Seduta n. 488 del 18/2/1999

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TESTO AGGIORNATO AL 22 FEBBRAIO 1999


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La seduta, sospesa alle 13,45, è ripresa alle ore 15.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCIANO VIOLANTE

Svolgimento di interpellanze sull'arresto del leader del PKK Ocalan.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento delle interpellanze Bertinotti


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n. 2-01626, Grimaldi n. 2-01627, Mussi n. 2-01629, Sbarbati n. 2-01630, Casini n. 2-01631, Giovanni Bianchi n. 2-01632, Cimadoro n. 2-01633, Comino n. 2-01634, Danieli n. 2-01635, Crema n. 2-01636, Brugger n. 2-01637, Paissan n. 2-01638, Trantino n. 2-01639 e Pisanu n. 2-01640 (vedi l'allegato A - Interpellanze sezione 1), sull'arresto del leader del PKK Ocalan.
Avverto che, come convenuto, lo svolgimento delle interpellanze all'ordine del giorno inizierà con l'intervento del Vicepresidente del Consiglio dei ministri, onorevole Mattarella.
Successivamente avranno luogo gli interventi in replica, per i quali è previsto un tempo complessivo di 15 minuti per gruppo e di 30 minuti per il gruppo misto.
Ha facoltà di parlare il Vicepresidente del Consiglio dei ministri.

SERGIO MATTARELLA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, una prima questione posta dagli interpellanti riguarda la gestione del caso Ocalan sul piano interno.
Mi riferisco, in particolare, all'interpellanza dell'onorevole Casini sulle modalità di partenza di Ocalan dall'Italia.
Come ho già avuto modo di affermare dinanzi a questa Camera nella seduta dello scorso 21 gennaio, sulla materia il Governo non ha nulla da nascondere e, al contrario, rivendica la trasparenza e la correttezza della sua azione.
Ribadisco che Ocalan ha lasciato l'Italia in seguito ad una sua libera scelta. Egli aveva assunto la decisione di lasciare l'Italia, presumibilmente anche in riferimento alla possibile evoluzione della richiesta di estradizione in Turchia, all'eventualità di celebrazione di un processo in Italia e alla conseguente possibilità che l'autorità giudiziaria assumesse provvedimenti di modifica dello stato di libertà da lui mantenuto nel nostro paese.
Il Governo era disponibile a concorrere alla ricerca di un paese che lo ospitasse, ma la scelta del paese in cui recarsi è stata fatta personalmente dallo stesso Ocalan che ha ottenuto direttamente, per il tramite dei suoi canali, la disponibilità ad accoglierlo.
Non è un mistero, né costituisce oggetto di segreto - anche perché rivelato da un noto esponente politico russo come Zirinovskij, nonché da numerosi organi di stampa con dovizia di particolari - che, partendo dall'Italia, Ocalan si sia recato in Russia, cioè nel paese dal quale era partito per giungere in Italia.
Vi si è recato con un aereo di proprietà privata noleggiato. Quanto al nome del titolare dell'aereo, ripeto quanto in quest'aula ho dichiarato il 21 gennaio leggendo dal resoconto: «Mi chiedo con quale diritto il Governo dovrebbe informare sull'attività legittima di un privato, incorrendo oltretutto nel rischio di esporlo, dato il carattere delicato della vicenda».

MARCO TARADASH. Ora si sa!

SERGIO MATTARELLA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Carattere, e aspetti di rischio, decisamente confermati dalle vicende di questi giorni.
Gli sviluppi e gli spostamenti successivi di Ocalan sono stati non soltanto al di fuori della conoscenza, e tanto più della responsabilità del nostro paese, ma anche - va detto con chiarezza - senza alcuna partecipazione diretta o indiretta del nostro paese o di suoi organi. Non vi è stato alcun patto segreto che abbia avuto come parte il nostro paese, né alcun negoziato con paesi terzi, non vi era motivo di farne e il Governo non ne avrebbe mai fatti con alcun paese.
Non vi è stato alcun tentativo concreto di Ocalan di rientrare nel nostro paese, non vi è stato nel nostro territorio alcuno scalo di aerei che lo trasportavano, né nel noto viaggio, non riuscito, verso l'Olanda, né nel viaggio che lo ha portato in Kenya, così come non è vero che in questi viaggi utilizzasse un aereo di proprietà italiana.
È apparsa, del resto, su organi di stampa l'ipotesi che il mezzo su cui ha tentato di recarsi in Olanda fosse di nazionalità estone, così come è noto, per affermazione dello stesso Governo greco,


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che lo spostamento in Kenya è stato effettuato ad opera di quel paese.
Va tenuto piuttosto in debito conto quanto avvenuto dopo la cattura di Ocalan in Kenya e il suo trasferimento in Turchia. Proteste ampie e diffuse, episodi di violenza, contraccolpi politici pesanti in alcuni paesi: in Grecia si sono dimessi alcuni ministri, in Kenya sono stati rimossi alcuni ministri e alcuni funzionari, sono stati - come è noto - occupate o presidiate decine di sedi diplomatiche in Europa, molte sono state chiuse.
Al di là degli aspetti di maggior rilievo, su cui mi soffermerò di più, che attengono alle relazioni tra gli Stati e alla tutela dei diritti umani, quanto è avvenuto e sta avvenendo in conseguenza alla cattura di Ocalan da parte della Turchia dimostra - credo di poterlo dire - la misura e la dignità con cui il Governo italiano, quando è stato investito da questa vicenda, si è comportato. È semmai ancora una volta motivo di rammarico il grave deficit d'iniziativa e di ruolo registrato, quando si era in tempo, dall'Unione europea.
Sulle modalità della cattura di Ocalan non si dispone ancora di informazioni che siano certe ed incontrovertibili. Sembra comunque che non vi sia stata alcuna azione nell'ambasciata greca, ma che la cattura sia avvenuta al di fuori dell'area di quell'ambasciata mentre Ocalan si recava in aeroporto.
Da quanto fin qui detto emerge con chiarezza come l'azione del Governo italiano non abbia in alcun modo influito, né direttamente né indirettamente - d'altronde, come avrebbe potuto? -, sull'epilogo della vicenda e, in particolare, sulla cattura di Ocalan. La tesi contenuta nell'interpellanza dell'onorevole Pisanu, secondo la quale Ocalan si troverebbe prigioniero dei turchi in conseguenza di comportamenti poco chiari del nostro Governo per il tramite dei servizi segreti, appare pertanto grave e priva di ogni fondamento. Vi è inoltre (lo dico con misura, ma va sottolineato) una singolare contraddizione tra quanto oggi viene affermato in quella interpellanza e l'atteggiamento assunto, peraltro legittimamente, da quella parte politica, anche in quest'aula, di procedere senza indugi da parte del Governo all'allontanamento, all'espulsione di Ocalan, senza che ciò, ovviamente, comportasse alcuna preoccupazione né della sua destinazione, né della sua incolumità.
Per quanto concerne la domanda di asilo politico presentata dai legali di Ocalan (di cui a più di una interpellanza), dove si fa leva sull'articolo 10 della Costituzione, articolo che prevede come è noto la concessione di asilo agli stranieri cui è negato nel loro paese l'esercizio delle libertà democratiche, ricordo che l'esame della domanda di asilo presentata da Ocalan è in corso, con udienza fissata per il prossimo 24 febbraio presso il tribunale di Roma. Ricordo, per completezza, che la commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, presso la quale Ocalan aveva presentato analoga domanda di riconoscimento di status, equivalente all'asilo politico, ha ritenuto che la partenza dall'Italia avesse determinato l'improcedibilità della domanda in questione.
A parte queste precisazioni di ordine procedurale che, come dicevo, faccio per mera completezza, va osservato come, nel merito, la richiesta di asilo avanzata da Ocalan risulti di complessa valutazione. Non vi è dubbio infatti che Ocalan sia il leader di un movimento politico, ma anche che abbia svolto attività di stampo terroristico, tra l'altro compiendo - o venendogli imputati - delitti per i quali è perseguito dalla magistratura di un paese dell'Unione europea, la Germania, anche se, come è noto, la richiesta di cattura di quel paese non è stata coltivata, pur nell'ambito del Trattato di Schengen.
Non privo di ambiguità risulta anche lo stesso ruolo del PKK, formazione politica certo, ma anche protagonista di azioni di guerriglia ed accusato di atti terroristici (rivolti talvolta, secondo le accuse, anche contro gli stessi curdi) e di altri traffici. Ciò ovviamente non toglie nulla alla constatazione


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che i diritti della popolazione curda risultino in Turchia ingiustificatamente e pesantemente compressi.
Devo sottolineare come oggetto, comunque, di valutazione in quelle sedi giudiziarie o amministrative fosse e debba essere la vicenda di Ocalan sul piano personale, non identificata con la realtà, peraltro assai diversificata, della minoranza curda in Turchia. Spetterà comunque, tuttora, al tribunale civile di Roma decidere nel merito, o sul piano dell'ammissibilità, ed il Governo non ha titolarità, se non sul piano politico, come dirò più avanti, per esprimere valutazione di carattere definitivo.
In molte interpellanze traspare la giusta preoccupazione - che il Governo condivide - che venga assicurato ad Ocalan un processo equo, che ne venga tutelata l'incolumità fisica e che venga evitata, in particolare, la sua condanna alla pena capitale. Il Governo condivide queste preoccupazioni e ricorda di aver tempestivamente osservato, in riferimento alla richiesta di estradizione avanzata a suo tempo dalla Turchia, che la nostra Costituzione vieta di accedere ad una simile istanza quando l'estradando è perseguito per atti sanzionati con la pena di morte.
Il Governo, nel ribadire questa posizione, che già lo aveva condotto ad esprimere - come ho ricordato - un orientamento politico contrario all'estradizione, non può pertanto che esprimere forte preoccupazione per l'odierna dichiarazione attribuita al premier turco che non esclude a priori la pena di morte per Ocalan. Il nostro Governo ritiene che l'intera comunità internazionale debba chiedere alla Turchia un processo giusto, equo, contraddistinto dalle garanzie necessarie per l'imputato e che non venga applicata la pena di morte.
Il Governo italiano ha già chiesto, con un comunicato ufficiale del nostro Ministero degli affari esteri, che il processo si svolga con tutte le garanzie di uno Stato di diritto, nel rispetto in particolare degli standard europei in materia di diritti fondamentali, sanciti dalle convenzioni del Consiglio d'Europa, di cui la Turchia - e non può essere dimenticato da quel paese - fa parte.
Il Governo italiano ha dichiarato, inoltre, di attendersi che, quali che siano le conclusioni del giudizio, esse non contemplino la pena capitale. Allo stesso tempo, anche alla luce degli episodi di violenza che si stanno verificando in diverse città europee, si è ribadita - ed è necessario - la ferma condanna dei metodi di lotta che si avvalgono del terrorismo, invitando i responsabili curdi a prendere le distanze da metodi violenti che non giovano in alcun modo alle aspirazioni di quella minoranza, di quella comunità; allo stesso modo, il Governo chiede con forza che ci si astenga rigorosamente da iniziative repressive ingiustificatamente dure nei confronti di manifestazioni, anche se censurabili.
L'Unione europea, su forte sollecitazione del nostro paese, ha emesso una dichiarazione di tenore analogo a quello della dichiarazione resa dal nostro paese e il Governo intende continuare ad insistere sul rispetto di tali principi fondamentali, sia a livello bilaterale con la Turchia, sia in sede europea.
La comunità internazionale non potrà che guardare con grande attenzione alle modalità con le quali sarà svolto il processo a Ocalan; parlavo di pubblicità del giudizio e dell'accoglienza che avranno in Turchia gli osservatori e i giuristi che vorranno seguire la vicenda dell'esponente curdo. Il Governo italiano non può che condividere integralmente il forte ed autorevole richiamo al rispetto delle garanzie processuali che è venuto oggi dal Parlamento europeo attraverso l'approvazione di una risoluzione da parte della Commissione esteri di tale Parlamento. Detta Commissione ricorda che la Turchia è membro del Consiglio d'Europa e che ha sottoscritto la convenzione europea sui diritti umani e la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, sottolineando come tra gli obblighi che derivano - anche alla Turchia - dall'appartenenza al Consiglio d'Europa vi sia la non applicazione della pena di morte.


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Inoltre, la Commissione esteri del Parlamento europeo richiama l'autorità giudiziaria turca - il nostro Governo condivide tale esortazione - al dovere di assicurare a Ocalan un trattamento contraddistinto da garanzie di carattere umanitario e di svolgere un processo trasparente e pubblico, che comprenda il diritto di scegliere in modo libero e autonomo i propri difensori, in sintonia con gli obblighi che derivano alla Turchia dalla normativa europea ed internazionale. Nella risoluzione, inoltre, è contenuto l'invito alla Turchia a coinvolgere avvocati europei in qualità di osservatori - l'ho ricordato prima come nostra sollecitazione - che possano assistere al processo, e a consentire a parlamentari di incontrare Ocalan. Il documento contiene, infine, l'invito rivolto alla Turchia e agli altri Governi coinvolti a fare piena luce in merito alle circostanze nelle quali Ocalan è stato condotto ad Ankara e a chiarire se ciò sia avvenuto in conformità con il diritto internazionale.
Per quanto riguarda, sul piano più generale, le modalità e le iniziative più idonee per affrontare la questione delle popolazioni curde, il Governo, come si è già avuto occasione di ricordare rispondendo, in più di un'occasione, a numerose interrogazioni parlamentari, tiene naturalmente in debita considerazione, nella definizione della politica del Governo in materia, le risoluzioni approvate dalla Commissione affari esteri della Camera il 10 gennaio 1997.
Come peraltro ribadito direttamente dal ministro degli affari esteri, onorevole Dini, in sede di Commissione affari esteri della Camera il 9 dicembre scorso, il Governo continua a ritenere che, rispetto alla sollecitazione di una conferenza internazionale sulla questione curda, ancora non sia dato registrare il consenso necessario in sede internazionale. Questo dato di fatto, evidentemente, renderebbe difficilmente praticabile anche l'ipotesi di un esame della materia da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU, ove mancherebbe il consenso di più di un membro permanente.
Un approccio produttivo e praticabile alla questione, comunque, può basarsi su due principi: da una parte il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale degli Stati che ospitano le comunità curde, dall'altra l'obbligo per tali Stati di rispettare le norme del diritto delle genti relative all'autogoverno e alla identità culturale. È sulla base di questi criteri che il ministro Dini ha posto già il 7 dicembre scorso, insieme al collega tedesco, la questione all'attenzione del consiglio affari generali. In ambito europeo, come è noto, il Governo italiano è stato tra quelli che hanno più incoraggiato il Governo di Ankara ad avvicinarsi all'Europa avanzando proposte innovative per lo sviluppo dell'unione doganale, per lo sblocco di misure finanziarie, per il dialogo in materia di politica estera, di giustizia, di affari interni, quindi anche, naturalmente, in materia di diritti umani. In questi termini di ricerca di una democrazia compiuta, da parte italiana si è sempre ricordato e si continua a ricordare al Governo di Ankara, senza ingerenza nei suoi affari interni ma in base alle norme che regolano la nostra Unione europea, che entrare a far parte dell'Unione significa anche condividerne una serie di regole, di principi e di valori tra cui assumono rilevanza primaria il rispetto dei diritti umani e delle identità culturali.
Il Governo italiano è convinto che i problemi di cui stiamo trattando possono trovare un aiuto per una soluzione con un rafforzamento, e non con un indebolimento, della cooperazione tra Turchia ed Unione europea. Sarà possibile attraverso questa strada indurre la Turchia ad adeguare i propri ordinamenti e comportamenti in materia di diritti umani, ivi incluse misure di rispetto delle identità storiche e culturali delle popolazioni del sud-est anatolico. Non per nulla è stata colta questa occasione per ribadire, con il comunicato che ho citato, che un atteggiamento di Ankara conforme agli standard europei sullo specifico caso di Ocalan favorirebbe l'avvicinamento di quel paese all'Unione europea.


