Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 513 del 26/3/1999
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(Discussione).

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Sbarbati n. 6-00079 (vedi l'allegato A - Risoluzioni sezione 2).
Dichiaro aperta la discussione.
Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Brunetti, che illustrerà anche la mozione Armando Cossutta n. 1-00366.

MARIO BRUNETTI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, colleghi e colleghe, le preoccupazioni contenute nella mozione Armando Cossutta n. 1-00366 si sono materializzate...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Brunetti. Prego i colleghi che non sono interessati, di allontanarsi dall'aula. Colleghi, se dovete uscire, fatelo in fretta.

MARIO BRUNETTI. Le nostre preoccupazioni si sono materializzate con la irresponsabile aggressione della NATO ad uno Stato sovrano. È la prima volta che avviene dopo cinquant'anni, senza neppure l'usbergo dell'ONU e formalizza il «cambio di fase» rispetto al ruolo tradizionale della NATO. È una terrificante pioggia di missili e di bombe su Belgrado e sul Kosovo...

PRESIDENTE. Onorevole Novelli, la prego di prendere posto. Onorevole Mattioli, la prego, si accomodi. Onorevole Berlinguer, la prego di accomodarsi. Prego, onorevole Brunetti, continui pure.

MARIO BRUNETTI. Torna così fragorosamente la guerra, in un territorio che evoca storicamente agghiaccianti ricordi, ad iniziare dalle vicende del 1914, con tutto il loro seguito di tremende tragedie ad iniziare dalla prima guerra mondiale.
È una nuova guerra terribile e distruttiva, piena di incognite sul futuro: sappiamo


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come è iniziata, ma non sappiamo dove e quando finirà, se guardiamo ai segnali che vengono in queste ore dalla Russia, dall'Albania e dalla Croazia.
È, insomma, il deflagrare della polveriera degli inquieti Balcani e del Mediterraneo, alle porte del nostro paese...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Brunetti. Onorevole De Benetti, onorevole Sbarbati, vi richiamo all'ordine!
Onorevole Brunetti, prosegua pure.

MARIO BRUNETTI. Dinanzi a questo quadro terrificante appaiono davvero ipocrite le lacrime versate in questi giorni dalla stampa, ma anche in quest'aula, sulla necessità di una benefica missione di guerra per garantire i diritti umani ed impedire la persecuzione degli albanesi: è come dire che per porre fine alla guerra etnica nel Kosovo bisogna utilizzare una guerra di sterminio. Proprio nel Kosovo, infatti, a Pristina ed in altre località, le bombe hanno maciullato donne, bambini, ospedali e servizi essenziali più di quanto non sia avvenuto nelle atroci violenze di questi anni; sono più di 350 mila, in questi giorni, i profughi in fuga verso il nulla, tanto da far alzare la voce autorevole del Papa contro questo massacro. Sono lacrime ipocrite, perché sembra che si scopra solo ora il Kosovo, quando è stata isolata per anni, sino alla sconfitta, la battaglia generosa e non violenta di Ibrahim Rugova. Sono lacrime ipocrite, perché è in atto un altro genocidio di massa, quello dei curdi, che registra persino manifestazioni di solidarietà verso la Turchia, che è l'artefice di quello sterminio. Sono lacrime ipocrite, perché non suscitano emozioni gli stermini...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Brunetti. Raccomando ai commessi di stare attenti ai primi banchi.

MARIO BRUNETTI ...e le violazioni di ogni diritto umano in molti paesi, dall'Africa all'Asia, all'America centrale e meridionale. Sono lacrime ipocrite quelle che versano sui diritti umani coloro i quali ci presentano quotidianamente la barbarie della pena di morte. Via, dunque, l'ipocrisia: chiamiamo le cose con il loro nome! Siamo di fronte ad una guerra di aggressione per il controllo americano di un'area strategica. Certo che è necessario difendere gli albanesi; lo dice uno come me che vive anche emotivamente il problema, perché frutto di un'antica diaspora degli albanesi verso il Mezzogiorno d'Italia, risalente al secolo XV, e che vede massacrati amici e conoscenti; vede messi sotto tiro intellettuali, giornalisti, uomini della scuola. Certo che il loro problema è anche nostro! Dico di più: questo popolo coraggioso, perseguitato per secoli, è un esempio di dignità, che dopo l'annessione alla Serbia in seguito alla guerra balcanica degli anni 1912-1913 ha trovato una prospettiva di emancipazione solo nel 1974, con l'autonomia garantita dalla costituzione di Tito; un'autonomia che durò fino al 1981 quando, dopo la morte di Tito nel 1980, Milosevic si pose il problema della «riconquista» del Kosovo, ne annullò l'autonomia e dal 1987 inasprì i rapporti con gli albanesi che abitano per il 90 per cento il Kosovo, fino ai giorni nostri, rivendicando un diritto territoriale serbo risalente alla cosiddetta battaglia di Piana dei Merli del 1389, considerando quella zona nucleo antico dello Stato serbo, mentre gli albanesi, ma anche eccezionali studiosi serbi, indicano il Kosovo come terra di albanesi fin dai tempi degli Illiri. Oggi, anche questo contrasto etnico sta alla base degli scontri che Tito aveva attutito garantendo l'autonomia agli albanesi. Contro una simile cancellazione e per difendere quell'autonomia, non ricordo davvero quanti sit-in, quante proteste, quante mobilitazioni di paesi italo-albanesi io stesso ho guidato in questi anni! Dunque, oggi siamo dentro con i piedi, con il cuore e con la testa alla rivendicazione albanese in difesa della loro identità, nell'integrità dei confini attuali. Il problema, allora, non è questo; non è quello del diritto alla difesa dell'autonomia albanese, bensì di leggere con serenità il senso di una guerra distruttiva che cambia radicalmente i rapporti in


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Europa, per le sue modalità e per gli scopi che si prefigge. Siamo, infatti, dinanzi ad un intervento irresponsabile per quel che produce ed illegale perché avviene in violazione delle norme di diritto internazionale ed a prescindere dalla Carta dell'ONU, basata su due elementi fondanti: il primo è quello di un divieto della guerra, solennemente sancito non solo nel preambolo e nei primi due articoli, ma anche nel capitolo VII, ove si prevede la regolazione giuridica dell'uso della forza quale mezzo coercitivo alternativo alla guerra.
Il secondo elemento è la consacrazione dei diritti fondamentali dell'uomo e dei popoli quale fonte di legittimazione politica e giuridica degli ordinamenti statali. Questi principi, però, sono stati lesi e svuotati con l'iniziativa della NATO che avviene, peraltro, in spregio allo stesso articolo 12 del Patto atlantico, visto che interviene non in difesa di un paese facente parte dell'alleanza, ma aggredendo un paese sovrano al di fuori della sua tradizionale zona di intervento.
Per quanto riguarda direttamente il nostro paese, questa iniziativa di aggressione, che ha causato la guerra, lede gravemente gli articoli 11 e 48 della Costituzione: il primo abiura la guerra ed il secondo demanda al Parlamento in seduta comune qualsiasi coinvolgimento, diretto o indiretto, dell'Italia in azioni di guerra.
Pertanto, il giudizio dei comunisti italiani è un giudizio di condanna radicale all'azione aggressiva, non solo perché i problemi della pace e della guerra costituiscono gli elementi discriminanti della propria identità, nonché la sua partecipazione al Governo, ma anche per quello che questa guerra rappresenta in sé: la messa in discussione dell'autonomia del nostro paese e si rivolge contro la stessa Europa per affermare l'egemonia americana, dopo il venir meno di altri antagonisti, in un'area strategica del mondo.
Avevamo visto giusto, signor Presidente, quando abbiamo espresso il nostro giudizio negativo sull'ampliamento della NATO, vedendo in ciò una sfida nei confronti della Russia: una ricollocazione, cioè, del ruolo della NATO che viene ancora una volta vista come uno strumento di aggressione verso l'est ed il mondo slavo e tendente a rilanciare l'egemonia statunitense nel vecchio continente. Questa è altresì una delle ragioni per cui Belgrado non ha sottoscritto l'accordo di Rambouillet che prevedeva la pretesa di un controllo da parte della NATO, mentre si era dichiarata disponibile a prendere in considerazione la proposta di costituire una forza di interposizione che avesse come perno l'OSCE quale organismo per la prevenzione dei conflitti ed il controllo dell'attuazione degli accordi, cosa questa più funzionale, da un punto di vista generale, alle competenze dell'ONU ed al suo ruolo universale.
Questa guerra, dunque, è un puro pretesto e rappresenta il tentativo degli Stati Uniti di costruire la loro potenza sulle barbarie e sulle distruzioni nell'ambito di un crollo verticale di civiltà che non ha precedenti nella storia, proprio perché non trova ragioni plausibili se non quella delle sue mire imperiali. Una guerra che ripropone, come abbiamo già detto in quest'aula, una filosofia da guerra fredda ed una ricostruzione di steccati, ieri, tra due blocchi contrapposti per il dominio bipolare del mondo e, oggi, tra l'occidente ricco ed i poveri della terra, per un domino unipolare dell'universo. Una guerra, però, che produce solo orrori e catastrofi moltiplicando ed aggravando problemi più che risolverli; ciò non solo perché nel Kosovo alle morti per i bombardamenti della NATO si sta aggiungendo la caccia agli albanesi, in una spaventosa azione di pulizia etnica, ma anche perché si moltiplicheranno le spinte nazionaliste che allargheranno i conflitti.
Ci sarà una recrudescenza del terrorismo; ci saranno ripercussioni gravi in Ungheria, in Serbia, in Macedonia, in Albania, nel Montenegro e nella stessa Bosnia. Finiranno nel mirino delle rappresaglie tutti coloro che, compresa l'Italia, i serbi considerano collaboratori degli aggressori. Ci sarà un esodo biblico che


