel poeta dovrebbe guidare il tuo voto nella tua coscienza, Bielli, e non la volontà di arrestare, sempre e comunque, per il sospetto di reati che non ci sono. Avete tenuto in libertà, nell'accordo fra l'area di sinistra guidata dal Presidente della Camera e i magistrati di Palermo, Andreotti, incriminato nel documento dell'antimafia presieduta da Violante, quando si diceva che la DC era la mafia. Allora fu Mastella a dire che in realtà solo qualche corrente, e non non tutta la DC, era la mafia. Soltanto in quel modo si è arrivati ad incriminare, per tutti, in un partito di cui era stato luce e guida, Giulio Andreotti, senza che mai vi fosse il coraggio, da parte dei giudici da te tanto amati, di chiederne l'arresto.
Abbiamo la poesia di un uomo che intuisce la natura profonda di quello che io so per certo essere un uomo onesto, come testimonianze formidabili del mondo dell'imprenditoria, delle persone corrette, dell'Italia che lavora, dell'Italia che fa, e non che distrugge, hanno dichiarato in questi anni (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)! Non c'è un solo uomo di valore che non sia un ladro, un pentito, un assassino, un criminale o un magistrato di Palermo che abbia dubitato dell'integrità morale di Marcello Dell'Utri, a partire da un altro vostro amico di parte politica, quell'Umberto Eco, primo scrittore italiano, che è presidente della mafiosa biblioteca di via Senato, fondata da un uomo di cultura qual è Dell'Utri. La cultura deve prevalere, non possiamo continuamente essere travolti dalla violenza e dalla miseria della mafia, dei film sulla mafia, del fatto che l'Italia vuol dire la mafia! Quando c'è qualcuno che lavora e che funziona, vuol dire che è mafioso! Se è Berlusconi, è mafioso; se è Andreotti, è mafioso; se è Dell'Utri, è mafioso! Mafiosi sono quei politici che fanno campagna elettorale appoggiandosi a magistrati a loro volta inquisiti per mafia! Vergogna, questa è la vergogna (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale)!
Chiedo a questo Parlamento non di giudicare... Ciofeca, Cirfeta e sua nonna, bensì di rispettare le proprie guarentigie per una ragione di fondo che è la seguente: se è vero che Dell'Utri ha commesso un reato - che non ha commesso -, è vero che per individuare quel reato i magistrati hanno commesso una serie di
Il dato di fondo è che l'intercettazione è proibita dalla Costituzione e qui abbiamo un cittadino, che è anche parlamentare, non è...
Ricordo, con inquietanti interrogativi, il cambiamento delle posizioni di Siino, un collaboratore di giustizia. Costui in un primo tempo ha offerto testimonianze negative nei confronti del dottor Lo Forte, numero due della procura della Repubblica: si è, dunque, avviato un procedimento a Caltanissetta (ancora in corso); successivamente la procura di Palermo (lo dico per rammentare le illegalità, visto che poco fa il collega Sgarbi ne ha parlato) ha indagato su una vicenda che riguarda se stessa prima ancora che le carte passassero a Caltanissetta e Siino, da critico accusatore di Lo Forte, diventasse critico nei confronti dell'Arma dei carabinieri che aveva raccolto le accuse.
Il Parlamento dovrebbe indagare su cosa fa la procura di Palermo nei confronti dei collaboratori di giustizia, i quali vengono considerati attendibili o inattendibili a seconda delle circostanze e delle convenienze; ho citato il caso di Siino e di Lo Forte perché si tratta di una vicenda altra, che dimostra come vi debba essere cautela nel giudizio, proprio perché accadono fatti inquietanti.
Sulla vicenda specifica riguardante il collega Dell'Utri, vorrei richiamare un'altra autorevole presa di posizione: quella di Tommaso Buscetta. Non possiamo considerare Buscetta in taluni casi come la
Vediamo quale è stato il ruolo di Tommaso Buscetta nella vicenda che interessa il collega Dell'Utri. Buscetta, deponendo al processo in corso a Palermo nei confronti di Marcello Dell'Utri, il 1 febbraio scorso ha affermato - usando più volte l'avverbio «categoricamente» - di non aver mai sentito parlare, in seno all'associazione mafiosa denominata Cosa nostra, di Marcello Dell'Utri e di Silvio Berlusconi. Quanto alle voci propalate da altri pentiti, sentiti nel corso del processo, circa incontri che vi sarebbero stati a Milano tra Dell'Utri, Berlusconi ed il boss mafioso Bontade - considerato uno dei personaggi più eminenti di Cosa nostra -, Tommaso Buscetta ha dichiarato di non averne mai avuto notizia, nonostante sia stato amico di Bontade e ne abbia ricevuto le confidenze; nonostante abbia avuto una conoscenza intima, interna e profonda, di queste vicende, avendo addirittura condiviso la stessa abitazione, lo stesso domicilio e lo stesso rifugio con Bontade. Si tratta, quindi, di una conoscenza non semplicemente storica; non si tratta di un racconto, come quelli che tanti collaboratori di giustizia rendono in carcere, del tenore «quello mi ha detto» o «quello mi ha riferito»; no, si tratta delle dichiarazioni di una persona che ha vissuto con un'altra, condividendo con essa - con l'intensità di tali sodalizi mafiosi - esperienze, confidenze e quant'altro.
Allora, qual è la verità: quella che dice Buscetta, oppure no? Non possiamo, colleghi, considerare, riguardo ai collaboratori di giustizia, attendibili alcune dichiarazioni ed altre no. È vergognoso che quanto detto da Tommaso Buscetta il 1 febbraio scorso non abbia avuto l'eco che avrebbe meritato sugli organi di informazione! Se andiamo a vedere la campagna di informazione montata su altre dichiarazioni di Buscetta relative ad altre vicende, rileviamo quanto sia grave la sottovalutazione delle affermazioni sul ruolo di Dell'Utri. Tra l'altro, Buscetta ha aggiunto altre considerazioni riferite anche a Cinà, un coimputato nel processo, affermandone un ruolo assolutamente marginale, essendo stato addirittura «posato» - termine che si usa negli ambienti delle organizzazioni mafiose - e non avendo potuto avere, quindi, un ruolo di investitore, di ambasciatore o di gestore di investimenti di Cosa nostra presso le aziende che fanno capo a Berlusconi o a Dell'Utri. Questi sono i fatti.
A questo punto, chiedo soprattutto ai colleghi della Giunta, che hanno avuto più di noi - per dovere - la possibilità di approfondire le carte, come si debba valutare la circostanza non secondaria della testimonianza di Buscetta. Si tratta, peraltro, di una persona che in questa fase, anche per i noti problemi di salute, non credo abbia un interesse specifico a fare tali dichiarazioni. O, forse, è strumentalizzato anche lui - si vorrebbe casomai sottendere - a dire cose non rispondenti alla verità?
Ritengo, dunque, che su questo fatto si debba riflettere ulteriormente. Del resto il processo andrà avanti. Qui stiamo parlando dell'arresto, di una scelta gravissima; non ripeterò le motivazioni espresse dall'onorevole Sgarbi e da altri colleghi che mi hanno preceduto o dalla relazione del collega Berselli - si tratta di considerazioni che personalmente condivido con intima convinzione -, ma voglio fare una riflessione, anche nei confronti dei colleghi più convinti della necessità dell'arresto: a questo punto, se Buscetta non è credibile, cari colleghi della sinistra, dovete riscrivere pagine intere di storia italiana!
Infatti, delle due l'una: o una persona è attendibile in ogni caso, oppure dice il falso, per cui è necessario rivedere tante cose. Ho voluto citare l'inquietante caso Siino anche alla luce delle recenti analisi, a parte la valutazione delle ultime carte,
Penso allora che vi siano tutti gli elementi per respingere questa richiesta di arresto, ma anche per chiedere a tutto il mondo dell'informazione perché la vicenda Buscetta e le sue affermazioni di febbraio non abbiano avuto l'eco che avrebbero meritato. È questo un ulteriore motivo che deve indurci a votare contro questa richiesta non solo per la difesa del Parlamento e per le valutazioni positive, che anch'io condivido, espresse sulla persona di Marcello Dell'Utri, ma anche e soprattutto per il modo in cui si conducono queste indagini, sottovalutando alcune dichiarazioni rese in sede processuale ed alimentando invece il fumus persecutionis con carte su carte, con un polverone che disorienta l'opinione pubblica, la quale deve invece essere messa in condizione di valutare un fatto chiaro e certo come le affermazioni di Buscetta...
Spero che tutti questi elementi portino la Camera ad esprimere un voto contrario alla richiesta di arresto (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Per quanto riguarda le istituzioni, dirò innanzitutto che già ieri mi sarei aspettato che gli ulteriori equivoci e l'ulteriore polvere sollevati su questo caso fossero eliminati e che chi di dovere - non so se la Giunta o la Presidenza della Camera - dichiarasse irricevibili gli ulteriori documenti, i quali riaprono un procedimento che si avviava alla conclusione. La seconda cosa, che è forse la più importante, riguarda l'espressione, così brutta e curialesca, fumus persecutionis, che non è una «intenzione» di persecuzione. L'analisi sull'esistenza del fumus persecutionis serve soltanto a garantire l'Assemblea e l'intero Parlamento e riguarda un comportamento, rintracciabile nelle carte, che possa ledere le prerogative e le immunità che spettano a ciascun parlamentare.
Questo fumus esiste nelle carte, io non ho dubbi. Quando si chiede l'arresto di un cittadino soltanto per il suo status di parlamentare, soltanto perché, essendo parlamentare, può porre in essere un inquinamento delle prove che, tra l'altro, è riferito ad una tipica attività dei parlamentari, come quella di concedere un'intervista, allora affermo che non c'è solo il fumus persecutionis, ma anche elementi che non attaccano soltanto Marcello Dell'Utri, ma le immunità e le prerogative del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Mi auguro che, al di là delle considerazioni giuridiche che sono state svolte da molti colleghi, questo Parlamento ritrovi finalmente, dopo tanti episodi di pavidità, due motivi d'orgoglio. Il primo è quello di dare allo status di parlamentare, indipendentemente dalla persona cui è attribuito, la dignità e le immunità che da duecento anni in tutto l'occidente sono garantite. Il
Voglio concludere il mio intervento citando quanto affermato da un giudice della Corte suprema degli Stati Uniti, il giudice Warren. Egli diceva che «questo paese» - vale anche per il nostro - «è libero se garantisce la difesa ad un giusto processo ai criminali e ai reietti, non se difende soltanto i probi e gli onesti».
Annuncio che voterò contro la richiesta di arresto e, quindi, a favore della richiesta della Giunta per le autorizzazioni a procedere: mi auguro che, per orgoglio, tutti i colleghi parlamentari facciano altrettanto (Applausi dei deputati dei gruppi misto-rinnovamento italiano popolari d'Europa e di forza Italia).
La Giunta ha analizzato e valutato i documenti di accusa inviati dal GIP di Palermo senza dimenticare di essere un organo politico: credo che ciò sia inevitabile, nonché giusto e corretto. La nostra valutazione ha e deve avere una connotazione politica: non siamo un tribunale del riesame dell'ordinanza del GIP, ma un organo politico che deve valutare se vi sia, da parte dell'autorità giudiziaria, un atteggiamento persecutorio nei confronti di un membro di questo Parlamento.
Per questi motivi, abbiamo ritenuto corretta la decisione sia del Presidente della Camera sia del Presidente della Giunta di ammettere gli ulteriori documenti inviati ieri dalla procura di Palermo e persino il verbale dell'interrogatorio del pentito Chiofalo.
Da un punto di vista procedurale, se fossimo un tribunale del riesame avremmo dovuto dire che questi documenti sono inammissibili, in quanto l'ordinanza di custodia cautelare è stata emanata sulla base di alcuni documenti, mentre quelli successivi possono essere ritenuti rilevanti ai fini del giudizio, se vi sarà, ma non per giustificare il provvedimento cautelare.
Come ho detto, però, questa Camera non è un tribunale e la nostra cognizione può basarsi anche sui documenti successivi; inoltre, la decisione - che deve essere presa intimamente e coscienziosamente e non sulla base di considerazioni politiche - può e deve basarsi su qualsiasi elemento utile ad arrivare a prendere una decisione.
Il metodo seguito dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere è stato corretto, in un caso così grave. Infatti, le accuse sostenute dalla procura di Palermo sono gravi, a nostro avviso. Si tratta di tre capi di accusa nei confronti dell'onorevole Dell'Utri: per due di essi è stata emessa l'ordinanza di custodia cautelare. I capi di accusa si riferiscono ai reati di tentata estorsione nei confronti del dottor Garraffa ed al concorso nel reato di calunnia aggravata nei confronti di alcuni pentiti che avevano accusato precedentemente l'onorevole Dell'Utri. In seguito alle dichiarazioni di tali pentiti è in corso a Palermo un procedimento penale che vede imputato l'onorevole Dell'Utri per associazione a delinquere di stampo mafioso. Sono accuse gravi, come scrive la procura di Palermo; si tratta, dicono i magistrati ...
Ciò che rende ancor più grave la vicenda è che la minaccia al Garraffa avvenne non solo per il tramite del medesimo Dell'Utri o di persone appartenenti a Publitalia ma anche per il tramite di due pericolosi associati mafiosi, Vincenzo Virga e Michele Buffa, appartenenti alla «famiglia» di Trapani, di cui il primo con qualifica apicale (capo famiglia e capo mandamento).
Questa è un'accusa molto grave perché non si limita alla tentata estorsione ma fa vedere sullo sfondo lo spettro di Cosa nostra, lo spettro della mafia.