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È intenzione del nostro Governo ricondurre a normalità in questa chiave e in questa luce il livello delle relazioni bilaterali, oggetto anche questo delle interpellanze presentate, tra Italia e Turchia, che risponde agli interessi comuni dei due paesi e alla tradizione di amicizia tra i due popoli.
Va ricordato che anche nei momenti più difficili della vicenda Ocalan il Governo ha mantenuto attivo un canale di dialogo con le autorità turche, che non si è attenuato. Tale dialogo mira ora, da un lato, a segnalare alla Turchia l'intendimento dell'Italia di mantenere i capisaldi della propria strategia politica per avvicinare quel paese all'Unione europea, inclusi ovviamente, e anzitutto, gli adeguamenti necessari del Governo di Ankara in tema di diritti umani e, dall'altro, ad esaminare i possibili sviluppi di collaborazione bilaterale sui quali concordare la propria azione. Ricordo a questo riguardo la cooperazione e la consultazione nello scacchiere balcanico, dagli sforzi comuni per una soluzione nel Kosovo a quelli per gestire il processo di pace in Bosnia. Anche il sostegno dato in passato dalla Turchia al processo di riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU e alle candidature italiane testimonia di questo rapporto bilaterale; che peraltro prevede il tema dei diritti umani come questione preliminare e fondamentale.
Quanto infine all'accordo sottoscritto fra Italia e Turchia il 22 settembre 1998, ricordato nella sua interpellanza dall'onorevole Comino, posso confermare che si tratta di un testo di ampio contenuto per il rafforzamento di strategie e di cooperazione nella lotta al crimine organizzato, al terrorismo e alla droga. L'accordo è stato firmato al Viminale tra il ministro Napolitano ed il suo collega turco, in occasione della visita di questo a Roma. L'accordo, che nel preambolo fa riferimento a strumenti numerosi adottati dai due paesi in sede di Nazioni Unite e del Consiglio d'Europa, fra cui la Convenzione europea sulla prevenzione del terrorismo, definisce una collaborazione bilaterale, attiva già dal 1986 tra i due Ministeri dell'interno di Italia e Turchia. Questa collaborazione riguarda in particolare lo scambio di informazioni e l'avvio di indagini a richiesta delle parti nella lotta anche al trasporto, produzione e commercio di droga, reati finanziari, traffico di armi e munizioni, traffico di migranti, falsificazione di documenti. In particolare, la collaborazione nella lotta alla criminalità prevede, oltre allo scambio di informazioni e di valutazione sui reati, anche quella più generale sulle tecniche e le minacce provenienti dai gruppi criminali organizzati nonché quelle orientate a individuare, e se necessario fermare, le transazioni finanziarie sospette di favorire il riciclaggio di valuta. Dettagliati sono - lo sottolineo per il presentatore dell'interpellanza - gli impegni sulla collaborazione al fine di combattere il narcotraffico ed individuare ed arrestare i gruppi e le organizzazioni dedite al trasporto illegale di emigranti. A quest'ultimo proposito l'Italia e la Turchia sono impegnate a promuovere indagini anche congiunte sui mezzi di trasporto utilizzati per l'immigrazione clandestina nonché sulle persone e sui gruppi sospettati di questo traffico.
L'onorevole Bertinotti chiede al Governo se non intenda dichiarare l'esistenza di uno stato di guerra nel Kurdistan, con ciò riconoscendo implicitamente che vi sono due popoli in lotta, ognuno con un'aspirazione di identità nazionale legittima.
Vorrei in proposito richiamarmi all'etica della responsabilità, intesa come rapporto tra i mezzi (dichiarazione, o piuttosto presa d'atto, dello stato di guerra) e il fine (una politica di pace, che l'onorevole Bertinotti sostiene - ed io ne sono convinto - nella sua interpellanza, vada perseguita). Non vi è dubbio, infatti, che in questo caso i mezzi prescelti rischierebbero di avere un effetto dirompente rispetto al fine. La questione curda si configurerebbe in termini di una minaccia alla sovranità e alla integrità territoriale della Turchia, determinando una reazione fortemente negativa ...


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FRANCESCO GIORDANO. Il Kosovo è la stessa cosa!

SERGIO MATTARELLA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. ... non solo delle autorità, ma anche della pubblica opinione turca. Se questa ipotesi fosse, come dire, fatta propria a livello internazionale, trascurando l'equilibrio fra le varie considerazioni, rischieremmo di spingere la Turchia ad un atteggiamento ulteriormente autoritario, isolazionista, rischiando ulteriori, maggiori difficoltà per le popolazioni curde (Commenti del deputato Giordano). Onorevole Mantovani ...

FRANCESCO GIORDANO. È zitto! Sono stato io!

SERGIO MATTARELLA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. Questo dimostra come l'impegno che il nostro Governo ha, con forza, affermato in quest'aula e in quella del Senato, che ha ribadito in ogni sede, e che ribadisce quest'oggi, per la causa delle popolazioni curde e la considerazione in cui tiene la risoluzione, che la Commissione affari esteri di questa Camera ha approvato, sono convintamente volti a contribuire a creare condizioni che possano risolvere in concreto la causa dell'autonomia, del rispetto delle minoranze, della specificità culturale dei curdi.

RAMON MANTOVANI. Come gli elicotteri Agusta! Come le armi che lei vende ai turchi!

PRESIDENTE. Onorevole Mantovani, la richiamo all'ordine per la prima volta! Cerchi di non dire sciocchezze, mi scusi (Commenti del deputato Mantovani).

RAMON MANTOVANI. È vero!

PRESIDENTE. La richiamo all'ordine per la seconda volta.

FRANCESCO GIORDANO. Lei non commenti!

PRESIDENTE. Io commento quando sento dire che il Vicepresidente del Consiglio dei ministri vende armi in giro! Ma la smetta, su! Al massimo, vende arance siciliane ...!

GIACOMO GARRA. Neanche quelle vendiamo!

PRESIDENTE. Sì, so che anche lì c'è un problema. Prego, onorevole Mattarella.

SERGIO MATTARELLA, Vicepresidente del Consiglio dei ministri. A questo fine è anche rivolta la convinzione, che ho ricordato, dell'atteggiamento nei confronti della Turchia rispetto all'Unione europea. Ferma restando, naturalmente, l'ho detto e lo ribadisco, la preventiva, fondamentale verifica dell'effettivo rispetto dei diritti umani, come del resto prevedono le stesse regole che presiedono all'allargamento dell'Unione europea e che il nostro paese intende contribuire a far rispettare con rigore.
In questo quadro, vi è l'esigenza di relazioni che sviluppino un processo di «contaminazione democratica». E in questo spirito, con questa convinzione di sostegno della causa delle popolazioni curde, di rispetto dei rapporti internazionali, di richiesta rigorosa del rispetto dei diritti umani (in questo caso, come in ogni altro), il Governo è estremamente attento alle considerazioni proposte con le varie interpellanze e seguirà con attenzione, in riferimento a quelle indicazioni, l'evolversi delle vicende (Applausi dei deputati dei gruppi dei democratici di sinistra-l'Ulivo e dei popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Mantovani.

RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, io conosco, onorevole Mattarella, la sua dirittura morale e conosco anche quella di altri ministri di questo Governo, che si ispirano più ai listini di borsa che a principi etici e morali per indirizzare il loro operato politico. Ma devo dire di


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essere profondamente deluso per le parole che lei ha pronunciato in quest'aula oggi.
Sull'uscita dal nostro paese del presidente Ocalan, lei ha detto solo una mezza verità. Il presidente Ocalan ha scelto di lasciare il nostro paese, ma lei ha omesso di dire che cosa il Governo italiano ha detto a lui per indurlo a lasciare il nostro paese. Non sta a me, che conosco gli argomenti che sono stati usati nei suoi confronti, parlarne qui.

GUSTAVO SELVA. Perché non li dici?

VITTORIO TARDITI. È qui che devi dirlo!

GUALBERTO NICCOLINI. È qui che si parla!

RAMON MANTOVANI. Spetta al Governo e spetta ai curdi che hanno condotto, insieme al presidente Ocalan, la trattativa con il Governo italiano.
Tuttavia posso dire che il presidente Ocalan ha lasciato il nostro paese solo dopo che autorevoli ministri avevano dichiarato alla stampa che non gli sarebbe mai stato concesso l'asilo politico e solo dopo che sono state esercitate le pressioni che poco fa ho ricordato.
Più che le buone intenzioni contano i fatti ed i fatti sono inconfutabilmente i seguenti. Quando il presidente Ocalan ha raggiunto il nostro paese...

GENNARO MALGIERI. Lo hai inguaiato!

RAMON MANTOVANI. ... per proporre una soluzione pacifica del conflitto che insanguina il Kurdistan turco gli Stati Uniti d'America hanno chiesto che il nostro paese lo estradasse verso la Turchia. Il nostro Governo ha risposto che non poteva farlo a causa delle leggi italiane; non è lo stesso che dire: non vogliamo farlo perché in Turchia sarebbe sottoposto al trattamento al quale purtroppo oggi è sottoposto. Ciò che gli Stati Uniti volevano è stato ottenuto per un'altra via: il presidente Ocalan è stato indotto a lasciare il nostro per un altro paese, dove è stato raggiunto dalla vendetta turca. Voi portate una responsabilità...

GENNARO MALGIERI. Tu porti la responsabilità di averlo condotto qui! Hai sbagliato!

RAMON MANTOVANI. ... che non vi toglierete mai dalle vostre coscienze, per lo meno quelli di voi che conservano un barlume di coscienza.
Non parlo solo del presidente Ocalan: parlo delle migliaia di donne e di uomini che subiranno torture e morte a causa dell'arresto del presidente Ocalan.

GUSTAVO SELVA. Le hanno già subite!

RAMON MANTOVANI. Del resto la Turchia sta già sviluppando un'offensiva militare nel Kurdistan turco e noi sappiamo, come voi sapete, che quando ciò avviene perdono la vita tanti civili, vengono distrutti i villaggi e le stesse popolazioni che scappano dai territori della Repubblica turca vengono inseguite anche oltre quei confini dall'esercito, in violazione di tutti i diritti internazionali.
Parlare oggi dell'incolumità del presidente Ocalan è una cosa buona. Sarebbe bastato garantirgli l'asilo politico e si sarebbe tutelata effettivamente la sua incolumità. Ma c'è un atto che si deve - lo ripeto: si deve - compiere per dare un effettivo contributo ad una soluzione pacifica del conflitto che insanguina il Kurdistan ed è il riconoscimento dell'esistenza di quel conflitto, così come è avvenuto per il Kosovo. Riconoscere quel conflitto significa, Vicepresidente del Consiglio, che il nostro paese non potrà vendere le armi che attualmente sta vendendo all'esercito turco (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti)! Vorrei farle notare che negli ultimi mesi la vendita di armi italiane all'esercito turco è aumentata. Oggi pomeriggio, signor Presidente della Camera, presento un'apposita interrogazione per parlare di questo argomento, che non ho ora il tempo di approfondire.


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Riconoscere il conflitto nel Kurdistan significa chiedere alla Turchia di entrare nell'Unione europea con le carte in regola. Far finta che quel conflitto oppone terroristi ad uno Stato democratico significa dire al Governo turco che può fare ciò che vuole del presidente Ocalan. Se c'è un modo per tutelare la sua incolumità, la sua vita, è quello di restituirgli lo status che gli spetta, cioè quello di leader politico di un popolo che, anche in armi, combatte contro un'oppressione che sfido chiunque qui dentro a dimostrare che non esista.
La Turchia non ha bisogno di «contaminazione democratica»: da quando è stata applicata questa dottrina della «contaminazione democratica», secondo tutte le organizzazioni che si occupano dei diritti umani, le violazioni di questi ultimi sono aumentate; da quando l'Italia è il principale sponsor dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea le offensive militari nel Kurdistan turco sono aumentate. Bisognerà, ad un certo punto, fare un bilancio di questa politica della «contaminazione democratica», perché ho l'impressione che il ministro Dini sia lui contaminato dal Governo turco (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti) e non il Governo turco dal Governo italiano e dalla democrazia dell'Unione europea.
Noi vi chiediamo disperatamente di riconoscere che esiste il conflitto, perché l'esistenza di questo riconoscimento permetterà di salvare migliaia e migliaia di vite umane, là nel Kurdistan turco e qui in Europa, dato che ieri abbiamo visto persone disarmate che protestavano contro un'ambasciata, seppure in modo scalmanato, le quali sono state massacrate. Ora voi dovete assumervi una responsabilità ed io vi dico con grande sincerità: se non riconoscerete l'esistenza del conflitto, come avete fatto per il Kosovo, sarete complici nella maniera più totale del genocidio dei curdi e della sorte triste che aspetta il presidente Ocalan (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti)!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Brunetti.