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premerà sulle nostre coste. Vi sarà, infine, un'ondata indescrivibile di odio antioccidentale.
Quest'Europa, che non c'è, e lo ha dimostrato coprendo l'avventura americana, ha fatto un'operazione che sta portando alla catostrofe, umanitaria e politica, questo nostro continente.
Ecco perché noi consideriamo, sulla base di tali argomentazioni, questa guerra assurda e inutile, così come ha dimostrato, del resto, di essere la vicenda concernente l'Iraq, che ha prodotto solo lutti e rovine.
Per questi motivi chiediamo al Governo che si adoperi affinché sia posta subito fine alla carneficina. A questo vincoliamo il nostro rapporto con il Governo medesimo, come comunisti che considerano la lotta per la pace un elemento fondante della propria identità, ma anche perché questa guerra rappresenta una sconfitta per tutta l'umanità e rischia di condizionare negativamente il nuovo secolo che si apre (Applausi dei deputati del gruppo comunista - Il deputato Comino emette un fischio all'indirizzo dei banchi dei deputati del gruppo comunista).

PRESIDENTE. Onorevole Comino, la invito ad uscire dall'aula.

DOMENICO COMINO. Venduti!

PRESIDENTE. Onorevole Comino, la prego di affrettarsi verso l'uscita. (Il deputato Comino si avvia verso l'uscita dell'aula).

EDUARDO BRUNO. Buffone!

PRESIDENTE. Onorevole Eduardo Bruno, la richiamo all'ordine.

NICOLÒ ANTONIO CUSCUNÀ. Vergogna (Scambio di apostrofi tra gli onorevoli Eduardo Bruno, Comino e Caparini - Il deputato Comino esce dall'aula)!

PRESIDENTE. Per cortesia, colleghi! I commessi dovevano impedire il passaggio! Onorevole Eduardo Bruno, si accomodi.

ALFREDO BIONDI. Pace fratelli!

PRESIDENTE. Onorevole Chincarini, la prego! Ho detto che si deve consentire il passaggio da una parte all'altra dell'aula!
Colleghi, credo che nessuna di queste cose serva ai temi di cui stiamo discutendo.

MAURA COSSUTTA. Parli con loro!

PRESIDENTE. Ho già parlato con loro: ho espulso il presidente del gruppo. Onorevole Cossutta, lei non ci metta del suo, la prego! Onorevole Eduardo Bruno, si accomodi.
È iscritto a parlare l'onorevole Niccolini, che illustrerà anche la mozione Pisanu n. 1-00367, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GUALBERTO NICCOLINI. Presidente, credo che dobbiamo sgombrare subito il campo da dubbi o da illazioni. Qui in Parlamento non c'è nessuno a cui credo possa piacere la guerra. Qui in Parlamento non possiamo dividerci tra interventisti e non interventisti: la guerra è un fatto che nessuno di noi vuole.
Dobbiamo però esaminare le ragioni che hanno fatto precipitare la situazione; dobbiamo allora cominciare a parlare di chi sia Milosevic. Se ricordiamo bene, è il massacratore in Bosnia, è l'uomo che ha fatto morire migliaia e migliaia di cittadini bosniaci e anche croati; è l'uomo però che ad un certo momento prese 300 mila serbi e li portò via, pacificamente, dalla Krajna croata per barattare la pace.
Divenne l'uomo di Dayton! I giornali americani gli dedicarono le «copertine» e dissero: è l'uomo della pace! Dove vuole portare i 300 mila serbi che sono ancora in giro per il paese? Naturalmente nel Kosovo. È lì che ha iniziato questa sua nuova pulizia etnica ed è lì che ha ripreso il suo mestiere di massacratore!
In Kosovo, come sapete bene, il 90 per cento della popolazione è albanese mentre il 10 per cento è serba. I serbi dunque sono in grandissima minoranza ed essendo in minoranza hanno un orgoglio


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etnico molto maggiore. È per questo che lui non può rinunciare al Kosovo; rinuncerà ad una parte del Kosovo, rinuncerà a quella parte dove sta inviando quella «fetta» di albanesi che sono di troppo in quella parte di territorio che lui vuole.
Ha fatto per anni il mestiere di massacratore; l'abbiamo seguito in tutte le vicende. In fondo Milosevic segue un suo mandato, c'è un filo logico in quanto ha fatto e sta facendo.
L'occidente non può tollerare che nei Balcani si formi una repubblica indipendente islamica. Il discorso valeva per la Bosnia, per l'Albania e vale oggi per il Kosovo. Dunque, Milosevic - piaccia o non piaccia - è un baluardo contro questo pericolo islamico nei Balcani, nel Mediterraneo, nell'Europa.
Però lui ha esagerato con la sua pulizia etnica, con i massacri e più lui va avanti, più si esalta l'indipendentismo islamico degli albanesi del Kosovo. Ed è per questo che andava fermato! Perché finché svolgeva la sua pulizia etnica in maniera sotterranea e in maniera non così tragica e sanguinosa, il suo lavoro andava benissimo. Ma oggi il suo lavoro è andato oltre ed allora, per non esaltare ancora di più l'indipendentismo islamico del Kosovo, quindi dell'Albania e della Bosnia, andava fermato.
Scusatemi, amici, ma veniamo agli «scudi» umani di Belgrado. Sono scudi umani prestati da questo Parlamento ad un regime nazista. Non ho visto scudi umani a Sarajevo e a Srebrenica e non li ho visti a Mostar, dove altri scudi umani hanno pagato con la vita il fatto di aver salvato un bambino bosniaco sotto una pioggia di granate serbe e croate. Parlo di tre giornalisti triestini che a prezzo della loro vita hanno salvato un bambino. Ma erano giornalisti in missione, non politici in campagna elettorale!

Una voce dai banchi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania: Deficiente, porta rispetto!.