Lo stesso vale per il secondo capo con riferimento al quale si chiede la custodia cautelare, ossia il reato di calunnia. Lo scopo precipuo dell'intera operazione - dicono i magistrati palermitani - ossia l'operazione di screditamento dei pentiti che accusano Dell'Utri di appartenenza ad associazione mafiosa e che si concretizza poi nella calunnia ai danni di questi pentiti, è quello di far implodere dal suo interno il sistema generale dei collaboratori di giustizia in modo da renderlo, anche per il processo nei confronti di Dell'Utri, praticamente inoffensivo.
Si tratta di una difesa - quella personalmente architettata da Dell'Utri con la complicità del Cirfeta - non basata certamente su fatti riscontrati e che ha sicuramente fini ben più grandi ed importanti di quelli che riguardano il solo Dell'Utri ed il suo processo a Palermo.
Tale fatto consente, dunque, di ritenere più che provata la ricorrenza, nel caso di specie, dell'aggravante di cui all'articolo 7 della legge n. 152 del 1991, essendosi voluta consapevolmente agevolare da parte di Dell'Utri, Cirfeta e Chiofalo, con la loro complessiva condotta calunniosa, non solo la posizione processuale di Dell'Utri a Palermo ma ancor più l'intera organizzazione criminale denominata Cosa Nostra.
Dunque le accuse estremamente gravi poste alla base della richiesta di custodia cautelare meritavano ed hanno meritato da parte della Giunta una valutazione approfondita. Tali accuse sono basate - coloro che hanno letto gli atti lo sanno - sulle dichiarazioni dei collaboranti oltre che, secondo la procura di Palermo, anche su altri riscontri, ma sostanzialmente sulle accuse dei collaboranti. Ed è questo ciò che noi dobbiamo valutare! In altre parole, dobbiamo valutare se il complesso dell'accusa posta alla base della richiesta di ordinanza di custodia cautelare sia in qualche modo fondata, apparentemente fondata, o non sia invece una costruzione artificiosa ed artificiale che abbia come unico scopo quello di colpire un membro del Parlamento e, direttamente o indirettamente, anche il partito di cui il parlamentare fa parte.
Credo che solo di fronte alla certezza o al ragionevole dubbio che l'azione dei magistrati sia fondata esclusivamente su questo presupposto, cioè quello di colpire un parlamentare per ridurre il plenum o per altri motivi, la risposta del Parlamento debba essere negativa.
In altre parole, la garanzia e la tutela del plenum non può significare impunità o immunità totale. Occorre valutare le ragioni favorevoli e contrarie e per questo motivo il regolamento prevede anche l'audizione del parlamentare.
Devo dire che, a differenza di precedenti in cui i colleghi si sono difesi in modo aggressivo ma molto efficace - mi riferisco, in particolare, all'onorevole Previti -, la difesa dell'onorevole Dell'Utri, a mio parere, non è stata così efficace. Si è limitata a negare i fatti: Dell'Utri ha negato persino di sapere dove si trovi Rozzano, un comune dell'hinterland di Milano, sede presunta di uno degli incontri
A questa considerazione abbiamo aggiunto alcuni dati riscontrabili negli atti: l'eccezione di incompetenza territoriale può essere fondata, ma è certamente opinabile che, di fronte a fatti che avvengono in località diverse da Palermo, la procura di Palermo se ne assuma la competenza. Non possiamo dimenticare che la valutazione circa la fondatezza del requisito della competenza territoriale è stata fatta, oltre che dalla procura di Palermo, anche dal GIP, che è un giudice terzo. Si può discutere certamente sul ruolo della figura del GIP, se esso sia o meno succube delle procure come molti pensano, ma finché non sarà cambiato l'ordinamento procedurale esistente, il GIP è da ritenersi terzo rispetto alla procura. Il GIP, proprio all'inizio della richiesta di custodia cautelare, ha affrontato il problema della competenza territoriale e ha spiegato perché essa spetti alla procura di Palermo e sia, quindi, relativa anche al GIP di Palermo. Certamente tutto è discutibile ma, a meno di considerare parte del complotto anche il giudice terzo, dobbiamo considerare questo fatto. Per di più, nei documenti arrivati successivamente dalla procura di Palermo, abbiamo trovato altre conferme, non solo della fondatezza della competenza territoriale, ma anche della legittimità complessiva del provvedimento di custodia cautelare che è stato emesso nei confronti dell'onorevole Dell'Utri e di altri coimputati. Il 22 e il 24 marzo, in tre occasioni successive all'emanazione del provvedimento di custodia cautelare, il tribunale del riesame di Palermo ha avuto modo di riconsiderare la legittimità dell'atto di cui stiamo discutendo nei confronti di tre coimputati coindagati che, colpiti dall'ordinanza di custodia cautelare, hanno chiesto al tribunale del riesame di rivalutare la legittimità di questo atto. Ebbene, il tribunale del riesame, in tre successive e distinte deliberazioni ed ordinanze, ha ritenuto l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP Scaduto legittima, l'ha confermata ed ha respinto il ricorso dei tre coindagati. Certo, non si tratta della richiesta avanzata dall'onorevole Dell'Utri, ma sostanzialmente le accuse formulate nei confronti dello stesso onorevole Dell'Utri sono le medesime - così come sono le medesime le circostanze - formulate nei confronti dei coimputati i quali, come dicevo, hanno vista respinta la loro richiesta di annullamento dell'ordinanza di custodia cautelare.
Sono questi tutti fatti ed elementi che ci inducono a fare una valutazione complessiva dei pro e dei contro, in piena coscienza. Ciò anche a non voler considerare poi il documento arrivato ieri, che è il verbale di interrogatorio del collaborante Chiofalo, quel collaborante che il collega Dell'Utri pone a fondamento della propria difesa, insieme ad un altro, Cirfeta. Si tratta di quel collaborante che Dell'Utri è andato a trovare non una volta, come afferma lo stesso onorevole Dell'Utri, ma quattro, secondo la versione del Chiofalo, la prima delle quali molto prima del Natale o della fine d'anno 1998 quando, secondo l'onorevole Dell'Utri, sarebbe avvenuto il primo incontro; si parla addirittura del febbraio 1998. Questo pentito, che l'onorevole Dell'Utri pone a base della propria difesa anche per il processo in corso a Palermo, colpito anch'egli da ordinanza di custodia cautelare, perché parte del progetto calunnioso nei confronti del sistema dei pentiti, in questo interrogatorio smentisce totalmente la linea difensiva dell'onorevole Dell'Utri e dice cose molto gravi. Non voglio ripetere testualmente le parole pronunciate da Chiofalo per due motivi. In primo luogo, perché si tratta di un documento che i colleghi non hanno avuto modo di leggere, essendo riservato alla visione della Giunta; in secondo luogo, perché non mi interessa dare credito alle parole virgolettate dei collaboratori di giustizia, perché a distanza
In conclusione, tutti questi elementi, che noi abbiamo valutato con attenzione, anche con sofferenza, certo in piena coscienza, ci inducono a ritenere, a differenza di quanto fatto in passato nei confronti proprio di alcuni colleghi di forza Italia, che la richiesta di ordinanza di custodia cautelare sia legittima, fondata e non persecutoria (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
Non sarò certo io a sminuire l'importanza di voti siffatti. Voglio solo ricordare, proprio in relazione a ciò che evocavo come «liturgia del tormento», che i nostri voti sono sempre importanti, in quanto incidono sulla vita dei cittadini del nostro paese. Non molto tempo fa, ad esempio, abbiamo votato a favore di un impegno militare del nostro paese in un'azione di guerra che si svolge vicino al nostro territorio; si tratta di un voto che ha determinato, o comunque ha concorso a determinare, lutti e sofferenze inenarrabili.
D'altra parte, siamo stati eletti proprio per esprimere voti importanti, spesso decisivi. È in ciò la sostanza della nostra funzione, che è altissima, la più alta di quelle che ci è capitato di svolgere nella nostra vita. È una funzione che fa riferimento a responsabilità politiche, ad una grande, gravosa responsabilità politica; essa ci viene riconosciuta in virtù di un voto popolare. I cittadini ci hanno scelto per affermare tutto ciò, perché hanno ritenuto le nostre persone contraddistinte da onestà, trasparenza, dedizione all'interesse collettivo; i cittadini ci hanno scelto perché ci hanno ritenuti degni di rappresentare il nostro paese, non certo l'Italia dei mafiosi, ma l'Italia degli onesti.
Cosa ci chiede, allora, il popolo che rappresentiamo? Non ho dubbio alcuno: in questa vicenda penso di avere il dovere morale, politico ed istituzionale di consentire l'arresto dell'onorevole Dell'Utri. Egli ha un'idea molto precisa della magistratura italiana; lo dice sui giornali, lo scrive nella sua memoria, lo afferma attraverso i mezzi televisivi. Il suo leader ha paragonato i giudici di Palermo alle brigate rosse, il sottocapo a Milosevic. Infatti, in una intervista del 10 aprile 1999, ad una precisa domanda l'onorevole Dell'Utri rispondeva: «Lasciamo perdere, quelli» - i magistrati di Palermo - «sono dei pazzi, sono pazzi come Milosevic».
Io ho un'opinione del tutto diversa dei magistrati di Palermo; penso che la procura di Palermo non sia affatto un manicomio, ma un ufficio giudiziario dove, tra mille difficoltà e pericoli, si amministra la giustizia senza «scappellarsi» davanti a nessuno. È questo, d'altra parte, il compito di un giudice onesto.
La difesa di Dell'Utri, invece, è diversa: i pubblici ministeri sono pazzi. Non solo, nell'autodifesa che cortesemente ha fatto pervenire a tutti noi, l'onorevole Dell'Utri scrive: «Sintomo preoccupante dell'anomalia giudiziaria che mi ha investito risulta, dunque, la condotta del giudice Scaduto, che ha sottratto alla mia legittima conoscenza gli stessi atti che, invece, ha illegittimamente consegnato alla stampa». L'onorevole Dell'Utri, cioè, accusa il giudice di un reato molto preciso e, non contento, a pagina settantasette scrive ancora: «Letta in chiave giuridica, le
L'imputato diventa, insomma, accusatore: i giudici sono pazzi e delinquenti!
Io penso, onorevole Dell'Utri, che i delinquenti siano altrove, qualche volta, per la verità, anche molto vicini a noi. Penso al mafioso Mangano, capo della famiglia mafiosa di Palermo (mi riferisco al processo che qui ci occupa); penso a Virga, capo della mafia di Trapani; penso a Sartori Natale, mafioso dedito allo spaccio internazionale di stupefacenti: sono tutti amici suoi, onorevole Dell'Utri, sono tutti amici con i quali lei ha avuto conversari, incontri, ha avuto a che fare. Di Mangano egli ammette la sua amicizia, anche se è venuto a raccontarci in Giunta che conosceva la persona, ma non la sua mafiosità. Anche di Sartori egli non ha potuto negare la frequentazione: avevamo le fotografie, i pedinamenti e le intercettazioni telefoniche di Sartori (non di Dell'Utri ovviamente). Era francamente difficile ammettere di aver incontrato Sartori ma lei, che ha incontrato Sartori nel mese di ottobre 1998, amministratore delegato di Publitalia, ci viene a raccontare che di Sartori conosceva semplicemente l'attività legale, ma non ne conosceva la mafiosità, che pure era nota a tutti i mafiosi, a tutti gli italiani, a tutti gli inquirenti che si sono occupati di queste vicende.
Ma la tesi di Dell'Utri è che i giudici sono disonesti e che i pubblici ministeri sono pazzi.
Dell'Utri dice che ha fatto tutto questo perché cerca le prove della sua innocenza. Ma lei - onorevole Dell'Utri - cercava le prove della sua innocenza anche il 31 dicembre 1998, quando si è recato a casa di Chiofalo? Anche quel giorno lei cercava le prove a sua discolpa?
Come si fa a credere ad una cosa di questo genere?
Non si tratta di credere o non credere, se sia verosimile oppure no, poiché anche in questo caso abbiamo dati oggettivi, le telefonate che Chiofalo fa a Dell'Utri (la intercettazione viene fatta sull'apparecchio di Chiofalo). Chiofalo parla con Dell'Utri.
Perché non seguire le regole della legge? Dell'Utri non segue mai le regole della legge. Egli non va con un avvocato per il colloquio difensivo, ma ci va da solo e con Chiofalo si incontra almeno quattro volte. Chiofalo stesso riferisce cosa si sono detti i due in questi quattro incontri. Dell'Utri, fin dalla prima volta, ha cercato di convincerlo sull'opportunità di confermare le accuse di Cirfeta; ha sempre cercato di convincere Chiofalo a dire quello che diceva Cirfeta. L'ultima volta, il 31 dicembre, quando i due si appartano nel box, perché sono stati ormai visti dalle forze dell'ordine, dalla polizia giudiziaria, avviene tra i due un colloquio importantissimo; lo riferisce Chiofalo ai giudici il 10 aprile. Chiofalo dice: «Dell'Utri mi ha detto: ormai sei dentro questa vicenda fino al collo, se ne vuoi uscire fuori, io ti farò ricco» - cioè Dell'Utri farà ricco Chiofalo - «e io, i miei amici, quelli che mi vogliono bene, l'onorevole Berlusconi, ti saranno grati in eterno per quello che tu farai per noi».