MARIO BRUNETTI. Signor Presidente, per chi come noi da anni sostiene la lotta del popolo curdo, come del resto di ogni popolo, per vedersi garantiti terra, diritti e identità, la notizia che Ocalan, simbolo di quella lotta, è finito nelle mani dei carcerieri (le agghiaccianti immagini del leader del PKK narcotizzato, imbavagliato, ammanettato sull'aereo evocano davvero immagini naziste) genera uno stato d'animo di profonda inquietudine, una sensazione di sospensione tra l'essere e il nulla. L'essere, cioè, portatori di una lotta di liberazione di popoli e di masse evocata dal nostro stesso chiamarci comunisti ed il nulla del sentirsi impotenti, nel non aver potuto impedire, da una parte, un blitz operato dai servizi segreti americani, israeliani e turchi, in un vero e proprio intrigo internazionale, e dall'altra parte la fellonia ed il cinismo del Governo greco, che ha contrabbandato i suoi interessi con la vita di un uomo e i diritti di un popolo, portando Ocalan al macello.
È un'angoscia moltiplicata dal pensiero che qui in Italia, Stato democratico a culla del diritto, egli aveva visto la possibilità, operando anche una svolta rispetto alla teoria della lotta armata, di rilanciare la difesa dei diritti del suo popolo sul terreno politico e di chiedere all'Europa di aprire una possibile via di pace. L'Europa non l'ha capito, o meglio non l'ha voluto capire, ed oggi rimangono nelle nostre menti e nelle nostre coscienze interrogativi pesanti: abbiamo fatto tutto il possibile perché venisse colto questo messaggio? Abbiamo speso tutte le nostre energie perché il simbolo di una lotta di popolo non finisse nelle camere degli orrori delle carceri turche, tra l'esultanza spavalda dei boia? Questa prepotente spavalderia si è materializzata nella mia mente quando, durante un intervento al Consiglio d'Europa (considerato spesso a torto, una delle cattedrali della difesa dei diritti umani) in cui cercavo di sottolineare le ragioni della democrazia e della civiltà giuridica del nostro paese, che avevano indotto il Governo


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italiano a non concedere l'estradizione ad Ocalan verso un paese dove vige la pena di morte, mi sentivo investito dal vomito antigovernativo italiano del rappresentante della Turchia, signora Aytaman, che per di più ostentava certezza, evidentemente conoscendo le complicità internazionali, di una rapida cattura del leader curdo e ripetendo la litania, che siamo andati ascoltando da tempo, che i curdi - anzi, "i turchi di montagna" per non pronunziare quella parola - sono soltanto dei terroristi e dei delinquenti.
Noi crediamo davvero che il Governo italiano abbia gestito con dignità il problema e lo vogliamo sottolineare francamente. Non ci sentiamo di avallare i rilievi senza senso di chi, a nostro parere, ha affrontato con spirito giovanilistico un problema così complesso e difficile (Commenti del deputato Lenti). Siamo meno convinti, invece, del fatto che non si sia affrontato risolutamente in tempo il problema di fondo posto dal nostro partito, sia in un primo tempo dal presidente del nostro gruppo, sia successivamente da altri interventi in quest'aula: la concessione dell'asilo politico, scegliendo, invece, la strada di lasciar andar via Ocalan dall'Italia senza certezze. Ciò comportava in sé il rischio dell'arresto, poi materializzatosi proprio attraverso gli sconvolgenti avvenimenti che hanno avuto luogo, sotto una campagna ricattatoria e mafiosa della Turchia e con la complicità della Grecia, l'entrata in campo della CIA, dei servizi israeliani, dalla destra di ogni risma. Di fronte a questo evento così drammatico, c'è qualcuno che può davvero gioire, dai banchi di destra, sulla situazione che abbiamo di fronte? Credo che sarebbe un'oscenità: un cinico far prevalere i sentimenti di parte rispetto ad un atto di onestà politica. La verità è che Ocalan è soprattutto un fatto politico; è un guardar dentro noi stessi e dentro la nostra coscienza per riuscire ad ammettere ciò che la Turchia continua a negare e, cioè, che il problema in campo sono i curdi come popolo negato e soprattutto la Turchia, considerata un punto strategico del sistema politico-militare a comando americano, che intende controllare la base turca per tenere le mani su quella enorme sacca di petrolio in Medio Oriente.
La Turchia sa che è così e ricatta, minaccia e, soprattutto, continua a massacrare i curdi, a violare ogni diritto umano e a disattendere le risoluzioni del Consiglio d'Europa; a reagire insomma con violenza e a vivere come impaccio la libertà dei curdi. Parlarne, infatti, significa infilzare il coltello nel corpo delle condizioni di oppressione di quelle masse che evocano ciò che una volta chiamavamo terzo mondo.
Parlare, dunque, dei curdi, oggi, significa anche decidere come atteggiarci verso interi pezzi del pianeta che non stanno dentro una logica atlantica e ai quali sono imposti, invece, comandi, saperi, cattedrali della civiltà occidentale inducendoli a reagire con tutti i mezzi per impedire un dominio unipolare del mondo.
In questo contesto l'Italia ha dato, con la venuta di Ocalan, un nuovo segnale nel tentativo di uscire dalla subalternità, per riaffermare che la nostra non è né una nazione a sovranità limitata, né un territorio protetto, anche se - lo ripeto - sarebbe stato più giusto impedire che Ocalan andasse via dal nostro paese (Commenti del deputato Lenti). Ma il problema, ora, non è più la disquisizione su ciò che è stato: se vogliamo uscire dall'ipocrisia e dalla propaganda, che non avrebbe una ragione morale, proprio perché fatta sulla vita degli uomini, bisogna andare al nocciolo della questione e il nocciolo è la Turchia come punto emblematico della violazione dei diritti umani in Europa, alla cui porta bussa insistentemente per entrare.
È spaventoso, proprio in quel contesto, lo strapotere delle milizie paramilitari e degli squadroni della morte, la sistematica distruzione dei villaggi curdi per desertificare le zone curde. Del resto lo stesso Ecevit aveva ammesso che oltre 3 mila villaggi sono stati evacuati dalle forze di sicurezza, senza parlare della situazione interna gestita da un feroce controllo del regime autoritario, davvero ignobile, oltre che incompatibile per chi pretende di


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entrare in Europa. Nella suddetta operazione, poi, sono tristemente noti i processi finalizzati alla messa fuori legge dell'associazionismo democratico: IHD, HADEP, MKM (Centro di cultura della Mesopotamia), di sindacati come il KESK e il DISK con gran parte dei loro leader in prigione. Si arriva alla chiusura dei giornali, all'arresto di giornalisti e all'incarcerazione di poeti prestigiosi.
Questa furia paranoica è esplosa con maggiore violenza dopo l'arrivo di Ocalan in Italia. Pochi dati: in questo periodo i curdi hanno subito 191 spedizioni militari; hanno visto distruggere 36 villaggi; sono state rastrellate tremila persone, molte delle quali hanno fatto lo sciopero della fame ed altre che sono andate incontro alla morte.
Fa tristemente ridere l'argomento che da un po' di tempo non vi siano esecuzioni capitali, se gli assassini avvengono giornalmente nelle carceri!
Il fatto più inquietante, che voglio sottolineare e che dimostra la scientificità del programma di sterminio, è l'elaborazione di un piano riservato del Ministero degli interni di Ankara intitolato «Provvedimenti da prendere in relazione all'arresto di Abdullah Ocalan in Italia», pubblicato dalla rivista turca Hevi la cui lettura lascia interdetti. Per ogni iniziativa sono specificati i « corpi incaricati ad agire», il «bersaglio», le «modalità», i «tempi». Questo è avvenuto prima dell'arresto ed è quindi facilmente immaginabile cosa stia avvenendo nelle carceri turche ora e la sorte che sta subendo il leader curdo arrestato col bliz di Nairobi.
Per questo, il tentativo operato dall'Italia di conciliare, all'interno della coscienza civile del nostro popolo, la necessità di fare del problema curdo un problema politico e la difesa dell'autonomia del nostro paese, retto da proprie leggi e da una sua costituzione democratica, ha, per lo meno - ecco la positività del fatto - aperto sul problema curdo una riflessione a livello europeo ed internazionale.
L'Europa però, ancora una volta, non ha risposto all'appello, o non ha voluto capire, mostrando una cecità politica che lascia sconcertati: non è riuscita a vedere neppure le ricadute negative del suo non voler cogliere quel segnale di pace che Ocalan lanciava. Per cui oggi, non solo si allarga presso le nostre coste la ressa dei profughi che scappano da quei territori infernali, ma soprattutto perché - come stiamo vivendo in queste ore - quel popolo curdo, che per la Turchia non esiste, sta mettendo a soqquadro le capitali europee e di altre parti del mondo, e l'Europa rischia di trasformarsi in una immensa intifada.
All'interno di questo scenario dagli sbocchi preoccupanti è necessario sentirsi vicini alla mobilitazione per la causa del popolo curdo e la democrazia in Europa, causa che va estendendosi nel nostro paese. Il Governo italiano deve rilanciare una sua forte presenza con iniziative proprie ed incidendo nelle scelte europee, innanzitutto per tutelare la vita di Abdullah Ocalan anche attraverso rigorosi controlli internazionali e per rendere agibile la presenza del collegio di difesa di Ocalan ad Ankara, oltre ad operare affinché si realizzi tempestivamente l'invio di una delegazione del comitato per i diritti umani della Commissioni esteri, che abbiamo già chiesto al Presidente della Camera. Certo, rimangono in piedi tre problemi: la necessità di aprire un tavolo sulla questione curda; la necessità di «mettere i piedi nel piatto» - lo dico perché affiora continuamente - nella questione del commercio delle armi tra Italia e Turchia; far sì che l'Europa non accetti al suo interno una Turchia che non abbia normalizzato la sua situazione interna e rimanga una sorta di caserma gestita dai militari. E questo perché non è possibile immaginare la costruzione di un'Europa segnata da questa grave caduta di civiltà; un'Europa che precipiti nel buco nero delle barbarie di un mondo retto dalla legge della giungla e dominata dai mostri.
È con questo spirito che esprimiamo l'apprezzamento del gruppo comunista alle informazioni fornite dal Vicepresidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo comunista).


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PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Trantino.

ENZO TRANTINO. Signor Presidente, onorevole Vicepresidente del Consiglio, colleghi, debbo subito dire - per un atto che non è solo formale - che l'interpellanza che mi accingo a trattare reca, per errore, soltanto la mia firma ma, in realtà, trae origine da un'iniziativa di tutti i componenti la Commissione esteri.
Avverto una condizione di labirintite - se mi è consentita l'espressione - dopo l'intervento del collega Brunetti; sindrome di straniamento, direbbe Brecht: mi chiedo dove mi trovo e se siamo in due aule diverse, perché ho sentito persino elogiare la relazione svolta dall'onorevole Mattarella.
Onorevole Vicepresidente del Consiglio, è con difficoltà che mi accingo a dire alcune cose; ma i sentimenti umani fanno velo fino a un certo punto e si deve essere leali sino in fondo: se un siciliano (parlo di Leonardo Sciascia) - sicuramente più illustre di me e, credo, di lei - avesse giudicato il suo discorso, l'avrebbe definito irredimibile. È un discorso che non si salva in nulla. Credo che si sia trattato di un infortunio o di un pessimo scherzo degli uffici.
Abbiamo sentito l'onorevole Mattarella parlare di tutto, persino del precetto pasquale, ma non del caso Ocalan. Volevamo un Governo che si assumesse, fino in fondo, le proprie responsabilità e che venisse a dirci in questa sede quali siano stati i comportamenti adottati ieri, quelli adottati oggi e quelli che saranno adottati domani.
Voi, rappresentanti del Governo, avete conseguito un successo solo: per la prima volta possiamo dire che siete entrati in Europa, perché la figuraccia che ha fatto l'Europa è pari alla vostra: stiamo giocando allo spareggio!
Il popolo curdo fu oggetto di un certo contesto internazionale - e soprattutto europeo - con il trattato di Sèvres, in cui si disse che vi sarebbe stato un riconoscimento; l'Europa, poi, ha dormito su queste questioni e si è girata dall'altra parte, visto che i curdi non vendono petrolio.
Avete giocato a confondere - e nessuno ve lo perdona - due momenti: la storia del popolo curdo, che è alta e nobile, e la storia del signor Ocalan, che è cosa diversa; avete peccato in una serie di complicità, omissioni ed ambiguità.
Siamo al momento della verità e dobbiamo dire che questo misto di reticenze e di errori ha bisogno di fare i conti con la genesi di un errore, prima, e di un delitto, dopo: tutto nasce a Fiumicino.
Avevamo la fortuna di poter trattare il caso sulla base degli accordi di Schengen; sappiamo che le famiglie che non hanno la possibilità di accoglienza nel nostro paese, in quanto non ne hanno i titoli vengono rispedite indietro, dopo essere state sbarcate sulle nostre coste dai gommoni; e si tratta di donne e bambini.
Invece, per il caso Ocalan, vi è stato un giro vorticoso di ammiccamenti che avrebbe potuto essere risolto nell'immediato, restituendolo, come si suol dire, al mittente. Egli entrava in Italia e vi entrava in modo illecito: bastava questo perché Ocalan non potesse essere accolto, in via di diritto e di ortodossia regolamentare.
Si dice che fosse accompagnato da un deputato italiano, che in questo momento definirei un portatore insano (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale), visto il gesto e viste le conseguenze cui andava incontro la sua iniziativa. Ebbene, tutto ciò allargava le complicità: nessuno poteva dare guarantigie al signor Ocalan diverse da quelle che il diritto internazionale ed il diritto di frontiera riconoscono.
E, dunque, il signor Ocalan veniva introdotto nel nostro paese e dalla sua bocca, onorevole Mattarella, apprendiamo che egli è perseguito da vari mandati di cattura e che ha commesso reati di terrorismo; il che, certamente, non lo può collegare alla sua causa, ferma restando la nobiltà della causa. In quell'occasione vi erano tutti gli estremi perché Abdullah Ocalan venisse rispedito indietro, così come avviene a chi non è titolare di un passaporto e solo per una banale omissione