GUALBERTO NICCOLINI. Signor Presidente del Consiglio, siamo stati corretti con gli alleati - l'ho sottolineato - ma lo siamo stati fino a ieri quando, considerati i problemi interni alla sua maggioranza, si è verificato un piccolo cedimento. Da una parte, vi è Cossutta, dall'altra, Clinton e Blair le hanno ricordato l'impegno internazionale del nostro paese. È un impegno particolarmente gravoso perché la guerra sta diventando ancora più pesante.
Le ultime notizie rendono evidente che, a fronte delle resistenze di Milosevic, si inaspriranno i combattimenti su quel territorio. Saremo chiamati ad ulteriori sforzi bellici e, considerato che non bastano quattro bombe o tre missili per destituire Milosevic - che, anzi, stiamo rafforzando -, bisognerà rendere più crudele la guerra, radere al suolo ancora più fabbriche, fare ancora più danni.
La guerra sarà, quindi, ancora più dura e l'impegno degli alleati americani, inglesi e tedeschi dovrà essere mantenuto anche nei momenti più difficili. Eppure, sanno che nella sua maggioranza vi sono anche i comunisti che ancora oggi parlano contro la NATO e vorrebbero che l'Italia uscisse dall'Alleanza nello stesso momento in cui paesi ex comunisti stanno entrando entusiasticamente nella NATO. È toccato alla Bulgaria, alla Repubblica ceca e alla Polonia, domani toccherà alla Slovenia e alla Romania. Alcuni paesi hanno fatto passi avanti, mentre vediamo che nella vostra maggioranza vi è chi continua a restare distrattamente nel passato.
Credo che il rispetto degli accordi internazionali sia un elemento di grande portata. Abbiamo ricordato più volte in quest'aula che la politica estera di un Governo rappresenta lo spessore di uno Stato.
Signor Presidente del Consiglio, lei incasserà l'assenso al comportamento finora tenuto e il consenso affinché l'Italia continui ad essere fedele a quel patto. Ma credo che sarà suo dovere riferire al Capo dello Stato chiarendo chi abbia votato dando l'assenso, quale coesione vi sia in questa maggioranza e quale coesione trasversale esista nell'interesse del paese che richiede anche un Governo stabile, sorretto da una maggioranza concreta che, al


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di là delle scelte positive o negative dell'opposizione, sia in grado di mantenere seriamente le sue parole.
Non possiamo continuare a vendere la pelle dell'orso all'estero per poi tornare in Parlamento e tener fede a quelle parole solo grazie ai voti dell'opposizione. Il senso di responsabilità nei confronti dello Stato e dei cittadini italiani che l'opposizione ha sempre dimostrato è molto forte. Sarebbe il caso che anche il Governo avesse lo stesso senso di responsabilità nei confronti dello Stato e dei cittadini italiani!
Auspichiamo pertanto, dopo questo assenso, un suo incontro, signor Presidente del Consiglio, con il Presidente della Repubblica per riferirgli esattamente chi ha votato e come è finita la sua maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gnaga, che illustrerà anche la mozione Comino n. 1-00365, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SIMONE GNAGA. A nome del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania, non inizierò rispondendo alle basse provocazioni dell'onorevole Niccolini che dovrebbe almeno avere il rispetto di persone che in questo momento si trovano in posti meno comodi di questo. Sono colleghi suoi, miei, di tutti noi, compresi i giornalisti od altri!

PRESIDENTE. Onorevole Gnaga, mi scusi: si rivolga al Presidente.

SIMONE GNAGA. Trovo quindi che sia stato molto offensivo quello che lei ha detto nei confronti di nostri, ma anche suoi colleghi (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania). Questo per rispetto anche di chi in questo momento è in quell'area come testimone della tragedia in atto. Non entro poi nel merito di basse insinuazioni politiche.
Sono invece innanzitutto sorpreso, Presidente, delle affermazioni del rappresentante dei comunisti di maggioranza: non abbiamo capito niente. Abbiamo ascoltato un bel discorso di carattere storico ma, sentiremo dopo, in sede di dichiarazioni di voto, quali siano le indicazioni politiche.
Entrando nel merito, non si può dire altro, signor Presidente del Consiglio, se non che alcune affermazioni - mi scusi - sono di carattere sicuramente ipocrita. Lei afferma che un principio è tale se vale sempre. Ma come? Abbiamo uno Stato partner in Europa, come la Turchia, nel quale avvengono cose ben peggiori e non solo questo Governo non ha fatto niente, ma neppure la NATO si è mai mossa. E voi sapete meglio di noi quello che sta avvenendo nel Kurdistan. (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)! Tutti lo sanno, ma nessuno si è mosso. Oltre tutto, signor Presidente, queste cose si verificano non soltanto in determinate zone all'interno dei confini europei, ma anche in altre aree; ma la NATO sembra, logicamente, avere competenza, soprattutto per l'Europa!
Lei, signor Presidente, ha detto che quelle cose stanno avvenendo da molto, molto tempo: ebbene, molto, molto tardi ci stiamo muovendo. Non c'è un organismo europeo che si sia mosso in modo efficiente. Pensi - ma voi lo sapete meglio del sottoscritto, meglio di noi - che non c'è nessun organismo europeo ed internazionale che abbia riconosciuto, fino a tre mesi fa, l'interlocutore del Kosovo, che fosse Rugova o Demaci; nessuno dava loro una credenziale per essere riconosciuti. Infatti, per la prima volta il riconoscimento si è avuto a Rambouillet.
Io porto delle testimonianze anche all'interno della UEO, quello che viene enfatizzato come braccio armato, il bras armé, dell'Unione europea che, oltre tutto, dovrebbe venire meno perché è volontà dei nostri partner - per la verità più dei suoi, signor Presidente - proporre prossimamente a Washington (mi riferisco alla dichiarazione di Saint Malo da parte del Presidente Blair) che, in pratica, l'UEO scompaia e l'Agenzia europea di difesa sia


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integrata all'interno della NATO. Quindi, la nostra competenza, anche per quanto riguarda la difesa e la sicurezza europea, dipenderebbe ufficialmente dalla NATO. In questo caso però, signor Presidente, i paesi dell'ex Patto di Varsavia come si comporteranno? Oltre tutto all'interno della NATO mi sembra che neanche questa volta ci sia stata una grande coesione.
La NATO non è un organismo di intervento militare, né per statuto è un organismo che può operare per effettuare azioni umanitarie.
Lei ci ha descritto le problematiche che sta affrontando in questo momento il Consiglio di sicurezza dell'ONU per motivi regolamentari. Estremamente nobile da parte sua ricordarsi questo, ma qui non siamo in un comitato regolamentare che deve trattare. Ci troviamo di fronte ad eventi tragici e dal momento della stesura del suo discorso ad oggi sono morti altri civili, dall'una e dall'altra parte, e noi, signor Presidente, siamo soggetti in causa, non siamo soltanto persone che stanno a guardare da poche centinaia di chilometri.
«L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»: questo recita l'articolo 11 della nostra Carta costituzionale. L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali: lo ripeto, è l'articolo 11 della nostra Costituzione.
L'Italia non è in guerra? Nel nostro territorio siamo sicuramente uno Stato ed una società a sovranità limitata, lo ripetiamo da tempo e dobbiamo sottolinearlo. Che cosa intendiamo fare? Possiamo accettare una situazione del genere?
L'altro giorno un rappresentante del Governo ha detto che adesso sarebbe il caso di smettere di buttare le bombe e di tornare alla via politica. Questo è successo dopo quarantott'ore dall'inizio dei bombardamenti e lei pensa che il popolo che vive nella Repubblica federale di Jugoslavia adesso non sia ancora più compatto nei confronti di Milosevic - che non è sicuramente un santo - e che sia disposto, a questo punto, a tollerare quello che non ha tollerato poco tempo fa, che sia disposto a sottoscrivere ora, dopo aver ricevuto in testa qualche centinaia o qualche migliaia di bombe e di missili, quello che non ha firmato poco tempo fa? Lei pensa questo? Oppure è davvero così fiducioso che i sistemi di puntamento dei nostri aerei (dico nostri, perché, a quanto pare, sono anche nostri, essendo noi partner della NATO) abbiano colpito soltanto obiettivi militari e fatto poche vittime - o quasi nessuna - tra i civili?
Il suo è stato un discorso ipocrita, signor Presidente del Consiglio, un discorso che offende la dignità di qualsiasi cittadino che non ama la guerra. Non pretendo né voglio accusare qualcuno di amare la guerra ma, certamente, senza fare un discorso di maggioranza o di opposizione politica, vorrei avere la dignità di poter dire, una volta per tutte, che, pur essendo partner della NATO, siamo contrari a questo intervento. Invece, interveniamo direttamente concedendo le nostre basi, perché questi sono gli accordi internazionali. Quando fa comodo, però, gli accordi internazionali non vengono rispettati; infatti, a questo punto, era il Consiglio di sicurezza dell'ONU a dover intervenire. Quando conviene, si cerca di baipassare gli organismi internazionali preposti a svolgere compiti specifici, mentre, se a questo Governo fa comodo richiamarsi a qualche altra giurisdizione internazionale, si cerca di richiamarvisi.
Sicuramente, la rivisitazione della NATO è un argomento che andrà affrontato. È questo un momento tragico, caratterizzato dalla assoluta debolezza delle Camere. Ieri l'attività parlamentare si è svolta di fronte ad un'opinione pubblica costernata per quel che sta avvenendo, di fronte a morti dell'una e dell'altra parte; su questo non vi è alcun dubbio e ne potremo parlare, perché non vi sono i buoni da una parte e i completamente cattivi dall'altra.
Ho ascoltato una enfatizzazione dei termini a dir poco provocatoria; ho sentito parlare di genocidio, di personaggi simili a Hitler e Stalin, di pulizia etnica. Secondo me, si tratta di argomenti che