Questi sono i fatti, questi sono i dati. I dati oggettivi sono gli 80 milioni che abbiamo trovato in casa di Chiofalo, il quale, pur stando in galera, si può permettere una Lancia K fiammante, nuova. Questi sono i dati oggettivi, rispetto ai quali non si possono fare interpretazioni, valutazioni. Sono dati con i quali tutti noi dobbiamo confrontarci. Anzi, tutto sommato, visto che questi dati oggettivi molto spesso fanno riferimento alle intercettazioni telefoniche, darei anche un consiglio all'onorevole Berlusconi. In un fortunatissimo spot che sta circolando sulle reti Mediaset in questo periodo, leggiadre fanciulle, occhieggiando dal monitor, ci dicono e ci illustrano l'Italia che vogliono: un'Italia dove tutti lavorano, dove si possa andare per le strade anche di sera, un'Italia piena di giardini per i nostri figli. Ebbene, mettiamoci anche la moglie di Chiofalo, che dice che l'Italia che vuole è un'Italia dove i mafiosi non siano intercettati, soprattutto poi quando parlano con gli uomini politici.
I giudici sono disonesti e i pubblici ministeri sono pazzi. E come può ritenersi pazzesco credere nella calunnia che egli, in maniera sistematica, continuata e reiterata, sta costruendo per difendersi dal processo che sta subendo a Palermo in relazione all'articolo 416-bis? Noi qui abbiamo la prova provata che non c'è il famoso fumus persecutionis, che non c'è quel preteso accanimento processuale. Scusatemi tanto, i giudici, i magistrati di Palermo avevano a loro disposizione il reato di cui all'articolo 416-bis, per cui Dell'Utri sta subendo un processo a Palermo: perché non hanno chiesto l'arresto di Dell'Utri per quel reato molto più grave? Qui si dimostra che non c'è l'accanimento processuale. Se avessero voluto, lo avrebbero potuto fare, legittimamente,
Vi parlo ora non dell'autorità giudiziaria di Palermo, dove, come dice Dell'Utri, sono tutti pazzi e delinquenti, e nemmeno dell'autorità giudiziaria di Milano, absit iniuria verbis; parlo dell'autorità giudiziaria di Torino. La corte d'appello di Torino, che ha confermato una condanna dell'onorevole Dell'Utri per una serie di evasioni fiscali, ha levato all'onorevole Dell'Utri anche le attenuanti generiche, per il suo comportamento, e scrive: «Il contenuto degli atti processuali utilizzabili ha permesso di accertare che il predetto contesto illecito rappresentò una precisa strategia aziendale della Publitalia, posta in essere al fine di realizzare ritorni finanziari in nero, che vennero utilizzati, tra l'altro, per retribuire in modo riservato il rappresentante legale (...) della stessa società: Dell'Utri Marcello. È stato inoltre possibile individuare una serie consistente di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti a carico del Dell'Utri, che permettono di sostenere con sicurezza il suo coinvolgimento diretto e consapevole nel fenomeno illecito delle sovrafatturazioni per cui si procede nel suo complesso (...)». «Ora, la corte ritiene che l'appello della pubblica accusa debba trovare accoglimento per quanto concerne l'esclusione delle attenuanti generiche a Dell'Utri. In effetti, la presente vicenda processuale fu contrassegnata da un'intensa e costante attività, volta a rendere più difficoltose e problematiche le investigazioni in corso. In particolare, dopo l'inizio delle indagini, vennero poste in essere azioni di inquinamento sia con il recare assistenza ad Arnaboldi Giovanni ed a Cavaliere Attilio nell'intento di assicurarsi il loro silenzio, e sia con l'attivazione di contatti con alcuni testi e coimputati, sempre allo scopo di ostacolare il risultato delle indagini stesse (...). L'esistenza, la particolare intensità e la reiterazione della predetta attività di inquinamento probatorio, nonché l'attribuibilità della stessa al Dell'Utri rappresentano connotati di eccezionale gravità, che giustificano ampiamente l'esclusione delle attenuanti generiche concesse in primo grado al predetto imputato».
Questo dice la corte d'appello di Torino, e noi qui, in Parlamento, in quest'aula, su questo processo, abbiamo dato una mano all'onorevole Dell'Utri, perché in relazione a questa sentenza, caro Giovanni Meloni, in Commissione giustizia ed in aula, abbiamo approvato la normativa sul patteggiamento in Cassazione; te lo ricordi Giovanni? Quella è una legge che abbiamo fatto ad personam per questo processo; vi sarà quindi una sentenza definitiva con la richiesta di patteggiamento in Corte di cassazione da parte dell'onorevole Dell'Utri. Questa è la realtà: torniamo allora ai principi. Noi abbiamo sempre detto che non si fanno i processi ai processi, abbiamo sempre detto che dobbiamo valutare qualcosa di diverso, di ulteriore, di superiore, se vogliamo: noi dobbiamo valutare se verso Dell'Utri i giudici agiscano con accanimento processuale. Si dice pure che dobbiamo tutelare l'integrità del plenum; qui consentitemi una battuta: certo che, rispetto all'integrità del plenum, viene da pensare alla frequenza, all'assiduità con le quali l'onorevole Dell'Utri frequenta questa Camera e questi banchi! Se devo pensare ai contributi immortali che egli ha sistematicamente dato in questi tre anni, al numero delle volte che è intervenuto, che ha discettato, che ha «squittito» per risolvere i problemi degli italiani, bene, se penso a tutto questo, mi viene qualche dubbio, anche formidabile, sulla ragione per la quale è stato eletto ed è stato
Passiamo al fumus, all'accanimento processuale: quest'ultimo, nei nostri contraddittori, viene sostenuto sulla base di una causidica ricerca di eccezioni procedurali. I discorsi sono stati ampi ed approfonditi. Peraltro, le eccezioni sono venute da operatori giuridici, da giuristi di provata fama, rispetto ai quali io mi tolgo il cappello. Si tratta però sempre di questioni o già decise dal giudice (che quindi ha una legittimazione forse anche superiore a quella dei giuristi presenti in quest'aula), o che comunque hanno connotazioni tali da non apparire mai come clamorose violazioni della legge processuale. Si tratta di eccezioni sulle quali potremmo stare qui a discutere per mesi, per anni, per secoli; d'altra parte, il diritto e la legge processuale sono belli proprio per questo!
Colleghi, considerate che il 40 per cento del contenzioso in materia civile viene determinato da eccezioni procedurali e da eccezioni processuali (dico questo per farvi il quadro del problema e del sistema che abbiamo).
Si dice che non vi è nulla sulla competenza territoriale, sulla competenza funzionale; ci si chiede perché è il GIP e non il tribunale e perché la sede è quella di Palermo e non quella di Trapani! La sede è quella di Palermo e non quella di Trapani perché è lo stesso giudice di quest'ultima città che riceve la denuncia e la invia a Palermo e perché vi è lo stesso tribunale della libertà che, ritenendosi competente per Virga e Buffa, gli amici di Dell'Utri e coimputati nell'estorsione, ergo, reputa che anche per Dell'Utri vi sia la stessa competenza territoriale!
Roberto Maroni diceva che è tutto opinabile. Io dico invece che è tutto discutibile; in ogni caso, non vi è nulla che risulti essere clamorosamente in violazione delle norme del nostro codice e nulla che possa giustificare un ragionamento che pervenga poi a sostenere, legittimamente e fondatamente, che contro Dell'Utri esista una macchinazione politica.
Perché allora dobbiamo fermare il corso della giustizia?
L'onorevole Marcello Dell'Utri è stato condannato a Torino per reati analoghi a quelli che poi ha commesso a Palermo e a Trapani; è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa, di cui all'articolo 416-bis a Palermo. Penso e presumo che sia plurinquisito anche a Milano. Ha mentito alla Giunta, cioè ai rappresentanti del popolo italiano, quando è venuto a dire che non conosceva Sartori e che Chiofalo lo aveva appena intravisto.
È notizia di oggi che l'uomo politico più potente del mondo, Bill Clinton, è di nuovo sotto processo perché ha mentito al Congresso. Noi, invece, nel nostro paese ci teniamo i bugiardi in questo Parlamento anche quando, pur non avendo alcun dovere di venirci a dire alcunché, pretendono di venirci a dire alcunché e ciò è clamorosamente infondato e falso! Noi dobbiamo sopportare i bugiardi, mentre in altre democrazie occidentali questi vengono cacciati dalle Assemblee elettive! Noi li dobbiamo sopportare e dovremmo anche dire che questa persona subisce una persecuzione politica! No, io voterò perché sia rispettato l'articolo 3 della nostra Costituzione, che è il pilastro di ogni democrazia, secondo il quale siamo tutti uguali davanti alla legge!
La giustizia deve fare il suo corso; per questo voterò contro la relazione Berselli e invito l'Assemblea a fare altrettanto (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo - Molte congratulazioni).
Preciso l'astensione da me espressa in Giunta - che riconfermo in questa sede - nasce da una valutazione della vicenda al nostro esame che prescinde da preordinate posizioni di schieramento, come è corretto che accada ogni qualvolta sia in gioco la libertà di una persona, prima che di un parlamentare!
L'approfondimento degli atti ha evidenziato, per un verso, il perdurare di rapporti di Dell'Utri con personaggi che pare abbiano una caratura criminale non trascurabile; rapporti che non possono non considerarsi inquietanti, anche per la posizione economica, sociale e politica del collega Dell'Utri.
Per un altro verso, però, l'approfondimento degli atti evidenzia, a mio parere, la mancanza di un adeguato supporto probatorio che possa consentire di autorizzare la richiesta di arresto, anche per l'inutilizzabilità delle intercettazioni indirette a carico del Dell'Utri, per le quali manca la necessaria autorizzazione da parte della Camera.
Colleghi, è bene parlarci con grande chiarezza ed evitare infingimenti: lo dico anche all'onorevole Bonito, che ho ascoltato poco fa, perché, quando è arrivata la richiesta della procura di Palermo di autorizzazione all'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche indirette del Dell'Utri, i commissari popolari nella Giunta avevano chiesto che di tale richiesta si discutesse insieme all'altra relativa all'arresto dello stesso, essendo le due vicende molto chiaramente tra di loro raccordate e, direi, perfino compenetrate.
La Giunta ha ritenuto di disattendere tale proposta e, se tale voto mi riesce di facile comprensione per quanto riguarda il versante dell'opposizione alla richiesta di arresto, debbo confessarvi che la comprensione mi riesce estremamente difficile per la parte che aveva espresso un orientamento favorevole all'arresto. Infatti, è chiaro che la mancata discussione congiunta delle due vicende ha tolto - è questo il passaggio fondamentale sul quale invito a riflettere - dal processo l'elemento probatorio più forte, su cui avremmo potuto e dovuto discutere, ma certamente, senza le intercettazioni, la richiesta di arresto a carico di Dell'Utri è stata privata dell'elemento a carico più pregnante.
Questo atteggiamento è stato reso possibile dal voto favorevole dei gruppi che poi, con tanta veemenza, si sono dichiarati a favore dell'arresto. Torno a dire che, francamente, tale passaggio non mi è chiaro: non capisco questo comportamento, così come non capisco le ragioni per le quali la procura della Repubblica di Palermo, contrariamente a quanto ha fatto recentemente in un altro caso similare, cioè la vicenda Giudice, non abbia ritenuto di chiedere l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni contestualmente alla richiesta d'arresto.
Conseguenza di ciò, ovviamente, è che le intercettazioni non possono essere assolutamente usate e che di esse non si può tener conto in alcun modo, almeno per ciò che riguarda la richiesta di arresto, così come, d'altra parte, lo stesso GIP di Palermo aveva evidenziato nella sua ordinanza, sottolineando tale passaggio, salvo poi argomentare, però, la decisione sulla richiesta di arresto di Dell'Utri anche con riferimento alle intercettazioni, al cui uso non veniva chiesta - e certamente non è stata data - l'autorizzazione.
A mio avviso, l'atteggiamento della magistratura di Palermo appare non condivisibile e credo che la Camera non possa seguire il GIP sul punto ma debba rigorosamente tenere fuori dalla valutazione sulla vicenda le trascrizioni delle intercettazioni.
Discorso analogo va fatto per i tabulati telefonici, per i quali è pure necessaria l'autorizzazione (così come è stato ritenuto da questa Camera in altri casi analoghi), autorizzazione anche in questo caso chiesta alla Camera solo in un secondo momento. In mancanza della possibilità di prendere in esame e utilizzare questi elementi, il quadro probatorio a carico di Dell'Utri in ordine al suo
Alla luce di queste considerazioni, credo che già per il cittadino Dell'Utri sarebbe discutibile accedere alla richiesta d'arresto, quindi certamente non si può consentire l'arresto del parlamentare Dell'Utri. Né possono soccorrere ai fini della richiesta formulata dalla magistratura palermitana gli atti successivamente inviati. Vi sono stati due gruppi di atti: un primo gruppo è pervenuto la settimana scorsa e il suo elemento più suggestivo (per così dire) è quello richiamato poc'anzi dal collega che mi ha preceduto, quello relativo cioè al rinvenimento della somma di 80 milioni nel corso della perquisizione a casa del collaborante Chiofalo. Rispetto a questo elemento, però, è corretto aggiungere che prima di tale rinvenimento nella casa del collaborante erano state fatte altre due perquisizioni, che non avevano dato alcun risultato. Inoltre, l'incontro tra Dell'Utri e Chiofalo è avvenuto il 31 dicembre 1998, cioè quasi tre mesi prima del rinvenimento di questa somma. Né, a mio avviso, a conclusioni diverse può portare il verbale di interrogatorio che ci è stato inviato ieri dalla procura della Repubblica di Palermo, riferito all'interrogatorio eseguito sabato scorso. Non dobbiamo dimenticare che esso proviene non dal GIP - da cui promana la richiesta di arresto la cui esecuzione è condizionata all'autorizzazione della Camera - ma dal pubblico ministero, che è una delle parti in causa. A mio avviso, più correttamente, tale atto avrebbe dovuto essere indirizzato al GIP perché lo valutasse e, se del caso, lo facesse oggetto di un suo distinto e successivo provvedimento.