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formale non può avere ingresso nel territorio nazionale. Così non è stato.
Il Vicepresidente del Consiglio deve essere apprezzato per il coraggio che ha avuto, in quanto è responsabile dei servizi segreti; ed egli sa che, nel caso di specie, sono possibili due sole risposte (tertium non datur): o sapevate, e se sapevate siete complici, perché avete fatto entrare nel territorio nazionale un soggetto che non avrebbe potuto esservi ammesso; oppure, non sapevate e, allora, sarebbe meglio sciogliere i servizi perché sono un corpo inutile e costoso e, nel momento in cui ne abbiamo bisogno, non riusciamo ad ottenere da loro nulla se non un atto di discredito ulteriore: ci siamo dovuti nascondere dietro il paravento del rossore per evitare il ridicolo!
Ebbene, se tutto questo è come appare, abbiamo avuto un Presidente del Consiglio che ha rappresentato, da solo, le tre scimmie: non sa, non vede, non sente. Nel momento in cui veniva incalzato abbiamo poi appreso - con una divaricazione che certamente non fa onore alla compattezza del Governo - che il ministro degli esteri ha dichiarato alla stampa, il 17 gennaio scorso, che si trattava di un problema spettante, esclusivamente, alla Presidenza del Consiglio.
Il Ministero degli esteri in questa storia non c'entra affatto. Siccome qui il caso è importante ed il groviglio diventa inestricabile, oggi vi trovate inevitabilmente davanti ad una operazione di «incarto» e siete smascherati - quel che più conta - innanzitutto dal giudizio che si dà sul vostro confluire nell'inesistenza dei temi europei in ordine alla difesa del territorio nazionale.
Un uomo che sicuramente non può essere schierato a destra o a sinistra, per l'alto incarico che ha ricoperto sino a qualche tempo fa, l'ex segretario generale della Farnesina, l'ex ambasciatore a Washington, Boris Biancheri, ha detto che la realtà è che i curdi sono una nazione, che il PKK è un partito e che l'Unione europea non è né una cosa né l'altra: l'Europa non ha il coraggio né di affrontarlo né di negarne l'esistenza e, come si usa fare in questi casi, copre la sua debolezza con il silenzio. Aggiungo io ciò che Biancheri non poteva dire, per ragione dell'alto ufficio ricoperto fino a poco tempo fa: voi siete stati perfettamente in linea con l'Europa, la debolezza dell'Europa è stata per voi un incantamento, perché essere deboli per voi è facile, anzi, siete fortissimi nell'essere deboli, e questo vi ha portato a confluire nel «non fare» che l'Europa ha attuato in questa vicenda.
Ma c'è di più: quando volete essere coperti da quelli che sino a ieri erano i vostri alleati e scoprite che l'onorevole Mantovani dice che la vicenda non si è svolta esattamente come la racconto io, mi fate ricordare che D'Alema all'inizio paragonò il Kurdistan al Kosovo. Allora, se la pensa così, perché nel secondo caso è favorevole all'intervento e nel primo no? Perché il nostro paese continua a mandare le armi ai turchi che sterminano il popolo curdo?
Non parliamo poi di Veltroni! Noi avremmo invece voluto sentir parlare di Veltroni, ma qui si affidano tutti ai puntini di reticenza, c'è una specie di intesa sull'ambiguità e questo offende due volte e squalifica chi lo fa. Si dice, parlando di Veltroni: quello ha una bella faccia tosta, dice che la Turchia non può entrare in Europa se ammazza Ocalan e invece se non lo uccide, ma massacra un intero popolo, allora può fare bellamente il suo ingresso in Europa! Qui non si scappa: forse l'onorevole Veltroni, segretario del maggior partito di riferimento di questa coalizione, si sente escluso da questa vicenda e sente il dovere di intervenire per dire che anch'egli non sapeva e non vedeva, in un paese in cui viene sostenuto, perfino dall'autorità giudiziaria, che non si può non sapere; ma questo è rito ambrosiano, e nel momento in cui deve diventare rito governativo voi dovete sapere, perché è vostra responsabilità. Saltano Governi per non potersi difendere dal «non poteva non sapere»!
Si va anche oltre. Bertinotti parla dell'«ignavia del Governo italiano» e della «colpevole latitanza», e va ancora avanti. Io dico che latitanza è sottrarsi alle leggi,


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la cosa più grave è che il Governo italiano si è sottratto alle sue leggi, ossia al suo programma di politica estera ed al suo impegno di lealtà nei confronti del popolo italiano.
C'è di più. Ci sono notizie inquietanti, caro Vicepresidente Mattarella, e lei dovrebbe sicuramente saperne - come sa - più di me: sarebbe grave se non fosse così! Pare che ci sia un aereo della SNAM che ha volteggiato avendo a bordo Ocalan con tre soggetti che si dice appartengano ai servizi segreti. Queste cose possiamo considerarle a livello di chiacchiericcio, di notizia da cortile? Si ha il dovere di intervenire e di chiarire. Se qualcuno ha sbagliato, paghi: ma è possibile che in questo paese non paghi nessuno, tranne i contribuenti (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale)?
Credo, signor Vicepresidente del Consiglio, che nel caso di specie avevamo la possibilità di riscattarci, anche perché si è verificata da poco una vicenda in cui il Presidente del più importante paese del mondo, il Presidente Clinton, per ripetute prove, chiamiamole «orali», si è trovato, per mancanza di lealtà verso il suo popolo, a scommettere la sua testa e la sua credibilità. Voi, invece, al popolo italiano non avete presentato neppure le scuse, e dovevate farlo, perché si può sbagliare, è umano. Nel caso di specie c'era una sola via d'uscita: bisognava riconoscere di fronte al popolo italiano, sia pure senza cospargersi il capo di cenere, che c'è stata un'improvvisazione, una fretta colpevole. Insomma, bisognava manifestare un atteggiamento diverso dalla sicumera che oggi è stata dimostrata nel modo peggiore, non con il coraggio dell'arroganza - a volte, infatti, anche questa può essere una dimostrazione di coraggio -, bensì presentandovi qui sfuggendo il problema, mettendolo ai margini, parlando d'altro. Ci avete ricordato qualcuno che una volta scriveva «parlavano spesso di nulla, l'unico argomento di cui sapevano tutto». Voi sapete davvero tutto di nulla, ma a noi non basta, perché vogliamo conoscere tutto di tutto, in quanto questo è il compito delle opposizioni che vigilano e controllano. Ora, certo che c'è lo scempio! Le ingiustizie disumane non pagano: dall'eccesso dell'Iraq alla prigione di Imrali, gli eccessi sono sempre a favore dei perseguitati e fanno dimenticare anche l'origine della cause giuste.
Nel caso in specie si deve intervenire! Mi rifiuto, mi ripugna pensare che non lo si faccia. Io sono un uomo che non mette la coscienza al servizio delle contingenze. Veniva un empito di sdegno a vedere ieri Ocalan, in quel filmato osceno, che quasi quasi sembrava dire al popolo curdo: grazie per avermi imprigionato, sono felice di questa condizione! È troppo, ed allora si intervenga!
Una volta che avete fatto la «frittata», non cercate di rivoltarla, ma assumetevi le responsabilità. Si intervenga, certamente, per avere delle garanzie che non venga eseguita una sentenza capitale; ma non basta: si evidenzi con un comitato, che non sia un comitato «platonico», del solito «bla bla bla», ma un comitato che controlli, che il processo sia giusto (e questa è la metà del problema) e che il trattamento sia umano; ciò concerne persino la convenzione di Ginevra, quando si tratta delle leggi di guerra che non vanno per il sottile, nel momento in cui queste cose avvengano. A tale riguardo credo che il rappresentante della difesa dovrebbe saperne più di me.
Onorevole Vicepresidente del Consiglio, penso che sia veramente triste ciò a cui stiamo assistendo. Persino coloro i quali si intendono, come Franco Venturini, di cose internazionali debbono convenire che una vicenda fatta di furbizie, meandri oscuri e diplomazie occulte, come quella che si è svolta e che si sta svolgendo - contro cui interviene persino con autorevolezza il presidente della Commissione affari esteri, onorevole Occhetto - ha bisogno di fare i conti con un'altra certezza, questa sì di quell'etica che ha richiamato lei!
Ma se vogliamo davvero essere Stato di diritto, al Governo D'Alema - così scrive Venturini sul Corriere della Sera - si impone anche un dovere di trasparenza sin qui eluso. Il rispetto dei patti segreti


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non ha senso adesso che Ocalan è in trappola. Non ha più senso nascondere aerei e piani di volo, rifornimenti a mano armata, se vi sono stati, o negoziati con paesi terzi, tentativi di rientro veri o presunti. Questo è il momento della verità: non perdetela questa occasione!
Lei può intervenire quando vuole, perché rappresenta il Governo. Interrompa il mio intervento e dica: chiediamo scusa al popolo italiano.
Veda, noi proveniamo da un'esperienza di Governo. In quella esperienza voi ci avete bollato, con un supponenza degna di miglior causa, come dilettanti allo sbaraglio. Finalmente sono arrivati i «professori»; stranamente sono arrivati questi «scienziati» della politica che hanno fatto persino venire la nostalgia di quei dilettanti allo sbaraglio. Il destino dei dilettanti, infatti, è quello di poter diventare dei professionisti, ma quello di quest'ultimi è di diventare dei dilettanti, perché è in tal modo che vi siete comportati. Questa è una regressione assolutamente pericolosa (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).
Se è così, credo allora che abbiamo bisogno di fare i conti con una certezza: oggi o noi diamo prova di credibilità anche internazionale poiché il discredito è totale, oppure dobbiamo ammettere che tutto quello che avviene in questo paese accade soltanto per ubbidire alla logica e alla norma, oltre che alla prassi, di un paese senza verità.
Veda, onorevole Mattarella, lei è un uomo di buone letture, il resto non può essere, come vuole Shakespeare, silenzio. Ma il resto è chiacchiericcio, cortile, discredito, ambiguità e, quel più conta, coinvolge il buon nome del popolo italiano, che non ha bisogno di voi (Applausi dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia - Molte congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Sbarbati.

LUCIANA SBARBATI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a nome della componente del gruppo misto dei federalisti liberaldemocratici repubblicani, ho già avuto modo di intervenire nella vicenda, con toni naturalmente più pacati e certamente responsabili.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI PETRINI

LUCIANA SBARBATI. Abbiamo avuto modo di dire nel dibattito precedente come tale questione avesse evidenziato le difficoltà del Governo italiano nel trattare una materia così complessa e importante riguardando la storia di popoli che appartengono all'Oriente e quindi con una cultura e diversità profonde nell'intendere i rapporti internazionali e le loro questioni interne. Abbiamo avuto anche modo di dire come questa vicenda abbia messo a fuoco e a nudo una verità inquietante. Dissi allora che quest'Europa, alla quale guardiamo con convinzione profonda in termini politici, è certamente un gigante economico ma un nano politico.
Le diversità d'impostazione della politica estera e la mancanza di una comune politica estera della difesa della nostra realtà europea sono un dato di fatto sconcertante che abbiamo sotto gli occhi e sul quale il nostro Governo e il nostro paese devono interrogarsi. Devono farlo anche gli altri paesi europei, se non altro per il fatto che siamo alla vigilia di un appuntamento elettorale importantissimo che dovrà considerare questa fase come costituente. Dovremmo eleggere un Parlamento europeo che apra la fase costituente per dare all'Europa un comune sentire, una comune cultura e, conseguentemente, una politica comune nei settori più importanti, nella dimensione politica di una realtà sovranazionale come quella europea: politica estera, politica dell'occupazione, politica della tutela dei diritti umani, politica della tutela dei diritti di libertà.
Credo che questa vicenda abbia messo a fuoco la debolezza interna del nostro paese sotto il profilo, appunto, della capacità d'intervenire nelle questioni sovranazionali,


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nonché la debolezza del nostro continente europeo nelle sue dimensioni nazionali, così eterogenee che hanno dato spettacolo di una profonda e inquietante debolezza per la mancanza di lucidità nell'intravedere una politica comune di difesa del nostro territorio, di tutela del diritto fondamentale all'autodeterminazione dei popoli.
La questione curda non è finita. Ancorché si troverà la soluzione per il problema di Ocalan - e si troverà la soluzione - il problema dei curdi è sotto gli occhi di tutti. Di esso tutti dovremmo farci carico perché è il problema della libertà di un popolo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Follini.
Le ricordo che dispone di cinque minuti e mezzo.

MARCO FOLLINI. Signor Presidente, il nostro gruppo è stato tra quanti si sono espressi perché non venisse concesso ad Ocalan un diritto di asilo - che sentivamo ingiusto - nel nostro paese.
Siamo lontani dalla sua battaglia politica e dai metodi violenti e terroristici con i quali essa viene condotta. Ma siamo oggi tra quanti chiedono con forza che Ocalan sia oggetto di un processo equo e civile che non sia il camuffamento di una vendetta e non sia il preannuncio di una pena di morte che giudichiamo disumana in questo come in tanti altri casi, molti dei quali non vengono citati. Tra questi casi vorrei ricordare quelli delle vittime del terrorismo.
L'argomento che oggi è alla nostra attenzione però è collaterale, è altro. Parliamo di come l'Italia ha fronteggiato questa vicenda, di quanto il Governo ha fatto e di quanto ha omesso di fare, di quanto ha detto e di quanto ha omesso di dire e di quali siano le conseguenze che possono derivare al nostro paese dalle decisioni che il Governo ha preso oppure non ha preso.
Muoviamo tre obiezioni che nell'interpellanza presentata assieme agli onorevoli Casini e Giovanardi sono evidenziate. La prima riguarda il fatto che il Governo ha impiegato alcuni giorni prima di realizzare cosa stesse accadendo, prima di riconoscere che il leader del PKK era - uso le parole del Presidente del Consiglio - un terrorista e, in quanto tale - aggiungo le nostre - doveva essere considerato un ospite non cercato, non invitato, non desiderato e, possibilmente, riaccompagnato il più presto possibile alla frontiera dalla quale era venuto.
Pensiamo che se questo gesto fosse stato fatto prima, se questa consapevolezza fosse stata assunta per tempo, non avremmo avuto l'equivoco di tanta provvisoria liberalità che, a nostro giudizio, ha nuociuto al prestigio del nostro paese e alle sue relazioni internazionali.
Naturalmente, sappiamo che questa vicenda risente della divisione profonda anche nell'area della maggioranza tra chi guarda il PKK nell'ottica severa delle grandi cancellerie internazionali e chi, all'opposto, lo vede indossando gli occhiali un po' romantici della propria giovinezza ideologica. Non mi riferisco solo alle parole dell'onorevole Mantovani, ma ad altre voci che ben dentro la maggioranza abbiamo sentito dire cose assai diverse da quelle che dovrebbero costituire la linea, almeno ufficiale, del nostro Governo.
La seconda obiezione riguarda il fatto che l'esecutivo ha gestito la procedura di espatrio del leader del PKK con un eccesso di realpolitik, con un metodo da cancelleria segreta; così segreta da far dire al ministro degli esteri, in una dichiarazione mai smentita, che per capire davvero come è andata era necessario rivolgersi a palazzo Chigi; a palazzo Chigi, non alla Farnesina, sede deputata alla gestione di questa vicenda diplomatica.
Infine - ed è la terza obiezione che rivolgiamo al Governo - si è lasciato che il cono d'ombra di questa riservatezza oscurasse il Parlamento e l'opinione pubblica anche quando le sue eventuali ragioni erano venute meno. Voglio citare l'opinione di un giornalista informato ed imparziale come Franco Venturini - lo ha fatto prima di me l'onorevole Trantino - che proprio ieri, pur riconoscendo al


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Governo di avere alcuni meriti accanto ad altre responsabilità ed altre colpe, faceva appello al Governo D'Alema sostenendo che «Si impone un dovere di trasparenza sin qui eluso. Non ha più senso nascondere aerei e piani di volo, rifornimenti a mano armata se ci sono stati, negoziati con paesi terzi, tentativi di rientro veri o presunti. Il Presidente del Consiglio» - suggeriva Franco Venturini - «vada in Parlamento e dica quello che gli italiani hanno diritto di conoscere». Il Presidente del Consiglio ha preferito andare alla trasmissione di Gianni Morandi e quella lampadina che speravamo venisse accesa su questa vicenda, nonostante le parole del Vicepresidente Mattarella, mi pare sia rimasta spenta (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD, di forza Italia e di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Giovanni Bianchi.