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non danno alcun contributo non solo alla verità storica, ma anche alla possibilità di costruire qualcosa attraverso la via diplomatica e politica, che si poteva seguire...

MARCO TARADASH. Voi non siete favorevoli all'autodeterminazione dei popoli?

SIMONE GNAGA. ...fino a due mesi fa. Noi siamo contrari all'uso di un conflitto bellico per risolvere qualsiasi tipo di diatriba.
Onorevole Taradash, voi siete molto bravi nell'usare la politica estera solo in funzione della politica interna. Complimenti! La usate, in questo caso, soltanto per riuscire a far pesare la vostra presenza con i numeri; ma l'importante non è questo. Si dovrebbe intervenire, e dovevamo intervenire prima, tutti quanti, anche con il coinvolgimento degli organismi internazionali, per impedire ciò di cui tutti eravamo a conoscenza. Tutti sappiamo che il prossimo passo, purtroppo tragico, sarà quel che avverrà in Macedonia. Dal 1991 ad oggi è accaduto tutto ciò che si poteva prevedere.

VINCENZO ZACCHEO. Hai ragione, anche quando c'era il Governo Dini che voi avete appoggiato!

SIMONE GNAGA. Al riguardo, nessuno ha fatto niente; è questa la sconfitta non soltanto dell'attuale Governo, ma anche degli organismi internazionali (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
La NATO, signor Presidente del Consiglio, non può essere un palliativo! In questo caso doveva esservi il ricorso ad una dignità di Stato; il Governo doveva affermare che la NATO non era adatta ad intervenire.
In due mesi, dall'inizio delle trattative di Rambouillet, tutto è stato trasformato: prima, i kosovari non erano nemmeno degni di partecipare ad un tavolo negoziale, né la parte di Rugova né quella di Demaci, perché non riconosciuti da alcuno, nemmeno dalla UEO e dall'ONU. Improvvisamente, ora, la situazione è cambiata, considerato che solo i kosovari hanno accettato un secondo trattato Rambouillet; il primo trattato, però, non era stato firmato dai kosovari, mentre era stato accettato da Milosevic.
Faccio notare - nessuno l'ha detto - che fra il primo e il secondo trattato vi è la questione del censimento; uno di quegli aspetti che, legittimamente, la parte serba vorrebbe inserire e che, previsto nel primo trattato, non è contemplato nel secondo. Si tratta di un aspetto molto importante, anche perché il flusso migratorio è avvenuto dall'Albania verso il Kosmet (il Kosovo può essere definito, anzi si chiama, Kosmet).
Sottolineo, quindi, la sconfitta degli organismi internazionali, la mancanza di dignità da parte dell'esecutivo, signor Presidente del Consiglio. Il suo è un discorso assolutamente ipocrita, anche perché basato sull'enfatizzazione, fino a pochi mesi fa, dell'Ulivo mondiale. Io, come tutti quanti, i giornali li leggo; ebbene, vi ricordate l'Ulivo mondiale? Blair, Clinton, tutti andavano negli Stati Uniti d'America ad affermare che finalmente era sorta una nuova era per il mondo. È iniziata bene la nuova era, proprio con Blair e Clinton (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania)!
Complimenti, se questa è la nuova era dell'Ulivo mondiale, abbiamo un grande futuro davanti a noi, soprattutto grande per quegli organismi militari nelle mani soltanto degli Stati Uniti d'America. Noi siamo i fantocci degli Stati Uniti d'America, signor Presidente del Consiglio.
E purtroppo si sta verificando ciò di cui abbiamo paura tutti!
Signor Presidente del Consiglio, i deputati del gruppo della lega nord...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Gnaga, ma deve concludere.

SIMONE GNAGA. Avviandomi alle conclusioni, vorrei dire che, mentre preannunciamo il nostro voto favorevole sulla mozione Comino n. 1-00365, esprimeremo sicuramente un voto contrario


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sulla risoluzione che - in modo abbastanza meschino - ha proposto la maggioranza. Quest'ultima, infatti, è stata presentata all'ultimo momento, tanto è vero che non è ancora tra i documenti stampati dalla Camera. È stata presentata all'ultimo momento - lo ripeto - una risoluzione, che contiene principi forti, per garantire la stabilità dei numeri della maggioranza di Governo e non invece per fornire un contributo ed una proposta valida per risolvere la situazione.
Signor Presidente del Consiglio, è pericoloso che taluni esponenti del suo Governo continuino ad operare dicendo che, a questo punto, autorizzeremo anche i nostri piloti a sganciare bombe, se verrà loro ordinato. Se questa è soluzione politica che lei ritiene opportuna per affrontare la situazione, la invito a parlare prima con il ministro della difesa Scognamiglio per mettervi d'accordo.
Per quanto ci riguarda, a differenza di quanto sostengono i vostri compagni di maggioranza tipo quelli del signor Cossutta, in questo caso non avrete mai alcun tipo di appoggio da parte nostra (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania e del deputato Rosso - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cimadoro. Ne ha facoltà.

GABRIELE CIMADORO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, sciaguratamente si è avverato ciò che nessuno di noi sperava avvenisse: la guerra! Una sciagura provocata, controllata e gestita da esseri umani e, proprio per questo, molto più temibile ed imprevedibile degli eventi naturali.
Le notizie che si rincorrono di minuto in minuto ci devastano il cuore: popolazioni bombardate, famiglie in fuga, villaggi rasi al suolo. Sono i soliti e tristi rituali di guerra che niente e nessuno risparmia. E noi siamo qui a chiederci da che parte sia la ragione e chi abbia più diritti su chi. Onestamente, non ce la sentiamo di unirci a questo coro. L'UDR al riguardo ha una sua compattezza di intenti politici e spessore morale. Vogliamo chiedere e chiediamo, qui e seduta stante, l'assunzione di una iniziativa forte volta a riprendere subito i negoziati e a far sospendere i bombardamenti. Non vediamo quale ruolo migliore potremmo svolgere, quale protrebbe essere altrimenti il nostro operato, il nostro agire politico affinché l'Unione europea maturi una posizione globale ed una forte azione comune sui Balcani.
Sosteniamo, come previsto dall'accordo di Rambouillet, il ruolo dell'ONU, affinché possa aprirsi un tavolo di trattative per giungere a dispiegare una forza multinazionale di interposizione con il coinvolgimento del gruppo di contatto e, parallelamente, cioè da subito, per predisporre gli interventi opportuni per garantire l'accoglienza di profughi e di convocare un tavolo di coordinamento per gli aiuti umanitari.
Questa guerra non l'abbiamo voluta. L'Europa non ha lavorato alla sua unione per ritrovarsi i vicini di casa - forse noi stessi - in guerra. Non vogliamo la guerra perché realisticamente non crediamo possa esistere una via di guerra che porti ad una via della pace; alle sacrosante richieste delle popolazioni kosovare si contrapporranno - e noi non possiamo far finta che non esistano - le altrettanto giuste, per parte loro, richieste di milioni di serbi.
Ma sappiamo come iniziano i fatti di guerra; non sappiamo però quasi mai come finiscono! È possibile prevederlo, perché la storia della guerra ce lo dice: ci saranno ragioni, richieste e rivendicazioni a catena; si innescherà una spirale di contagio virale perversa e devastante in cui, ragioni ed odi lungamente sopiti, sfoceranno nelle barbarie.
Signor Presidente del Consiglio, cari colleghi, l'UDR rivolge questo appello a tutti, maggioranza e opposizione, politici di destra, di centro e di sinistra, laici e cattolici (per ciò che in questo drammatico momento possono valere e significare tali definizioni): in questo momento siamo tutti chiamati a mettere da parte le contrapposizioni e le coloriture tattiche o politiche; il paese, gli italiani, gli elettori,