Né possiamo dimenticare che il Chiofalo rimane pur sempre un imputato in procedimento connesso e, ai sensi dell'articolo 192 del codice di procedura penale, si dovrebbero trovare necessariamente dei riscontri affinché possa essere preso in considerazione.
Voglio dire di più. Ammesso e non concesso che tutto quello che risulta dall'ultimo interrogatorio del Chiofalo sia vero e che, quindi, vi sia il coinvolgimento di Marcello Dell'Utri in questo mendacio e che sia altresì provato il comportamento di Dell'Utri, nel senso di avere invitato il pentito Chiofalo a mentire per aiutare la sua posizione, da tutto ciò, comunque, non deriverebbe il coinvolgimento di Dell'Utri nel reato di calunnia; reato che si basa su elementi diversi e che è collegato a ragioni probatorie assolutamente diverse, che non vengono intaccate dall'interrogatorio cui è stato sottoposto il Chiofalo e dalle sue risultanze.
Certo, rimane la nebulosità di un quadro probatorio che è quello che è ed in presenza del quale io ed i componenti del mio gruppo facenti parte della Giunta ci siamo espressi astenendoci. Ciò proprio per i dati che emergono dagli atti processuali e per l'allarme destato in noi da qualche emergenza processuale.
Tutto ciò, però, a mio avviso, non consente che si possa andare oltre, autorizzando un arresto che è contraddetto anche da un'altra circostanza: non dobbiamo dimenticare, difatti, che la calunnia è aggravata in quanto refluisce su un procedimento - quello a carico di Dell'Utri - in corso di dibattimento presso il tribunale di Palermo; talché, la valutazione sulla possibilità di inquinamento delle prove e, quindi, sulla pericolosità del
Per quanto riguarda l'ipotesi di reato di tentata estorsione, non voglio aggiungere altro a quanto in maniera esauriente e brillante è stato poc'anzi affermato dall'onorevole Abbate: basti considerare che discutiamo di un fatto accaduto nove anni fa, rispetto al quale, per attingere una qualsiasi ipotesi di inquinamento probatorio, occorrerebbe ricorrere al comportamento di un terzo, tale Chiovella, e non al comportamento di Dell'Utri; per cui occorrerebbe configurare una possibilità di inquinamento da parte di terzi che mi sembra, francamente, singolare e rispetto alla quale non si può non manifestare perplessità.
In tale situazione, se non è possibile assentire alla richiesta di arresto, non è neppure, a nostro avviso, possibile votare contro, atteso che dal processo emerge pur sempre un quadro di rapporti - tuttora perduranti - intrattenuti da Dell'Utri con personaggi la cui caratura mafiosa sembra essere certa; un quadro di rapporti che noi consideriamo allarmante.
Il sofferto e tormentato bilanciamento di queste risultanze processuali mi ha condotto in sede di Giunta e mi condurrà in quest'aula ad astenermi.
C'è una cosa che come parlamentare non potrò mai accettare ed è la trasformazione del nostro Parlamento in un tribunale politico. Nessuno di noi dovrebbe accettare la nostra trasformazione, in pratica, in un'aula giudiziaria. Noi non siamo componenti di una commissione investigativa, questa è un'etichetta che non appartiene ad alcun parlamento nelle nazioni democratiche. Noi abbiamo un'altra responsabilità, abbiamo il dovere di garantire ai cittadini ciò che essi hanno il diritto di attendersi da noi, principalmente, in quest'aula e in queste ore: libertà e democrazia.
Se ci chiediamo se nel nostro ordinamento giudiziario la richiesta di arresto sia di per sé una condanna, la risposta non può essere che «no»: tutti noi, però, sappiamo che per un politico la richiesta di arresto è molto più che una condanna. La pretesa di veder legittimare dal Parlamento la negazione della libertà personale con la reclusione in carcere di uno dei suoi componenti per accuse a dir poco fumose, come quella di destabilizzazione dell'intero sistema normativo in materia di collaboratori di giustizia, corre il rischio di prestarsi troppo facilmente ad essere interpretata come accanimento persecutorio. C'è da chiedersi - e mi auguro che ve lo stiate chiedendo in queste ore - se in assenza di una sentenza possano bastare le dichiarazioni di due delinquenti mafiosi, oggi pentiti, per stravolgere la vita di un uomo, per cambiare le sorti di un partito, per colpire al cuore la politica e la fiducia accordata da milioni di elettori. Onorevoli colleghe e colleghi, in democrazia c'è un rischio troppo grosso, sia per chi è in maggioranza sia per chi è in opposizione: noi non possiamo legittimare con il nostro voto alcuna «pulizia etnica» di matrice politica; non ci sono e non
A tutti coloro che non conoscono personalmente l'onorevole Marcello Dell'Utri e, quindi, non possono conoscere l'entità dell'essere umano, voglio ricordare che la vita di un uomo non è fatta di mattoni, di elementi, cioè, a vista: essa è piuttosto fatta dalla malta che lega quei mattoni, dal legante che vi è in mezzo e che quindi non si vede. Questa sostanza può essere bianca o nera, e forse grigia, come quella di tutti i presenti oggi in quest'aula. La vita di noi politici è quella di chi passa sempre con il giallo: vi posso assicurare, perché conosco l'onorevole Dell'Utri, che lui non è mai passato con il rosso.
È. con questa sicurezza e con questa autonomia che annuncio che esprimerò un voto negativo nei confronti dell'accoglimento della richiesta di autorizzazione all'arresto avanzata dalla magistratura inquirente (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
Sono lieto di intervenire perché ho ascoltato poc'anzi l'intervento dell'onorevole Bonito il quale ha detto di sentire il dovere politico, morale e giuridico di chiedere l'arresto dell'onorevole Dell'Utri. Signor Presidente, sono in questo Parlamento da tanti anni e sedici anni fa mi trovai a dover esprimere un voto sulla richiesta di arresto dell'onorevole Tony Negri, un personaggio non certo amico della destra italiana, al quale venivano contestati reati gravissimi. Nemmeno in quel caso sentii il dovere politico, morale e giuridico di autorizzare l'arresto dell'onorevole Negri.
L'onorevole Bonito si è spinto oltre dicendo: «Dell'Utri, è stato condannato ... per reati analoghi a quelli che poi ha commesso a Palermo ...». L'onorevole Bonito, in pratica, ha già emesso una sentenza prima che si siano conclusi i processi di Palermo. Ho già avuto modo di dirgli in quest'aula in un'altra circostanza, intervenendo dopo di lui, che spero che gli elettori del suo collegio lo rieleggano alle prossime elezioni perché sono terrorizzato dal fatto che un uomo così possa tornare a svolgere l'attività di magistrato (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia). Quanto affermato dall'onorevole Bonito in quest'aula è di enorme gravità ed è stato detto con una cattiveria ed un astio tali da far pensare che vi fosse qualcosa di personale nei confronti dell'onorevole Dell'Utri.
Ragionando con la logica di un cittadino che è oggi anche parlamentare, leggo le conclusioni riportate nella domanda di autorizzazione all'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare trasmessa dal Procuratore della Repubblica presso la Corte di appello, dottor Caselli, nei confronti
Per quanto riguarda il capo «A» della citata domanda di autorizzazione, vi è scritto: «Nonostante la latitanza del Virga cui Dell'Utri ebbe a rivolgersi per risolvere la questione, ritiene, di conseguenza, questo giudice che si possa escludere, allo stato, un concreto pericolo di reiterazione del reato». L'accusa è nota: si esclude il pericolo di reiterazione, ma si chiede, comunque, la custodia cautelare.
Per quanto riguarda il capo di imputazione «C» (accusa di attività calunniatoria), vi è scritto: «Deve, inoltre, considerarsi che il pericolo di reiterazione del reato risulta grave in ragione anche dello status istituzionale che fornisce a Dell'Utri una capacità di manovra certamente superiore a quella del comune cittadino e che nell'evidenziato pericolo risulta particolarmente concreto in ragione delle caratteristiche negative della sua personalità, quali emergono dai comportamenti esaminati». In conclusione, può reiterare il reato e quindi va arrestato; non può reiterare il reato, ma va arrestato lo stesso.
I presunti reati sono riconducibili agli anni 1990-1993; per il capo A, lo stesso giudice scrive che non vi è possibilità di reiterazione del reato, cosa che rileva invece relativamente al capo C, ma le conclusioni cui perviene lo stesso giudice sono identiche: la richiesta di custodia cautelare. Dell'Utri deve essere comunque arrestato! Può bastare tutto ciò, mi chiedo e spero che se lo chiedano anche i colleghi parlamentari, per parlare di fumus persecutionis? Per sviluppare il mio ragionamento non mi appellerò a questo motivo, bensì ai motivi che stanno alla base della richiesta fatta dai giudici.
Tutto parte (e purtroppo arriva anche, perché non sono citati riscontri obiettivi) dalle dichiarazioni di alcuni pentiti e poiché trattasi di soggetti particolari, ci pare facilmente acclarabile che i giudici di Palermo non hanno compiuto approfondimenti per verificare i fatti contestati.
A questo punto entra in gioco il ruolo dei collaboratori di giustizia e la stessa legge sul pentitismo. Il legislatore ha ritenuto di dotare i giudici di norme a favore di coloro che si pentono e collaborano con la giustizia per aiutarli a mettere in crisi soprattutto la criminalità organizzata. Si tratta di una norma, quella di cui sto parlando, che oggettivamente rappresenta un vulnus rispetto alla logica e al raziocinio. È una norma che è stata richiesta al Parlamento da parte di coloro che sono preposti ad individuare, e pertanto a condannare, i colpevoli.
Nella stessa richiesta sicuramente vi è insita, anche se surrettiziamente, una ammissione di impotenza da parte di alcuni organi dello Stato. Ma noi non vogliamo porre in discussione una legge varata dal Parlamento bensì l'uso della stessa e conseguentemente dei pentiti. Il pentito non può essere manovrato, diciamo così, ad uso e consumo dell'accusa perché trattasi di soggetto abituato a delinquere e quindi per proprio tornaconto può inventarsi qualsiasi teorema. Conseguentemente, più che in altri casi, le dichiarazioni dei pentiti devono passare al vaglio di prove certe.
Anche l'elevato numero dei pentiti ci autorizza a chiedere un maggiore approfondimento e ci induce a riflettere. Fin quando i pentiti erano trenta, quaranta o cinquanta, essi potevano essere anche credibili, ma oggi si parla di alcune migliaia di pentiti! Se prima di esprimere un giudizio sull'arresto o meno di un collega noi stessi abbiamo il dovere di riflettere, figuriamoci se non debbano farlo i parlamentari che in maniera superficiale, senza cioè approfondimenti, chiedono l'arresto! Penso che tutti possiamo concordare sulla necessità di un maggiore controllo prima di far diventare questi pentiti quasi degli eroi.
Sono molti, del resto, i casi ormai accertati di pentiti che credendo di mantenere l'impunità hanno continuato a delinquere. Contorno docet!
Insomma chi sono i pentiti? Me lo sono chiesto e spero che i colleghi deputati facciano altrettanto prima di esprimere
Il collaboratore di giustizia Mutolo si faceva vanto di come venivano irrisi i carabinieri, le forze di pubblica sicurezza e i magistrati. Lo stesso Mutolo, unitamente all'altro collaboratore di giustizia Messina, dichiararono di aver collaborato da latitanti con il SISDE e con i servizi segreti. Si tratta di dichiarazioni inquietanti che non prendiamo per vere senza prove. Ma ciò ci induce alla riflessione e alla cautela. La mafia non può essere debellata in un contesto torbido e perverso nel quale i servizi segreti dello Stato sono uno strumento per usare i pentiti. Dobbiamo credere a soggetti di questa natura più che a un collega deputato? Dell'Utri non è soltanto un collega deputato, ma una persona che ha fatto carriera nel mondo del lavoro e che si trova di fronte pentiti che sono criminali. Il magistrato deve acclarare parola per parola: non può essere superficiale nel richiedere l'arresto.
La mafia non rappresenta solo un problema giudiziario, ma anche un vero e proprio nodo politico perché essa, sin dal suo sorgere, si è mostrata strettamente ed inevitabilmente connessa alle istituzioni. Ecco perché la mafia e i soggetti ad essa legati - e i pentiti lo sono - possono essere usati anche per incriminare una parte politica avversa.
Non dobbiamo dimenticare che la mafia è, per alcuni versi, ancora l'interfaccia tra società moderna e feudalismo delle campagne, tra capitalismo asfittico e rendita parassitaria agricola, tra Stato unitario e consuetudini locali, tra medioevo non ancora morto e società italiana moderna non nata.
In questo senso capire la mafia significa comprendere la struttura sottile del potere italiano riannodando i fili della rivoluzione nazionale e popolare italiana, del risorgimento elitario che stenta a divenire dignità di popolo moderno. Molti pentiti sono e restano soggetti attivi di questo mondo che è la mafia.
Qual è l'insegnamento che possiamo trarre da quanto è venuto alla luce e che può aiutarci ad esprimere il voto nei confronti della richiesta oggetto del nostro dibattito? Durante alcune audizioni di uomini delle istituzioni, si è fatto notare come la vecchia strategia di lavoro dello Stato contro la mafia si basava su un espediente di bassa polizia: il confidente, come se Cosa nostra fosse una semplice banda di ladri d'auto o un club cultural-politico di destra o di sinistra! Onorevole Bonito, si vada a vedere queste cose prima di dire quanto ha sostenuto in quest'aula.