GIOVANNI BIANCHI. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, vicenda triste con conclusione drammatica - Dio non voglia tragica - quella di Apo Ocalan, rispetto alla quale mi pare si possa però dire che il nostro paese, su un terreno spinoso, è riuscito a mantenere un atteggiamento dignitoso, soprattutto se confrontato con l'esigenza di salvaguardare in questa circostanza i diritti umani e per rapporto ai partner. In questo separo la mia valutazione da quella facondissima del collega Trantino e per il giudizio sulla cosa, ed anche - se concesso - per lo stile letterario, essendo per me - che, purtroppo, non sono siciliano - il riferimento non Sciascia, ma Emilio Gadda, che peraltro si troverebbe a suo agio nel descrivere questo autentico, internazionale «pasticciaccio».
Non è un'osservazione enfatica né alata la mia. Quando, scorrendo le statistiche, diciamo che i friulani sono più alti rispetto al resto della popolazione italiana, osserviamo che emergono rispetto alla media generale. Ebbene non è chi non veda come rispetto ad una Europa che sovente ci ha guardati con superciliosa attenzione, il profilo del nostro paese emerga nella vicenda Ocalan in maniera assai più netta e credibile. Ed infatti il tempo e il pur convulso scorrere degli avvenimenti hanno finito per evidenziare le nostre ragioni ed il senso di un atteggiamento che deve e merita di essere distinto da tutte quelle dietrologie che ne appiattiscono il profilo sull'atteggiamento di paesi amici che, nella circostanza, hanno mostrato assai meno moderazione e - mi sia consentito di sottolinearlo - decisione del nostro esecutivo.
Vicenda comunque triste perché proprio nel nostro paese Ocalan aveva dichiarato l'abbandono della lotta armata e dei suoi metodi. Per questo motivo, l'incredibile e quanto mai complesso affaire Ocalan presenta due livelli essenziali di approccio, il primo dei quali riguarda la vicenda personale - se così può dirsi di un capopopolo - del leader del PKK; si tratta di una vicenda giocata drammaticamente lungo il difficile confine che separa, e più volte unisce, non solo nel vicino oriente, patriottismo e terrorismo. In proposito, si pensi alla parabola irrisolta dei palestinesi dell'OLP di Arafat; infatti, vi sono ombre che solo la vittoria si incarica di legittimare con postuma dignità, e financo di cancellare. Non è una novità neppure per la storia europea, e la circostanza sta lì a dirci quanto poco la politica e la diplomazia risultino rispettose del galateo e delle buone maniere.
In tal senso, l'affaire Ocalan appare addirittura un «classico» e costituisce certamente un caso di studio. Quel che è avvenuto nella capitale keniota Nairobi assomiglia di più ad una spy story, con contorno di 007 e teste di cuoio, avventurieri forti e diplomatici deboli e comunque scarsamente affidabili, che a un passaggio di politica internazionale. Così Ocalan è passato dagli alti e bassi di una fuga rocambolesca alla stabilità del carcere duro dell'isola turca di Imrali, lo stesso carcere e la stessa isola - ci hanno ricordato le cronache - nel mar di Marmara dove nel 1960 fu detenuto e poi impiccato, dopo un colpo di Stato, il Primo ministro Adnan Menderes.


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In proposito, vi è anche chi si è spinto a suggerire una analogia con quanto accadde a Budapest occupata dai tanks sovietici nel novembre 1956: allora ad essere ingannato e catturato fu il leader Imre Nagy, venduto al Cremlino dai diplomatici jugoslavi. Come si sa, nonostante le assicurazioni fornitegli da più parti, Imre Nagy venne passato per le armi in Romania dai soldati dell'Armata rossa.
A questo punto sarebbe arduo voler dare spiegazioni sicure ad una vicenda fatta - ripeto anch'io la frase del presidente della Commissione affari esteri Occhetto - di «furbizie, meandri oscuri e diplomazie occulte». Mi chiedo: è legittimo e sensato parlare di vergogna senza frontiere? Certo, le immagini mandate in onda dalla televisione risultano agghiaccianti e la mobilitazione dei curdi nelle diverse capitali europee, le torce umane e i morti di Berlino dicono comunque come la vicenda di Ocalan, parte rispetto a un tutto, sia emblematicamente simbolica per tutto il popolo curdo.
Anche per questo esprimo apprezzamento per le parole del Vicepresidente del Consiglio che ha chiesto per Ocalan un processo giusto, in sintonia con quanto oggi deliberato dal Parlamento europeo. È del resto noto l'impegno del nostro Parlamento e di tutta la Commissione affari esteri per la causa curda e in favore del Parlamento curdo in esilio.
Veniamo ora al secondo livello - per così dire - della questione. Il caso curdo non è in fondo molto dissimile da quello di altre minoranze oppresse, come gli ebrei o gli armeni, che nel corso dei secoli hanno avuto in sorte di non potersi mai dire padroni della loro patria, perché costantemente alla mercé di invasori e padroni stranieri che si ritenevano talvolta in diritto di trattare i loro sudditi come carne da macello, oppure come moneta di scambio; si pensi alla Turchia degli anni venti ed alle «mattanze» di armeni e curdi.
In particolare, fu questa la sorte del popolo curdo, in quanto uno dei numerosi trattati che sovrintendeva al riassetto dell'Europa e dei territori coloniali dopo la grande guerra, più esattamente il trattato di Sèvres del 1920, stabilì apertamente la costituzione di un Kurdistan autonomo nei territori allora sottoposti al dominio del dissolto impero ottomano. L'anno successivo, le potenze coloniali superstiti si rimangiarono la promessa, da un lato per non scontentare il regime kemalista turco, che aveva precise pretese sull'area, dall'altro per poter mantenere il controllo di territori ricchi sotto il profilo delle risorse naturali, a partire dal petrolio.
Le porzioni rimanenti del Kurdistan vennero allora divise fra la Siria (colonia francese), l'Iraq (protettorato britannico) e l'Iran (alleato della Turchia).
Da allora la questione curda non ha cessato di costituire un problema, sebbene nessuno abbia più apertamente avanzato l'idea di uno Stato autonomo. Ciò che si può dire con assoluta certezza è che tutti gli Stati in cui i vari tronconi del popolo curdo sono stati divisi hanno praticato in forma più o meno sistematica la repressione di ogni sia pur minimo moto autonomista, vedendo in ciò una minaccia alla propria integrità territoriale ed ai propri interessi economici.
Per quel che concerne la situazione attuale, si può ben dire che la condizione meno peggiore sia quella dei curdi che abitano nelle regioni settentrionali dell'Iraq, sotto la guida non sempre concorde (è un eufemismo, evidentemente) di Massud Barzani e Jalal Talabani, i quali possono godere, contro il regime di Saddam Hussein, dell'«ombrello protettivo» della no fly zone. Ciò consente al Kurdistan iracheno, se non l'indipendenza almeno una certa autonomia e sicurezza, sia pure in un contesto generale di povertà e di latente violenza.
Ma la condizione peggiore la dobbiamo riscontrare fra i curdi di Turchia, sottoposti ad una dura e sistematica repressione fin dal regime di Ataturk, ossessionato dalla necessità di eliminare ogni elemento centrifugo dallo Stato laico e militarista che andava erigendo sulle macerie del califfato (laico evidentemente detto in positivo, militarista detto evidentemente


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in negativo), e per questo privati di ogni forma che fosse specificamente riconducibile alla loro identità etnica e culturale.
È cosa risaputa: i curdi di Turchia non hanno nemmeno un nome, giacché ufficialmente essi si chiamano «turchi delle montagne»; la lingua curda è proibita, ed il solo utilizzarla può portare all'arresto ed all'irrogazione di pesanti pene detentive; persino i colori tradizionali curdi sono banditi, ed una deputata di quell'etnia, regolarmente eletta al Parlamento di Ankara, per il solo fatto di essere entrata nell'aula parlamentare indossando quei colori, è stata immediatamente arrestata e condannata a quindici anni di carcere, in spregio a qualunque forma di garanzia per i rappresentanti del popolo. Di fatto, il Kurdistan turco vive da quasi settant'anni sottoposto ad un perenne regime di occupazione militare, con gli abusi e le violenze che si possono immaginare.
È in questo contesto che si colloca la vicenda di Abdullah Ocalan e del PKK, che è il più importante partito dei curdi di Turchia, messo fuori legge dalle autorità di Ankara come organizzazione terroristica. Premetto subito che mi sembrano impropri i paragoni di alcuni colleghi fra le vicende di Ocalan e quella dei nostri eroi risorgimentali.

RAMON MANTOVANI. È la «contaminazione democratica»!

GIOVANNI BIANCHI. Nello stesso tempo mi pare improprio leggere la parabola del capo curdo unicamente come quella di un terrorista, come dicono le autorità turche.
Prescindendo da ogni considerazione sul modo rocambolesco in cui Ocalan è arrivato in Italia, credo che vi siano alcuni punti incontrovertibili.
Il Governo italiano, ritrovandosi Ocalan in casa senza alcuna sua responsabilità, si è comportato nell'unico modo possibile sotto il profilo costituzionale, rifiutando di estradarlo verso uno Stato che pratica ancora la pena di morte e che, a volerla dire tutta, non si presenta certo come una patria del diritto e dell'equanimità.
Di fronte al discutibile atteggiamento delle autorità tedesche che hanno rifiutato di accogliere Ocalan per giudicarlo (e si badi bene: Apo era stato arrestato in Italia in base ad un mandato di cattura internazionale emesso dalle autorità di Bonn), l'unica cosa da fare, in pendenza di una richiesta di asilo politico, era quella di espellere l'indesiderabile verso un paese che fosse disposto ad accoglierlo.
Una condanna a morte di Ocalan sarebbe una sfida nei confronti non solo dell'Italia ma di tutta l'Unione europea, che sta attualmente vagliando la domanda d'ammissione della Turchia.
A prescindere dalla sorte di Ocalan è inammissibile che l'Italia ed i partner possano accogliere nel loro consesso uno Stato che pratica la sistematica e sanguinosa repressione delle proprie minoranze etniche: ci si potrebbe chiedere, infatti, come potremmo allora pensare di intervenire militarmente contro i serbi che nel Kosovo praticano la stessa politica nei confronti degli albanesi.
L'Italia e l'Unione europea devono mettersi nell'ottica di discutere e valutare attentamente ogni forma di partnership politica ed economica con la Turchia finché non verrà avviato a soluzione il problema curdo.
Resta in ogni modo l'amarezza per la solitudine in cui una volta di più il Governo italiano è stato lasciato dai suoi alleati per fronteggiare una crisi che, come ieri i tedeschi hanno avuto modo di constatare direttamente, non coinvolge soltanto noi. È chiaro che la moneta unica non basta, se non c'è una volontà politica convergente ed autorevole (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e dei democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Cimadoro.

GABRIELE CIMADORO. Ha concluso bene il collega Giovanni Bianchi, dicendo che l'unità monetaria non è servita a


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niente. Purtroppo, quello che conta è l'unità politica e l'Europa qui ha deragliato su una vicenda gravissima. Capisco anche la sincera amarezza dell'amico Mantovani su questa vicenda. Credo però che, esaminati tutti i fatti e alla luce di tutte le circostanze che abbiamo verificato e che stiamo seguendo, le responsabilità del Governo italiano siano limitatissime o addirittura non ci siano. Noi ereditiamo questa vicenda ed anzi credo che le responsabilità vadano ricercate altrove, purtroppo.
Stamattina ho ascoltato dichiarazioni registrate del Premier turco, il quale non escludeva la possibilità che Ocalan nel suo paese venisse condannato a morte: purtroppo, questa è la realtà. Alla luce di questi fatti, mi chiedo se sia stato giusto non concedere l'asilo politico a Ocalan. Mi vengono dei dubbi; io sono uno di coloro che era indeciso, non si sapeva comportare, non sapeva fare dichiarazioni precise sul caso, anche perché eravamo tenuti - naturalmente o per condizioni di disturbo - all'oscuro di alcune vicende.
Mi stupisco però oggi di alcune dichiarazioni di amici dei banchi della destra, non tanto del presidente Trantino, del quale conosco benissimo la sincerità e l'onestà intellettuale, avendo avuto modo di conoscerlo in Commissione esteri. Però, alcuni amici e colleghi, quando Ocalan venne in Italia, evidentemente non voluto da noi, avrebbero preteso che egli fosse portato o consegnato al Governo turco.

SANDRA FEI. Non è mai stato detto!

GUALBERTO NICCOLINI. Non abbiamo detto questo!

GABRIELE CIMADORO. Alcuni vostri colleghi lo hanno detto, scusate: l'ho sentito personalmente. Oggi assistiamo alle immagini terrificanti che ci manda la televisione del leader di un popolo, che, è vero, non rappresenta tutto il popolo curdo, ma rappresenta pur sempre la maggior parte del popolo curdo e noi non vorremmo sacrificare la causa di questo popolo per interessi internazionali, che non devono prevalere sui diritti umani. È stata chiarissima e precisa l'analisi storica del collega Giovanni Bianchi, che ha circostanziato le vicende di questo popolo, che purtroppo continua ad essere massacrato.
Allora, chiedo se la Turchia abbia i titoli, le basi elementari per fare richiesta di entrare nell'Unione europea. Io penso che il nostro Governo debba essere su questa vicenda durissimo, debba intervenire duramente. Mettiamo noi delle condizioni. Noi diciamo: «O così o niente, non puoi venire a far parte di un'Europa che è sicuramente più civile di te».
Questa è la nostra posizione. Questo è quello che il gruppo dell'UDR chiede al Governo e spero che il Vicepresidente del Consiglio se ne faccia carico con forza. Non ho altro da dire e spero che si dia seguito con i fatti alle parole, come siamo abituati a dire qui dentro (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDR).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Cavaliere.