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la tanto declamata gente comune, non ci perdonerà mai - e ne avrà tutte le ragioni del mondo - se non uniremo i nostri sforzi per fermare la guerra.
Mantenendo fede alla NATO e agli accordi presi, il nostro intervento sarà solo per una fase difensiva. Per questa ragione ci proponiamo come interlocutori presso il governo serbo, per un possibile spiraglio di trattativa. Ricordiamoci peraltro che l'Italia tra i paesi della CEE è la sola nazione con la quale il Governo serbo non ha interrotto i rapporti, giungendo - quel che è peggio - a chiudere le sedi diplomatiche. Ciò costituisce un chiaro ed inequivocabile segnale per il nostro paese: la Serbia ci chiede di continuare nello sforzo diplomatico e politico. In questo senso condividiamo le dichiarazioni da lei fatte, signor Presidente del Consiglio, perché crediamo nella capacità nostra, di tutto il Parlamento, di agire per una soluzione del conflitto pacifica e coerente, anche se la coerenza forse non connota il comportamento di tutti i ministri che fanno parte del Governo che lei presiede.
Confrontiamoci su come sia possibile raggiungere la pace, su come sia possibile concretamente, da subito, affrontare l'emergenza delle centinaia di migliaia di profughi che da qui a poco si riverseranno sul nostro territorio. Non minimizziamo la portata degli sforzi che tutti siamo chiamati a sostenere, ma sia chiaro che su questo dramma umano nessuno deve versare benzina o accendere diatribe su rendite di posizioni: che nessuno di noi approfitti di questo drammatico momento per sobillare divisioni nel paese e nel Governo! O questo confronto ci porterà verso soluzioni concretamente positive per la pace o saremo tutti complici e perdenti di fronte alla realtà, al da farsi immediato che è - lo ripetiamo a voce alta - quello di sospendere i bombardamenti coinvolgendo le nostre migliori risorse umane e materiali.
Tutto il resto, cari colleghi, in questo contesto risulta stonato, crudele, sleale per il popolo italiano che ci ha conferito il mandato parlamentare ma soprattutto per le migliaia di esseri umani che stanno morendo sotto i bombardamenti (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDR).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tremaglia. Ne ha facoltà.

MIRKO TREMAGLIA. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha detto una cosa certamente obiettiva e vera: la guerra c'era già. Ed era una guerra terribile della quale non possiamo non ricordare i fatti veramente spaventosi: un popolo che moriva, un popolo assediato, un popolo in fuga; centinaia di migliaia di persone; eccidi e carneficine. Tutto questo non bisogna dimenticarlo. Lo dico a quanti si meravigliano o fanno finta di meravigliarsi che ad un certo punto inevitabile - lo ha detto lei qualche giorno fa - è stata decisa l'azione militare.
Cosa voleva dire non arrivare a questa operazione? Voleva dire lasciare che quelle popolazioni subissero centinaia di migliaia di morti. Chi le difendeva più?
Non è vero che non siano stati compiuti tentativi: ne abbiamo un lungo elenco, lei ne ha citato qualcuno. Vi sono stati interventi, anche delle Nazioni Unite, certamente, nel 1998, nei mesi di marzo, di luglio, di settembre, di ottobre e di novembre. Ma l'ONU è quella che è: è un organismo strano che fa petizioni di principio e non va più in là! Ricordiamoci della Bosnia: ventidue risoluzioni mentre la catastrofe era in atto!
È stato necessario l'incontro di Londra del 21 luglio 1996 per dare il via, con la NATO, all'operazione che ha portato alla cessazione di tutti quegli eccidi. Si è poi arrivati a Dayton.
Mi pare, dunque, che dobbiamo dire e ripetere che le Nazioni Unite son condizionate da uno strano veto, che dura da cinquant'anni e che pesa in termini antidemocratici in modo pesantissimo. Sono le cinque potenze che hanno vinto la seconda guerra mondiale! Dobbiamo ricordare, però, che il gruppo di contatto si è messo in movimento con le dichiarazioni di Londra, di Bonn, di Roma, di


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Londra, di Bonn, di Londra, di Londra e di Parigi, per tutto l'anno 1998. Il gruppo di contatto vuol dire Europa! Non possiamo continuare ad attaccare l'Europa dicendo che non esiste: questa volta è esistita! Ma nel gruppo di contatto c'è anche la Russia, ed è giusto ricordarlo in relazione al ruolo e alla funzione, talvolta essenziali, specie per quanto riguarda i Balcani (ricordiamo ancora una volta la Bosnia) che essa può svolgere.
Dopo tutti questi interventi del gruppo di contatto non vi è stato nulla da fare; è intervenuto anche, dobbiamo ricordarlo, l'OSCE, con continue dichiarazioni, ma Belgrado non ne ha voluto sapere nulla! Siamo arrivati allora a Rambouillet: si è ricordato che nel mese di ottobre vi è stato un ordine di azione, che poi è stato sospeso e che da ottobre ha continuato ad essere sospeso; in sostanza, si è fatto tutto il possibile per non arrivare alla rottura, che però è avvenuta a Rambouillet, dove, mentre gli albanesi del Kosovo firmavano, anche sotto la pressione americana, lo stesso non faceva Belgrado.
Così scoppiano inevitabilmente le situazioni: cosa vuol dire l'intervento armato? È un deterrente: un'operazione di pochi giorni - non so se quattro, cinque o sei giorni - fino a quando Belgrado dice sì a Rambouillet. Solo dopo comincia un altro discorso, signor Presidente, solo dopo si può parlare di riprendere i negoziati e la trattativa, dando la sicurezza alle popolazioni del Kosovo, che sono, ripeto, costrette ad una fuga terribile, in situazioni incredibili. Si parla delle donne e dei bambini con riferimento ai bombardamenti, ma bisogna anche parlare delle donne e dei bambini per quello che è continuato ad accadere nel rapporto tra Belgrado e le popolazioni del Kosovo.
Allora noi, che abbiamo grande sensibilità, affrontiamo una situazione di carattere generale pericolosissima per la pace: è inutile dire che la NATO ha carattere difensivo; sì, ha carattere difensivo ma deve difendere anche la pace; la pace però si annulla completamente, e si giunge alla guerra, quando vi sono queste aggressioni, anche sul piano dei diritti umani, civili e politici!
Signor Presidente del Consiglio, per quanto ci riguarda, abbiamo sempre tutelato nei momenti più critici la credibilità italiana, dello Stato italiano, non del Governo: lei ricorda l'Albania e tutto quello che è capitato quando - lei stesso lo ha ammesso - senza l'appoggio dell'opposizione si sarebbe andati alla catastrofe a causa dell'inaffidabilità dell'Italia. Ebbene, ora le voglio dire che il Governo è inaffidabile, e mi spiace sottolineare quello che è accaduto in questi giorni, signor Presidente del Consiglio. È agli atti della Camera la mozione del 24 marzo firmata dai comunisti che stanno nel Governo, la quale termina con le seguenti parole «impegna il Governo ... a non consentire l'impiego di mezzi e di forze militari italiane in azioni di guerra». Non lo dicono più adesso? Non è possibile, proprio sul piano della serietà, della governabilità, della stabilità, che due giorni prima si potesse dire una cosa sulla quale lei non poteva convenire, perché sarebbe stato l'unico in Europa in una situazione di questo genere! Il Governo italiano, poi, a Bruxellese, non ha posto alcuna pregiudiziale - lo ricordo ai cossuttiani - per quanto riguarda questa operazione. Pertanto, l'inaffidabilità emerge perché lei non ha una maggioranza, se non quella fittizia di un compromesso dell'ultimo minuto (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia) sulla politica estera. Ma è proprio la mozione di maggioranza, che lei avrà mal digerito -, perché è persona seria e sa che deve rappresentare l'Italia - che impegna il Governo ad adoperarsi con gli alleati della NATO per una iniziativa volta a riprendere subito i negoziati e a sospendere i bombardamenti. Questo è assurdo! I negoziati dovranno essere ripresi quando il deterrente avrà funzionato, altrimenti cosa lo abbiamo messo in opera a fare (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale)? Come fa a dirlo, non dico agli alleati