L'incapacità mostrata, soprattutto in passato, da gran parte della classe politica, di capire la struttura politico-culturale di Cosa nostra, la sua particolarissima formazione specifica di associazione a delinquere, ha spesso portato a sterili dibattiti sull'affidabilità o meno dei collaboratori di giustizia. Questi ultimi, però, la terminologia, lo stesso uso della sintassi, di particolari forme stilistiche, delle metafore, l'uso del dire e non dire, affinatosi in tanti anni di appartenenza a Cosa nostra, sono di per se stessi importantissimi indizi sull'attività e la politica della mafia.
La mentalità che ha visto i pentiti come semplici confidenti, la lotta alla mafia condotta male, con strumenti di bassa politica, ha inficiato anche gran parte dei servizi segreti.
Concludendo, vengo al punto. I confidenti, non entravano di solito - anzi, posso dire mai - nei processi, ma i pentiti sì. Ecco perché non ci sembra che i giudici di Palermo abbiano effettuato quell'approfondimento indispensabile per verificare se i fatti contestati al collega Dell'Utri siano potuti andare in maniera diversa.
Tra le accuse che ho sentito anche da parte del collega Bonito c'è quella che l'onorevole Dell'Utri ha preso contatti.
Colleghi deputati, noi ci mettiamo negli scomodissimi panni di una persona normale, non di un mafioso, che viene accusato di questi gravi reati e che ha perso la fiducia - a torto o a ragione - nella magistratura: altro che contatti prenderebbe! Chiunque di noi sarebbe tentato di prendere questi contatti.
Noi abbiamo terrore di quei magistrati che dicono di lottare contro la criminalità organizzata. Un magistrato non deve lottare contro niente; deve solo applicare la legge.
È per questi motivi che voterò contro la richiesta di arresto del collega Dell'Utri (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Cercherò di attenermi ai fatti perché credo sia questo ciò che dobbiamo fare, ciò che è giusto, ma anche perché sono convinto che i fatti e le cose dette in questa sede (mi scuso se non farò riferimento agli appunti che avevo preso, ma voglio provare a rispondere a qualche collega) esigono una qualche risposta. Sarebbe gravissimo che l'Assemblea si trasformasse in un tribunale politico, sarebbe un fatto inaccettabile e credo che nessuno in questa sede pensi che si possa svolgere quella funzione che la collega Matranga, in qualche modo, ha presentato quasi come una possibilità. No, collega Matranga, su questo piano non c'è possibilità neppure di discutere, perché credo
La collega Matranga ha sollevato però una questione che invece penso sia legittima e su cui vale la pena di riflettere un attimo. La collega ha posto il problema del principio di libertà e, in qualche modo, ha richiamato anche le nostre coscienze a riflettere su un fatto così delicato.
Quello di libertà è un principio al quale dobbiamo attenerci continuamente e credo che esso esiga da parte nostra anche grande responsabilità. Libertà e responsabilità vanno avanti di pari passo, perché penso che il principio di libertà debba fare i conti anche con un altro principio che ritengo indispensabile, quello che non ci può essere impunità qualora si riscontri che sono stati commessi certi reati. Stiamo cercando di discutere di fatti e accadimenti; non so se riusciremo a farlo nel modo migliore e se prenderemo, alla fine, la decisione migliore. So, però, che con grande attenzione e in piena coscienza tutti in qualche modo daremo il voto che riteniamo più giusto.
A livello di coscienza, mi dispiace ma non risponderò al collega Sgarbi per le sei volte che mi ha citato; tra l'altro, mi sembrano troppe. Voglio dire al collega Sgarbi, però, a proposito di coscienza, che essa riguarda tutti. Personalmente, mi riguarda al punto tale che ancora oggi continuo a sostenere di essere un pacifista, a volte sono anche favorevole alla non violenza in tutte le sue espressioni, anche dell'attività che svolgiamo. Sicuramente, lo ripeto, sono un pacifista; partecipo alle manifestazioni contro la guerra e, proprio per ragioni di coscienza, quando vedo civili morire a causa di missili provo orrore, sto male, così come quando bisogna decidere sulla possibilità o meno di sottoporre un collega alla custodia cautelare in carcere. La mia, infatti, è la coscienza di un garantista, secondo la quale, però, il garantismo esige l'assunzione di responsabilità e quindi, di fronte a determinati fatti, la necessità di saper scegliere.
La decisione che assumerò su tale questione nasce da una coscienza garantista che, ad esempio, mi ha portato - lo dico ai colleghi radicali - ad accogliere l'invito dell'associazione «Nessuno tocchi Caino» e quindi ad essere contrario alla pena di morte, così come sono contrario alla punibilità di alcuni reati, perché credo che coscienza e libertà debbano procedere di pari passo con la responsabilità.
Proprio perché dobbiamo discutere in coscienza, intendo entrare nel merito della questione. Ho apprezzato l'intervento del collega Matteoli che ha compiuto lo sforzo di definire il fenomeno mafioso; tale sforzo, però, esige anche la consapevolezza di dover riportare la questione del collega Dell'Utri nel contesto nel quale si presenta, un contesto in cui le frequentazioni del collega Dell'Utri con la mafia sono continue, ripetute e non negate dallo stesso collega.
La questione riguarda la procura di Palermo, alla quale non possiamo rivolgere accuse ingiuste. Si tratta di una procura nella quale, per il modo in cui si è operato, si sono già avuti morti e alcune persone sono state al centro di attacchi inusitati; essa ha fatto compiere un passo in avanti nella lotta alla mafia. Tutti abbiamo guardato con soddisfazione al fatto che, attraverso il lavoro di tale procura, di una serie di episodi criminosi siano stati individuati i responsabili e che siano stati recati danni notevoli al fenomeno mafioso.
Tale procura sta cercando di dare un contributo alla democrazia del nostro paese. Discutiamo di una procura, quindi, che può anche sbagliare ed esagerare ma che, nei suoi comportamenti, sicuramente non può essere tacciata di lavorare per un fine politico, a favore di uno schieramento o dell'altro; un'affermazione di questo tipo sarebbe non soltanto ingiusta ma anche gravissima.
Quali sono i fatti? Si è fatto riferimento al primo capo di imputazione, relativo alla tentata estorsione. Io mi riferisco al capo C, concernente il concorso nel reato di calunnia. In sé la
Io dico di no. Vorrei anche dire all'onorevole Matranga che siamo di fronte ad una accusa di altro tipo. Infatti, in concorso con altri (che per lo stesso reato sono in carcere) si cerca di inquinare un processo molto importante che riguarda i pentiti e il loro modo di agire. Si cerca di mettere in discussione il lavoro che si sta facendo nei processi di mafia sui quali c'è bisogno di fare chiarezza nel nostro paese. Il collega Matteoli ha detto che si fa un uso improprio dei pentiti. Non sono convinto di ciò, ma sono convinto che il rapporto con i pentiti sia difficile, richieda attenzione e che si tratti di un terreno paludoso. È altrettanto vero, però, che senza la collaborazione dei pentiti non si sarebbero potuti tenere i processi alla mafia. In questo caso, noi ci troviamo di fronte al fatto che si cerca di inquinare, con una continua attività del collega Dell'Utri - e me ne spiace -, il processo.
Il collega Dell'Utri insegna a me, e credo ai colleghi, che il rapporto con gli altri testi, in questo caso con i pentiti, va gestito attraverso i propri avvocati.
Il collega Dell'Utri non può dire che doveva valutare se i pentiti fossero attendibili o meno. Come è possibile che egli si assuma l'onere e il compito di definire l'attendibilità dei pentiti? Aggiungo infine che l'attività inquinatoria non la si è perpetrata sette anni fa ma, ripetutamente, fino ai giorni nostri.
Quando, in seno alla Giunta per le autorizzazioni a procedere, il collega Dell'Utri ha fatto la propria dichiarazione a discarico ha negato alcune cose, ha detto cose inesatte e ha mostrato uno stile che non dovrebbe essere quello di un parlamentare in quella sede perché credo che si debba rispondere agli atti parlamentari con l'oggettività dei fatti. Invece le dichiarazioni da lui rese in Giunta non hanno successivamente trovato riscontro nei fatti.
Ma questo mi interessa relativamente. Mi interessa invece che il collega Dell'Utri ha ripetutamente continuato a inquinare le prove.
Egli ha sostenuto che, secondo la procura, i pentiti dovrebbero distinguersi in buoni e cattivi, dal momento che ha definito buoni quelli che ha chiamato come testi a proprio favore e gli altri cattivi.
Gli ultimi atti di questi giorni dimostrano però che proprio i cosiddetti pentiti buoni, quelli che dovevano provare l'estraneità del collega Dell'Utri in quei fatti gravi, sono invece quelli che lo smentiscono. A chi dobbiamo credere?
Cosa dice Chiofalo? Vorrei qui rammentare tre circostanze. La prima è quella che si riferisce al continuo rapporto tra il Chiofalo e l'onorevole Dell'Utri culminata, il 16 dicembre, in una telefonata nel corso della quale si è organizzato il famoso incontro. Il Chiofalo dice che in quell'occasione, quando si organizzò l'incontro, il Dell'Utri non aveva accennato in alcun modo alla possibilità di avere il suo avvocato. La seconda circostanza è la telefonata del 23 dicembre e, infine, vi è l'incontro del 31 dicembre. Cosa rappresenta la data del 31 dicembre? È una data che deve far riflettere perché è molto vicina e non si riferisce a sette anni fa: si tiene questo incontro con il Chiofalo. Perché avviene incontro? Per cosa avviene questo incontro, se non per organizzare in qualche modo questa attività criminosa che viene portata avanti? E il Chiofalo ci dice che in questi anni ha fatto da tramite - mi pare che usi il termine «ambasciatore» - fra il Dell'Utri e il Cirfeta; il Chiofalo dice che, quando era in carcere, doveva compiere attività quasi psicologica per fare in modo che il Cirfeta si comportasse in un certo modo. E ci sono decine e decine di telefonate fra il Chiofalo e Dell'Utri.
A me non interessano gli 80 milioni o la borsa, ma vale la pena di riflettere su un'affermazione riportata nelle dichiarazioni rese dal Chiofalo; mi riferisco all'espressione: «devi sostenere le cose che dice il Cirfeta». Non aggiungo le altre frasi che il Chiofalo riporta, ma mi chiedo, quando un parlamentare dice ad altri: «devi sostenere quelle dichiarazioni», a quale fine lo faccia. Ecco perché l'attività del Dell'Utri è di un certo tipo e si è svolta fino ai nostri giorni. Ecco perché credo che, in coscienza, si possa essere d'accordo in questa sede con la richiesta della procura di Palermo e quindi rispondere ad essa affermativamente.
L'unico oggetto della decisione di questa Camera è costituito dalla valutazione sulla esistenza dei presupposti per l'esecuzione dell'arresto, chiesto dalla magistratura palermitana, nei confronti dell'onorevole Dell'Utri. In questo ambito, la Camera si trova a formulare, come in precedenti occasioni, un giudizio di prevalenza tra le esigenze cautelari rappresentate dal GIP e l'interesse a tutelare il plenum dell'Assemblea elettiva, che nella interezza della sua composizione assicura la completa rappresentanza popolare.
L'aspetto essenziale della nostra decisione è costituito dall'accertamento del fumus persecutionis che sia eventualmente ravvisabile nel provvedimento giudiziario. La dottrina giuridica ha chiarito che il fumus è costituito dalla semplice possibilità e quindi dal semplice sospetto che l'autorità giudiziaria abbia agito in modo anche soltanto anomalo e irregolare nei confronti del parlamentare. Nel caso dell'onorevole Dell'Utri, è facile riscontrare diverse anomalie, non poche irregolarità processuali (alcune delle quali di notevole rilievo) e l'assenza dei necessari approfondimenti nella valutazione dei diversi atti acquisiti. Tutti questi elementi collegati tra loro fanno ritenere l'esistenza del fumus nel senso ora precisato: quindi, non può essere accolta la richiesta del giudice delle indagini preliminari di eseguire l'arresto dell'onorevole Dell'Utri.
Occorre innanzitutto tenere ben presente che le imputazioni per le quali è stata richiesta l'esecuzione dell'arresto sono esclusivamente quelle di tentata estorsione aggravata e calunnia aggravata;
Dalla relazione della Giunta emerge con chiarezza che l'onorevole Dell'Utri è del tutto estraneo rispetto al rapporto intercorso tra la società Pallacanestro Trapani e la società Birra Messina, quindi che egli non era interessato, né direttamente né indirettamente, al recupero dell'importo derivante dalle relazioni intercorse tra le due società. Di conseguenza, non può negarsi l'anomala condotta del GIP, che non ha ritenuto di dover approfondire con idonei strumenti tecnici le risultanze processuali: se lo avesse fatto, sarebbe emerso non solo che il Garraffa è poco affidabile, sia per i suoi precedenti, sia per il suo astio nei confronti dell'onorevole Dell'Utri, ma anche che la fonte di informazione dei testimoni era costituita soltanto dallo stesso Garraffa.
L'imputazione di calunnia aggravata deriva poi dalla tesi accusatoria secondo cui Dell'Utri, a fronte delle dichiarazioni rese a suo carico da alcuni pentiti, avrebbe pagato altri pentiti affinché dichiarassero che il gruppo di pentiti che lo aveva accusato si era in realtà messo d'accordo per calunniarlo. Ora, tutto ciò richiama alla nostra attenzione un problema complesso e delicato, quello cioè della gestione dei pentiti, sul quale forse è necessario che il Parlamento promuova al più presto un'approfondita riflessione. Quello dei pentiti si è rivelato un mondo squallido, affollato di criminali incalliti, che con le loro dichiarazioni giocano ruoli decisivi per la sorte delle persone. Alla base dell'imputazione di calunnia vi è il fatto che l'onorevole Dell'Utri, nel processo davanti al tribunale di Palermo, ha indicato un teste a discarico, precisando le circostanze: quella del processo in corso a Palermo era la sede naturale in cui doveva essere valutata l'attendibilità del teste, invece è avvenuto tutt'altro. Ciò costituisce un'altra anomalia grave: i pubblici ministeri di Palermo, operando all'insaputa del tribunale e dello stesso Dell'Utri, hanno avviato un processo parallelo, sottraendo così al giudice naturale del dibattimento la valutazione di una prova tempestivamente indicata ed hanno ottenuto da un giudice diverso l'emissione del provvedimento cautelare in esame.