ENRICO CAVALIERE. Ancora una volta, per precise responsabilità di questo Governo, l'Italia ha perso una duplice occasione storica: quella di dimostrare di non essere uno Stato a sovranità limitata, specialmente in politica estera, e quella di potersi porre come garante e protagonista, con un ruolo di mediazione internazionale, per la soluzione della questione curda.
Che di fatto la sovranità italiana si imponga solo e unicamente nei confronti dei suoi cittadini, espropriati dell'unico e legittimo titolo di sovranità, e normalmente contro i loro interessi, è cosa che si evince dall'assoluta mancanza di rispetto che le istituzioni italiane hanno più volte dimostrato nei confronti di scelte democraticamente espresse e poi disattese. Per contro, i governanti italiani non perdono occasione per dimostrarsi servilmente prostrati al grande padrone americano, evitando accuratamente di prendere qualsiasi decisione che in qualche modo possa infastidire i piani di quel


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paese, che, con nostra somma preoccupazione, sempre più punta a legittimarsi come la «sentinella» del mondo.
È in atto, colleghi, un perverso progetto di una élite relativamente ristretta - composta da finanza internazionale, multinazionali, club privati di «maneggioni» internazionali - che ha come unico interesse quello di spingere verso una globalizzazione dell'economia, per ridurre il mondo globalizzato ad un enorme supermarket, nel quale i cittadini trovino solo i prodotti che il mercato globale mette a loro disposizione.
Questo progetto perverso e criminale passa anche attraverso l'accettazione di determinate regole che allontanano sempre di più dai cittadini e, conseguentemente, dai popoli i processi decisionali.
Gli organismi internazionali teoricamente preposti a garanzia e tutela delle realtà più deboli si sono ormai dimostrati, di fatto, strumenti nelle mani di quei soggetti le cui mire di controllo globale dovevano essere limitate.
Il processo di globalizzazione necessita di alcune condizioni fondamentali per poter essere attuato: una di queste è l'annientamento delle identità dei popoli. Un insieme di soggetti individuali, privi della copertura data dall'essere prima entità familiare, poi comunità ed infine popolo cosciente della propria identità, è assolutamente permeabile a tutti i meccanismi di strumentalizzazione economica e politica. Il metodo più rapido e sicuro per cancellare le identità dei popoli è certamente quello di trasformare in modo forzoso la nostra società in una di tipo multirazziale. Non è, quindi, un caso che determinate leggi siano state approvate da questo Parlamento con la feroce opposizione dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania; non è un caso che problemi eclatanti di ordine pubblico vengano minimizzati e che, guarda caso, i grandi poteri - tra i quali, in prima fila, la Confindustria - si affannino a dire che l'industria italiana ha bisogno di nuova forza lavoro, che le casse dell'INPS hanno bisogno di nuove risorse, sapendo benissimo che i lavoratori extracomunitari possono in qualsiasi momento ottenere la restituzione dei contributi versati per tornare nei paesi di origine.
Allora, magari, va bene anche che un intero popolo, come quello curdo, venga perseguitato, dando origine a migrazioni bibliche di disperati che fuggono, prima ancora che dalla miseria, dal rischio di essere massacrati.
Come mai il mondo occidentale, che ha consentito l'istituzione della no flying zone in territorio iracheno, ufficialmente per tutelare i curdi presenti nel nord Iraq, rimane pressoché indifferente alle ripetute incursioni turche nei villaggi curdi, che hanno sinora causato il massacro di migliaia di innocenti, comprese donne e bambini? Se questa politica conviene agli Stati Uniti, signor ministro «ombra» degli affari esteri, perché dovrebbe convenire anche ai cittadini italiani che lei dovrebbe rappresentare? Per quale motivo i genocidi devono essere divisi in diverse categorie: quelli che giustamente si condannano e si commemorano e quelli che vergognosamente vengono nascosti (come quello curdo) o dimenticati (come quello armeno)?
Si continua a tollerare e a giustificare una serie di violazioni di trattati, accordi e convenzioni, che vedono la Turchia protagonista; si continua a parlare della stessa Turchia come di un futuro nuovo partner dell'Unione europea. Tutto questo, signor Vicepresidente del Consiglio, sempre nell'interesse dei cittadini o piuttosto di quel padrone americano e di quei club ristretti di potere internazionale per far parte dei quali vi state così intensamente prodigando? Siglate accordi e trattati che poi per primi non rispettate; vi ammantate di un falso alone solidaristico che copre, in realtà, interessi di bottega.
Signori del Governo, sapete, per esempio, che nel florido nord-est, così come lo definite, stanno nascendo nuove forme di vergognoso caporalato? Certo, lo sanno gli uomini della sinistra che, per esempio, a Porto Marghera ogni mattina centinaia di extracomunitari vengono prelevati e condotti a lavorare senza nessun controllo, senza nessuna copertura previdenziale,


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senza nessuna garanzia sul piano della sicurezza all'interno della Fincantieri, per realizzare quelle lussuose navi da crociera che portano a spasso i turisti americani nel mar dei Caraibi.
È questo il prezzo che dobbiamo pagare alla globalizzazione per essere competitivi? È questa nuova vergognosa forma di schiavismo la manodopera indispensabile di cui parla la Confindustria? Quanti curdi disperati servono per garantire la competitività delle industrie della Padania, affinché siano in grado di sostenere l'assistenzialismo del sud?
È ora e tempo che la finiate di fare i vostri affari sudamericani e americani e che pensiate agli interessi dei cittadini. I nostri popoli non sono più disposti a cedere la loro sovranità ad uno Stato che la svende al miglior offerente e si trova a dover convivere, poi, con le bombe atomiche, come quelle presenti nelle basi di Aviano e Ghedi, e a sopportare i top gun che, forse per vincere la noia, si divertono a sorvolare i nostri paesi con evoluzioni pericolose che provocano, come nel caso del Cermis, vittime innocenti.
Dovevate concedere l'asilo politico al leader curdo Ocalan, perché sarebbe stata una decisione legittima per uno Stato sovrano che ha, tra i suoi principi, quello di aborrire la pena di morte e, conseguentemente, di impedire che un perseguitato politico venga torturato e giustiziato, come ha già preannunciato il Primo ministro turco Ecevit.
Invece avete perseguito la politica della coda tra le gambe, anche di fronte alle sparate arroganti della Turchia, forte della protezione americana.
I ministri greci si sono dimessi, ci aspetteremmo altrettanto dai rappresentanti di questo Governo. Il Presidente del Consiglio D'Alema, poi, ha compiuto un miracolo: quello di farci rimpiangere, in tema di politica estera - ribadisco, in tema di politica estera - un suo predecessore, tal Bettino Craxi, che a Sigonella ebbe il coraggio di schierare i carabinieri contro i militari americani per dimostrare, almeno una volta, di non essere la succursale della Casa Bianca. Complimenti al Premier D'Alema!

SANDRA FEI. Firmato: «RAI di tutto, di più»!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Danieli: le ricordo che ha tre minuti e mezzo.

FRANCO DANIELI. Signor Presidente, come notava il collega Bianchi, questa è una vicenda triste perché riguarda la vita di Apo Ocalan e, senza entrare nel merito della figura e delle personali opinioni del leader curdo, egli è comunque sicuramente il rappresentante di un popolo oppresso, minacciato, senza alcun...

PRESIDENTE. Colleghi, per favore: onorevole Fei, onorevole Cavaliere!
Prego, onorevole Danieli.

FRANCO DANIELI. Signor Presidente, parlavo del popolo curdo che non ha assolutamente alcuna possibilità di esprimersi nella propria lingua, di indossare i propri colori tradizionali, di educare le giovani generazioni nelle scuole alle sue nobili tradizioni storiche e culturali; è un popolo a cui è negata l'identità ed anche i più elementari diritti riconosciuti dagli ordinamenti internazionali.
Al di là di queste vicende tristi, che però hanno già prodotto un risultato, quello di affermare sulla scena internazionale la centralità della questione curda, dobbiamo constatare che il realismo politico, i tatticismi, gli opportunismi, una serie di atteggiamenti di tutti i Governi dell'Unione europea si sono tradotti, in ultima analisi, in un grande monumento di imbecillità politica. I tedeschi del socialdemocratico Schroeder emettono un mandato di cattura internazionale e si guardano bene dall'eseguirlo; i greci non si sa ancora bene che tipo di comportamento abbiano avuto; in Italia abbiamo avuto sì, è vero, un atteggiamento rigoroso per quanto riguarda l'estradizione verso un paese in cui vige la pena di morte, ma


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abbiamo avuto oscillazioni preoccupanti, che inizialmente hanno fatto passare Apo da leader del popolo curdo a terrorista. Abbiamo inoltre assistito ad una serie di dichiarazioni, compresa quella del ministro Dini che ha delegato la gestione della vicenda a palazzo Chigi, di cui ancora non abbiamo pienamente compreso i fondamenti. Cosa è? Uno scontro istituzionale, un lavarsene le mani, un volersi tener fuori da una questione che sovrasta le possibilità e le competenze della Farnesina? Noi abbiamo condiviso pienamente il comunicato di ieri del presidente Occhetto a nome dell'ufficio di presidenza della Commissione affari esteri della Camera dei deputati.
Voglio concludere rapidamente ricordando che oggi il Primo ministro turco ha escluso avvocati ed osservatori internazionali dal processo che riguarderà Apo Ocalan: vi è quindi una regressione rispetto a quanto, pur in un sistema giudiziario drammaticamente non garantista come quello della Turchia, si è verificato qualche anno fa. Sono stato infatti personalmente, come osservatore internazionale, a seguire nel 1994 il processo alla deputata Leyla Zana, incarcerata e poi condannata a quindici anni: vi è dunque una regressione preoccupante, mentre oggi rappresentanti dell'Unione europea sono ad Ankara a discutere sul processo di integrazione della Turchia nell'Unione europea.
Credo che una riflessione rispetto ai meccanismi di integrazione e contaminazione democratica della Turchia debba essere oggi compiuta, anche da parte del nostro Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Schietroma, al quale ricordo che ha tre minuti e mezzo.

GIAN FRANCO SCHIETROMA. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, colleghi, i socialisti democratici italiani ritengono che in questa delicatissima vicenda si debba insistere soprattutto su tre aspetti.
Innanzitutto, occorre che l'Italia e l'Europa continuino a chiedere con determinazione e fermezza alla Turchia, paese membro del Consiglio d'Europa, di garantire un processo corretto e non applicare la pena di morte.
La seconda questione riguarda i curdi, ai quali va la nostra solidarietà e comprensione, ma è necessario adoperarsi perché interrompano subito la protesta violenta.
Il terzo aspetto riguarda l'opportunità, davvero auspicabile, che il Governo turco compia finalmente un gesto di riconoscimento della minoranza curda. In Europa abbiamo già molte esperienze di riconoscimento dei diritti delle minoranze e la Turchia deve dimostrare di essere in grado di rispettare i diritti fondamentali della minoranza curda, che rappresentano non solo un problema umanitario, ma anche politico. La Turchia non può continuare ad ignorarli, sia per questioni interne, perché vivere in una situazione di guerriglia perenne a lungo andare diventa insostenibile, sia per ragioni di carattere internazionale, in quanto la Turchia non può dimenticare di essere un paese con il quale l'Unione europea ha anche una unione doganale.
Ci auguriamo che la Turchia dia seguito ai progressi che vi sono stati con l'adozione della nuova Costituzione, anche se in essa e soprattutto nella legislazione di emergenza vi sono aspetti non conformi ai criteri internazionali in materia di rispetto dei diritti fondamentali e, per di più, contraddittori rispetto agli impegni assunti dalla stessa Turchia come paese membro del Consiglio d'Europa.
Molto dipenderà anche dall'incisività dell'azione politica delle istituzioni europee; finora purtroppo è mancata da parte dei Governi europei la capacità di coordinarsi per elaborare un'efficace azione comune. L'unica giustificazione politica di questa incapacità è che il trattato di Amsterdam non è ancora in vigore.
In questa difficile situazione il Governo italiano ha fatto quello che ha potuto; nell'esprimere l'apprezzamento dei socialisti democratici italiani per l'impegno dell'esecutivo, siamo convinti che il Governo continuerà ad adoperarsi alacremente,


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soprattutto perché cessi la violazione delle norme di diritto internazionale comunemente riconosciute e, in particolare, affinché sia assicurata l'incolumità personale del leader curdo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Zeller, al quale ricordo che ha due minuti e mezzo.

KARL ZELLER. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, onorevoli colleghi, bisogna dare atto che l'Italia ha dimostrato sensibilità e solidarietà al popolo curdo e, in questo senso, si è indubbiamente comportata meglio degli altri Stati europei che si sono girati dall'altra parte quando Ocalan ha bussato alla loro porta. Tuttavia, forse, l'Italia avrebbe potuto fare di più concedendo l'asilo politico o, quanto meno, lo status di rifugiato politico. Il comportamento di gran parte della comunità internazionale, e purtroppo anche della Germania, è deplorevole e, comunque, ipocrita. Non si può abbandonare un popolo in nome di malcelati interessi strategici e convenienze economiche, utilizzando due pesi e due misure. Non bisogna andare troppo lontano per ricordare che i vari Mandela, Begin, Arafat non molto tempo fa erano considerati terroristi ed è troppo semplicistico bollare Ocalan, che si batte per i legittimi diritti del popolo curdo, come terrorista. L'Europa, forse, si sarà liberta da Ocalan, ma non della questione curda, che ora turberà più che in precedenza.
Terrorista o no, per noi Ocalan è sempre un uomo, una persona e come tale va rispettato ed ha comunque diritto ad un giusto ed equo processo secondo gli standard europei, cosa, a dire il vero, poco probabile visti i precedenti atteggiamenti della magistratura turca, che ha condannato a lunghe pene detentive persino i legittimi rappresentanti del popolo curdo democraticamente eletti.
Anche alla luce del fatto che ora interrogano Ocalan senza permettere l'assistenza dei suoi avvocati, respinti subito alla frontiera, temo che in Turchia non sussistano sufficienti garanzie di tutela dei diritti fondamentali.
L'Italia, a nostro parere, deve promuovere un'azione affinché l'Europa faccia qualcosa per trovare una soluzione pacifica del problema curdo. Non basta infatti salvare la vita ad Ocalan, bisogna affermare con forza i diritti sacrosanti dei curdi ad un serio autogoverno, alla propria lingua e cultura. Il problema non è solo la vita di un uomo, ma la vita di un popolo intero che rischia di essere sterminato dalla Turchia (Applausi dei deputati del gruppo misto minoranze linguistiche).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Cento, che dispone di sei minuti.

PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, voglio dichiarare la mia insoddisfazione, oltre che quella dei deputati verdi, per quanto il Vicepresidente del Consiglio ha riferito in aula in maniera inadeguata ed insufficiente rispetto alla gravità della situazione, a ciò che l'Italia doveva e poteva fare, a ciò che l'Italia può ancora fare per dare un contributo positivo alla vicenda di Ocalan e di tutto il popolo curdo.
L'epilogo di questa vicenda rappresenta infatti una grave sconfitta del diritto internazionale, del ruolo dell'Europa e dell'Italia ed indebolisce - mi auguro momentaneamente - coloro i quali in questi anni si sono battuti per il rispetto dei diritti umani e civili del popolo curdo.
Le modalità dell'arresto, ma in realtà di un vero e proprio sequestro militare, da parte degli agenti della Turchia, così come il vergognoso filmato trasmesso dalle televisioni ieri sera sulle prime ore passate da Ocalan in mano turca durante il trasferimento aereo, sono una gravissima violazione del diritto internazionale, della dignità umana di Ocalan e ci avvertono - se ancora avessimo avuto bisogno di una conferma del grave pericolo per la sua incolumità fisica e psichica - del rischio di torture che incombe sul leader curdo e su centinaia di altri prigionieri curdi nelle carceri della Turchia.
Tra i molti che in queste ore si preoccupano del processo giusto ed equo


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a cui Ocalan ha diritto e chiedono il rispetto dei diritti umani ci sono troppi ipocriti. Come non ricordare che in questo Parlamento, per meschini calcoli di politica interna, è stato presentato dagli esponenti del centro-destra - altro che Polo delle libertà! - una mozione che chiedeva l'espulsione di Ocalan dall'Italia, come se non fosse stato prevedibile che fuori dal nostro paese la sua libertà e la sua vita sarebbero state in serio pericolo? E che dire del presidente del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza, onorevole Frattini, il quale ha interpretato il suo ruolo di garanzia istituzionale per essere parte di una campagna politica contro Ocalan e quei parlamentari da sempre schierati, anche in questo Parlamento, a sostegno della causa curda (Applausi dei deputati del gruppo misto-rifondazione comunista-progressisti)?
I fatti purtroppo ci hanno confermato quanto fosse fondata la richiesta di asilo politico di Ocalan al nostro paese e quanto sbagliata sia stata la decisione del Governo italiano di non assumere un atteggiamento convinto e positivo in questa direzione, come i verdi hanno richiesto più volte. L'Italia ha perso un'occasione storica perché ha sommato la propria debolezza e la propria sovranità limitata a quella di un'Europa inesistente ed ipocrita, più attenta agli equilibri commerciali, compreso quello della vendita delle armi, che a dare il proprio positivo contributo per il riconoscimento dei diritti civili ed umani del popolo curdo.
Questo popolo, in gran parte esiliato e profugo in Europa, sta vivendo una tragedia. Quanto è accaduto ieri nell'ambasciata di Israele a Berlino è un fatto gravissimo e non può esservi un silenzio accettabile da parte del nostro Governo perché è assolutamente spropositata la reazione degli agenti israeliani di fronte ad un gruppo di uomini curdi dichiaratamente e manifestamente senza armi nella propria azione di protesta.
C'è il rischio, fortissimo, che nelle prossime ore i curdi in Europa, che si sentono soli e abbandonati nella loro battaglia di dignità, si facciano prendere dalla disperazione e che alla tragedia si aggiunga tragedia.
Ora le parole servono a poco. I Governi europei, su iniziativa di quello italiano, chiedano la convocazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU, affinché esso ponga finalmente all'ordine del giorno il problema drammatico della popolazione curda.
Non solo. Da subito, l'Italia ed i paesi dell'Unione europea convochino congiuntamente gli ambasciatori della Turchia di stanza nei rispettivi paesi - la Turchia, per molto meno, lo ha fatto con il nostro ambasciatore - per manifestare la condanna delle modalità in cui è avvenuto l'arresto-sequestro di Ocalan, per chiedere garanzie verificabili anche attraverso l'invio immediato di missioni diplomatiche europee sull'incolumità fisica di Ocalan e sul suo diritto ad un processo equo; sia garantita, altresì, la possibilità - è questo l'unico, tra gli impegni che venivano preannunciati dal Vicepresidente del Consiglio, che apprezziamo - ai legali europei, e non solo locali, di poter assistere al processo.
Signor Vicepresidente del Consiglio, nel mio collegio un gruppo di ragazze e ragazzi, amareggiati e delusi per questa vicenda, mi chiedevano ieri il senso di un impegno politico, del perché bisogna partecipare ai momenti elettorali, del perché sostenere lo schieramento di centro-sinistra, se neanche su questioni rilevantissime - come la dignità di un popolo e dei suoi diritti umani - la politica è stata capace di dire parole chiare, assumere impegni precisi, non subordinati a qualche commessa commerciale, nonché a dire con chiarezza da quale parte si sta quando vi è un conflitto quale quello riguardante la dignità del popolo curdo.
Non sono stato in grado di rispondere in maniera convincente, né a loro, né a me stesso. Mi auguro - e voglio credere - che questo Governo di centro-sinistra sia in grado, per le cose che saprà fare da oggi in merito alla vicenda curda, di ridare a quei ragazzi le motivazioni e le


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ragioni di un impegno nella politica (Applausi dei deputati del gruppo misto-verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Pezzoni.

MARCO PEZZONI. Signor Presidente, signor Vicepresidente del Consiglio, colleghi, come democratici di sinistra noi crediamo importante, opportuno e giusto sostenere, difendere, promuovere per Ocalan, innanzitutto, il diritto ad un processo equo; in secondo luogo, il diritto alla vita; infine, intendiamo sostenere il diritto del popolo curdo alla propria identità ed autonomia, in una Turchia sempre più democratica e capace di riconoscere i diritti umani, il pluralismo, nonché - in una Turchia federale - le diverse autonomie ed identità dei popoli.
Crediamo che tali diritti debbano essere promossi, oggi, da una forte iniziativa politica.
Del resto, come ha detto il Vicepresidente del Consiglio, il diritto ad un processo equo è tutt'altro che scontato. Anzi, proprio quello che sta sostenendo il Governo turco - e cioè il rifiuto di accogliere osservatori internazionali e giuristi europei - dice come l'obiettivo del diritto internazionale e della difesa e promozione degli elementari diritti umani sia tutt'altro che scontato.
Proprio per questo, pensiamo che sia importante - come hanno affermato diversi leader europei, a cominciare da Schroeder - che l'Europa si faccia carico di una forte iniziativa politica comune perché vi sia una presenza attiva di giuristi europei e di osservatori internazionali in quel paese.
È evidente che un processo a porte chiuse non può essere ritenuto legittimo dalla comunità internazionale. Allo stesso modo, quanto afferma oggi Bulen Ecevit, il nuovo Premier turco, non può non allarmarci: sappiamo bene che l'abolizione della pena di morte è compito, dovere, diritto, del Parlamento turco.
È anche vero, però, che è stato detto dal Premier della Turchia che probabilmente il processo si terrà in tempi ristrettissimi: pertanto, poiché il Parlamento turco non ha modificato la condanna a morte in altre pene, è evidente che dobbiamo dare per scontato che questo è un processo politico e non un processo che garantisce Ocalan e che è già scontata, come affermano anche giuristi internazionali, la condanna finale, ossia la pena di morte per alto tradimento, per aver costituito un partito illegittimo, per atti di terrorismo e così via. È altrettanto evidente che il Governo turco si prepara ad utilizzare politicamente la possibilità di non eseguire quella sentenza, per giocare la pedina Ocalan in una partita complessa, spregiudicata, che ha come posta sia l'ingresso in Europa sia la possibilità di mantenere sul piano esclusivamente nazionale la trattativa con il PKK. Siamo allora di fronte ad una vicenda che non è solo giuridica, che non si svolge soltanto sul terreno dei diritti umani in senso tradizionale, ma anche su quello dei diritti civili e politici e viene trasformata in questione più propriamente politica. Credo quindi che sia necessaria la consapevolezza, da parte del Parlamento e del Governo italiani, della necessità di prendere atto di questa situazione e quindi di trasformarla in una grande iniziativa politica.
Mi sono sentito molto triste guardando il video della cattura di Ocalan, però mi sono anche sentito corresponsabile, non ho fatto come altri, qui dentro, che si chiamano sempre fuori e parlano, di volta in volta, dall'alto di una purezza o farisaica, o rivoluzionaria o ideologica, oppure di un doppio gioco politico, per cui va sempre male quello che fa il Governo. Dal punto di vista della civiltà giuridica europea, dal punto di vista del diritto internazionale, come persona, prima ancora che come appartenente ad un gruppo politico, ho avvertito una sconfitta nel vedere quell'uomo che non ha trovato da nessuna parte una possibilità di accoglienza, la tutela di una comunità internazionale, la quale ha fatto valere, questa


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volta come tante altre, soltanto il primato - ma io dico la dittatura - della ragion di Stato.
Diceva Edgar Morin che siamo ancora nell'età del ferro della civiltà umana mondiale. Quando arriverà una civiltà giuridica internazionale che metta al primo posto la questione della tutela, della dignità di tutti gli uomini - siano terroristi oppure no - in questo pianeta? Una simile tutela è rappresentata da un processo giusto, dalla trasparenza, da una difesa effettiva. Nel caso di Ocalan non c'è stato, da parte della comunità europea, quel salto di qualità che la facesse sentire come una civiltà giuridica comune. Non c'è stata la volontà di dargli, se non l'asilo politico (se questo rappresenta in qualche modo ancora un fatto sconvolgente), quanto meno una protezione, in attesa di garanzie.
Sento affermare con certezza, da certi banchi di questo Parlamento, che «era meglio espellerlo prima», «era meglio espellerlo dopo», «l'Italia ha fatto una cattiva figura in questo periodo», e così via, senza preoccuparsi della questione centrale, ossia del diritto di questa persona ad un processo equo, del suo diritto alla vita. Vedo la comunità internazionale dimostrarsi impotente e dividersi in blocchi ideologici e politici, senza capire che vi è una comune matrice universale ed umana, la religione laica dei diritti umani uguali per tutti. Oggi assistiamo ad una pagina triste della civiltà giuridica europea. Ci si chiede: se lo avessimo cacciato subito, cosa sarebbe cambiato? Cosa sarebbe successo se lo avessimo mandato in un altro Stato? C'è sempre la tentazione di lavarsi le mani, come Pilato, figura eterna che torna sempre. C'è sempre il Getsèmani di qualche persona che può essere terrorista, come era terrorista - così ha scritto Igor Mann - Begin, che è diventato poi Capo di governo nello Stato d'Israele, o come era terrorista Arafat e come sono terroristi nei paesi baschi gruppi armati o in Irlanda l'IRA, ma la civiltà politica e giuridica europea, in Gran Bretagna come in Spagna, cerca l'inclusione e la soluzione dei diritti umani e dei diritti politici dei popoli.
Ed allora, signor Presidente, noi come gruppo dei democratici di sinistra avanziamo tre proposte. Lei ha detto una cosa molto importante, ha detto che Ocalan certo non esaurisce la questione del popolo curdo, non rappresenta tutto il popolo curdo ma certo un intreccio c'è! E questo intreccio noi lo vediamo sempre evidente in ciò che sta accadendo in tutte le capitali europee. Mi riferisco al dramma di una parte almeno di curdi che si immolano disperati nelle piazze.
È evidente che c'è una questione politica che riguarda l'Italia, che riguarda l'Europa. Io non mi pento, noi democratici di sinistra non ci smentiamo in ordine al tentativo nobile, anche se poi è fallito, che il Governo di D'Alema, che questo Governo ha portato avanti allorquando ha cercato di europeizzare una assunzione di responsabilità da parte dell'Europa per fare - noi europei, noi italiani - un processo equo!

MARCO TARADASH. Avete italianizzato l'Europa!

MARCO PEZZONI. Quanto poco siamo stati aiutati nel cercare di compiere un passo in avanti della civiltà giuridica europea, quando poi tutto è riprecipitato nel nazionalismo, nello spingere Ocalan oltre i confini italiani, ed europei, in una terra di nessuno!
Ogni cittadino al mondo deve avere una tutela giuridica internazionale. Non esiste una terra di nessuno. E per questo noi chiediamo - è una proposta politica, signor Vicepresidente del Consiglio - che a marzo, nel prossimo Consiglio europeo, al primo vertice importante dei Capi di Stato e di Governo a Bruxelles, dove è in agenda la questione europea (l'Agenda 2000), il Governo italiano ponga la questione del diritto del popolo curdo alla propria autonomia nell'agenda politica dell'Europa. Questo lo possiamo fare a testa alta nel momento in cui proponiamo non la punizione della Turchia ma una


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strategia europea di inclusione della Turchia. Tale paese deve, può e deve entrare in Europa, ma se affronta due questioni chiave.
La prima è quella dei diritti umani, delle firme apposte alla convenzione contro la tortura, alla convenzione europea sui diritti umani (da cui discende la necessità di un pluralismo politico, civile e culturale: standard minimo di diritti umani e civili). La seconda questione chiave, non identificabile soltanto con quella dei diritti umani e civili, è il riconoscimento di un popolo, riconoscimento che è già all'interno del diritto internazionale. Il popolo curdo non è infatti un'invenzione, lo dico ai colleghi della lega nord. Esso è riconosciuto come popolo nel diritto internazionale.
Come ha detto giustamente l'onorevole Giovanni Bianchi, sin da Sèvres, fin dalla Società delle nazioni, è riconosciuto come popolo etnico-linguistico e con una propria identità. Il diritto internazionale parla di popolo curdo anche nelle risoluzioni dell'ONU, in cui, per esempio, si stabilisce la no fly zone o quando si dice all'Iraq che non deve superare il 38 parallelo perché oltre c'è il popolo curdo! L'ONU parla di popolo curdo, in Iraq come in altri paesi.
C'è dunque un diritto internazionale che riconosce il popolo curdo e c'è allora una nostra strategia di inclusione della Turchia sia sul piano dei diritti umani sia sulla questione dell'autonomia del popolo curdo, in una Turchia unitaria, non spezzata in una confederazione ma in una federazione: dunque molto meno di quello che oggi la NATO, la Comunità europea e il gruppo di contatto propongono a Rambouillet per la soluzione del problema del Kosovo, dove si sta prefigurando, giustamente, quasi una soluzione confederale, un'autonomia fortissima, non federale, all'interno della Serbia (il Kosovo fino ad oggi era una provincia serba), ma una sorta di confederazione. Si deve proporre alla Turchia molto meno che la confederazione, ma uno Stato unitario che, al proprio interno, riconosca l'autonomia, la lingua, l'identità, la cultura e la dignità del popolo curdo.
Questa è la prima proposta politica che intendiamo proporre nell'agenda dell'Europa nel mese di marzo al Consiglio europeo di Bruxelles.
La seconda questione è che non vi sono ancora le condizioni per una conferenza internazionale, come abbiamo convenuto sia con il Vicepresidente Mattarella, sia con il ministro degli affari esteri Dini. Le condizioni per una tale conferenza vanno però costruite perché ad essa devono partecipare la Turchia, tutto il popolo curdo, il Parlamento curdo in esilio e gli altri Stati confinanti. Il popolo curdo è spezzato, infatti, in altre realtà. Devono quindi partecipare, oltre alla Turchia, anche l'Iran e l'Iraq. Capite bene che non esistono tali condizioni. E se non esistono le condizioni - ed è questa la seconda osservazione che faccio a nome del gruppo dei democratici di sinistra - non possiamo, come diceva giustamente il collega Cento, stabilire nulla sulla questione internazionale.
Ho detto che la via maestra è quella dell'Europa e dell'integrazione della Turchia. Le due questioni chiave da porre alla Turchia sono quelle dei diritti umani e del diritto all'autonomia del popolo curdo.
Vi è però la comunità internazionale. Quando ci siamo recati all'ONU, come delegazione italiana, alcuni mesi fa, il sottoscritto ha posto la questione dei curdi a Kofi Annan e la sua risposta è stata che nel 1981, poiché l'ONU è ancora l'ONU degli Stati e non quella dei popoli, un solo paese pose la questione dei curdi e che da allora essa non è più entrata nella sua agenda politica. Gliene ho chiesto il motivo e la sua risposta è stata che la situazione è complicatissima. Gli ho chiesto allora perché si dia giustamente al popolo sarawi l'autodeterminazione: da nove anni l'ONU è presente nel Sahara occidentale per 150 mila uomini giusti che, se voteranno il referendum, diventeranno cittadini di uno Stato indipendente