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atlantici, ma agli altri paesi europei? È una posizione incredibile ed inaccettabile.
Signor Presidente, ecco perché noi diciamo che si dovranno riprendere i negoziati, con messaggi forti sul piano politico, solo quando Milosevic avrà detto che accetta gli accordi di Rambouillet. Solo allora si potrà prendere il primo contatto con il gruppo di contatto, cioè anche con la Russia, la quale deve adoperare il suo peso e la sua forza per una soluzione che, senza dubbio, deve essere pacifica. La Russia, tra l'altro, aveva già accettato gli accordi di Rambouillet, cioè l'autonomia del Kosovo.
Signor Presidente, ecco perché voteremo contro una mozione che non si sa bene quanto sia coerente con quanto affermato due giorni prima dagli stessi comunisti e che oggi significa un isolamento - attenzione, signor Presidente - degli alleati, non solo di quelli transatlantici (non siamo in posizione di sudditanza rispetto a chicchessia), ma anche di quelli europei. È l'Europa che dice «basta» al gioco al massacro.
La conclusione di questo dibattito è che lei onestamente, obiettivamente e serenamente deve andare a riferire al Capo dello Stato e la nostra sfida è quella di tornare in aula, una volta per sempre, a fissare i termini della vera politica estera, senza i compromessi, senza il doppio gioco. Ciò significa venire in questa sede - ecco la sfida - e porre la fiducia sulla politica estera, per rendere credibile l'Italia nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Buffo. Ne ha facoltà.

GLORIA BUFFO. Signor Presidente, come altri parlamentari del mio gruppo, sono fra coloro che dissentono, che non condividono la scelta di bombardare la Serbia. Ho ascoltato l'onorevole D'Alema, ma non mi ha convinta; sono prima di tutto preoccupata e angosciata per le violenze ed i massacri compiuti nei confronti della popolazione albanese del Kosovo da Milosevic, che ha responsabilità gravissime. Penso che la violenza e le pulizie etniche in quell'area, come altrove, non vadano solo esecrate, ma fermate. Tuttavia c'è una domanda alla quale è doveroso rispondere: siamo, siete sicuri che saranno le bombe su Belgrado a fermare le persecuzioni e le violenze? A questo interrogativo non ho sentito dare una risposta convincente. Non si dica che siamo anime belle perché chi intraprende, come ha fatto la NATO, un'azione bellica violando il diritto internazionale - che non è un cliché, ma una garanzia reciproca - e lo fa in nome dei diritti umani, deve sapere e deve rispondere di quello che accade con le bombe e dopo le bombe.
Ciò che sappiamo già per certo è che il ritiro degli osservatori internazionali in vista della guerra ha intensificato le violenze sugli abitanti del Kosovo; che Milosevic è meno isolato di prima; che il nazionalismo serbo e slavo, con l'intervento, è cresciuto e può divampare; che esiste un concreto rischio di allargamento del conflitto con possibili spaventose conseguenze. Se si accetta l'uscita di scena della politica, con tutte le soluzioni che questa offre, comprese quelle che potremmo ancora perseguire - e forse non tutte sono state perseguite fino in fondo -, e la parola passa ai missili, o si lanciano i Cruise in tanti paesi di molti continenti - in Africa, a tutela dei curdi in Turchia, così come avremmo dovuto lanciarli nel Sud Africa dell'apartheid -, oppure chi decide dove i diritti umani vanno difesi con la guerra e dove non valga la pena di farlo (Applausi dei deputati dei gruppi comunista e misto-rifondazione comunista-progressiti)? Chi stila la tragica selezione dei massacri che comportano un intervento bellico e di quelli che non lo meritano? La NATO - dove siedono paesi che violano i diritti umani, come la Turchia -, gli Stati Uniti o il più potente di turno?
Ecco perché all'ONU va ridato un ruolo, pena il prevalere della logica del più forte e che le bombe, sempre pericolose, siano messe in campo in certi casi,


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mentre altre situazioni sono lasciate a se stesse. I diritti umani sono troppo importanti per essere invocati a macchia di leopardo e le guerre troppo devastanti per essere fatte senza badare alle conseguenze ed anche alle premesse: perché qualcuno ha finanziato l'UCK?
La nostra critica rimane fermissima. Non possiamo, tuttavia, non vedere la novità contenuta nella mozione che oggi ci viene sottoposta, ovvero il fatto che l'Italia e il suo Governo, con il dispositivo in essa contenuto, chiedono di fermare i missili e di tornare all'iniziativa politica.
Lo considero un fatto di rilievo tutt'altro che scontato ed è questa la ragione per cui io ed altri colleghi voteremo a favore della mozione stessa, che contiene una posizione che può aprire la strada affinché altri Governi chiedano di fermare subito la guerra. Questo atto può fermare la guerra, perché dimostra che non esiste solo quella.
Non c'era altra strada - si è detto - che la forza delle armi: non credo sia così. C'era e c'è un'altra strada - altrimenti dovremmo rassegnarci a fare cento guerre in tutto il pianeta - e l'Italia, almeno ora, può aiutare ad imboccarla. Una crisi di Governo non aiuterebbe in questa impresa, anzi darebbe più fiato a quei Governi - innanzitutto quello americano e inglese - che pensano che se, dopo le bombe, non ci saranno risultati, resterà solo il ricorso ad altre bombe, con quali esiti - ahimè - è facile prevederlo. Dobbiamo assolutamente scongiurare tali esiti (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo e comunista).

TEODORO BUONTEMPO. Chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, ho apprezzato l'intervento della collega Buffo, la quale, tuttavia, si è dichiarata contraria agli avvenimenti in corso e, quindi, al proseguimento della guerra. Pertanto, avrebbe dovuto parlare a titolo personale.

PRESIDENTE. Questo riguarda la collega Buffo, onorevole Buontempo.

TEODORO BUONTEMPO. Non può fare un intervento a nome dei democratici di sinistra; lo può fare, ma a titolo personale.

PRESIDENTE. Onorevole Buontempo, le ricordo che siamo in regime di libertà e, quindi, ognuno parla come ritiene.
È iscritto a parlare l'onorevole Giovanni Bianchi. Ne ha facoltà.