Sempre sul terreno delle anomalie, non può essere trascurato il fatto che il GIP, nella propria ordinanza, dopo avere integralmente trascritto tutte le telefonate riguardanti l'onorevole Dell'Utri, dopo averle puntualmente commentate e dopo averle valorizzate al fine di porre in risalto l'intento criminoso, ha affermato di non poterle utilizzare ai fini dell'arresto, in mancanza dell'autorizzazione della Camera dei deputati. In realtà, però, l'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche è avvenuta e ciò emerge chiaramente dal testo dell'ordinanza del GIP alle pagine 240 e 241. È indubbio che tali intercettazioni sono state effettuate in modo surrettizio ed in funzione di un piano preordinato: infatti, è stata posta sotto controllo l'utenza telefonica di un altro soggetto con l'intenzione di intercettare le conversazioni telefoniche tra questi e l'onorevole Dell'Utri; ciò non è avvenuto in maniera casuale ma con consapevolezza per molti colloqui telefonici. Considerazioni analoghe vanno svolte anche per quanto attiene all'uso dei tabulati telefonici. In tal modo si è volutamente elusa e
Vorrei ora fare una semplice riflessione. Ciascuno di noi tra poco, con coscienza serena e libera da qualsiasi vincolo di schieramento politico, nel momento in cui deciderà con il proprio voto se autorizzare o meno l'esecuzione dell'arresto dell'onorevole Dell'Utri, dovrà tenere ben presenti due fatti importanti e oggettivamente certi. Il primo è costituito dalla natura delle due imputazioni che i pubblici ministeri di Palermo hanno attribuito all'onorevole Dell'Utri: si tratta di una tentata estorsione compiuta circa nove anni fa e di una calunnia. Sottolineo che questi due reati non sono mai stati considerati talmente gravi da giustificare l'arresto di qualsiasi cittadino.
Il secondo fatto che dobbiamo ricordare al momento della votazione è costituito dalla natura dei reati commessi moltissimi anni addietro da quattro parlamentari, che hanno indotto la Camera ad autorizzare il loro arresto: si tratta di omicidi pluriaggravati, di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, di partecipazione a bande armate e di sequestro di persone.
Onorevoli colleghi, vi invito a riflettere, per un verso, sul fatto che questi sono gli unici quattro casi in cui la Camera ha autorizzato l'arresto di un suo componente in oltre cinquant'anni di vita repubblicana; per un altro verso, sul fatto che esiste una evidente sproporzione tra l'arresto dell'onorevole Dell'Utri e i reati a lui contestati (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Ho svolto una indagine statistica dalla quale risulta che gli atti diversi dalla ordinanza cautelare sono conosciuti soltanto da ventuno deputati, cioè da coloro i quali fanno parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere. Da quella indagine risulta inoltre che pochissimi deputati abbiano letto la copiosa e corposa ordinanza di custodia cautelare (ed ora, in quest'aula sono presenti circa cinquanta deputati).
Ciò detto, vorrei ricordare che anche un giudice popolare della corte di assise pone in essere una decisione solo dopo aver assistito a tutto il dibattimento e dopo aver preso visione degli atti processuali. Ebbene, quanti deputati hanno assistito al dibattito? Quanti deputati perverranno ad una decisione cognita causa? Pochi, pochissimi! Questo rappresenta un fatto gravissimo, che deve indurre l'Assemblea a rivedere questa inquietante e mostruosa procedura dell'autorizzazione all'arresto. È un messaggio morale che io non potevo assolutamente non lanciare in quest'aula, soprattutto se viene considerato assieme - ripeto - alla decisione da assumere sulla libertà di un individuo, che è il più grande ed il più insostituibile dei beni!
In questa sede non mi soffermerò sui criteri che dobbiamo seguire per individuare l'esistenza o meno del fumus persecutionis ed entrerò subito in medias res.
Mi soffermerò, in primo luogo, sul tentativo di estorsione.
Per ora lasciamo stare il tempus commissi delicti, che è già di per sé assorbente. Replicando all'onorevole Bonito che conosce le carte come me, vorrei ricordargli che l'unica fonte accusatoria è rappresentata da Garraffa; una fonte accusatoria che sarebbe confermata da due accuse de relato, non assolutamente considerabili, di due collaboratori di giustizia.
Riguardo all'attendibilità del Garraffa, che è stato definito qui un «luminare della scienza ed un professionista illibato»,
Vi è di più: Dell'Utri in questa vicenda compare una sola volta, ma fornirò un ulteriore argomento, a mio modo di vedere decisivo, che è sintomatico o di inerzia - responsabile, colpevole, consapevole o meno - dei giudici di Palermo, oppure di fumus persecutionis. Infatti, è acquisito agli atti, perché lo dicono in modo inequivoco - mi si smentisca sul punto - Vento, Barbera, Piovella, Paoletti, Paolini e lo stesso Starace, che, all'atto del finanziamento, vi era stato un patto preventivo, per cui formalmente sarebbe stato erogato un miliardo e mezzo, ma 750 milioni avrebbero dovuto essere restituiti a Starace e certamente non a Dell'Utri.
Se è così, ancorché vi fosse stato un tentativo di intimidazione posto in essere da chicchessia, ma certamente non dal Dell'Utri, trattandosi di una causale che appartiene solo a Starace e non ad altri, nel caso di specie vi sarebbe la possibilità e il tentativo di far valere e tutelare un preteso diritto: si tratta, quindi, di un'ipotesi delittuosa del tutto diversa, cioè di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che è punibile a querela di parte.
Sto dicendo tutto ciò perché tale argomento, che qualsiasi cultore del diritto, anche modesto, avrebbe individuato, non è stato affatto considerato dai giudici di Palermo: è sintomatico o meno di un fumus persecutionis non avere indagato e non aver assunto iniziative in tal senso?
Per quanto riguarda il secondo reato, purtroppo dovrò limitarmi solo a qualche proposizione, attesa la brevità dei tempi a disposizione. A tale proposito, l'argomento principe rivelatore di un fumus persecutionis è il seguente: il 24 agosto 1997 il signor Cirfeta ha scritto al procuratore della direzione distrettuale antimafia di Lecce e poi, a settembre, a quello di Bari che i giudici di Palermo nulla sapevano e che vi è un contatto di un intermediario con Dell'Utri che offre la disponibilità di Cirfeta a rendere dichiarazioni.
Ebbene, Dell'Utri, senza che il retroscena fosse noto ai giudici di Palermo, inserisce nella lista dei testi ex articolo 468 del codice di procedura penale anche il nome di Cirfeta. I giudici di Palermo, a fronte di un reato in ordine al quale quasi sempre si procede penalmente dopo che è stata acclarata la calunnia, iniziano un procedimento penale parallelo a quello già in atto presso il tribunale di Palermo - cosa gravissima -, senza avere la sensibilità di aver prima esaminato o controesaminato il teste Cirfeta per evidenziarne le eventuali carenze o contraddizioni, per poi porre in essere un'azione nei confronti dello stesso. Ciò è sintomatico o meno di un fumus persecutionis? Io ritengo di sì.
Vorrei chiedere a chi mi ascolta: se la difesa facesse accertamenti sulla lista presentata dai pubblici ministeri, che sono parte processuale come gli imputati o gli indagati, cosa succederebbe? Vi sarebbe un putiferio. In questo caso, invece, si pone in essere una condotta che, se non è illegittima, per lo meno è di una scorrettezza inimmaginabile e denota quel fumus persecutionis a cui ho fatto riferimento.
Ma vi è di più: in replica a quanto affermato dall'onorevole Bonito, ricordo che non è stato detto che Di Carlo è stato rinviato a giudizio per calunnia, dopo una richiesta di archiviazione di uno dei pubblici ministeri di questo processo. Non è stato detto che Onorato e Guglielmini sono stati ritenuti inattendibili da due autorità giudiziarie, la corte d'assise e il tribunale di Milano - se non sbaglio - e di Torino. Inoltre, non è stata detta la cosa più grave e cioè che i signori pentiti, che dovrebbero costituire la conferma del teorema accusatorio, non si sono pentiti nell'ambito di un'indagine, ma sono criminali incalliti, condannati all'ergastolo 15
A conclusione del mio intervento vorrei leggere il testo estremamente interessante di una vignetta pubblicata dal Corriere della Sera di oggi. È Caselli che parla: «Il dottor Dell'Utri si pentirà di aver offerto soldi ad un pentito perché si pentisse di aver riferito che un altro pentito si era pentito di essersi pentito». Questa è la logica che anima la vicenda di cui ci occupiamo!
Non ho più la possibilità di parlare di Chiofalo né dell'articolo 326, cioè della violazione del segreto d'ufficio, che è stata posta in essere in modo chiarissimo e in ordine alla quale non si è assolutamente proceduto. Vorrei chiedere ai colleghi: se non è stato Dell'Utri a rivelare le notizie, chi è stato? O i pubblici ministeri o i GIP o la loro segreteria! Nessuna indagine è stata avviata in proposito perché vi era l'animus.
Onorevole Bonito, lei ha fatto una requisitoria da pubblico ministero, per altro omettendo una realtà processuale, approfittando dell'inconsapevolezza e dell'ignoranza degli atti da parte di quest'Assemblea; il nostro compito era invece quello di integrare questa faziosità e dire che il fumus persecutionis è ineliminabile. Esso emerge in maniera chiarissima da tutti gli atti: se doveste dire «sì» all'arresto di Dell'Utri, dareste un colpo definitivo allo Stato di diritto, all'esigenza di libertà in uno Stato democratico, fareste prevalere l'iniquità all'esigenza di giustizia di cui il popolo italiano ha bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
Se questa è la cornice entro cui si muove il caso Dell'Utri, il carattere persecutorio emerge anzitutto nel momento in cui la pubblica accusa utilizza strumentalmente tale caso per esprimere giudizi che suonano di fatto come sfida al potere legislativo e alla sua sovranità. Non c'è bisogno del caso Dell'Utri per riconoscere, per esempio, che il meccanismo delle confessioni rateali rappresenta niente più che un'aberrazione giuridica al punto che una modifica dell'attuale legislazione, più che equivalere ad un'adesione alle strategie della mafia, rivela l'esatto contrario. È bene essere chiari sul punto: l'esperienza di questi anni rivela un dato inoppugnabile che soltanto i mafiosi, collaboranti o no, sono interessati a mantenere la legge sui collaboratori così com'è attualmente, proprio in quelle parti su cui la cultura giuridica liberale, trasversale nello schieramento parlamentare ma anche nei vertici della magistratura antimafia, converge nel ritenerle inquinanti nella ricerca della verità. Questa legge com'è diventata consente oggi pensionamenti dorati e la possibilità, attualizzando, innovando, improvvisamente ricordando, di essere merce pregiata per la pubblica accusa.
Il mondo degli aspiranti pentiti ha interesse a valorizzare, e spesso purtroppo a monetizzare, il suo ruolo ed inoltre, poiché la legge lo consente, a rinnovarlo continuamente. Questo mondo del cosiddetto crimine collaborante è dunque più interessato a perseguire un vantaggio personale piuttosto che a far luce sulla verità.
Questa legge, sbandierata in nome della cultura della legalità, non scatena - come avrebbe dovuto fare - la guerra di tutti contro tutti dentro l'ambiente criminale; per ora, purtroppo, scatena guerre dentro le istituzioni, spesso gettando fango su servitori dello Stato, sul lavoro prezioso di anni e facendo oggettivamente del collaborante un soggetto attivo e armato, ancora in guerra contro lo Stato e da questo lautamente pagato.
Torniamo al caso Dell'Utri e al primo punto da considerare. Gli si contesta una tentata estorsione a proprio personale vantaggio; non il reato associativo mafioso, perché di quest'ultimo si sta da tempo discutendo nella diversa sede naturale del dibattimento in corte d'assise. E allora perché, superando anche i termini delle indagini preliminari, si chiede qui l'arresto per tentata estorsione e per concorso in calunnia, quando la ragione dichiarata è la volontà di colpire l'inquinamento di prove circa la presunta appartenenza di Dell'Utri alla mafia?
Mi chiedo: non vi è, onorevoli colleghi, il tentativo disperato - e per questo persecutorio - di bloccare con l'arresto il concreto pericolo di sfaldamento della prova di accusa nel processo a cui veramente la procura di Palermo tiene - quello per concorso esterno -, che potrebbe concludersi probabilmente con l'assoluzione? Non è persecutorio il comportamento del magistrato, il quale consapevole della debolezza del proprio teorema principale, costruisce un nuovo ed autonomo fatto, lo contesta in un diverso processo e chiede ad un altro giudice quell'arresto dell'imputato che, nel processo principale - dove le ragioni della difesa stanno emergendo -, non sarebbe stato probabilmente concesso?