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dal Marocco. La sua risposta è stata che in quei luoghi la situazione è più semplice.
Certo che la situazione è complicata, ma non possiamo avere due pesi e due misure! La questione dei curdi richiede a noi italiani e all'Unione europea di aprire anche una prospettiva politica. Dobbiamo porre come italiani - certamente non da soli, ma cercando alleati nel Consiglio di sicurezza, come lei sottolineava giustamente, onorevole Mattarella - la questione dei curdi nell'agenda dell'Assemblea. Ciò è possibile. La questione ONU per il gruppo dei democratici di sinistra non è più eludibile (Applausi dei deputati del gruppo dei democratici di sinistra).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Niccolini.

GUALBERTO NICCOLINI. Signor Presidente, la prego di segnalarmi quando sono giunto a metà del tempo disponibile per il mio gruppo.

PRESIDENTE. Ha deciso di condividere il suo tempo?

GUALBERTO NICCOLINI. Sì, divido il mio tempo con l'onorevole Taradash.
Da qualche tempo vi è un'azione diplomatica internazionale per spingere la Turchia e i curdi ad una trattativa, ad un punto d'incontro, alla ricerca di un punto di vivibilità.
Vi è una diplomazia coperta, europea ed americana, perché il teatro in cui si svolgono queste situazioni è importantissimo nel delicato equilibrio del Medio Oriente e nel rapporto tra Islam e Mediterraneo. È chiaro, quindi, che in quel territorio bisognerà trovare un punto d'incontro.
Era evidente che dovesse essere in qualche modo sminato il partito armato che rendeva impossibile uno svolgimento di trattative e un compromesso.
Il nostro signor Ocalan, evidentemente, è stato meno abile di Arafat, il quale è stato un terrorista per tutto il mondo, ma ad un certo momento ha saputo mettere via il mitra ed andare ai tavoli di trattativa, venendo accettato prima a malincuore e adesso come un eroe. Il buon Apo Ocalan, invece, è arrivato troppo tardi e quando ha detto «parliamo di pace» ormai era fuori tempo massimo.
Tutto il gioco internazionale che voleva «sminare» il PKK aveva nel mondo vari riferimenti, strategie ben studiate e venivano coinvolti vari paesi: all'Italia, suo malgrado, forse è toccata la parte più ambigua di tutto questo. Ciò perché, probabilmente, gli altri governanti sapevano quanto debole fosse questo Governo e quanto condizionato da quel buonismo che mi permetterei ancora di chiamare cattocomunista, quel buonismo che non ti permette di prendere decisioni e, soprattutto, non ti consente di chiarirle, di spiegarle alla gente.
Abbiamo corrisposto alle aspettative degli altri paesi esattamente come essi si attendevano; abbiamo risposto in maniera pasticciata e soprattutto ipocrita. Non diciamo neanche poi quanto sia potuto costare tutto questo al paese. Poiché, però, il fine giustifica i mezzi, oggi possiamo dirci di aver favorito l'arresto di Ocalan dopo aver gridato a tutto il mondo che l'unica cosa che non volevamo era quell'arresto.
C'è stata una gestione confusa: i servizi sapevano che doveva arrivare, non si sa se il Governo fosse stato avvertito o meno. I servizi sostengono che non si sapeva, eppure due automobili erano sotto l'aereo quando atterrò a Fiumicino, dove poi abbiamo fatto «saltare» un po' di teste di servizi. Siamo passati quindi dall'ospedale all'Infernetto, dove vi sono state visite straniere interessanti: giudici francesi, inquisitori o inquirenti americani, tutti passavano di là. La gestione di Ocalan è stata tutta privata, dice il nostro Vicepresidente del Consiglio; può darsi, ma qualcuno è andato a Mosca a preparare l'arrivo di Ocalan quando lo abbiamo rimandato laggiù, anche perché le autorità moscovite non gradivano questo ritorno; abbiamo dovuto quindi favorire in qualche maniera


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un ingresso per poi metterle davanti al fatto compiuto, tant'è vero che poco dopo l'hanno rimandato via.
L'aereo è stato noleggiato da privati, ha affermato il Vicepresidente del Consiglio. Non so però se la SNAM possa essere considerata un soggetto privato, né con quali capitali privati funzioni. Quell'aereo, poi, non è più tornato o, probabilmente, è tornato solo in questi giorni, perché ormai non serve più. Esso ha viaggiato nei cieli d'Europa e non possiamo credere che non abbia attraversato il cielo italiano. Ci sono testimonianze di aerei Falcon 800 misteriosi, all'angolo di una pista piuttosto che di un'altra; quattro ore l'aereo sarebbe rimasto a Malpensa prima di prendere la rotta per Nairobi. Possibile che tutto questo non si possa sapere, né che si possa sapere come all'interno degli stessi servizi segreti ci siano state divisioni, contrasti, momenti di tensione, con qualcuno che ha dovuto pagare prima degli altri?
Abbiamo dato una brutta immagine del nostro paese, mi creda signor Vicepresidente. Forse oggi che Ocalan è in quel terribile carcere turco sarebbe il caso di dire agli italiani la verità e perché ci siamo comportati in questa maniera. Non abbiamo avuto la forza ed il coraggio di respingerlo subito all'ingresso, come qualsiasi altro clandestino? Allora dovevamo avere il coraggio di proseguire un'azione chiara, di grande visibilità di quest'uomo. Sappiamo infatti - è una regola - che quando qualcuno è in pericolo di vita più appare, più è visibile, più fa notizia e più forse la sua vita viene risparmiata. Se volevamo far questo dovevamo comportarci conseguentemente.
Chi ha affittato la villa all'Infernetto? Chi l'ha pagata? Chi ha pagato i viaggi? Chi ha pagato telefono, luce, acqua e gas? Chi ha pagato l'aereo ed il visto per entrare a Mosca? Sono tutte spese a carico del contribuente italiano, senza considerare i soldi persi dalle aziende italiane.
Tutte queste cose dovrebbero saperle gli italiani, che si sono trovati coinvolti in una situazione storicamente difficile e drammatica, che non è diventata tale in questi mesi; tale situazione è divenuta altamente drammatica per il signor Ocalan nel momento in cui egli non si è accorto che i tempi erano cambiati e che il mitra andava deposto dieci minuti prima, non dopo. Probabilmente poteva aspirare a diventare un nuovo Arafat, mentre è rimasto un terrorista ricercato e, in questo momento, incarcerato (Applausi dei deputati del gruppo di alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l'onorevole Taradash.

MARCO TARADASH. Signor Presidente, l'intera vicenda Ocalan è stata costellata da una serie di episodi di furbizia, ipocrisia e pressappochismo, e il dibattito di oggi ne è una rappresentazione sintetica, per le parole che sono state espresse da tutti i gruppi della maggioranza.
Si è detto che vi è stato il tentativo di «europeizzare» la vicenda, ora la volete «onuizzare», collega Pezzoni; in realtà, avete tentato di «italianizzare» l'Europa nel momento in cui avete avviato l'operazione Ocalan. Voi avete identificato Ocalan con i curdi, avete considerato il rappresentante del partito comunista curdo quale rappresentante della questione curda; avete presentato Ocalan in Italia quale leader curdo, dimenticando che il Parlamento europeo aveva ripetutamente ben fatto differenza fra i diversi movimenti curdi e, nella sua ultima risoluzione, aveva distinto, appunto, tra i due movimenti PUK e PDK, che invitavano a dirimere il conflitto con mezzi pacifici e a trovare un'intesa con il Governo turco, e il PKK. Il Parlamento europeo aveva riconosciuto, poi, il diritto e il dovere del Governo turco di proteggere i propri cittadini dalle azioni di organizzazioni che ricorrevano a metodi terroristici, come il PKK.
Vi è una bella differenza! Voi avete imbrogliato il nostro paese per qualche ora, per qualche settimana, e volevate imbrogliare l'Europa dicendo che Ocalan


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rappresenta la questione curda; non era così, cari colleghi. Inoltre, avete imbrogliato Ocalan; infatti, nel momento in cui è arrivato in Italia - oggi non voglio discutere come - gli avete promesso asilo politico. D'Alema è venuto in Parlamento e ha rimproverato Berlusconi, che aveva parlato di un bel guaio, dicendo che se di guaio si trattava esso non era frutto dell'avventurismo del Governo, ma il risultato di un radicato spirito di solidarietà che anima non solo il Governo e la sinistra ma un ampio arco di forze politiche e parlamentari del paese, così riscuotendo gli applausi dell'intera maggioranza.
A proposito dell'asilo politico, il Presidente del Consiglio ha ricordato che la Francia dette asilo politico a cittadini italiani accusati di atti di terrorismo, dicendo che questa è la grande tradizione europea e che, dunque, le decisioni che sarebbero state adottate non avrebbero rappresentato un atto di ostilità verso la Turchia; il collega Soro ha affermato poi che era ineludibile offrire asilo politico a Ocalan.
Questa è la vostra maggioranza! Poi vi rendete conto che Ocalan non è il leader curdo, che il PKK non rappresenta la questione curda, che la Turchia viola i diritti umani, ma che non è certamente a partire dalla vicenda Ocalan che si possa avviare un'azione europea nei confronti di tale paese per richiamarlo - com'è doveroso - al rispetto delle norme internazionali e delle convenzioni dei diritti umani, ed allora Ocalan diventa qualcosa da «gettare nel cestino», e voi fate di tutto per gettarcelo.
Avete rimproverato la destra di essere ipocrita; no, noi abbiamo avversato Ocalan, ma non lo abbiamo tradito! Voi l'avete tradito! Noi chiedevamo per Ocalan l'espulsione, il che significava una procedura internazionale per trovare un paese che lo accettasse, non che lo consegnasse o se lo facesse scappare sotto il naso.
Noi chiedevamo il rispetto delle convenzioni internazionali, in particolare della convenzione europea sul terrorismo, che impone al Governo italiano di intentare processo nei confronti di Ocalan. Espelletelo o processatelo in Italia! E invece no, al solito, come fu all'epoca del sequestro Moro, il diritto non conta niente, mentre la politica dei partiti conta tutto. Come per Moro, così per Ocalan, voi avete tradito ogni diritto, ogni impegno e lo avete affidato ad un aereo della SNAM.
Il Vicepresidente del Consiglio ci ha ripetuto oggi quello che ci disse qualche tempo fa e cioè che non si può dire a chi appartiene l'aereo per evitare ritorsioni nei confronti del proprietario dell'aereo stesso.
La SNAM è però una compagnia che appartiene all'ENI. I servizi segreti italiani hanno una propria compagnia aerea ma, in certi casi delicati, visto che trasportano ministri o generali, ricorrono al noleggio.
La SNAM ha fatto volentieri e spontaneamente questo? È vero oppure no che a bordo dell'aereo della SNAM vi erano due membri del SISMI, dei servizi segreti, cioè vi erano tre uomini, tra cui un tale Grignolo ed un altro di nome Fantozzi e che dunque l'Italia bene sapeva e bene aveva organizzato il viaggio di Ocalan verso la Russia?

GUSTAVO SELVA. È vero? Sì o no?

MARCO TARADASH. È vero o non è vero che il tribunale dei ministri avrebbe già proceduto all'interrogatorio di Grignolo, sollevando perciò le ire della procura di Roma che aveva già chiuso la partita? Io ve lo chiedo! Può non essere vero, ed allora diteci che non è vero! Invece non ci potete dire che non potete parlare perché si tratta di un aereo di un privato. L'aereo è dell'ENI. I servizi segreti hanno costretto l'ENI a mettere a disposizione questo aereo e tutta l'operazione è stata coordinata dai servizi segreti del nostro paese. Del resto il ministro Scognamiglio ha ringraziato i servizi segreti, il SISMI, per come si era conclusa la vicenda, mentre il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza all'unanimità - destra, sinistra e centro - aveva detto che era stata inadeguata e che doveva essere criticato il comportamento dei servizi segreti.


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Il ministro Scognamiglio invece li elogia, non si sa perché!
L'onorevole Mattarella ci dice che non si tratta di un aereo di Stato, né militare, ma di un privato. Egli ci prende in giro!
Se andiamo a prendere le sue parole, egli non ha detto nessuna menzogna, ma ha preso in giro il Parlamento. Ci prende per cretini!
Voi volete «italianizzare» la politica europea e mondiale fingendo di costruire una solidarietà verso ciò che non può richiamare da nessuna parte solidarietà - come non l'ha richiamata nelle risoluzioni degli organismi internazionali - e poi gestite una vicenda come questa in tal modo!
Da ultimo, vi fate venire le lacrime da coccodrillo e denunciate i «cattivoni» della destra che volevano tanto male ad Ocalan. Noi lo abbiamo avversato, come vi avversiamo per le vostre incapacità, ma certamente non lo avremmo mai tradito come voi l'avete tradito per la vostra incapacità (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia di alleanza nazionale - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze sull'arresto del leader del PKK Ocalan.

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