GIOVANNI BIANCHI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, storpiando una vecchia metafora, mi sento di dire, a nome dei popolari, che una miccia accesa s'aggira per l'Europa e spegnerla al più presto è dovere e interesse non soltanto degli europei, non certo con un'iniziativa unilaterale, ma percorrendo la strada del convincimento tra i membri dell'alleanza di cui facciamo parte, con una lealtà non priva di identità e di iniziativa.
Infatti, dopo cinquant'anni la guerra è riesplosa nel cuore del vecchio continente. È bene, quindi, che su questa aiuola, che ci fa tanto feroci in un secolo tanto breve, si stia aprendo faticosamente la strada all'iniziativa del Governo italiano, con un riconoscimento positivo sul piano diplomatico dello stesso nemico di Belgrado.
Così come io credo contribuisca efficacemente a mutare il quadro l'iniziativa diplomatica vaticana che, per quel che è dato sapere, si rivolge a tutte le parti chiedendo a ciascuna un sacrificio per un risultato comune, iniziativa che dovrebbe consentire di richiamare in gioco la Russia offrendole il ruolo di garante territoriale della Serbia e sottraendola ad inutili gonfiamenti muscolari che poco si addicono al Cremlino in questa fase.
È stata giustamente ricordata in quest'aula la pesante eredità di questo secolo: è cominciato con la guerra nei Balcani, si chiude con un'altra guerra nei Balcani, una guerra - a dire il vero, perché anch'io sono di questo parere - che c'era già, con i massacri nei confronti della popolazione


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civile perpetrati dalle truppe speciali, e quindi specializzate in crudeltà e cinismo, di Belgrado. Una guerra che viene dopo l'altalena delle trattative al tavolo di Rambouillet, e qui vi è da dire che non soltanto i dirimpettai balcanici si sono rimpallati responsabilità in un susseguirsi di colpi di scena, ma anche le nazioni europee e NATO interessate allo scacchiere non sono state da meno: Stati Uniti e Gran Bretagna anti-Serbia, Italia e Francia più attente anche alle ragioni di Belgrado, la Germania inutilmente oscillante.
Anche per questo paghiamo, anche per questo un intervento tanto massiccio e distruttivo pare essersi mosso a tempo scaduto. È una miccia da spegnere al più presto perché la ferinità della guerra moderna, pur con le sue armi cosiddette chirurgiche (ma non esistono armi intelligenti, come ricorda il Presidente della Repubblica Scàlfaro), sembra destinata ogni volta a colpire il contesto e quindi, alla fine, più la popolazione civile che non gli eserciti in campo. È così nei Balcani, è così in Iraq, è così ancora nelle guerriglie africane. Oltre tutto non si fatica ad intendere che, profittando della situazione, Milosevic, allontanati tutti gli osservatori internazionali, è in grado di scatenare ulteriormente le proprie forze di polizia contro i cittadini del Kosovo.
Tutte queste ragioni testimoniano perché il mio collega e compagno di partito Lapo Pistelli fosse nel vero quando affermava che la guerra è comunque in ogni caso una sconfitta della politica. Non solo perché i popolari non stanno notoriamente dalla parte di Von Clausewitz, ma perché la natura della guerra è così distruttiva da non potere con i propri argomenti legittimare se stessa. Sto parafrasando un grande laico, un maestro dei giovani e della nostra coscienza nazionale, Franco Fornari, grande psicanalista, rispetto al quale davvero cospicuo è il debito di riconoscenza che abbiamo.
Comunque resto convinto della nostra leale partecipazione all'Alleanza atlantica che non può essere revocata in dubbio. Essendo stato cinque volte, da che si sono aperte le ostilità nella ex Jugoslavia, su quei teatri di guerra, mi sono fatto la convinzione che le truppe NATO sono quelle che hanno dato una prova più convincente per il semplice fatto di essere dotate di un'efficace filiera di comando. Non mi rallegro certamente per l'ostentata assenza e marginalizzazione dell'ONU in tutta la vicenda ma ho, d'altra parte, presente la mal sopportazione, in qualche caso il disprezzo, delle popolazioni di Sarajevo e Mostar per le truppe dell'ONU, i cui discutibili comportamenti, anche per le consegne procedurali, i cui strani e non encomiabili commerci sono stati oggetto di riprovazione. Vi sono casi di sequestri di persona verificatisi per mano dei serbi sotto gli occhi delle truppe ONU: 30 mila desaparecidos sono la tristissima eredità della guerra in Bosnia-Erzegovina.
Però nuovi ed inediti problemi a questo punto sono cominciati: vi è chi si è spinto a parlare di NATO globale promossa a gendarme internazionale. In effetti viviamo una fase di transizione anche sullo scacchiere mondiale: l'Alleanza atlantica sorse come strumento essenzialmente difensivo. Se avesse dichiarato la guerra, ci saremmo trovati di fronte al terzo conflitto mondiale, ma la cortina di ferro è caduta, così come le macerie del muro di Berlino testimoniano la fine «del più grande esperimento di ingegneria umana che la storia ricordi». Sembra Orwell, invece sono le parole del Papa polacco a Gliezno.
La guerra fredda contava procedure assodate, possedeva sperimentate liturgie. La nuova situazione è semplicemente sprovvista di regole. Una sola superpotenza tiene il campo e nel diritto internazionale il rapporto tra forza e diritto chiede di essere riproposto. L'ingerenza umanitaria è sovente invocata da chi poi si ritrae perplesso di fronte agli esiti, non sempre prevedibili, della sua applicazione.
È il problema posto da Luttwack: come si fa a tutelare le etnie senza incidere sulla sovranità? Né il discernimento può essere costituito dalla prossimità ideologica con il governo in questione. È per


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questo che la parola deve tornare il più presto possibile alla politica e alla diplomazia.
I problemi vanno posti, anzitutto, all'interno dell'Alleanza, a partire, direi, dal suo odierno statuto di fatto, non evitando il nervo scoperto del rapporto con l'ONU.
Se il Papa chiede «soluzioni rispettose del diritto e della storia», noi oggi sappiamo che nessun terreno di prova è più aspro dell'orrendo mattatoio dei Balcani.
Sappiamo, però, che questa tragedia ha un responsabile e un regista: Slobodan Milosevic, passato con sospetta tempestività dal comunismo al nazionalismo più arcaico e più spinto. E proprio nel Kosovo Milosevic, con deliranti discorsi, lanciò il messaggio e le operazioni per la realizzazione di quella che si ostinava a chiamare la grande Serbia.
Ha detto bene, nel dibattito dell'altro ieri, l'onorevole Martino che non possiamo opporre violenza a violenza, ma che la resa è moltiplicatore di violenze ulteriori. Se è vero che i bombardamenti in corso appaiono una versione moderna e ferina dell'assedio, resta davanti a noi la ragione vera e profonda dell'intervento: essa si chiama pulizia etnica. Essa ha già prodotto in Kosovo più di 300 mila profughi e più di 3 mila morti negli ultimi mesi (lo ricordava il Vicepresidente Mattarella).
Si tratta di fermare i massacri e frenare l'espulsione di quella che è la maggioranza del paese. In effetti, nei 13 mila metri quadrati di un paese esteso quanto l'Alto Adige, abbiamo assistito a prove di pulizia etnica senza limiti.
Che cos'è la pulizia etnica? Dice bene un documento ONU che pulizia etnica è il dover stare con i delinquenti della mia etnia e prendere le distanze dalle persone dabbene e dai democratici onesti dell'etnia percepita come avversaria. Questa pulizia etnica è già passata a Mostar, a Sarajevo, a Gorni Vakuf.
È questa insensata ferinità da mettere nel conto? Come fare interposizione in questi casi? Non sono interrogativi riservati ai politici o ai diplomatici: si tratta di interrogativi non ignoti alla società civile più avvertita, partecipe e versata nelle iniziative umanitarie.
Da quanto tempo abbiamo cominciato a chiederci in Europa, se sia possibile la pace perpetua? Con una risposta sardonica, firmata da Kant medesimo, dirò: il governo mondiale è dittatura mondiale. Ma neppure Kant è riuscito a convincermi.
Lo sforzo per istituzioni sovranazionali più efficaci non ha succedanei. Questa è ancora la strada da abbattere. Ed è ancora una volta la strada della politica.
Diceva Mazzolari che «noi che aborriamo la guerra sappiamo impugnare la spada non per ferire, ma per impedire di ferire». Ma è comunque bene che, al più presto, alla spada subentri la politica, anche perché non tutte le spade odorano di Mazzolari...
Per tutte le suaccennate ragioni, mi sento di concludere (sapendo di non avere probabilmente l'entusiastico consenso di tutti i gruppi, per evidenti ragioni di parte) che perché la guerra finisca al più presto è bene che questo Governo continui il suo lavoro (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo).

GIACOMO STUCCHI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente, pochi minuti fa è accaduto un episodio al quale non ero presente, che ha portato lei a decidere l'allontanamento dall'aula del collega Comino.
Credo che quella in discussione sia una questione molto delicata e che un po' di tensione sia quindi giustificata: chi più chi meno, sicuramente in quest'aula siamo tutti tesi, per questo le chiedo, signor Presidente, di rivedere la sua decisione e di consentire al collega Comino di rientrare in aula.