Mi chiedo: questi argomenti dell'accusa sono anche lontanamente coerenti con il principio di diritto che tuttora impone al pubblico ministero di effettuare anche riscontri sulle ragioni favorevoli alla difesa? No, colleghi, non si può raccogliere ed utilizzare in modo volutamente acritico il contributo accusatorio e contrastare ed ignorare quello difensivo nella fase di formazione della prova da consegnare al giudice! Non si può, come nel caso accaduto, da un lato escludere l'utilizzabilità delle intercettazioni e dei tabulati - per omessa richiesta di autorizzazione a tal fine - e poi pretendere che su quella base probatoria drasticamente mutilata Dell'Utri sia arrestato. Non possono fare questo i pubblici ministeri che contrastano la separazione delle carriere, autodefinendosi parte imparziale. In casi come questo, tanto si è lontani da questo tragico ossimoro, che solamente in Italia si può pronunciare che la violazione dei doveri costituzionali assume proprio il carattere di un sospetto atteggiamento persecutorio verso l'imputato. E non è infine persecutorio aver introdotto, dopo il voto della Giunta, una nuova rettifica, un ripensamento incredibile di quello stesso sedicente pentito, le cui dichiarazioni originarie non avevano persuaso, perché smentite dai fatti? Vogliamo credere forse alla spontaneità di questo ripensamento, di questo ricordo postumo o ad un ulteriore tassello con cui si cerca di rimpiazzare con nuovi argomenti quelli che via via cadono?
Non può sfuggire, colleghi, a questo Parlamento così attento alle regole, che la garanzia delle libertà di un cittadino prima della conclusione di un giusto processo è la prima regola della democrazia: quell'habeas corpus che molti e molti secoli fa - quando era normale pronunciare requisitorie del tipo di quella che abbiamo ascoltato dall'onorevole Bonito - segnò la prima tappa di un percorso di trasformazione da sudditi in cittadini.
È importante verificare anche questo, come prova del fatto che nemmeno i valori ed i sentimenti, nemmeno la valutazione della dignità e della libertà di un parlamentare sembrano più interessare molto. Forse proprio in questo sta la differenza tra il mio discorso e quello dell'onorevole Bonito. Io non ho la voluttà accusatoria e resisterò alla tentazione difensiva, perché qui non siamo né giudici né pubblici ministeri né avvocati: qui siamo deputati, soggetti di una entità che è espressione della nazione; anche oggi, nella vacuità dei banchi, il nostro ruolo è espressione del mandato che abbiamo ricevuto e della funzione che esso ha nella vita di ciascuno di noi. Io, poi - lo dico -, sono anche amico di Dell'Utri e non si può essere né giudici né avvocati quando si è amici ed ancor meno quando si è nemici, perché in tal caso tutto viene ricondotto ad una visione di carattere aprioristico, predeterminato, unilaterale. È proprio quello che si coglie nella vicenda che riguarda Marcello Dell'Utri, una costruzione che non so in quale altro paese civile sarebbe possibile: un imputato di un reato come la partecipazione esterna ad un'associazione criminosa viene accusato dai pentiti. Non dirò nulla sui pentiti che non sia stato detto dai colleghi che mi hanno preceduto e che sia diverso da ciò che tutti noi sappiamo, nonché da quello che vuole la legge in ordine alla loro affidabilità. I pentiti sono delinquenti che cambiano bandiera e militanza, talvolta facendo ciò che ritengono giusto, talvolta no: il problema è stabilire quando lo fanno, perché lo fanno e, se lo fanno, se hanno la possibilità di essere contraddetti.
Forse hanno valore soltanto nelle grandi conferenze l'affermazione dell'uguaglianza tra chi accusa e chi si difende, della necessità che gli elementi di riscontro siano valutati non soltanto in base ad un criterio numerico, catenario, ma in base ad una verifica curiosa, intensa di quello che può essere, per esempio, il contenuto criminale di una frase, volto a depistare la giustizia. Dobbiamo quindi chiederci se abbia diritto l'imputato Dell'Utri - non il deputato, ma l'indagato Dell'Utri - a servirsi delle dichiarazioni di testimoni che, precedendo ogni sua azione - come Cirfeta - si rivolgono con lettere ed istanze alla magistratura, alla Commissione antimafia, ai giudici del DAP, per dire che hanno assistito ad una conventicola carceraria tra gli accusatori di Palermo. Lui che è pugliese, che ha consentito con le sue dichiarazioni l'arresto di decine e decine di membri della Sacra corona unita, lui, estraneo alla realtà insulare nella quale si incapsulano i problemi che vengono talvolta complicati dalla cieca fiducia nelle dichiarazioni dei pentiti, ha diritto di avvalersi di queste dichiarazioni? Ha diritto di servirsene, secondo l'articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, per far sì che nel suo processo, davanti al suo giudice naturale, siano portate le testimonianze in contrasto che devono essere valutate? La lealtà processuale di Dell'Utri sta nell'aver indicato al tribunale di Palermo il nome di colui che aveva reso dichiarazioni e con il quale si dovevano misurare, nella dialettica processuale, i rapporti tra i soggetti del processo. Ma vi è di più. Dell'Utri arriva a chiedere che vengano assunte le dichiarazioni del testimone Cirfeta e successivamente quelle del Chiofalo, anticipando i tempi tecnici che fanno sì che i
Ma cosa decidono di fare i pubblici ministeri, quelli che secondo il collega Bonito ed altri non avrebbero fini non voglio dire persecutori, ma unilaterali del senso della visione venatoria del compito di chi accusa, come lo definì Calamandrei? Impediscono l'assunzione al processo di tali dichiarazioni e compiono un'azione depistante e, mi permetto di dire, divergente rispetto ai fini della giustizia: si avvalgono della realtà processuale dell'onorevole Dell'Utri, che indica i testi, e li inquisiscono, stabilendo che il fatto stesso che si siano frapposti ad una verità prevalutata da parte prima della procura e poi del GIP fosse di per sé sufficiente a stabilire un intento calunniatorio in coloro che rilasciano dichiarazioni diverse da quelle degli altri pentiti.
Onorevole Bonito, la calunnia è uno dei reati di più difficile acquisizione; è un reato contro l'amministrazione della giustizia; è il reato di Iago, di chi, cioè, mistifica la verità; è il reato di chi, con pravo motivo, compie una falsa accusa e stabilisce un rapporto squilibrato rispetto alla realtà che il processo deve valutare complessivamente in termini di equilibrio. La calunnia necessita di un dolo di un'intensità tale da vincere l'abilità del giudice attentando alla libertà delle sue determinazioni ed alla lealtà dei riferimenti processuali cui ha diritto di far capo per stabilire torti e ragioni.
Ebbene, in questo caso si ritiene che la calunnia sia aprioristicamente presente nel processo, mentre si tratta, invece, di valutare l'attendibilità di una testimonianza; si tratta di valutare se il diritto di portare un teste non sia quello di veder valutare le sue dichiarazioni dal giudice naturale. Il tribunale di Palermo è stato finora privato del diritto-dovere di acquisire gli elementi che l'onorevole Dell'Utri aveva offerto ai fini della valutazione che competeva al tribunale.
Questo è inquinamento, onorevole Bonito! È un inquinamento sottile, non è evidentemente macroscopico, perché gli inquirenti procedono segretamente, agiscono applicando misure costrittive, facendo diventare i testimoni imputati e trasformando la loro volontà di partecipare utilmente ad un dibattimento in una posizione predeterminata, nella quale il loro ruolo viene considerato già a priori come un ruolo dal quale prima si distaccheranno e meglio sarà.
Ciò può spiegare, onorevole Bonito, onorevoli colleghi, questa vergognosa impostazione di tipo «andata e ritorno» di talune dichiarazioni testimoniali, anche di quelle che sono state inviate tardivamente a questa Camera dallo zelo del Procuratore della Repubblica di Palermo, il quale ha ritenuto non di investire il GIP, ma di investire noi nel momento in cui avevamo già individuato quest'aula come sede di verifica di un altro elemento nebuloso e vergognoso da verificare non ai sensi dell'articolo 192 del codice di procedura penale, ma ai sensi del pudore con il quale ci si deve misurare.
Voglio però aggiungere che se questo vale per il reato di calunnia, vale ancora di più per quella vergognosa messa in scena, tardiva e mistificatoria, prevista nell'ipotesi di tentata estorsione. Un tentativo che se fosse tale avrebbe la natura del conato, avrebbe cioè la natura di un tentativo in cui la verifica dell'evento non si sarebbe determinata per fatti non indipendenti bensì dipendenti dalla volontà.
Vedete com'è difficile stare ai fatti con le parole, e con i fatti alle volontà! Non avrei voluto pronunciare un'arringa difensiva e non l'ho fatto; ho soltanto preteso che anche qui si stabilisca che un cittadino non può essere privato della sua libertà. E se per caso il cittadino è anche un deputato...
Nella corrente XIII legislatura è stato avanzato un numero di richieste di arresto di parlamentari proporzionalmente eccessivo rispetto al totale di quelle avutesi durante i cinquant'anni della Repubblica.
Infine tale iniziativa costituisce una vera rarità statistica, stante il fatto che sono da tempo fuori corso misure cautelari detentive per reati come quelli ascritti all'onorevole Dell'Utri. Ne consegue dunque che nei confronti, di questi, si tratta di una «graziosa» rarità!
Per favore, proviamo per un attimo ad immaginare che la Camera avesse accolto tutte o alcune delle richieste di cattura dei parlamentari fino ad oggi inoltrate e poi poniamoci le seguenti e conseguenziali domande. Sarebbe in questo caso la Camera ancora democraticamente del tutto in linea rispetto ai doveri che le assegna la Costituzione e, in particolare, sarebbe essa priva di intima difficoltà nel compito che le affida l'articolo 83 che determina la composizione del collegio per l'elezione del Presidente della Repubblica e, sempre in questo caso, tale fondamentale momento della vita dello Stato verrebbe - costituzionalmente, storicamente ed eticamente parlando - indebolito oppure no da una non tassativa alterazione numerica e politica del collegio, specie in presenza di una marginalità dei rapporti quantitativi fra i gruppi e nei gruppi parlamentari?
Così considerate, dunque, le peculiarità tipologiche del caso Dell'Utri, ci diciamo in grado di dimostrare molti decisivi dati di fatto estrinseci però rispetto al merito, dati che - comprovabili come sono - appaiono in grado di fornire un esito favorevole all'onorevole Dell'Utri. Crediamo che questi dati di fatto consentano di asserire, insomma, che sussistono plurimi e gravi indici rilevanti di irregolarità nel trattamento processuale ed extraprocessuale di questa persona.
Si tratta di irregolarità emergenti dalle modalità estrinseche, non intrinseche, della vicenda che, una volta riversate nella richiesta di sottoporla a cattura come deputato, investono la Camera, dal momento che questi dati di fatto risultano idonei ad influire, subito e direttamente, sullo status del parlamentare e, subito e indirettamente, sul bene costituzionale della rappresentatività del Parlamento. Vi influiscono ugualmente, tanto che siano effetto di persecuzione voluta quanto che siano effetto obiettivo di irregolarità del genere di quelle che enumererò.
Si tratta, innanzitutto, di un'erroneità manifesta nell'indagine per la calunnia in punto di competenza. Una competenza autoattribuitasi dalla procura di Palermo agli effetti territoriali per il solo fine evidente di trattenere il caso nel proprio ufficio, malgrado la certa collocazione fuori dal distretto della consumazione del
È, quindi, sicura ed enorme questa violazione della competenza del tribunale di Palermo quale giudice naturale di entrambi i reati e, come tale, già investito della vicenda con il deposito della motivata lista di testi a discarico da parte di Dell'Utri. Testi che, dunque, invece di venire regolarmente escussi, ad eventuale difesa, dal tribunale, sono indagati come calunniatori dalla procura di Palermo autoattribuitasi questa competenza, cosicché l'esito finale del tutto è il seguente, irregolare ed iniquo: Dell'Utri, libero nel processo per il più grave delitto associativo, verrebbe ora assoggettato a custodia cautelare per reati minori, non privi di connessione con l'altro. Una vera aberrazione, dunque, alla quale la libertà del cittadino e del deputato Dell'Utri dovrebbe essere immolata. Accanimento o non accanimento che vi sia stato contro di lui, tali alterazioni restano un'enormità giuridica ed etica.
Il secondo indice del maltrattamento processuale verso Dell'Utri è costituito dalla violazione del termine, non prorogato, per le indagini preliminari sulla ritenuta estorsione tentata, indagini anch'esse addotte, però, ai fini della custodia cautelare, malgrado ritualmente inutilizzabili proprio per effetto di tale scadenza.
Vi è inoltre la violazione della competenza territoriale per tale stesso reato di tentata estorsione, reato documentalmente risultante essere stato consumato, in ipotesi, in luoghi estranei ad ogni competenza del foro palermitano.
Vi è ancora l'utilizzazione, indebitamente avvenuta, delle intercettazioni telefoniche riguardanti l'estraneo tema dell'escluso reato di associazione a delinquere qualificata, intercettazioni che, prima dichiarate non utilizzabili dal GIP, furono poi dallo stesso invece integralmente trascritte nell'ordinanza ed ivi apprezzate come elementi probanti per la ritenuta necessità della custodia cautelare.
Vi è poi la tendenziosità, grave in ogni senso - qua dentro e fuori di qui -, della stessa ordinanza, ove essa addebita, al Parlamento, di potersi prestare ad una malevola modificazione della legislazione sui pentiti e, al Dell'Utri, una specifica pericolosità proprio in quanto parlamentare in carica.
Vi è anche, come conclusivo indice di tante irregolarità processuali, l'impressionante inesistenza di una reale motivazione in ordine alle condizioni di applicabilità della misura cautelare di cui si tratta.