PRESIDENTE. L'onorevole Comino potrà rientrare in aula dopo l'intervento del collega Spini, prima della replica del Governo.


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È iscritto a parlare l'onorevole Guidi. Ne ha facoltà.

ANTONIO GUIDI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, con enorme rispetto ed anche con un senso di grande amarezza mi dichiaro e mi dichiarerò sempre, come ho fatto in passato, contro qualunque guerra. Ogni guerra è sporca, per quello che fa e per gli interessi che ci sono dietro, perché non risolve, ma aggrava. Mi permetto però di sottolineare - e va ad onore del Presidente della Camera - che in questo periodo si è parlato molto di non dimenticare (non dimenticare l'olocausto, ad esempio), il che è fondamentale. Allora vi pregherei, proprio perché aborrisco qualunque strumentalizzazione politica della guerra, di ricordare che troppa gente che oggi si dichiara pacifista ha inneggiato, ha omaggiato, ha scritto e parlato di tanti e terribili tiranni e addirittura massacratori, nel regime comunista. Se non dobbiamo dimenticare, non dobbiamo dimenticare nulla.
Signor Presidente del Consiglio, so che il suo compito è difficile, perché lei dirige una coalizione complessa, dove l'interrogativo e la sostanza della storia e della guerra sono visti spesso in maniera diametralmente opposta, per cui si rischia lo strabismo politico.
Mi permetto di leggere poche righe di Norbert Elias, nell'Humana conditio: «L'assassinio dei popoli è stato elevato dagli uomini ad un'istituzione stabile. Le guerre sono una solida istituzione dell'umanità;» (io direi purtroppo) «esse sono ancorate nelle istituzioni sociali così come negli atteggiamenti, nelle immagini che gli uomini si fanno di se stessi e ciò vale anche per coloro che vogliono la pace. Al centro della questione si trova perciò un compito che forse non è del tutto senza speranza: bisogna smontare la sfiducia».
Signor Presidente, per smontare la sfiducia non si può strizzare l'occhio a tutti, altrimenti si rischia la cecità: occorrono decisioni serie, condivisibili o non condivisibili, ma forti, perché la guerra fa male, ma la mediazione politica può fare peggio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, raramente il Parlamento italiano si è trovato ad affrontare una situazione così dura, così difficile e preoccupante: un'operazione militare alle porte di casa. Credo tuttavia sia giusto ricordare a noi stessi perché siamo qui, perché siamo arrivati a questa situazione. Ci siamo per decisioni che vengono da lontano.
Vorrei ricordare che l'act order deciso all'unanimità dalla NATO risale al 12 ottobre 1998, quando era ancora in carica il Governo del Presidente Prodi, cui formulo i migliori rallegramenti per la recente nomina. Vorrei ricordare che in questi mesi, a parte rifondazione comunista, che ha sempre avuto un comportamento coerente, nessuno nella maggioranza si è levato in questo emiciclo per chiedere che il Governo ritirasse la sua adesione all'impegno contratto con le sue alleanze internazionali. A sua volta, tale impegno veniva dopo che tre risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite avevano inequivocabilmente fissato sul Kosovo una linea chiara e precisa, sancendo la necessità che Milosevic si comportasse in maniera adeguata verso i diritti di quella popolazione.
Quando con tanta buona volontà si sente dire - e io lo condivido - che l'ONU deve entrare in campo, ci si deve anche domandare perché all'ONU in questi mesi non si sia mai dato retta. Da allora, per mesi si è trattato con Milosevic, anche con l'ausilio della Russia. Non dimentichiamo che l'accordo predisposto dal gruppo di contatto e rifiutato da Milosevic vedeva anche la partecipazione di quel paese alla sua formulazione. È sembrato incredibile che il leader serbo, che aveva incrinato il suo rapporto con la popolazione kosovara dopo il ritiro unilaterale dell'autonomia nel 1989, non comprendesse che solo dalla comunità internazionale potesse venirgli,


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come gli era venuta, l'assicurazione dell'integrità delle frontiere serbe a cui egli teneva e che gli indipendentisti kosovari gli contestavano con la recente guerriglia da parte dell'UCK.
Sembrava incredibile che Milosevic non avesse in qualche modo approfittato di questo atteggiamento della comunità internazionale, della sua mano tesa su tale questione. Sembrava incredibile, ma il peggio è avvenuto. Milosevic ha sfidato la comunità internazionale e la NATO e quest'ultima ha posto in essere quanto aveva annunciato.
Ho fatto questa premessa perché non vi fossero dubbi anche sulle azioni positive che andiamo ad intraprendere, sul fatto che le responsabilità le individuiamo, con chiarezza e precisione, nella parte serba. Essere, però, come noi siamo, nella NATO e solidali con l'Alleanza atlantica non significa perdere di vista la bussola del nostro operato: questa bussola si è costituita sull'affermazione dei diritti e sulla dignità della popolazione del Kosovo.
Questa non è una guerra contro la Serbia: è un'azione militare diretta a tornare al tavolo del negoziato per l'affermazione dei diritti della popolazione kosovara. È giusto allora porsi, come ha fatto l'Italia e come facciamo noi qui, il problema della sorte della popolazione kosovara in seguito ai bombardamenti. In particolare, dopo che l'espulsione - anche questa certamente non molto civile - dei giornalisti stranieri impedisce qualsiasi controllo dell'opinione pubblica in materia.
Ecco perché noi, pur se all'interno della NATO, poniamo questi problemi: quali sono le garanzie di protezione per la popolazione kosovara? Questi sono interrogativi validi ed è giusto che il Parlamento ed il Governo se li pongano. Essi non sono interrogativi che poniamo dal punto di vista pregiudiziale, ma servono a tenere l'ago della bussola sull'obiettivo strategico che ci siamo proposti.
Ecco perché è stata presentata la mozione di maggioranza: è giusto porsi, come sta facendo l'Italia, l'obiettivo di esplorare ogni strada e, quindi, anche l'ipotesi, ove concordata, della sospensione dei bombardamenti che riconduca al più presto possibile al tavolo del negoziato.
Se, però, uomini come il verde Joschka Fischer, ministro degli esteri tedesco, Tony Blair, Primo ministro britannico, e Lionel Jospin, Primo ministro francese, si sono dichiarati favorevoli all'intervento è stato perché l'alternativa non era tra pace e guerra. Avremmo scelto la pace senza pensarci un momento di più, ma l'alternativa era tra lasciare a Milosevic campo libero per la sua guerra e cercare di ristabilire condizioni accettabili di negoziato. Questo rimane il nostro obiettivo.
Ecco perché, in questo quadro, l'Italia - lo rivendichiamo - è il paese che nella NATO sta producendo il massimo sforzo negoziale. Se trovassero conferma in Milosevic le parole del vice primo ministro, e già capo dell'opposizione, Vuk Draskovic e cioè che la Serbia sarebbe pronta a cessare i suoi attacchi nel Kosovo contemporaneamente alla cessazione dei bombardamenti della NATO, ci troveremmo ad un punto molto importante. Si potrebbe partire da qui. Possiamo però svolgere quest'azione negoziale partendo dalla nostra posizione di partner della NATO e nella NATO. Noi la svolgeremmo fino in fondo.
Sarebbe paradossale, signor Presidente, se in questo momento così delicato assistessimo ad una bancarotta politica del nostro paese, ad una crisi di Governo o anche ad un suo indebolimento. Vorrei dire, a nome dei democratici di sinistra, che tale indebolimento nel rapporto con il Governo non c'è.
A Berlino è appena avvenuto un fatto di grande rilievo che citavo prima. Dopo tanti anni un italiano, l'ex Presidente del Consiglio Romano Prodi, assurge alla massima responsabilità esecutiva dell'Unione europea: la Presidenza della Commissione. Sarebbe assolutamente paradossale se non partissimo da fatti come questi per affermare la nostra grande ed importante presenza internazionale, ma ci incartassimo su noi stessi e, per motivi di politica interna, ci mettessimo nelle condizioni


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di non operare (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra-l'Ulivo).

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