Passiamo ora alle rilevate irregolarità di carattere extraprocessuale, che sono le seguenti. Primo: la violazione costante e fino a ieri del riserbo istruttorio, in forza della quale la stampa ed il pubblico sono stati messi al corrente di ogni passo della procura di Palermo ancor prima, ed anche in difformità, della formale esternazione degli atti relativi. Violazione questa avvenuta in conformità di un abusato costume per cui, ad esempio, lo stesso ufficio del pubblico ministero interessato al caso di Dell'Utri si è fatto lecito di intavolare, subito dopo la sua recente richiesta di grave condanna per il senatore Andreotti, una teatrale conferenza autocelebrativa, suscettibile però di produrre l'effetto obliquo di fomentare unilateralmente la tesi della responsabilità di questo parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo di forza Italia).
Il secondo punto è l'alterazione arbitraria del ruolo della procura anche in questa sede, nella quale essa si è indebitamente costituita alla stregua di una parte litigiosa, vera e propria, del procedimento parlamentare, sia depositandovi un atto che equivale a memoria accusatoria, sia producendovi, anche tardivamente e comunque senza il tramite del GIP, documenti impropri in quanto suscettibili solo di screditare in questa sede, sulla base di materie estranee e non definitivamente accertate, la figura di Dell'Utri.
Confidiamo che la saggezza della Camera possa incoraggiare, rispetto sia alla pratica giudiziaria, sia al sentimento, talvolta declinante, della nazione, questa certezza, che ripeto: non si restituisce mai, né del tutto, la libertà a colui il quale ne sia stato illegittimamente, illecitamente o non necessariamente privato (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).
È la quinta volta che la Camera esamina una richiesta di arresto di un deputato; le cinque richieste si riferiscono a quattro deputati diversi e sono state avanzate da tre differenti uffici giudiziari. Tali richieste attengono a reati tra loro diversi, a vicende diversissime, a deputati dalla personalità e dagli interessi completamente differenziati. Eppure, nei quattro casi precedenti, il risultato del voto della Camera è stato sempre lo stesso, ossia il diniego della richiesta autorizzazione.
Credo che, su questo fatto, vada svolta qualche considerazione. Partirò dall'osservazione, peraltro più volte ripetuta, anche se non sempre coerentemente, della concordia che vi è fra tutti nel ritenere che l'Assemblea parlamentare non sia chiamata ad esprimersi su aspetti di carattere formale o sostanziale inerenti al processo, come per esempio la fondatezza dell'accusa, e neanche, onorevole Cola, sull'opportunità della misura cautelare richiesta, materia che rimane di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria per qualsiasi cittadino, compresi i parlamentari.
La deliberazione richiesta al Parlamento, d'altronde, non verte neppure sulla questione, più volte ricordata anche in questa occasione, pure dall'onorevole Mancuso, rappresentata dall'esigenza di garantire l'integrità del plenum. Si osservi che, se l'argomentazione, come sostenuta dall'onorevole Mancuso, avesse fondamento, in linea di principio l'autorizzazione non potrebbe mai essere concessa, perché sempre verrebbe vulnerato il plenum, sempre potrebbero alterarsi i rapporti tra maggioranza e opposizione, come nel caso di scuola, pure richiamato, che la maggioranza si regga su un solo voto. Una situazione di questo genere potrebbe sempre verificarsi, indipendentemente dalla frequenza con la quale, nel corso di una legislatura, vengano avanzate richieste di arresto di parlamentari, la qual cosa non può essere ridotta a mere quantità statistiche che, peraltro, non possono incidere sulle nostre decisioni o sul modo in cui affrontiamo l'argomento. Tale argomento del plenum - a mio giudizio - dobbiamo lasciarlo alle nostre spalle perché è risolto a priori dalla Costituzione. Infatti, se la Costituzione avesse voluto salvaguardare il plenum di fronte a ragioni di giustizia o ad altre, avrebbe semplicemente vietato l'arresto di parlamentari almeno fino alla sentenza definitiva, ma così non è nel nostro ordinamento.
L'argomento che viene usato indica un altro punto di approdo che vuole che le ragioni della politica, la non alterazione - come diceva poco fa il collega Mancuso - dei rapporti fra i gruppi o all'interno dei gruppi, prevalgano sulle ragioni di giustizia. Ciò non si desume da alcuna norma del nostro ordinamento. In realtà, se quelle ragioni, in relazione alla qualità della persona di cui si tratta, dovessero avere una qualche influenza sulla nostra decisione di concedere o meno l'autorizzazione, noi torneremmo a condizioni
Sono costretto a richiamare l'attenzione dei colleghi su questo punto che, peraltro, dovrebbe essere pacifico in quanto la posizione differenziata del cittadino parlamentare rispetto a quella di qualsiasi altro cittadino, che scaturisce dalle immunità di cui all'articolo 68, è giustificabile se e solo se, nell'ambito di un bilanciamento tra le esigenze di giustizia, tra le quali è compresa evidentemente l'uguaglianza di ciascuno di fronte alla legge, e l'esigenza del regolare espletamento della funzione parlamentare, possa ravvisarsi negli atti del giudice una turbativa (che sarebbe gravissima) del normale svolgersi della dialettica istituzionale tra le parti politiche.
Per precisione, va detto che l'arresto di un parlamentare ha sempre e innegabilmente conseguenze politiche. È impossibile pensare che l'arresto di un parlamentare non abbia conseguenze politiche. Tale circostanza, però, non può essere assunta come motivo del diniego della richiesta giacché, in questo modo, vi sarebbe una evidentissima confusione tra causa ed effetto e conseguentemente, confondendo queste due, l'intento politico della richiesta sarebbe sempre in re ipsa. L'effetto politico sfavorevole si determinerebbe sempre e comunque sul piano politico e dunque sempre l'intento del magistrato sarebbe politico.
Distinguiamo, quindi, questi aspetti che sono profondamente differenti.
Se dunque consideriamo le decisioni fin qui prese dalla Camera, che lo si voglia o no, colleghi, dobbiamo riconoscere che per quattro volte questa Assemblea ha detto che le richieste avanzate dagli uffici giudiziari di Milano, di Taranto, di Palermo, nascondevano, sotto l'apparenza di provvedimenti giudiziari, un obiettivo politico. Cioè per quattro volte abbiamo detto che quei giudici sono indegni di questo nome, perché commettono il peggiore dei peccati che può essere ascritto alla coscienza di un giudice: piegare l'applicazione della legge alle proprie convinzioni politiche, comunque ai propri intenti, i quali non hanno niente a che fare con le esigenze della giustizia.
Badate, noi possiamo fare questo, non mi scandalizza certo; lo possiamo fare perché l'autorizzazione alla restrizione della libertà del parlamentare è richiesta proprio per questo. Però, osservo che se lo facciamo, se lo facessimo ora per la quinta volta nel giro di pochi mesi, facciamolo almeno sulla base di ragioni evidenti che autorizzino tale sospetto, cioè il sospetto che in questo paese c'è una magistratura o perlomeno una parte importante di essa che fa strame di principi giuridici elementari, che attenta all'integrità delle istituzioni dello Stato e dunque al sistema democratico. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo fino in fondo. Vorrei notare per inciso, se me lo consentite, che è bene che le ragioni evidenti di questo sospetto siano tali non solo per noi, non basta; bisogna che siano evidenti anche per il paese. Stiamo parlando di magistrati della Repubblica. Stiamo parlando di uffici giudiziari conosciuti e riconosciuti qui e fuori di qui per essere in prima linea nella lotta alla corruzione politica, alla delinquenza organizzata ed alla mafia, per aver ottenuto in questo
Insomma, come voi vedete, colleghi, e cercherò di essere breve data l'ora (come diceva il poeta, più che l'amor poté il digiuno, e immagino che l'amore fosse anche più forte di Dell'Utri...), io pongo un problema politico. Non dobbiamo decidere su sottili questioni giuridiche, che sono proprie del processo, che spettano semmai alla difesa dell'imputato e per le quali non siamo qualificati, anche se qua non sono mancati i difensori. L'onorevole Biondi ci aveva promesso di non lasciarsi tentare dalla vis difensiva, ma mi pare non sia riuscito neanche lui, come tanti altri, a mantenere la promessa. Noi non siamo - riflettiamo su questo punto - un gigantesco corpo giudicante, che sarebbe peraltro molto strano, signor Presidente, perché sarebbe un corpo giudicante che non conosce nemmeno gli atti su cui deve giudicare, dato che una serie di atti sono conosciuti soltanto dalla Giunta; non conosce gli atti del processo. Siamo invece un corpo politico, che deve assumere una decisione di carattere politico-istituzionale, la quale attiene alla valutazione dell'operato del giudice sotto un profilo ben preciso, che è quello della sua eventuale valenza politica: l'atto del giudice e la sua eventuale valenza politica. E ricordiamoci sempre che stiamo parlando del giudice, che la richiesta è avanzata da un giudice, non da un magistrato inquirente.
Su questo punto, allora, signor Presidente, per concludere, vorrei fare brevissime osservazioni. In base alla situazione che ci viene descritta ed alla memoria difensiva che è stata depositata dall'onorevole Dell'Utri, ci troviamo di fronte alla descrizione di un complotto mostruoso; in definitiva, infatti, è questo il senso del voto che ci accingiamo ad esprimere: se veramente si stia verificando, ai danni dell'onorevole Dell'Utri, un complotto mostruoso. Vorrei allora ricordare che ci troviamo di fronte non a prove certe della colpevolezza (mi rifiuto di considerarle tali), non a prove sicure dell'assoluta necessità della custodia cautelare, sulle quali il Parlamento debba esprimersi, ma ad una serie di argomentazioni, riassunte in modo scultoreo nell'intervento dell'onorevole Bonito stamattina, che non starò qui a ripetere, ma che tutte vanno nella direzione per cui sicuramente esiste un intreccio inquietante (non so se vero, ma inquietante) tra un parlamentare ed esponenti della mafia. È un intreccio che si connota con un'attività di questo parlamentare che è certamente inquietante, che può indurre un magistrato in sospetto, che può far ritenere ad un magistrato che vi sia la necessità di intervenire con urgenza, anche con una misura estremamente pesante come quella della custodia cautelare.
Vi prego, colleghi, esaurendo questo intervento, di considerare le cose da questo punto di vista, che ci è offerto dalle stesse carte, anche dall'ultimo documento che è appena giunto e che ci è stato fatto pervenire proprio per ulteriori ragioni di chiarezza: in esso, il pentito Chiofalo ci dice cosa veramente Dell'Utri era andato a fare quando la notte di San Silvestro era andato a trovarlo. Di fronte ad un quadro di questo genere, signor Presidente, è possibile continuare a sostenere la teoria del complotto, per cui questi magistrati, accusatori e giudici, avrebbero messo in essere una macchina mostruosa? Io credo di no e per questo ritengo che la richiesta avanzata dal giudice Scaduto debba essere accolta.
Un ringraziamento particolare va a coloro che si sono espressi in Giunta per l'arresto, per aver mantenuto un tono sereno dentro e fuori l'aula; un ringraziamento particolare ancora all'onorevole Maroni, con il quale alcune polemiche vi erano state, ma che ha voluto nel suo intervento di oggi darmi atto (forse non dovrei farlo, perché è un'autoindicazione) di un tentativo (dico io, lui ha usato non questo termine ma «un fatto compiuto») di assoluta imparzialità nel condurre i lavori della Giunta. Detto questo, Presidente, non posso sottacere un disagio che tutta la Giunta, comunque ci si sia espressi, ha avvertito in questa occasione: un disagio sicuramente non voluto, non causato ad arte, ma obiettivo, perché ci siamo trovati a dover valutare una richiesta di autorizzazione all'arresto che era portata da un'ordinanza, la quale conteneva peraltro i testi di intercettazioni telefoniche per le quali la richiesta di autorizzazione è arrivata solo venticinque giorni dopo; un disagio perché sono arrivati ulteriori atti uniti alla richiesta di intercettazione tardiva; un disagio per l'ultimo documento nel momento in cui stavamo per andare a votare. Quest'ultimo documento conteneva un interrogatorio incompleto, con una esplicita - per carità, nessuna critica, ma questo è il dato di fatto - indicazione della mancanza di riscontri, sul fatto che erano in corso degli accertamenti e con numerosi omissis. Una volta che gli atti erano disponibili, peraltro, la magistratura ha ritenuto in maniera assolutamente lecita di inviarceli. Perché allora manifesto questo disagio? Perché forse, in attesa (anche se forse in questo campo influenzerà poco) che venga approvata dal Senato la norma attuativa che la Camera ha già licenziato, anche su questo punto la Giunta potrebbe in qualche modo - credo con l'aiuto della Camera, che forse, Presidente, potrebbe indicarci la strada - usufruire di un percorso quasi obbligato da seguire relativamente al modo in cui la Giunta stessa si debba muovere in occasioni del genere.
Presidente, ci siamo posti il problema se considerare ammissibili o non ammissibili quegli atti. Al riguardo, si sono formate due opinioni contrastanti: una, che per la verità è anche la mia, è che dovendo noi decidere senza motivazione, qualunque atto venga a nostra conoscenza finisca poi con il far parte del bagaglio di notizie che produce poi la nostra valutazione; l'altra è di segno opposto. È certo, però, che, dalla lettura di questo verbale - non dico da chi mi ascolta, ma dal verbale - potrebbe nascere anche una richiesta, nel rapporto di leale collaborazione tra i poteri, anche alla magistratura di cercare magari di ritardare un attimo la richiesta di ordinanza di custodia cautelare - semmai, spero di no, dovesse verificarsi nuovamente - e di raccogliere prima tutti gli atti, per non sottoporci poi ad uno stillicidio che rende disagevole il nostro lavoro al di là delle intenzioni, che io non ho motivo di non ritenere assolutamente buone e lecite.